Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 310 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Appello

Dispositivo dell'art. 310 Codice di procedura penale

1. Fuori dei casi previsti dall'articolo 309 comma 1, il pubblico ministero(1), l'imputato e il suo difensore possono proporre appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali(2), enunciandone contestualmente i motivi [581, 591](3).

2. Si osservano le disposizioni dell'articolo 309 commi 1, 2, 3, 4 e 7. Dell'appello è dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale l'ordinanza appellata e gli atti su cui la stessa si fonda. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall'articolo 127. Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. Il tribunale decide entro venti giorni dalla ricezione degli atti con ordinanza depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione. L'ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi, il giudice può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione(4).

3. L'esecuzione della decisione con la quale il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare è sospesa [588] fino a che la decisione non sia divenuta definitiva [100 disp. att.](5).

Note

(1) Si tratta per il pubblico ministero dell'unica possibilità di impugnazione nel emerito, essendogli precluso lo strumento del riesame.
(2) Trattasi di tutte le ordinanze in materia di misure cautelari personali, quindi sia coercitive sia interdittive, che però non siano assoggettabili al riesame ex art. 309.
(3) A differenza del riesame, alla cui disciplina tale norma rimanda, è richiesta in via necessaria l' enunciazione dei motivi di appello, che, qualora manchi, rende inammissibile il gravame in virtù dell'applicazione della norma prevista all'articolo 591.
(4) Comma così modificato dall’art. 12, comma 1, L. 16 aprile 2015, n. 47.
(5) La Corte Costituzionale, con sent. 15 marzo 1996, n. 71 ha dichiarato l'illegittimità del presente articolo nella parte in cui non prevede la possibilità di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nell'ipotesi in cui sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio a norma dell'art. 429.

Ratio Legis

La disposizione in esame è diretta a disciplinare l'appello quale strumento residuale rispetto all'ambito oggettivo e soggettivo tipico della richiesta di riesame.

Spiegazione dell'art. 310 Codice di procedura penale

Come si desume dalla stessa fisionomia della norma, l'appello rappresenta uno strumento residuale rispetto all'ambito oggettivo e soggettivo tipico della richiesta di riesame di cui all'articolo 309.

Il mezzo di impugnazione in esame è infatti utilizzabile fuori dei casi previsti dall'articolo 309 c.p.p..

Nello specifico, la cerchia dei provvedimenti suscettibili di appello è individuata con riferimento a tutte le ordinanze in materia di misure cautelari personali diverse da quelle assoggettabili a riesame.

La titolarità a proporre appello è stabilita sia nei confronti dell'imputato che del pubblico ministero. Per quanto riguarda il pubblico ministero, va precisato che l'appello è l'unico mezzo di impugnazione nel merito, essendogli precluso lo strumento del riesame.

La norma rinvia alla disciplina del riesame sia per quanto concerne la competenza, sia per quanto concerne l'applicabilità del rito camerale, ai sensi dell'articolo 127.

Il tribunale deve decidere entro venti giorni dalla ricezione degli atti con ordinanza depositata entro trenta giorni dalla decisione, a meno che, per il numero degli arrestati o la complessità delle imputazioni, la stesura delle motivazioni richieda un tempo più lungo.

Per il resto, deve ritenersi implicito il rinvio alla disciplina generale dell'appello, soprattutto con riferimento all'effetto limitatamente devolutivo, con la conseguenza che il tribunale deciderà nel merito solamente in riferimento ai motivi d'appello proposti dalle parti.

Massime relative all'art. 310 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 43193/2018

In tema di revoca delle misure cautelari, non può costituire "elemento nuovo", idoneo a rimuovere l'effetto preclusivo provocato dal cd. giudicato cautelare, il mero sopravvenire di una sentenza della Corte di cassazione che ha espresso un indirizzo giurisprudenziale minoritario, diverso da quello seguito dal provvedimento che ha già deciso la questione controversa, né la successiva riunione nella fase delle indagini preliminari del procedimento in cui è stata adottata la misura con quello in cui è intervenuta la predetta decisione della Suprema Corte. (In motivazione, la Corte ha precisato che il provvedimento di riunione ha natura meramente organizzativa, essendo privo di qualsiasi stabilità e significatività ai fini del mutamento del quadro accusatorio).

Cass. pen. n. 13119/2018

In tema di giudicato cautelare, la revoca di una misura cautelare personale non ha immediato effetto caducatorio su eventuali misure reali disposte nel medesimo procedimento, essendo differenti i diritti presi in considerazione nelle due cautele e le esigenze processuali che le stesse mirano a soddidsfare. (Nella specie la S.C. ha ritenuto immune da censure l'ordinanza che, in sede di riesame cautelare, con riferimento al delitto di cui all'art. 74 del d.P.R. 3 ottobre 1990, n. 309, nonostante la revoca della misura cautelare personale applicata all'indagato, aveva confermato il sequestro preventivo di una somma di denaro rinvenuta nella sua disponibilità).

Cass. pen. n. 12851/2018

In tema di appello cautelare proposto dal P.M., la riforma sfavorevole all'indagato della decisione emessa dal GIP relativamente all'insussistenza dei gravi indizi di reato, non impone, diversamente da quanto richiesto nel giudizio di merito, la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della insostenibilità della soluzione adottata dal primo giudice, essendo sufficiente, ai fini dell'applicazione della misura cautelare, la gravità indiziaria, cioè un livello di verosimiglianza della responsabilità penale dell'indagato inferiore alla soglia del ragionevole dubbio.

Cass. pen. n. 17581/2017

In tema di appello cautelare, la riforma in senso sfavorevole all'indagato della decisione impugnata richiede al tribunale, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito, un rafforzato onere motivazionale, che deve confrontarsi con le ragioni del provvedimento riformato e con quelle della difesa, giustificando adeguatamente il diverso rilievo attribuito ai dati acquisiti; tuttavia, diversamente dalla sentenza di condanna che riforma quella assolutoria, non è indispensabile una piena confutazione delle ragioni del provvedimento riformato, in quanto il criterio di giudizio non è la piena prova della responsabilità, ma soltanto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Cass. pen. n. 13863/2017

Il giudice dell'appello cautelare non incorre nel vizio di ultrapetizione, conseguente alla violazione del principio di devoluzione parziale, ove prenda in esame il punto della sussistenza di esigenze cautelari nella sua interezza, al di là delle specifiche esigenze che nell'atto di appello siano state indicate come oggetto di erronea valutazione. (In applicazione del suddetto principio la S.C. ha ritenuto immune da vizi la decisione che ha accolto l'appello del P.M. avverso l'ordinanza di revoca della misura cautelare estendendo il "thema dicendum" ad una esigenza cautelare dedotta solo con una memoria presentata dopo la proposizione dell'appello).

Cass. pen. n. 12618/2017

In tema di esigenze cautelari, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto all'art. 274, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, impone la previsione, in termini di alta probabilità, che all'imputato si presenti effettivamente un'occasione per compiere ulteriori delitti della stessa specie, e la relativa prognosi comporta la valutazione, attraverso la disamina della fattispecie concreta, della permanenza della situazione di fatto che ha reso possibile o, comunque, agevolato la commissione del delitto per il quale si procede, mentre, nelle ipotesi in cui tale preliminare valutazione sia preclusa, in ragione delle peculiarità del caso di specie, il giudizio sulla sussistenza dell'esigenza cautelare deve fondarsi su elementi concreti - e non congetturali - rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata al momento della adozione della misura, e idonei a dar conto della continuità del "periculum libertatis" nella sua dimensione temporale, da apprezzarsi sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell'indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi dell'effettività di un concreto ed attuale pericolo di reiterazione.

Cass. pen. n. 11550/2017

Qualora il tribunale della libertà accolga la domanda cautelare, riformando in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen. la decisione di rigetto del G.i.p., deve escludersi la sussistenza dell'onere della c.d. motivazione rafforzata, in quanto tale onere è configurabile solo in sede di giudizio, dove il canone valutativo è costituito non dalla gravità indiziaria, ma dalla certezza processuale della responsabilità dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio. (In motivazione, la S.C. ha peraltro precisato che il tribunale deve comunque procedere ad una verifica, sia pur implicita, degli argomenti a sostegno della decisione liberatoria impugnata, se interferenti con i presupposti della divergente valutazione adottata in appello, configurandosi altrimenti un vizio di motivazione che deve essere specificamente dedotto attraverso l'indicazione del profilo neppure implicitamente valutato).

Cass. pen. n. 845/2016

In tema di appello cautelare, anche in seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 47 del 2015, il giudice può integrare il provvedimento impugnato, rispetto a motivazioni mancanti o non contenenti una autonoma valutazione degli indizi e delle esigenze cautelari o degli elementi forniti dalla difesa, in quanto l'art. 310 cod. proc. pen., che disciplina tale forma di impugnazione, non richiama l'art. 309, comma nono, cod. proc. pen. (In motivazione, la Corte ha, altresì, precisato che quest'ultima norma ha carattere eccezionale, e quindi è insuscettibile di applicazione analogica, nella misura in cui deroga al principio generale secondo il quale la motivazione del provvedimento impugnato è, di regola, sostituita, nei limiti del devoluto, dalla pronuncia del giudice dell'impugnazione).

Cass. pen. n. 53425/2014

Nel procedimento di appello ex art. 310 cod. proc. pen., la nullità o l'inutilizzabilità delle risultanze delle video riprese di cui il difensore non abbia ottenuto il rilascio di copia in tempo utile per la discussione del giudizio presuppone che l'istanza sia stata non solo ritualmente e tempestivamente presentata al P.M., ma anche corredata dal materiale tecnico necessario su cui riversare le registrazioni. (In applicazione del principio, la S.C. ha escluso l'applicazione di sanzioni processuali per il mancato rilascio in tempo utile di copie di registrazioni audio video conseguente a ritardo imputabile a colpevole inerzia dell'imputato che, sebbene fosse stato tempestivamente informato, non aveva prodotto il necessario "hard disk" esterno).

Cass. pen. n. 53376/2014

Nelle ipotesi in cui l'appello del pubblico ministero riguardi la mancata applicazione di una misura cautelare personale, l'effetto devolutivo dell'impugnazione non implica che il tribunale della libertà debba decidere nel senso dell'applicazione o del diniego del provvedimento richiesto, potendo procedere anche all'adozione di altre misure coercitive meno gravi. (Fattispecie nella quale il gip rigettava la richiesta di applicazione della misura degli arresti domiciliari e il tribunale della libertà, in accoglimento dell'appello del pubblico ministero, applicava all'indagato la misura meno gravosa del divieto di dimora).

