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Articolo 1 Legge sulle unioni civili e convivenze [DOPPIONE - aggiornata con i collegamenti]

(L. 20 maggio 2016, n. 76)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Dispositivo dell'art. 1 Legge sulle unioni civili e convivenze [DOPPIONE - aggiornata con i collegamenti]

1. La presente legge istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto.

2. Due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un'unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni.

3. L'ufficiale di stato civile provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell'archivio dello stato civile.

4. Sono cause impeditive per la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso

  1. a) la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso;
  2. b) l'interdizione di una delle parti per infermità di mente; se l'istanza d'interdizione è soltanto promossa, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la costituzione dell'unione civile; in tal caso il procedimento non può aver luogo finché la sentenza che ha pronunziato sull'istanza non sia passata in giudicato;
  3. c) la sussistenza tra le parti dei rapporti di cui all'articolo 87, primo comma, del codice civile; non possono altresì contrarre unione civile tra persone dello stesso sesso lo zio e il nipote e la zia e la nipote; si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 87;
  4. d) la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso è sospesa sino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento.

5. La sussistenza di una delle cause impeditive di cui al comma 4 comporta la nullità dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano gli articoli 65 e 68, nonché le disposizioni di cui agli articoli 119, 120, 123, 125, 126, 127, 128, 129 e 129 bis del codice civile.

6. L'unione civile costituita in violazione di una delle cause impeditive di cui al comma 4, ovvero in violazione dell'articolo 68 del codice civile, può essere impugnata da ciascuna delle parti dell'unione civile, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per impugnarla un interesse legittimo e attuale. L'unione civile costituita da una parte durante l'assenza dell'altra non può essere impugnata finché dura l'assenza.

7. L'unione civile può essere impugnata dalla parte il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità determinato da cause esterne alla parte stessa. Può essere altresì impugnata dalla parte il cui consenso è stato dato per effetto di errore sull'identità della persona o di errore essenziale su qualità personali dell'altra parte. L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che è cessata la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l'errore. L'errore sulle qualità personali è essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altra parte, si accerti che la stessa non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purché l'errore riguardi:

  1. a) l'esistenza di una malattia fisica o psichica, tale da impedire lo svolgimento della vita comune;
  2. b) le circostanze di cui all'articolo 122, terzo comma, numeri 2), 3) e 4), del codice civile.

8. La parte può in qualunque tempo impugnare il matrimonio o l'unione civile dell'altra parte. Se si oppone la nullità della prima unione civile, tale questione deve essere preventivamente giudicata.

9. L'unione civile tra persone dello stesso sesso è certificata dal relativo documento attestante la costituzione dell'unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza, oltre ai dati anagrafici e alla residenza dei testimoni.

10. Mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all'ufficiale di stato civile.

11. Con la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall'unione civile deriva l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni.

12. Le parti concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato.

13. Il regime patrimoniale dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, è costituito dalla comunione dei beni. In materia di forma, modifica, simulazione e capacità per la stipula delle convenzioni patrimoniali si applicano gli articoli 162, 163, 164 e 166 del codice civile. Le parti non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto dell'unione civile. Si applicano le disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile.

14. Quando la condotta della parte dell'unione civile è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altra parte, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'articolo 342 ter del codice civile.

15. Nella scelta dell'amministratore di sostegno il giudice tutelare preferisce, ove possibile, la parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. L'interdizione o l'inabilitazione possono essere promosse anche dalla parte dell'unione civile, la quale può presentare istanza di revoca quando ne cessa la causa.

16. La violenza è causa di annullamento del contratto anche quando il male minacciato riguarda la persona o i beni dell'altra parte dell'unione civile costituita dal contraente o da un discendente o ascendente di lui.

17. In caso di morte del prestatore di lavoro, le indennità indicate dagli articoli 2118 e 2120 del codice civile devono corrispondersi anche alla parte dell'unione civile.

18. La prescrizione rimane sospesa tra le parti dell'unione civile.

19. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni di cui al titolo XIII del libro primo del codice civile, nonché gli articoli 116, primo comma, 146, 2647, 2653, primo comma, numero 4), e 2659 del codice civile.

20. Al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti.

21. Alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni previste dal capo III e dal capo X del titolo I, dal titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del titolo IV del libro secondo del codice civile.

