(massima n. 1)
Ai fini dell'emissione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, l'irrogazione di una pena detentiva di notevole entità non è, di per sé sola, sufficiente a integrare il concreto pericolo di fuga della persona che ne è destinataria, dal momento che il legislatore non ha configurato tale situazione come sintomatica di detta esigenza cautelare e che, normalmente, prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ogni imputato rimane in stato di libertà, prevedendo il vigente codice di rito la misura cautelare della custodia in carcere soltanto come l'ultima applicabile tra quelle meno gravose previste in marginali casi di specifica gravità. Ne consegue che l'esistenza di una condanna a pena di una certa rilevanza deve essere accompagnata da concreti elementi di fatto sintomatici dell'esistenza di un pericolo di fuga, non identificabili con circostanze ipotizzate in via meramente eventuale. (Fattispecie nella quale il giudice del merito aveva rigettato l'appello avverso il diniego di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, sul rilievo che l'entità della pena inflitta con la sentenza - 23 anni di reclusione - era idonea a determinare propositi di fuga, facendo così passare in secondo piano il tempo trascorso in stato di detenzione).