Cass. pen. n. 48423/2014

In tema di appello avverso i provvedimenti "de libertate", l'inosservanza del termine di dieci giorni liberi per l'avviso alle parti ed ai difensori del giorno dell'udienza, stabilito dall'art. 127 c.p.p. per il procedimento in camera di consiglio - alle cui forme fa rinvio l'art. 310, comma secondo, c.p.p. - determina una nullità a regime intermedio e non una nullità assoluta ex art. 179 c.p.p., in quanto quest'ultima presuppone l'omessa (e non l'intempestiva) citazione dell'interessato o del suo difensore.

Cass. pen. n. 38074/2014

Nel procedimento conseguente all'appello proposto dall'indagato avverso l'ordinanza di rigetto di richiesta di revoca della misura cautelare personale, è utilizzabile la documentazione prodotta dalla difesa, riguardante elementi probatori nuovi, preesistenti o sopravvenuti, sempre che i nuovi elementi probatori riguardino lo stesso fatto contestato con l'originaria richiesta cautelare, siano idonei a dimostrare che non sussistono le condizioni e i presupposti di applicabilità della misura cautelare richiesta, e sia stato assicurato, in ordine ad essi, il contraddittorio delle parti, eventualmente mediante la concessione di un congruo termine a favore del P.M.

Cass. pen. n. 14016/2014

L'esecutività della decisione con cui il Tribunale ai sensi dell'art. 310 c.p.p. abbia deciso l'applicazione di una misura cautelare è in ogni caso preclusa dall'emissione di sentenza di incompetenza per territorio deliberata nel procedimento principale prima che la pronuncia diventi definitiva.

Cass. pen. n. 277/2014

L'appello del P.M. avverso ordinanza di rigetto di misura cautelare, motivato con il mero richiamo al contenuto della originaria richiesta cautelare, è inammissibile perchè non soddisfa i requisiti di specificità tranne che nel caso in cui, per motivi formali ritenuti assorbenti o per l'apoditticità della decisione del gip, sia mancata qualsiasi valutazione della richiesta medesima. (Fattispecie in cui la Corte ha dichiarato inammissibile l'appello del P.M. che si era limitato a riprodurre in larga parte la richiesta cautelare, aggiungendo brevi interpolazioni che non rappresentavano critiche alle argomentazioni del Gip ma apodittici commenti alla bontà delle proprie pretese originarie o generiche critiche metodologiche della decisione del giudicante).

Cass. pen. n. 23626/2013

In tema di misure cautelari personali, è inammissibile l'appello con il quale il P.M. muti i termini della domanda cautelare originaria chiedendo l'adozione di un provvedimento diverso e più afflittivo. (Fattispecie in cui il P.M., dopo il rigetto di una misura interdittiva in relazione ad uno specifico incarico, acquisita la notizia della dismissione dello stesso, aveva chiesto in sede di appello cautelare la sospensione dell'indagato da qualunque pubblico ufficio o servizio ricoperto).

Cass. pen. n. 19784/2013

In tema di misure cautelari personali, l'appello proposto dal P.M. può essere presentato presso la cancelleria del Tribunale del luogo ove ha sede la Corte d'appello nella cui circoscrizione è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza, senza la necessità di presentare l'atto di impugnazione presso la cancelleria della sezione del riesame dello stesso Tribunale, in quanto la ripartizione interna dell'ufficio giudiziario non può dare luogo all'attribuzione di distinte competenze. (Fattispecie in cui l'appello del P.M. è stato presentato presso la cancelleria dell'ufficio del G.i.p., anzichè presso la cancelleria della sezione del riesame dello stesso Tribunale).

Cass. pen. n. 6592/2013

L'appello del P.M., ex art. 310 cod. proc. pen., avverso ordinanza cautelare, i cui motivi siano riferiti al solo punto dell'adeguatezza della misura emessa, non attribuisce al tribunale del riesame la cognizione anche sui punti della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari, a meno che non siano emersi elementi nuovi o diversi, non valutati precedentemente dal giudice che ha emesso il provvedimento.

Cass. pen. n. 43913/2012

In tema di appello cautelare, stante la natura devolutiva del giudizio, la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite segnato non solo dai motivi dedotti dall'impugnante, ma anche dal "decisum" del provvedimento gravato, sicché con l'appello non possono proporsi motivi nuovi rispetto a quelli avanzati nell'istanza sottoposta al giudice di primo grado, nè al giudice "ad quem" è attribuito il potere di estendere d'ufficio la sua cognizione a questioni non prese in esame dal giudice " a quo".

Cass. pen. n. 19203/2012

Il termine per la proposizione da parte del P.M. dell'appello ai sensi dell'art. 310 c.p.p. avverso l'ordinanza del G.i.p. che, con un unico provvedimento, accolga parzialmente la richiesta di misura cautelare personale, rigettandola per alcuni indagati o per alcune imputazioni, decorre dal momento in cui il provvedimento medesimo viene comunicato per l'esecuzione all'Ufficio di Procura mediante consegna in segreteria.

Cass. pen. n. 19008/2012

L'appello "de libertate" attribuisce al giudice "ad quem" tutti i poteri "ab origine" rientranti nella competenza funzionale del primo giudice e comporta una valutazione globale della prognosi cautelare da esprimere, pur nel rispetto di quanto devoluto, anche in relazione a circostanze sopravvenute al momento genetico della modifica operata dal giudice competente ex art. 299 c.p.p.

Cass. pen. n. 7764/2012

La rinuncia, anche parziale, all'impugnazione formulata dal solo difensore dell'interessato, non munito di procura speciale, non ha alcun effetto processuale, neppure nell'ipotesi che egli stesso abbia proposto il gravame. (Fattispecie relativi all'appello ex art. 310 cod. proc. pen.)

Cass. pen. n. 6912/2012

È ammissibile l'impugnazione, pur irritualmente non proposta presso la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, quando la stessa sia rimessa nei termini di legge presso la cancelleria del giudice competente a riceverla. (Fattispecie in cui è stato ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione del P.M. avverso decisione del tribunale distrettuale del riesame, proposto presso la cancelleria del tribunale del circondario e presentato entro il termine di legge a quella del giudice competente).

Cass. pen. n. 6565/2012

È inammissibile l'appello ex art. 310 cod. proc. pen. proposto via fax, in quanto la disciplina delle impugnazioni delle misure cautelari reali prevede che l'appello deve essere presentato nella cancelleria del tribunale competente.

Cass. pen. n. 1235/2011

La norma che prevede la notifica dell'avvenuta impugnazione alle altre parti (art. 584 c.p.p.) non trova applicazione nell'ambito dei procedimenti "de libertate", dato che essa è funzionale alla facoltà di proposizione dell'appello incidentale, estraneo al sistema delle impugnazioni in materia cautelare.

Cass. pen. n. 20823/2010

In tema di mandato di arresto europeo, non è impugnabile il provvedimento con il quale il Tribunale, decidendo in sede di appello ex art. 310 c.p.p., rigetti la richiesta di revoca del mandato di arresto europeo emesso dall'autorità giudiziaria italiana nell'ambito della procedura attiva di consegna di cui agli artt. 28 ss. della L. n. 69/2005, atteso che si è in presenza di provvedimento adottato in base a una sentenza irrevocabile di condanna da eseguire ovvero una misura cautelare emessa nell'ambito di un procedimento; provvedimenti che rappresentano il titolo su cui si fonda il mandato di arresto europeo e in relazione ai quali l'interessato può attivare le procedure di controllo previste dall'ordinamento.

Cass. pen. n. 39926/2008

L'appello del pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di misura cautelare è inammissibile per genericità dei motivi se, per l'illustrazione delle censure, si limita a richiamare la richiesta rigettata e non indica i punti di fatto e le questioni di diritto rimesse alla cognizione del giudice dell'impugnazione.

Cass. pen. n. 36779/2008

È inammissibile l'appello tardivamente proposto contro una sentenza pronunciata in contumacia, sul presupposto del mancato decorso dei termini d'impugnazione in ragione del vizio di notifica dell'estratto contumaciale. (La Corte ha chiarito che il sindacato sulla valida formazione del titolo esecutivo va esercitato mediante l'incidente di esecuzione, fermo restando che in tale sede l'osservanza delle "garanzie previste per il caso di irreperibilità del condannato" può essere verificata solo con riguardo a provvedimenti assunti dopo e non prima della pronuncia della sentenza).

Cass. pen. n. 36317/2008

Rientra nei poteri del giudice chiamato a decidere in sede di appello "ex" art. 310 c.p.p. accertare la ricorrenza, nell'ambito della concreta fattispecie, degli elementi previsti dalla legge per l'applicabilità di una determinata norma, indipendentemente dal fatto che una tale indagine sia stata trascurata nel precedente grado o che il rigetto dell'istanza abbia trovato una diversa giustificazione tanto da rendere superfluo l'approfondimento di ulteriori profili di rilievo normativo. (Nella specie, il Tribunale aveva rigettato l'appello proposto nell'interesse dell'indagato - tendente ad ottenere la rimessione in libertà "ex" art. 89 d.P.R. n. 309 del 1990 - sulla base di argomentazioni estranee all'impugnato provvedimento del G.I.P., in particolare osservando che ricorrevano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, ostative all'accoglimento dell'istanza).

Cass. pen. n. 11285/2008

Il procuratore generale è legittimato a proporre appello, ai sensi dell'art. 310 c.p.p., avverso le ordinanze in materia de libertate emesse dalla corte d'appello presso la quale esercita le proprie funzioni.

Cass. pen. n. 5740/2008

In tema di misure cautelari personali, il provvedimento che ripristina la custodia cautelare in carcere a norma dell'art. 307, secondo comma, lettera b) c.p.p., facendo rivivere quello originario, è impugnabile dall'interessato non già mediante il riesame bensì con l'appello ex art. 310 c.p.p.

Cass. pen. n. 5589/2008

Avverso il provvedimento adottato dal giudice per le indagini preliminari sulla richiesta di revoca dell'isolamento continuo quale modalità esecutiva della custodia cautelare in carcere è ammissibile l'appello ai sensi dell'art. 310 c.p.p., ma non il ricorso immediato per cassazione, che deve essere qualificato come appello con trasmissione degli atti al competente tribunale della libertà.

Cass. pen. n. 2023/2008

In tema di ricorso per cassazione contro provvedimenti de libertate emessi dal giudice del riesame, l'art. 311, comma quarto, c.p.p. non introduce alcuna deroga al principio generale della necessaria connessione tra i motivi originariamente dedotti nel ricorso principale e quelli nuovi, ma modifica soltanto il termine per la presentazione di questi ultimi che non è più quello generale di quindici giorni prima dell'udienza ma è spostato all'inizio della discussione.

