Cass. pen. n. 669/2020
In tema di misure cautelari, l'istanza di riesame ex art. 309 cod. proc. pen. avverso l'ordinanza applicativa di misura custodiale personale in procedimento per reati commessi con violenza alla persona non deve essere notificata, a pena di inammissibilità, al difensore della persona offesa, o, in sua mancanza, alla persona offesa stessa, atteso che tale atto non rientra tra quelli considerati all'art. 299, comma 3, cod. proc. pen., norma di stretta interpretazione non suscettibile di estensione analogica oltre ai casi di inammissibilità ivi espressamente stabiliti. (Annulla senza rinvio, TRIB. LIBERTA' TRENTO, 14/07/2020).
Cass. pen. n. 33909/2018
L'obbligo di notifica alla persona offesa dell'istanza sulla libertà proposta dall'imputato, previsto dall'art. 299 cod. proc. pen., non si estende all'appello che egli abbia proposto, ex art. 310 cod. proc. pen., avverso il rigetto della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare, trattandosi di onere non previsto da alcuna norma di legge.
Cass. pen. n. 14943/2018
In tema di misure cautelari personali, l'elemento nuovo costituito dall'esclusione di una o più circostanze aggravanti ad effetto speciale, stabilita da una sentenza definitiva emessa nei confronti di coimputati giudicati separatamente, pur essendo valutabile nel procedimento in corso ai fini dell'apprezzamento di una riduzione dei termini di custodia cautelare, con eventuale scadenza degli stessi, non soggiace ad alcun automatismo, attesa la libera valutazione del compendio probatorio da parte del giudice cautelare, né, comunque, pur se condivisa, comporta la rideterminazione retroattiva dei termini di durata massima per le precedenti fasi del procedimento, stante l'autonomia di ciascuna di esse.
Cass. pen. n. 8691/2018
Nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, l'istanza di revoca o di modifica della misura cautelare deve essere notificata alla persona offesa anche in assenza di una sua formale dichiarazione o elezione di domicilio, atteso che l'art. 299, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dall'art. 2 d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. nella legge 15 ottobre 2013, n. 119, prevede, a pena di inammissibilità di detta richiesta, distinte modalità di notifica alla persona offesa: 1) presso il difensore di fiducia, ai sensi dell'art. 33 disp. att. cod. proc. pen.; 2) personalmente, presso la stessa persona offesa, nel caso in cui non abbia nominato un difensore di fiducia, salva l'ipotesi in cui questa abbia eletto o dichiarato domicilio, nel qual caso dovrà essere sempre eseguita in tale luogo, anche se sia già intervenuta la nomina di un difensore.
Cass. pen. n. 29770/2017
Nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona, è rilevabile d'ufficio l'inammissibilità dell'istanza dell'imputato volta ad ottenere l'autorizzazione a trasferire il luogo del domicilio degli arresti domiciliari, qualora tale istanza non sia stata, ai sensi dell'art. 299, commi 3 e 4 bis cod, proc. pen., notificata alla persona offesa o al suo difensore.
Cass. pen. n. 15835/2017
Sussiste l'interesse del pubblico ministero a proporre gravame avverso una decisione, emessa in sede di riesame, di annullamento dell'ordinanza impositiva di custodia cautelare in carcere per insussistenza di gravi indizi, anche se nelle more interviene decisione di revoca di ogni misura, applicata con riferimento ad altri capi dell'imputazione, per sopravvenuta cessazione delle esigenze cautelari: ciò al fine di precludere all'indagato la possibilità di crearsi un titolo per la riparazione per ingiusta detenzione che può essere costituito solo dalla decisione impugnata. (Fattispecie in cui la S.C. ha annullato senza rinvio la declaratoria di inammissibilità dell'appello del pubblico ministero pronunciata dal tribunale del riesame, in sede di rinvio dalla Cassazione per procedere ad una nuova valutazione sui gravi indizi di colpevolezza, giustificata dalla sopravvenuta revoca, disposta dal g.i.p., della misura cautelare dell'obbligo di dimora applicata con riferimento al restante capo di imputazione).
Cass. pen. n. 9657/2017
Avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di revoca o sostituzione delle misure cautelari è ammesso esclusivamente il rimedio dell'appello, previsto dall'art. 310, cod. proc. pen., in quanto il ricorso immediato per cassazione, ai sensi dell'art. 311, comma secondo, cod. proc. pen., può essere proposto soltanto contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva e solo nel caso di violazione di legge, nonché, ai sensi dell'art. 568, comma secondo, cod. proc. pen., contro i provvedimenti concernenti lo "status libertatis" non altrimenti impugnabili. (In applicazione del principio la Corte ha qualificato come appello il ricorso avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revoca della misura cautelare della custodia in carcere e disposto la trasmissione degli atti al Tribunale, in funzione di giudice dell'appello).
Cass. pen. n. 4974/2017
In tema di impugnazione, anche in ambito cautelare trova applicazione la regola generale di cui all'art. 568, comma quarto, cod. proc. pen., secondo cui per proporre ricorso il soggetto legittimato deve essere portatore di un interesse concreto ed attuale, che deve persistere fino al momento della decisione e che va apprezzato con riferimento all'idoneità dell'esito finale del giudizio ad eliminare la situazione giuridica denunciata come illegittima o pregiudizievole per la parte. (Fattispecie in cui la Suprema Corte ha rilevato la sopravvenuta mancanza di interesse del pubblico ministero ad impugnare dinanzi al tribunale l'ordinanza con cui era stata attenuata la misura cautelare, per la violazione del contraddittorio ex art. 299, comma 3-bis, cod. proc. pen. in quanto, prima dell'annullamento ex art. 310 cod. proc. pen., era intervenuta una nuova ordinanza di attenuazione della misura, adottata nel rispetto del contraddittorio).
Cass. pen. n. 3105/2017
In tema di custodia cautelare in carcere, la contestazione dell'aggravante di cui all'art. 7 L. n. 203 del 1991 determina una presunzione relativa di concretezza ed attualità del pericolo di recidiva, superabile solo dalla prova, offerta dall'interessato, di elementi da cui desumere l'affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare, sicché, in difetto di detta prova, l'onere motivazionale incombente sul giudice ai sensi dell'art. 274 cod. proc. pen. deve ritenersi rispettato mediante il semplice riferimento alla mancanza di elementi positivamente valutabili nel senso di un'attenuazione delle esigenze di prevenzione.
Cass. pen. n. 55146/2016
In tema di misure cautelari, nel caso in cui il giudice ritenga di non accogliere immediatamente, sulla base della documentazione sanitaria acquisita, la richiesta di revoca o di sostituzione della custodia cautelare in carcere, fondata sulla prospettazione della particolare gravità delle condizioni di salute dell'indagato incompatibili con lo stato di detenzione, non è obbligato a nominare un perito se non risulta formulata una diagnosi di incompatibilità o comunque non si prospetta una situazione patologica tale da non consentire adeguate cure in carcere. (Fattispecie, nella quale la Corte ha annullato l'ordinanza, con cui il Tribunale del riesame aveva confermato il provvedimento di rigetto dell'istanza di sostituzione della misura carceraria, senza ritenere necessario procedere alla nomina di un perito, malgrado fossero state prodotte dalla difesa consulenze di parte e perizie svolte in altri procedimenti, che attestavano una patologia dell'imputato incompatibile con il regime carcerario).
Cass. pen. n. 23371/2016
È inammissibile, per la preclusione processuale derivante dalla pendenza di altro procedimento cautelare basato sui medesimi elementi nei confronti della stessa persona e per lo stesso fatto, l'istanza di scarcerazione presentata dall'imputato in pendenza di appello cautelare, non ancora definito, proposto avverso il rigetto di altra richiesta di scarcerazione avente ad oggetto il medesimo "thema decidendum".
Cass. pen. n. 20281/2016
In tema di revoca o modifica della misura cautelare, il provvedimento favorevole emesso nei confronti di un coindagato può costituire fatto nuovo sopravvenuto, del quale tener conto ai fini della rivalutazione del quadro indiziario, ma non delle esigenze cautelari, che devono essere vagliate con riferimento a ciascun indagato.
Cass. pen. n. 18306/2016
L'obbligo di notifica al difensore della persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare, prescritto a pena di inammissibilità dall'art. 299 comma quarto bis cod. proc. pen., opera anche nel caso in cui l'istanza abbia ad oggetto il mutamento delle condizioni di esecuzione della misura coercitiva e dunque anche il mutamento del luogo di detenzione domiciliare.
Cass. pen. n. 49339/2015
La nozione di "delitti commessi con violenza alla persona", utilizzata dal legislatore nel comma secondo bis dell'art. 299 cod. proc. pen., al fine di individuare l'ambito di applicabilità dell'obbligo di notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare, ai sensi del successivo comma terzo, evoca non già una categoria di reati le cui fattispecie astratte siano connotate dall'elemento della violenza (sia essa fisica, psicologica o morale) alla persona, bensì tutti quei delitti, consumati o tentati, che, in concreto, si sono manifestati con atti di violenza in danno della persona offesa. (Fattispecie in tema di tentato sequestro di persona a scopo di estorsione, in cui la Corte ha ritenuto insussistente l'obbligo di notifica in quanto la condotta criminosa si era interrotta per l'intervento delle forze di polizia prima che qualsiasi forma di violenza, anche solo morale, potesse essere percepita dall'ignara vittima).
Cass. pen. n. 10075/2015
La disposizione contenuta nell'art. 299, comma quarto ter cod. proc. pen., che impone al giudice di disporre accertamenti medici e di nominare un perito o quando ritenga di non accogliere richieste in tema di revoca o sostituzione della misura cautelare per motivi di salute, non trova applicazione nella fase esecutiva della condanna, in considerazione della tendenziale definitività della condizione detentiva rispetto alla provvisorietà della fase cautelare.
Cass. pen. n. 6717/2015
L'inammissibilità dell'istanza di revoca o sostituzione delle misure cautelari coercitive (diverse dal divieto di espatrio e dall'obbligo di presentazione alla p.g.) applicate nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona - prevista dall'art. 299, comma quarto bis, cod. proc. pen., per l'ipotesi in cui il richiedente non provveda a notificare contestualmente alla persona offesa l'istanza di revoca, di modifica o anche solo di applicazione della misura con modalità meno gravose - è rilevabile pure se dedotta da quest'ultima mediante impugnazione, poiché trattasi di sanzione che ha la funzione di garantire, anche dopo la chiusura delle indagini preliminari, l'adeguata informazione della vittima del reato circa l'evoluzione del regime cautelare in atto, e, quindi, la possibilità per la stessa di fornire eventuali elementi ulteriori al giudice procedente, attivando un contraddittorio cartolare mediante la presentazione, nei due giorni successivi alla notifica, di una memoria ai sensi dell'art. 121 del codice di rito.
Cass. pen. n. 5934/2015
In tema di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, la previsione di cui all'art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen. impone al giudice la nomina del perito solo se sussiste un apprezzabile "fumus" e cioè se risulti formulata una chiara diagnosi di incompatibilità con il regime carcerario, o comunque si prospetti una situazione patologica tale da non consentire adeguate cure in carcere. (In motivazione, la S.C. ha tra l'altro precisato che, in assenza del predetto "fumus", deve trovare applicazione la prima parte del comma 4-ter, ai sensi del quale il giudice, quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, dispone gli opportuni accertamenti sulle condizioni dell'imputato, anche di ufficio e senza formalità).
