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Articolo 438 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Misura degli alimenti

Dispositivo dell'art. 438 Codice Civile

Gli alimenti possono essere chiesti [445] solo da chi versa in istato di bisogno(1) e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento.

Essi devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche [440, 441] di chi deve somministrarli(2). Non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell'alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale [51, 435, 439, 446, 660, 1881](3).

Il donatario [437] non è tenuto oltre il valore della donazione tuttora esistente nel suo patrimonio(4).

Note

(1) Il primo presupposto è lo stato di bisogno (incolpevole) dell'alimentando, ossia la carenza e/o limitatezza delle risorse indispensabili al soddisfacimento delle primarie esigenze di vita.
Ad esso è correlata l'incapacità di provvedere al proprio sostentamento tale da consentire un mantenimento (ad es. mediante esplicazione di attività lavorativa, impedita da invalidità al lavoro per incapacità fisica).
(2) La capacità economica dell'obbligato risulta fondamentale perché è ad essa che dovrà ancorarsi la condizione economica complessiva, dovendosi soddisfare le esigenze ed i fabbisogni tanto della famiglia dell'alimentante quanto dell'alimentando.
(3) Gli alimenti verranno versati in proporzione, ovviamente, al bisogno dell'alimentando, su cui incombe l'onere della prova dell'an e del quantum, mentre all'obbligato competerebbe il diverso onere circa l'impossibilità economica.
(4) Tale ultimo comma costituisce un limite alla prestazione erogabile; viene fatto salvo il caso del perimento del bene per causa non imputabile al donatario-debitore-alimentante, mentre opererà la surrogazione (art. 1201 del c.c.) qualora vi sia stato trasferimento del bene.

Ratio Legis

La ratio della norma consiste nel porre una misura razionale ed efficiente all'erogazione degli alimenti, essendo la stessa di natura variabile perché soggetta al continuo mutare dei parametri cui viene ancorata.

Spiegazione dell'art. 438 Codice Civile

Si parla di variabilità quale carattere dell'obbligazione alimentare. Più che di una variabilità dell'obbligazione nel suo complesso, si tratta di una variabilità della prestazione. La prestazione è dovuta in via continuativa col permanere dei presupposti dell'obbligazione; può sospendersi ove tali presupposti vengano momentaneamente meno; può modificarsi nella quantità e nella qualità col mutare dell'intensità del bisogno e delle condizioni economiche o sociali soggettive (art. 440, comma 1). Per questo motivo si parla di obbligazioni a prestazione continuata e variabile.

Il presupposto base su cui si fonda l'obbligazione alimentare è lo stato di bisogno nel soggetto legittimato a chiedere gli alimenti.
Il concetto di bisogno, quale accolto dalla legge, non è unico per tutti i casi, e diverso risulta l'apprezzamento di ciò che deve intendersi dovuto. Talora gli alimenti sono dovuti soltanto "nella misura dello stretto necessario" (art. 439: alimenti tra fratelli e sorelle). Stretto necessario, secondo l'opinione preferibile anche nel regime del codice abrogato, non deve intendersi in senso assoluto, con riguardo cioè ai bisogni vitali ed essenziali del vitto e dell'alloggio; ma in un senso relativo alle condizioni personali dell'alimentando.