22. La morte o la dichiarazione di morte presunta di una delle parti dell'unione civile ne determina lo scioglimento.

23. L'unione civile si scioglie altresì nei casi previsti dall'articolo 3, numero 1) e numero 2), lettere a), c), d) ed e), della legge 1° dicembre 1970, n. 898.

24. L'unione civile si scioglie, inoltre, quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volontà di scioglimento dinanzi all'ufficiale dello stato civile. In tale caso la domanda di scioglimento dell'unione civile è proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volontà di scioglimento dell'unione.

25. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 4, 5, primo comma, e dal quinto all'undicesimo comma, 8, 9, 9 bis, 10, 12 bis, 12 ter, 12 quater, 12 quinquies e 12 sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonché le disposizioni di cui al Titolo II del libro quarto del codice di procedura civile ed agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.

26. La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.

27. Alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.

28. Fatte salve le disposizioni di cui alla presente legge, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di unione civile tra persone dello stesso sesso nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

  1. a) adeguamento alle previsioni della presente legge delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni;
  2. b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina dell'unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo;
  3. c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti.

29. I decreti legislativi di cui al comma 28 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

30. Ciascuno schema di decreto legislativo di cui al comma 28, a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri, è trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di esso siano espressi, entro sessanta giorni dalla trasmissione, i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia. Decorso tale termine il decreto può essere comunque adottato, anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l'espressione dei pareri parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dal comma 28, quest'ultimo termine è prorogato di tre mesi. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia sono espressi entro il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono essere comunque adottati.

31. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma 28, il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive del decreto medesimo, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al citato comma 28, con la procedura prevista nei commi 29 e 30.

32. All'articolo 86 del codice civile, dopo le parole: «da un matrimonio» sono inserite le seguenti: «o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso».

33. All'articolo 124 del codice civile, dopo le parole: «impugnare il matrimonio» sono inserite le seguenti: «o l'unione civile tra persone dello stesso sesso».

34. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi adottati ai sensi del comma 28, lettera a).

35. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 34 acquistano efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.

36. Ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile.

37. Ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.

38. I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario.

39. In caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari.

40. Ciascun convivente di fatto può designare l'altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati:

  1. a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute;
  2. b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.

41. La designazione di cui al comma 40 è effettuata in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone.

42. Salvo quanto previsto dall'articolo 337 sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.

43. Il diritto di cui al comma 42 viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.

44. Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto.

45. Nel caso in cui l'appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto.

46. Nella sezione VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile, dopo l'articolo 230 bis è aggiunto il seguente: «Art. 230 ter (Diritti del convivente). - Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato».

47. All'articolo 712, secondo comma, del codice di procedura civile, dopo le parole: «del coniuge» sono inserite le seguenti: «o del convivente di fatto».

48. Il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l'altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all'articolo 404 del codice civile.

49. In caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite.

50. I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza.

51. Il contratto di cui al comma 50, le sue modifiche e la sua risoluzione sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico.

52. Ai fini dell'opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l'atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51 deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.

53. Il contratto di cui al comma 50 reca l'indicazione dell'indirizzo indicato da ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo. Il contratto può contenere:

  1. a) l'indicazione della residenza;
  2. b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
  3. c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile.

54. Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalità di cui al comma 51.

55. Il trattamento dei dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche deve avvenire conformemente alla normativa prevista dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, garantendo il rispetto della dignità degli appartenenti al contratto di convivenza. I dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche non possono costituire elemento di discriminazione a carico delle parti del contratto di convivenza.

56. Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti.

57. II contratto di convivenza è affetto da nullità insanabile che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso:

  1. a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza;
  2. b) in violazione del comma 36;
  3. c) da persona minore di età;
  4. d) da persona interdetta giudizialmente;
  5. e) in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile.

58. Gli effetti del contratto di convivenza restano sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile, fino a quando non sia pronunciata sentenza di proscioglimento.

59. Il contratto di convivenza si risolve per:

  1. a) accordo delle parti;
  2. b) recesso unilaterale;
  3. c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;
  4. d) morte di uno dei contraenti.

60. La risoluzione del contratto di convivenza per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle forme di cui al comma 51. Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza.

61. Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il professionista che riceve o che autentica l'atto è tenuto, oltre che agli adempimenti di cui al comma 52, a notificarne copia all'altro contraente all'indirizzo risultante dal contratto. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l'abitazione.