Cass. pen. n. 489/2015
Può essere disposto d'ufficio l'aggravamento della misura cautelare a seguito della segnalazione, da parte degli organi di polizia giudiziaria, della trasgressione delle prescrizioni inerenti alla misura meno grave precedentemente applicata, trattandosi di procedura in cui le esigenze cautelari restano inalterate e che si conclude con un provvedimento sanzionatorio dovuto al comportamento trasgressivo dell'indagato e, pertanto, alla sua inaffidabilità; né, in tal caso, rileva l'ipotesi di cui all'art. 299, comma quarto, che prevede l'adozione di una misura cautelare più grave a seguito di richiesta del P.M. e presuppone l'aggravamento delle esigenze cautelari, l'accertamento della cui sussistenza richiede il contraddittorio di tutte le parti.
Cass. pen. n. 16370/2014
La previsione di cui all'art. 299, comma quarto quater, c.p.p., in tema di accertamenti medici sulle condizioni di salute dell'indagato attiene esclusivamente alla procedura della revoca o sostituzione della misura cautelare disciplinata dall'art. 299 medesimo e non è estensibile, in via analogica, al procedimento di riesame di una misura cautelare di cui all'art. 309 c.p.p..
Cass. pen. n. 49112/2013
In tema di misure coercitive, la distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione sulla richiesta di sostituzione della misura cautelare in atto comporta un rigoroso obbligo di motivazione in ordine sia all'attualità sia all'intensità delle esigenze cautelari. (In applicazione del principio la Corte ha annullato il provvedimento di rigetto di un istanza modificativa della custodia cautelare in carcere disposta per fatti risalenti ad oltre cinque anni prima, ritenendo carente la motivazione sull'attualità ed intensità delle esigenze cautelari).
Cass. pen. n. 44904/2013
In tema di misure cautelari personali, la richiesta di revoca o sostituzione della misura custodiale impone l'acquisizione del prescritto parere del pubblico ministero. (Fattispecie relativa alla presentazione di una seconda istanza "de libertate", motivata da ragioni diverse rispetto a quelle che avevano ispirato la prima, ed accolta dal gip senza la previa acquisizione di un nuovo parere del P.M.).
Cass. pen. n. 19143/2009
Integra il reato di corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter c.p.) la condotta del medico della direzione sanitaria di una casa circondariale che, dietro il versamento di un corrispettivo, rilasci all'imputato detenuto, ai fini del procedimento previsto dall'art. 299, comma quarto ter c.p.p., un parere sulle sue condizioni di salute, attestando patologie inesistenti. (Nell'affermare tale principio, la Corte ha chiarito che la suddetta certificazione costituisce un atto essenzialmente peritale, che si inserisce per il suo contenuto accertativo, tra gli atti concatenati ed unificati funzionalmente dal concorso nell'emanazione da parte del giudice del provvedimento finale di regolamentazione del regime detentivo)
Cass. pen. n. 46087/2008
In caso d'aggravamento delle esigenze cautelari a norma dell'art. 299, comma quarto, c.p.p., la sostituzione della misura applicata con altra più grave ovvero l'applicazione con modalità più gravose non obbliga il giudice a procedere all'interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p.. (Fattispecie d'aggravamento di misura cautelare disposta dal giudice d'Appello).
Cass. pen. n. 40917/2008
È inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso ordinanza del tribunale che, su appello del P.M., aveva disposto il ripristino della custodia cautelare in carcere in luogo degli arresti domiciliari, precedentemente sostituiti con il provvedimento appellato alla suddetta più grave misura, qualora nelle more il giudice delle indagini preliminari, ai sensi dell'art. 299 c.p.p., abbia ulteriormente disposto la sostituzione dell'originaria misura cautelare con quella degli arresti domiciliari presso una comunità terapeutica.
Cass. pen. n. 35773/2007
In tema di revoca o sostituzione delle misure coercitive, l'art. 299, comma quarto-ter, c.p.p., prevede, in relazione all'accertamento delle condizioni di salute dell'imputato, l'obbligo di disporre la perizia con esclusivo riferimento al caso in cui l'incompatibilità con la custodia cautelare in carcere venga dedotta sul rilievo di affezioni da A.I.D.S. o da grave deficienza immunitaria, rimanendo libero il giudice, negli altri casi, di decidere allo stato degli atti senza disporre perizia medica, qualora ritenga con congrua motivazione di escludere l'allegata incompatibilità o comunque adeguate le cure inframurarie prestate.
Cass. pen. n. 26681/2007
Qualora la misura cautelare venga modificata in peius ai sensi dell'art. 299 c.p.p., in presenza di un aggravamento delle esigenze cautelari è dovuto l'interrogatorio di garanzia previsto dall'art. 294 c.p.p.
Cass. pen. n. 37363/2006
Il rigetto dell'istanza di sostituzione della misura cautelare con altra meno afflittiva, implica per il giudice l'obbligo di motivare accertando in concreto e, quindi, in termini puntuali e specifici, se ricorrano le specifiche situazioni che, in relazione alla gravità del fatto nonché alla natura ed al grado delle esigenze cautelari, rendono imprescindibile ed inevitabile la necessità di adottare e mantenere la misura cautelare più grave, dando conto, con criteri logici e di plausibile persuasività, delle ragioni giustificative di un provvedimento che, in nome di esigenze cautelari non altrimenti realizzabili, sacrifica la libertà personale dell'indagato nella misura massima possibile. (Nella fattispecie, relativa al rigetto dell'istanza di sostituzione della custodia cautelare in carcere imposta al soggetto trovato in possesso di circa duecento grammi di cocaina, la Corte ha accolto il ricorso sul presupposto della mancato esame da parte del Gip dell'incensuratezza del prevenuto e della sua concreta collaborazione alle indagini).
Cass. pen. n. 35861/2006
In materia di richiesta di revoca o di sostituzione della custodia cautelare in carcere, la attuale sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura prevista dagli artt. 273 e 274 c.p.p., in quanto correlata sia ai fatti sopravvenuti sia a quelli coevi all'ordinanza impositiva, può esser valutata tenendo conto anche del tempo trascorso dal commesso reato; tuttavia detto tempo può acquistare rilevanza solo se accompagnato da altri elementi che siano certamente sintomatici di un mutamento della complessiva situazione inerente lo
status libertatis del soggetto interessato.
Cass. pen. n. 30164/2006
In tema di misure cautelari, l'obbligo imposto al giudice dall'art. 299, primo comma, c.p.p., di revocare immediatamente la misura non appena accerti l'inesistenza, originaria o sopravvenuta, dei presupposti che la giustificano, opera anche se la misura stessa non ha ancora ricevuto esecuzione.
Cass. pen. n. 121/2006
In tema di richiesta di revoca della misura cautelare in carcere, il tempo trascorso può acquistare una positiva rilevanza per escludere il rischio di reiterazione del reato non solo ex se ma in quanto accompagnato da altri elementi che siano sintomatici di un mutamento della complessiva situazione inerente lo
status libertatis del soggetto.
Cass. pen. n. 41150/2004
Qualora, in pendenza di ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso ordinanza del Tribunale che, su appello del P.M., aveva disposto il ripristino della custodia cautelare in carcere in luogo degli arresti domiciliari, precedentemente sostituiti, con il provvedimento appellato, alla suddetta, più grave misura, il giudice, ai sensi dell'art. 299 c.p.p., abbia ulteriormente disposto la sostituzione degli arresti domiciliari con l'obbligo di dimora, tale ultimo provvedimento, una volta divenuto definitivo per mancata impugnazione, rimane fermo pur a fronte della sopravvenuta definitività della precedente ordinanza di ripristino della custodia cautelare, prodottasi in conseguenza del mancato accoglimento del summenzionato ricorso per cassazione.
Cass. pen. n. 37565/2004
Qualora il giudice, a fronte di richiesta del pubblico ministero volta all'applicazione della custodia cautelare in carcere, disponga invece gli arresti domiciliari sotto condizione che venga accertata l'esistenza di un luogo idoneo all'esecuzione di tale misura e tale accertamento dia esito negativo, deve rienersi legittimo il provvedimento con il quale, senza apprezzabile soluzione di continuità cronologica, lo stesso giudice, pure senza acquisizione del parere del pubblico ministero, revochi la suddetta misura e disponga quella, originariamente richiesta, della custodia in carcere.
Cass. pen. n. 12271/2003
In tema di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, la previsione di cui all'art. 299, comma 4 ter, c.p.p. — disponendo che se la richiesta è basata sulle condizioni di salute di cui all'art. 275, comma 4, c.p.p., ovvero se tali condizioni di salute sono segnalate dal servizio sanitario penitenziario, il giudice, se non ritiene di accoglierla, dispone gli accertamenti medici del caso, nominando un perito — non impone automaticamente al giudice la nomina del perito se non sussista un apprezzabile fumus e cioè se non risulti formulata una diagnosi di incompatibilità o comunque non si prospetti una situazione patologica tale da non consentire adeguate cure in carcere.
Cass. pen. n. 1613/2003
In tema di impugnazioni avverso provvedimenti applicativi di misure cautelari personali, le condizioni di salute dell'indagato incompatibili con lo stato di detenzione non possono costituire motivo di censura contro l'ordinanza impositiva della misura coercitiva, ma debbono essere fatte eventualmente valere davanti al giudice competente ex art. 279 c.p.p., in sede di richiesta di revoca o di sostituzione della misura, formulata ai sensi dell'art. 299 c.p.p.
Cass. pen. n. 40993/2002
Ai fini della revoca della misura della custodia cautelare in carcere, la condotta collaborativa dell'indagato, pur non comportando di per sè sola una riduzione della pericolosità sociale, può, tuttavia, ove la serietà del pentimento risulti riscontrata da elementi certi, condurre il giudice a fondare la decisione
de libertate su una presunzione di attenuazione della pericolosità sociale, presunzione, d'altro canto, superabile in virtù del puntuale accertamento della concreta realtà di fatto di cui occorre dar conto in sede di motivazione
Cass. pen. n. 11371/2002
In tema di misure coercitive, quando la richiesta di revoca della custodia cautelare in carcere è motivata sul presupposto della incompatibilità delle condizioni di salute con lo stato di detenzione, l'obbligo per il giudice di disporre accertamenti medici, nominando un perito secondo quanto disposto dall'art. 299, comma 4 ter c.p.p., sussiste anche se l'imputato è detenuto all'estero ed è in corso la procedura di estradizione. (In applicazione di questo principio, la Corte ha annullato l'ordinanza del tribunale del riesame che aveva confermato il provvedimento cautelare, ritenendo di non poter valutare le istanze difensive relative all'asserita incompatibilità dello stato di salute con il regime detentivo per essere l'imputato detenuto in Svizzera in attesa di essere estradato in Italia).
Cass. pen. n. 8392/2002
La mancata acquisizione del parere del pubblico ministero in ordine alla istanza di revoca della misura cautelare, richiesto dall'art. 299 comma 3 bis c.p.p., non determina la nullità del provvedimento ex art. 178 lettera b) dello stesso codice, a condizione che il rappresentante della pubblica accusa sia stato messo in condizione di esprimere le proprie conclusioni, ancorché in concreto non lo abbia fatto. (In applicazione di tale principio, la Corte ha escluso la nullità del provvedimento di rigetto dell'istanza di revoca della misura cautelare proposta, in pubblica udienza, alla presenza del P.M., il quale si era poi spontaneamente allontanato prima di concludere).
