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Il minore, in seguito alla separazione dei genitori, ha diritto a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi, senza subire condizionamenti

Famiglia - -
Il minore, in seguito alla separazione dei genitori, ha diritto a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi, senza subire condizionamenti
Se la madre ostacola il rapporto affettivo tra padre e figlio, questi possono essere collocati presso una comunità educativa.
La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9143/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla possibilità di collocare padre e figlio presso una comunità educativa, qualora la madre di quest’ultimo ostacoli il loro rapporto affettivo, condizionando psicologicamente il minore.

La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata in seguito al ricorso proposto dal padre di un minore, di fronte al Tribunale per i minorenni, al fine di provvedere, ai sensi dell’art. 333 del c.c., alla riorganizzazione delle competenze genitoriali, con l’esclusione della capacità genitoriale della madre, nonché alla disciplina dell’affidamento del bambino, in modo tale che gli fosse consentito di esercitare i diritti riconosciutigli dalla legge.
La decisione del Tribunale adito di collocare padre e figlio presso un’idonea comunità educativa, veniva, poi, confermata anche dalla Corte d’Appello.

La Corte territoriale, in particolare, richiamava la relazione depositata dai consulenti tecnici d’ufficio nominati in primo grado, da cui era emersa la difficoltà, per il minore, di accettare la separazione tra i genitori, nonché la conseguente necessità di avviare uno specifico percorso psicoterapeutico. Oltre a ciò, i giudici di secondo grado rilevavano, altresì, come le relazioni successivamente trasmesse dai Consultori familiari e dal neuropsichiatra, avessero confermato il rifiuto del minore di interagire con il padre e la presenza di un condizionamento da parte di figure parentali, in primo luogo la madre, la quale si era opposta ad ogni progetto di mediazione e di recupero della genitorialità a causa di sentimenti personali di rifiuto nei confronti dell'ex.

Di fronte a tale decisione, la donna decideva di ricorrere dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, in particolare, l’omessa, insufficiente ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Secondo la ricorrente, infatti, l’interesse superiore del minore imponeva di procedere, ai fini della scelta delle misure da adottare in concreto, ad un bilanciamento tra i rischi e i benefici collegati alle diverse soluzioni, nonché di formulare un giudizio prognostico in ordine alla possibilità e ai tempi di recupero del rapporto genitoriale e alla capacità dei genitori di riprendere un ruolo educativo ed affettivo.
Ad avviso della donna, peraltro, la Corte territoriale aveva omesso di valutare se la soluzione adottata potesse o meno risultare traumatica rispetto alla continuità affettiva che avrebbe, invece, caratterizzato, la dimora materna.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Con particolare riferimento al citato motivo di doglianza, gli Ermellini hanno sottolineato come la stessa giurisprudenza di legittimità, nel confermare il ruolo fondamentale rivestito, in tema di provvedimenti riguardanti i figli, dall’interesse del minore, quale criterio esclusivo di giudizio, abbia ripetutamente precisato che “il giudizio prognostico da compiere in ordine alla capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione non può in ogni caso prescindere dal rispetto del principio della bigenitorialità, nel senso che, pur dovendosi tener conto del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della loro responsabilità, delle consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che ciascuno di essi è in grado di offrire al minore, non può trascurarsi l’esigenza di assicurare una comune presenza dei genitori nell’esistenza del figlio, in quanto idonea a garantire a quest’ultimo una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, e a consentire agli stessi di adempiere il comune dovere di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione del minore” (cfr. Cass. Civ., n. 9764/2019; Cass. Civ., n. 18817/2015).

Proprio a tale criterio, secondo la Cassazione, si è correttamente attenuta la decisione impugnata, la quale, nell’esaminare le diverse soluzioni ipotizzabili per il collocamento del minore, ha conferito particolare rilievo all’esigenza di assicurare il recupero del rapporto con il padre, il quale era stato pregiudicato da una lunga interruzione dovuta all’atteggiamento della madre nei confronti dell’ex compagno.
In quest’ottica, la Corte territoriale ha correttamente valutato il comportamento di entrambi i genitori nei confronti del figlio, nonché la disponibilità di entrambi a superare la loro conflittualità, evidenziando gli effetti potenzialmente pregiudizievoli di tale situazione sullo sviluppo del minore ed attribuendo, dunque, la preferenza al collocamento del minore con il padre presso una struttura educativa. Tale soluzione è, infatti, stata ritenuta idonea, da un lato, ad evitare il grave condizionamento psicologico del minore, determinato dal continuo contatto con la madre, e, dall’altro, a consentire il superamento delle problematiche personali manifestate dal padre, attraverso adeguati interventi psicoterapeutici.


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