Nel 2018, il Tribunale di Torino disponeva l'affidamento condiviso di un minore, collocandolo presso il padre. Nel 2019, quest’ultimo richiedeva una revisione del precedente provvedimento, al fine di ottenere l’affidamento esclusivo del figlio. A sostegno della sua pretesa, il padre evidenziava un comportamento oppositivo della madre, che ostacolava una terapia psicologica utile per il bambino. Il Tribunale rigettava il ricorso e confermava l'affidamento condiviso, limitando solo i tempi di permanenza del minore presso la madre e ordinando l'intervento del Servizio sociale al fine di migliorare la comunicazione tra i genitori.
A questo punto, il padre ricorreva in appello: la Corte d'Appello accoglieva parzialmente il reclamo. I giudici di secondo grado, infatti, stabilivano che non vi erano motivi sufficienti per l'affidamento super-esclusivo, in quanto lo stesso è applicabile nei soli casi di condotte di particolare gravità verso il minore, nonostante alcuni comportamenti problematici da parte della madre. La Corte, in particolare, sottolineava che, “pur emergendo alcune criticità della madre circa le modalità empiriche con cui si rapportava al figlio, l’incapacità di coinvolgerlo emotivamente in attività divertenti nonché l’incapacità decisionale mostrata”, fosse evidente il forte legame affettivo tra madre e figlio.
La Corte d’Appello, inoltre, tenendo conto degli esiti della C.T.U. esperita, riteneva che le criticità riscontrate potessero essere affrontate attraverso la psicoterapia. Tuttavia, riconosceva altresì la necessità di modificare le modalità di visita per la madre.
Contro tale pronuncia, il padre del minore avanzava ricorso in Cassazione, fondato su tre motivi, ossia:
- violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 337 ter e 337 quater c.c., affermando che la Corte d’appello, attribuendo al ricorrente il potere di assumere in autonomia decisioni sulle questioni ordinarie di tipo scolastico, sportivo e ricreativo, avrebbe creato una figura di affidamento condiviso “spuria”, non prevista dalla legge né dalla giurisprudenza;
- il secondo motivo di ricorso atteneva alla contraddittorietà delle motivazioni addotte dalla Corte;
- nel terzo motivo, il ricorrente lamentava la non adeguata considerazione delle conclusioni del C.T.U.
Gli Ermellini hanno in primo luogo qualificato come inammissibile il primo motivo di ricorso, dal momento che “la Corte d'Appello ha esplicitato diffusamente le ragioni a sostegno dell'affidamento condiviso del minore (seppure con il collocamento presso il padre) e ritenuto del tutto compatibile con tale disciplina l'attribuzione al padre dei citati poteri in tema di ordinaria amministrazione”. Inoltre, la doglianza del ricorrente attiene a questioni di merito, mentre il ricorso in Cassazione è previsto solo per questioni di legittimità.
Analoga sorte tocca al secondo motivo di ricorso. La Cassazione, infatti, ha affermato che non sussiste alcuna contraddittorietà della motivazione, in quanto “la Corte d'Appello si è limitata ad escludere i presupposti dell'affidamento esclusivo”.
Infine, con riferimento all’ultimo motivo di ricorso, la Cassazione ha evidenziato che “la mera conflittualità riscontrata tra i genitori non coniugati, che vivono separati, non preclude il ricorso al regime preferenziale dell'affidamento condiviso dei figli ove si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, mentre può assumere connotati ostativi alla relativa applicazione, ove si esprima in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l'equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli, e, dunque, tali da pregiudicare il loro interesse (Cass, n. 6535/19)”.
Inoltre, con particolare riferimento alle argomentazioni della consulenza tecnica, gli Ermellini hanno affermato che il giudice d’appello, dopo averle valutate, ha escluso la gravità della situazione e, quindi, la sussistenza dei presupposti per l’affidamento esclusivo al padre. A tal proposito, la Cassazione rammenta che la scelta di disporre l’affidamento congiunto e non quello esclusivo rientra nella valutazione discrezionale del giudice di merito, “il quale deve avere come parametro normativo di riferimento l’interesse del minore medesimo e, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata, esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di riesame in sede di legittimità (Cass., n. 1202/2006)".
La Cassazione conclude affermando che la Corte d’Appello ha attribuito al padre collocatario del minore la facoltà di prendere decisioni legate alla gestione ordinaria, in ambiti come quello scolastico, sportivo e ricreativo, ritenendo implicitamente che questa scelta risponda al superiore interesse del minore. Pertanto, non si può affermare che tale disposizione contrasti con le norme sull’affidamento condiviso, rappresentandone, al contrario, una corretta applicazione. Dunque, l’assegnazione di questo potere al padre non compromette il principio della bigenitorialità.
Nell’ambito dell’affidamento condiviso, la possibilità di garantire una frequentazione perfettamente equilibrata tra ciascun genitore e il figlio rappresenta un obiettivo ideale, ma il giudice di merito può individuare, nell’interesse del minore, soluzioni che si discostino da questo schema senza violare il diritto alla bigenitorialità. Tali soluzioni mirano, infatti, a tutelare il benessere del minore, favorendone uno sviluppo sereno e armonioso, come sottolineato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 4790/22.
Nel caso specifico, la scelta di consentire al genitore collocatario di decidere autonomamente in merito alla gestione ordinaria nei settori menzionati, accogliendo una richiesta presentata dal padre del minore, è stata considerata una misura in linea con il superiore interesse del minore. Tale provvedimento si configura come un’attuazione delle decisioni di indirizzo che, invece, restano prerogativa di entrambi i genitori.