Il concetto di bisogno accolto dalla legge ha un fondamento sociale piuttosto che psichico. Gli alimenti, infatti, debbono fornire quanto sia necessario alla vita, avuto riguardo alla "posizione sociale" dell'alimentando. E il bisogno che legittima a chiedere gli alimenti non è già un qualsiasi stato psichico di mancanza di ciò che può sentirsi come utile o necessario; bensì quella mancanza che il soggetto non sia in grado di soddisfare da solo. Anche il lavoro costa sacrificio; ma se il bisognoso è in grado di compierlo o comunque di provvedere coi propri mezzi al proprio mantenimento, non sussiste il presupposto per richiedere gli alimenti (cosi precisa il primo comma dell'art. 438). Deve tuttavia osservarsi che anche l'obbligo del lavoro non va inteso in senso assoluto e va anch'esso valutato alla stregua di quel criterio di proporzionalità economica e sociale fra alimentando e alimentatore che sta alla base del regime degli alimenti. In considerazione del fatto che la persona la quale versa in istato di bisogno può avere a sua volta persone a carico, la Commissione parlamentare propose di tener conto anche di queste nella redazione della norma sulla misura degli alimenti. Ma il Guardasigilli, nella sua relazione finale, fece presente che "se nella valutazione del bisogno si dovesse tener conto delle persone che sono a carico di colui che deve essere alimentato, si verrebbe a estender l'obbligo degli alimenti a favore di persone verso le quali non si è tenuti. Se invece si intende riferirsi soltanto ai componenti del nucleo familiare in senso stretto, e cioè alla moglie e ai figli, non occorre una espressa precisazione, poiché non si è mai dubitato che il bisogno della moglie e dei figli a carico sia inscindibile da quello della persona dell'alimentando.
Quanto alla persona chiamata alla prestazione, essa deve essere in grado di sopportare l'onere, altrimenti la richiesta si rivolge su altra persona, se c'è, nella cerchia degli obbligati. Anche il concetto delle "condizioni economiche" di chi deve somministrare non è assoluto, ma relativo alle circostanze caso per caso. Così una considerazione relativa si attuerà pure, in via comparativa, con riguardo da un lato alle condizioni economiche di chi è chiamato a prestare gli alimenti e dall'altro all'entità del bisogno e alle condizioni dell'alimentando. Si tratta, dunque, di un rapporto fra due posizioni economiche chiamate ad integrarsi e a porsi in certa guisa in equilibrio. L'obbligato può essere, se proprio non indigente, certo anche non ricco; ma l'alimentando può trovarsi in condizioni di ristrettezza economica ancor maggiore.

Le variazioni che caratterizzano il rapporto alimentare possono anche riguardare una mutazione, in pendenza del rapporto, dell'obbligato legittimato passivamente alla prestazione alimentare. Può avvenire che la legittimazione passiva si trasferisca dall'obbligato in grado anteriore a quello in grado successivo e viceversa, da un grado successivo ritorni a un obbligato in grado anteriore, ove consti che questi sia stato o sia venuto in condizioni di poter somministrare gli alimenti. Vale però la pregiudiziale a favore dell'alimentato, stabilita nel secondo comma dell'art. 440.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

214 Si è ritenuto superfluo specificare nell'art. 438 del c.c. che l'impossibilità di provvedere al proprio mantenimento può dipendere da qualsiasi causa. E' ovvio infatti che, non facendosi distinzione tra le varie cause, l'interprete non può essere autorizzato a limitare la portata della norma, la quale intende riferirsi tanto all'impossibilità dovuta ad incapacità fisiche, quanto all'impossibilità estrinseca desunta dal fatto che l'alimentando non riesca a trovare un'occupazione. Non si è creduto opportuno stabilire che il bisogno dell'alimentando deve essere valutato alla stregua, non soltanto dei suoi bisogni personali, ma anche di quelli della sua famiglia. Infatti, se nella valutazione del bisogno si dovesse tener conto delle persone che sono a carico di colui che deve essere alimentato, si verrebbe a estendere l'obbligo degli alimenti a favore di persone verso le quali non si è tenuti. Se, invece, si intende riferirsi soltanto ai componenti del nucleo familiare in senso stretto, e cioè alla moglie e ai figli, non occorre un'espressa precisazione, poiché non si è mai dubitato che il bisogno della moglie e dei figli a carico sia inscindibile da quello della persona dell'alimentando. Nel capoverso dello stesso articolo è stata sostituita alla locuzione «sostanze», che era usata dal progetto, l'altra «condizioni economiche», poiché la capacità contributiva può risultare dai proventi dell'attività lavorativa in genere e non soltanto da compendi patrimoniali. Riguardo alla disposizione del progetto, secondo la quale la misura degli alimenti deve essere tale da assicurare all'alimentando una vita modesta, è stato osservato che essa potrebbe autorizzare il giudice a determinare gli alimenti nella misura dello stretto necessario, con un criterio restrittivo che non nel codice del 1865. La preoccupazione è infondata, poiché il progetto connetteva il concetto di vita modesta con la posizione sociale dell'alimentando. Comunque per eliminare ogni dubbio in proposito è stata emendata la formula, che fa ora menzione di ciò che è necessario per la vita dell'alimentando, avuto riguardo alla sua posizione sociale. In tal modo è posta in risalto la differenza tra la misura normale degli alimenti (il necessario) e quella speciale per determinati casi, come tra fratelli e sorelle (stretto necessario - art. 439 del c.c.). In ordine all'obbligazione del donatario, è stato mantenuto, siccome più equo, il testo del progetto definitivo, il quale affermava il principio che il presupposto dell'obbligazione alimentare è la esistenza attuale nel patrimonio del donatario del valore delle donazioni. Né pare che con questa formula possa ritenersi esclusa l'obbligazione del donatario nel caso in cui la cosa donata sia stata venduta, perché in questa ipotesi alla cosa si sostituisce il prezzo, e questo rappresenta un valore che aumenta il patrimonio del donatario. Né può dirsi, infine, che le cose donate possono non avere alcuna utilità economica, poiché, anche se si tratti, ad esempio, di biblioteche, castelli, o altri beni non redditizi, si ha pur sempre un valore capitale innegabile.