Cass. pen. n. 7674/2002
Nel procedimento di appello avverso le ordinanze
de libertate sono ammissibili, purché compatibili con la sua natura incidentale ed attuate assicurando il contraddittorio, l'acquisizione e la conseguente valutazione di elementi probatori raccolti successivamente all'adozione del provvedimento impugnato, data la rilevanza del principio generale di necessaria e permanente attualità delle condizioni legittimanti il trattamento cautelare (art. 209, commi 1 e 3, c.p.p.), ed operando in via analogica la disciplina delineata ai commi 2 e 3 dell'art. 603 c.p.p.
Cass. pen. n. 23626/2001
Il pubblico ministero non ha alcun obbligo di depositare, unitamente al parere da lui espresso in ordine ad una richiesta di revoca o sostituzione di misura cautelare, gli atti o documenti a sostegno di detto parere, non essendo un tale obbligo espressamente previsto da alcuna disposizione normativa, né potendosi esso far derivare, in via di interpretazione analogica, dall'art. 293, comma 3, c.p.p., concernente l'obbligo di effettuare, dopo la notificazione dell'ordinanza impositiva di misura cautelare, il deposito, oltre che di tale ordinanza, anche degli atti a suo tempo presentati a sostegno della relativa richiesta.
–
In tema di revoca o sostituzione di misure cautelari, deve escludersi che, nell'ipotesi disciplinata dall'art. 299, comma 3 ter, prima parte c.p.p. — nella quale, a differenza che nella seconda parte, l'assunzione dell'interrogatorio della persona sottoposta a indagini è prevista come meramente facoltativa — la mancata effettuazione di detto interrogatorio possa costituire causa di nullità.
Cass. pen. n. 23424/2001
In tema di esigenze cautelari, il tempo decorso dall'applicazione della misura non può essere posto da solo a base di un giudizio di attenuazione delle stesse, tale da giustificare la sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, ma costituisce soltanto un dato di novità valutabile insieme ad altri elementi idonei ad indurre un mutamento della complessiva situazione relativa allo
status libertatis.
Cass. pen. n. 657/2000
La richiesta di revoca di una misura coercitiva non può basarsi sulla contestazione dell'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza o delle esigenze cautelari posti a fondamento della stessa, avendo questi già formato oggetto di giudizio, ma deve indicare gli elementi di novità pretermessi dal giudice o nel frattempo sopravvenuti, che hanno fatto venir meno o attenuato le condizioni per mantenere ferma la misura. (Fattispecie in cui la Corte ha rilevato come le allegazioni difensive poste a fondamento del ricorso fossero le stesse già valutate, a seguito di emissione della misura cautelare, sia dal tribunale del riesame che dalla stessa Corte Suprema).
Cass. pen. n. 996/2000
L'art. 508 c.p.p., che prevede la citazione del perito a comparire per esporre il suo parere in dibattimento, non è applicabile nel procedimento incidentale de libertate in cui sia impugnata con l'appello l'ordinanza di diniego, di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere. Ne consegue che se si rendano necessari accertamenti sullo stato di salute dell'indagato, ai sensi dell'art. 299, comma 4 ter, c.p.p. non deve essere fissata un'udienza per la convocazione del perito.
Cass. pen. n. 1108/2000
Il principio secondo cui in tema di esigenze cautelari il semplice decorrere del tempo non può costituire ordinariament, da solo, elemento di valutazione, viene meno nel caso in cui si sia formato il giudicato cautelare su dette esigenze, ipotesi nella quale il giudice dell'appello ben può disattendere l'impugnazione sulla base della considerazione che il semplice decorso del tempo non abbia fatto venir meno le esigenze stesse, in mancanza della indicazione da parte dell'interessato di diversi e ulteriori elementi valutativi.
Cass. pen. n. 5825/2000
In tema di libertà personale, è provvedimento errato, ma non abnorme, quello con il quale il giudice revochi sua precedente ordinanza, con la quale era stata dichiarata la inefficacia della misura cautelare in carcere per decorrenza dei termini. Esso pertanto non è impugnabile in cassazione, ma, ricorrendone i presupposti, deve essere qualificato dalla adita Suprema corte come appello, con conseguente trasmissione degli atti al competente Tribunale del Riesame.
Cass. pen. n. 5165/1999
In tema di revoca delle misure cautelari, il «fatto nuovo» ovvero l'«elemento nuovo» idoneo a superare il c.d. giudicato cautelare già formatosi non può consistere nella semplice circostanza di una diversa e più favorevole valutazione delle stesse emergenze di causa effettuata in un altro procedimento cautelare nei confronti di diverso indagato o imputato. Ogni procedimento cautelare, infatti, è del tutto autonomo rispetto agli altri procedimenti incidentali de libertate, ancorché innestati nel medesimo processo, e la frammentazione che ne deriva implica, per il margine di discrezionalità del giudice nella verifica delle singole posizioni, una diversità di valutazioni e di decisioni provvisorie e strumentali che non riflettono una valutazione complessiva della vicenda e sono inidonee ad influenzarsi reciprocamente. (In applicazione di tale principio la Corte, rilevato che nell'istanza di revoca non erano stati allegati elementi nuovi e diversi da quelli già posti a base di precedente provvedimento sul quale si era formato il giudicato cautelare, bensì era stata esclusivamente dedotta la circostanza di una diversa valutazione degli stessi elementi effettuata in separato procedimento de libertate relativo a coimputato in analoga posizione, ha ritenuto legittimo il rigetto dell'istanza medesima).
Cass. pen. n. 4042/1999
Lo strumento della revoca della misure cautelari, in quanto diretto a consentire la valutazione della sussistenza ex ante e della persistenza ex post delle condizioni di applicabilità delle misure, non giustifica, in relazione alla sua funzione, alcun limite alla verifica dell'attualità delle stesse, anche con riferimento ai soli fatti preesistenti all'adozione della cautela, dei quali può essere effettuato nuovo e diverso apprezzamento. Ne deriva che, nel caso di istanza dell'interessato, è imposto al giudice il dovere di esaminare qualsiasi elemento e questione attinente alla legittimità del mantenimento della misura, con l'unica preclusione derivante dalla circostanza che il controllo delle condizioni di applicabilità sia stato già in concreto effettuato: la precedente decisione, infatti, anche se priva dell'effetto del giudicato, non può che produrre nei confronti delle parti interessate un'efficacia analoga a quella prevista dall'art. 666, comma 2, c.p.p. (secondo cui è inammissibile la proposta di incidente di esecuzione consistente nella mera riproposizione di una richiesta già rigettata basata sui medesimi elementi), che pone un principio di carattere generale, applicabile anche al di fuori del procedimento di esecuzione per cui è dettato e preclusivo, allo stato degli atti, di una nuova pronuncia giurisdizionale in ordine alle questioni trattate. (Alla stregua di tale principio la Corte ha annullato l'ordinanza del tribunale che, pronunciandosi in sede di appello sul rigetto della richiesta di revoca di una misura cautelare reale, aveva ritenuto precluso l'esame delle questioni che avrebbero potuto essere sollevate con l'impugnazione del decreto applicativo della misura).
Cass. pen. n. 2106/1999
Affinché il giudice provveda alla sostituzione di una misura cautelare già in atto con altra più grave ovvero all'aggravamento delle modalità applicative è necessario uno specifico atto propulsivo rappresentato dalla «richiesta» del pubblico ministero. (Fattispecie in cui la Corte Suprema ha annullato l'ordinanza che aggravava una misura coercitiva in quanto emessa su «parere» favorevole del P.M. sollecitato a esprimersi dal giudice in quanto l'imputato, già agli arresti domiciliari, era stato attinto da altra ordinanza di custodia cautelare).
Cass. pen. n. 1160/1999
In tema di gravi indizi e di esigenze cautelari, l'esaurimento del giudizio di merito con la condanna dell'imputato in primo e secondo grado e la conferma in entrambi dell'attualità della misura corrisponde al raggiungimento di un grado assai rilevante di certezza dei fatti, sui quali possono incidere solo elementi nuovi sopravvenuti, tali da modificarne il quadro complessivo. Anche il tempo decorso dall'applicazione della misura costituisce un dato di novità contestualmente valutabile ai fini della permanenza delle esigenze cautelari, purché sia accompagnato da altri elementi idonei a indurre il mutamento della situazione complessiva accertata con le decisioni adottate nei due gradi di giudizio e, quindi, a far ritenere la cessazione del pericolo che l'imputato torni a commettere gravi delitti della stessa specie di quello per cui si procede, sì da rendere non più adeguata la custodia in carcere e ad imporne la sostituzione con la misura attenuata degli arresti domiciliari.
Cass. pen. n. 3072/1999
La contestazione di un nuovo addebito, nella specie relativo ad una ulteriore detenzione illegale di stupefacente, può giustificare l'applicazione dell'art. 299, comma 4, c.p.p., con riferimento all'aggravarsi delle esigenze cautelari che giustificano la sostituzione della misura cautelare applicata con altra più grave, trattandosi di fatti che, lungi dall'essere giudicati in sè, possono essere sintomatici di un più elevato grado di pericolosità anche con riferimento al primo procedimento.
Cass. pen. n. 3/1999
In tema di misure coercitive, ove il giudice non ritenga di accogliere, sulla base degli atti, la richiesta di revoca o di sostituzione della custodia cautelare in carcere basata sulla prospettazione di condizioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione o comunque tali da non consentire adeguate cure inframurarie, è tenuto a disporre gli accertamenti medici del caso, nominando un perito secondo quanto disposto dall'art. 299, comma 4 ter, c.p.p. (Nell'affermare detto principio la Corte ha altresì precisato che è comunque consentito al giudice di delibare sull'ammissibilità della richiesta, onde attivare la procedura decisoria, ma solo al fine di verificare che sia stata prospettata una situazione di salute della specie prevista dall'art. 275, comma 4, c.p.p., senza la possibilità di alcuna valutazione di merito, mentre gli è inibito respingere la domanda solo perché, in via preliminare, si prefiguri la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, non potendo tale apprezzamento che essere successivo all'accertamento peritale che offre il parametro di comparazione).
–
In tema di misure coercitive, poiché l'attivazione del procedimento di revoca o di sostituzione della custodia cautelare in carcere a causa di condizioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione, o comunque tali da non consentire adeguate cure inframurarie, postula solo che «risultino» al giudice sulla base della richiesta, ovvero della segnalazione del servizio sanitario penitenziario, o «in altro modo», le condizioni predette, non può essere posto a carico dell'interessato un onere di allegazione sanitaria a pena di inammissibilità della richiesta.
Cass. pen. n. 3628/1999
In materia di richiesta di revoca o di sostituzione della custodia cautelare in carcere, la attuale sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura prevista dagli artt. 273 e 274 c.p.p., in quanto correlata sia ai fatti sopravvenuti sia a quelli coevi all'ordinanza impositiva, può esser valutata tenendo conto anche del tempo trascorso dal commesso reato; tuttavia detto tempo può acquistare rilevanza solo se accompagnato da altri elementi che siano certamente sintomatici di un mutamento della complessiva situazione inerente lo
status libertatis del soggetto interessato.
