Cass. civ. n. 10375/2021
Nel giudizio proposto contro l'I.N.A.I.L. per il riconoscimento delle prestazioni conseguenti ad infortunio sul lavoro, la negazione della causa o dell'occasione di lavoro da parte del convenuto senza deduzione di fatti o titoli diversi da quelli posti dall'attore a fondamento della domanda, integra una mera difesa non soggetta alle preclusioni previste dagli artt. 416 e 437 c.p.c., rispettivamente per il primo grado e per l'appello, e non un'eccezione in senso sostanziale idonea ad invertire l'onere della prova, gravante sull'infortunato, dei fatti costitutivi della domanda, sicché in presenza della sopraindicata negazione, che vale come non ammissione dei fatti costitutivi della domanda, permane il potere - dovere del giudice di verificare la sussistenza di questi ultimi. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 12/02/2015).
Cass. civ. n. 2174/2021
L'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte e dedotti nel processo, non anche per quelli ad essa ignoti o allegati in sede extraprocessuale, atteso che il principio di non contestazione trova fondamento nel fenomeno di circolarità degli oneri di allegazione, confutazione e prova, di cui agli artt. 414, nn. 4 e 5, e 416 c.p.c., che è tipico delle vicende processuali. (Nella specie, la S.C. ha escluso che l'Inail avesse l'obbligo di contestare i fatti posti alla base della domanda giudiziale di indennità temporanea da infortunio sul lavoro, perché il fatto costitutivo della prestazione trae origine dal rapporto di lavoro cui l'ente è estraneo, restando irrilevante, ai fini della non contestazione, quanto dedotto dal lavoratore in sede amministrativa con la denuncia d'infortunio). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 08/01/2015).
Cass. civ. n. 31704/2019
In tema di opposizione a cartella esattoriale avente ad oggetto crediti contributivi, il principio per cui la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto ne rende inutile la prova siccome non più controverso, trova applicazione solo quando la parte opponente, attrice in senso formale ma convenuta in senso sostanziale, non prenda posizione in maniera precisa, rispetto ai fatti allegati nella memoria di costituzione dell'ente previdenziale, nella prima difesa utile, e cioè nell'udienza di cui all'art. 420 c.p.c., in quanto, attribuendo analoga efficacia di allegazione ai fatti contenuti in atti extraprocessuali (quale la cartella esattoriale, verrebbe interrotta la circolarità, necessariamente endoprocessuale, tra oneri di allegazione, di contestazione e di prova di cui al combinato disposto degli artt. 414, nn. 4 e 5, e 416 c.p.c.. (Rigetta, CORTE D'APPELLO LECCE, 11/01/2013).
Cass. civ. n. 20998/2019
Nei procedimenti che seguono il rito del lavoro, il principio di non contestazione, con riguardo ai conteggi elaborati dal ricorrente ai fini della quantificazione del credito oggetto della domanda, impone la distinzione tra la componente fattuale e quella normativa dei calcoli, nel senso che è irrilevante la non contestazione attinente all'interpretazione della disciplina legale o contrattuale della quantificazione, appartenendo al potere-dovere del giudice la cognizione di tale disciplina, mentre rileva quella che ha ad oggetto i fatti da accertare nel processo e non la loro qualificazione giuridica.
Cass. civ. n. 16893/2018
L'ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione può essere appellata, dalla parte contumace, nel termine "breve" di cui all'art. 702 quater c.p.c., decorrente dalla notificazione della stessa, in difetto della quale trova applicazione il termine "lungo" di cui all'art. 327 c.p.c. che opera per tutti i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo.
Cass. civ. n. 14274/2017
L’inammissibilità della prova per testimoni della simulazione non può essere rilevata dal giudice in assenza di un’espressa eccezione di parte, la quale, tuttavia, non soggiace al regime di preclusioni previsto dall’art. 416 c.p.c. per la proponibilità delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, ma al diverso limite della prima istanza o difesa successiva all’eventuale assunzione della prova, atteso che la violazione dell’art. 1417 c.c., al pari di quella delle disposizioni di cui agli artt. 2721 e 2722 c.c., dà luogo ad una nullità relativa, soggetta al regime di cui all’art. 157, comma 2, c.p.c.