Massime relative all'art. 438 Codice Civile

Cass. civ. n. 33789/2022

Il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche dell'impossibilità da parte dell'alimentando di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di attività lavorativa, per cui deve essere rigettata la domanda di alimenti ove l'alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica, e la impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un'occupazione confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali. Inoltre lo stato di bisogno, quale presupposto del diritto agli alimenti previsto dall'art. 438 cod. civ., esprime l'impossibilità per il soggetto di provvedere al soddisfacimento dei suoi bisogni primari, quali il vitto, l'abitazione, il vestiario, le cure mediche, e deve essere valutato in relazione alle effettive condizioni dell'alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga ed è ben distinto dallo stato di difficoltà economica compatibile con un'occupazione intermittente.

Cass. civ. n. 9415/2017

Il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche dell'impossibilità di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di un'attività lavorativa, tanto che ove l'alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o l'impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un'occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata.

Cass. civ. n. 25248/2013

Lo stato di bisogno, quale presupposto del diritto agli alimenti previsto dall'art. 438 c.c., esprime l'impossibilità per il soggetto di provvedere al soddisfacimento dei suoi bisogni primari, quali il vitto, l'abitazione, il vestiario, le cure mediche, e deve essere valutato in relazione alle effettive condizioni dell'alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto, e della loro idoneità a soddisfare le sue necessità primarie.

Cass. civ. n. 9432/1994

Al fine del riconoscimento e della quantificazione del diritto agli alimenti, nonché della ripartizione del relativo onere in presenza di più obbligati, il raffronto fra le rispettive condizioni economiche va effettuato con riferimento alla situazione in atto, e, quindi, deve prescindere da vicende future, quale la probabile riscossione di crediti, le quali potranno avere influenza, al loro verificarsi, per un'eventuale revisione di dette statuizioni, ai sensi dell'art. 440 c.c.

Cass. civ. n. 1099/1990

Poiché il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche dell'impossibilità da parte dell'alimentando di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di attività lavorativa, deve essere rigettata la domanda di alimenti ove l'alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica, e la impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un'occupazione confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva rigettato la domanda di alimenti della moglie, cui era stata addebitata la separazione, sul presupposto che la medesima, oltre a disporre di beni redditizi, era in grado, per età e salute, di svolgere attività contadina, di agevole accesso e confacente alle sue condizioni sociali ed abitudini di vita).

Cass. civ. n. 656/1977

Ai fini del riconoscimento del diritto agli alimenti, lo stato di bisogno ben può dipendere da uno stato transitorio di malattia, purché non si tratti di un'indisposizione passeggera.

Cass. civ. n. 1239/1975

L'attribuzione, ad uno dei coniugi, dell'assegno di cui all'art. 5 L. 1° dicembre 1970, n. 898, quando sia disposta solo in considerazione delle condizioni economiche del coniuge stesso, non va contenuta nei limiti propri di una obbligazione alimentare, assolvendo detto assegno anche una funzione assistenziale in senso lato. Anche quando venga riconosciuto il contributo di attività e di denaro apportato dalla moglie alla conduzione della vita familiare e, di riflesso, all'acquisto, fatto dal marito, della casa ex coniugale, l'assegno che a favore della moglie venga disposto deve consistere nell'attribuzione di una somma e non può essere accolta la pretesa della concessione di continuare ad abitare la casa stessa.