Cass. pen. n. 40395/2007

È inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse all'impugnazione, l'appello del P.M. volto a far valere l'illegittimità dell'autorizzazione all'indagato a recarsi per motivi di lavoro in un comune diverso da quello per il quale è soggetto alla misura cautelare di cui all'art. 283 c.p.p., allorché nelle more l'occasione di lavoro per l'indagato abbia perso di attualità.

Cass. pen. n. 35214/2007

In tema di impugnazione del P.M., la legittimazione a impugnare ai sensi dell'art. 310 c.p.p. il provvedimento con il quale il Gip ha negato, in sede di udienza di convalida dell'arresto, l'applicazione della misura cautelare spetta al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento. (Nell'affermare tale principio, la Corte ha ritenuto irrilevante, ai fini della legittimazione ad impugnare, se la competenza ad indagare sul reato per cui si procede spetti al pubblico ministero periferico o a quello distrettuale).

Cass. pen. n. 6908/2007

La persona offesa del reato non è legittimata a proporre appello, ai sensi dell'art. 322 bis c.p.p., avverso il provvedimento con il quale il giudice abbia respinto la richiesta di sequestro preventivo avanzata dal pubblico ministero, non potendosi, in contrario, far leva sulla inclusione, tra i soggetti legittimati al gravame, della «persona che avrebbe diritto alla restituzione», dal momento che una tale legittimazione presuppone che il sequestro sia stato disposto e vi sia quindi interesse ad opporvisi onde ottenere, appunto, la restituzione del bene sequestrato. (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 6728/2006

Nel procedimento conseguente all'appello proposto dall'indagato contro l'ordinanza reiettiva della richiesta di revoca della misura cautelare personale, è legittima, in applicazione dei principi del favor libertatis e della ragionevole durata del processo, la produzione di documentazione relativa ad elementi probatori « nuovi» preesistenti o sopravvenuti, sempre che, nell'ambito dei confini segnati dal « devolutum» quelli prodotti dalla parte riguardino lo stesso fatto contestato con l'originaria richiesta cautelare e in ordine ad essi sia assicurato nel procedimento camerale il contraddittorio delle parti, anche mediante la concessione di un congruo termine anche a favore del P.M., e siano idonei a dimostrare che non sussistono le condizioni e i presupposti di applicabilità della misura cautelare richiesta.

Cass. pen. n. 30474/2005

Il rapporto di alternatività che deve ritenersi esistente tra appello proposto dal pubblico ministero avverso ordinanza reiettiva della richiesta di applicazione di misura cautelare e formulazione, da parte dello stesso pubblico ministero, di una nuova richiesta per il medesimo fatto, non comporta che, dichiarata dal giudice per le indagini preliminari l'inammissibilità di detta seconda richiesta, l'appello proposto avverso l'ordinanza reiettiva della prima vada dichiarato anch'esso inammissibile. (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 22705/2005

Il termine per la proposizione da parte del P.M. dell'appello ai sensi dell'art. 310 c.p.p. avverso l'ordinanza del G.i.p. di diniego dell'applicazione della misura cautelare personale relativamente a taluni indagati, inserita in un unico, più ampio provvedimento comprendente anche l'applicazione della misura privativa della libertà personale nei confronti di altri soggetti, decorre dalla comunicazione del provvedimento di rigetto al P.M. e non dal momento in cui il provvedimento viene trasmesso per l'esecuzione all'Ufficio di Procura nei confronti delle persone assoggettate all'ordinanza limitativa della libertà personale. (Fattispecie in cui, a seguito della richiesta del P.M. di misura cautelare nei confronti di più indagati, il G.i.p. aveva accolto la domanda per alcuni e l'aveva respinta per altri, disponendo la trasmissione degli atti al P.M. per l'esecuzione dei provvedimenti restrittivi nei confronti delle persone ad essi assoggettate, omettendo la prescritta comunicazione dell'ordinanza di rigetto relativa alle altre posizioni ).

Cass. pen. n. 18339/2004

La decisione definitiva, emessa sull'appello instaurato dal pubblico ministero avverso l'ordinanza del Gip di rigetto della richiesta di una misura cautelare personale, spiega un'efficacia preclusiva «allo stato degli atti» in ordine alle questioni in fatto o in diritto esplicitamente o implicitamente dedotte - ma non anche a quelle deducibili - in quel giudizio; sì che le medesime questioni, in difetto di nuove acquisizioni probatorie che implichino un mutamento della situazione di fatto sulla quale la decisione era fondata, restano precluse in sede di adozione da parte del Gip di un successivo provvedimento cautelare richiesto dal P.M. nei confronti dello stesso soggetto e per lo stesso fatto.

Nel procedimento di appello, instaurato dal pubblico ministero avverso l'ordinanza del Gip di rigetto della richiesta di una misura cautelare personale, è consentito alla difesa dell'indagato, nel contraddittorio camerale, di produrre documentazione relativa ad elementi probatori «nuovi», sia preesistenti che sopravvenuti, acquisiti anche all'esito di investigazioni difensive e idonei a contrastare motivi di gravame del pubblico ministero, ovvero a dimostrare che non sussistono le condizioni e i presupposti di applicabilità della misura cautelare richiesta.

Nel procedimento di appello, instaurato dal pubblico ministero avverso l'ordinanza del Gip di rigetto della richieta di una misura cautelare personale, è consentito al pubblico ministero di produrre documentazione relativa ad elementi probatori «nuovi», preesistenti o sopravvenuti, sempre che tali elementi riguardino lo stesso fatto contestato con l'originaria richiesta cautelare e, in ordine ad essi, sia assicurato nel procedimento camerale il contraddittorio delle parti anche mediante la concessione di un congruo termine a difesa.

Cass. pen. n. 31477/2003

Nel procedimento d'appello avverso provvedimenti in materia di misure cautelari personali l'oggetto risulta delimitato dai motivi e dagli elementi su cui è stata fondata la richiesta al giudice per le indagini preliminari e su cui questi ha deciso, per cui il giudice dell'impugnazione non può assumere, a sostegno della propria decisione, elementi acquisiti dalle parti successivamente all'adozione del provvedimento coercitivo, atteso il mancato richiamo nell'art. 310 c.p.p. dell'art. 309 comma 9 c.p.p. che consente l'annullamento e la riforma in melius del provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati e dovendo escludersi l'applicazione analogica dell'art. 603 c.p.p. sulla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (nella specie, il giudice d'appello aveva utilizzato il verbale prodotto per la prima volta dal pubblico ministero nel corso dell'udienza camerale, contenente dichiarazioni accusatorie sopravvenute rispetto al materiale probatorio valutato dal giudice per le indagini preliminari ).

Cass. pen. n. 43566/2002

In tema di termini di durata massima della custodia cautelare, poiché a norma dell'art. 304, commi 1 e 4, c.p.p. è consentita l'immediata appellabilità dell'ordinanza che ne dispone la sospensione, la mancata presentazione, da parte dell'interessato, dell'atto di appello nel termine perentorio stabilito dall'art. 310, comma 2, stesso codice, comporta, in virtù del fenomeno della preclusione endoprocessuale, l'inammissibilità della successiva e tardiva richiesta di declaratoria di estinzione della misura e di scarcerazione per sopravvenuta scadenza dei termini cautelari di fase, a nulla rilevando l'illegittimità dell'originaria sospensione. (Fattispecie relativa a provvedimento, non impugnato tempestivamente, di sospensione dei termini, disposto, a seguito di dichiarazione di ricusazione del giudice da parte dell'imputato, con effetti fino alla successiva udienza di rinvio, anziché fino alla data, anteriore, di reiezione dell'istanza e quindi, almeno sotto il profilo della durata della sospensione, illegittimo).

Cass. pen. n. 3797/2002

Nel giudizio di impugnazione di una misura cautelare personale è inibito alla Corte provvedere direttamente alla valutazione, al fine di verificarne il carattere di elemento favorevole per l'indagato, di un atto sopravvenuto alla emissione del provvedimento coercitivo e non trasmesso dal pubblico ministero al tribunale del riesame, atteso che il sindacato di legittimità può essere esercitato, eventualmente, solo sulla motivazione con la quale il predetto tribunale abbia respinto analoga censura prospettata con la richiesta o nel corso dell'udienza camerale.

Cass. pen. n. 29082/2001

In tema di impugnazioni de libertate, allorché sia accolta l'impugnazione proposta dal pubblico ministero avverso il diniego del giudice per le indagini preliminari di emissione dell'ordinanza cautelare per l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il giudice di appello deve valutare se ricorrano tutte le condizioni richieste per l'adozione delle misure cautelari e giustificarne la sussistenza, atteso che il provvedimento limitativo della libertà personale può essere adottato soltanto se sussistano oltre che i gravi indizi anche le esigenze cautelari.

Cass. pen. n. 27964/2001

In tema di interesse a impugnare, permane l'interesse ad ottenere una decisione sulla legittimità della misura cautelare reale, anche in presenza della sua avvenuta revoca o sostituzione, allorché ciò abbia un'effettiva e attuale rilevanza sulla posizione complessiva del ricorrente. (Fattispecie in cui la Corte ha dichiarato sussistente l'interesse del responsabile civile alla pronuncia sulla legittimità del sequestro conservativo, già revocato a seguito di versamento di una cauzione, in quanto una decisione favorevole avrebbe avuto effetti significativi sul permanere della cauzione versata).

Cass. pen. n. 3052/2000

In tema di appello avverso i provvedimenti de libertate, il termine di dieci giorni entro il quale il difensore può proporre il gravame non decorre necessariamente dalla data di notificazione dell'avviso di deposito dell'ordinanza impugnata, ma, nel caso in cui il difensore ne abbia avuto effettiva conoscenza in epoca precedente, dal diverso momento in cui tale conoscenza si è verificata, purché questa sia sicuramente provata. (Fattispecie in cui la conoscenza del provvedimento da parte del difensore si era avuta attraverso la notifica di altra ordinanza in materia cautelare nella quale si faceva espresso e specifico riferimento al precedente provvedimento).

Cass. pen. n. 2453/2000

Nel caso in cui il Gip, richiesto dell'applicazione di una misura cautelare, si dichiari incompetente a provvedere, non perché individui la competenza di altro giudice, ma — come nella fattispecie — a seguito di una valutazione di merito attinente all'esistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato per il quale la misura è stata richiesta, il relativo provvedimento è di sostanziale rigetto, onde è appellabile innanzi al tribunale.

