Nel caso esaminato dal Tribunale, un coniuge aveva agito in giudizio al fine di ottenere il divorzio e si era posto il problema di decidere in ordine al mantenimento e all’affidamento del figlio minore, dal momento che i coniugi non si erano trovati d’accordo sul punto.
In particolare, i coniugi, all’inizio del procedimento, si erano reciprocamente accusati di non essere in grado di provvedere adeguatamente alle esigenze del figlio, tuttavia, successivamente, tale accesa conflittualità era stata in qualche modo ridimensionata.
Di conseguenza, il Tribunale riteneva di potersi pronunciare nel senso dell’affidamento condiviso del figlio, in quanto la conflittualità tra i genitori non era tale da “alterare e porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli, tale da pregiudicare il loro interesse, pur determinando, inevitabilmente, un “disagio tollerabile” per la prole”.
A tale conclusione il Tribunale giungeva anche in considerazione della consulenza tecnica psicologica espletata, dalla quale era emerso che, finalmente, i coniugi avevano cominciato a mettere il figlio “al centro della propria attenzione, riconoscendo la tendenza, spesso avvenuta in passato, ad utilizzarlo come “oggetto” di proiezione dei propri conflitti non elaborati”.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il Giudice riteneva di dover disporre l’affidamento condiviso del figlio, collocandolo prevalentemente presso la madre, con la quale il medesimo aveva sempre vissuto.
Passando all’esame relativo all’assegno di mantenimento, il Tribunale rilevava come la madre pretendesse che lo stesso ammontasse a Euro 450 mensili (come previsto in sede di separazione), mentre il padre deduceva che lo stesso avrebbe dovuto essere pari a Euro 300.
Ebbene, in proposito, il Tribunale, dopo aver rilevato che non sussistevano “elementi dai quali trarre quale fosse il tenore di vita avuto dalle parti durante la convivenza”, riteneva che il punto di partenza per la determinazione dell'importo dell'assegno fosse rappresentato da quanto statuito dal Giudice della separazione.
In tal senso, infatti, si era pronunciata anche la Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 1049 del 2010, aveva precisato che “non è precluso al giudice del divorzio adottare come parametro valutativo l’assetto patrimoniale stabilito dalle parti in sede di separazione”.
Tuttavia, poiché risultava essere intervenuto un peggioramento delle condizioni economiche del padre, il Tribunale riteneva opportuno fissare l’importo dell’assegno di mantenimento in Euro 380 mensili.
Quanto, infine, alla richiesta di assegno divorzile avanzata dalla madre, il Tribunale evidenziava che l’art. 5 della legge n. 898 del 1970, prevede due fasi del procedimento di accertamento del diritto all’assegno.
In primo luogo, infatti, il giudice deve verificare l’esistenza del diritto “in astratto”, valutando l’inadeguatezza dei mezzi economici del coniuge che richiede l’assegno, in rapporto al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
In secondo luogo, il giudice dovrà determinare “in concreto” l’ammontare dell’assegno, “tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi”.
Tali elementi, peraltro, osservava il Tribunale, devono valutarsi “in rapporto alla durata del matrimonio”.
Ebbene, nel caso di specie, secondo il Tribunale, l’istruttoria svolta aveva evidenziato lo svolgimento di attività lavorativa da parte della madre e il sopraggiunto licenziamento del padre, il quale, allo stato attuale, godeva unicamente dell’indennità riconosciuta dall’INPS.
Pertanto, secondo il giudice, non sussistevano gli estremi per il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile, anche in considerazione del fatto che “la donna conviveva con altro uomo da tempo suo compagno”.
Precisava il Tribunale infatti, che in base all’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, “l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorchè di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore di vita ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge” (Cass. civ., sentenza 3 aprile 2015, n. 6855)
In conclusione, dunque, il Tribunale pronunciava il divorzio tra i coniugi, affidando il minore in via condivisa ai due coniugi (con collocamento prevalente presso la madre) e ponendo a carico del padre il pagamento di un assegno mensile di Euro 380, a titolo di contributo nel mantenimento del figlio.