Cass. pen. n. 3852/1999
In tema di revoca e sostituzione delle misure coercitive o interdittive, con riferimento all'accertamento sulle condizioni di salute dell'imputato (art. 299 comma quarto ter c.p.p.), la norma prevede l'obbligo della perizia con esclusivo riferimento al caso in cui venga dedotta l'esistenza di condizioni di salute incompatibili con la custodia cautelare in carcere. Resta, quindi, al di fuori della previsione normativa l'ipotesi degli arresti domiciliari, essendo sempre in facoltà dell'interessato di richiedere che gli arresti abbiano esecuzione presso una struttura pubblica di cura o di assistenza.
Cass. pen. n. 1962/1998
Poiché la disposizione di cui all'art. 299, comma 3 bis, c.p.p., che prevede l'obbligo del giudice di sentire il pubblico ministero qualora debba provvedere sulla revoca o sulla sostituzione di una misura cautelare, ha carattere generale ed è applicabile ad ogni ipotesi di perdita di efficacia della misura, integra la nullità prevista dall'art. 178, lett. b) c.p.p. l'omessa acquisizione del parere del pubblico ministero in relazione alla scarcerazione dell'imputato per decorrenza dei termini della custodia cautelare, e ciò ancorché si tratti di provvedimento dovuto in presenza di determinate condizioni.
Cass. pen. n. 2680/1998
Nell'esaminare la richiesta di sostituzione di una misura cautelare con una meno afflittiva, il giudice deve procedere a motivatamente valutare — in considerazione del periodo di applicazione della stessa, della personalità dell'interessato, delle modalità del fatto di reato addebitatogli, del contesto sociale in cui lo stesso è stato commesso, dell'eventuale pena irrogata (o irroganda) — se persista o non la sua specifica idoneità a salvaguardare, nel caso concreto, quelle esigenze cautelari che ne hanno determinato l'applicazione, confermando quella più grave nel caso di una sua attuale proporzionalità con detti parametri ovvero sostituendola con quella meno grave se sia venuto meno detto rapporto di proporzionalità.
Cass. pen. n. 2075/1998
In tema di revoca delle misure cautelari, poiché il c.d. giudicato cautelare ne fonda l'irrevocabilità allo stato delle acquisizioni, una nuova istanza non può essere proposta prima che esso si formi, e cioè che sia concluso l'itinerario di impugnazione del provvedimento applicativo, salvo che con essa si adducano elementi sopravvenuti, tra i quali non è il provvedimento di cassazione con rinvio dell'ordinanza del giudice del riesame, proprio perché esso non chiude la fase d'impugnazione.
Cass. pen. n. 886/1998
A fronte di una richiesta di revoca o di sostituzione delle misure cautelari, la seconda parte del comma 3 ter dell'art. 299 c.p.p., stabilisce l'obbligo del giudice di provvedere all'interrogatorio dell'imputato che ne abbia fatto richiesta, allorché l'istanza sia basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già considerati. Peraltro, pur contenendo il periodo esaminato riferimento testuale al solo imputato, la previsione in esso contenuta, per la sua indubbia valenza di norma di garanzia, deve ritenersi estesa, ai sensi dell'art. 61 c.p.p., anche all'indagato.
Corte cost. n. 89/1998
Non è fondata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 76 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 299, terzo comma, c.p.p., nella parte in cui limita il potere del giudice di provvedere d'ufficio nel corso delle indagini preliminari alla revoca o alla sostituzione delle misure cautelari quando assume l'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare, o quando è richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari o dell'assunzione di incidente probatorio.
Cass. pen. n. 5452/1998
In tema di misure cautelari l'art. 299, comma terzo bis, che stabilisce che il giudice prima di provvedere in ordine alla revoca o alla sostituzione delle misure coercitive deve sentire il P.M. costituisce norma di carattere generale, applicabile ad ogni ipotesi di perdita di efficacia di una misura cautelare per effetto di un fenomeno estintivo della privazione della libertà, conseguente sia a revoca per effetto di una nuova valutazione delle condizioni di applicabilità della misura, sia all'operatività di diritto di altre situazioni, sia alla caducazione della misura per scadenza del termine massimo di durata. Trattandosi di richiesta obbligatoria, la sua omissione, in quanto concernente la partecipazione del P.M. al procedimento, comporta la nullità ex art. 178 lett. b) c.p.p. (Nella specie non risultava dal verbale dell'udienza con rito abbreviato innanzi al Gip la richiesta di parere al P.M., pure presente in udienza).
Cass. pen. n. 4491/1998
Quando avverso ordinanza applicativa di misura cautelare sia stata proposta richiesta di riesame risultata inammissibile per tardività, non può neppure trovare accoglimento, in assenza di elementi nuovi, l'istanza di revoca di detta misura.
Cass. pen. n. 3843/1997
Il quarto comma dell'art. 172 c.p.p., secondo cui nel termine non si computa il giorno in cui ne è iniziata la decorrenza, è applicabile anche al termine di due giorni nel quale, ai sensi dell'art. 299, comma 3 bis, c.p.p., il pubblico ministero deve esprimere il proprio parere circa la richiesta di revoca o sostituzione delle misure coercitive o interdittive; il predetto art. 172, che costituisce disposizione di carattere generale, infatti, espressamente esclude - «salvo che la legge disponga altrimenti» - che possano configurarsi fattispecie derogatorie in via meramente interpretativa al di là dei casi esplicitamente contemplati dal dettato normativo. (In applicazione di detto principio la Corte ha escluso che all'indicato termine di due giorni possa applicarsi la disposizione derogatoria contenuta nell'art. 297 c.p.p. in tema di decorrenza degli effetti delle misure cautelari, fissata dalla legge al momento della notifica dell'ordinanza che le dispone ovvero da quello della cattura, dell'arresto o del fermo).
Cass. pen. n. 3900/1997
Qualora sia stata revocata dal giudice, prima della scadenza del termine fissato ai sensi dell'art. 292, secondo comma, lett. d), c.p.p. la misura cautelare disposta al fine di garantire l'acquisizione e la genuinità delle prove, il giudice dell'impugnazione ben può ripristinare la misura revocata senza che a ciò sia di ostacolo l'ormai intervenuto decorso di un complessivo lasso di tempo pari alla durata della misura inizialmente fissata, sempre che ritenga ancora sussistenti le predette esigenze cautelari e vi sia effettiva permanenza delle condizioni di applicabilità della cautela. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto legittima l'ordinanza del tribunale della libertà che, accogliendo l'appello del pubblico ministero, aveva ripristinato la misura cautelare adottata per la salvaguardia delle esigenze probatorie e quindi revocata prima della scadenza del termine, ordinandone l'applicazione per il residuo periodo originariamente fissato).
Cass. pen. n. 3917/1997
In tema di condizioni di salute dell'imputato sottoposto alla custodia cautelare in carcere, dal combinato disposto degli artt. 299, comma secondo, e 275, comma quarto, c.p.p., si ricava che le gravi condizioni di salute possono comportare o il divieto di custodia carceraria se esse siano incompatibili con lo stato di detenzione (sempre che non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza), ovvero, anche se compatibili, l'applicazione di una misura meno afflittiva, qualora tali condizioni siano tali da determinare una diminuzione della capacità a delinquere e un affievolimento delle esigenze cautelari.
Cass. pen. n. 5369/1997
Nella procedura attivata ai sensi dell'art. 299 c.p.p. ben può essere dedotta anche l'insussistenza originaria delle condizioni legittimanti della misura, con il solo limite rappresentato dalla formazione del cosiddetto giudicato cautelare.
Cass. pen. n. 2271/1997
In tema di proroga della custodia cautelare, la nozione di gravità delle esigenze cautelari non è affatto incompatibile con quella di attenuazione di queste ultime, poiché nel suo ambito è possibile un'oscillazione tra i due parametri della massima e della minore gravità: anche in quest'ultimo caso le esigenze cautelari mantengono il carattere suddetto, che tuttavia risulta attenuato e consente, ai sensi dell'art. 299 c.p.p., l'applicazione di una misura cautelare meno severa o comunque più proporzionata. Ne deriva che la sostituzione della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari non è incompatibile con la proroga della medesima, poiché la gravità delle esigenze, indicate nell'art. 274 c.p.p., può permanere pur in presenza di una sua attenuazione; la proroga, poi, è possibile anche con riferimento agli arresti domiciliari, atteso che questi ultimi sono annoverati nella categoria della custodia cautelare ai sensi dell'art. 284, comma cinque, c.p.p. (Nella specie la Suprema Corte ha osservato che sarebbe d'altronde illogico ritenere che la proroga sia possibile qualora gli arresti domiciliari siano stati applicati sin dall'inizio e non anche quando vi sia stata la citata sostituzione).
Cass. pen. n. 1751/1997
In tema di misure cautelari personali, una volta che sia scaduto il termine d'impugnazione dell'originario provvedimento o sia comunque esaurito il procedimento incidentale, gli effetti della decisione permangono nel procedimento principale fino al momento in cui si verifichi un mutamento della situazione processuale, sulla quale il giudice ha pronunciato, nel senso che tale decisione costituisce preclusione ad una nuova valutazione della situazione stessa, ammissibile soltanto per la sopravvenienza di fatti o risultanze nuove. Ne consegue che la richiesta di revoca di una misura coercitiva non può fondare sulla contestazione dell'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza che la supportano o delle esigenze cautelari che l'hanno imposto, avendo già gli uni e le altre formato oggetto di giudizio: ma deve indicare gli elementi di novità, pretermessi dal giudice o nel frattempo sopravvenute, che hanno fatto venir meno le condizioni, tra queste comprese la sussistenza di esigenze cautelari, per mantenere ferma la misura.
Cass. pen. n. 926/1997
In tema di revoca o sostituzione delle misure cautelari per ragioni di salute, il giudice deve tenere conto della situazione di incompatibilità con lo stato di detenzione dal punto di vista oggettivo. Perciò quando si sia determinata una condizione di grave decadimento psicofisico, è del tutto irrilevante il fatto che essa sia stata determinata dalla ripetizione di tentativi di suicidio a carattere dimostrativo o strumentale.
Cass. pen. n. 920/1997
In materia di richiesta di revoca della custodia cautelare in carcere, la «attuale sussistenza» delle condizioni di applicabilità della misura previste dagli artt. 273 e 274 c.p.p., in quanto correlata sia ai fatti sopravvenuti che a quelli coevi all'ordinanza impositiva, deve essere valutata tenendo conto anche del tempo trascorso dal commesso reato; detto tempo, tuttavia, può acquistare rilevanza solo se accompagnato da altri elementi che siano certamente sintomatici di un mutamento della complessiva situazione inerente lo status libertatis del soggetto interessato.
Cass. pen. n. 5596/1997
Il rigetto della richiesta di revoca di una misura — correlata al potere del giudice del procedimento principale di valutare, anche d'ufficio, la permanenza delle condizioni di applicabilità della misura o le esigenze cautelari — contro il quale non venga proposta impugnazione, non è atto a formare il cosiddetto giudicato cautelare. Ne consegue che non può essere dichiarata inammissibile la richiesta di riesame della medesima misura cautelare successivamente presentata ex art. 309 c.p.p.