Cass. pen. n. 1071/2000

È inammissibile l'appello proposto al tribunale del riesame avverso il rigetto della richiesta di revoca della misura cautelare allorché non vengano rispettate le forme di cui al quarto comma dell'art. 309 e al secondo comma dell'art. 310 c.p.p. che impongono la presentazione del gravame nella cancelleria del tribunale del riesame. (Nella fattispecie, relativa alla presentazione del gravame, da parte del difensore dell'imputato, davanti al giudice “a quo”, la Corte ha affermato il principio precisando che, nel caso specifico, non può trovare applicazione il secondo comma dell'art. 582 c.p.p., in quanto il luogo in cui era stata presentata l'impugnazione non è diverso da quello in cui era stato emesso il provvedimento).

Cass. pen. n. 4591/2000

In tema di impugnazioni de libertate, la circostanza che il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di revoca per ragioni attinenti alla sussistenza delle esigenze cautelari, abbia esorbitato dalla richiesta effettuando rilievi anche sul quadro di gravità indiziaria, non determina l'ampliamento dell'originario “petitum”. Ne deriva che il giudice dell'appello cautelare non è tenuto ad esaminare le censure concernenti tale parte del provvedimento impugnato, rivolte avverso motivazione superflua e quindi irrilevante, come tale inidonea ad essere attinta dai motivi di gravame ai sensi dell'art. 310 c.p.p.

Cass. pen. n. 1067/2000

Il soggetto sottoposto a custodia cautelare ha interesse a ricorrere avverso un provvedimento restrittivo della libertà personale anche nel caso in cui il gravame sia limitato a una sola delle imputazioni, poiché il venir meno del titolo della custodia, anche se con riferimento esclusivo a una delle accuse, pur senza incidere sull'assoggettamento del medesimo alla misura cautelare a causa del mantenimento del provvedimento restrittivo in relazione ad altri reati, rende meno gravosa la posizione difensiva e consente il riacquisto della libertà, nel caso in cui il titolo legittimante l'applicazione della misura venga meno, per qualsiasi motivo, in ordine agli altri reati.

Cass. pen. n. 809/2000

Poiché il procedimento di riesame è preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l'adozione del provvedimento cautelare, e non anche di quelli incidenti sulla sua persistenza, non è consentito dedurre con tale mezzo di impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante dalla mancanza o invalidità di successivi adempimenti; ne consegue che esulano dall'ambito del riesame le questioni relative a mancanza, tardività o comunque invalidità dell'interrogatorio previsto dall'art. 294 c.p.p., le quali, inerendo a vicende del tutto avulse dall'ordinanza oggetto del gravame, si risolvono in vizi processuali che non ne intaccano l'intrinseca legittimità ma, agendo sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l'estinzione automatica che deve essere disposta, in un distinto procedimento, con l'ordinanza specificamente prevista dall'art. 306 c.p.p., suscettibile di appello ai sensi dell'art. 310 dello stesso codice. (Nella fattispecie, relativa a ricorso diretto in Cassazione contro il ripristino della misura ordinata dal Gip, la Corte, ribadendo il principio affermato dalle sezioni unite anche con riferimento al caso specifico di ricorso per saltum, ha precisato che non può essere rintracciata ratione materiae [misura cautelare] una vis attractiva del ricorso per cassazione rispetto alla procedura ex artt. 306 e 310 c.p.p.; e ciò in quanto la questione dedotta — inefficacia sopravvenuta per mancanza dell'interrogatorio — non risulta neppure dal fascicolo del ricorso concernente il provvedimento coercitivo).

Cass. pen. n. 2711/2000

Il tribunale, quale giudice di appello dei provvedimenti in materia di libertà personale, non può annullare gli stessi per difetto di motivazione, ma deve invece, nel rispetto del principio tantum devolutum quantum appellatum, provvedere a completare la motivazione, integrandola in tutto o in parte. Pertanto il giudice di appello, una volta denunziata una nullità per carenza di motivazione, non può limitarsi a rilevare tale carenza ma, nell'ambito delle questioni decise dal provvedimento impugnato, deve riesaminare l'oggetto della decisione, ovviando con la sua pronuncia alle lacune del provvedimento stesso, rientrando ciò nei suoi poteri-dovere di giudice del gravame.

Cass. pen. n. 4763/2000

È inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso avverso ordinanza di custodia cautelare già revocata, allorché con lo stesso si deduca la destinazione all'uso personale dello stupefacente, atteso che l'interesse ad impugnare un provvedimento di custodia cautelare revocato sussiste solo ove la relativa decisione possa essere utile per fondare il diritto all'equa riparazione, e cioè ove si contesti la sussistenza delle condizioni generali o speciali previste dagli artt. 273 o 280 c.p.p. per l'applicabilità della misura.

Cass. pen. n. 6520/2000

Non rientra nel novero dei provvedimenti impugnabili a norma dell'art. 310 c.p.p., in quanto non idoneo ad incidere sullo status libertatis, il provvedimento con il quale il giudice respinge la richiesta di revoca del divieto di incontro con i coimputati imposto per ragioni di giustizia nei confronti di persona sottoposta alla misura della custodia cautelare in carcere.

Cass. pen. n. 4639/1999

Poiché le impugnazioni avverso i provvedimenti in materia di libertà personale non hanno di regola effetto sospensivo (artt. 588, comma 2, e 310, comma 3, c.p.p.) deve considerarsi legittimamente adottata l'ordinanza de libertate emessa dal giudice per le indagini preliminari in pendenza del ricorso per cassazione proposto avverso la decisione di annullamento, da parte del tribunale, di una precedente decisione pronunciata dallo stesso giudice in ordine alla medesima istanza dell'indagato. (Nel caso di specie l'ordinanza cautelare con cui il giudice per le indagini preliminari aveva, su istanza dell'indagato, sostituito la custodia cautelare con l'obbligo di residenza, era stata annullata dal tribunale su appello del pubblico ministero, di cui non era stato acquisito il parere prima della decisione; avverso tale pronuncia di annullamento aveva proposto ricorso per cassazione l'interessato, sulla cui originaria istanza il giudice per le indagini preliminari aveva nuovamente provveduto, con l'ordinanza di cui la Corte ha ritenuto la legittimità, pur in pendenza del predetto ricorso).

Cass. pen. n. 3418/1999

In tema di procedimento di appello de libertate, in ragione della natura pienamente devolutiva del giudizio la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite segnato non solo dai motivi dedotti dalla parte impugnante, ma anche dal decisum del provvedimento gravato, dimodoché il thema decidendum proposto nell'atto di impugnazione deve coincidere con quello sottoposto al giudice a quo; non possono pertanto con l'appello proporsi motivi del tutto nuovi rispetto a quelli avanzati nell'istanza sottoposta al giudice di primo grado, né al giudice ad quem è attribuito il potere di estendere d'ufficio la sua cognizione a questioni neppure prese in esame dal giudice a quo.

Cass. pen. n. 1676/1999

In tema di procedimento d'appello de libertate, il giudice investito ai sensi dell'art. 310 c.p.p. dell'impugnazione avverso il rigetto di un'istanza di revoca della misura della custodia in carcere nella quale siano stati dedotti cessazione o affievolimento delle esigenze cautelari, deve tenere conto, per il rilievo che esse possono assumere ai fini della valutazione sul thema decidendum, delle dichiarazioni rese dall'indagato in sede di udienza camerale. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato l'ordinanza con cui il tribunale, avanti al quale l'indagato aveva reso confessione ed effettuato una chiamata in correità, aveva ritenuto di non poter prendere in considerazioni tali dichiarazioni, ai fini del giudizio sulla permanenza delle esigenze cautelari, perché estranee al devolutum, non essendo state sottoposte alla valutazione del Gip).

Cass. pen. n. 1013/1999

Anche nel giudizio di appello del processus libertatis, disciplinato dall'art. 310 c.p.p., trova applicazione il generalissimo principio del ne bis in idem, cosicché neppure tramite lo strumentale ricorso all'istituto della revoca, previsto dall'art. 299 dello stesso codice, possono riproporsi le medesime deduzioni avverso il provvedimento di custodia cautelare già rigettate in sede di riesame, senza elementi di novità che possano giustificare il superamento di quella preclusione.

Cass. pen. n. 506/1999

Per i provvedimenti in materia cautelare, diversi da quelli genetici e soggetti, come tali ad appello ex articolo 310 c.p.p., la preclusione del c.d. giudicato cautelare vale, relativamente alle censure che ne potevano formare oggetto, anche in caso di mancata proposizione o di declaratoria di inammissibilità del gravame; e ciò in forza del carattere devolutivo del mezzo, che, altrimenti, ne risulterebbe vanificato. Ne consegue che qualora si tratti di stabilire quali siano stati i periodi di sospensione dei termini di custodia cautelare massimi nella fase successiva al rinvio a giudizio dell'imputato, dei quali il giudice deve tener conto ai fini della richiesta di scarcerazione, in presenza di ordinanze non appellate che abbiano disposto la sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare, non è più possibile contestare la legittimità delle sospensioni disposte in virtù di pregresse ordinanze non impugnate, ancorché se ne eccepisca la nullità per contrasto con le lettere a), b) e c) del primo comma dell'articolo 304 c.p.p.

Cass. pen. n. 3089/1999

In tema di misure cautelari personali, nel caso in cui il Gip abbia rigettato la richiesta di emissione di provvedimento coercitivo per carenza di esigenze cautelari e pur ritenendo sussistenti, nel caso sottoposto al suo esame, gravi indizi di colpevolezza, il tribunale, investito dell'appello proposto dal P.M., deve - al fine di disporre la richiesta misura in accoglimento del gravame - prendere in considerazione tutti gli elementi di cui all'art. 292 c.p.p. e pertanto deve motivare adeguatamente, non solo in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari (oggetto della impugnazione del P.M.), ma anche in ordine alla già ritenuta configurabilità dei gravi indizi, della quale l'indagato non aveva alcun interesse a dolersi, essendo stata comunque disattesa, nei suoi confronti, la richiesta di applicazione della misura cautelare. (Fattispecie relativa a rigetto di ricorso del P.M., che aveva denunciato violazione del principio devolutivo dell'appello, un quanto il tribunale, investito del gravame con riferimento alla ritenuta carenza di esigenze cautelari, aveva esteso la sua cognizione anche alla valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza).

Cass. pen. n. 30/1999

In tema di misure cautelari personali, l'appello attribuisce al giudice ad quem tutti i poteri originariamente rientranti nella competenza funzionale del primo giudice e comporta la rimessione dell'imputato, nel giudizio di appello, nella stessa situazione processuale della fase iniziale del procedimento, sicché egli è esposto all'esercizio dei poteri dispositivi e coercitivi propri dell'autorità che procede. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che non violi il principio del tantum devolutum il giudice che annullando un provvedimento di proroga della custodia cautelare, disponga con la scarcerazione l'applicazione di altra misura cautelare di cui ricorrano i presupposti; anche indipendentemente da specifiche richieste del P.M. perché implicitamente insite in quelle originarie).

