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Articolo 337 ter Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Provvedimenti riguardo ai figli

Dispositivo dell'art. 337 ter Codice Civile

(1)Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all'articolo 337 bis, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori, in particolare qualora raggiunti all'esito di un percorso di mediazione familiare. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare. All'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito e, nel caso di affidamento familiare, anche d'ufficio o su richiesta del pubblico ministero(2).

La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente. Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.

Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

  1. 1) le attuali esigenze del figlio.
  2. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
  3. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
  4. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
  5. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.

Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.

Note

(1) Articolo aggiunto dall'art. 55 del D. lgs. 28/12/2013 n. 154, il quale riporta, con modificazioni, il contenuto della versione previgente dell'art. 155.
(2) Comma riformulato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia"), come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, il quale ha disposto (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".

Spiegazione dell'art. 337 ter Codice Civile

Tale disposizione enuncia il principio ispiratore dell’intera disciplina in materia di rapporti tra genitori e figli nella crisi coniugale, ovvero il diritto del minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e di conservare altresì rapporti significativi con gli ascendenti e i parenti di ciascuno.
Il benessere spirituale e materiale del minore è l’obiettivo perseguito in via prioritaria dal legislatore, al fine di tutelare l’interesse del figlio, anche e soprattutto quando viene meno quell’unità e solidarietà familiare che avrebbe dovuto conservare il suo benessere.
In tale ottica, in seguito alla crisi del rapporto tra i genitori, la regola generale è quella dell’affidocondiviso” del minore ad entrambi i genitori. Questi devono assumere in pieno accordo tutte le scelte che concernono l’educazione del minore, nonostante quest’ultimo possa essere collocato prevalentemente presso uno dei due genitori, al fine di mantenere il suo equilibrio e i rapporti instaurati nell’ambiente educativo di riferimento. L’affidamento esclusivo ad un solo genitore, viceversa, costituisce l’eccezione alla regola, ed è attualmente un’ipotesi meramente residuale, applicabile solamente in caso di mancata rispondenza dell’affidamento condiviso all’interesse superiore del minore, e può essere disposto solamente con provvedimento motivato.
Secondo la giurisprudenza, peraltro, l’affido condiviso non può essere precluso, in linea di principio, dalla conflittualità tra i coniugi, poiché l’istituto finirebbe altrimenti per avere applicazione solo residuale, pregiudicando l’interesse del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori. La giurisprudenza più recente, peraltro, riconosce l’esistenza del diritto del minore di conservare stabili rapporti anche con il genitore non biologico ma “sociale”, in seguito alla separazione della coppia di fatto (Tribunale di Palermo 15/04/2015). Infatti, sostengono i giudici, quando il rapporto tra il minore ed il genitore sociale sia tale da fondare l’identità personale e familiare del bambino, questo rapporto deve essere salvaguardato alla pari di quello con il genitore biologico, pena la privazione di tutela per il minore il cui interesse, viceversa, va sempre perseguito nelle ipotesi di scioglimento della famiglia, compresa quella formata dal genitore biologico e dal partner con cui di fatto è stata condivisa la responsabilità genitoriale.
Per quanto attiene all’esercizio della responsabilità genitoriale, il terzo comma della disposizione in commento prevede che la stessa sia esercitata congiuntamente dai genitori per le decisioni di maggiore interesse (tra le quali rientrano, a titolo esemplificativo: la scelta della scuola, la scelta del genitore “collocatario”, il trasferimento di residenza della “madre collocataria”); mentre consente l’esercizio separato della stessa per le questioni di ordinaria amministrazione.
Per quanto riguarda, poi, il contributo da porre a carico dei genitori per il mantenimento dei figli, vige la regola in virtù della quale ciascuno dei due genitori deve adempiere ai propri obblighi in proporzione alle rispettive sostanze e secondo le proprie capacità di lavoro professionale e casalingo. Il comma 4, inoltre, stabilisce che, nel determinare l’assegno di mantenimento, il giudice debba considerare: le attuali esigenze dei figli, il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi e la valenza dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. Chiaramente, l’assegno di mantenimento comprende le voci di spesa qualificabili come “ordinarie”; le spese “straordinarie”, viceversa, devono essere corrisposte a parte, alla luce della loro imprevedibilità nell’an e nel quantum.
La "Riforma Cartabia" ha apportato modifiche parziali alla disposizione menzionata.
La modifica legislativa consiste principalmente nell'inserire la possibilità per il Pubblico Ministero di avviare l'esecuzione nel caso di affidamento familiare, e questa novità deve sicuramente essere accolta positivamente. È indiscutibile che, quando viene disposto un affidamento familiare, l'esecuzione non dovrebbe essere lasciata esclusivamente alle iniziative dei genitori. Pertanto, è stato opportuno, da parte del legislatore, affiancare al ruolo dei genitori anche quello del Pubblico Ministero.
La modifica legislativa rende evidente l'esclusione del coinvolgimento del giudice tutelare nella materia in questione, eliminando così la partecipazione di due figure (il Giudice del merito e il Giudice Tutelare). Questa modifica risolve il problema della delimitazione delle rispettive competenze e previene qualsiasi sovrapposizione o interferenza tra i loro interventi.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 337 ter Codice Civile

Cass. civ. n. 22616/2022

In tema di separazione personale dei coniugi, ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole e dei figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, occorre accertare il tenore di vita della famiglia durante la convivenza matrimoniale a prescindere dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali godute, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco, all'accertamento dei quali l'ordinamento prevede strumenti processuali ufficiosi, quali le indagini della polizia tributaria.

Cass. civ. n. 21425/2022

Il diritto alla bigenitorialità deve essere necessariamente declinato attraverso criteri e modalità concrete che siano dirette a realizzare in primis il miglior interesse del minore: il diritto del singolo genitore a realizzare e consolidare relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore presuppone il suo perseguimento nel miglior interesse di quest'ultimo, e assume carattere recessivo se ciò non sia garantito nella fattispecie concreta.

Il regime legale dell'affidamento condiviso, tutto orientato alla tutela dell'interesse morale e materiale della prole, deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio, e che tuttavia, nell'interesse di quest'ultimo, il giudice può individuare un assetto che si discosti da questo principio tendenziale, al fine di assicurare al minore la situazione più confacente al suo benessere ed alla sua crescita armoniosa e serena.

In tema di affidamento dei figli minori, la scelta dell'affidamento ad uno solo dei genitori, da effettuarsi in base all'interesse prevalente morale e materiale della prole, deve essere sostenuta non solo dalla verifica della idoneità o inidoneità genitoriale di entrambi i genitori, ma anche e, soprattutto, dalla considerazione delle ricadute che la decisione sull'affidamento avrà nei tempi brevi e medio lunghi, sulla vita dei figli. Ne consegue che non può essere disposto l'affidamento di due minori in via esclusiva ad uno dei genitori, sulla base di una generica valutazione d'idoneità fondata sulla sola base della buona qualità della rete familiare allargata di quest'ultimo collegata ad una valutazione di grave carenza genitoriale dell'altro, motivata esclusivamente sulla base della sua scelta, non concordata con il genitore non collocatario, di trasferirsi con i figli in un'altra città, senza valutare le ragioni di tale decisione né le conseguenze che avrebbe avuto sui figli l'improvviso allontanamento dalla figura genitoriale di primo riferimento, con la quale avevano sempre vissuto fino ad allora.

In tema di affidamento di minori, il criterio fondamentale, cui deve attenersi il giudice a mente dell'art. 337-ter c.c., è costituito dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, il quale, imponendo di privilegiare la soluzione che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore, richiede un giudizio prognostico circa la capacità del singolo genitore di crescere ed educare il figlio.

Cass. civ. n. 21054/2022

Il coniuge separato che intenda trasferire la sua residenza lontano da quella dell'altro coniuge, non perde - per ciò solo - l'idoneità ad avere in affidamento i figli minori o ad esserne collocatario, in quanto stabilimento e trasferimento della propria residenza e sede lavorativa costituiscono oggetto di libera e non coercibile opzione dell'individuo, espressione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Per modo che, ferma restando la libera scelta del genitore collocatario di trasferire la propria residenza in altro luogo unitamente ai minori, il giudice, ove non sia in discussione l'idoneità del medesimo genitore ad essere affidatario o collocatario dei figli, deve esclusivamente valutare se sia maggiormente funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario.

Cass. civ. n. 20264/2022

E' legittimo l'affidamento dei figli minori in via esclusiva alla madre allorquando il padre tenga una condotta diretta a sottrarre risorse al nucleo familiare e a fare pesare sui figli gli esiti dell'elevato conflitto con la moglie.

Cass. civ. n. 18862/2022

La prestazione di assistenza di tipo coniugale da parte del convivente more uxorio di uno dei coniugi può assumere rilievo soltanto ai fini della valutazione delle condizioni economiche del beneficiario, ma non può incidere sull'obbligo dell'altro coniuge di provvedere al mantenimento dei figli che, in base al disposto dello art. 147 c.c., grava esclusivamente su ciascuno dei genitori, indipendentemente dall'eventuale apporto di terzi legati ai genitori da rapporti parentali o affettivi, avente carattere necessariamente precario e comunque privo di tutela giuridica.

Cass. civ. n. 17824/2022

Nel quantificare l'ammontare dell'assegno di mantenimento in favore dei figli, in misura proporzionale al reddito, occorre considerare oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dello stesso goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti.

Cass. civ. n. 5777/2022

La tutela degli interessi morali e materiali della prole è sottratta all'iniziativa ed alla disponibilità delle parti, ed è sempre riconosciuto al giudice il potere di adottare d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli, e di esercitare, in deroga alle regole generali sull'onere della prova, i poteri istruttori officiosi necessari alla conoscenza della condizione economica e reddituale delle parti.

Cass. civ. n. 4790/2022

In tema di affidamento condiviso, la frequentazione, del tutto paritaria, tra genitore e figlio che si accompagna a tale regime, nella tutela dell'interesse morale e materiale del secondo, ha natura tendenziale ben potendo il giudice di merito individuare, nell'interesse del minore, senza che possa predicarsi alcuna lesione del diritto alla bigenitorialità, un assetto che se ne discosti, al fine di assicurare al minore stesso la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto non lesivo del diritto alla bigenitorialità il provvedimento della Corte d'Appello che, in sede di reclamo, aveva conservato l'affidamento condiviso delle figlie minori prevedendo, in luogo della precedente collocazione a settimane alterne presso i due genitori, la collocazione prevalente presso la madre e la previsione dei tempi di permanenza delle minori presso il padre).

Cass. civ. n. 1645/2022

L'affidamento condiviso ad entrambe i genitori dei figli minori costituisce il regime ordinario che è derogabile quando esso risulti pregiudizievole per l'interesse dei figli, alterando e ponendo in serio pericolo il loro equilibrio e sviluppo psico-fisico. L'eventuale pronuncia che statuisce in tal senso deve essere sorretta da una puntuale motivazione destinata a farsi carico non solo, del pregiudizio potenzialmente arrecato al figlio da un affidamento condiviso ma, anche, da un canto, ed in positivo, della idoneità del genitore affidatario esclusivo ai compiti di accudimento ed educazione, nella apprezzata sua capacità di assolvere al proprio ruolo anche per le modalità con cui lo ha svolto nel passato e, dall'altro, in negativo, della inidoneità ovvero manifesta carenza dell'altro genitore.

Cass. civ. n. 35710/2021

In tema di riparto delle spese straordinarie per i figli, il concorso dei genitori, separati o divorziati, o della cui responsabilità si discuta in procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, non deve essere necessariamente fissato in misura pari alla metà per ciascuno, secondo il principio generale vigente in materia di debito solidale, ma in misura proporzionale al reddito di ognuno di essi, tenendo conto delle risorse di entrambi e della valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti.

Cass. civ. n. 27558/2021

La pronuncia che accolga la domanda di disconoscimento di paternità, pur accertando "ab origine" l'inesistenza del rapporto di filiazione, non elide con effetto retroattivo le statuizioni precedentemente assunte in sede di separazione o di divorzio, munite di efficacia di giudicato "rebus sic stantibus", concernenti il mantenimento di colui che all'epoca risultava figlio, poiché gli effetti riflessi della decisione sullo "status" operano automaticamente solo dal passaggio in giudicato della sentenza di disconoscimento, momento a partire dal quale gli obblighi di mantenimento diventano configgenti con la realtà giuridica definitivamente acclarata e, quindi, privi di giustificazione.

Cass. civ. n. 24638/2021

I provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale adottati in via provvisoria nel corso dei giudizi ex art. 337 bis c.c. non possono essere impugnati con il ricorso straordinario per cassazione, trattandosi di provvedimenti privi dei caratteri della decisorietà, poiché sprovvisti di attitudine al giudicato "rebus sic stantibus", ed anche della definitività, in quanto non emessi a conclusione del procedimento, e perciò suscettibili di essere revocati, modificati o riformati dallo stesso giudice che li ha emessi anche in assenza di sopravvenienze. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso riguardante la statuizione assunta nel corso di un giudizio ex art. 337 bis c.c., con la quale, in attesa della relazione di aggiornamento dei servizi sociali, il tribunale aveva disposto, in via provvisoria, l'affidamento esclusivo della minore alla madre, sospendendo le frequentazioni del padre, autorizzato ad effettuare solo visite protette, e prescrivendo percorsi a sostegno della genitorialità).

Cass. civ. n. 21553/2021

In tema di soluzione dei contrasti in ordine a questioni di particolare importanza per il figlio insorte tra i genitori, l'articolo 316, commi 1 e 2, c.c., il quale prevede che ciascuno di essi può ricorrere al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei, trova applicazione solo nel contesto di un nucleo genitoriale che sia tuttora unito; diversamente, nel caso di contrasto insorto tra coniugi legalmente separati ed entrambi esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio, trova applicazione l'art. 337 ter, comma 3, c.c., e la decisione è rimessa al giudice.

Cass. civ. n. 16569/2021

Quando l'adozione del provvedimento di affidamento familiare del minore si renda necessaria nel corso del giudizio di separazione dei coniugi, ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c., la competenza appartiene al tribunale ordinario, che deve innanzitutto, a pena di nullità della pronuncia, procedere all'ascolto del minore che abbia compiuto gli anni dodici ed anche di età inferiore se capace di discernimento, salvo che ritenga di omettere tale incombente con adeguata motivazione, dovendo il giudice indicare altresì il periodo di presumibile estensione temporale dell'affidamento, i modi di esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario e le modalità attraverso cui i genitori e gli altri componenti del nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore.

Cass. civ. n. 13454/2021

Il diritto del minore alla bigenitorialità - alla cui realizzazione è tenuto il giudice del merito chiamato ad adottare i provvedimenti necessari in punto di affidamento e di modalità di frequentazione da parte del genitore non affidatario (art. 337-ter c.c., commi 1 e 2) - rappresenta il fine ultimo di ogni disciplina che, comunque ispirata al rispetto di una crescita equilibrata ed armonica del figlio, può comportare del principio la concreta non applicazione là dove nella formale sua attuazione, alle condizioni date, esso risulti di impedimento alla realizzazione dell'indicato equilibrio.

Cass. civ. n. 13217/2021

In tema di affidamento del figlio di età minore, qualora un genitore denunci i comportamenti dell'altro tesi all'allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), nella specie nella forma della sindrome della cd. "madre malevola" (MMS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova comprese le consulenze tecniche e le presunzioni, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena. (Nella specie la S.C. ha cassato la decisione della corte di merito, che aveva disposto l'affido c.d. "super-esclusivo" al padre, in considerazione della gravità dei comportamenti della madre, trascurando però di valorizzare il suo positivo rapporto con la minore e senza operare una più ampia valutazione circa la possibilità di intraprendere un percorso di effettivo recupero delle capacità genitoriali). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 16/12/2019).

Cass. civ. n. 19323/2020

Il regime legale dell'affidamento condiviso, tutto orientato alla tutela dell'interesse morale e materiale della prole, deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio, tuttavia nell'interesse di quest'ultimo il giudice può individuare un assetto che si discosti da questo principio tendenziale, al fine di assicurare al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena. (Rigetta, CORTE D'APPELLO GENOVA, 18/05/2018).

Cass. civ. n. 1562/2020

In tema di mantenimento della prole, devono intendersi spese "straordinarie" quelle che, per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità, esulano dall'ordinario regime di vita dei figli, cosicché la loro inclusione in via forfettaria nell'ammontare dell'assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dall'art. 155 c.c. e con quello dell'adeguatezza del mantenimento, nonché recare nocumento alla prole che potrebbe essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell'assegno "cumulativo", di cure necessarie o di altri indispensabili apporti. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO CATANIA, 11/10/2017).

Cass. civ. n. 28244/2019

In materia di affidamento dei figli minori, il giudice deve attenersi al criterio fondamentale rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo il pregiudizio derivante dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. L'individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio, che potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore. La questione dell'affidamento della prole è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata, esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 12012/2019

E' inammissibile la domanda, proposta dal genitore non affidatario obbligato al versamento di un contributo per il mantenimento del figlio minore, di sottrarre dalle somme dovute gli importi corrisposti, quali assegni familiari, direttamente al coniuge affidatario dal Parlamento europeo, datore di lavoro dell'onerato, qualora gli accordi tra i genitori o le statuizioni del giudice, nei processi di separazione personale e divorzio, non abbiano espressamente tenuto conto dell'ammontare di tali assegni familiari, perché trattasi di questione deducibile e non dedotta negli indicati giudizi. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 09/10/2014).

Cass. civ. n. 6535/2019

In tema di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, alla regola dell'affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti "pregiudizievole per l'interesse del minore", con la duplice conseguenza che l'eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell'altro genitore, e che l'affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi precluso dalla oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, potendo detta distanza incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore.

Cass. civ. n. 15240/2018

In tema di rimborso delle spese straordinarie sostenute nell'interesse dei figli minori, il genitore collocatario non è tenuto a concordare preventivamente e ad informare l'altro genitore di tutte le scelte dalle quali derivino tali spese, poiché l'art. 155, comma 3, c.c.(oggi art. 337-ter c.c.) consente a ciascuno dei coniugi di intervenire nelle determinazioni concernenti i figli soltanto in relazione "alle decisioni di maggiore interesse", mentre, al di fuori di tali casi, il genitore non collocatario è tenuto al rimborso delle spese straordinarie, salvo che non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso.

Cass. civ. n. 12954/2018

In tema di affidamento dei figli minori, il criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice nel fissare le relative modalità, in caso di conflitto genitoriale, è quello del superiore interesse della prole, stante il preminente diritto del minore ad una crescita sana ed equilibrata, sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l'adozione di provvedimenti – quali, nella specie, il divieto di condurre il minore agli incontri della confessione religiosa abbracciata dal genitore dopo la fine della convivenza – contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo.