Cass. pen. n. 3735/1996
In tema di aggravamento delle esigenze cautelari, l'art. 299 c.p.p., che dispone sulla revoca e sostituzione delle misure, e che al comma quarto prevede la richiesta del pubblico ministero per la sostituzione della misura applicata con una più grave ovvero per la applicazione con modalità più gravose, espressamente eccettua («Fermo quanto previsto dall'art. 276...) i provvedimenti che il giudice può adottare in caso di trasgressione delle prescrizioni.
Cass. pen. n. 5601/1996
La pronuncia di sentenza di appello che confermi la condanna di primo grado per un reato derubricato rispetto a quello contestato (nella specie lesioni aggravate in luogo di omicidio volontario) costituisce un fatto nuovo ai fini della valutazione dell'adeguatezza della misura cautelare e della persistenza delle esigenze di cautela, giacché si tratta di circostanza direttamente inerente allo sviluppo del processo e, come tale, astrattamente idonea a influire, congiuntamente all'elemento legato al decorso del tempo, sulla consistenza delle esigenze cautelari e a giustificare un nuovo esame non soggetto alla preclusione derivante da precedente decisione sulla libertà assunta prima della sentenza di secondo grado. (Fattispecie in tema di istanza di revoca degli arresti domiciliari, il cui esame era stato erroneamente ritenuto precluso dal giudice di merito per effetto del giudicato cautelare).
Cass. pen. n. 2824/1996
In caso di ordinanza applicativa di misura cautelare nei confronti di più soggetti, costituisce fatto nuovo sopravvenuto, del quale il giudice deve tenere conto ai fini della decisione sulla richiesta di revoca avanzata da taluno di costoro, ai sensi dell'art. 299, comma primo, c.p.p., quello consistente non nell'intervenuto annullamento con rinvio, da parte della Corte di cassazione, di quella stessa ordinanza nei confronti di altri, ma nella pronuncia successivamente adottata dal giudice di rinvio, con la quale, nei confronti di questi ultimi, la misura sia stata effettivamente revocata.
Cass. pen. n. 1242/1996
In sede di revoca della misura cautelare, è possibile, come vuole l'art. 299, comma primo e terzo ter, c.p.p., prendere in esame anche fatti o elementi già valutati purché il provvedimento che ha disposto la misura non sia stato impugnato e non siano intervenute le pronunce proprie del procedimento incidentale di impugnazione.
Cass. pen. n. 3592/1996
Qualora in grado di appello venga affermata, nei confronti di un soggetto sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, la sussistenza, esclusa nel primo giudizio, di uno dei reati per i quali l'art. 275, comma 3, c.p.p., impone la custodia cautelare in carcere, ai fini della decisione sullo status libertatis dell'imputato deve aversi riguardo non già al suddetto art. 275, poiché non si verte in tema di prima applicazione di una misura cautelare di coercizione personale, bensì all'art. 299, comma 4, c.p.p., che prevede la modifica peggiorativa della precedente misura in corso di applicazione quando risultino aggravate le esigenze cautelari. Ne consegue che la pura e semplice intervenuta condanna per uno dei reati predetti, non accompagnata da alcun elemento sintomatico dell'emergere di qualche evenienza negativamente influente sulle esigenze cautelari ex lettere b) e c) dell'art. 274 c.p.p., non può essere idonea a modificare il quadro giuridico-processuale esistente al momento della concessione degli arresti domiciliari e a fondare il ripristino della misura cautelare della custodia in carcere.
Cass. pen. n. 2641/1996
Il pubblico ministero che non convalida la decisione con la quale il tribunale del riesame abbia dichiarato la nullità del procedimento camerale, per mancato tempestivo avviso della data di udienza al difensore, confermando nel merito l'ordinanza impugnata, ha facoltà di ricorrere per cassazione avverso tale decisione, denunziandone l'erroneità, ma non può avanzare (e il Gip non può accogliere) richiesta di emissione di nuova misura coercitiva per lo stesso fatto, che equivarrebbe a un'implicita revoca della precedente, disposta fuori dei casi espressamente stabiliti dall'art. 299 c.p.p. e in violazione del principio di preclusione processuale derivante dalla decisione sulla richiesta di riesame.
Cass. pen. n. 2088/1996
Attesa l'ampia formulazione dell'art. 299, comma 4 ter, c.p.p., in base alla quale è attribuito al giudice «in ogni stato e grado del procedimento», il potere di disporre accertamenti sulle condizioni di salute dell'imputato, non è censurabile il provvedimento di un tribunale che, investito di appello proposto dal pubblico ministero avverso l'ordinanza sostitutiva della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, per ritenute ragioni di salute dell'imputato, disponga perizia medica onde accertare l'effettiva sussistenza e rilevanza di dette ragioni.
–
In tema di sostituzione e revoca di misure cautelari personali, attesa la previsione, contenuta nell'art. 299, comma 4 ter, c.p.p., che gli accertamenti eventualmente necessari siano disposti senza formalità, deve escludersi che dia luogo a nullità, in caso di accertamento disposto mediante conferimento di incarico peritale, la mancata osservanza delle formalità previste dall'art. 226 c.p.p.
Cass. pen. n. 1379/1996
Qualora il giudice, non ritenendo di accogliere in base agli atti la richiesta di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, fondata sull'incompatibilità delle condizioni di salute dell'indagato con lo stato di detenzione, disponga gli accertamenti medici del caso e nomini un perito ai sensi dell'art. 220 e seguenti c.p.p., devono essere rispettate tutte le formalità previste per la perizia, ivi compresi gli avvisi per l'accertamento peritale in modo da garantire il contraddittorio tra le parti.
Cass. pen. n. 1690/1996
Anche in relazione alle misure cautelari reali trova applicazione il principio, fissato dal comma 1 dell'art. 299 c.p.p. in tema di misure cautelari personali, secondo il quale il giudice, anche d'ufficio, deve disporre la sostituzione o la revoca delle misure medesime quando risultino mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni della loro applicabilità ovvero le esigenze di cautela. (Fattispecie in tema di sequestro preventivo).
Cass. pen. n. 961/1996
La decisione del giudice di appello avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di misura cautelare è vincolata, oltre che dall'effetto devolutivo proprio di questo tipo di impugnazione, anche dalla natura del provvedimento impugnato, del tutto autonomo rispetto a quello impositivo della misura stessa. Ne consegue che in tale sede il tribunale non è tenuto a riesaminare la questione della sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, (specialmente quando queste siano già state verificate con la procedura di cui all'art. 309 c.p.p.), bensì soltanto a controllare — salvo l'applicabilità dell'art. 299, comma 1, c.p.p. — che l'ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine ad eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro probatorio o a escludere la sussistenza di esigenze cautelari.
Cass. pen. n. 177/1996
Il disposto di cui all'art. 299, comma 4 ter, (terzo periodo) c.p.p., ispirato da quelle esigenze di garantismo che sono alla base della L. 8 agosto 1995, n. 332, pone il giudice, nel caso di richiesta di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, fondata sulle condizioni di salute previste dall'art. 275, comma 4, c.p.p. di fronte all'alternativa di accogliere l'istanza, se ciò è possibile sulla base degli atti, o disporre, come indispensabile preliminare della decisione, solleciti accertamenti medici, sempreché la richiesta stessa non debba essere respinta per esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Il giudice, invece, non può rigettare la richiesta sul rilievo dell'obbligatorietà degli accertamenti medici nel solo caso in cui vi siano dubbi circa la compatibilità delle condizioni di salute del soggetto, oggettivamente risultanti in atti, con la permanenza dello stato di detenzione in carcere e con la possibilità che al soggetto vengano prestate cure adeguate.
Cass. pen. n. 4416/1996
In tema di revoca e sostituzione delle misure cautelari coercitive, il provvedimento adottato ai sensi del comma 4 dell'art. 299 c.p.p., successivamente ad altro emesso ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, a quest'ultimo si sostituisce in tutto, quale autonomo titolo restrittivo della libertà personale dell'imputato, sicché l'impugnazione pendente avverso il provvedimento sostitutivo non trova più il suo oggetto, in quanto l'interesse delle parti (ad eliminare la situazione pregiudizievole), non può che riferirsi al provvedimento sostitutivo.
Cass. pen. n. 3716/1995
La circostanza che in sede di revoca di una misura cautelare personale, dovendosi considerare sia i fatti sopravvenuti che quelli originari e sussistenti al momento dell'adozione dell'ordinanza impositiva, sia possibile una valutazione diversa rispetto a quella prescelta all'atto dell'applicazione non significa che il giudice competente a pronunciarsi sull'istanza di revoca possa replicare a tempo indeterminato l'esame di quegli stessi elementi vagliati in precedenza ed in particolare al momento di cui sopra (con ciò sottraendo al giudice del riesame la sua naturale funzione e confondendo l'ambito della revoca con quello del riesame). All'uopo i fatti non sopravvenuti debbono essere individuati in quelli che, pur già storicamente avveratisi, non poterono essere esaminati (per qualsiasi motivo) dal giudice che emise l'ordinanza impugnata.
Cass. pen. n. 2204/1995
Può costituire fatto nuovo, che comporta la modifica del quadro di riferimento probatorio e legittima la revoca della custodia in carcere, dopo il rinvio a giudizio dell'indagato, il convincimento espresso dal giudice del dibattimento, all'esito dell'istruttoria svolta, sul difetto dei necessari riscontri alle dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia, da cui sono stati desunti gli indizi fondanti la misura custodiale. (Fattispecie relativa ad associazione per delinquere di stampo mafioso).
Cass. pen. n. 4468/1995
Il principio fissato dall'art. 299, comma 1, c.p.p., secondo cui, al fine di evitare ingiustificate compressioni della libertà personale, il giudice, ove richiestone, deve sempre verificare la persistenza delle condizioni legittimanti l'applicazione della misura cautelare non comporta che quel giudice, in sede di valutazione della richiesta revoca della misura stessa, possa modificare gli elementi componenti l'imputazione, ove la diversità di tali elementi non risulti evidente dalle carte processuali ed abbisogni, invece, di essere ricercata attraverso un'operazione di profonda rivalutazione delle acquisizioni probatorie già considerate dal giudice del riesame. (Nella specie, in applicazione di detto principio, la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito il quale, a fronte della dedotta diversità della data di commissione del reato rispetto a quella indicata dall'accusa, in funzione dell'invocata applicabilità di normativa previgente, aveva rilevato, respingendo la richiesta di revoca della misura cautelare, che detta diversità sarebbe potuta emergere solo da una rivalutazione degli elementi indizianti già valutati in sede di riesame).
Cass. pen. n. 4363/1995
Avuto riguardo, da un lato, al disposto di cui all'art. 609, comma 2, c.p.p. (in base al quale la cognizione della Corte di cassazione si estende alle questioni - s'intende di legittimità - non proponibili all'atto della presentazione del ricorso), dall'altro lato al principio stabilito dall'art. 299, comma 1, c.p.p., secondo il quale il giudice deve, in ogni stato e grado del procedimento, verificare la persistenza delle condizioni atte a legittimare la privazione della libertà personale, anche la Corte di cassazione, in presenza di una modifica legislativa che incida sulle condizioni anzidette in senso favorevole all'interessato, deve affrontare la questione, comunque venga sollecitata a farlo, e pur non potendo, dati i limiti del suo sindacato, compiere sul punto valutazioni inibitele dalla legge, ha nondimeno l'obbligo di devolvere la soluzione del problema al giudice competente, annullando in tutto od in parte il provvedimento sottoposto al suo esame. (Principio affermato in relazione a ricorso - peraltro rigettato per diverse ragioni - proposto avverso ordinanza applicativa di misura cautelare per reato compreso fra quelli di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p., prima della modifica di tale norma introdotta dall'art. 5 della L. 8 agosto 1995 n. 332, in forza della quale quel reato rimaneva escluso dall'ambito di operatività della norma stessa).