Cass. civ. n. 11417/2017
Nel processo del lavoro, il principio di non contestazione si applica anche ai diritti a prestazioni previdenziali, senza che rilevi il loro carattere indisponibile, dovendosi ritenere che la mancata contestazione operi in relazione alla prova dei fatti costitutivi del diritto - ancorché non necessariamente comuni alle parti in causa - e non alla disponibilità del diritto medesimo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione impugnata rilevando che l’avvenuta allegazione, nel ricorso giudiziale di primo grado, della presentazione del ricorso amministrativo, con indicazione specifica della data e dell’autorità cui era stato proposto, costituiva un fatto che l’INPS non aveva altrettanto specificamente contestato in memoria difensiva, con conseguente vincolo per il giudice di merito, tenuto a considerare la circostanza come avvenuta, senza necessità di convincersi della sua esistenza).
Cass. civ. n. 7784/2017
Nel rito del lavoro, il principio di non contestazione può essere invocato, al fine di riconoscere come non controverso un fatto costitutivo non dedotto in funzione meramente probatoria, solo se quest'ultimo abbia costituito oggetto di specifica allegazione nel ricorso introduttivo, ma non anche qualora sia stato precisato dalla parte unicamente con l’atto di appello. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, reiettiva di una domanda di indennità di maternità, ai sensi dell’art. 24, comma 4, del d.lgs. n. 151 del 2001, in quanto esclusivamente in sede di gravame la ricorrente aveva precisato circostanze, relative al periodo di fruizione dell’indennità di disoccupazione, rilevanti per la decorrenza della prestazione richiesta).
Cass. civ. n. 26395/2016
Nel rito del lavoro, il principio che esclude dal tema di indagine il fatto costitutivo della domanda per effetto della sua mancata contestazione, giusta l’art. 416, comma 3, c.p.c., incontra l’unica deroga nella possibilità che il giudice ne accerti, d'ufficio, l’esistenza o l’inesistenza in base alle risultanze ritualmente acquisite. (Così statuendo, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, esaminate le risultanze istruttorie da cui non emergeva che il ricorrente avesse un obbligo costante di vigilanza, aveva escluso lo svolgimento in via continuativa dell’attività di guardiano notturno, non oggetto di specifica contestazione).
Cass. civ. n. 19697/2016
In tema di licenziamento per motivi disciplinari, il mancato esercizio del diritto di difesa in sede disciplinare (nella specie per mancanza di una effettiva ed adeguata contestazione degli addebiti), non può considerarsi come ammissione dei fatti contestati da parte del lavoratore ex art. 416 c.p.c., e quindi non può impedirgli il pieno diritto di azione in sede processuale.
Cass. civ. n. 12101/2016
In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il lavoratore ha l'onere di dimostrare il fatto costitutivo dell'esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato così risolto, nonché di allegare l'illegittimo rifiuto del datore di continuare a farlo lavorare in assenza di un giustificato motivo, mentre incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell'esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include anche l'impossibilità del cd. "repechage", ossia dell'inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore.
Cass. civ. n. 8924/2015
Nel rito del lavoro, la tardiva costituzione del convenuto in primo grado non comporta che il giudice di appello non possa prendere in considerazione, ai fini della decisione, la documentazione relativa al giudizio di primo grado qualora essa, in assenza di tempestiva opposizione all'irrituale produzione, sia stata ritualmente acquisita e sia entrata a far parte del tema di indagine.