Cass. civ. n. 11689/2018

Il carattere sostanzialmente alimentare dell'assegno di mantenimento a beneficio dei figli, in regime di separazione, comporta la non operatività della compensazione del suo importo con altri crediti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la compensazione tra credito per spese di lite e credito derivante dal mancato pagamento di ratei dell'assegno di mantenimento cumulativamente dovuto per l'ex moglie e le figlie).

Cass. civ. n. 4811/2018

A seguito della separazione personale dei coniugi, nel quantificare l'ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio ed del tenore di vita da lui goduto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte d'appello per non aver effettuato un'adeguata indagine circa le risorse patrimoniali e reddituali di ciascuno dei genitori, ed avere pure espressamente trascurato la maggiore capacità patrimoniale del padre, comunque accertata nel caso concreto).

Cass. civ. n. 27153/2017

Il procedimento ex art. 337 ter c.c. si instaura nel luogo di residenza abituale del minore, da identificarsi in quello in cui costui ha consolidato, consolida o potrà consolidare una rete di affetti e relazioni, tali da assicurare un armonico sviluppo psicofisico, sicché, nei casi di recente trasferimento, occorre una prognosi sulla probabilità che la nuova dimora diventi l'effettivo, stabile e duraturo centro di affetti e di interessi del minore e che il cambiamento della sede non rappresenti un mero espediente per sottrarlo alla vicinanza dell'altro genitore o alla disciplina generale sulla competenza territoriale. (Nella specie, la Corte ha escluso che la minore, di pochi mesi, avesse consolidato una rete di affetti nella città in cui aveva vissuto con la madre dalla nascita e ha dichiarato la competenza territoriale del tribunale della città in cui si trovava la nuova sede lavorativa della madre e dove quest’ultima aveva iscritto la figlia in un asilo, così dimostrando la chiara intenzione di un definitivo trasferimento suo e della minore).

Cass. civ. n. 25055/2017

In tema di separazione personale tra coniugi e di divorzio - ed anche con riferimento ai figli di genitori non coniugati - il criterio fondamentale cui devono ispirarsi i relativi provvedimenti è rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale dei figli (previsto in passato dall'art. 155 c.c. e ora dall'art. 337 ter c.c.) con la conseguenza che il giudice non è vincolato alle richieste avanzate ed agli accordi intercorsi tra le parti e può quindi pronunciarsi anche "ultra petitum".

Cass. civ. n. 977/2017

La regola dell'affidamento condiviso dei figli è derogabile solo ove la sua applicazione risulti «pregiudizievole per l'interesse del minore», il che si verifica nell’ipotesi in cui il genitore non collocatario si sia reso totalmente inadempiente al diritto di visita perché residente all’estero, essendo tale comportamento indicativo dell’inidoneità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l'affido condiviso comporta anche a carico del genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente.

Cass. civ. n. 25723/2016

Ove il coniuge separato, che abbia incontestabilmente tenuto con sé il figlio, azioni giudizialmente il diritto di regresso nei confronti dell’altro coniuge al fine di ottenere il rimborso della quota parte delle spese straordinarie sullo stesso gravanti, queste ultime, in assenza di un pregresso provvedimento giudiziale che abbia determinato la misura del concorso dei genitori al mantenimento, non vanno ripartite in ragione della metà, secondo il principio generale vigente in materia di debito solidale, ma tenendo conto del duplice criterio delle rispettive sostanze patrimoniali disponibili e della capacità di lavoro professionale o casalingo di ciascuno di essi dettato dall’art. 148 c.c. (nel testo applicabile “ratione temporis”).

Cass. civ. n. 18559/2016

In tema di affidamento dei figli minori, la grave conflittualità esistente tra i genitori e la commissione di reati da parte dell'uno nei confronti dell'altro costituiscono fatti dotati di rilevante influenza sul regime di affidamento più consono, in virtù della preminenza che riveste in tali procedimenti l'interesse del minore, da intendersi come riferito alle sue fondamentali ed imprescindibili esigenze di cura, educazione, istruzione e sana ed equilibrata crescita psicologica, e possono, pertanto, fondare la domanda di affidamento esclusivo.

Cass. civ. n. 14728/2016

In tema di affidamento dei minori, il criterio fondamentale, cui deve attenersi il giudice della separazione, è costituito dall'esclusivo interesse morale a materiale della prole, previsto in passato dall'art. 155 c.c. ed oggi dall'art. 337 quater c.c., il quale, imponendo di privilegiare la soluzione che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore, richiede un giudizio prognostico circa la capacità del singolo genitore di crescere ed educare il figlio, da esprimersi sulla base di elementi concreti attinenti alle modalità con cui ciascuno in passato ha svolto il proprio ruolo, con particolare riguardo alla capacità di relazione affettiva, nonché mediante l'apprezzamento della personalità del genitore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, ritenendo che la scelta spirituale di uno dei genitori di aderire ad una confessione religiosa diversa da quella cattolica, quella dei Testimoni di Geova, non potesse costituire ragione sufficiente a giustificare l'affidamento esclusivo dei minori all'altro genitore, in presenza di emergenze probatorie per le quali entrambi i coniugi risultano legati ai figli e capaci di accudirli nella quotidianità).

Cass. civ. n. 14175/2016

In materia di separazione personale dei coniugi, la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli dal nuovo partner, pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza sopravvenuta che può portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico.

Cass. civ. n. 16175/2015

Non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l'altro in ordine alla determinazione delle spese straordinarie (nella specie, spese di arredamento della cameretta, stage per l'apprendimento della lingua inglese), trattandosi di decisione "di maggiore interesse" per il figlio e sussistendo, pertanto, a carico del coniuge non affidatario, un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso. Ne consegue che, nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all'interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell'entità della spesa rispetto all'utilità e della sostenibilità della spesa stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori.

Cass. civ. n. 9633/2015

Il coniuge separato che intenda trasferire la residenza lontano da quella dell'altro coniuge non perde l'idoneità ad avere in affidamento i figli minori, sicché il giudice deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario.

Cass. civ. n. 6132/2015

Posto che la scelta della residenza del minore va adottata tenendo conto in via esclusiva del suo interesse, il giudice può confermare quella pur illegittimamente ed unilateralmente individuata da uno solo dei genitori, ma che comunque reputi in concreto corrispondente all'interesse del minore medesimo (nella specie, la Suprema corte ha confermato la pronuncia di merito che, pur affidando provvisoriamente il minore, nato fuori dal matrimonio dei genitori, al comune del luogo di residenza, aveva però rigettato la domanda del padre, di ritrasferimento del figlio a Milano da Roma, dove la madre, violando il regime di affido condiviso, lo aveva condotto unilateralmente, e senza la previa autorizzazione del giudice, avendo quel giudice accertato che il minore da un lato si era ormai radicato, da anni, nella capitale, dall'altro che egli non aveva un buon rapporto con il padre, sicché il richiesto ritrasferimento sarebbe stato per lui negativo).

Cass. civ. n. 18869/2014

Il coniuge separato o divorziato, già affidatario del figlio minorenne, è legittimato "iure proprio", anche dopo il compimento da parte del figlio della maggiore età, ove sia con lui convivente e non economicamente autosufficiente, ad ottenere dall'altro coniuge un contributo al mantenimento del figlio. Ne discende che ciascuna legittimazione è concorrente con l'altra, senza, tuttavia, che possa ravvisarsi un'ipotesi di solidarietà attiva, ai cui principi è possibile ricorrere solo in via analogica, trattandosi di diritti autonomi e non del medesimo diritto attribuito a più persone.

In tema di divorzio, il contributo al mantenimento dei figli minori, quantificato in una somma fissa mensile in favore del genitore affidatario, non costituisce, in mancanza di diverse disposizioni, il mero rimborso delle spese sostenute da quest'ultimo nel mese corrispondente, bensì la rata mensile di un assegno annuale determinato, tenendo conto di ogni altra circostanza emergente dal contesto, in funzione delle esigenze della prole rapportate all'anno. Ne consegue che il genitore non affidatario non può ritenersi sollevato dall'obbligo di corresponsione dell'assegno per il tempo in cui i figli, in relazione alle modalità di visita disposte dal giudice, si trovino presso di lui ed egli provveda in modo esclusivo al loro mantenimento.

Cass. civ. n. 11412/2014

In tema di separazione personale tra coniugi, il giudice della separazione è competente, anche "ultra petitum", ad assumere i provvedimenti relativi alla prole, con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva disposto l'affidamento del minore al servizio sociale, in ragione della consumata violazione del suo diritto alla bigenitorialità e della conflittualità in atto tra i genitori).

Cass. civ. n. 20139/2013

In tema di separazione personale dei coniugi, il giudice può legittimamente imporre a carico di un genitore, quale modalità di adempimento dell'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli, il pagamento delle rate del mutuo contratto per l'acquisto della casa familiare, trattandosi di voce di spesa sufficientemente determinata e strumentale alla soddisfazione delle esigenze in vista delle quali detto obbligo è disposto.

Cass. civ. n. 18538/2013

La determinazione del contributo che per legge grava su ciascun coniuge per il mantenimento, l'educazione e l'istruzione della prole, a differenza di quanto avviene nella determinazione dell'assegno spettante al coniuge separato o divorziato, non si fonda su di una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun coniuge. Pertanto, le maggiori potenzialità economiche del genitore affidatario concorrono a garantire al minore un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non comportano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell'altro genitore.

Cass. civ. n. 18131/2013

La regola dell'affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, prevista dall'art. 155 c.c. con riferimento alla separazione personale dei coniugi, non esclude che il minore sia collocato presso uno dei genitori (nella specie, la madre) e che sia stabilito uno specifico regime di visita con l'altro genitore.

Cass. civ. n. 17089/2013

Il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, stabilito dall'art. 147 c.c., obbliga i coniugi a far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione - fino a quando la loro età lo richieda - di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione. Tale principio trova conferma nel nuovo testo dell'art. 155 c.c., come sostituito dall'art. 1 legge 8 febbraio 2006, n. 54, il quale, nell'imporre a ciascuno dei coniugi l'obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell'assegno, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti.

La condotta antidoverosa del coniuge, cui va riferito l'addebito della separazione, non contrasta in alcun modo con la collocazione del minore presso lo stesso, tenuto conto che la violazione dei doveri del matrimonio (nella specie, per condotte aggressive, irrispettose ed infedeli della moglie verso il marito) può non tradursi anche in un pregiudizio per l'interesse del minore, non nuocendo al suo corretto sviluppo psico-fisico, né compromettendo il suo rapporto con il genitore.

Cass. civ. n. 601/2013

In tema di affidamento del figlio naturale, è generico, e quindi inammissibile, il motivo di ricorso per cassazione che, denunciando violazione degli artt. 342 c.p.c. e 155 bis c.c., censuri la statuizione di inammissibilità di un motivo di appello laddove, alla base della doglianza volta a censurare la decisione circa l'affidamento, non siano poste certezze scientifiche, dati di esperienza o l'indicazione di specifiche ripercussioni negative sul piano educativo e della crescita del minore, derivanti dall'inserimento del medesimo in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale, atteso che l'asserita dannosità di tale inserimento va dimostrata in concreto e non può essere fondata sul mero pregiudizio.

Cass. civ. n. 9372/2012

In tema di mantenimento della prole, devono intendersi spese "straordinarie" quelle che, per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall'ordinario regime di vita dei figli, cosicché la loro inclusione in via forfettaria nell'ammontare dell'assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dall'art. 155 c.c. e con quello dell'adeguatezza del mantenimento, nonché recare grave nocumento alla prole, che potrebbe essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell'assegno "cumulativo", di cure necessarie o di altri indispensabili apporti; pertanto, pur non trovando la distribuzione delle spese straordinarie una disciplina specifica nelle norme inerenti alla fissazione dell'assegno periodico, deve ritenersi che la soluzione di stabilire in via forfettaria ed aprioristica ciò che è imponderabile e imprevedibile, oltre ad apparire in contrasto con il principio logico secondo cui soltanto ciò che è determinabile può essere preventivamente quantificato, introduce, nell'individuazione del contributo in favore della prole, una sorta di alea incompatibile con i principi che regolano la materia.

Cass. civ. n. 2/2012

In tema di mantenimento della prole, devono intendersi spese "straordinarie" quelle che, per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall'ordinario regime di vita dei figli, cosicché la loro inclusione in via forfettaria nell'ammontare dell'assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dall'art. 155 c.c. e con quello dell'adeguatezza del mantenimento, nonché recare grave nocumento alla prole, che potrebbe essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell'assegno "cumulativo", di cure necessarie o di altri indispensabili apporti; pertanto, pur non trovando la distribuzione delle spese straordinarie una disciplina specifica nelle norme inerenti alla fissazione dell'assegno periodico, deve ritenersi che la soluzione di stabilire in via forfettaria ed aprioristica ciò che è imponderabile e imprevedibile, oltre ad apparire in contrasto con il principio logico secondo cui soltanto ciò che è determinabile può essere preventivamente quantificato, introduce, nell'individuazione del contributo in favore della prole, una sorta di alea incompatibile con i principi che regolano la materia.

Cass. civ. n. 5108/2012

In tema di separazione personale, la mera conflittualità tra i coniugi, che spesso connota i procedimenti separatizi, non preclude il ricorso al regime preferenziale dell'affidamento condiviso solo se si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, mentre assume connotati ostativi alla relativa applicazione, ove si esprima in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l'equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli, e, dunque, tali da pregiudicare il loro interesse.

Cass. civ. n. 17191/2011

L'art. 1, comma primo, della legge 8 febbraio 2006, n. 54, che ha novellato l'art. 155 c.c., nel prevedere il diritto dei minori, figli di coniugi separati, di conservare rapporti significativi con gli ascendenti (ed i parenti di ciascun ramo genitoriale), non attribuisce ad essi un autonomo diritto di visita, ma affida al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell'articolazione di provvedimenti da adottare in tema di affidamento, nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto non censurabile la motivazione della corte territoriale che, provvedendo alla concreta regolazione di tale questione nella suddetta prospettiva, ha ritenuto idonea a realizzare, nella specie, l'interesse della minore la possibilità per la medesima di vedere i nonni paterni in occasione delle visite al padre, anche tenuto conto della attiguità delle rispettive abitazioni).

Cass. civ. n. 2182/2009

In tema di separazione personale dei coniugi, poiché l'art. 155 cod. civ., nel testo in vigore prima della modifica apportata con la legge n. 54 del 2006, consente al coniuge non affidatario di intervenire nell'interesse dei figli soltanto con riguardo alle "decisioni di maggiore interesse", non è configurabile a carico del coniuge affidatario alcun obbligo di previa concertazione con l'altro coniuge sulla determinazione delle spese straordinarie, nei limiti in cui esse non implichino decisioni di maggior interesse per i figli; tuttavia, tale principio non è inderogabile, essendo sempre possibile che il giudice, ai sensi del secondo e del terzo comma della norma citata, determini, oltre che la misura, anche i modi con i quali il coniuge non affidatario contribuisce al mantenimento dei figli, in modo difforme da quanto previsto in linea di principio dalla legge.

Cass. civ. n. 18187/2006

L'affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori - previsto dall'art. 6 della legge sul divorzio (1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 11 della L. 6 marzo 1987, n. 74), analogicamente applicabile anche alla separazione personale dei coniugi - è istituto che, in quanto fondato sull'esclusivo interesse del minore, non fa venir meno l'obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l'istituto stesso implichi, come conseguenza "automatica", che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze. (Nell'enunciare il principio in massima, la S.C. ha rilevato come esso trovi conferma nelle nuove previsioni della L. 8 febbraio 2006, n. 54, in tema di affidamento condiviso, peraltro successiva alla sentenza impugnata).

Cass. civ. n. 14840/2006

In materia di affidamento dei figli minori, il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale - posto, per la separazione, nell'art. 155, primo comma, c.c. e, per il divorzio, dall'art. 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo - i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. L'individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, giudizio che, ancorandosi ad elementi concreti, potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore. La questione dell'affidamento della prole è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale deve avere come parametro di riferimento l'interesse del minore e, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata, esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità. (Nella specie, la Corte ha tassato con rinvio, la sentenza d'appello, la quale aveva ritenuto di dover affidare la figlia minore alla madre facendo leva, soprattutto, sul fatto che «il cristiano - e il marito e la moglie con la scelta del matrimonio religioso avevano esplicitato alla società di esserlo - conosceva le ultime parole del Cristo e sapeva che non era dato al cristiano togliere la madre al figlio né il figlio alla madre», laddove la sentenza di primo grado - ancorata alle risultanze di una consulenza tecnica collegiale - aveva disposto l'affidamento alla zia paterna ed al di lei coniuge e l'allontanamento dalla madre, la quale - mossa esclusivamente dal desiderio di soddisfare il suo istinto distruttivo della figura paterna-maschile- aveva determinato l'esaurimento di tutti i meccanismi difensivi fisiologici della bambina, con il rischio di scivolamento dallo stato premorboso ad uno stato psicotico di difficile o impossibile remissione).

Cass. civ. n. 10119/2006

In materia di assegno di mantenimento per il figlio, poiché si verte in tema di conservazione del contenuto reale del credito fatto valere con la domanda originaria, deve ammettersi la possibilità, per il genitore istante, di chiedere un adeguamento del relativo ammontare, alla stregua della svalutazione monetaria o del sopravvento di altre circostanze, verificatesi nelle more del giudizio, in particolare relative alle mutate condizioni economiche dell'obbligato ovvero alle accresciute esigenze del figlio. Ne deriva che la proposizione, in primo grado o in appello, di simili istanze o eccezioni non ricade sotto il divieto di ius novorum né con riguardo al giudizio di primo grado (art. 183, quarto comma, c.p.c.), né con riguardo al giudizio di appello (art. 345, primo comma, c.p.c.).

Cass. civ. n. 4203/2006

Il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, secondo il precetto di cui all'art. 147 c.c., impone ai genitori, anche in caso di separazione, di far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, certamente non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma inevitabilmente estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, alla assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione – fin quando la loro età lo richieda – di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, sempre che su tale obbligo incida la eventuale prestazione di assistenza di tipo coniugale da parte del convivente more uxorio del coniuge affidatario, la quale può assumere rilievo solo per escluderne oppure ridurne lo stato di bisogno, e, quindi, al fine di valutare la esistenza e la consistenza del diritto all'assegno di mantenimento. Ne consegue che la circostanza che il coniuge affidatario utilizzi quale abitazione un appartamento condotto in locazione dal proprio convivente non assume rilievo al fine di ridurre la portata dell'obbligo di contribuire al mantenimento del figlio minore posto a carico del coniuge non affidatario, il quale non può giovarsi di eventuali condizioni di favore esistenti fra il coniuge affidatario ed il convivente (o terzi), tenuto anche conto della precarietà di tale eventuale rapporto favorevole, privo, com'è, di tutela giuridica.