Cass. pen. n. 2798/1995
In tema di provvedimenti restrittivi nei confronti di tossicodipendenti, l'art. 89, comma 2, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 impone a colui che, essendo sottoposto a custodia cautelare, intenda sottoporsi ad un programma di recupero, di allegare all'istanza la «certificazione rilasciata da un servizio pubblico per le tossicodipendenze, attestante lo stato di tossicodipendenza, nonché la dichiarazione di disponibilità all'accoglimento rilasciata dalla struttura». (Fattispecie nella quale ai fini della revoca della custodia cautelare, è stata ritenuta inidonea ad attestare lo stato di tossicodipendenza la nota rilasciata dall'apposito servizio di una Usl, che si era limitato a registrare le dichiarazioni dell'interessato, senza compiere alcuna verifica e, in particolare, senza svolgere gli accertamenti clinici e di laboratorio specificamente demandatigli dall'art. 113, comma 1, lett. b del testo unico sugli stupefacenti).
Cass. pen. n. 1457/1995
Il giudice richiesto della revoca di una misura cautelare personale, rispetto alla quale sia già stata proposta istanza di riesame a suo tempo respinta, qualora escluda l'intervento di fatti nuovi atti a modificare l'originario quadro, non ha alcuno specifico onere di motivazione, né in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, né in ordine alle esigenze cautelari, quali in precedenza ritenuti.
Cass. pen. n. 2335/1995
In tema di istanza di revoca di misura cautelare personale, il giudice è tenuto a valutare anche la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza posti a base della stessa, anche d'ufficio, né la parte ha l'onere di indicare fatti sopraggiunti o nuovi. Solo nel caso che sia intervenuta una decisione in sede di impugnazione dell'ordinanza applicativa della misura cautelare, per effetto della preclusione processuale al riesame dei profili su cui già è pervenuta una decisione, il soggetto che propone l'istanza di revoca ha l'onere di indicare il fatto nuovo sopraggiunto ovvero originario, ma non oggetto già di decisione né esplicita né implicita, su cui fonda la richiesta di revoca.
Cass. pen. n. 3276/1995
Presupposto per l'emissione del provvedimento cautelare che sostituisce la misura cautelare o ne aggrava le modalità di esecuzione, ai sensi del comma quarto dell'art. 299 c.p.p., è la sopravvenienza di circostanze tali da far ritenere aggravate le esigenze di cui all'art. 274 dello stesso codice e costituite da elementi fattuali non presi in considerazione, perché non ancora verificatisi ovvero accertati o esaminati nelle precedenti decisioni inerenti alla libertà del soggetto interessato, in quanto, diversamente operandosi, verrebbero illegittimamente a rivalutarsi circostanze già esaminate in precedenza e coperte dalla preclusione processuale, caratterizzante tutto il procedimento
de libertate.
Cass. pen. n. 2911/1995
La sostituzione, disposta dal giudice delle indagini preliminari, della misura personale interdittiva della sospensione cautelare dall'ufficio con quella della custodia cautelare in carcere, ha la natura e gli effetti di primo provvedimento restrittivo della libertà personale, con la conseguenza che l'impugnazione proposta contro tale ordinanza, anche se viene indicata come appello ai sensi dell'art. 310 c.p.p., deve essere qualificata, a norma dell'art. 568, comma quinto, stesso codice, come richiesta di riesame, per la quale vale la disposizione dell'art. 309, comma nono, c.p.p., secondo la quale il tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all'imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati.
Cass. pen. n. 2829/1995
La revoca della misura cautelare coercitiva postula il mutamento, in senso favorevole all'indagato, del quadro indiziario tenuto presente al momento dell'adozione del provvedimento, sicché, in difetto di sopravvenute ragioni positive, il cui onere di allegazione incombe all'indagato, la relativa istanza è inaccoglibile. (Fattispecie in cui il ricorrente lamentava la mancata scarcerazione, sul rilievo che erano stati scarcerati tutti i coindagati per i medesimi delitti e la S.C. ha ritenuto non fondata la sua doglianza, affermando che in tal caso compito del giudice — quando non riconosca la novità o la decisività degli elementi addotti per la revoca — è solo quello di dare atto delle ragioni giustificatrici del mancato riconoscimento, e non già quello di rinnovare l'intera motivazione riflettente l'esame di tutto il complesso delle risultanze di fatto, a suo tempo già valutate in occasione di precedenti provvedimenti).
Cass. pen. n. 1635/1995
L'adozione, da parte del giudice, del provvedimento previsto dall'art. 299, comma quarto, c.p.p., in caso di aggravamento delle esigenze cautelari (sostituzione della misura applicata con un'altra più grave o imposizione di modalità più gravose nell'applicazione della misura in atto), non richiede la previa audizione della difesa.
Cass. pen. n. 553/1995
In presenza di un provvedimento applicativo della misura della custodia cautelare in carcere, disposta ma non ancora eseguita, il giudice competente è legittimato ad ordinarne la revoca quando l'indagato di uno dei reati previsti dall'art. 275, terzo comma, c.p.p. si trovi in condizioni di salute particolarmente gravi. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima la revoca della custodia cautelare in carcere di indagata nei confronti della quale, a seguito della pronuncia della cassazione che aveva rigettato il ricorso contro l'appello avverso l'ordinanza di diniego di revoca, doveva essere ripristinato lo
status custodiae).
Cass. pen. n. 57/1995
In tema di misure cautelari, il venir meno, ex tunc, per decadenza, delle disposizioni normative contenute nel D.L. 14 luglio 1994 n. 440, che da sole avevano imposto la modifica della misura cautelare applicata, ha come logica conseguenza il ripristino della stessa, salvo che nel frattempo le esigenze cautelari non abbiano subito modifiche quanto a gravità. Ne consegue che spetta al giudice, prima di ordinare il ripristino della misura coercitiva applicata, verificare il persistere delle esigenze cautelari secondo la loro iniziale gravità, essendo peraltro suo preciso compito, a norma dell'art. 299 comma terzo c.p.p., sostituire la stessa quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura applicata non appare più proporzionata all'entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere applicata.
Cass. pen. n. 548/1995
Allorché la modifica peggiorativa della misura cautelare sia conseguenza non di un mutamento della situazione di fatto ricadente nella disciplina dell'art. 299, comma quarto, c.p.p., ma di una modificazione legislativa derivante dalla mancata conversione di un decreto legge da cui scaturivano effetti di favore, diviene imperativo, secondo la regola
tempus regit actum, il vaglio della fattispecie alla stregua della ripristinata disciplina previgente. Né può essere utilmente richiamato il principio per il quale la nuova disciplina non si applica agli atti ed ai fatti compiuti sotto la vecchia disciplina, valendo esso solo se gli atti stessi hanno consumato sotto di essa tutti i loro effetti, mentre, se dagli atti suddetti sono derivati effetti giuridici e situazioni ancora pendenti alla data di entrata in vigore della nuova norma (costituita, nel caso di decadenza di un decreto legge, dall'anteriore disciplina, ripristinata
ab origine), è quest'ultima che deve essere applicata. (Fattispecie in tema di mancata conversione del decreto legge 14 luglio 1994, n. 440 che, per il reato addebitato contemplava la misura degli arresti domiciliari).
Cass. pen. n. 481/1995
In tema di misure cautelari personali, quando sia intervenuta una decisione di riesame sull'ordinanza applicativa della misura, chi propone l'istanza di revoca ha l'onere di indicare il fatto nuovo sopraggiunto ovvero originario, ma non oggetto già di decisione né esplicita né implicita, su cui fonda la richiesta di revoca. Ne consegue che l'istante non può dolersi se il giudice per le indagini preliminari si sia limitato a decidere soltanto sul fatto addotto nella richiesta di revoca.
Cass. pen. n. 431/1995
La facoltà del giudice di provvedere anche di ufficio alla revoca o alla sostituzione delle misure cautelari, di cui all'art. 299 c.p.p., riguarda solo il Gip ovvero il giudice competente per il giudizio, ma non compete al tribunale in sede di appello ex art. 310 c.p.p., il quale, in base ai principi operanti in questo tipo di impugnazione (principio devolutivo), può solo respingere il gravame ovvero accoglierlo.
Cass. pen. n. 69/1995
La revoca delle misure coercitive o interdittive di cui all'art. 299 c.p.p. trova il proprio presupposto nell'esigenza della perdurante legittimità della misura imposta, con conseguente costante ed aggiornato adeguamento dello status libertatis dell'indagato, o a seguito a «fatti... sopravvenuti» o ad eventuali modifiche della situazione processuale nonché dei presupposti o condizioni di legge, ovvero a fatti preesistenti e non conosciuti non valutati dal giudice, avendo riguardo sia ai fatti sopravvenuti, sia a quelli originari e coevi all'ordinanza impositiva. Sono invece da ritenere precluse le questioni dedotte nei procedimenti d'impugnazione, in forma sia esplicita che implicita. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che l'eventuale diversa valutazione, di impugnazioni proposte contro l'ordinanza cautelare non può essere affidato ad un potere di ripensamento affidato alla discrezionalità dell'organo, ma deve scaturire da ragioni di diritto che rendono non più giustificabile la misura imposta).
Cass. pen. n. 54/1995
Qualora in grado di appello venga affermata, nei confronti di un soggetto sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, la sussistenza, esclusa nel primo giudizio, di uno dei reati per i quali l'art. 275, comma 3, c.p.p., impone la custodia cautelare in carcere, ai fini della decisione sullo status libertatis dell'imputato deve aversi riguardo non già al suddetto art. 275, poiché non si verte in tema di prima applicazione di una misura cautelare di coercizione personale, bensì all'art. 299, comma 4, c.p.p., che prevede la modifica peggiorativa della precedente misura in corso quando risultino aggravate le esigenze cautelari; ne consegue che la pura e semplice intervenuta condanna per uno dei reati predetti, non accompagnata da alcun elemento sintomatico dell'emergere di qualche evenienza negativamente influente sulle esigenze cautelari, non può essere idonea a modificare il quadro giuridico-processuale esistente al momento della concessione degli arresti domiciliari ed a fondare il ripristino della custodia in carcere.
Cass. pen. n. 2087/1995
Nell'ipotesi di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, disposta in applicazione di un decreto legge poi convertito e, quindi, divenuto inefficace
ex tunc, il successivo ripristino della custodia cautelare in carcere, come conseguenza diretta della caducazione degli arresti domiciliari e non come nuova misura coercitiva, non richiede l'esito positivo di una nuova specifica verifica delle condizioni di applicabilità della misura stessa e non esige una motivazione dimostrativa della permanenza delle esigenze cautelari, essendo sufficiente la constatazione dell'inesistenza di estremi per l'applicazione del disposto dell'art. 299 c.p.p.