Cass. pen. n. 1737/1998

Il giudice della libertà, nel rispondere ai rilievi dell'appellante, può e deve esaminare tutte le risultanze delle indagini senza violare il principio devolutivo dell'appello, atteso che il devolutum è costituito dai motivi di gravame e non dal materiale indiziario, messo o meno in evidenza nel precedente grado. (Fattispecie in cui è stata ritenuta legittima la motivazione che ha fatto riferimento, nel valutare le esigenze cautelari, ai contatti con altri personaggi inseriti nel narcotraffico, in quanto un tale riferimento non è necessariamente collegato ad una ipotesi di reato associativo non contestato, ma, nella specie, all'ipotesi accusatoria di trasporto e importazione dall'estero di sostanza stupefacente).

Cass. pen. n. 1349/1998

In materia di appello cautelare, l'art. 310, comma secondo, c.p.p. prevede, attraverso il rinvio all'art. 309, comma quarto, dello stesso codice, che nell'atto di impugnazione sia apposta, tra l'altro, l'indicazione del soggetto che lo presenta e del pubblico ufficiale che lo riceve. La mancanza di tali attestazioni comporta la inammissibilità della impugnazione, a norma dell'art. 591, comma primo, lett. c), c.p.p., essendo d'altro canto onere di chi presenta l'atto, per evitare tale conseguenza, di pretendere e verificare l'osservanza di dette formalità.

Cass. pen. n. 335/1998

In tema di impugnazioni di provvedimento impositivo di misura cautelare personale, il giudizio di appello è delimitato da due elementi nel senso che opera anzitutto l'effetto devolutivo, in ragione del quale la cognizione del giudice non può estendersi al di là dei motivi dedotti con l'impugnazione, e che la stessa facoltà devolutiva è delimitata dalla natura e dal contenuto del provvedimento impugnato, non essendo ammissibile dedurre questioni che non siano state prospettate con l'istanza successivamente decisa con il provvedimento impugnato, e dovendosi osservare la duplice cognizione prevista per il giudizio di merito.

Cass. pen. n. 1219/1998

La regola della devoluzione, propria del giudizio di appello nel processo di cognizione è applicabile anche all'appello nel procedimento de libertate. Ne consegue che al giudice della fase del gravame è precluso ogni esame dei punti della decisione di primo grado diversi da quelli oggetto di censura. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto inammissibile, in quanto questione nuova, quella sollevata dall'imputato in sede di legittimità e relativa all'asserita inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dal P.M. senza l'autorizzazione del Gip alla riapertura delle indagini, questione che non era stata portata alla cognizione del giudice dell'appello cautelare, proposto dal P.M. e che, secondo la S.C. ben avrebbe potuto — e dovuto — essere introdotta in quella fase, mediante appello incidentale dell'imputato).

Cass. pen. n. 12/1998

Per i provvedimenti in materia cautelare diversi da quelli genetici e soggetti, come tali ad appello ex art. 310 c.p.p., la preclusione del c.d. giudicato cautelare vale, relativamente alle doglianze che ne potevano formare oggetto, anche in caso di mancata proposizione o di dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione; e ciò in forza del carattere devolutivo dell'appello, che altrimenti ne risulterebbe vanificato. (Fattispecie di imputato scarcerato per decorrenza termini al quale è stato imposto l'obbligo di firma e ripristinata, successivamente, la custodia cautelare in carcere).

Cass. pen. n. 6989/1998

La regola del tantum devolutum, quantum appellatum delimita anche i poteri di cognizione del giudice di appello in materia di impugnazione di ordinanze aventi ad oggetto misure cautelari personali, ma tale limite è operante soltanto rispetto ai punti della decisione impugnata attinti dai motivi di gravame, nonché a quelli con essi strettamente connessi o da essi dipendenti, e non riguarda, invece, le deduzioni in fatto e le argomentazioni in diritto svolte dal giudice di primo grado.

Cass. pen. n. 4281/1998

La cognizione del giudice di appello nel procedimento incidentale sulla libertà, di cui all'art. 310 c.p.p., seppure limitata ai punti della decisione impugnata attinti dai motivi di gravame, non è condizionata dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni in diritto poste dal giudice della decisione impugnata a sostegno del proprio assunto. Applicandosi poi all'impugnazione prevista dall'art. 310 i principi che regolano in generale il processo d'appello è possibile che la decisione trovi fondamento nella nuova documentazione, la cui acquisizione sia stata richiesta al giudice del gravame entro i limiti del devolutum.

Cass. pen. n. 6922/1998

Non dà luogo a nullità alcuna — non trovando, nella specie, applicazione il disposto di cui all'art. 292, comma 1, lett. e, c.p.p. — il fatto che l'ordinanza con la quale il tribunale ha deciso su appello in materia de libertate proposto ai sensi dell'art. 310 c.p.p. non rechi l'indicazione della data di deliberazione ma solo quella della data di deposito in cancelleria.

Cass. pen. n. 3213/1998

Nel giudizio di appello contro i provvedimenti de libertate, quando l'impugnazione sia stata proposta dal P.M., l'indagine — a differenza del caso in cui appellante sia l'imputato ed in ossequio quindi al principio costituzionale del favor libertatis — non può essere portata oltre la situazione esistente al momento in cui il provvedimento impugnato venne adottato, pur persistendo il dovere, nella positività di quella indagine, di ulteriormente verificare l'attualità delle condizioni e dei presupposti per l'adozione delle misure cautelari; di conseguenza, non è ammissibile la valutazione di elementi indiziari sopravvenuti alla formulazione dell'atto di impugnazione e fatti pervenire tempestivamente al giudice.

Cass. pen. n. 3638/1997

Rientra nei poteri del giudice chiamato a decidere in sede di appello ex art. 310 c.p.p. - al pari di ogni altro giudice - accertare la ricorrenza, nell'ambito della concreta fattispecie, degli elementi previsti dalla legge per l'applicabilità di una determinata norma, indipendentemente dal fatto che una tale doverosa indagine sia stata trascurata nel precedente grado o, più semplicemente, che il rigetto dell'istanza abbia trovato altra motivata giustificazione sì da rendere superfluo l'approfondimento di altri aspetti normativi. (Nella fattispecie il tribunale, in sede di gravame ai sensi dell'art. 310 c.p.p., aveva rigettato l'appello proposto nell'interesse dell'indagato - tendente ad ottenere la rimessione in libertà di quest'ultimo in applicazione dell'art. 89 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, in materia di provvedimenti restrittivi nei confronti dei tossicodipendenti - sulla base di argomentazione estranea all'impugnato provvedimento del Gip, e precisamente avendo ritenuto inapplicabile, nel caso concreto, la disposizione del secondo comma del citato art. 89 del detto D.P.R., secondo cui la misura cautelare in carcere deve essere revocata quando si tratti di indagato o imputato tossicodipendente che intenda sottoporsi ad un programma di recupero, stante il divieto previsto dal quarto comma del medesimo articolo. La Suprema Corte, pur annullando con rinvio, per un diverso motivo, l'impugnato provvedimento, ha disatteso, in applicazione del principio di cui in massima, l'assunto del ricorrente sul punto relativo alla denunciata violazione del principio devolutivo, stabilito dal primo comma dell'art. 597 del codice di procedura penale).

Cass. pen. n. 1734/1997

Anche nel giudizio di appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali, disciplinato dall'art. 310 c.p.p., deve trovare applicazione la regola stabilita dall'art. 291, comma 1 bis, stesso codice, che riconosce al giudice, nel corso delle indagini preliminari, possibilità di disporre misure meno gravi di quelle richieste dal P.M., a meno che quest'ultimo non abbia espressamente chiesto di disporre esclusivamente la misura indicata. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso avverso ordinanza applicativa degli arresti domiciliari, la Suprema Corte ha osservato che dall'atto di appello non si ricavava assolutamente che il P.M. fosse contrario all'applicazione di qualsiasi altra misura diversa dalla richiesta custodia cautelare in carcere; «addrittura» mancava anche la motivazione circa l'inadeguatezza di differenti misure cautelari).

Cass. pen. n. 2655/1997

È manifestamente infondata, in riferimento all'art. 97 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 310 c.p.p., nella parte in cui non prevede che debba essere comunicato l'avviso di udienza al P.M., in quanto il principio di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione della giustizia attiene solo alle leggi che definiscono l'ordinamento degli uffici giudiziari e il loro funzionamento sotto l'aspetto meramente amministrativo, restando, per contro, estraneo alla tematica dell'esercizio della funzione giurisdizionale.

Cass. pen. n. 3183/1997

In materia di impugnazione di ordinanze che dispongono misure cautelari, il divieto di produrre nuovi atti o documenti in appello, scaturente dall'art. 310, comma secondo, c.p.p., non si estende agli atti interni del processo, quali le sentenze e i provvedimenti resi nelle fasi pregresse dai giudici o dagli organi intervenuti nel corso del procedimento, poiché si tratta di atti o documenti sempre consultabili, dei quali il giudice deve tenere conto, onde evitare la pronuncia di provvedimenti abnormi o contraddittori, e che il giudice del gravame, proprio perché deve tenerne conto, può acquisire anche d'ufficio.

Cass. pen. n. 3340/1997

L'omessa notifica dell'avviso per l'udienza camerale d'appello avverso provvedimento di diniego di revoca di misura cautelare al difensore che assiste l'imputato nel procedimento principale, ancorché non identificantesi con il difensore che ha presentato l'impugnazione ed i relativi motivi nel procedimento incidentale integra una nullità generale a regime intermedio. (Principio affermato con riguardo a fattispecie nella quale l'avviso per l'udienza camerale era stato notificato solo al difensore che aveva presentato la richiesta di revoca della misura del divieto di espatrio e successivamente l'impugnazione).

Cass. pen. n. 8/1997

La cognizione del giudice di appello nel procedimento incidentale sulla libertà, di cui all'art. 310 c.p.p., è limitata ai punti della decisione impugnata attinti dai motivi di gravame (e a quelli con essi strettamene connessi e da essi dipendenti), ma non è condizionata dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni in diritto poste dal giudice della decisione impugnata a sostegno del proprio assunto. (Fattispecie relativa ad appello avverso il provvedimento di rigetto di istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare per asserita contestazione a catena, fondata, tra l'altro, sull'esistenza di vincolo di continuazione o di connessione tra i reati contestati. Nell'enunciare il principio di cui in massima, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione del tribunale della libertà basata, pur in assenza al riguardo di deduzioni dell'appellante o di argomentazioni del giudice a quo, sull'esistenza di una preclusione derivante dal giudicato cautelare sul punto).

