Nel caso esaminato dal Tribunale, il Tribunale per i minorenni aveva affidato ai Servizi sociali la figlia di una coppia separata, collocando la medesima, in modo prevalente, presso il padre, “regolando i rapporti con la madre e prescrivendo una serie di sostegni e supporti psicologici per il nucleo familiare”.
Successivamente, i genitori erano giunti alla decisione di modificare il collocamento della figlia, favorendo un riavvicinamento della stessa alla madre e presentando apposito ricorso in Tribunale.
Venivano svolti i necessari accertamenti e, tenendo conto anche del complesso delle circostanze, dalle quali era emersa una certa fragilità della minore, che aveva “manifestato sofferenza all’idea di separarsi dalla madre e altrettanto dolore all’idea di separarsi dal padre”, il Tribunale escludeva, per un primo momento, un rientro della minore presso la madre.
Secondo il Tribunale, in particolare, destava “serie perplessità il comportamento tenuto dalla madre verso gli operatori (…) tradottosi in invettive contro gli operatori del Servizio, svalutandone la professionalità”.
Il giudice dubitava sul fatto che tale comportamento, tenuto dalla madre, potesse portare ad un atteggiamento collaborativo con gli enti preposti ed evidenziava, altresì, una certa manifesta immaturità della donna stessa, “al confine con il disagio psichico”.
Dagli accertamenti effettuati, inoltre, l’ambiente familiare della madre appariva “poco definito e a tratti anomalo”: la donna, nello specifico, aveva “dichiarato di vivere da sola con il suo nuovo bambino, ma senza il padre di questi, dichiarando anche che il padre verserebbe un mantenimento mensile (ma allora il nucleo è disgregato)”.
Al contrario, il Tribunale evidenziava come la figura del padre della minore apparisse come “matura nella responsabilità genitoriale, al punto da non aver contrastato il desiderio della ricorrente ma da aver correttamente evidenziato l’importanza che un cambio di collocamento avvenga con modalità e tempi che preservino il prevalente e superiore interesse della minore”.
Il padre, inoltre, era apparso “molto focalizzato sull’effettivo interesse della figlia, dimostrando ampia collaborazione e valido rispetto del diritto di accesso della madre alla figlia”.
Alla luce di tutte tali circostanze, il Tribunale respingeva il ricorso proposto dalla madre, confermando il collocamento della minore presso il padre.
A sostegno della propria decisione, il Tribunale evidenziava che “né l'art. 337 ter del c.c., nè i seguenti, né la Carta Costituzionale assegnano rilevanza o utilità giuridica a quello che taluni invocano come “principio della maternal preference” (…); al contrario, come hanno messo bene in evidenza gli studi anche internazionali, il principio di piena bigenitorialità e quello di parità genitoriale hanno condotto all’abbandono del criterio della “maternal preference” a mezzo di «gender neutral child custody laws», ossia normative incentrate sul criterio della neutralità del genitore affidatario, potendo dunque essere sia il padre, sia la madre, in base al solo preminente interesse del minore, il genitore di prevalente collocamento non potendo essere il solo genere a determinare una preferenza per l’uno o l’altro ramo genitoriale”.