Cass. civ. n. 15527/2014
In materia di demansionamento (o dequalificazione), il lavoratore è tenuto a prospettare le circostanze di fatto volte a dare fondamento alla denuncia ed ha, quindi, l'onere di allegare gli elementi di fatto significativi dell'illegittimo esercizio del potere datoriale, e non anche quelli idonei a dimostrare in modo autosufficiente la fondatezza delle pretese azionate, mentre il datore di lavoro è tenuto a prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti posti dal lavoratore a fondamento della domanda e può allegarne altri, indicativi, del legittimo esercizio del potere direttivo, fermo restando che spetta al giudice valutare se le mansioni assegnate siano dequalificanti, potendo egli presumere, nell'esercizio dei poteri, anche officiosi, a lui attribuiti, la fondatezza del diritto fatto valere anche da fatti non specificamente contestati dall'interessato, nonché da elementi altrimenti acquisiti o acquisibili al processo.
Cass. civ. n. 8070/2014
In tema di lavori socialmente utili, la quantificazione del relativo trattamento economico è stabilito direttamente dalla legge, sicché non può trovare applicazione il principio di non contestazione, in quanto espressione del principio dispositivo delle parti, rilevante solo ove non in contrasto con norme imperative di legge.
Cass. civ. n. 13206/2013
L'operatività del principio di non contestazione delle risultanze di un documento prodotto da una delle parti del giudizio presuppone un requisito minimo, costituito dalla necessità che del documento stesso sia pacifica l'esistenza dal punto di vista giuridico. (Nel caso di specie, essendo state prodotte in giudizio fotocopie incomplete, prive di sottoscrizione, di polizze assicurative, delle quali risultava pertanto impossibile verificare la validità, si è escluso che tale produzione documentale fosse idonea a consentire l'operatività del principio di non contestazione).
Cass. civ. n. 8213/2013
Fermo restando che la contestazione deve riguardare i fatti del processo, e non la determinazione della loro dimensione giuridica, la mancata contestazione di un fatto addotto dalla controparte ne rende superflua la prova, conferendogli carattere non controverso, e ciò sia per il sistema delle preclusioni, il quale comporta per le parti l'onere di collaborare al fine di circoscrivere la materia controversa, e sia per il principio di economia, che deve informare il processo, alla stregua dell'art. 111 Cost..
Cass. civ. n. 5363/2012
Nel rito del lavoro, la mancata contestazione di un fatto costitutivo della domanda, ai sensi dell'art. 416, terzo comma, c.p.c., esclude il fatto non contestato dal tema di indagine solo allorché il giudice non sia in grado, in concreto, di accertarne l'esistenza o l'inesistenza, "ex officio", in base alle risultanze ritualmente acquisite.
Cass. civ. n. 1878/2012
Nel rito del lavoro le parti concorrono a delineare la materia controversa, così che mentre la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto lo rende incontroverso, la mancata contestazione dei fatti dedotti in funzione probatoria opera sulla formazione del convincimento del giudice, sempre che tali dati fattuali, interessanti la domanda attrice, siano tutti esplicitati in modo esaustivo in ricorso. Ne consegue che è viziata la decisione con la quale il giudice di merito abbia ritenuto che il resistente avrebbe dovuto contestare non solo i dati di fatto esplicitati ma anche ulteriori circostanze solo implicitamente desumibili dalla pretese formulate e impropriamente definite fatti.
Cass. civ. n. 19405/2011
A norma dell'art. 2969 c.c., la decadenza prevista dall'art. 6 della legge 15 luglio 1966 n. 604 - che impone al lavoratore l'onere dell'impugnativa del licenziamento entro il termine di sessanta giorni - non può essere rilevata d'ufficio, attenendo ad un diritto disponibile, ma necessita di un'eccezione (in senso stretto), che, nel rito del lavoro, deve essere proposta, dalla parte convenuta, nella memoria di costituzione
Cass. civ. n. 3236/2011
Nel rito del lavoro, la contestazione dei criteri posti a base dei conteggi non equivale a semplice negazione del titolo degli emolumenti pretesi, di per sé non idonea a contestare l'esattezza del calcolo, né integra un comportamento processuale incompatibile con la negazione del fatto, in quanto, al contrario, essa implica, logicamente, l'affermazione della erroneità della quantificazione.