Cass. pen. n. 3871/1996

In tema di appello avverso le misure cautelari personali l'obbligo di dare immediato avviso all'autorità procedente sussiste anche quando gli atti pervengano al tribunale del riesame da altra autorità (nel caso di specie dalla Corte di cassazione, che aveva proceduto a qualificare quale appello il ricorso presentato). Deve essere perciò annullata con rinvio l'ordinanza emessa prescindendo dall'esame di atti che il giudice procedente, ove fosse stato avvertito della pendenza del procedimento de libertate avanti al tribunale del riesame in funzione di giudice d'appello, avrebbe dovuto inviare ad integrazione della documentazione già acquisita dal tribunale.

Cass. pen. n. 3391/1996

In tema di misure cautelari, l'obbligo di tener conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato, previsto dall'art. 292, lett. c), nella nuova formulazione introdotta dall'art. 9, comma 1, della L. 8 agosto 1995, n. 332, non incide sulle caratteristiche dell'appello disciplinato dall'art. 310 c.p.p., per il quale continua ad operare il principio di devoluzione, con la conseguenza che il suddetto fattore deve essere preso in esame dal giudice d'appello non in ogni caso ma solo se ad esso si è fatto espresso riferimento nei motivi posti a sostegno del gravame.

Cass. pen. n. 2088/1996

Attesa l'ampia formulazione dell'art. 299, comma 4 ter, c.p.p., in base alla quale è attribuito al giudice «in ogni stato e grado del procedimento», il potere di disporre accertamenti sulle condizioni di salute dell'imputato, non è censurabile il provvedimento di un tribunale che, investito di appello proposto dal pubblico ministero avverso l'ordinanza sostitutiva della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, per ritenute ragioni di salute dell'imputato, disponga perizia medica onde accertare l'effettiva sussistenza e rilevanza di dette ragioni.

Cass. pen. n. 1724/1996

In tema di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare per particolare complessità del dibattimento, ai sensi dell'art. 304, comma 2, c.p.p., il tribunale avanti al quale venga impugnato, ai sensi dell'art. 310 c.p.p., il provvedimento che dispone la detta sospensione non ha titolo per sindacare l'opportunità di provvedimenti di riunione adottati dal giudice del procedimento principale, in relazione alla loro possibile incidenza sul corso del dibattimento.

Cass. pen. n. 1153/1996

Quando il Gip abbia negato la misura cautelare omettendo, nel motivare la propria decisione, ogni valutazione in ordine alle esigenze cautelari ma limitandosi ad escludere la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, tale profilo deve essere doverosamente valutato dal giudice di appello cui il P.M. abbia ricorso in applicazione dell'art. 310 c.p.p. L'apparente deroga al principio devolutivo discende dal principio fondamentale dell'ordinamento processuale che impedisce di applicare una misura cautelare in assenza di entrambe le condizioni richieste dalla legge, esigenze cautelari e gravi indizi di colpevolezza.

Cass. pen. n. 1507/1996

La nullità dell'interrogatorio previsto dall'art. 294 c.p.p., come atto successivo alla adozione di un provvedimento cautelare — derivi essa dalla omissione del prescritto avviso al difensore o da qualsiasi altra ragione — non incide sulla validità della misura applicata, ma può dar luogo unicamente (quando la misura sia quella della custodia cautelare) alla liberazione dell'indagato a norma dell'art. 302 c.p.p. Tale liberazione, qualora non sia disposta d'ufficio, va chiesta al giudice che procede, il quale dovrà provvedere con ordinanza, che è soggetta ad appello ai sensi dell'art. 310, comma 1, c.p.p.

Cass. pen. n. 1993/1996

In tema di misure cautelari personali, anche dopo che sia intervenuto il decreto che dispone il giudizio, sono sindacabili, in sede di impugnazione nel procedimento de libertate (nella specie, appello), i gravi indizi di colpevolezza.

Cass. pen. n. 1596/1996

Anche nel procedimento che segue all'appello ex art. 310 c.p.p., i limiti dei poteri del giudice sono segnati dal devolutum, che va comunque circoscritto al thema decidendum proposto nell'istanza, sicché è inammissibile il gravame fondato su motivi completamente nuovi rispetto a quelli proposti nell'istanza rigettata dal giudice a quo. (Fattispecie nella quale era stata chiesta alla corte d'assise d'appello la scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare e, in sede di appello avverso il provvedimento reiettivo della relativa istanza, era stata chiesta la concessione degli arresti domiciliari).

Cass. pen. n. 3056/1996

In tema di misure cautelari personali, l'appello produce, nei limiti del principio tantum devolutum quantum appellatum, un duplice effetto, poiché priva nel periodo intermedio il giudice a quo del potere di revocare e modificare il provvedimento impugnato, se non per situazioni sopravvenute, ed attribuisce al giudice ad quem tutti i poteri originariamente rientranti nella competenza funzionale del primo giudice. L'applicazione analogica di questa regola alla materia de libertate comporta la rimessione dell'imputato, nel giudizio d'appello, nella stessa situazione processuale della fase iniziale del procedimento, sicché egli è esposto all'esercizio dei poteri dispositivi e coercitivi propri dell'autorità che procede. Pertanto, non viola il principio del tantum devolutum il giudice che, annullando il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare, in quanto già scaduti, disponga, con la scarcerazione, altre misure cautelari, ai sensi dell'art. 307 c.p.p. (Fattispecie nella quale è stato escluso che il giudice della impugnazione de libertate avrebbe dovuto limitarsi a confermare o annullare il provvedimento di sospensione).

Cass. pen. n. 41/1996

Nei procedimenti de libertate, che si instaurano a norma degli artt. 309, 310 e 311 c.p.p., è escluso l'effetto estensivo dell'impugnazione proposta dal coindagato diligente ai coindagati rimasti estranei al procedimento, ferma restando la possibilità, sulla base dei principi propri dell'ordinamento processuale, di estendere, ove ne ricorrano i presupposti, gli effetti favorevoli della decisione, purché non fondata su motivi personali di uno degli impugnanti, ad altro coindagato nello stesso procedimento. (Fattispecie nella quale la S.C. ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti da due coindagati per associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, i quali avevano lamentato la loro mancata citazione nel giudizio di rinvio seguito ad annullamento disposto dalla Cassazione sul ricorso, proposto da altri coindagati nel medesimo reato, avverso provvedimento del tribunale della libertà confermativo dell'ordinanza di proroga della custodia cautelare).

Cass. pen. n. 261/1996

Il provvedimento col quale il giudice adotta altra misura cautelare nei confronti dell'imputato scarcerato per decorrenza dei termini, ai sensi dell'art. 307, primo comma, c.p.p. trova l'unica ragione giustificativa nella persistenza delle esigenze cautelari. Pertanto, esso è impugnabile non già col riesame, impugnazione che rimette in discussione l'intero quadro probatorio, esigendo la valutazione degli indizi di colpevolezza, bensì con l'appello, mirante ad una pronuncia sulla persistenza delle esigenze cautelari e sull'adeguatezza della misura prescelta.

Cass. pen. n. 6016/1996

Nel procedimento di appello avverso provvedimenti in materia di misure cautelari, disciplinato dall'art. 310 c.p.p., atteso il mancato richiamo, in detta norma, del disposto di cui all'art. 309, comma 9, c.p.p. (che consente l'annullamento e la riforma in melius del provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati) e tenuto conto che non può neppure trovare applicazione l'art. 603 c.p.p. (che consente la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale), il tribunale non può assumere, a sostegno della propria decisione, elementi nuovi addotti dalle parti in corso di udienza.

Cass. pen. n. 3942/1995

Il provvedimento di diniego (o di concessione) all'indagato, che si trovi agli arresti domiciliari, dell'autorizzazione ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo degli arresti è inoppugnabile. Contro di esso invero non è prevista impugnazione alcuna, né può ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 della Costituzione in quanto lo stesso non decide sulla libertà personale, ma si limita a regolare le modalità di esecuzione della misura cautelare, ossia di un beneficio che non si configura come diritto dell'imputato.

Cass. pen. n. 3395/1995

In tema di appello contro ordinanze in materia di misura cautelare personale, il tribunale ha cognizione limitata ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, secondo il principio devolutivo; pertanto, se l'appello è stato proposto dal P.M., il tribunale non può emettere un provvedimento più favorevole all'indagato di quello adottato dal primo giudice.

Cass. pen. n. 3104/1995

Mentre l'art. 254 quinquies del codice abrogato consentiva di impugnare le ordinanze che decidevano in ordine alla «misura» degli arresti domiciliari, e, di conseguenza, in ordine all'applicazione ed alla revoca della misura stessa, con esclusione di ogni questione relativa alle prescrizioni imposte, l'art. 310 del codice vigente si riferisce in modo più lato all'impugnazione delle «ordinanze in materia di custodia cautelare», e cioè ad ogni provvedimento avente ad oggetto la materia della libertà personale e quindi anche a quelli che, imponendo o negando determinate prescrizioni, finiscono con l'incidere in maniera più o meno restrittiva sulla privazione della libertà medesima; ne deriva che il provvedimento di concessione o di diniego all'imputato in stato di arresti domiciliari dell'autorizzazione ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di custodia per esercitare un'attività lavorativa, è impugnabile con il rimedio dell'appello di cui all'art. 310 suddetto, avendo ad oggetto una modifica, non contingente (come il permesso), bensì permanente delle modalità di esecuzione della misura cautelare coercitiva, che incide inevitabilmente sullo status libertatis del soggetto.

Cass. pen. n. 4387/1995

La partecipazione del difensore alla camera di consiglio fissata a seguito di appello del pubblico ministero avverso l'ordinanza di revoca della misura cautelare è facoltativa e non necessaria; tuttavia se il difensore, per legittimo impedimento, non sia in grado di esercitare tale facoltà, l'udienza in camera di consiglio non può essere validamente tenuta.

Cass. pen. n. 3367/1995

Avverso il provvedimento di proroga della custodia cautelare non è ammesso il ricorso per saltum in Cassazione, ma è esperibile l'appello di cui all'art. 310 c.p.p. dinanzi al tribunale della libertà, che può provvedere alla motivazione della proroga che non sia stata motivata dal giudice che l'ha concessa. Ne consegue che gli indagati che non propongano appello a norma degli artt. 305, comma 2, e 310, c.p.p., implicitamente riconoscono la sussistenza delle condizioni di legge per l'emissione del provvedimento di custodia cautelare e, comunque, non consentono al giudice di appello di formulare un'adeguata motivazione della decisione di proroga della custodia cautelare, tale da resistere eventualmente al controllo di legittimità della Corte di cassazione, sicché non possono successivamente lamentare disparità di trattamento rispetto alla posizione di altri coindagati nei confronti dei quali sia stato accolto ricorso per cassazione. (Fattispecie nella quale per due coindagati la S.C. aveva disposto l'annullamento con rinvio della sentenza di merito e non anche dell'ordinanza in tema di libertà, in ordine alla quale erano stati rigettati i ricorsi di altri coindagati).