Cass. pen. n. 4184/1995
Il disposto di cui all'art. 299, comma 4, c.p.p., il quale riconnette la sostituzione di una misura cautelare in precedenza disposta con una più grave all'aggravamento delle esigenze cautelari, non trova applicazione per l'ipotesi in cui la misura della custodia cautelare in carcere venga applicata, su richiesta del P.M., in luogo di quella degli arresti domiciliari disposta ai sensi del D.L. 14 luglio 1994, n. 440, caducato per mancata conversione in legge: in tal caso la misura degli arresti domiciliari derivava dalla scelta di politica criminale contenuta in tale decreto e non era il risultato di una precedente situazione sussistente
ex ante; conseguentemente, venuto meno il limite normativo alle scelte cautelari del giudice, l'applicazione della più grave misura deve essere ispirata ai criteri valutativi di cui all'art. 275 c.p.p. e cioè all'adozione del provvedimento coercitivo adeguato alla natura ed al grado delle esigenze cautelari da soddisfare, con riferimento alla situazione esistente nel momento dell'applicazione.
Cass. pen. n. 4107/1995
Il tribunale, in sede di appello avverso un'ordinanza reiettiva di un'istanza di revoca della custodia cautelare in carcere, non può dare rilievo ad un eventuale aggravamento delle condizioni di salute dell'indagato (intervenuto tra la pronuncia del provvedimento impugnato e la proposizione dell'appello) evidenziabili in nuovo accertamento medico: ciò non solo sarebbe in contrasto con il principio dell'effetto devolutivo dell'appello, ma comporterebbe, per l'ipotesi di positivo riscontro del suddetto aggravamento in termini di incompatibilità con la permanenza in carcere, l'esercizio della facoltà sostanziale di revoca o sostituzione ex officio della misura cautelare che compete solo al Gip ovvero al giudice del giudizio.
Cass. pen. n. 4135/1995
In tema di revoca delle misure cautelari, l'art. 299, comma 3, c.p.p., va interpretato in stretta correlazione con il suo comma 1, che espressamente evoca le «condizioni previste dall'art. 273»; un precetto dal quale è possibile ricavare il grado di incidenza del sopravvenire di una modifica, in senso favorevole all'indagato, del quadro probatorio offerto dall'accusa, determinato dalla prospettazione di nuovi fatti capaci di contrastare il valore indiziante degli elementi considerati e valorizzati in sede di adozione della cautela.
Cass. pen. n. 19/1994
Allorché la misura cautelare della custodia in carcere sia stata sostituita con gli arresti domiciliari in forza di norma di legge sopravvenuta, al ripristino di essa, seguito alla caducazione di tale norma, non si applica il disposto dell'art. 299 comma quarto c.p.p., che impone al giudice di indicare le sopravvenute circostanze giustificatrici della sostituzione della meno gravosa misura degli arresti domiciliari con quella più gravosa della custodia in carcere.
Cass. pen. n. 3631/1994
Il conflitto (negativo) insorto tra il giudice delle indagini preliminari, che abbia già emesso il decreto che dispone il giudizio ma sia ancora nel possesso degli atti (per gli adempimenti successivi), e il giudice del dibattimento, che non abbia ancora ricevuto il relativo fascicolo, a riguardo della competenza a conoscere e decidere sull'istanza di revoca della misura di custodia cautelare detentiva avanzata dall'imputato, ammissibile in rito, trattandosi di «caso analogo», ex art. 28, comma 2, prima ipotesi del codice di rito penale, va risolto con l'attribuzione della competenza al giudice del dibattimento, il quale può richiedere all'ufficio del Gip la immediata trasmissione degli atti necessari per assumere la decisione e appare idoneo a soddisfare l'esigenza di portare le istanze difensive alla cognizione di un giudice diverso da quello che ha adottato il provvedimento sostanzialmente impugnato con l'istanza di revoca.
Cass. pen. n. 3629/1994
Il ricorso per cassazione, proposto a norma dell'art. 311 c.p.p., avverso l'ordinanza con la quale il tribunale (in sede di appello su provvedimenti concernenti la libertà personale) ha rigettato il gravame contro l'ordinanza di applicazione di misura cautelare peggiorativa (detenzione in carcere), a seguito di trasgressione alle prescrizioni imposte all'imputato-condannato in primo grado, ammesso a fruire dell'arresto a domicilio, non può essere sostenuto dalla prospettazione di ragioni inducenti alla revoca della misura, ancorché già dedotte in sede di appello, in quanto il procedimento incidentale di impugnazione straordinaria sulla persistenza delle ragioni di cautela va attivato con apposita istanza, ex art. 299 comma 3 detto codice, diretta al funzionalmente competente giudice «che procede».
Cass. pen. n. 3597/1994
Nel procedimento incidentale d'impugnazione straordinaria attivabile, mediante la richiesta di revoca di misura di cautela personale detentiva, a norma delle disposizioni di cui agli artt. 299, 310 e 311 del codice di procedura penale, la prospettazione di una circostanza di fatto sopravvenuta (condizione della revocabilità) comporta, per il giudice, l'obbligo, enunciato dall'art. 299, comma 1, di rivalutare nell'attualità tutto il coacervo di indizi (gravi) posto a fondamento del provvedimento impositivo, anche quando, di per sé, il nuovo elemento risulti di scarso rilievo.
Cass. pen. n. 3476/1994
Poiché, ai fini del rinvio a giudizio, pur nella attuale formulazione dell'art. 425 c.p.p., quale determinatasi a seguito della modifica introdotta dall'art. 1 della L. 8 aprile 1993, n. 105, non è richiesta la gravità degli indizi a carico, richiesta invece, ai fini della applicazione di misure cautelari personali, dall'art. 273, comma 1, c.p.p., ne deriva che è possibile, anche successivamente al rinvio a giudizio, in presenza di fatti nuovi, rimettere in discussione, ai sensi dell'art. 299, comma 1, c.p.p., la gravità del quadro indiziario a suo tempo posto a base della misura cautelare cui l'imputato è stato sottoposto.
Cass. pen. n. 2378/1994
Al fine di evitare duplicazione di giudizi, l'indagato ha l'onere di specificare le ragioni per le quali la misura cautelare deve essere revocata o modificata e di indicare la nuova situazione di fatto o di diritto che può giustificare la revoca o la modifica. (Nella specie è stata ritenuta insussistente tale condizione nel generico riferimento fatto alla mancata valutazione delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, senza l'indicazione della rilevanza di tale riferimento sulla persistenza delle condizioni che avevano legittimato il provvedimento coercitivo; sì che l'istanza di revoca si era venuta a tradurre in una non consentita sollecitazione alla rivalutazione dei medesimi elementi che, per essere già stati valutati nel precedente procedimento di riesame, erano coperti dall'efficacia preclusiva di natura endoprocessuale fondata sul principio del ne bis in idem di cui all'art. 649 c.p.p.).
Cass. pen. n. 11/1994
La richiesta di revoca di una misura cautelare, a differenza di quella di riesame dell'ordinanza applicativa della medesima misura, non ha natura di mezzo di impugnazione. Essa, inoltre, può essere avanzata in ogni fase del procedimento sulla base (come si evince dal testuale tenore dell'art. 299, comma 1, c.p.p.), non solo di fatti sopravvenuti, ma anche di fatti originari e coevi all'applicazione della misura, i quali dovranno quindi essere sottoposti ad una valutazione che potrà anche essere diversa da quella operata dal giudice che ha disposto la detta applicazione, sempre che essi persistano alla data della decisione da adottare sulla richiesta di revoca e non siano stati già dedotti, esplicitamente o implicitamente, a sostegno di precedenti impugnazioni su cui siano intervenute pronunce non più soggette a gravame.
–
La richiesta di revoca di una misura cautelare, ancorché basata sull'asserita sopravvenienza di fatti nuovi, non implica acquiescenza tacita in ordine all'originaria legittimità dell'ordinanza applicativa di detta misura e non impedisce, quindi, la proponibilità, entro i termini di legge, anche della richiesta di riesame avverso la summenzionata ordinanza; e ciò indipendentemente dall'esito che abbia avuto la prima di dette richieste.
Cass. pen. n. 1271/1994
Il giudice, per provvedere sull'istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare, deve sentire, a pena di nullità, il pubblico ministero al quale deve rivolgere direttamente formale ed esplicita richiesta cui non può surrogare quella della parte privata.
Cass. pen. n. 671/1994
Il procedimento in camera di consiglio di cui all'art. 127 c.p.p. con le connesse formalità di previo avviso alle parti non è espressamente previsto per la deliberazione di istanze di scarcerazione, essendo delimitato, appunto nella materia dei provvedimenti de libertate, al solo caso della richiesta di riesame dell'ordinanza di custodia cautelare; in ipotesi, di revoca o di sostituzione di misure coercitive già adottate, il giudice provvede sulle relative istanze con procedura de plano, sentito il pubblico ministero, e similmente deve provvedere in ogni altro caso di estinzione o di perdita di efficacia della custodia cautelare, non prevedendo la legge, come risulta dall'art. 306 dello stesso codice, l'adozione delle forme del procedimento camerale ex art. 127, riservato alle sole ipotesi espressamente indicate e non estensibile alle altre.
Cass. pen. n. 3944/1994
Presupposto della revoca di una misura cautelare personale è il venir meno, anche per fatti portati a conoscenza del giudice procedente successivamente all'adozione della misura, dei gravi indizi o delle esigenze cautelari, già ritenuti nel provvedimento applicativo della misura stessa e non rimossi attraverso l'esperimento del riesame. Il tema di lite nel giudizio di appello ed in quello successivo di legittimità concernente la revoca o il diniego di revoca di una misura cautelare, è dunque ristretto alla questione se siano o non siano venute meno le condizioni di applicabilità della misura o le esigenze cautelari. Ne consegue che al giudice investito dell'appello o del successivo ricorso è precluso, anche in forza del generalissimo principio
ne bis in idem, l'esame sulla sussistenza o sull'insussistenza dei gravi indizi e delle esigenze cautelari a suo tempo dedotti a supporto della misura, oggetto del giudizio di revoca.
Cass. pen. n. 4168/1993
Il giudice, qualora debba provvedere, anche di ufficio, in ordine alla revoca o alla sostituzione della misura coercitiva, ha l'obbligo di richiedere il parere del pubblico ministero. Trattandosi di richiesta obbligatoria, la sua omissione, in quanto concernente la partecipazione del P.M. al procedimento, comporta la nullità prevista dall'art. 178, lettera b), c.p.p. (In motivazione, la Suprema Corte ha chiarito che l'avviso spedito al P.M., con il quale gli si comunica la data dell'interrogatorio, non sostituisce la richiesta di parere in ordine alla modifica o revoca della misura cautelare, atteso che l'avviso assolve la funzione di assicurare la partecipazione — non obbligatoria — del P.M. all'udienza, mentre l'eventuale richiesta di parere è un atto che si pone cronologicamente in epoca successiva all'interrogatorio e che riguarda la partecipazione obbligatoria del P.M. al procedimento).
Cass. pen. n. 3115/1993
Ai fini della decisione sullo status libertatis dell'imputato il giudice del dibattimento può conoscere ed avvalersi degli atti contenuti nel fascicolo del P.M. (Fattispecie in cui il giudice del dibattimento aveva rigettato l'istanza di revoca o sostituizione della misura cautelare della custodia in carcere, avanzata dall'imputato).