Cass. civ. n. 3747/2006

In tema di separazione personale tra coniugi, l'obbligo di mantenimento dei figli minori (ovvero maggiorenni non autosufficienti) può essere legittimamente adempiuto dai genitori mediante un accordo che, in sede di separazione personale o di divorzio, attribuisca direttamente – o impegni il promittente ad attribuire – la proprietà di beni mobili o immobili ai figli, senza che tale accordo (formalmente rientrante nelle previsioni, rispettivamente, degli artt. 155, 158, 711 c.c. e 4 e 6 della legge n. 898 del 1970, e sostanzialmente costituente applicazione della regula iuris di cui all'art. 1322 c.c., attesa la indiscutibile meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti) integri gli estremi della liberalità donativa, ma assolvendo esso, di converso, ad una funzione solutorio-compensativa dell'obbligo di mantenimento. Esso, comporta l'immediata e definitiva acquisizione al patrimonio dei figli della proprietà dei beni che i genitori abbiano loro attribuito o si siano impegnati ad attribuire, di talché, in questa seconda ipotesi, il correlativo obbligo, suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., è senz'altro trasmissibile agli eredi del promittente, trovando titolo non già nella prestazione di mantenimento – che, nei limiti costituiti dal valore dei beni attribuiti o da attribuire, risulta ormai convenzionalmente liquidata in via definitiva, – ma nell'accordo che l'ha estinta.

Cass. civ. n. 10197/2005

In sede di separazione personale tra coniugi, al fine di determinare l'ammontare dell'assegno di mantenimento dovuto per i figli nati in costanza di matrimonio, il giudice non può trascurare di considerare, nel valutare la capacità patrimoniale del genitore, anche gli obblighi di natura economica che incombono per legge sul medesimo genitore per il mantenimento di altro figlio, nato fuori dal matrimonio.

Cass. civ. n. 2088/2005

L'obbligo di mantenimento nei confronti della prole può essere adempiuto con l'attribuzione definitiva di beni, o con l'impegno ad effettuare detta attribuzione, piuttosto che attraverso una prestazione patrimoniale periodica, sulla base di accordi costituenti espressione di autonomia contrattuale, con i quali vengono, peraltro, regolate solo le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta. Ne consegue che la pattuizione conclusa in sede di separazione personale dei coniugi non esime il giudice chiamato a pronunciare nel giudizio di divorzio dal verificare se essa abbia avuto ad oggetto la sola pretesa azionata nella causa di separazione ovvero se sia stata conclusa a tacitazione di ogni pretesa successiva, e, in tale seconda ipotesi, dall'accertare se, nella sua concreta attuazione, essa abbia lasciato anche solo in parte inadempiuto l'obbligo di mantenimento nei confronti della prole, in caso affermativo emettendo i provvedimenti idonei ad assicurare detto mantenimento.

Cass. civ. n. 6074/2004

In sede di separazione personale dei coniugi, ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento a favore del figlio minore, è legittimo tenere conto delle esigenze economiche che l'affidamento comporta per il coniuge affidatario, e in particolare anche della voce di spesa costituita dall'importo del canone necessario per la locazione della casa di abitazione. Nè assume rilievo il fatto che il coniuge affidatario utilizzi a tal fine un appartamento di proprietà del proprio fratello, non potendo il coniuge tenuto a versare l'assegno di mantenimento giovarsi di eventuali condizioni di favore esistenti fra il coniuge affidatario ed il fratello di quest'ultimo, anche tenuto conto della precarietà di tale eventuale rapporto favorevole, privo, com'è, di tutela giuridica.

Cass. civ. n. 270/2004

Nel giudizio di separazione e divorzio, i provvedimenti necessari alla tutela degli interessi morali e materiali della prole, tra i quali rientrano anche quelli di attribuzione e determinazione di un assegno di mantenimento a carico del genitore non affidatario, possono essere adottati d'ufficio, essendo rivolti a soddisfare esigenze e finalità pubblicistiche sottratte all'iniziativa e alla disponibilità delle parti.

Cass. civ. n. 586/2003

Il decreto con cui il tribunale dichiara la propria incompetenza territoriale sulla domanda di modifica delle condizioni della separazione personale dei coniugi con riguardo alle modalità di affidamento del figlio minore, non è impugnabile con il regolamento di competenza (come non è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. ), non avendo al pari del provvedimento di merito da adottarsi su tale domanda carattere decisorio, neanche in ordine alla negazione della competenza, atteso che la negazione o l'affermazione di questa (come pure della giurisdizione ) è preliminare o strumentale alla decisione di merito e non ha una sua natura specifica, diversa da quest'ultima, tale da giustificare un diverso regime di impugnazione, né “fa giudicato” sulla competenza se non all'interno di quello specifico procedimento che termina con il decreto camerale.

Cass. civ. n. 13065/2002

In ipotesi di separazione personale dei coniugi, la esclusione della possibilità per il coniuge affidatario di figli minori di fruizione della casa familiare legittima l'incremento della misura dell'assegno di mantenimento.

Cass. civ. n. 9484/2002

Avverso i provvedimenti emanati dalla corte d'appello in sede di reclamo, concernenti la modifica della statuizione riguardante il contributo per il mantenimento dei figli, è inammissibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, trattandosi di provvedimenti che in quanto modificabili in ogni momento, ai sensi dell'art. 155, ult. comma, c.c., anche indipendentemente dal sopravvenire di circostanze nuove, e perciò insuscettibili di passare in giudicato sono privi del carattere della decisorietà e definitività.

Cass. civ. n. 299/2002

In tema di "diritto di visita" dei minori (che riceve riconoscimento sia dall'art. 30, comma primo, Cost., sia dall'art. 147 c.c.), la Convenzione dell'Aja e la legge n. 64 del 1994 sono applicabili non solo nei casi in cui manchi un provvedimento statale regolatore del diritto stesso, ma anche nei casi in cui si invochi la tutela dell'esercizio effettivo di un diritto già riconosciuto e disciplinato dal giudice competente, al fine di rimuovere gli ostacoli frapposti dal genitore affidatario alla sua attuazione. Tale ultimo accertamento compete al giudice di merito, con apprezzamento in fatto che, se congruamente e logicamente motivato, non è suscettibile di censura da parte del giudice di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto correttamente motivato il giudizio di merito secondo cui la remissione al padre affidatario della regolamentazione degli incontri delle figlie minori con la madre residente in altro Stato non integrava una sostanziale denegazione del diritto di visita, né valeva di per sé a determinare un effettivo ostacolo al suo esercizio).

Cass. civ. n. 13872/2001

Con l'opposizione al precetto relativo a crediti maturati per il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento, determinato a favore del figlio in sede di separazione, possono proporsi soltanto questioni relative alla validità ed efficacia del titolo, mentre non possono dedursi fatti sopravvenuti da farsi valere col procedimento di modifica delle condizioni della separazione di cui all'art. 710 c.p.c.

Cass. civ. n. 12136/2001

L'art. 6, undicesimo comma, della legge n. 898 del 1970 (come sostituito dall'art. 11 della legge n. 74 del 1987) - il quale prevede che il giudice dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, nel fissare la misura dell'assegno di mantenimento relativo ai figli, determina anche un criterio di adeguamento automatico dello stesso, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria - è applicabile, in via analogica, anche all'assegno previsto dall'art. 155 c.c. in favore dei figli di coniugi separati. (Sulla base del principio di cui in massima, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza del giudice del merito, la quale aveva negato l'adeguamento automatico agli indici monetari del contributo fissato a favore dei figli in sede di separazione muovendo dall'erroneo rilievo che la possibilità di un aumento avrebbe potuto essere riesaminata soltanto in sede di modificazione delle condizioni di separazione ove le esigenze dei figli fossero divenute pressanti).

Cass. civ. n. 566/2001

In tema di separazione personale dei coniugi, deve ritenersi che, in mancanza di diverse disposizioni, il contributo al mantenimento dei figli minori, determinato in una somma fissa mensile in favore del genitore affidatario, non costituisca il mero rimborso delle spese sostenute dal suddetto affidatario nel mese corrispondente, bensì la rata mensile di un assegno annuale determinato, tenendo conto di ogni altra circostanza emergente dal contesto, in funzione delle esigenze della prole rapportate all'anno; ne consegue che il genitore non affidatario non può ritenersi sollevato dall'obbligo di corresponsione dell'assegno per il tempo in cui i figli, in relazione alle modalità di visita disposte dal giudice, si trovino presso di lui ed egli provveda pertanto, in modo esclusivo, al loro mantenimento.

Cass. civ. n. 15065/2000

A seguito della separazione o del divorzio, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza; il solo cambiamento della condizione familiare dei genitori tenuto all'assegno, per la formazione di una nuova famiglia, e le sue accresciute responsabilità non legittimano di per sé una diminuzione del contributo per il mantenimento dei figli nati in precedenza, poiché la costituzione di un nuovo nucleo familiare è espressione di una scelta e non di una necessità e lascia inalterata la consistenza degli obblighi nei confronti della prole (nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza d'appello che aveva diminuito l'assegno fissato in primo grado per aver il padre contratto nuovo matrimonio, da cui era nato un bambino, con donna disoccupata).

L'art. 6, comma nono, L. n. 898 del 1970, come l'art. 155, comma settimo c.c. in materia di separazione, disponendo che i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli ed al contributo per il loro mantenimento «possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l'assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d'ufficio dal giudice», opera una deroga alle regole generali sull'onere della prova, attribuendo al giudice poteri istruttori di ufficio per finalità di natura pubblicistica, con la conseguenza che le domande delle parti non possono essere respinte sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano e che i provvedimenti da emettere devono essere ancorati ad una adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei genitori e delle esigenze di vita dei figli esperibile anche di ufficio (nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza del giudice d'appello che aveva ritenuto superate le esigenze prospettate dalla madre nel richiedere l'aumento dell'assegno per il figlio per aver il padre dichiarato, che questi non frequentava più la piscina, non era più iscritto a un istituto privato e non necessitava più di baby sitter, in assenza di una specifica contestazione della madre).

Cass. civ. n. 14360/2000

A seguito della separazione tra coniugi, la potestà sui figli rimane ad essi comune, l'esercizio esclusivo della medesima è attribuito all'affidatario, che deve attenersi alle condizioni fissate dal giudice, e le decisioni di maggior interesse (tra cui la scelta della scuola) devono essere adottate da entrambi i genitori, in mancanza di accordo, compete al giudice ordinario ai sensi dell'articolo 155, comma terzo, c.c., accertare la congruità rispetto all'interesse del minore della decisione assunta dall'affidatario, avvalendosi a tal fine dei poteri ufficiosi di cui all'articolo 155, comma settimo, c.c. e integrando all'occorrenza le condizioni della separazione; benché la norma attribuisca il potere d'iniziativa al genitore non affidatario, analogo potere spetta anche all'affidatario il quale, in presenza di contrasto con l'altro coniuge, anziché decidere può chiedere direttamente al giudice di adottare i provvedimenti necessari.

Cass. civ. n. 8417/2000

Al procedimento di revisione del contributo di mantenimento dei figli è applicabile la disciplina sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, in quanto il diritto dei figli al mantenimento da parte dei genitori, anche dopo la separazione od il divorzio, previsto rispettivamente dagli artt. 155 c.c. e 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, non ha assolutamente natura alimentare (artt. 433 ss. c.c.) né ad essa assimilabile.

Cass. civ. n. 2210/2000

In tema di separazione personale tra coniugi, l'adottabilità d'ufficio, da parte del giudice, ex art. 155 c.c., dei provvedimenti necessari alla tutela morale e materiale dei figli minori (provvedimenti caratterizzati da esigenze e finalità pubblicistiche e sottratti, per l'effetto, all'iniziativa ed alla disponibilità delle parti) condiziona la stessa applicazione dell'art. 345 c.p.c. in tema di ius novorum in appello, nel senso che una richiesta di parte al riguardo formulata per la prima volta in sede di gravame si risolve pur sempre nell'allegazione di una omessa pronuncia di provvedimenti che rientravano nei poteri d'ufficio del primo giudice. (Nell'affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha così confermato la sentenza d'appello che, a fronte di una richiesta di modifica del provvedimento di affidamento congiunto del minore - con residenza privilegiata presso la casa paterna - avanzata dalla madre, che chiedeva, invece, l'affidamento esclusivo del minore stesso, aveva ampliato il diritto di visita riconosciuto alla ricorrente pur in assenza di una specifica richiesta in tal senso).

Cass. civ. n. 5262/1999

In tema di separazione personale, l'art. 155 c.c., nel rimettere alle determinazioni di entrambi i coniugi «le scelte di maggior interesse per i figli», non impone, riguardo ad esse, alcuno specifico onere di informazione al genitore affidatario, dovendo tale onere ritenersi implicitamente gravante su quest'ultimo (sempre che il suo adempimento non rischi di risolversi in un danno per il minore in relazione alla indifferibilità della scelta) nel solo caso in cui l'informazione sia necessaria affinché il genitore non affidatario possa partecipare alla decisione con riguardo ad eventi eccezionali ed imprevedibili. Ne consegue che, nelle scelte «di maggior interesse» della vita quotidiana del minore - quali, di regola, quelli attinenti alla sua istruzione, in relazione ai quali l'art. 155 citato prevede espressamente un dovere di vigilanza del coniuge non affidatario - ciascun genitore, in ogni caso ed in ogni tempo, ha un autonomo potere di attivarsi nei confronti dell'altro per concordarne le eventuali modalità, e, in difetto, ricorrere all'autorità giudiziaria (principio affermato in relazione ad una vicenda in cui il genitore non affidatario, tenuto a corrispondere un contributo pari al 50 per cento delle spese scolastiche del minore - così come disposto dalla sentenza di separazione - aveva contestato il diritto al rimborso della somma pretesa a tal titolo dal coniuge affidatario con riferimento alle spese sostenute per l'iscrizione del figlio presso un istituto scolastico privato non previamente concordata: la S.C., premessa l'irrilevanza della inesistenza di un accordo tra i coniugi circa tale scelta scolastica, ha ritenuto sufficiente, per la sussistenza dell'obbligo di rimborso, l'esistenza del titolo giudiziale e la mancata, tempestiva adduzione da parte del genitore non affidatario di validi motivi di dissenso circa la scelta della scuola, a prescindere dalla circostanza che l'altro coniuge gli avesse o meno comunicato tale determinazione).

Cass. civ. n. 9606/1998

Lo stato di tossicodipendenza del genitore non affidatario non può rivelarsi - di per sé - ostativo al riconoscimento - al medesimo - del diritto di tenere con sé il minore in tempi stabiliti, non potendosi per ciò solo negare, al genitore non affidatario, di conservare e rafforzare i rapporti affettivi con il figlio, nonché di seguire - al tempo stesso - la sua crescita, la sua educazione e la sua vita, qualora risulti accertata l'utilità di tali rapporti per il minore medesimo.

Cass. civ. n. 9028/1998

Nei giudizio di modifica delle condizioni della separazione, la rideterminazione del contributo dovuto dal coniuge onerato va effettuata con riferimento alla situazione in atto al momento della decisione, ed, a tal fine, deve essere considerata anche l'evoluzione delle condizioni economiche delle parti nel corso del giudizio. A tal riguardo il giudice è tenuto ad ancorare la decorrenza della nuova determinazione del contributo, al momento dell'effettivo verificarsi del mutamento di dette condizioni, ed ad eventualmente modulare, nel tempo, l'ammontare dell'assegno, attraverso uno scaglionamento degli incrementi o delle diminuzioni, in relazione al loro progressivo variare.

Cass. civ. n. 8046/1998

Il provvedimento emesso dalla corte d'appello ai sensi dell'art. 739 c.p.c. su reclamo avverso il decreto del tribunale in materia di modificazione dei provvedimenti di separazione riguardanti i coniugi, dichiarato espressamente non reclamabile ai sensi del citato art. 739, è caratterizzato dagli elementi della decisorietà e definitività ed è perciò ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., diversamente da quanto accade per i provvedimenti di separazione riguardanti la prole, atteso che tali provvedimenti, essendo modificabili, a norma dell'art. 155 ult. comma c.p.c., senza bisogno che per la modifica sia dedotto un mutamento delle circostanze esaminate dal giudice sono privi del carattere della definitività e insuscettibili di passare in cosa giudicata.

Cass. civ. n. 11025/1997

Il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, secondo il precetto di cui all'art. 147 c.c., impone ai genitori, anche in caso di separazione, di far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, certamente non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma inevitabilmente estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, alla assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione – fin quando la loro età lo richieda – di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, mentre il parametro di riferimento, ai fini della corretta determinazione del rispettivo concorso negli oneri finanziari è costituito, giusto disposto dell'art. 148, non soltanto dalle «rispettive sostanze», ma anche dalla rispettiva capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, con espressa valorizzazione non soltanto delle risorse economiche individuali, ma anche delle accertate potenzialità reddituali. Ne deriva che la fissazione, da parte del giudice di merito, di una somma (nella specie, cinquecentomila lire mensili) quale contributo per il mantenimento di un figlio minore (nella specie, dell'età di nove anni) può legittimamente venir correlata non tanto alla quantificazione delle entrate derivanti dall'attività professionale svolta dal genitore non convivente, quanto piuttosto ad una valutazione complessiva del minimo essenziale per la vita e la crescita di un bambino dell'età suindicata.

Cass. civ. n. 9339/1997

La soluzione del contrasto fra i genitori, in ordine alla scelta od al mutamento del nome del figlio minore, è affidata, in pendenza di causa di separazione personale al giudice della separazione stessa, ai sensi dell'art. 155 terzo comma c.c., le cui disposizioni prevalgono, nel corso di detta causa, sulla regola generale della devoluzione al tribunale per i minorenni delle questioni di particolare importanza che insorgano nell'esercizio della potestà genitoriale (artt. 316 c.c. e 38 disp. att. c.c.).

Cass. civ. n. 2993/1997

Nello stabilire l'ammontare dell'assegno di mantenimento dei figli minori in favore del coniuge (separato o divorziato) affidatario – assegno che ha lo scopo di assicurare ai figli, per quanto possibile, anche in regime di separazione, un tenore di vita proporzionato alle possibilità economiche della famiglia – il giudice deve tenere presente non le sole esigenze di mantenimento e di istruzione del minore, ma altresì il reddito dei genitori, ancorché in relazione alle maggiori spese derivanti a ciascuno di essi dalla separazione.