62. Nel caso di cui alla lettera c) del comma 59, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all'altro contraente, nonché al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l'estratto di matrimonio o di unione civile.

63. Nel caso di cui alla lettera d) del comma 59, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l'estratto dell'atto di morte affinché provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l'avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all'anagrafe del comune di residenza.

64. Dopo l'articolo 30 della legge 31 maggio 1995, n. 218, è inserito il seguente: «Art. 30 bis (Contratti di convivenza). - 1. Ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti. Ai contraenti di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata.

2. Sono fatte salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima».

65. In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, l'obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle.

66. Agli oneri derivanti dall'attuazione dei commi da 1 a 35 del presente articolo, valutati complessivamente in 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, in 6,7 milioni di euro per l'anno 2017, in 8 milioni di euro per l'anno 2018, in 9,8 milioni di euro per l'anno 2019, in 11,7 milioni di euro per l'anno 2020, in 13,7 milioni di euro per l'anno 2021, in 15,8 milioni di euro per l'anno 2022, in 17,9 milioni di euro per l'anno 2023, in 20,3 milioni di euro per l'anno 2024 e in 22,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, si provvede:

  1. a) quanto a 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, a 1,3 milioni di euro per l'anno 2018, a 3,1 milioni di euro per l'anno 2019, a 5 milioni di euro per l'anno 2020, a 7 milioni di euro per l'anno 2021, a 9,1 milioni di euro per l'anno 2022, a 11,2 milioni di euro per l'anno 2023, a 13,6 milioni di euro per l'anno 2024 e a 16 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307;
  2. b) quanto a 6,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per gli anni 2017 e 2018, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

67. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base dei dati comunicati dall'INPS, provvede al monitoraggio degli oneri di natura previdenziale ed assistenziale di cui ai commi da 11 a 20 del presente articolo e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 66, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, provvede, con proprio decreto, alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall'attività di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie di parte corrente aventi la natura di spese rimodulabili, ai sensi dell'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

68. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al comma 67.

69. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Data a Roma, addì 20 maggio 2016 MATTARELLA Renzi, Presidente del Consiglio dei ministri Visto, il Guardasigilli: Orlando

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L. P. chiede
mercoledì 13/07/2022 - Campania
“Gentile team, il padre di mio figlio ha venduto (unitamente alla sorella coerede) una casa alla compagna con la quale ha avuto una figlia prima della stipula dell’atto notarile. Non sono legati lui e la compagna, hanno anche residenze diverse, lui nella casa che ha venduto (e dove comunque vive con lei e la bambina) ha residenza e studio legale. Cosa posso fare per tutelare mio figlio che a questo punto è stato estromesso dalla possibilità di ereditare parte del bene? È vero che tra loro (padre compagna figlia e mio figlio) non c’è parentela? Nell’atto pubblico è stato dichiarato che tra venditori e compratore non c’è parentela nè coniugio, corrisponde alla verità ? Grazie”
Consulenza legale i 19/07/2022
Purtroppo quanto dichiarato nell’atto notarile di compravendita corrisponde al vero e, del resto, non potrebbe essere diversamente.
Infatti, il notaio, quale pubblico ufficiale incaricato di ricevere l’atto, non può non essere a conoscenza della circostanza che la convivenza more uxorio tra due persone non è in grado di determinare l’insorgere di alcun vincolo giuridico tra le stesse.

L’ultima riforma che ha indirettamente interessato le coppie di fatto anche nel campo della disciplina delle successioni è stata quella del diritto di famiglia degli anni 2012/2013, a seguito della quale i figli “nati fuori dal matrimonio” sono stati definitivamente parificati ai figli “nati nel matrimonio”, riuscendosi così ad eliminare definitivamente le ingiuste disparità di trattamento che ancora sussistevano in danno dei primi.
Alla riforma del 2012/2013 ha fatto seguito la promulgazione della Legge sulla Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, alla quale si deve l’introduzione di alcune previsioni in favore delle coppie di fatto, con particolare riferimento ai diritti spettanti alla morte del convivente.
Nessun diritto ereditario, ad oggi, può farsi derivare dalla qualità di “convivente”, e questo perché, a differenza del coniuge o dell’unito civilmente, il convivente di fatto non instaura alcun rapporto giuridico con l’altra parte, non potendo come tale essere mai chiamato all’eredità per il fatto in sé di essere stato convivente.