Cass. pen. n. 1576/1993
In tema di sostituzione delle misure cautelari, l'art. 299, quarto comma, c.p.p. richiede che si sia verificato un mutamento della situazione di fatto immediatamente precedente, tale da aggravare le esigenze cautelari. Lo stato di salute dell'imputato e le sue variazioni, che rientrano nella personalità intesa come complesso biopsichico possono incidere sulle esigenze cautelari. Quando il miglioramento dello stato di salute ripristina la più ampia libertà comportamentale della persona, esso può anche determinare un aumento della pericolosità e quindi rientrare in quell'aggravamento delle esigenze cautelari di cui all'art. 299, quarto comma.
Cass. pen. n. 1721/1993
In tema di revoca della misura coercitiva della custodia cautelare il decorso del tempo può determinare il verificarsi di una modifica della situazione pregressa, non certo (salvo l'insorgere di nuovi elementi di fatto) con riferimento alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, ma in relazione alla attualità delle esigenze cautelari.
Cass. pen. n. 1204/1993
In tema di impugnazioni avverso provvedimenti in materia cautelare, l'appello previsto dall'art. 310 c.p.p., a differenza del riesame, ha conservato la fisionomia tradizionale del mezzo di gravame, per cui i motivi (che debbono essere indicati contestualmente a pena di inammissibilità), hanno la funzione di determinare e delimitare l'oggetto del giudizio, circoscrivendo quindi la cognizione del tribunale cosiddetto «della libertà» ai punti della decisione impugnata che hanno formato oggetto di censura, come, del resto, è dimostrato anche dal mancato richiamo, nel suddetto art. 310, del nono comma dell'art. 309. Pertanto, qualora un'ordinanza in materia di libertà personale, pronunciata ai sensi dell'art. 299 c.p.p., venga impugnata solo dal pubblico ministero, il giudice dell'appello non può emettere un provvedimento più favorevole all'interessato di quello adottato dal primo giudice. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte, su ricorso del pubblico ministero, ha annullato l'ordinanza con la quale il tribunale, investito di appello dal medesimo pubblico ministero avverso ordinanza del Gip che aveva sostituito nei confronti di un indagato la misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, oltre a respingere l'appello, aveva revocato anche il provvedimento applicativo degli arresti domiciliari, ritenendo che fossero del tutto venute meno le esigenze cautelari, e aveva disposto la immediata liberazione dell'indagato).*
Cass. pen. n. 1692/1993
Quando l'impugnazione investe l'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca della misura cautelare della custodia in carcere ed il provvedimento che in appello la ha confermata, oggetto di censura può essere soltanto la violazione, da parte del giudice di merito, del dovere di indicare i gravi indizi, sulla base dei quali la misura stessa viene confermata, i fatti, dai quali sono stati desunti, ed i motivi della loro rilevanza, sempre che il vizio, che si intende denunziare, risulti dalla stessa motivazione del provvedimento impugnato, esulando dalla cognizione della Cassazione la valutazione degli elementi indizianti, che rientra nella competenza del giudice di merito.
Cass. pen. n. 2296/1993
Sopravvenuti, all'ordinanza di revoca della misura cautelare, altri elementi indizianti, è legittima la rivalutazione degli elementi preesistenti, giacché i nuovi elementi restituiscono la pienezza di valutazione degli indizi, conformemente alla regola generale di cui all'art. 414 c.p.p. e al principio che il divieto del bis in idem è ristretto al caso della rivalutazione degli stessi elementi quando ne siano rimasti immutati il numero e la qualità.
Cass. pen. n. 1753/1993
L'affievolimento delle esigenze cautelari, ai sensi e per gli effetti dell'art. 299 c.p.p., non può prospettarsi quando l'imputazione concerne il delitto di cui all'art. 416 bis c.p. Esso è, infatti, in virtù dell'art. 275, terzo comma, c.p.p., uno dei reati per i quali, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, l'unica misura applicabile è la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Ad elementi siffatti non può ricondursi il «pentimento» del capo di un'organizzazione criminale, dal momento che esso non esclude il perdurare dell'associazione di stampo camorristico e, di conseguenza, delle esigenze cautelari relative agli altri affiliati.
Cass. pen. n. 931/1993
Allorché si proceda per uno dei reati indicati nel terzo comma dell'art. 275 c.p.p., è preclusa la sostituzione della custodia cautelare in carcere con altra misura meno grave: la permanenza delle esigenze cautelari, ancorché attenuate, purché continuino a sussistere i gravi indizi di colpevolezza, comporta il mantenimento dell'originaria più grave misura coercitiva. Per poter far cessare la custodia cautelare devono venire a mancare completamente le suddette esigenze, ma a tale ipotesi consegue la revoca della misura imposta, a norma del primo comma dell'art. 299 c.p.p. il quale, non prevedendo — per ovvi motivi — la riserva contenuta nel secondo comma in ordine ai reati contemplati nel terzo comma del citato art. 275, stabilisce che le misure coercitive (e interdittive) sono immediatamente revocate quando risultano «mancanti», anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dall'art. 273 c.p.p. o dalle disposizioni relative alle singole misure, ovvero le esigenze cautelari previste dall'art. 274 stesso codice.
Cass. pen. n. 1309/1993
Allorché l'appello riguarda un'ordinanza di rigetto di istanza di revoca ex art. 299 c.p.p., la decisione del tribunale è vincolata, oltre che all'effetto devolutivo, per cui la sua cognizione non può estendersi al di là dei limiti segnati dai motivi, anche dalla natura del provvedimento di rigetto della richiesta di revoca, che è del tutto autonomo rispetto all'ordinanza di applicazione della misura cautelare. Ne consegue che il tribunale della libertà non è tenuto a riesaminare la questione della sussistenza delle condizioni d'applicabilità della misura cautelare, ma solo a stabilire se l'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca della misura sia immune da violazioni di legge e incensurabile sotto il profilo della completezza e logicità della motivazione.
Cass. pen. n. 147/1993
Il provvedimento di revoca della misura cautelare adottato dal giudice dell'udienza preliminare non è affetto dalla nullità prevista dall'art. 178 lett. b) c.p.p., per violazione delle norme inerenti la partecipazione obbligatoria del pubblico ministero al procedimento, allorquando nel verbale dell'udienza preliminare manchi l'indicazione del parere del P.M. sull'istanza di revoca della misura cautelare ma comunque risulti che il P.M. è intervenuto all'udienza ed è stato, quindi, posto in grado di svolgere la sua funzione resistente.
Cass. pen. n. 996/1993
Quando l'appello al tribunale della libertà investe un ordinanza reiettiva di istanza di revoca della custodia cautelare in carcere, la decisione del detto tribunale è vincolata dall'effetto devolutivo dell'impugnazione che segna un limite oggettivo invalicabile. Da ciò discende che se l'indagato ha fondato la richiesta di revoca esclusivamente sulla cessazione delle esigenze cautelari e, correlativamente, il Gip decide sulla base di tale unico motivo, si stabilisce una litispendenza oggettiva delimitata tra il chiesto e il pronunciato, sotto il profilo della prospettazione esclusiva e della potestà coercitiva e decisionale del giudice che non può esorbitare da tali limiti. (Fattispecie di istanza di revoca della misura basata soltanto sulla cessazione delle misure cautelari e successivo appello, dichiarato inammissibile, basato sulla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza).
Cass. pen. n. 235/1993
Le condizioni processuali, espressamente previste dalla legge, che legittimano il giudice per le indagini preliminari alla emissione dei provvedimenti in materia di misure cautelari, nello stesso momento in cui il provvedimento viene emesso perdono di attualità e danno luogo ad un'altra e diversa fase processuale nella quale non è più rinvenibile un potere del giudice avente lo stesso contenuto di quello che consentì l'adozione di una precedente misura cautelare. Pertanto il giudice che ha disposto una misura, avendo esaurito il potere che gli veniva attribuito da uno specifico momento del processo, se torna a pronunciarsi, per qualsiasi finalità, sullo stesso oggetto già deciso, agisce al di fuori di qualsiasi schema processuale e dà vita ad un atto abnorme. (Sulla scorta del principio di cui in massima la Cassazione ha ritenuto illegittimo il provvedimento con il quale il Gip, dopo che con precedente ordinanza aveva disposto, a modifica della misura cautelare già applicata, che un'imputata dovesse rimanere agli arresti domiciliari in un reparto ospedaliero, aveva invece «chiarito» che la stessa restava in regime di custodia cautelare in carcere presso l'apposito reparto del medesimo ospedale).
Cass. pen. n. 14/1993
La revoca di una misura cautelare personale può avere luogo, ai sensi dell'art. 299 c.p.p. solo in conseguenza di quanto acquisito successivamente alla definitività del titolo custodiale e sostanzialmente o processualmente inficiante le condizioni in base alle quali era stato emesso quel determinato provvedimento.
Cass. pen. n. 4626/1993
La cognizione del giudice chiamato a decidere sull'appello proposto avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di una misura coercitiva, deve limitarsi a verificare la legittimità e la correttezza del giudizio che il giudice che procede ha espresso in ordine agli elementi in suo possesso e da lui utilizzati per concludere se sussistano o meno le condizioni di applicabilità della misura ex art. 273 c.p.p. Pertanto l'acquisizione da parte del giudice di appello di elementi che non siano stati oggetto della cognizione del giudice
a quo non può essere pretesa dall'appellante
Cass. pen. n. 456/1992
In materia di misure cautelari personali vige il principio della «domanda cautelare». Ciò, non soltanto quando debba procedersi all'adozione di una misura, ma pure quando vengano in considerazione le modalità esecutive della misura stessa perché le esigenze cautelari risultino aggravate. Con la conseguenza che è illegittima l'iniziativa officiosa del giudice per le indagini preliminari il quale, in mancanza di una richiesta del pubblico ministero, disponga modalità più gravose di applicazione della misura. (Nella specie, il giudice per le indagini preliminari aveva adottato, nei confronti della persona sottoposta alle indagini — scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare e sottoposto, a norma dell'art. 307 c.p.p., alle misure del divieto d'espatrio, dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e dell'obbligo di dimora — la prescrizione di non allontanarsi dalla propria abitazione in alcune ore del giorno).
Cass. pen. n. 353/1992
I provvedimenti relativi all'applicazione, alla revoca ed alla sostituzione delle misure cautelari devono essere adottati con ordinanza. Tuttavia, nel caso in cui siano adottati con sentenza, non vi è carenza di forma (che anzi risulta sovrabbondante), ma eventualmente può esservi un ritardo nella motivazione del provvedimento, ove il giudice non espliciti la motivazione nel dispositivo della sentenza, potendo questa essere motivata successivamente alla pronuncia del dispositivo. Per la parte relativa all'applicazione, revoca e sostituzione delle misure cautelari la sentenza deve essere qualificata ordinanza e, come tale, è suscettibile di impugnazione davanti al tribunale del riesame.
Cass. pen. n. 289/1992
Il giudice, investito della richiesta di revoca o di modifica di una misura cautelare, ai sensi dell'art. 299 c.p.p., non è tenuto, né facoltizzato, ad assumere prove, d'ufficio o su richiesta di parte, ma deve decidere necessariamente sulla base degli atti a sua disposizione.
Cass. pen. n. 2604/1990
Il termine di cinque giorni entro il quale il giudice deve provvedere sulla richiesta di revoca o di sostituzione della misura cautelare è ordinatorio e pertanto la sua inosservanza non determina nullità, né — nel silenzio della legge — può essere equiparata ad un'ipotesi di silenzio-accoglimento.