Cass. civ. n. 10813/1996

In tema di separazione personale dei coniugi, l'ordine al terzo di versare direttamente agli aventi diritto parte delle somme di denaro periodicamente dovute all'obbligato può estendersi anche all'assegno in favore di figli minori, nonostante l'art. 156 c.c. richiami il precedente art. 155 solo nel quarto comma (dove è prevista l'imposizione di idonee garanzie reali e personali), in quanto l'assegno a favore del coniuge affidatario è di regola comprensivo sia delle somme dovute a titolo di mantenimento del coniuge privo di adeguati redditi propri, sia di quelle dovute a titolo di contributo nel mantenimento della prole, e, quand'anche consista solo in quest'ultimo contributo, rappresenta pur sempre un credito dell'altro coniuge e la sua corresponsione da parte dell'obbligato si inserisce, necessariamente, nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi, salva restando la destinazione delle relative somme.

Cass. civ. n. 10268/1996

In sede di separazione giudiziale, il giudice deve stabilire la misura e le modalità con cui il coniuge non affidatario deve contribuire al mantenimento, istruzione ed educazione dei figli, avendo come esclusivo riferimento la realizzazione dei loro interessi morali e materiali, seguendo il criterio di cui all'art. 148, primo comma, c.c. - secondo cui i genitori devono adempiere i predetti doveri verso i figli in proporzione delle loro sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale e casalingo - e compiendo le indagini e gli accertamenti relativi anche d'ufficio; senza che assuma rilievo, ai fini della determinazione dell'indicato contributo, la «posizione sociale» dei figli, in quanto il contributo medesimo è finalizzato alla realizzazione di interessi non soltanto materiali della prole.

Cass. civ. n. 7644/1995

Ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento a favore del figlio minore le buone risorse economiche dell'obbligato hanno rilievo non soltanto nel rapporto proporzionale col contributo dovuto dall'altro genitore, ma anche in funzione diretta di un più ampio soddisfacimento delle esigenze del figlio, posto che i bisogni, le abitudini, le legittime aspirazioni di questo, e in genere le sue prospettive di vita, non potranno non risentire del livello economico-sociale in cui si colloca la figura del genitore.

Cass. civ. n. 706/1995

Ai fini della determinazione dell'assegno dovuto ai figli minori o comunque non ancora autosufficienti, ancorché maggiorenni, la valutazione della capacità economica di ciascun genitore, separato o divorziato, deve essere effettuata considerando la complessiva consistenza del patrimonio di ciascuno di essi, quale espressa da ogni forma di reddito od utilità, e quindi anche dal valore intrinseco di beni immobili, siano essi direttamente abitati o diversamente utilizzati.

Cass. civ. n. 6548/1994

In tema di separazione personale dei coniugi, il diritto del genitore non affidatario dei figli a vedersi assicurata una sufficiente possibilità di rapporti con i minori affidati all'altro coniuge, per quanto non abbia carattere assoluto, essendo subordinato ai preminenti interessi dei minori, nondimeno non può essere del tutto escluso per un periodo più o meno lungo di tempo se non in presenza di gravi motivi, che non possano essere ricondotti unicamente alla pregressa condotta del genitore, occorrendo invece a tal fine aver riguardo anche e soprattutto all'impatto psicologico sui minori delle vicende dalle quali si fa derivare la sospensione del diritto di visita ed al conseguente pregiudizio psico-fisico per questi ultimi.

Cass. civ. n. 3363/1993

In tema di separazione personale dei coniugi, l'obbligo della corresponsione dell'assegno per il mantenimento di un minore (art. 155 c.c.) non può essere subordinato al rispetto delle prescrizioni relative alla visita del figlio al genitore non affidatario ed ai soggiorni presso quest'ultimo, atteso che la corresponsione dell'assegno e la regolamentazione degli incontri costituiscono strumenti per la realizzazione di diritti indisponibili del minore, ben distinti tra di loro, e che, pur se la regolamentazione degli incontri soddisfa al tempo stesso anche il diritto (e dovere) del genitore non affidatario di vedere ed avere con sé il figlio, per contribuire alla sua educazione ed istruzione (secondo comma, art. 155 cit.), tuttavia l'esercizio del diritto del genitore è comunque subordinato alla tutela del diritto del figlio, tanto da poter essere escluso o limitato in presenza di un pregiudizio per il minore. Ne consegue che, nel caso in cui il genitore non affidatario sia privato, a causa di un comportamento anche colpevole del genitore affidatario, della possibilità di incontrare il minore (nella specie, residente all'estero), egli non può sospendere l'erogazione dell'assegno per il figlio, nemmeno quando l'assegno sia diretto ad assicurare esigenze di vita del minore superiori a quelle minime, ma ad un mantenimento tale da garantirgli un tenore di vita corrispondente alle possibilità economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, al tenore di vita goduto dallo stesso minore prima della separazione dei genitori.

L'assegno a favore del minore, fissato in via temporanea nella fase presidenziale del procedimento di separazione personale dei coniugi – ed eventualmente modificato dal giudice istruttore o dal collegio nel corso del giudizio – è diretto al soddisfacimento delle esigenze di mantenimento del minore durante il procedimento di separazione. Pertanto, è esclusa la ripetibilità, anche in parte, delle somme erogate prima della pronuncia definitiva sul punto, dovendosi presumersi che il genitore affidatario le abbia utilizzate tutte per il mantenimento del minore, come era suo dovere.

Cass. civ. n. 12212/1990

L'assegno dovuto al coniuge separato o divorziato, per il mantenimento dei figli ad esso affidati, non può subire riduzioni o detrazioni in relazione ad altre elargizioni del coniuge obbligato in favore dei figli medesimi, ove queste risultino effettuate per spirito di liberalità per soddisfare esigenze ulteriori rispetto a quelle poste a base del predetto assegno, sicché restino ricollegabili ad un titolo diverso.

Cass. civ. n. 8109/1990

Con i provvedimenti riguardanti il figlio minore, il giudice della separazione dei coniugi deve assicurare, in difetto di specifiche situazioni ostative, il mantenimento dei rapporti fra il figlio medesimo ed il genitore non affidatario, nei limiti compatibili con la frattura del nucleo familiare, tenuto conto che l'equilibrato sviluppo della prole, cui devono tendere detti provvedimenti, abbisogna, di regola, dell'apporto di entrambi i genitori.

Cass. civ. n. 5135/1989

Il coniuge affidatario del figlio minorenne ha diritto, ai sensi dell'art. 211 della L. 19 maggio 1975, n. 151, a percepire gli assegni familiari corrisposti per tale figlio all'altro coniuge in funzione di un rapporto di lavoro subordinato di cui quest'ultimo sia parte, indipendentemente dall'ammontare del contributo per il mantenimento del figlio fissato in sede di separazione consensuale a carico del coniuge non affidatario, salvo che sia diversamente stabilito in modo espresso negli accordi di separazione. Gli assegni familiari per il coniuge, invece, in mancanza di una previsione analoga al citato art. 211, spettano al lavoratore – cui sono corrisposti per consentirgli di far fronte al suo obbligo di mantenere il coniuge ex artt. 143 e 156 c.c. – con la conseguenza che, se nulla al riguardo è stato pattuito dalle parti in sede di separazione consensuale (ovvero è stato stabilito dal giudice in quella giudiziale), deve ritenersi che nella fissazione del contributo per il mantenimento del coniuge si sia tenuto conto anche di questa particolare entrata.

Cass. civ. n. 6786/1988

Il dovere di contribuire al mantenimento dei figli, posto a carico di uno dei coniugi separati, con l'obbligo di versare all'altro coniuge, affidatario della prole, un assegno mensile, deve ritenersi assolto quando l'obbligato provveda in modo esclusivo al mantenimento degli stessi figli, nel tempo in cui è autorizzato a tenerli presso di sé, sicché, per il relativo periodo, egli non è tenuto a versare detto assegno.

Cass. civ. n. 3060/1986

Il principio statuito dall'art. 155 (richiamato dall'art. 317) c.c. – per cui le decisioni di maggior importanza per il minore devono essere adottate da parte di entrambi i genitori (ancorché separati o divorziati), con correlativo intervento del giudice minorile in caso di loro disaccordo – trova limite nell'ipotesi in cui sia «diversamente stabilito», come nel caso in cui, per determinati aspetti o momenti della vita del minore (nella specie vacanze all'estero con uno dei genitori) sia stata preventivamente dettata una certa disciplina dal giudice dello scioglimento del matrimonio, nell'ambito dei «provvedimenti relativi alla prole» che egli può adottare, ex art. 6 della L. 1970, n. 898.

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Anonimo chiede
domenica 08/12/2024
“buongiorno
sono la madre di 2 figlie di 22 e 26 anni che hanno la proprietà di un appartamento e io ho usufrutto.
Hanno il mantenimento da parte del padre , la prima figlia è studente universitaria , la seconda ha interrotto gli studi e da un paio di mesi lavora part-time.
Non ci sono buoni rapporti dopo la separazione.
La sottoscritta paga le spese ordinarie.
In seguito ha assemblea straordinaria vi è stata maggioranza per spese straordinarie quali sostituzioni dei citofoni condominiali ( compreso il citofono di ogni appartamento ) e ammodernamento e riparazione ascensore che risale agli anni 1950.
Sono a chiedere:
1-queste spese sono a carico del padre essendo straordinarie ? entrambe ?
2- puo' il padre rifiutare il pagamento di tale spese e in tal caso mi devo rivolgere ad un avvocato ?
3- a quale norma devo fare riferimento che tratti questo argomento
grazie e invio distinti saluti

Consulenza legale i 12/12/2024
Il quesito è, forse, frutto di un equivoco. Se parliamo di spese straordinarie in ambito condominiale, queste competono al proprietario: dunque, nel nostro caso, alle figlie. Quanto all’usufruttuario, valgono le regole di cui agli artt. 1004 e 1005 c.c.
In particolare la prima delle norme citate pone a carico dell'usufruttuario le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa, ma anche le riparazioni straordinarie rese necessarie dall'inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione.
Diversa è, invece, la questione di quelle che vengono definite “spese straordinarie” in caso di separazione della coppia genitoriale o di divorzio. Con tale espressione si indicano gli esborsi non compresi nell’assegno mensile di mantenimento eventualmente stabilito in favore dei figli e che, pertanto, se anticipate da un solo genitore, vanno rimborsate a parte. Il rimborso ovviamente andrà effettuato “pro quota”, cioè nella percentuale stabilita nella sentenza o nell’accordo omologato di separazione. Di solito la quota è del 50%, ma nulla vieta di stabilire ripartizioni diverse qualora, ad esempio, vi sia notevole disparità di situazione economica tra i coniugi.
All’interno di tali spese “extra” si distingue, poi, ulteriormente tra quelle che non necessitano di un preventivo accordo tra i genitori e quelle che, viceversa, se non concordate non sono soggette a rimborso.
Ad ogni modo, sono extra-mantenimento, in genere, numerose spese scolastiche, universitarie, mediche oppure relative ad attività extrascolastiche, educative, sportive, ricreative dei figli, laddove ovviamente non debbano essere comprese nel mantenimento ordinario.
Nel nostro caso, se in sede di separazione non è stato previsto un contributo del padre rispetto alle spese riguardanti l’appartamento intestato alle figlie, non risulta possibile chiedere all’altro genitore di sostenerle, a meno che non sia egli stesso comproprietario dell’immobile o, al limite, usufruttuario (sempre che, in tale ultima ipotesi, si tratti di spese addebitabili all’usufruttuario ex art. 1004 c.c.).

D. C. chiede
martedì 22/10/2024
“salve,
sono un padre divorziato di 64 anni con una figlia di 19 anni e mezzo che non mi fanno vedere da 10 anni e mai persa la responsabilità genitoriale. Quest'anno si è iscritta al primo anno di farmacia dell'universita di XXX.
La madre mai mi ha interpellato prima. Da qualche settimana la madre mi ha inviato pec che la ragazza si è maturata ed iscritta al primo anno di farmacia, mandandomi senza mai concertare con me, le spese immatricolazione ed iscrizione al primo anno piu spese di alloggio stanza, abbonamneto bus etc.
Premetto che pago un mantenimneto solo per la figlia di 700 euro da 16 anni.
Sentendo amici mi hanno detto che potrei pagare solo la tassa di immatricolazione eventualmente.
Se mia figlia decidesse, ma è stata coartata dalla madre, di incontrarmi sarebbe tutto diverso ed io mi sento tristemnete un bancomat soltanto e amputato della mia unica figlia mio malgrado.
Ho una invalidità ciivile inps del 100 % , art. 2 e 12 della legge 118/71 ma senza pensione di inabilità, ho anche la legge 104 art 3 coma 3.
Cosa mi compete pagare obbligatoriamente onde evitare di subire ripercussioni giuridiche e quanto ammonta solo la tassa di immatricolazione qualora dovessi solo quella (tasse universitarie sono nazionali per immatricolazione al primo anno di in corso di laurea di 5 anni).

Cordialità”
Consulenza legale i 28/10/2024
Va premesso che, per fornire una risposta puntuale al quesito, occorrerebbe esaminare il contenuto delle condizioni di divorzio (anche se è possibile che non vi siano disposizioni specifiche al riguardo).
Possiamo comunque fornire, in questa sede, alcune indicazioni utili.
In primo luogo, il Consiglio Nazionale Forense (organismo di rappresentanza degli avvocati) ha elaborato da tempo delle linee guida per la regolamentazione del mantenimento dei figli nei procedimenti in materia di diritto di famiglia.
Tali linee guida vengono, in genere, recepite dai vari Consigli dell’Ordine degli Avvocati e dagli stessi tribunali, ma non è obbligatorio; esse rappresentano, ad ogni modo, dei criteri per risolvere le frequenti controversie sulla ripartizione delle spese tra genitori separati o divorziati.
Le linee guida del C.N.F. distinguono, in particolare, tre categorie di esborsi:
  1. le spese comprese nell’assegno di mantenimento, per le quali dunque non è previsto un rimborso a parte;
  2. le spese non comprese nell’assegno ma comunque obbligatorie e, quindi, da rimborsare anche se non siano state concordate preventivamente tra le parti;
  3. le spese extra assegno e che richiedono altresì un previo accordo tra i genitori, in mancanza del quale non vi sarà rimborso, rimanendo esse a carico della parte che le ha anticipate di propria iniziativa.
Ora, per ciò che qui interessa specificamente, le linee guida del C.N.F. inseriscono, tra le spese extra assegno subordinate al consenso di entrambi i coniugi, “iscrizioni, rette ed eventuali spese alloggiative, ove fuori sede, di università pubbliche e private”.
Ribadiamo, però, che le linee guida del C.N.F. non sono di per sé vincolanti, a meno che non vengano espressamente recepite o richiamate dalle parti nell’accordo di separazione consensuale o divorzio congiunto, oppure fatte proprie dal giudice nella sentenza di separazione o divorzio giudiziale.
Quanto alla giurisprudenza, la Corte di Cassazione (Sez. I Civ., ordinanza 12/11/2021, n. 34100) ha ribadito che «devono intendersi spese "straordinarie" quelle che, per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall'ordinario regime di vita dei figli, cosicché la loro inclusione in via forfettaria nell'ammontare dell'assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dall'art. 155 c.c. e con quello dell'adeguatezza del mantenimento, nonchè recare grave nocumento alla prole, che potrebbe essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell'assegno "cumulativo”». Nella specie, la Cassazione aveva criticato la decisione del giudice di merito, il quale aveva escluso dalle spese ordinarie (quindi comprese nell’assegno di mantenimento) le spese universitarie del figlio, senza evidenziare i caratteri di “imprevedibilità ed imponderabilità” propri invece delle spese straordinarie.
Dunque, secondo la Suprema Corte, si deve verificare (caso per caso) se la spesa sia effettivamente "straordinaria", in quanto imprevedibile ed eccezionale, tenendo sempre come riferimento il principio dell'interesse della prole.
La questione, come si comprende, non è di facile risoluzione; in ogni caso, come anticipato all’inizio, sarebbe opportuno conoscere sia la data che il contenuto dell’ultimo provvedimento riguardante il mantenimento della figlia.

Cliente chiede
venerdì 10/05/2024
“Buongiorno,
scrivo perché mi è sorto un dubbio sul comportamento posto in essere da me in questi anni.
Nel 2007 ho terminato la relazione con il padre di mio figlio e, da allora, secondo disposizione del giudice ricevo 500 euro mensili per il suo mantenimento.
Abbiamo concordato che le spese mediche, scolastiche, sportive etc. venissero divise al 50% (anche se all'epoca non lavoravo ed allo stato attuale svolgo la libera professione con incassi mai certi).
Mi sono resa conto solo ora che, forse, ho fatto un errore, nel senso che la cifra mi è sempre stata versata sul conto personale in cui vanno i miei introiti lavorativi ma che tocco veramente poco (se non per spese personali, del dentista, pagamento tasse e spese auto mia personale), mentre per le spese quotidiane, vivendo con i miei genitori, abbiamo sempre attinto dal conto cointestato a me, mia mamma e mio papà che teniamo per le spese quotidiane (alimentari, bollette etc) in cui salgono le pensioni dei miei e che, in questi anni, è servito anche a sostenere mio figlio (diciamo che più o meno i 500 euro mensili sono sempre stati spesi per lui anche se non presi "fisicamente" dal conto in cui venivano versati)
Ora, nel caso in cui ci fosse un controllo, qualcuno potrebbe contestare che i soldi per il mantenimento del figlio non essendo quasi mai stati toccati su quel conto, non siano stati utilizzati per il loro fine?
Ripeto, la cifra era stata stabilità dal giudice e tra luce, gas, benzina e cibo mi creda è sempre stata utilizzata, (anche perché mio figlio è cresciuto bello e sano e non gli è mai mancato nulla), ma non è uscita "direttamente" dal conto su cui veniva mensilmente versata, perché utilizzando per le spese quotidiane un altro conto ci è sembrato naturale fare la stessa cosa anche con mio figlio.
Le pongo questa domanda perché non vorrei ritrovarmi in difficoltà nel dover "rendere conto" di spese che in totale buona fede io ed i miei abbiamo sempre e comunque sostenuto.
Ultima domanda (non so se posso, nel caso non possa ci tengo mi rispondiate in maniera esauriente alla prima e questa lasciatela pure stare). Mio figlio adesso frequenta l'università e vorrebbe trovare un part time, in quel caso l'assegno andrebbe a decadere o ciò accadrebbe soltanto in caso di lavoro a tempo pieno determinato/indeterminato?
Grazie mille in anticipo per la disponibilità.”
Consulenza legale i 10/05/2024
In merito alla prima delle domande proposte, la Corte di Cassazione ha precisato che il genitore che percepisce il contributo mensile per il mantenimento dei figli non è obbligato a rendicontare le spese: si veda Cass. Civ., Sez. I, 18/06/2015, n. 12645, secondo cui “il coniuge non affidatario a cui carico sia posto un assegno di mantenimento per il figlio minore non ha diritto ad un rendiconto delle spese effettivamente sostenute per il suddetto mantenimento, salvo a far valere ogni rilevante circostanza in sede di revisione dell'entità dell'assegno”.
L’ultima parte del principio di diritto sopra riportato significa che il coniuge che versa il mantenimento potrà, semmai, chiedere la riduzione dell’assegno dimostrando un sopravvenuto mutamento delle circostanze, tali da rendere non più adeguato l’importo inizialmente stabilito; ma si tratta appunto di cosa diversa dall’esigere un rendiconto mensile di quanto speso per il figlio, adempimento che appunto non è previsto.