Cass. pen. n. 3089/1995

Qualora il Gip accolga la richiesta del pubblico ministero di proroga dei termini di custodia cautelare prima della scadenza del termine concesso al difensore per il deposito di note scritte, si realizza una nullità a regime intermedio che pertanto deve essere eccepita, al più tardi, nel giudizio di appello dinnanzi al tribunale costituito a norma dell'art. 310 c.p.p.

Cass. pen. n. 1835/1995

Quando il Gip, ritenuta la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, abbia respinto la richiesta dal pubblico ministero di applicazione di una misura cautelare personale per assenza di esigenze cautelari e il P.M. abbia proposto appello su quest'ultimo punto, la parziale statuizione del Gip sulla sussistenza degli indizi, non suscettibile di autonoma impugnazione da parte dell'indagato, non determina a carico di questo alcuna preclusione nel giudizio di appello né sotto il profilo del giudicato cautelare né sotto quello dell'effetto devolutivo dell'impugnazione del P.M. In tale caso il giudice di appello è legittimato a procedere alla verifica della sussistenza dei gravi indizi in quanto antecedente logico necessario alla decisione sulle esigenze cautelari e presupposto ineludibile dell'applicabilità della misura cautelare.

Cass. pen. n. 1971/1995

Il tribunale, in sede di appello avverso provvedimento in materia di misure cautelari personali all'udienza di discussione può acquisire, in analogia a quanto previsto per il giudizio di appello ordinario, compatibilmente con la natura ed i tempi del giudizio incidentale, nuovi elementi di prova, rilevanti per la decisione sul punto devoluto. Ciò, peraltro, deve avvenire nel rispetto del contraddittorio, la cui violazione è sanzionata in via generale dall'art. 178 comma 1 c.p.p. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha annullato un'ordinanza del tribunale che ebbe ad utilizzare per la decisione un documento prodotto dal P.M. dopo la chiusura della discussione, nel quale, pertanto, la difesa non aveva avuto alcuna possibilità di interloquire).

Cass. pen. n. 2490/1995

Anche per le impugnazioni riguardanti i procedimenti de libertate vale il principio della unicità del diritto di impugnazione per cui l'esaurimento del mezzo per primo scelto dalla parte o dal suo difensore elimina il diritto all'impugnazione anche nei confronti dell'altro soggetto legittimato. Non è perciò ammissibile l'impugnazione proposta dalla parte con proprio autonomo atto di appello dopo che il difensore abbia esercitato, esaurendolo, il diritto di impugnazione. Ciò vale a maggior ragione per l'appello avverso la proroga dei termini di custodia cautelare previsto dall'art. 305, c. 2, c.p.p. che, prevedendo non un rito camerale con l'intervento della parte, ma l'obbligo di «sentire il P.M. e il difensore», appresta un mezzo per l'intervento della sola difesa tecnica.

Cass. pen. n. 1907/1995

In tema di divieto di un secondo giudizio, l'istanza di proscioglimento o di non luogo a procedere ex art. 649 cpv. c.p.p. può essere proposta in qualsiasi stato e grado del procedimento al giudice cui è rivolto l'esercizio dell'azione penale che, ove la ritenga fondata, pronuncia sentenza enunciandone la causa nel dispositivo e revoca, conseguentemente, i provvedimenti cautelari in atto. La suddetta istanza non può, invece, essere diretta al giudice d'appello in materia cautelare, poiché questi ha competenza funzionale ristretta, potendo interloquire sul fatto imputato nei limiti e per le finalità di cui all'art. 273 c.p.p. (Fattispecie nella quale con l'appello ex art. 310 c.p.p. l'imputato si era doluto che il tribunale, competente per il reato ex art. 416 bis c.p. avesse rigettato l'istanza de libertate, omettendo di rilevare l'eccepita preclusione processuale in ordine allo stesso fatto).

Cass. pen. n. 670/1995

Allorché il provvedimento impugnato con l'appello sia inadeguatamente o erroneamente motivato, il giudice d'appello non può disporne l'annullamento, ma deve giudicare in secondo grado, motivando adeguatamente la decisione. (Fattispecie relativa a procedimento de libertate, in relazione alla quale la S.C. ha anche ribadito la sua costante giurisprudenza circa la legittimità della motivazione per relationem che faccia riferimento alle ragioni esposte in altri provvedimenti noti all'interessato, quantunque ancora sub judice).

Cass. pen. n. 1424/1995

In tema di misure cautelari, il gravame di cui all'art. 310 c.p.p. ha la fisionomia strutturale e strumentale degli ordinari mezzi di impugnazione: con la conseguenza che, a differenza del riesame, nel quale il giudice del gravame ha la stessa piena cognizione del giudice che ha emesso il provvedimento, nell'appello il tribunale ha la conoscenza del provvedimento impugnato nei limiti di quanto devoluto ed è privo del potere di compiere — come nel procedimento di riesame — una rivalutazione della situazione assunta in precedenza per l'adozione del provvedimento cautelare.

Cass. pen. n. 1613/1995

Gli elementi in base ai quali il tribunale deve decidere sull'appello proposto, ex art. 310 c.p.p., avverso il rigetto della richiesta di revoca della misura cautelare, devono essere quelli già entrati nella sfera di disponibilità del giudice che si è pronunciato sulla richiesta stessa, con l'esclusione della possibilità, per il tribunale, di nuove acquisizioni documentali, ancorché influenti sullo stato di custodia dell'indagato. (Nella specie, il tribunale aveva tenuto conto, nella decisione, di prove documentali non acquisite alle indagini quando il giudice per le indagini preliminari si era pronunciato sulla richiesta di revoca).

Cass. pen. n. 1499/1995

La parte civile, non essendo fra i soggetti legittimati a proporre appello, ai sensi dell'art. 310 c.p.p., avverso provvedimenti in materia de libertate, non ha neppure titolo a ricevere l'avviso dell'udienza camerale ed a proporre, quindi, ricorso per cassazione, per violazione del principio del contraddittorio, avverso l'ordinanza decisoria del gravame pronunciata all'esito di detta udienza. (Nella specie, in applicazione di tali principi, il ricorso proposto dalla parte civile è stato dichiarato inammissibile).

Cass. pen. n. 1134/1995

La decisione del giudice sull'appello avverso l'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca di una misura cautelare è vincolata, oltre che dall'effetto devolutivo proprio di questo tipo di impugnazione, per cui la sua cognizione non può superare i confini tracciati dai motivi, anche dalla natura del provvedimento impugnato, che è del tutto autonomo rispetto all'ordinanza impositiva della misura. Il giudice, pertanto, non è tenuto a riesaminare la questione della sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura stessa ma solo a stabilire se il provvedimento gravato sia immune da violazioni di legge ed adeguatamente motivato in relazione all'eventuale allegazione di fatti nuovi, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare il quadro probatorio o ad influire sull'esigenza della misura cautelare, fermo restando il dovere, in ogni caso, e cioè anche indipendentemente da qualsiasi sollecitazione dell'interessato, di revocare immediatamente la misura allorché ne siano venute meno le condizioni di applicabilità.

Cass. pen. n. 743/1995

Qualora venga proposto un mezzo d'impugnazione avverso un provvedimento che incide sulla libertà personale di più coindagati, e tale impugnazione venga proposta solo da alcuni di questi, l'eventuale accoglimento del gravame, con il conseguente annullamento del titolo della custodia cautelare, spiega effetto anche nei confronti dei non impugnanti, purché il motivo posto a base dell'annullamento non sia esclusivamente riferibile alla posizione del singolo coindagato impugnante. (Fattispecie in tema di richiesta di proroga dei termini di custodia cautelare, concessa solo nei confronti di un indagato e respinta nei confronti di altro indagato in posizione sostanzialmente analoga, nei confronti del quale la Suprema Corte ha ritenuto operante l'effetto estensivo dell'impugnazione).

Cass. pen. n. 431/1995

Se il giudice dell'impugnazione, pur accogliendo motivi estensibili, ha omesso di statuire sull'estensione al coimputato non impugnante (art. 587 c.p.p.), questi può sempre ottenere una pronuncia in tal senso come rimedio straordinario. Ma tale rimedio va esperito autonomamente con separato procedimento, al fine di dar luogo ad una pronuncia autonoma, ma non può essere introdotto, per la prima volta, in sede di appello avverso un'ordinanza reiettiva di istanza di revoca di misura cautelare: non può, cioè trovare ingresso in un giudizio di impugnazione di un diverso procedimento.

Cass. pen. n. 4107/1995

Il tribunale, in sede di appello avverso un'ordinanza reiettiva di un'istanza di revoca della custodia cautelare in carcere, non può dare rilievo ad un eventuale aggravamento delle condizioni di salute dell'indagato (intervenuto tra la pronuncia del provvedimento impugnato e la proposizione dell'appello) evidenziabili in nuovo accertamento medico: ciò non solo sarebbe in contrasto con il principio dell'effetto devolutivo dell'appello, ma comporterebbe, per l'ipotesi di positivo riscontro del suddetto aggravamento in termini di incompatibilità con la permanenza in carcere, l'esercizio della facoltà sostanziale di revoca o sostituzione ex officio della misura cautelare che compete solo al Gip ovvero al giudice del giudizio.

Cass. pen. n. 3696/1994

In tema di libertà personale i casi in cui è consentito il ricorso diretto sono due: a) quello di cui all'art. 311 c.p.p. avverso i provvedimenti, che dispongono la misura cautelare personale; b) quello di cui all'art. 568 c.p.p. avverso i provvedimenti sulla libertà non altrimenti impugnabili. Ne deriva che esso non è esperibile contro ordinanze attinenti alla modificazione o la estinzione delle misure stesse, poiché in tali casi è possibile l'appello, ex art. 310 c.p.p. (Nella specie la Cassazione ha convertito il ricorso in appello).

Cass. pen. n. 3597/1994

L'omesso tempestivo ricorso al procedimento impugnatorio incidentale di riesame, condizionato da termini perentori, non consente più alla parte interessata di utilmente prospettare, in sede di impugnazione sul rigetto della richiesta di revoca, questioni attinenti la nullità formale o sostanziale del provvedimento impositivo della cautela, trovando l'istanza di revoca il suo presupposto esclusivamente nella modifica del quadro probatorio offerto dall'accusa.