Quanto fin qui detto e quanto affermato dal notaio in atto pubblico, peraltro, trova esplicita conferma all’art. 1 comma 36 della Legge n. 76/2016, norma che fornisce la nozione di convivenza di fatto, qualificando come tale la condizione “di due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, o affinità, da matrimonio o da un’unione civile”.

Chiarito tale aspetto, ci si chiede adesso cosa sia possibile fare per tutelare in qualche modo il figlio di colei che pone in quesito, considerato che di fatto il padre naturale dello stesso ha fatto uscire dal suo patrimonio un bene immobile, in tal modo privando il figlio della possibilità di diventarne erede, seppure pro quota.
Ebbene, trattandosi, almeno formalmente, di atto posto in essere a titolo oneroso, non vi sarà alcuna possibilità in futuro di agire in riduzione per chiedere la reintegrazione della quota di riserva del figlio in tal modo eventualmente lesa.
Per raggiungere tale risultato e, dunque, far rientrare, almeno fittiziamente, nel patrimonio del padre quel bene, occorrerebbe dare prova del fatto che il pagamento del prezzo di vendita è stato soltanto fittizio e che in realtà il denaro trasferito è poi rientrato in qualche modo nel patrimonio della convivente.

Ci si rende conto, tuttavia, che si tratta di una prova difficilissima da conseguire, anche in considerazione del fatto che allo stato attuale il figlio non può intraprendere alcuna azione del genere, non essendosi verificato l’evento a seguito del quale potrà stabilirsi se il figlio abbia subito o meno una lesione della propria quota di riserva (è questo, infatti, un calcolo di cui si occupa l’art. 556 del c.c. e che presuppone necessariamente la morte della persona della cui eredità si tratta).

S. A. chiede
mercoledì 18/05/2022 - Lombardia
“Buongiorno ,
ho una compagna da ...25 anni , viviamo insieme come coppia senza figli da 18 anni in forma ... inesistente giuridicamente, superficialmente retta dal bene reciproco nello scorrere degli anni che però non tutela nessuno dei due in caso di decesso. Da sempre ne siamo consapevoli ma in una progressiva e totale presa di coscienza degli ultimi anni. Recentemente sono deceduti i rispettivi padri e le vicende successorie nelle rispettive famiglie di origine hanno amplificato il valore di problematiche già note: la totale assenza di diritti successori. Mi rivolgo a voi per una risposta sicura e chiara che una ricerca in rete, pur con impegno, non riesce a restituire nella sua completezza. Vorremmo reciprocamente tutelarci in caso di scomparsa di uno dei due, consentendo all'altro di poter entrare in possesso per intero dei beni dell'eredità, magari escludendo anche quote destinate ai familiari originari o fratelli. La domanda: quali sono le forme di unione o di altre tutele disponibili ( scritti , testamenti , elargizioni , ... ) che abbiamo a disposizione per garantirci una serenità in modo che chi sopravvive possa entrare in totale possesso dei beni dell'altro, per garantirsi un miglior proseguimento di vita ?
Ringrazio lo staff ed i professionisti che lavorano in studio e sul sito, tanto utile per dipanare un po' di nebbia, sempre molto fitta in chi mastica poco diritto.
Grazie,cordialità e buon proseguimento.”
Consulenza legale i 25/05/2022
L’art. 1 della Legge 20/05/2016, n. 76 (cosiddetta legge Cirinnà) ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità di ufficializzare l’unione tra due persone in forma diversa dal matrimonio. Tale possibilità è però riservata alle coppie dello stesso stesso, le quali possono costituire una unione civile mediante dichiarazione resa di fronte all'ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni; i relativi atti vengono registrati nell'archivio dello stato civile. L'unione civile tra persone dello stesso sesso è certificata dal relativo documento attestante la costituzione dell'unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza, oltre ai dati anagrafici e alla residenza dei testimoni.
Ora, il comma 21 della norma stabilisce che alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano una serie di disposizioni del codice civile in materia successoria, tra cui quelle sulla successione legittima e sulla quota di riserva in favore dei legittimari, con una sostanziale equiparazione della parte dell’unione di fatto al coniuge.
Tuttavia, come abbiamo già spiegato, tale possibilità riguarda solo le unioni tra persone dello stesso sesso; nel caso di coppie eterosessuali, rimane la “classica” alternativa tra convivenza di fatto o matrimonio.
Pertanto, anche con le recenti modifiche legislative, attualmente al convivente di fatto o more uxorio viene attribuita una serie di diritti (ad esempio, diritti spettanti al coniuge in base all’ordinamento penitenziario, stessi diritti attribuiti al coniuge e ai familiari in caso di malattia o ricovero dell’altro convivente…), nei quali non rientrano i diritti successori. Va precisato inoltre che, ai sensi del comma 36 dell’art. 1 della legge in esame, “si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile”.
Il comma 42 dell’articolo in commento si limita a stabilire che, salvo quanto previsto dall'articolo 337 sexies c.c., in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.
Inoltre, ai sensi del comma 44, in caso di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto.
Allo stato, quindi, l’unico strumento per consentire al convivente di fatto di divenire erede del partner è quello del testamento, il quale incontra, naturalmente, il limite del rispetto della quota riservata ai legittimari.