Quanto al secondo quesito, il fatto che il figlio maggiorenne cominci a lavorare non determina, automaticamente, la perdita dell’assegno di mantenimento versato dal padre.
In primo luogo, infatti, da un punto di vista procedurale, per revocare l’assegno occorre la pronuncia di un giudice; quindi l’ex marito non potrebbe di propria iniziativa smettere di versare il mantenimento, ma dovrebbe iniziare un procedimento per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
In secondo luogo, e sotto il profilo sostanziale, occorre verificare caso per caso se il figlio sia divenuto economicamente autosufficiente, tenuto conto anche del fatto che un maggiorenne, sia pur studente universitario, non può restare per un tempo illimitato a carico dei genitori, ma deve seguire un percorso sia di studi sia professionale per raggiungere l’indipendenza economica.
Come spiega in proposito la Cassazione, “ai fini del riconoscimento dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto all'assegnazione della casa coniugale, il giudice del merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o l'assegnazione dell'immobile, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all'età dei beneficiari; tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, tenendo conto che il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni (purchè compatibili con le condizioni economiche dei genitori), com'è reso palese dal collegamento inscindibile tra gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione” (Cass. Civ., Sez. I, sentenza 20/08/2014, n. 18076; conforme Cass. Civ., Sez. VI - 1, ordinanza 11/06/2020, n. 11186).

Cliente chiede
martedì 09/04/2024
“Buongiorno, il mio ex marito è andato via a fine maggio 2019. Da giugno 2019, ha iniziato a versare 400 euro per il mantenimento dei nostri due figli. Il 20 ottobre 2020, è stata emessa un'ordinanza presidenziale di separazione, in cui il giudice ha fissato in 600 euro il mantenimento mensile per i figli. Nell' ordinanza, però, non è stata specificata alcuna disposizione riguardante la retroattività del maggior importo, né è stato esplicitamente affermato che questa non sia prevista. Vorrei sapere se il mio ex marito è tenuto a pagare la differenza di mantenimento in modo retroattivo. Inoltre, se fosse dovuto, mi piacerebbe conoscere gli articoli di legge pertinenti a questa situazione.”
Consulenza legale i 16/04/2024
Secondo un consolidato orientamento della Cassazione - ribadito, recentemente, con l’ordinanza n. 32680 del 24/11/2023 -, in materia di assegno di mantenimento per i figli, la relativa domanda proposta da uno dei genitori nei confronti dell'altro, se ritenuta fondata, deve essere accolta, in mancanza di espresse limitazioni, dalla data della sua proposizione, e non da quella della sentenza.
Il che significa, da un lato, che l’assegno di mantenimento non può essere considerato decorrente dalla sentenza, proprio per evitare che il - o la - ricorrente, nel vedere accolta la propria domanda, subisca però le eventuali lungaggini del processo, perdendo l’importo dell’assegno per la corrispondente durata del giudizio.
Dall’altro, la decorrenza non può essere fatta retroagire a un momento anteriore all’inizio del processo.
Quindi per stabilire la decorrenza dell’assegno occorre prendere come riferimento la data della relativa domanda (nel quesito non viene specificato chi abbia proposto il ricorso e in generale in quale atto sia contenuta la domanda di mantenimento per i figli, né se si tratti di separazione giudiziale o consensuale).
Attenzione, però: quanto appena detto vale per la sentenza.
Nel quesito si fa invece riferimento a una “ordinanza presidenziale di separazione”, quindi presumibilmente a quel provvedimento che contiene le misure provvisorie e urgenti che servono per regolamentare la situazione dei coniugi e degli eventuali figli nel tempo necessario per arrivare a una sentenza.
Se si tratta di provvedimenti provvisori, infatti, proprio per la loro natura, essi avranno efficacia dal momento della pronuncia dell’ordinanza presidenziale e non potranno avere effetto retroattivo.
Per la retroattività - che comunque non potrà andare a ritroso oltre la presentazione della domanda - occorrerà attendere la conclusione del giudizio di separazione.

G. S. chiede
domenica 24/12/2023
“Buongiorno, volevo sapere se ancora oggi devo pagare il mantenimento di mia figlia che ad agosto 2024 compie 26 anni, premetto che per un accordo tra me e la mia ex convivente (no sposati) ogni mese dal 2005 ad oggi verso mensilmente 400€, più le spese extra sostenute da mia figlia, avendogli pagato (50%) il conseguimento della prima laurea, ed adesso anche la seconda che è in procinto di prendere a fine Luglio 2024. La mia ex ha un'attività dove ha inserito da qualche anno mia per versargli i contributi. Io ho un reddito di circa 30.000€ annui e la mia ex quasi il doppio(lei sposata con un'altra persona ed un altro figlio). Ad agosto pensavo di non versare più il mantenimento una volta presa la seconda Laurea, volevo un vostro consiglio per non incombere in qualcosa di sbagliato grazie!

Giuseppe”
Consulenza legale i 04/01/2024
Nel nostro sistema giuridico l’obbligo, per i genitori, di provvedere alle esigenze dei figli non finisce con il compimento della maggiore età da parte dei figli stessi, ma continua finché essi non abbiano raggiunto un minimo di indipendenza economica.
Con dei limiti, però: occorre evitare infatti che i figli, ormai adulti a loro volta, restino a carico di mamma e papà a tempo indeterminato.

Ad esempio, proprio in tempi recenti la Cassazione (Sez. I, ordinanza 31/07/2023, n. 23133) ha precisato che “il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l'attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l'obbligazione alimentare da azionarsi nell'ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso”.
Significa, in parole povere, che il figlio ormai cresciuto e che abbia anche acquisito un titolo di studio, se non riesce a trovare un’occupazione che lo soddisfa, non può comunque pretendere di farsi mantenere per sempre dai genitori, ma può ricorrere, nell’attesa, a quegli strumenti previsti dalla legislazione a favore delle persone che vogliono inserirsi nel mercato del lavoro, così non gravare ulteriormente sulla propria famiglia.

Nel caso descritto nel quesito, stando alle informazioni fornite, è possibile valutare una modifica degli accordi già presi, visto che la figlia si avvia a conseguire la seconda laurea. Si consiglia però di non procedere unilateralmente: cioè è necessario formalizzare un nuovo accordo, che sostituisca il precedente (magari sotto forma di negoziazione assistita, con l’ausilio degli avvocati). Se, invece, non si raggiunge un accordo, diventerà inevitabile rivolgersi al giudice.
Infatti sempre la giurisprudenza della Cassazione si è pronunciata in merito alla validità degli accordi conclusi in forma “privata” tra le parti in merito al mantenimento dei figli; si veda Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 11/01/2022, n. 663: “in tema di mantenimento dei figli nati da genitori non coniugati, alla luce del disposto di cui all'art. 337-ter, comma 4, c.c., anche un accordo negoziale intervenuto tra i genitori non coniugati e non conviventi, al fine di disciplinare le modalità di contribuzione degli stessi ai bisogni e necessità dei figli, è riconosciuto valido come espressione dell'autonomia privata e pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un'omologazione o controllo giudiziale preventivo”.
La scrittura privata stipulata a suo tempo, dunque, è vincolante per le parti e potrebbe essere azionata nel caso in cui il padre di propria iniziativa smettesse semplicemente di versare l'assegno.

D. C. chiede
venerdì 24/02/2023 - Puglia
“Il caso è questo.
Tizio è divorziato da Caia, la quale, già dopo la separazione coniugale, ritornò a vivere coi propri genitori assieme ai tre figlioli avuti con Tizio. Dal momento della separazione (nel 2013) ad oggi Tizio ha passato alla ex moglie una cifra davvero esorbitante. Poniamo, genericamente, un milione di euro, per il mantenimento dei figli.
La cifra è davvero consistente. Consentirebbe infatti ai figli una vita da nababbi o da “pascià”, sia pure a mille chilometri dall’amato padre. Però è risaputo che Caia ha usato e tuttora usa questi denari non per i figli ma per altre questioni, ossia:
1) Sostenere i propri genitori (a casa dei quali vive da dieci anni, ossia dal dì della separazione). Essi sono fortemente indebitati e tormentati da una infinità di creditori (finanziarie, banche, giudici fallimentari, persino strozzini);
2) Sostenere la propria malattia. Essa è infatti ludopatica (anche durante il matrimonio è stata in cura più volte ma dopo qualche tempo ricade regolarmente nella sua patologia).
In pratica, succede che i soldi che Caia riceve mensilmente finiscono a vari soggetti, oppure in slot-machine, e solo in infima parte sono utilizzati a favore dei figli.
Tutto questo è risaputo ed è pure desumibile da quanto emerge da ciò che il legale di Caia ha depositato nel foro ove è in corso la causa di divorzio. Infatti, a differenza del Tribunale ove fu dibattuta e sancita la separazione coniugale, il Tribunale del divorzio ha ritenuto di dover esaminare la situazione patrimoniale dei contendenti, chiedendo finalmente ad entrambi i coniugi di depositare la propria posizione reddituale, i propri cedolini (sia Tizio che Caia hanno reddito da lavoro dipendente), i propri estratti conto (conto bancario, postale, carte di credito… ecc.), le proprie posizioni finanziarie… col probabile fine di calibrare adeguatamente il mantenimento che Domizio deve mensilmente rimettere a Clodia per il mantenimento dei loro figlioli.
Premesso che ad oggi i ragazzi vengono regolarmente nutriti e vestiti ma, per la catastrofica situazione della madre, non fanno né possono fare nulla di più (né attività sportiva, né attività culturali, né viaggi – nemmeno le gite scolastiche – salvo che non provveda a parte Domizio; ma comunque non sembrano lagnarsi di ciò), il quesito giuridico che io pongo a Brocardi è il seguente:
a) Può Tizio chiedere al Giudice di indagare – anche attraverso apposita perizia contabile oppure tramite Polizia Tributaria – su che fine ha fatto il milione di euro corrisposti a Caia?
b) Può Tizio chiedere al Tribunale di nominare un amministratore di sostegno che amministri realmente a favore dei figli e non di terzi tutto ciò che egli rimette a Caia?
Come detto, per ora mi limito ad un generico caso di giurisprudenza. A seconda della risposta, entro poi nella fattispecie che mi riguarda, se necessario con una seconda consulenza a quel punto più mirata.
Intanto ringrazio e saluto cordialmente.”
Consulenza legale i 04/03/2023
Con riferimento al primo quesito, la Corte di Cassazione (Sez. I Civ., sent. 18/06/2015, n. 12645) ha ricordato il proprio orientamento “secondo cui quando, in sede di separazione personale dei coniugi, i figli siano stati affidati, con provvedimento presidenziale o con sentenza definitiva, ad uno dei coniugi, l'assegno posto a carico del coniuge non affidatario, quale suo concorso agli oneri economici derivanti dal mantenimento della prole, è determinato in misura forfettariamente proporzionata alle sostanze dei genitori, al numero ed alle esigenze dei figli. Il coniuge non affidatario non ha, quindi, diritto ad un rendiconto delle spese effettivamente sostenute per il suddetto mantenimento, salvo a far valere ogni rilevante circostanza in sede di revisione dell'entità dell'assegno (Cass., sez. 1, sentenza del 15 novembre 1974, n. 3618)”.
Ora, il comportamento della madre, la quale, secondo quanto riferito nel quesito, utilizzerebbe per altri fini i rilevanti importi percepiti a titolo di mantenimento per i figli, potrà essere, ad avviso di chi scrive, motivo di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio (dal quesito non è chiarissimo se il giudizio di divorzio si sia concluso), non tanto per quanto riguarda l’aspetto puramente economico, quanto per le condizioni di affidamento: probabilmente è opportuna una "presenza" maggiore del padre, visto che si lamenta anche il fatto che ai figli non venga data - salvo intervento del padre stesso - la possibilità di svolgere attività per loro formative e/o ricreative.
Non è invece pertinente il riferimento alla nomina di un amministratore di sostegno al fine di gestire le somme corrisposte a titolo di mantenimento. L’amministrazione di sostegno è infatti un istituto diverso, previsto a tutela dei soggetti (maggiorenni) che non siano in grado di provvedere da sé alla cura dei propri interessi.
Qui invece siamo in presenza di figli minori e di due genitori ancora titolari di responsabilità genitoriale.
Naturalmente le condizioni di affidamento e frequentazione dei figli possono essere modificate, così come, in casi di particolare gravità, è possibile intervenire sulla responsabilità genitoriale, o rimuovere il genitore dall’amministrazione dei beni del figlio (art. 334 del c.c.): si tratta comunque di provvedimenti di estrema delicatezza, che vanno valutati con molta attenzione, confrontandosi direttamente con un legale.

M. V. chiede
martedì 20/12/2022 - Emilia-Romagna
“Buonasera, sono in procinto di separazione (consensuale) con mia moglie, dopo sua decisione.Siamo di XXX, io 40 anni lei 39, con due figli di 5 e 7 anni. Abbiamo entrambi un lavoro a tempo indeterminato, io nel settore alimentare, lei assicurativo. Lei ha ricominciato a lavorare a Febbraio 2021, io ho cambiato lavoro ad Aprile di quest anno per andare incontro alle esigenze della famiglia Siamo in comunione dei beni, due conti correnti cointestati, più uno mio personale, ma sono sempre stato il solo ad affrontare le spese di casa. Io percepisco 1900/2000 euro al mese, lei sui 1100. Spende il suo stipendio praticamente per lei,oltre ai 400 euro che si percepiscono mensilmente per i due figli. Abbiamo un mutuo di 30 anni cointestato al 50% iniziato quest anno a Gennaio, rata variabile mensile di circa 800 euro (ora arrivata a 1000 euro). Cercheremo di accordarci il più possibile, soprattutto per il bene dei figli, sicuramente la casa coniugale rimarrà a lei, come nella maggiore i figli (a pochi metri abita sua mamma che aiuta logisticamente coi figli), io nel frattempo sto valutando affitti, di circa 500 euro. Per avere le idee appena più chiare vi chiedo: - la rata del mutuo deve essere pagata alla banca per il 50% da ognuno? (Forse,potremmo valutare di vendere). - A parte la rata del mutuo,dovrei sostenere spese della casa coniugale che sicuramente rimarrà a lei fino alla maggiore età o autonomia economica dei figli? - a Lei non dovrei alcun mantenimento,corretto? - per i figli quanto dovrei di mantenimento, considerando anche le spese che avrò di locazione? Io avrei valutato di proporre 450/500 euro circa, naturalmente spese straordinarie escluse; lei dice di poter pretendere 700/800 euro. spero queste informazioni possano essere esaustive. Ringrazio anticipatamente”
Consulenza legale i 03/01/2023
Rispondiamo alle diverse domande poste nel quesito seguendo il medesimo ordine in cui sono state formulate.
Rispetto alla questione del pagamento delle rate di mutuo, nel quesito viene riferito che si tratta di mutuo cointestato; dunque esse dovranno continuare a essere pagate da entrambi, salvo diverso accordo. Al riguardo si sottolinea che, secondo la Corte di Cassazione (Sez. I Civ., sentenza 03/09/2013, n. 20139), “il giudice può legittimamente imporre a carico di un genitore il pagamento delle rate del mutuo contratto per l'acquisto della casa familiare, trattandosi di voce di spesa sufficientemente determinata e strumentale alla soddisfazione delle esigenze in vista delle quali detto obbligo è disposto”.
Nel nostro caso, trattandosi di separazione consensuale, la circostanza che uno dei coniugi continui a pagare le rate di mutuo, sia pure pro quota, potrà essere valutata, nell’ambito delle trattative per l’accordo, ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento.
Naturalmente è possibile che i coniugi si accordino nel senso che uno solo di loro si accolli le rate di mutuo: un tale patto, tuttavia, non produrrebbe effetto nei confronti della banca mutuante (che rimane estranea alle vicende del rapporto coniugale), a meno che non venga accettato dalla stessa.


Riguardo alle spese della casa coniugale, la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. I, 19/09/2005, n. 18476) ha chiarito che “in tema di separazione personale, allorché il giudice attribuisca ad uno dei coniugi la casa coniugale, l'assegnatario è esonerato esclusivamente dal pagamento del canone, cui altrimenti sarebbe tenuto nei confronti del proprietario esclusivo o (in parte qua) del comproprietario dell'immobile assegnato. Pertanto ove l'abitazione sia di esclusiva proprietà del coniuge non assegnatario, la gratuità dell'assegnazione si riferisce solo all'uso dell'abitazione medesima (per il quale non deve versarsi corrispettivo), ma non si estende alle spese correlate a detto uso, quali quelle condominiali, che riguardano la manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell'abitazione familiare, e che vanno legittimamente poste a carico del coniuge assegnatario”.
Ad analoga conclusione deve giungersi rispetto ad altre spese “correlate all’uso” dell’abitazione, come le utenze; salvo che, naturalmente, il coniuge non assegnatario se ne faccia volontariamente carico.


In riferimento ai quesiti riguardanti il mantenimento, occorre premettere che, nel caso (che non è il nostro) di separazione giudiziale non è possibile prevedere quale sarà la decisione del giudice sia rispetto all’an dell’assegno di mantenimento nei confronti della moglie (ovvero, "se" esso sarà effettivamente dovuto), sia rispetto al quantum (cioè alla quantificazione) dell’assegno in favore dei figli.
Trattandosi di separazione consensuale è comunque possibile svolgere alcune considerazioni.
Dal momento che anche la moglie lavora, e che sarà probabilmente, per accordo tra le parti, assegnataria della casa coniugale, appare ragionevole escludere in sede di accordo un assegno di mantenimento in suo favore.
Quanto ai figli, l’importo dell’assegno per il loro mantenimento sarà il frutto della trattativa tra le parti, ma sarà soggetto al controllo del tribunale in sede di omologa della separazione (o del pubblico ministero, in caso di ricorso alla procedura di negoziazione assistita). Ad avviso di chi scrive, e sulla base di quanto riferito, un importo di € 500,00 per i due figli, quale quello proposto, potrebbe essere considerato congruo.
Vale la pena accennare anche al fatto che, negli ultimi anni, i giudici si sono progressivamente distaccati dal "classico" schema di ripartizione della permanenza dei figli con ciascun genitore, schema fondato, anche in caso di affidamento condiviso, sul collocamento prevalente presso uno dei due (di solito la madre), e su tempi più ridotti da trascorrere con l'altro (i ben noti fine settimana alternati e, a seconda dei casi, uno o più giorni infrasettimanali, con o senza pernottamento). Risultano, anzi, sempre più diffuse forme di collocamento almeno tendenzialmente paritario, con tempi di permanenza per quanto possibile equivalenti. Si tratta del c.d. affidamento alternato, che porta con sé una diversa regolamentazione del mantenimento, per cui, di regola, ciascun genitore provvede al mantenimento dei figli per il periodo in cui soggiornano presso di lui (a parte, naturalmente, le spese extra), con una sensibile riduzione, che può giungere teoricamente anche all'azzeramento, dell'assegno di mantenimento a carico di uno dei due.
Si tratta di una soluzione che si suggerisce di valutare con i legali che seguono la procedura di separazione.