Cass. pen. n. 3021/1994

Il tribunale competente a decidere sull'appello proposto in materia cautelare, ai sensi dell'art. 310 c.p.p., può dichiarare l'inammissibilità del gravame soltanto in presenza di una delle cause generali di inammissibilità, di ordine essenzialmente formale, previste dall'art. 591 c.p.p. e non, quindi, in considerazione del contenuto sostanziale del gravame nel merito. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato l'ordinanza del tribunale che aveva dichiarato inammissibile un appello in materia de libertate in quanto volto a rimettere in discussione, in fase di giudizio, il requisito dei gravi indizi di colpevolezza).

Cass. pen. n. 1816/1994

In tema di misure cautelari, il provvedimento del tribunale che, a seguito dell'appello del pubblico ministero ex art. 310 c.p.p., applichi la misura cautelare coercitiva ovvero la ripristini dopo la revoca, costituisce un novum incidente sullo status libertatis dell'indagato, per il quale l'esecuzione è sospesa fino all'esaurimento dei termini di gravame o all'esito negativo di esso.

Cass. pen. n. 1775/1994

L'art. 310 c.p.p. regola l'istituto dell'appello in materia di misure cautelari, quale procedimento speciale rispetto alla impugnazione prevista dal titolo II del libro IX del codice, la cui disciplina di carattere generale (ivi compreso il principio devolutivo previsto dall'art. 597 comma 1 c.p.p.) è applicabile al gravame speciale per tutto quanto non espressamente o non diversamente disposto dall'art. 310. Ne consegue che il tribunale, investito del giudizio ex art. 310 c.p.p. su appello del P.M. avverso ordinanza del Gip di scarcerazione dell'indagato per ritenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, non può rigettare l'appello ritenendo la mancanza di esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p.

Cass. pen. n. 1040/1994

Nel disciplinare l'istituto dell'appello in materia di misure cautelari, l'art. 310 c.p.p., mentre espressamente si richiama alle disposizioni dettate dall'art. 309 c.p.p. per quanto concerne la procedura, nulla specifica circa i poteri decisori del tribunale e la tipologia dei provvedimenti adottabili a seguito della proposta impugnazione. Per ragioni di coerenza dell'ordinamento, tale silenzio assume il significato di un rinvio implicito, per tutto ciò che non trova espressa previsione nel disposto dell'art. 310 c.p.p., ai principi e alle norme che disciplinano l'istituto dell'appello, nelle parti che si rendono applicabili. Ne consegue che il tribunale, quale giudice di appello dei provvedimenti in materia di libertà personale, essendo tenuto a pronunciarsi unicamente con le formule conclusive proprie del giudizio di merito — conferma o riforma del provvedimento impugnato — non può annullare lo stesso per difetto di motivazione, ma deve invece, nel rispetto del principio tantum devolutum quantum appellatum, provvedere a completare la stessa, integrandola in tutto o in parte.

Cass. pen. n. 617/1994

Anche se per il giudizio di appello in materia di provvedimenti de libertate l'art. 310 c.p.p. non richiama le disposizioni dell'art. 309, nono comma, stesso codice che, con riferimento alla procedura del riesame, riconosce espressamente alle parti la facoltà di «addurre nuovi elementi probatori» fino all'udienza di discussione, è, tuttavia, evidente che, applicandosi all'impugnazione prevista dall'art. 310 i principi che regolano in generale il giudizio di appello, ivi compresi quelli indicati nell'art. 603, secondo e terzo comma, non è inibito alle parti di richiedere al giudice del gravame, entro i limiti del devolutum, l'acquisizione di nuova documentazione, con la conseguenza che il detto giudice può respingere la richiesta solo se inconferente o relativa ad atti di cui sia vietata l'acquisizione ovvero se ritenga di essere in grado di decidere senza le acquisizioni richieste.

Cass. pen. n. 3944/1994

Presupposto della revoca di una misura cautelare personale è il venir meno, anche per fatti portati a conoscenza del giudice procedente successivamente all'adozione della misura, dei gravi indizi o delle esigenze cautelari, già ritenuti nel provvedimento applicativo della misura stessa e non rimossi attraverso l'esperimento del riesame. Il tema di lite nel giudizio di appello ed in quello successivo di legittimità concernente la revoca o il diniego di revoca di una misura cautelare, è dunque ristretto alla questione se siano o non siano venute meno le condizioni di applicabilità della misura o le esigenze cautelari. Ne consegue che al giudice investito dell'appello o del successivo ricorso è precluso, anche in forza del generalissimo principio ne bis in idem, l'esame sulla sussistenza o sull'insussistenza dei gravi indizi e delle esigenze cautelari a suo tempo dedotti a supporto della misura, oggetto del giudizio di revoca.

Cass. pen. n. 5639/1994

Anche per l'ordinanza la motivazione costituisce requisito formale e non sostanziale, essendo la parte dispositiva che realizza il contenuto decisorio, fornito di propri effetti e suscettibile di divenire irrevocabile se non viene proposta impugnazione nei termini. La mancanza della motivazione configura quindi una nullità, che viene sanata dal giudice di appello che è tenuto, a seguito di impugnazione, ad integrare il provvedimento privo di motivazione. (Nella specie trattavasi di ordinanza di rimessione in libertà, pronunciata dal Gup - contestualmente alla sentenza - all'esito di giudizio abbreviato, e che era stata oggetto di appello da parte del P.M.).

Il giudice di appello al quale sia stata denunciata una nullità per carenza di motivazione, non può limitarsi a rilevare tale carenza, ma nell'ambito delle questioni decise dal provvedimento impugnato, deve riesaminare l'oggetto della decisione, considerando il merito ed ovviando così con la sua pronuncia alle lacune del provvedimento impugnato, rientrando ciò nei suoi poteri-doveri di giudice del gravame. (Nella specie era stata impugnata dal P.M. per mancanza di motivazione un'ordinanza di rimessione in libertà, pronunciata dal Gup, contestualmente alla sentenza, all'esito di giudizio abbreviato).

Cass. pen. n. 3411/1994

È manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale della disposizione di cui all'art. 310, secondo comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede, al pari di quanto disposto dall'art. 309, decimo comma, stesso codice, la cessazione dell'efficacia dell'ordinanza impugnata, nel caso in cui il tribunale non si pronunci nel termine previsto, sollevata con riferimento all'art. 3 della Costituzione che impone il pari trattamento di situazioni sostanzialmente omogenee. Invero la situazione processuale relativa al riesame è ben diversa da quella dell'appello che, se da un lato si riferisce anche alle misure interdittive, dall'altro, quando abbia riguardo ad una misura coercitiva, presuppone appunto che questa sia stata applicata antecedentemente con ordinanza non più impugnabile (perché l'interessato vi ha fatto acquiescenza o perché la sua impugnazione è stata respinta) e che già vi sia stata, quindi, prima di tale provvedimento, un'esauriente valutazione vuoi degli indizi di colpevolezza, vuoi delle esigenze cautelari.

Cass. pen. n. 1732/1993

Il tribunale che giudica in sede di appello proposto contro ordinanza in materia di misure cautelari personali ha cognizione limitata ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti. Peraltro, come qualsiasi giudice di appello, non ha potere di annullamento per vizio di motivazione, potere spettante al solo giudice di legittimità. Ne deriva che, qualora ricorra l'anzidetto vizio, il tribunale ex art. 310 c.p.p. può integrare o sostituire la motivazione del provvedimento impugnato, oppure riformare lo stesso per una diversa valutazione dei fatti, ma non annullare il provvedimento per vizio di motivazione.

Cass. pen. n. 3017/1993

In tema di materia di appello avverso le misure cautelari, il termine di venti giorni dalla ricezione degli atti, stabilito dall'art. 310, secondo comma, c.p.p. per la decisione del tribunale, non è perentorio, ma ordinatorio. Ne consegue che l'eventuale inosservanza di esso non importa alcun effetto sulla misura cautelare disposta.

Cass. pen. n. 2165/1993

Anche per l'appello avverso ordinanza in materia di misure cautelari personali, disciplinato dall'art. 310 c.p.p., vale il principio generale stabilito dall'art. 585, terzo comma, stesso codice, secondo cui, quando la decorrenza dei termini per proporre l'impugnazione è diversa per l'imputato e per il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo.

Cass. pen. n. 945/1993

L'art. 310 c.p.p., che contiene le norme sull'appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali, richiama il primo, secondo, terzo, quarto e settimo comma dell'art. 309 c.p.p., che riguarda il riesame e non il quinto comma, che impone all'autorità procedente di trasmettere gli stessi atti posti a fondamento dell'adozione della misura cautelare. La ragione sta in ciò, che nel caso di riesame della misura il giudice dell'impugnazione deve disporre, per il controllo di legittimità e di merito, degli stessi elementi che hanno indotto il primo giudice ad applicare la misura; nel caso di appello, invece, dev'essere posta a disposizione del giudice dell'appello soltanto la documentazione «su cui si fonda l'ordinanza appellata», secondo quanto dispone l'art. 310, secondo comma, c.p.p.

Cass. pen. n. 4032/1993

In ossequio al principio tantum devolutum quantum appellatum, il giudice di appello è tenuto a limitare la cognizione ai punti del processo interessati dai motivi dell'impugnazione, ma tale principio deve essere correlato con quello della naturale e logica conseguenza dell'annullamento che fa rivivere la situazione giuridica esistente prima del provvedimento annullato. Ne consegue che, una volta sostituita dal Gip, a seguito di istanza di parte, la misura del divieto di dimora con quella degli arresti domiciliari, legittimamente il tribunale della libertà che accolga l'appello dell'indagato, ripristina la misura del divieto di dimora sul rilievo della persistenza di esigenze cautelari.

Cass. pen. n. 2753/1992

Il divieto di produrre nuovi atti e documenti in sede di appello, in tema di misure cautelari personali, scaturente dall'art. 310, secondo comma, c.p.p., non si estende agli atti interni del processo, quali le sentenze ed i provvedimenti resi nelle fasi pregresse dai giudici o dagli organi intervenuti nel corso del procedimento, poiché si tratta di atti e documenti sempre consultabili, dei quali il giudice deve tener conto, onde evitare la pronuncia di provvedimenti abnormi o contraddittori. Le sentenze della Suprema Corte, quali atti pubblici, possono essere liberamente consultabili da parte di chiunque, anche ai fini di studio ed indicate e conosciute in relazione a qualsivoglia processo.

Cass. pen. n. 1740/1992

Anche nel processus libertatis trova applicazione il generalissimo principio del ne bis in idem, cosicché nello speciale giudizio di appello regolato dall'art. 310 c.p.p. non possono riproporsi, neppure tramite lo strumentale ricorso all'istituto della revoca previsto all'art. 299 dello stesso codice, le medesime deduzioni avverso il provvedimento generico di custodia cautelare già rigettate in sede di riesame.

Notizie giuridiche correlate all'articolo

Tesi di laurea correlate all'articolo

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.