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Consulenze legali
relative all'articolo 438 Codice Civile

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B. M. chiede
mercoledì 18/09/2024
“Io sono una donna separata che vive nell’abitazione della madre ultra 80. Attualmente lei è allettata per un’amputazione del piede e mia sorella, che abita nello stesso paese non mi viene incontro per gestire i miei impegni privati / sanitari in quanto lamenta di avere impegni familiari e lavorativi. Pertanto, io che non lavoro e abito con la mamma, fornisco un’assistenza continua ( che si interrompe solo poche ore al giorno con una badante pagata da mia madre) . Ogni qual volta riferisco di avere una necessità, mia sorella riferisce di avere propri impegni e io sono costretta a modellare la mia vita sulla scorta delle
Poche ore libere che mi vengono concesse dietro litigi. Nonostante le abbia chiesto un giorno settimanale di completo riposo, quale due domeniche al
Mese, la mia richiesta è stata negata e io sto subendo difficoltà psico fisiche. Riferisce che io devo sopportare tutto questo in virtù del fatto che usufruisco della
Pensione di mamma, cosa invera perché spesa al 70% per medicine Extra.
Esiste un modo legale per invitarla ad assisterla in egual misura a me? In quanto io sono costretta a rinunciare alla mia vita privata.
Inoltre, la stessa ( maestra d ‘asilo) usufruisce di 3 gg di legge 104 che ha minacciato di togliersi in quanto le ho chiesto disponibilità per badare a nostra madre per poter effettuare delle visite mediche ( tunnel carpale fuoriuscito a causa degli sforzi che sto facendo per sollevarla ecc) .
Mia sorella provvede a badarla solo quando costretta e messa alle strette.”
Consulenza legale i 25/09/2024
Purtroppo, non esistono strumenti giuridici per costringere la sorella ad occuparsi della madre anziana e bisognosa di cure: quanto meno, non in termini di “fare”, dunque di assistenza, accudimento, compagnia, conforto.
Ciò non significa, però, che un figlio o una figlia non abbia precisi doveri nei confronti di un genitore.
I figli sono obbligati, infatti, a versare gli alimenti: cioè, in parole povere, a contribuire economicamente alle necessità di vita del genitore che si trovi in stato di bisogno e che non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. Va precisato che l’obbligazione alimentare può essere eseguita sia versando direttamente al genitore una somma di denaro (di solito un assegno mensile), sia accogliendolo presso di sé e provvedendo direttamente alle sue esigenze primarie.
Nel caso in cui un figlio, pur potendoselo permettere economicamente, non versi gli alimenti, sarà possibile ricorrere al giudice.
Occorre aggiungere che l’obbligo di assistere il genitore in difficoltà è sanzionato, in presenza di determinati presupposti, anche a livello penale, mediante i delitti di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 del c.p.) e abbandono di persona incapace (art. 591 del c.p.).
Cosa fare, dunque?
Abbiamo già anticipato che non è possibile ottenere giudizialmente che la sorella si occupi della madre. Semmai, sempre che sussista lo stato di bisogno della madre, questa potrà agire per far valere nei confronti della figlia proprio il diritto agli alimenti. Non si ritiene, invece, ammissibile che siano gli altri figli ad agire contro quello, o quella, che risulti inadempiente ai propri obblighi.
Si potrebbe anche valutare l’opportunità di richiedere la nomina di un amministratore di sostegno, il quale potrà occuparsi delle necessità dell’anziana sotto il controllo del giudice tutelare.

G. C. chiede
martedì 16/07/2024
“Mia madre è in una casa di riposo che costa 2700 euro mese e prende 1400 euro mese tra pensione e sussidi vari. Non soldi nel conto corrente ed ha una quota di 4/6 dell'appartamento in cui ha vissuto, 1/6 è mio ed 1/6 è di mio fratello. La restante parte della retta la dividiamo tra fratelli. Abbiamo redditi molto diversi. Dal 2016 vive in Svizzera e guadagna oltre 200.000 franchi svizzeri anno, io sono un professionista da 60000 euro lordi anno. Mio fratello dice che nostra madre avendo l'appartamento si può mantenere da sola vendendolo e lui non è obbligato a mantenerla. Io non sono d'accordo perché così ci si brucia l'eredità e non ci rimarrebbe nulla in pochi anni. Consideri che la vendita dell'appartamento frutterebbe a mia madre circa 45 mila euro.
Io invece vorrei che mia madre donasse a noi l'appartamento e noi poi la continuiamo a mantenere a maggior ragione con il ricavato della vendita, fatto salvo un piccolo importo per Lei. La mia posizione è legata al fatto che ho un reddito medio, una figlia all'università ed in cura da anni per anoressia nervosa e cosi prenderei quche soldino che ci fa respirare. Mia madre ha 90 anni non è autosufficiente ma è in discreta salute quindi è possibile viva altri 4/5 anni. Secondo me la donazione preventiva è un discorso lineare. Mio fratello non è d'accordo. Lui dice che ha intenzione di sospendere i bonifici a mia madre e costringerla a vendere l'appartamento.