G.G. chiede
lunedì 22/11/2021 - Lazio
“Convivo a Roma e abbiamo un figlio di 3 anni e mezzo. Ho intenzione di separarmi.
Ho pochissime speranze che la separazione possa essere consensuale.
Di seguito la situazione economica.
Viviamo in un appartamento in affitto a me intestato come tutte le utenze.
Sono impiegato con un reddito annuo lordo di circa €66.000. Non ho altre entrate né proprietà.
La mia compagna è impiegata con un reddito annuo lordo di circa €52.000. E’ proprietaria di un appartamento a Roma il cui mutuo sarà estinto tra qualche anno. L’appartamento è attualmente affittato con un reddito annuo di circa €10.000. Inoltre, la mia compagna è proprietaria di un altro immobile, perfettamente agibile e libero, situato nel suo paese di origine.
Vorrei sapere :
1. Se lascio la casa dove viviamo e vado altrove (sempre vicino alla scuola di mio figlio), qual è la % del tempo che riuscirò a vedere mio figlio?
2. Posso pretendere che la mia compagnia lasci la casa in affitto a me intestata?
3. E’ utopico pensare che le spese e il tempo con il figlio siano ripartite al 50%?
4. Qual è lo scenario più probabile in caso di contenzioso legale?”
Consulenza legale i 27/11/2021
Prima di rispondere alle domande formulate nel quesito, è bene fare due premesse fondamentali.
La prima, di carattere generale, è che non è possibile formulare previsioni sull’esito di un giudizio, di qualunque tipo esso sia: infatti la decisione del giudice dipende da una serie di variabili che non è possibile conoscere in anticipo, quali il convincimento che si formerà il giudice stesso, il comportamento tenuto dalle parti nel corso del procedimento, e così via.
La seconda considerazione, che riguarda l’ambito specifico del diritto di famiglia, è che ogni decisione concernente la prole va presa dal giudice “con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa” (art. 337ter c.c.).
Ciò premesso, possiamo appunto rispondere simultaneamente alla prima ed alla terza domanda. Ora, per quanto abbiamo detto in precedenza, non possiamo affermare quale sarà, addirittura, la percentuale del tempo che il bambino trascorrerà con il padre.
Lo schema “classico” di affidamento prevede che il minore abiti prevalentemente con uno dei due genitori (di regola la madre, ma non è scontato), e frequenti l’altro genitore a cadenze temporali stabilite: normalmente fine settimana alterni, uno o più giorni infrasettimanali (variabili da caso a caso), festività alternate e con la garanzia di un determinato periodo durante le vacanze estive.
Tale schema prevede anche, di solito, che il genitore non collocatario versi all’altro un contributo mensile per il mantenimento del figlio.
Accanto a tale modello “tipico” si è andato affermando, non senza qualche resistenza soprattutto da parte della giurisprudenza, il c.d. affidamento alternato, in base al quale il minore trascorre con ciascuno dei genitori periodi di tempo sostanzialmente paritetici (il che può comportare anche l’eliminazione dell’assegno di mantenimento, nel senso che ciascun genitore provvede da sé alle necessità del figlio per il rispettivo periodo di permanenza).
Ribadiamo, però, che l’affidamento alternato non viene disposto con facilità dai giudici: si veda Cass. Civ., Sez. VI - 1, ordinanza 15/02/2017, n. 4060, secondo cui “l'affido alternato, tradizionalmente previsto come possibile dal diritto di famiglia italiano, è rimasta una soluzione educativa di limitate applicazioni, essendo stato ripetutamente affermato che esso assicura buoni risultati quando vi è un preciso accordo tra i genitori e tutti i soggetti coinvolti, anche il figlio, condividono la soluzione”.
Il che ci consente di rispondere appunto alla terza domanda: peraltro la Cassazione (Sez. I Civ., ordinanza 16/06/2021, n. 17222) da un lato ha ribadito che “il regime legale dell'affidamento condiviso, tutto orientato alla tutela dell'interesse morale e materiale della prole, deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio”. Tuttavia, prosegue la Suprema Corte, “nell'interesse di quest'ultimo il giudice può individuare un assetto che si discosti da questo principio tendenziale [...]. Per tale ragione, la regolamentazione dei rapporti con il genitore non convivente non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori, ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice del merito che, partendo dall'esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all'esplicazione del loro ruolo educativo”.
Passando alla domanda n. 2, la risposta è negativa. L’abitazione condotta in locazione risulta essere, infatti, la casa familiare; e, a norma dell’art. 337 sexies c.c., “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli”, a prescindere dalla titolarità del diritto di proprietà, o di altro diritto - reale o di godimento - sulla casa stessa.
Da ultimo, non è chiaramente possibile fornire una risposta alla quarta domanda, sia per le ragioni già spiegate in premessa, sia perché si tratta di valutazioni delicate e complesse, che richiederebbero una conoscenza approfondita e completa della vicenda, difficile da conseguire attraverso una consulenza on line.
Una considerazione finale riguarda l’opportunità di raggiungere una soluzione concordata, anche se questa viene definita improbabile da chi pone il quesito. È comprensibile che una situazione del genere sia caratterizzata da un’accesa conflittualità tra i coniugi, ma è parimenti auspicabile che entrambe le parti si sforzino di giungere ad una separazione consensuale, con l’assistenza e la reciproca collaborazione dei rispettivi avvocati; si tenga presente, oltretutto, che in genere i giudici sollecitano e valutano favorevolmente le soluzioni conciliative.

Stefania chiede
giovedì 02/09/2021 - Veneto
“Buongiorno,
sono gentilmente a chiedere alcune informazioni:

in caso di affido condiviso e nel quale il padre versa il contributo di mantenimento per i figli alla madre che è genitore collocatario, la madre è tenuta ad acquistare e pagare l’abbigliamento e il vestiario (intimo e non) che i figli indosseranno nei giorni in cui risiederanno presso il padre? Nello specifico io sono la madre in questione e il padre mi chiede spesso di fornirli indumenti (intimi e non) per i giorni in cui i bambini trascorrono presso la sua abitazione e spesso tali indumenti non tornano indietro, lui afferma di volere una “scorta” presso la sua abitazione e che devo provvederne io all’acquisto/pagamento in quanto il vestiario (anche quello della scorta presso la sua abitazione) è una spesa ordinaria inclusa nel mantenimento è corretto ciò che afferma? Ricordo che l’affido è condiviso e che io sono il genitore collocatario.

Chiedo inoltre se le spese per “farmaci/parafarmaci/dispositivi medici” classificati come “farmaci da banco” ovvero vendibili liberamente anche in assenza di prescrizione ma che però sono stati oggetto di specifica prescrizione del pediatra o di altro specialista, vanno divise quali spese straordinarie oppure sono considerate spese ordinarie e quindi a carico di me genitore collocatario ?

Grazie per la disponibilità.

Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 08/09/2021
Prima di rispondere alle specifiche domande formulate nel quesito è opportuno chiarire un equivoco che spesso, nel parlare comune, si crea attorno all’espressione “affidamento condiviso”.
Tale espressione si riferisce, infatti, ad una necessaria “condivisione” tra i genitori delle scelte riguardanti la crescita e l’educazione del minore: ma non riguarda né la suddivisione dei tempi di permanenza presso ciascun genitore, né i criteri di ripartizione delle spese sostenute per i figli.
Come ha chiarito Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 12/09/2018, n. 22219, “la regola dell'affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori [...] non esclude che il minore sia collocato presso uno dei genitori e che sia stabilito uno specifico regime di visita con l'altro genitore”.
Concetto distinto (che spesso però viene, erroneamente, posto in contrapposizione all’affidamento condiviso) è quello dell’affidamento alternato, che non trova comunque frequenti applicazioni nella pratica (si continua a preferire il “vecchio” schema della collocazione prevalente presso un genitore) ed è stato spesso osteggiato, o comunque trattato con perplessità, dalla giurisprudenza.
Il carattere alternato dell’affidamento - o, meglio, della collocazione dei minori - indica, appunto, una permanenza tendenzialmente paritaria del minore presso ciascun genitore (al contrario di quanto avviene, dunque, nella collocazione prevalente), con la logica conseguenza che, in tal caso, ciascun genitore provvede da sé al mantenimento dei figli per il periodo in cui coabita con essi. L’eliminazione del contributo mensile del genitore non collocatario, naturalmente, presuppone che i figli trascorrano effettivamente uguali tempi presso ciascun genitore.
Sono fatte salve le cosiddette spese straordinarie o, più correttamente, quelle spese che, per le loro caratteristiche, devono ritenersi non comprese nell’assegno di mantenimento.
Nel nostro caso, stando a quanto viene riferito, è stato adottato il sistema del collocamento prevalente, con corresponsione da parte del padre, quale genitore non collocatario, di un contributo mensile per il mantenimento.
Ciò premesso, va detto che di regola i tribunali adottano specifici protocolli per la regolamentazione delle spese relative ai figli minori, che possono essere utilizzati come criteri di riferimento per risolvere sul nascere eventuali dubbi e controversie.
Oltre ai protocolli stipulati presso i singoli uffici giudiziari, esistono anche linee guida elaborate dal Consiglio Nazionale Forense (reperibili all’indirizzo https://www.consiglionazionaleforense.it/documents/20182/69024/ai+Presidenti+dei+COA+-+trasmissione+Linee+Guida+per+modalit%C3%A0+mantenimento+dei+figli+nelle+cause+di+diritto+familiare++%2829-11-2017%29.pdf/8ebd2cae-ad1e-4ca6-98d6-bcc941f5e72a).
Sulla base di tali linee guida, sia l’abbigliamento, sia i medicinali cosiddetti “da banco”, anche laddove prescritti dal pediatra, devono ritenersi compresi nell’assegno di mantenimento e non sono, dunque, rimborsabili a parte secondo le regole proprie delle spese "extra".

Paolo F. chiede
domenica 04/07/2021 - Campania
“Sono divorziato e riconosco all'ex coniuge euro 500,00 per il mantenimento di mio figlio. Adesso mio figlio lavorerà per circa 4 mesi lontano da casa per cui vorrei sapere se posso chiedere di sospendere l'assegno per questo periodo o chiedere la revoca. Inoltre dal 1/10/2019 al 30/9/2020 mio figlio ha lavorato come portalettere per Poste italiane con contratto a tempo determinato
rinnovato di 3 mesi in 3 mesi per un totale di 12 mesi ed in più ha percepito l'indennità naspi per 6 mesi.
Potrebbe questo bastare per chiedere la revoca del mantenimento?”
Consulenza legale i 05/07/2021
Ai fini della revoca dell’assegno di mantenimento corrisposto per il figlio maggiorenne non è sufficiente la sola circostanza che quest’ultimo abbia trovato un lavoro e percepisca uno stipendio.
È necessario, infatti, che il figlio stesso abbia conseguito l’autosufficienza economica. La relativa prova incombe sul genitore che deve corrispondere l’assegno e che ne chiede la revoca: "in regime di separazione o divorzio fra i genitori l'obbligo di versare il contributo di mantenimento per i figli maggiorenni al coniuge presso il quale vivono cessa solo ove il genitore obbligato provi che i medesimi hanno raggiunto l'indipendenza economica, percependo un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali condizioni di mercato; ovvero che essi volontariamente si sottraggono allo svolgimento di un'attività lavorativa adeguata" (Cass. Civ., Sez. I, sentenza 22/03/2012, n. 4555).
La necessità del conseguimento dell'autosufficienza economica è stata ribadita di recente anche da Cass. Civ., Sez. VI - 1, ord. 14/09/2020, n. 19077, la quale ha evidenziato altresì il diritto del figlio “a mantenere un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia e, per quanto possibile, analogo a quello goduto in precedenza”.
Tra l’altro, ai fini della valutazione circa l’avvenuto conseguimento o meno dell’indipendenza economica, non basta considerare la durata del contratto, o dei contratti, a tempo determinato in base ai quali il giovane ha lavorato, né la congruità della retribuzione; occorre infatti una valutazione “in prospettiva” della situazione lavorativa e professionale del figlio.
Come ha ricordato Cass. Civ., Sez. I, sent. 06/04/2009, n. 8227, l'obbligo del genitore, separato o divorziato, di concorrere al mantenimento dei figli persiste finché non abbiano raggiunto l'indipendenza economica attraverso un'attività lavorativa con concrete prospettive di indipendenza (ovvero non sia provato che, posti nelle concrete condizioni di addivenire a detta autosufficienza, non ne abbiano tratto profitto per loro colpa).
Corollario di tale principio” prosegue la Corte “è che l'espletamento di un lavoro precario, limitato nel tempo, non è sufficiente per esonerare il genitore da un tale obbligo di mantenimento, non potendosi in tal caso affermare che si sia raggiunta l'indipendenza economica la quale richiede [...] una prospettiva concreta di continuità”.

Alessandro P. chiede
venerdì 09/04/2021 - Friuli-Venezia
“La consulenza richiesta riguarda la separazione fra conviventi.
Ho convissuto con la mia compagna per 17 anni, abbiamo 2 figlie una di 16 ed una di 9 anni.
Per una serie di motivi ho deciso di separarmi e avrei necessità di sapere quali sono i miei obblighi verso la mia compagna e le mie figlie dal punto di vista economico, considerando che il mio stipendio mensile ammonta a € 1.600,00.
Naturalmente l'affido delle ragazze sarebbe condiviso.
Abitiamo in un appartamento di proprietà di mia madre che è situato nello stesso stabile in cui vivono i miei genitori e dove io mi trasferirei temporaneamente.
Le ragazze in questo modo avrebbero solo un piano di scale da fare per passare del tempo con me e avrebbero modo anche di fermarsi per la notte.
La mia compagna da diversi anni non lavora ed anche attualmente è disoccupata, non possiede altri redditi e quindi economicamente dipende completamente da me.
Mi interesserebbe, nell'attuale situazione, conoscere quale sarebbe la quota mensile che sarei tenuto a versare per ognuna delle ragazze. Desidererei inoltre sapere se la mia compagna avrebbe diritto agli alimenti e se così fosse a quanto ammonterebbero. Se la sua situazione lavorativa cambiasse avrei ancora obblighi economici verso di lei?
Un' ultima domanda: se io desiderassi continuare ad abitare nell' appartamento familiare, di proprietà di mia madre, potrei chiedere alla mia compagna di trasferirsi altrove pur rimanendo nelle vicinanze? In questo caso quali sarebbero le spese a mio carico?
In attesa di Vs. risposta invio cordiali saluti”
Consulenza legale i 16/04/2021
La disciplina dei criteri cui il giudice si deve attenere nel regolamentare la situazione dei figli, in caso di crisi della coppia genitoriale, è contenuta agli artt. 337 bis e ss. c.c., applicabili anche nei procedimenti riguardanti la prole di genitori non sposati tra loro.
Il principio ispiratore di tale disciplina, che deve orientare ogni decisione assunta in materia, è quello dell’interesse morale e materiale dei figli stessi.
Ciò premesso, passiamo a rispondere ai diversi quesiti posti.
Riguardo al mantenimento, anche se negli ultimi anni si è andata affermando l’idea del “mantenimento diretto” (ciascun genitore provvede autonomamente alle necessità dei figli per il periodo in cui gli stessi si trovano con lei, o lui), nella prassi rimane prevalente il sistema basato sulla corresponsione di un assegno mensile da parte di uno dei genitori, come peraltro espressamente previsto dall’art. 337 ter c.c.
Non è possibile predeterminare a priori l’entità del contributo al mantenimento che, come previsto dalla stessa norma appena citata, è rimessa alla valutazione del giudice e dipende da diversi fattori:
1) le attuali esigenze del figlio
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore
4) le risorse economiche di entrambi i genitori
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.
Si sottolinea, inoltre, che, secondo prassi costante, all’assegno mensile si aggiunge una quota di contribuzione di misura variabile (di solito del 50%, ma è possibile una ripartizione diversa) nelle cosiddette spese straordinarie, cioè non comprese nel mantenimento stesso (quali, a titolo esemplificativo, spese per attività ludiche e sportive, spese mediche non comprese nel S.S.N., ecc.).
Trattandosi di convivenza more uxorio, la ex compagna non avrà diritto ad un assegno di mantenimento (come quello che spetta, in presenza di determinati presupposti, al coniuge in caso di separazione o divorzio): al riguardo è necessario precisare che nel testo del quesito si parla erroneamente di “alimenti”.
Gli alimenti, però, sono una prestazione economica ben diversa dal mantenimento: sono dovuti, infatti, solo da determinati soggetti in favore di persone a loro legate da particolari vincoli, secondo un ordine di preferenza stabilito dal codice civile (art. 433 c.c.); inoltre, spettano solo a chi, tra i beneficiari indicati dalla legge, si trovi in stato di bisogno e non devono superare quanto sia necessario per la vita del beneficiario stesso (art. 438 c.c.).
Ora, la novità introdotta negli ultimi anni è che, ai sensi dell’art. 1, comma 65 della L. n. 76/2016 (c.d. legge Cirinnà), “in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, l'obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle”.
Infine, quanto alla possibilità di “mettere alla porta” la ex compagna, occorre ribadire che anche la decisione relativa all’assegnazione della casa già adibita ad abitazione del nucleo familiare deve conformarsi al criterio prioritario dell’interesse dei figli (art. 337 sexies c.c.): tali considerazioni prevalgono, infatti, sull’eventuale titolo di proprietà. Pertanto anche tale tipo di scelta andrebbe sottoposta alla valutazione del giudice.