Alessio B. chiede
giovedì 17/09/2020 - Lazio
“Assegno di mantenimento

Convivo da circa 12 anni con la mia compagna (non siamo sposati) con cui ho un figlio di 7 anni. Entrambi siamo lavoratori dipendenti con redditi di lavoro dipendente che più o meno si equivalgono.
Nel 2012 (poco dopo la nascita di mio figlio) ho donato a mia madre (riservandomi la nuda proprietà) l’usufrutto per 10 anni di un immobile ad uso commerciale che è stato concesso in locazione e i cui redditi sono ad oggi imputati a mia madre in qualità di usufruttuaria. Quando detto usufrutto decennale giungerà a scadenza (nel 2022) tornerò ad essere pieno proprietario del bene e quindi titolare dei relativi redditi da locazione.
Laddove intendessi separarmi ora dalla mia compagna, vorrei sapere:

1) se sono tenuto a corrispondere l’assegno di mantenimento solo per mio figlio o anche per la mia compagna anche se non siamo sposati;

2) se, ai fini del computo dell’assegno di mantenimento, la mia compagna potrebbe rivendicare pretese sui redditi da locazione attualmente percepiti da mia madre (a cui ho donato l’usufrutto per 10 anni dell’immobile suddetto);

3) se, ai fini del computo dell’assegno di mantenimento, potrei essere obbligato a qualche tipo di prestazione per il solo fatto di essere nudo proprietario dell’immobile sopra menzionato o in quanto titolare di conto corrente bancario di cui sono intestatario esclusivo;

4) quando nel 2022 sarò tornato a essere pieno proprietario dell’immobile sopra detto (per riunione dell’usufrutto) e intendessi procedere ad una nuova donazione dell’usufrutto a mia madre, la mia compagna potrà impugnare la donazione al fine di evitare che i redditi da locazione vengano imputati ad altri anziché a me per chiedere eventuali ricalcoli dell’assegno?