Il quesito è il seguente: mia madre ha l'obbligo di vendere l'appartamento per mantenersi e noi figli di acconsentire a tale vendita se non diamo soldi per mantenerla?
Voi cosa consigliate in casi come questi?
Grazie mille
Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 21/07/2024
La situazione economica in cui si trova la madre induce, innanzitutto, a dover escludere nel caso in esame la ricorrenza del presupposto essenziale per l’insorgere in capo ai figli dell’obbligo di prestare gli alimenti, presupposto che il primo comma dell’art. 438 c.c. individua nello stato di bisogno dell’alimentando e nell’impossibilità dello stesso di provvedere al proprio mantenimento.
A ciò si aggiunga quanto previsto al secondo comma della medesima norma, nella parte in cui è detto che gli alimenti non devono superare quanto necessario per la vita dell’alimentando “avuto però riguardo alla sua posizione sociale”.

Sembra evidente che una persona che gode di un reddito di circa 1400 euro mensili non solo non può qualificarsi come versante in stato di bisogno, ma neppure può pretendere di continuare a vivere in una casa di riposo per la quale è richiesto il pagamento di una retta mensile pari quasi al doppio delle sue entrate correnti, non essendo evidentemente l’alloggio in quella casa di riposo confacente alla sua posizione sociale.

Ciò posto, si tratta a questo punto di trovare una soluzione per consentire alla madre di continuare a fruire dei servizi di quella casa di riposo senza gravare sui figli e sfruttando i beni che compongono il suo patrimonio, tuttora improduttivi di redditi.
A tal fine si propongono le seguenti soluzioni:
  1. rendere produttivo l’immobile di cui madre e figli sono comproprietari, concedendolo in locazione a terzi. In tal modo non soltanto la madre potrebbe utilizzare i 4/6 del canone di locazione per pagare la retta della casa di riposo, ma anche i figli, ed in particolare colui che pone il quesito, avrebbero un’ulteriore entrata mensile sulla quale poter fare affidamento.

  1. stipulare un contratto di donazione modale (ex art. 793 del c.c.), in forza del quale la madre andrebbe a donare ai figli i 4/6 indivisi dell’immobile di cui è comproprietaria ed i figli, di contro, si assumerebbero l’onere di contribuire ad integrare la retta della casa di riposo dove la madre vive per tutta la vita della stessa.
Considerata l’età avanzata della madre non dovrebbe esservi rischio che il valore dell’onere possa superare quello della quota di comproprietà a cui la madre rinuncia con l’atto di donazione.
Inoltre, i figli diventerebbero sin da subito pieni proprietari dell’intero, con possibilità di alienare in qualunque momento l’immobile, traendone un sicuro vantaggio economico (nel quesito si dice che la vendita dell’appartamento frutterebbe alla madre circa 45 mila euro).

  1. suggerire alla madre di vendere ai figli la quota dell’immobile di cui è comproprietaria, verso il pagamento in forma rateale del prezzo, fissando una rata mensile pari alla somma occorrente alla venditrice per riuscire a pagare la retta per la casa di riposo.
La suddetta vendita dovrebbe essere stipulata senza riserva di proprietà in favore della venditrice e con rinuncia da parte della medesima all’ipoteca legale, così da porre anche in questo caso i figli nella condizione di alienare in qualunque momento l’immobile.

Al di là di quelle sopra suggerite non si vedono altre soluzioni che possano riuscire a contemperare gli interessi contrapposti delle parti.
In ogni caso, si tenga presente che nessuno, a meno che non abbia assunto volontariamente il relativo obbligo, può essere costretto a vendere senza la propria volontà, mentre ciascun comunista ha il diritto in qualunque momento di esigere lo scioglimento della comunione, secondo quanto espressamente disposto dall’art. 1111 del c.c..
In questo secondo caso, se trattasi di bene non divisibile e le parti non riescono a raggiungere un accordo, il giudice può imporre alle stesse che si proceda alla vendita secondo le norme dettate dal codice di procedura civile in tema di vendita all’incanto.