Martina P. chiede
domenica 16/08/2020 - Lombardia
“Buongiorno avvocato!
Mi rivolgo a Lei per chiedere una delucidazione in merito alla mia situazione familiare.
Sono una donna di 30 anni di Milano,madre di una bambina di 2 anni, avuta con il mio ex. Con lui ho chiuso i rapporti subito dopo il parto e abbiamo regolamentato in tribunale la gestione della minore. Affidamento congiunto con residenza principale presso di me. Lui ha diritto di visita qualche ora martedì giovedì e a weekend alterni senza pernotto. Mantenimento di 325€ mensili.
Io attualmente sono fidanzata con un maresciallo dei Carabinieri con cui l’anno prossimo mi sposerò. Per lavoro suo, nel termine di un anno massimo due, si trasferirà in Sicilia per proseguire la sua carriera perché avanzerà di grado.
Per non separare la ns famiglia in cui abbiamo in progetto altri figli ovviamente vorremmo trasferisci tutti insieme.
Ho letto vagando in internet che la cosa non è così semplice e in alcuni casi non è proprio fattibile se l’ex impedisce.
Secondo lei, nel mio caso specifico, mi sarà vietato da un giudice il trasferimento con mia figlia in Sicilia con il mio fidanzato che in quell’epoca sarà diventato mio marito?
Il mio scopo non è allontanare la bimba dal padre ma solo di seguire e non separare la mia attuale famiglia. Anche se in modo sicuramente più difficoltoso farei mantenere il loro rapporto sempre presente.
Non sono la madre che vuole togliere nulla a nessuno. Tutto qui.
Attendo un suo gentile riscontro.
Nel mentre le porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 07/09/2020
In materia di affidamento dei figli minori è bene ricordare il principio secondo cui ogni provvedimento va adottato “con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale” dei figli stessi (art. 337 ter del c.c.).
Tale regola cardine deve essere applicata, dunque, anche all’ipotesi del trasferimento di residenza di uno dei genitori separati, ed in particolar modo - come nel nostro caso - del genitore collocatario.
Un efficace chiarimento sull’argomento si ritrova nella sentenza della I Sezione Civile della Cassazione, n. 9633/2015.
In tale sede la Suprema Corte ha precisato che “il giudice non ha il potere d'imporre all'uno o all'altro dei coniugi stessi di rinunziare a un progettato trasferimento, che del resto corrisponde a un diritto fondamentale costituzionalmente garantito [...]. Il giudice non può che prendere atto delle determinazioni al riguardo assunte dell'interessato e regolarsi di conseguenza nella decisione, che gli compete, sull'affido e il collocamento dei figli minori”.
Prosegue ancora la pronuncia in esame: “nessuna norma, inoltre, impone di privare il coniuge che intenda trasferirsi, per questo solo fatto, dell'affido o del collocamento dei figli presso di sé; la decisione del giudice è discrezionale e deve ispirarsi [...] al superiore interesse dei figli minori. In altri termini” conclude la sentenza “di fronte alle scelte insindacabili sulla propria residenza compiute dei coniugi separati, i quali non perdono, per il solo fatto che intendono trasferire la propria residenza lontano da quella dell'altro coniuge, l'idoneità ad essere collocatari dei figli minori, il giudice ha esclusivamente il dovere di valutare se sia più funzionale al preminente interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò incida negativamente sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario: conseguenza, questa, comunque ineluttabile, sia nel caso di collocamento presso il genitore che si trasferisce, sia nel caso di collocamento presso il genitore che resta”.
Pertanto, poiché il trasferimento della madre in altra località situata a notevole distanza dall’attuale residenza comporterebbe necessariamente una revisione delle modalità e dei tempi di frequentazione da parte dell’altro genitore, appare inevitabile rivolgersi al giudice per la modifica delle condizioni di affidamento: naturalmente, in quella sede potrà anche raggiungersi (ed anzi sarebbe auspicabile) una soluzione concordata tra le parti, purché omologata dal Tribunale alla luce dell’interesse della minore.

Daniela N. chiede
mercoledì 04/12/2019 - Piemonte
“Buongiorno,avrei bisogno di una consulenza riguardo la separazione tra conviventi con bimbi piccoli.vorrei capire come muovermi e cosa comporta. Convivo da 8 anni in una casa di proprietà dei miei suoceri, e ho 2 bimbi piccoli,una di 5 anni e uno di 3 mesi che allatto ancora.col mio compagno le cose non vanno piu bene,quando litighiamo perde le staffe,urla,mi insulta,mi dice un sacco di cattiverie,piú volte mi ha minacciato di mandarmi via da casa con la bambina, è riuscito a rovinarmi i ricordi piu belli della nascita dei miei figli,non capita spesso ma ora sono stanca,anche solo una volta è una volta di troppo! vorrei lasciarlo ma non voglio rischiare di perdere i miei bambini.la mia idea sarebbe quella di andare a vivere dai miei per un periodo(abitano a 1 ora di distanza) per poi trovarmi un lavoro e una casa vicino a loro.
Potrebbe impedirmi di andarci vista la distanza?considerando che lui lavora tutta la settimana dalle 7,30 alle 18 e anche il sabato mattina con che frequenza dovrebbe vedere i bambini vista anche la distanza che ci separerebbe?e come funziona per il piccolo che allatto?puó pretendere che nel weekend dorma da lui??di certo non voglio rimanere a vivere in quella casa,isolata,sono sempre sola con dei suoceri dirimpettai assolutamente assenti.mi spiace se mi sono dilungata ma spero di aver reso l'idea della situazione.vi chiedo gentilmente di chiarirmi un po le idee e di darmi qualche consiglio su come muovermi.Grazie mille.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 10/12/2019
Prima di fornire una risposta sull'oggetto della consulenza, si rendono necessarie due precisazioni.
La prima riguarda il fatto che comportamenti del convivente, quali quelli descritti nel quesito, possono avere rilevanza penale, non solo come singoli episodi di ingiurie, minacce e quant'altro, ma soprattutto, in caso di abitualità, ai fini della sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia previsto dall'art. 572 del c.p.
Come ha chiarito anche in tempi recenti la Corte di Cassazione (Sez. VI Pen., sentenza n. 19776/2019), "integra tale delitto il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, e non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo".
La seconda, altrettanto doverosa, precisazione riguarda l'affermazione "vorrei lasciarlo ma non voglio rischiare di perdere i miei bambini".
Si tratta di un timore del tutto comprensibile in una madre - e che anzi spesso viene utilizzato come arma di ricatto - ma che non ha ragion d'essere.

Arriviamo così all'oggetto specifico del quesito.
Gli artt. 337 bis ss. del c.c. prevedono ora una serie di norme volte a tutelare i figli minori, o comunque non autosufficienti, per il caso di crisi della coppia genitoriale, sia essa una coppia "di fatto" oppure unita in matrimonio.
Tali norme sanciscono, tra gli altri, il principio per cui ogni provvedimento riguardante la prole deve essere assunto dal giudice con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale dei figli stessi.
Quanto alle modalità dell'affidamento, l'opzione prevista dalla legge come prioritaria è quella dell'affidamento condiviso; l'affidamento esclusivo ad un solo genitore può essere disposto solo quando l'affidamento all'altro sia ritenuto, dal giudice, contrario all'interesse del minore.
Il primo consiglio è quello di rivolgersi ad un legale, esponendo tutte le circostanze del caso, ivi compresa la condotta tenuta dal compagno. Una conoscenza completa della situazione è, infatti, indispensabile per scegliere le azioni da intraprendere.
La prima strada da seguire sarà quella di tentare una soluzione "pacifica" delle questioni riguardanti la prole, raggiungendo ove possibile un accordo sull'affidamento e sulla frequentazione dei figli, sulle condizioni economiche (mantenimento, assegnazione della casa familiare) e su ogni altra questione collegata.
Qualora non venga raggiunto un accordo tra le parti, la decisione sarà rimessa al giudice.

Va tenuto presente che, ai sensi dell'art. 337 sexies del c.c., "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli". Infatti, di norma, l'abitazione adibita a residenza familiare - a prescindere dall'eventuale titolo di proprietà - viene assegnata al genitore con cui i figli convivono o comunque dimorano prevalentemente. Trattandosi, nel nostro caso, di bambini in tenera età, gli stessi verrebbero affidati alla madre che ben potrebbe, quindi, divenire assegnataria della casa familiare.
Tuttavia nulla vieta che, per le esigenze accennate nel quesito (del tutto condivisibili), la madre si trasferisca presso o nelle vicinanze dei propri genitori. La distanza tra i due luoghi (un'ora di macchina) non appare tale da consentire al padre di opporsi.
Quanto alla frequenza con cui il padre potrebbe/dovrebbe vedere i figli, non esistono regole predeterminate: in mancanza di accordo tra i genitori (pur sempre sottoposto al controllo del tribunale), deciderà il giudice. Naturalmente, finché il bambino viene allattato in maniera esclusiva o comunque non è completamente svezzato, non sarà fattibile un pernottamento presso il padre. Sul punto la giurisprudenza, anche se meno "rigida" rispetto al passato (fino a qualche tempo fa si tendeva ad ammettere il pernottamento presso il padre a partire dai tre anni di vita del piccolo), insiste comunque sulla necessaria gradualità dell'introduzione dei pernottamenti, ribadendo in ogni caso come l'unico criterio di riferimento debba essere quello dell'interesse del figlio.

Andrea P. chiede
giovedì 04/07/2019 - Campania
“Buongiorno.
La mia domanda è relativa ai rischi legati all'affidamento minore in caso di separazione.

Cerco di riassumere brevissimamente la situazione. Da 3 anni ho intrecciato una relazione con una donna sposata, madre di una bimba di 4 anni. Il rapporto tra noi è serio e sto affrontando insieme a lei le difficoltà e le paure legate alla separazione.
Il rapporto con il marito è in una situazione di separazione di "fatto" ormai da tempo, ma manca tutta la parte concreta legata alla formalizzazione della separazione stessa. Insieme hanno, per il momento, abbozzato un accordo verbale di separazione consensuale. Premetto che il marito è certamente contrario alla separazione, ma conscio dei continui litigi e problemi nella coppia.

Il problema ora (ed il focus della mia richiesta) è che lei, all'insaputa del marito a cui ha fornito delle scuse (ferie insieme ad amici), ha trascorso dei giorni di vacanza al mare con me e la bambina (giorni di assoluta serenità e felicità per la bimba). Ora c'è la seria possibilità che il marito possa venire a conoscenza di questi giorni e quindi appellarsi in qualche modo in fase di separazione a questo episodio. Lui sospetta da tempo la nostra relazione e da giorni "interroga" la bimba per carpire dettagli circa la vacanza.

Qualora scoprisse di questa settimana trascorsa dalla moglie e dalla figlia insieme a me (ripeto il marito era d'accordo a lasciare che la bimba passasse una settimana al mare con la madre, era a conoscenza del luogo dov'erano alloggiate, ma non che ci fossi io con loro), quali sarebbero i rischi in caso di separazione? Non tanto per quanto riguarda l'eventuale addebito per colpa della separazione stessa, quanto legato all'affidamento della piccola?
C'è il rischio concreto che il padre possa ottenere l'affidamento ESCLUSIVO a causa di questo episodio?

Aggiungo che lei è una madre esemplare in ogni cosa per la piccola, giudizio universalmente riconosciuto da amici e parenti. Non esistono quindi episodi di alcun tipo in senso contrario a cui il padre eventualmente possa appellarsi. Lei è amatissima dalla figlia e che la bimba con me ha un bellissimo rapporto.

Sono a conoscenza che quando ci sono dei minori di mezzo in fase di separazione, ogni situazione è particolare e va valutata con attenzione caso per caso, ma esiste una casistica similare nella giurisprudenza? L'episodio della vacanza, seppur unico, può costituire motivazione concreta per concedere l'eventuale affido esclusivo al padre?
Grazie per la risposta.”
Consulenza legale i 10/07/2019
La disciplina dell’affidamento dei figli in caso di crisi della coppia genitoriale (sia essa unita o meno in matrimonio) è ispirata al principio cosiddetto della bigenitorialità.
Ciò si desume innanzitutto dall’art. 337 ter del c.c., il quale prevede che “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
La norma prosegue precisando che i provvedimenti relativi alla prole devono essere adottati dal giudice “con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa”.
Per questo è previsto che il giudice valuti “prioritariamente” la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori.
L’art. 337 quater del c.c. stabilisce invece che il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga, con provvedimento motivato, che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore.

Pertanto, nel sistema giuridico vigente, l’affidamento condiviso costituisce la regola, mentre l’affidamento esclusivo si presenta come extrema ratio, cui si può ricorrere solo quando l’affidamento anche all’altro genitore risulti potenzialmente dannoso per il figlio.
La giurisprudenza (si veda la recente Cass. civ., Sez. I, 6535/2019), ha affermato che alla regola dell'affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti "pregiudizievole per l'interesse del minore", con la duplice conseguenza che l'eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell'altro genitore.
Oppure Cass. Civ., Sez. I, 27/2017 ha precisato che l'affidamento dei figli minori ad entrambi i genitori costituisce il regime ordinario di affidamento, che non è impedito neppure dall'esistenza di una conflittualità tra i coniugi, tranne quando tale regime sia pregiudizievole per l'interesse dei figli.
Nel caso in esame, la condotta della madre, la quale - pur in una situazione di separazione di fatto protrattasi da diverso tempo - ha portato la figlia, all’insaputa del padre, in vacanza insieme al nuovo compagno, certamente non appare caratterizzata né da correttezza né da quella prudenza cui devono essere improntate tutte le delicate scelte in materia di rapporti tra genitori e figli.
Tuttavia, non appare nemmeno probabile che questo solo episodio possa, di per sé, spingere il giudice a decidere nel senso di un affidamento esclusivo della bambina al padre. Infatti, l’affidamento ad un solo genitore non è una sanzione per comportamenti eventualmente “scorretti” tenuti da un genitore, ma si rivela una scelta obbligata solo quando l’affidamento condiviso possa causare pregiudizio ai figli.
In questo caso, la tenera età della bambina, il buon rapporto di questa con la madre, ed il fatto che si tratti di episodio isolato contribuiscono ad allontanare lo "spettro" di un affidamento esclusivo.
Naturalmente, è opportuno che i genitori della bambina provvedano a formalizzare quanto prima la loro separazione, possibilmente in via consensuale, concordando tempi e modalità di frequentazione della minore; ed è naturalmente auspicabile che episodi come quello riferito non si ripetano all’insaputa del padre.

Anonimo chiede
martedì 02/07/2019 - Veneto
“Buongiorno.

Convivo con il mio compagno, separato e padre di due bambine di 10 e 14 anni, dal quale ho avuto una figlia che ora ha 2 anni. Purtroppo la nostra relazione si è deteriorata in maniera irrecuperabile a causa di incomprensioni insormontabili, a partire dal fatto che non intende rinunciare alle "canne" che fuma ogni sera. Sono dunque arrivata alla dolorosa decisione di separarmi, tuttavia mi trovo prigioniera della situazione perché, pur convinta che mia figlia debba mantenere il naturale rapporto con il padre, l'idea che debba pernottare da sola presso la sua abitazione mentre è completamente inebetito dalla droga mi terrorizza. Il mio compagno è consapevole di questa mia paura e la usa come arma di ricatto per tenermi con sé. La moglie, da cui sta divorziando, non ha mai citato nella causa la sua tossicodipendenza, non so se perché lo ignori (dubito!) o per scelta, per cui le due bambine vengono e dormono a casa nostra a weekend alterni: nonostante la presenza delle figlie maggiori, consuma regolarmente le sue "canne" preoccupandosi solo di non farsi vedere. È evidente che, se succedesse qualcosa mentre lui è sotto l'effetto della droga, l'unica persona in grado di agire sarei io - è già capitato che non mi abbia potuto accompagnare al Pronto Soccorso con la bambina che stava male perché "fatto". Ovviamente proietto questa preoccupazione nel momento in cui dovessi lasciare mia figlia da sola a pernottare dal padre.

È possibile che, se ci separassimo, nonostante questa sua condizione di tossicodipendenza abbia comunque il diritto di tenere a dormire la bambina, come mi ha prospettato la psicologa a cui ci eravamo rivolti? Non ho proprio alcun strumento per impedirlo, consentendogli di vederla solo durante il giorno? Finora mi sono procurata alcuni video, ripresi di nascosto, in cui il mio compagno si prepara le canne e le fuma, ma non so se possano avere qualche utilità. Sarò costretta a vivere con lui finché la bambina non sarà sufficientemente grande?

Vi ringrazio sin d'ora.

Consulenza legale i 04/07/2019
L’art. 30 della Costituzione stabilisce dei principi generali in tema di responsabilità genitoriale sancendo che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio ai quali la legge assicura tutela giuridica e sociale.

La L. 54/2006 ha introdotto poi per la prima volta la regola generale del cd. affido condiviso: in caso venga meno l’unione dei genitori (sia che si tratti di genitori coniugati che di famiglia di fatto) la legge tende a garantire al minore un rapporto equilibrato sia con il padre che con la madre.
Ciò è stabilito espressamente all’art. 337 ter ter del codice civile secondo cui: “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.”
Tale regola generale non esclude, tuttavia, che possa essere previsto anche un affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori qualora il giudice “ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore.”
Del resto, ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo.
Sul punto, la Suprema Corte con sentenza n. 14728/2016 ha infatti sottolineato che: “In tema di affidamento dei figli minori il criterio primario cui deve attenersi il giudice della separazione o del divorzio è costituito dall'esclusivo interesse morale o materiale della prole il quale, imponendo di privilegiare la soluzione che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore, richiede un giudizio prognostico in ordine alla capacità del padre e della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, da esprimersi sulla base di elementi concreti attinenti alle modalità con cui ciascuno di essi ha svolto in passato il proprio ruolo e, in particolare, alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, comprensione, educazione, disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché mediante l'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore”.

Ciò premesso, venendo al caso in esame si osserva quanto segue.

La situazione in cui versa il Suo compagno, padre di Sua figlia, appare in astratto legittimare una richiesta di affido esclusivo in Suo favore della bambina.
Una pronuncia di merito di qualche anno fa (Trib. Catania, ord. Del 25.09.2014) ha, ad esempio, disposto un affido esclusivo alla madre in quanto il padre era dedito all’uso della cannabis e non era quindi affidabile nei confronti della prole.

Alla luce di ciò, gli strumenti legali che Lei ha a disposizione possono essere esercitati tramite un ricorso in tribunale ai sensi dell’art. 316 del codice civile nel quale, illustrando la situazione descritta nel quesito, potrà richiedere un affidamento esclusivo della bambina in Suo favore specificando altresì che il padre potrà vedere la figlia solo durante il giorno e motivando tale richiesta (provando la circostanza anche con testimoni) con lo stato di dipendenza da droghe leggere del Suo compagno.

Del resto, anche in situazioni “normali” la Corte di Cassazione (sentenza n. 19594/11) ha sottolineato che appare corretto ridurre ad una sola notte a settimana il pernottamento del minore col padre, almeno fino al compimento dei 4 anni di età del bambino.