Grazie”
Consulenza legale i 23/09/2020
Anche dopo l’entrata in vigore della legge 20/05/2016, n. 76 (c.d. “legge Cirinnà"), che ha introdotto una regolamentazione sia delle unioni civili tra persone dello stesso sesso sia delle convivenze di fatto, il nostro ordinamento non prevede, in linea generale, che in caso di cessazione della convivenza more uxorio il partner economicamente più debole abbia diritto ad un assegno di mantenimento.
Infatti il comma 65 dell’art. 1 della citata legge prevede solo un obbligo alimentare tra conviventi, analogo a quello previsto per altre categorie di soggetti dagli artt. 433 e ss. c.c., e diverso, per presupposti ed ampiezza, dall’obbligo di mantenimento.
In particolare così recita il comma 65 in esame: “in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, l'obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle”.
Per cui, laddove l’ex convivente non si trovi in stato di bisogno, non avrà diritto alla corresponsione di un assegno.
Diverso è il caso in cui i conviventi abbiano stipulato un contratto di convivenza, ai sensi e per gli effetti dei commi 50 e ss. dell’art. 1 L. n. 76/2016, nel quale abbiano appunto previsto la corresponsione di un assegno di mantenimento in caso di cessazione della convivenza stessa: si tratta di una possibilità che presuppone, però, l’accordo tra le parti.
Premesso quanto sopra, la risposta alle rimanenti tre domande dovrà intendersi riferita all’assegno di mantenimento in favore del figlio, visto che, in assenza di espressa pattuizione, non spetta analogo assegno all’ex convivente di fatto.
Dunque, quanto alla seconda domanda, deve escludersi che, in caso di cessazione della convivenza, l’ex compagna possa vantare pretese direttamente sui canoni di locazione dell’immobile.
Semmai, occorre comprendere se, e in che misura, la titolarità di un immobile i cui “frutti civili” vengono percepiti dalla madre del proprietario possa incidere sulla quantificazione dell’assegno di mantenimento spettante ai figli.
In proposito va premesso, in tema di determinazione dell’assegno, che, come affermato da Cass. Civ., Sez. I, ord. n. 19455/2019, “nel quantificare l'ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori oltre all'apprezzamento delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto”.
Ed ancora, secondo Cass. Civ., Sez. I, n. 11772/2010, il giudice deve tener conto non solo delle esigenze attuali del figlio, ma anche delle risorse economiche dei genitori, in modo da realizzare il principio generale di cui all'art. 148 c.c., secondo cui i genitori devono concorrere al mantenimento dei figli in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Peraltro Cass. Civ., Sez. I, n. 18241/2006, con una pronuncia resa in materia di divorzio ma riguardante anche il contributo di mantenimento in favore dei figli, ha affermato che il giudice deve prendere in considerazione, tra l’altro, anche l’entità oggettiva degli immobili di cui il genitore obbligato risulti proprietario, prescindendo dalle risultanze delle dichiarazioni dei redditi.
Ora, ciò che ci chiediamo nel nostro specifico caso è se il giudice possa/debba tenere conto, nella determinazione dell’importo dell’assegno di mantenimento per la prole, del fatto che il padre del minore disponga della nuda proprietà di un immobile, sul quale è stato costituito un usufrutto a tempo determinato, in favore della madre del proprietario, tra l’altro non per soddisfare esigenze abitative, trattandosi di immobile commerciale per il quale l’usufruttuaria percepisce i canoni di locazione.
Considerate tali circostanze, non è escluso che un giudice possa tener conto di quanto sopra, soprattutto nel caso in cui, venuto a scadenza l’usufrutto attualmente esistente, si provveda ad una sua nuova costituzione, come ipotizzato nel quesito.
Al riguardo si tenga presente che la Cassazione (Sez. I Civ., sentenza n. 20064/2011), sia pure nell’ambito di un procedimento per la modifica dell’assegno di mantenimento precedentemente stabilito, aveva confermato le valutazioni dei giudici di merito i quali avevano ritenuto del tutto "strumentale" l'operazione con cui un uomo aveva ceduto la propria azienda alla nipote, facendosi poi assumere, sostenendo che ciò costituisse un peggioramento delle proprie condizioni economiche rilevante ai fini della modifica del contributo al mantenimento dei figli.
Quanto alla domanda n. 3, le considerazioni che precedono hanno già fornito risposta: in effetti, come si è visto, ai fini della determinazione dell’importo del contributo per il mantenimento del figlio minore, il giudice deve compiere una valutazione complessiva delle capacità reddituali e anche del patrimonio dell’obbligato, compresi eventuali immobili. Quanto al conto corrente, bisognerebbe sapere se nello stesso confluiscano redditi ulteriori rispetto a quelli da lavoro dipendente indicati nel quesito.
Rispetto all’ultima parte del quesito, ed alla possibilità per l’ex convivente di "impugnare" una futura nuova costituzione di usufrutto in favore della madre dell’altro genitore, può affermarsi che, in linea teorica, l'ex compagna potrebbe agire in revocatoria ex art. 2901 c.c. sostenendo che l’atto pregiudica il credito per il mantenimento del figlio; naturalmente, in concreto, andrebbero verificati tutti i presupposti oggettivi e soggettivi di tale azione.
Non si deve però creare confusione tra la eventuale esperibilità dell’azione revocatoria con la temuta richiesta di “eventuali ricalcoli dell’assegno”. Come anticipato in precedenza, infatti, la ex convivente potrebbe sostenere, e il giudice ritenere, che l'operazione di cessione dell'usufrutto sia “sospetta”, con la conseguenza di considerare sia il valore dell’immobile in sé, sia il reddito derivante dalla locazione dello stesso ai fini della valutazione della complessiva capacità economica del genitore obbligato.