P. P. chiede
giovedì 15/12/2022 - Toscana
“Buongiorno,
vi chiedo di esprimere la vostra competenza circa il problema che vi pongo in calce:
ho recentemente scoperto dei problemi di Tossicodipendenza che riguardano mio Fratello di anni 46 con il quale i miei rapporti sono sempre stati sempre molto tesi e sporadici in virtù dello stile di vita che ha adottato negli anni e perché per sua scelta lavorativa ha vissuto lontano da me,
purtroppo questa condizione mi è stata tenuta nascosta dalla mia famiglia di origine e solo recentemente ho scoperto la sua vita di ombre in virtù degli ultimi accadimenti che provo a dettagliare:
mio fratello è celibe ha la residenza in un comune diverso da quello mio e di mio Padre e ha domicilio dichiarato presso l’azienda dove lavora , nell’ultimo periodo è stato accolto da mio padre Vedovo nella abitazione di proprietà di quest’ultimo perché ha chiesto di essere avvicinato all’azienda dove lavorava,
tuttavia nel novembre 2021 ha chiesto e ottenuto alla sua Azienda una buona uscita economica per un licenziamento volontario ( ricopriva un ruolo apicale che gli consentiva un buon stipendio di base ..) e attualmente sta percependo dallo stato un’ indennità di disoccupazione alla famiglia ha giustificato quest’atto dichiarando di voler aprire un attività in proprio , e che in attesa di iniziare si sarebbe regalato una vacanza di qualche mese in Thailandia;
il giorno successivo il suo ritorno a casa dalla "vacanza" è stato ricoverato per overdose in ospedale ed è in quel momento che ho scoperto tutto…
Dopo aver firmato le dimissioni volontarie dall’ospedale è ripartito per la Thailandia mio padre ha avuto dei problemi di disagio cognitivo ed è stato conseguentemente ricoverato
a causa di questa vicenda per seguire il recupero funzionale del mio babbo ho dovuto richiedere un mese di aspettativa dal lavoro e in circostanza di ciò ho domandato e ottenuto la nomina di amministratore di sostegno, attualmente sono impegnata a risistemare l’indebitamento economico del mio babbo causato da mio fratello che sistematicamente depauperava il cc del mio babbo (dove lui aveva delega ) con spese mensili effettuate con la carta di credito intestata a mio padre
Ma ora il vero problema: recentemente sono stata contatta dall’ambasciata in Thailandia la quale mi ha avvisata del ricovero in ospedale di mio fratello a causa di un emorragia celebrale (chiaramente si può immaginare a cosa sia dovuta.. ), attualmente ha perduto la mobilità della parte destra e non si esprime verbalmente. Sia io che mio padre non vogliamo più occuparcene. Ha distrutto e indebitato la mia famiglia, purtroppo non aveva stipulato un’assicurazione medica e in ospedale sta accumulando debiti poiché in Thailandia la sanità è privata e non vi è nessuna convenzione con l’Italia.
la mia domanda è questa: sono a conoscenza che per l’art 433 e conseguentemente l’art 439 del codice civile italiano probabilmente saremmo costretti a corrispondere agli alimenti previsti per legge, ma vi chiedo a chi competono le spese mediche da sostenere in Thailandia a mio avviso sono da attribuire (anche per negligenza ) come debiti personali direttamente a mio fratello dato che al momento della partenza avrebbe dovuto rendersi consapevole del rischio che si sarebbe assunto nel non stipulare una tutela assicurativa (e liberamente ha deciso la sua strada) oltre tutto nel rispetto delle libertà personali non ci è stato possibile impedirgli di partire nuovamente ne costringerlo a fare alcuna cosa che lui stesso non volesse essendo adulto e nel pieno possesso delle sue facoltà.
Inoltre vorrei comprendere come il consolato si muove e chi sostiene il costo del rimpatrio in Italia.
L’unica verità che conosco riguardo i possedimenti patrimoniali di mio fratello, oltre all’indennità di disoccupazione che percepisce è una quota dell’appartamento dove abita mio padre che ha ereditato dopo la morte della mamma per diritto di successione.
Mio padre è pensionato ha una casa di proprietà dove vive e una di villeggiatura al mare,
io ho una mia famiglia 2 figli maggiorenni ancora in casa con me e vivo con mio marito in comunione dei beni in casa con lui e la sua mamma di anni 93 comproprietaria dell’appartamento dove viviamo.
Grazie per la vostra risposta”
Consulenza legale i 30/12/2022
Da un punto di vista civilistico, occorre distinguere nettamente l’istituto degli alimenti dall’obbligazione di pagamento delle spese mediche addebitate all’estero, le quali, evidentemente, gravano solo sul soggetto che le ha sostenute.
Appare opportuno però esaminare anche la tematica del diritto agli alimenti, sicuramente rilevante ai fini della vicenda descritta nel quesito.
Gli stretti congiunti, come i genitori e i fratelli/sorelle, rientrano certamente tra quelli tenuti a prestare gli alimenti ai sensi dell’art. 433 del c.c..
Tuttavia, il rapporto di parentela, di coniugio, o di affinità o l’esistenza di una donazione (art. 437 del c.c.) non sono di per sé sufficienti a far scattare l’obbligo di versare gli alimenti: è necessario, infatti, che l’interessato si trovi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Inoltre, l’importo in concreto della prestazione alimentare va determinato con riferimento sia all’entità della condizione di bisogno in cui versa l’alimentando, sia alle condizioni economiche del soggetto obbligato (art. 438 del c.c.). Inoltre, esso non deve superare quanto necessario per la vita dell’alimentando; si tratta anche qui di un concetto relativo, poiché tale necessarietà va rapportata alla posizione sociale del beneficiario.
Una ulteriore restrizione è fissata dall’art. 439 del c.c., secondo cui “tra fratelli e sorelle gli alimenti sono dovuti nella misura dello stretto necessario”.
I soggetti in astratto obbligati a versare gli alimenti vengono chiamati nell’ordine indicato dall’art. 433 c.c. (e tenendo presente quanto stabilito dal cit. art. 437 c.c. riguardo al donatario); nel caso descritto nel quesito, quindi, risulterebbe obbligato in primo luogo il padre ed, eventualmente, la sorella. Infatti, ai sensi dell’art. 441 del c.c., comma 2, gli obbligati di grado posteriore subentrano qualora le persone chiamate in grado anteriore non siano in condizioni di sopportare l'onere, in tutto o in parte.
Un’ultima precisazione che ci sembra utile: il credito alimentare, ai sensi dell’art. 447 del c.c., non è soggetto a compensazione. Ciò significa che il soggetto obbligato non potrà “bloccare”, totalmente o parzialmente, la richiesta di alimenti opponendo l’esistenza di un proprio credito (ad es., il diritto alla restituzione di determinate somme, come potrebbe verificarsi nel caso oggetto del quesito, considerando ciò che è stato riferito in merito al comportamento del fratello rispetto al patrimonio paterno).