Anonimo chiede
lunedì 28/05/2018 - Veneto
“Buongiorno,

ho alcune questioni che desidererei chiarire per poter togliermi dei dubbi ed essere già ampiamente informato riguardo a delle decisioni che sto valutando se intraprendere o meno, e le conseguenze che potrebbero comportare le stesse.

Cercherò di spiegarle il problema il più dettagliatamente possibile, in modo che Lei possa valutare con gli elementi che le fornirò tutte le possibili strade percorribili ed i vari probabili scenari che mi si potrebbero porre dinanzi.

Sono un ragazzo di 30 anni, io e la mia attuale compagna abbiamo una bambina di 20 mesi compiuti. Io e la mia compagna non abbiamo nessun legame giuridico, non siamo sposati né risultiamo effettivamente conviventi. Io posseggo la residenza al mio paese di origine, allo stesso indirizzo da quando sono nato. Residenti con me risultano essere anche entrambi i miei genitori, regolarmente sposati. La casa è indipendente (non alloggiamo in condomini o villette a schiera o similari), disposta su tre piani. Quello centrale è il piano dove alloggiano i miei genitori, il piano sottotetto si trova allo stato grezzo ed il pianterreno attualmente dispone di cucina, una camera da letto, un bagno, cantina, garage e locale caldaia, ed è libero. La casa è di proprietà di mio padre, e si trova in un piccolo comune in provincia di (omissis). Sono figlio unico.

La mia compagna risiede a sua volta nei pressi del suo paese d’origine, ed attualmente è residente in una casa in affitto da circa 10 anni o poco più. Il contratto di affitto è intestato unicamente a lei. Assieme a lei risultano residenti la nostra bambina e l’altra figlia di lei, di quasi 13 anni, avuta da una precedente relazione. La relazione che ha avuto con il padre di questa bambina è simile alla mia, non sono stati sposati. Il padre della bambina abita a circa 4 km dalla residenza della mia compagna ed ha già da parecchi anni regolamentato l’affidamento della figlia assieme alla mia compagna. Lei risiede in un paesino in provincia del (omissis). La distanza in termini stradali tra la mia residenza e la sua è di circa 460 Km.

La nostra bambina di 20 mesi è regolarmente riconosciuta da entrambi ed è in salute.

Io ho un contratto di lavoro a tempo indeterminato con un’impresa di costruzioni in provincia di Torino, con mansione di impiegato tecnico. Lavoro con questa impresa da 10 anni continuativi, ed ho un salario mensile regolare. Lavoro attivamente in cantieri edili di vario tipo, in svariate località. Generalmente i cantieri hanno durate che spaziano da qualche mese ad un anno o due, e possono trovarsi un po’ ovunque. Negli ultimi dieci anni ho lavorato sempre in Italia, ad eccezione di un cantiere in Francia che dista circa 30 Km dal confine italiano. Generalmente, salvo eccezioni indotte da particolari esigenze lavorative, posso contare su turni lavorativi che vanno dalla settimana lavorativa standard (quindi lavoro dal lunedì al venerdì e sabato e domenica rientro a casa) a periodi di 10 gg consecutivi di lavoro seguiti da 4 gg consecutivi di riposo a casa. Chiaramente come avrà intuito, nei giorni di lavoro sono assente da casa ed alloggio nelle strutture messe a disposizione dall’impresa ed a carico dell’impresa, nei pressi del cantiere in corso. Al termine dei miei turni lavorativi rientro presso la mia abitazione, o comunque posso assentarmi dal cantiere e trascorrere i miei giorni di riposo nella località che preferisco.

Attualmente, nella maggior parte dei week end (o comunque nei periodi di riposo che mi sono normalmente concessi), com’è logico, rientro alla casa della compagna (dove per l’appunto risiede anche la nostra bambina) e trascorro i riposi in loro compagnia.

La compagna ha un lavoro a tempo indeterminato presso una cooperativa di pulizie vicino casa. Lavora con un orario ridotto (non a tempo pieno) comprendente qualche ora al giorno, e si gestisce quasi autonomamente i locali nei quali deve fare le pulizie. Il suo raggio lavorativo rientra sulla decina di km dall’abitazione, raramente a 20-30 Km. Si può trovare in casa per buona parte della giornata, in orari diversi in base al giorno della settimana.

Io e la compagna non possediamo nulla di co-intestato, né il conto corrente bancario, né immobili, né vetture, né quant’altro. Tutto quello che riguarda la sua abitazione (attualmente in affitto), compreso quindi bollette luce gas ecc, è intestato a lei.
Per quanto riguarda la presa in carico fiscale della bambina, possiede lei il 100% della figlia a carico, e ne percepisce gli assegni famigliari.

Su iniziativa personale, e senza nessun obbligo di legge, con cadenza mensile trasmetto tramite bonifico bancario un certo importo alla compagna, quale supporto per il giusto mantenimento congiunto di nostra figlia, circa da quando ha compiuto il terzo mese di vita in avanti.

Negli ultimi mesi sono iniziati alcuni dissapori tra me e la compagna, che stanno minando la nostra relazione. Non avendo nessun vincolo giuridico con lei, chiaramente non sono sottoposto a casi di divorzio o quant’altro.

Principalmente questo comporterebbe ad una “separazione” in termine di rapporti umani, per la quale io desidererei ricondurre la mia vita al mio paese d’origine o comunque in altro ambiente, e non più con lei. Ora l’unico vincolo a tutto ciò riguarda l’affidamento della bambina e, più correttamente parlando, la regolamentazione del tempo che può/deve trascorrere con me, sotto la mia diretta giurisdizione, ed il tempo che può/deve trascorrere con la madre, oltre che all’aspetto economico per il sostentamento della bimba.

La mia richiesta quindi vèrte su vari punti che vorrei chiarire prima di intraprendere azioni legali per la regolamentazione di tutto ciò:

- Alla luce della situazione attuale che le ho presentato e di tutti gli elementi forniti, che spero siano sufficienti per definire un giudizio più realistico possibile, verosimilmente la bambina potrebbe, con cadenza regolare, venire affidata a me per i giorni che ho a disposizione di riposo dal lavoro (e che quindi mi permettono di assentarmi dal cantiere per tornare alla mia abitazione)?

Per “affidamento” intendo prelevare la bambina dalla sua abitazione attuale presso la madre e portarla alla mia abitazione od al mio alloggio che andrò a definire successivamente, e trascorrere con lei il tempo e le giornate che mi sono concesse dalla sentenza del tribunale, in caso di azione legale.

- La stessa richiesta vale per periodi particolari dell’anno quali feste nazionali e religiose, o periodi prolungati di ferie che ho a mia disposizione come ad esempio il periodo natalizio e le ferie estive, quindi si parla di periodi che possono anche variare tra la settimana ed i 10-15 gg consecutivi. Verosimilmente in questi periodi come viene generalmente disposta la permanenza della bambina presso uno o l’altro genitore?

- Supponendo che io riesca o comunque voglia ricondurre la mia vita presso il mio paese d’origine, posso pensare di prelevare la bambina dalla sua abitazione presso la madre, per farle trascorrere qualche giorno dove risiedo (e risiedono i nonni della mia bambina, ovvero i miei genitori), per poi riportarla da lei? Se sì, con quale cadenza? Tenendo presente che con probabilità proseguirei comunque a svolgere la mia attività lavorativa attuale.

- In maniera più generica, richiedendo una regolamentazione presso il tribunale per il mantenimento di nostra figlia, da genitori non conviventi quali noi siamo, quale scenario mi si potrebbe facilmente porre davanti? E quali diritti e di conseguenza obblighi? Tenendo in considerazione tutti gli elementi che le ho fornito ed in particolar modo il mio indirizzo di residenza attuale, al quale terrei portare la bambina nei giorni che mi sono eventualmente concessi, chiaramente in maniera autonoma e senza la presenza della madre.

Chiaramente tutte le richieste riguardano la facoltà di trascorrere del tempo con mia figlia, senza la presenza della madre e non presso la sua abitazione, avendo così piena giurisdizione sulla bambina per i periodi che mi sono concessi, compresi periodi di più giorni consecutivi e quindi con il pernottamento della bambina presso il mio alloggio.

- Tutto ciò si può ottenere da subito o ci sono delle tempistiche legate all’età della bambina o ad altri fattori particolari del caso, presenti nella mia situazione specifica?

- Cosa si può ottenere o cosa difficilmente sarà ottenibile da una sentenza del tribunale su richiesta consensuale per la regolamentazione di affidamento della bambina?

Ringraziando per l’attenzione ed auspicando di riuscire a definire uno scenario futuro più chiaro e realistico possibile, nel caso decidessi di intraprendere le vie legali che le ho prospettato, colgo l’occasione per porgere

Cordiali Saluti.

Consulenza legale i 05/06/2018
La materia dell’affidamento dei figli in caso di crisi del vincolo matrimoniale o, come in questo caso, della coppia di fatto, è governata dal principio della bigenitorialità, introdotto già con L. n. 54/2006, ovvero del diritto del figlio minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale (art. 337 ter del c.c., introdotto con D.Lgs. n. 154/2013).
Con le riforme degli ultimi anni, infatti, si è cercato di superare il rigido schema dell’affidamento ad un solo genitore, che vedeva il genitore non affidatario spesso poco coinvolto (e poco responsabilizzato) nelle scelte riguardanti la vita e la crescita dei figli e spesso visto come mero “erogatore” di un contributo mensile per il mantenimento, in favore del sistema c.d. dell’affidamento condiviso.
Secondo la disciplina ora in vigore, al fine di realizzare il principio di bigenitorialità, il giudice, nell’adottare i relativi provvedimenti, deve seguire come criterio esclusivo di riferimento l'interesse morale e materiale della prole.
A tale scopo, il giudice valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori, oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli.
Il giudice può prendere atto degli eventuali accordi intervenuti tra i genitori, purché non contrari all'interesse dei figli.
Ai sensi dell’art. 337 quater del c.c., l'affidamento esclusivo (cioè ad uno solo dei genitori) può essere disposto solo qualora il giudice ritenga che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore. Le ragioni di tale scelta vanno comunque esposte in un provvedimento motivato.
In caso di affidamento esclusivo, è il genitore affidatario che, salva diversa disposizione del giudice, ha l'esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale sui figli; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.


Invece nell’ipotesi “fisiologica” dell’affidamento condiviso la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo dai genitori tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.
Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente. Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.


Per quanto riguarda gli aspetti economici, salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore
4) le risorse economiche di entrambi i genitori
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
Esaurita la necessaria premessa, occorre precisare come, in questa sede, non sia possibile fornire una prognosi certa circa i provvedimenti che potrebbero venire assunti dal giudice competente che, in questo caso, è il tribunale ordinario in composizione collegiale (e non più il tribunale per i minorenni, avendo le recenti riforme equiparato anche in questo i figli nati fuori dal matrimonio a quelli nati da coppie sposate).
Molto dipende, infatti, dalla valutazione che verrà fatta dal tribunale sulla base dell’interesse della minore (che costituisce il criterio esclusivo di valutazione della congruità delle condizioni di affidamento richieste).
Alla luce degli elementi forniti nel quesito, è verosimile che, non risultando ragioni ostative, venga disposto l’affidamento condiviso della minore, la quale con ogni probabilità risiederà in via prevalente presso la madre.
Certamente il padre potrà richiedere che la figlia trascorra con lui i giorni in cui egli è libero dal lavoro, da determinarsi preventivamente (es. fine settimana), ovvero da concordare con la madre a seconda di eventuali turni variabili di lavoro.
Analogo discorso può farsi per le festività (normalmente si prevede che il minore trascorra parte delle festività rispettivamente con l’uno o con l’altro genitore, ad anni alterni), e si potrà altresì disporre e/o concordare una permanenza della bambina presso il padre in occasione delle vacanze estive.
La frequentazione con tali modalità da parte del padre non è in linea di principio preclusa dall’eventuale trasferimento di quest’ultimo presso il proprio paese d’origine (situato a notevole distanza dalla residenza della madre ed attuale residenza della bambina): anche in questo caso, tuttavia, occorre adottare come esclusivo parametro di riferimento l’interesse della minore. Ad esempio, le modalità di frequentazione da parte del padre non dovranno interferire con la frequenza scolastica della bambina e con gli impegni di quest’ultima (chiaramente, le esigenze di questo tipo aumenteranno nel corso degli anni).


Per quanto riguarda il mantenimento, si è visto come il sistema attualmente vigente, fondato sull’idea del mantenimento diretto, escluda, in linea di principio, ogni automatismo nella previsione di un assegno, che appare anzi meramente eventuale e con il solo scopo di riequilibrare il differente apporto economico delle parti (che deve essere proporzionale alle capacità di ciascuno).
Nella pratica, tuttavia, la previsione di un contributo fisso mensile, da corrispondersi al genitore col quale il figlio trascorre la maggior parte del tempo, costituisce ancora l’ipotesi più frequente. La misura dell’assegno mensile dipenderà, naturalmente, dalla valutazione che il tribunale opererà riguardo alle condizioni economiche dei coniugi.


Normalmente in aggiunta all’importo fisso mensile viene stabilita la ripartizione tra i genitori al 50% delle spese che non possono ritenersi comprese nel concetto di “mantenimento” ordinario.
In proposito, il Consiglio Nazionale Forense ha elaborato, in tempi recenti (29 novembre 2017), una serie di linee guida per la regolamentazione del mantenimento dei figli nelle cause di diritto familiare.
Secondo le citate linee guida, costituiscono spese comprese nell’assegno di mantenimento quelle relative a: vitto, abbigliamento, contributo per spese dell'abitazione (utenze incluse), spese per tasse scolastiche (ad eccezione di quelle universitarie) e materiale scolastico di cancelleria, mensa, medicinali da banco (compresi antibiotici, antipiretici, medicinali per la cura di patologie ordinarie e stagionali), spese di trasporto urbano (tessera autobus e metro), carburante, ricarica cellulare, uscite didattiche, organizzate dalla scuola in ambito giornaliero; baby sitter, se già esistenti nell'organizzazione familiare); prescuola e doposcuola, se già presenti nell'organizzazione familiare prima della separazione o conseguenti al nuovo assetto determinato dalla cessazione della convivenza, a condizione che si tratti di spesa sostenibile; trattamenti estetici (parrucchiere ed estetista), attività ricreative abituali (cinema, feste, attività conviviali), spese per la cura degli animali domestici dei figli (salvo che questi siano stati donati successivamente alla separazione o al divorzio).
Costituiscono, invece, spese extra assegno obbligatorie, per cui non è richiesta la previa concertazione tra i genitori, quelle riguardanti: libri scolastici, spese sanitarie urgenti, acquisto di farmaci prescritti ad eccezione di quelli da banco, spese per interventi chirurgici indifferibili (sia presso strutture pubbliche che private), spese ortodontiche, oculistiche, e sanitarie effettuate presso il S.S.N. in difetto di accordo sulla terapia con specialista privato; spese protesiche; spese di bollo e di assicurazione per il mezzo di trasporto quando acquistato con l'accordo di entrambi i genitori.


Da ultimo, vi sono spese extra assegno subordinate al consenso di entrambi i genitori, che a loro volta possono suddividersi in diverse categorie.
In quelle scolastiche rientrano: iscrizioni e rette di scuole private; iscrizioni, rette ed eventuali spese alloggiative per fuori sede di università pubbliche e private; ripetizioni; frequenza del conservatorio o di scuole formative; master e specializzazioni post universitari; spese per la preparazione agli esami di abilitazione o alla preparazioni di concorsi (acquisto libri, dispense ed eventuali pernottamenti fuori sede); viaggi di istruzione organizzati dalla scuola, prescuola, doposcuola; servizio baby sitting laddove l'esigenza nasca con la separazione e debba coprire l'orario di lavoro del genitore che lo utilizza; viaggi studio e d'istruzione, soggiorni all'estero per motivo di studio; corsi per l'apprendimento delle lingue straniere.
Nelle spese di natura ludica o parascolastica rientrano: corsi di attività artistiche (musica, disegno, pittura), corsi di informatica, centri estivi, viaggi di istruzione, vacanze trascorse autonomamente senza i genitori, spese di acquisto e manutenzione straordinaria di mezzi di trasporto (mini car, macchina, motorino, moto); conseguimento della patente presso autoscuola private. Invece, nelle spese sportive rientrano le attività sportive comprensive dell'attrezzatura e di quanto necessario per lo svolgimento dell'eventuale attività agonistica.
Chiudono l'elenco le spese per l'organizzazione di ricevimenti, celebrazioni e festeggiamenti dedicati ai figli, nonché le spese medico sanitarie che comprendono: spese per interventi chirurgici, spese odontoiatriche, oculistiche e sanitarie non effettuate tramite S.S.N., spese mediche e di degenza per interventi presso strutture pubbliche o private convenzionate, esami diagnostici, analisi clinici, visite specialistiche, cicli di psicoterapia e logopedia.
Tutte le spese extra assegno, subordinate o meno al consenso dei genitori, dovranno essere debitamente documentate.

S.M. chiede
giovedì 23/05/2024
“Buongiorno. Al di fuori di come andrà il divorzio tra mia figlia e suo marito, io e mia moglie gestiamo in qualità di nonni mia nipote per il periodo che la madre lavora... felicissimi di questo ma il nostro tempo libero non esiste praticamente più. Es. al sabato partivamo x escursioni in montagna ecc.... La domanda è la seguente... E' legittimo chiedere in via privata, al di fuori del divorzio, un rimborso agli altri nonni che nel frattempo se ne vanno al mare? Premetto che la nipote sta con noi ormai da due anni.”
Consulenza legale i 29/05/2024
La risposta al quesito posto non può che essere negativa. Non esiste, infatti, un diritto al rimborso né al risarcimento in capo ai nonni che si occupano di accudire i nipoti, da esercitarsi nei confronti dei nonni dell’altro ramo genitoriale che, invece, non fanno i "baby-sitter".
L’art. 317-bis c.c. stabilisce che “gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni”, tanto che, se l’esercizio di tale diritto viene loro impedito, possono ricorrere al giudice.
A tale previsione corrispondono sia quella dell’art. 315 bis c.c., comma 2 - ai sensi del quale “il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti” - sia - in caso di crisi della coppia genitoriale - l’art. 337 ter c.c., il quale elenca tra i diritti dei figli quello “di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
Quanto ai doveri, l’art. 316 bis c.c. prevede la possibilità che i nonni vengano chiamati a contribuire al mantenimento dei nipoti, ma ciò solo in via sussidiaria, solo cioè se i genitori non abbiano mezzi sufficienti.
Al di fuori di questi precisi diritti ed obblighi, però, ogni questione relativa all’accudimento dei nipoti in caso di impegni, lavorativi e non, dei genitori va risolta con questi ultimi, e non possono certo essere avanzate pretese nei confronti dei consuoceri o ex-consuoceri.

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