Circa la domanda relativa alle procedure seguite dal Consolato in casi analoghi al presente, dalle fonti che è stato possibile reperire su un tema così delicato emerge che il Ministero degli Esteri solitamente si attiva per il rimpatrio sanitario degli italiani all’estero che necessitino di ricovero ospedaliero in Italia dietro segnalazione dell’interessato stesso o dei familiari.
La Rappresentanza diplomatico-consolare si occupa poi di curare i rapporti tra le autorità nazionali ed estere, ad esempio procurando i documenti di viaggio necessari e i certificati che attestino la trasportabilità del paziente, e di coordinare i team di medici e le strutture sanitarie coinvolte nell’arco di tutte le fasi dell’operazione di rimpatrio, le cui modalità concrete vengono decise sulla base delle condizioni di salute del cittadino.
In merito ai costi, il Ministero degli Esteri precisa che per i rimpatri sanitari può essere concesso un sussidio a favore di connazionali indigenti stabilmente residenti nel Paese straniero, oppure un prestito con promessa di restituzione a favore di connazionali di passaggio in stato di temporanea indigenza.
Sembra, quindi, che le spese rimangano a carico dell’interessato e/o dei familiari, salvo il caso di indigenza che però nella fattispecie è abbastanza dubbia (il soggetto è comunque ancora proprietario di una quota di un immobile).

Massimo B. chiede
lunedì 16/03/2015 - Sicilia
“Salve,espongo subito il mio quesito,mio padre è deceduto da poco,insieme a mia madre percepivano una pensione inps di Euro 930,per effetto della reversibilità mia madre adesso percepisce una pensione inps di 550 euro,da cui detrarre le spese per affitto di 300 euro,
siamo 4 figli 2 maschi lavoratori 2 femmine casalinghe,vorrei sapere se ci sono i presupposti perché mia madre possa chiedere (su mio consiglio) un assegno alimentare a noi figli,mia madre e proprietaria insieme ai suoi 8 fratelli di un piccolo appartamento,che non è affittato e che non riescono a vendere.”
Consulenza legale i 18/03/2015
Lo stato di bisogno, ai sensi dell'art. 438 del c.c., va inteso come mancanza di ogni risorsa o disponibilità di mezzi insufficiente al soddisfacimento delle necessità primarie della persona, unito all'impossibilità o incapacità dell'avente diritto ad ovviare alla situazione.

Nel valutare la situazione di bisogno, deve essere considerata l'intera situazione patrimoniale della persona, pertanto è da escludersi che versi in stato di bisogno il proprietario di beni immobili di un certo valore e produttivi di reddito.

Al contrario, si reputa che gli immobili che non sono in grado di produrre un reddito sufficiente o che non sono suscettibili di parziali alienazioni non siano idonei ad escludere lo stato di bisogno (v. Cass. civ., 6.1.1981, n. 51).

Nel caso di specie sembra sussistere il presupposto dello stato di bisogno richiesto dal codice civile.
Da un lato, la pensione della signora è talmente bassa che, decurtato il canone di locazione abitativa, non resta molto per le spese quotidiane né per eventuali spese mediche che con l'avanzare dell'età si rendono spesso necessarie. Dall'altro, la quota di immobile posseduta con i fratelli non è redditizia.
Inoltre, la signora è pensionata, quindi non è in grado di procurarsi un lavoro per integrare le proprie entrate.

Sembra quindi che - in base ai dati di fatto forniti nel quesito - possa sussistere il diritto della madre a chiedere gli alimenti ai figli.
Naturalmente, il giudizio finale spetta al giudice, che dovrà giudicare la situazione in base ai fatti e alle prove che l'alimentando gli fornirà.

Tutti i figli sono tenuti per legge all'obbligo alimentare, salvo che il giudice, dopo la valutazione delle capacità economiche di ciascuno, non ritenga che uno o più non siano nelle condizioni per poter versare un assegno, seppur minimo. Individuate le persone obbligate verso la madre, il giudice stabilirà poi la quota da ciascuno dovuta, in proporzione alle rispettive condizioni economiche (art. 441 del c.c.).

Non si deve dimenticare che l'obbligazione alimentare può essere soddisfatta anche accogliendo e mantenendo nella propria casa chi ne ha diritto (art. 443 del c.c.): quindi, nulla esclude che una delle figlie casalinghe, possa, ad esempio, prendere con sé la madre senza corrisponderle denaro direttamente, ma solo prendendosene cura e fornendole vitto e alloggio. Il giudice non può obbligare le parti a questa soluzione, ma se una di esse di offrisse, egli sarebbe tenuto a prendere l'offerta in considerazione (salvo esistano indicazioni contrarie, ad esempio l'opposizione della madre).

La richiesta di alimenti deve essere avanzata con citazione in giudizio degli obbligati, ed è richiesta l'assistenza di un avvocato.

Piero chiede
sabato 16/07/2011 - Puglia
“Mia suocera non più autosufficiente percepisce una pensione di circa 1.400 € mensili non più sufficienti a pagare la badante e l'alimentazione per entrambe con la conseguenza che mensilmente oltre a fornire la mia costante assistenza e quella di mia moglie devo penalizzarmi di circa 300/400 €. Ho chiesto ai miei cognati di aiutarmi a suddividere detta differenza ricevendo come risposta che mi devo arrangiare con la sola pensione e che loro non vogliono in nessun modo contribuire. Vi chiedo: 1) li posso obbligare a fare il loro dovere e come?
2) quando nell'art. 438 si parla delle condizioni economiche dell'obbligato s'intendono le condizioni riferite al reddito di mia moglie o comprensive del mio reddito?
In attesa di vostro urgente e gradito parere in merito, ringrazio e porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 22/07/2011

Gli alimenti vengono attribuiti ad una persona solo in considerazione della sua incapacità a provvedersi il necessario per vivere e ne viene fatto carico ad un’altra tenuto conto delle sue possibilità economiche.

Non pare che nel caso specifico sussista né un’evidente stato di bisogno la mancanza di mezzi affinché il soggetto possa provvedere al proprio sostentamento.


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