Cass. civ. n. 16337/2009
Nel rito del lavoro, l'omessa indicazione dei documenti probatori nell'atto di costituzione in giudizio, imposta dall'art. 416, terzo comma c.p.c., e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza dal diritto di produrli, salvo che i documenti si siano formati successivamente ovvero la loro produzione sia giustificata dallo sviluppo del processo (art. 420, quinto comma, c.p.c.). Ne consegue che, ove i documenti siano stati prodotti in udienza, il giudice potrà dichiarare la decadenza della parte ovvero, in alternativa, disporre l'ammissione d'ufficio dei documenti medesimi ai sensi dell'art. 421, secondo comma, c.p.c., dovendosi ritenere, in tale ultima ipotesi, che il silenzio della controparte - a cui spetta la facoltà, entro il termine perentorio assegnato dal giudice, di dedurre proprie istanze istruttorie - comporti l'accettazione del provvedimento giudiziale di ammissione.
Cass. civ. n. 10526/2009
In tema di contratto di lavoro a tempo determinato, la deduzione, da parte del datore di lavoro convenuto per l'accertamento della conversione del rapporto a tempo indeterminato a seguito di illegittima apposizione del termine, che il rapporto di lavoro medesimo si è risolto per mutuo consenso, costituisce eccezione in senso proprio e, pertanto, deve essere ritualmente formulata nella memoria di costituzione di cui all'art. 416 c.p.c.
Cass. civ. n. 6969/2009
Nel rito del lavoro, il convenuto ha l'obbligo, sancito a pena di decadenza dall'art. 416, terzo comma, cod. proc. civ., di indicare specificamente nella comparsa di costituzione i mezzi di prova dei quali intende avvalersi e, in particolare, i documenti che deve contestualmente depositare, dovendosi ritenere possibile una successiva produzione, anche in appello, solo se sia giustificata dal tempo della formazione dell'atto ovvero dall'evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell'anzidetto principio, ha ritenuto inammissibile, in quanto tardiva, la produzione del contratto collettivo del 1995, restando irrilevante, attesa la natura formale della decadenza, che nella comparsa di costituzione fosse stato precisato che la fonte collettiva del 1 giugno 2001 fosse solo l'ultima redazione del contratto medesimo).
Cass. civ. n. 6188/2009
Il combinato disposto dell'art. 416, terzo comma, e dell'art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., deve essere interpretato nel senso che nel rito del lavoro, applicabile, ai sensi dell'art. 447-bis cod. proc. civ. anche alla controversia locataria, l'omessa indicazione nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, ovvero nella memoria difensiva del convenuto, dei documenti, nonché il loro mancato deposito unitamente a detti atti, anche se in questi espressamente indicati, determinano la decadenza dal diritto alla produzione dei documenti stessi, con impossibilità della sua reviviscenza in un successivo grado di giudizio, evidenziandosi, però, che, in materia, deve comunque tenersi conto del potere istruttorio d'ufficio del giudice di cui all'art. 421 cod. proc. civ. (e, in appello, previsto dall'art. 437, comma secondo cod. proc. civ.), onde la suddetta preclusione (riguardante sia le prove costituende che quelle precostituite) può essere superata solo nel caso in cui il giudice del rito del lavoro, sulla base di un potere discrezionale, non valutabile in sede di legittimità, ritenga tali mezzi di prova, non indicati dalle parti tempestivamente, comunque ammissibili perché rilevanti ed indispensabili ai fini della decisione nel giudizio di secondo grado.
Cass. civ. n. 2690/2009
In tema di tutela delle lavoratrici madri, qualora l'attrice, il cui rapporto di lavoro a tempo determinato sia cessato oltre 60 giorni prima dell'inizio del periodo di astensione obbligatoria e che si trovi disoccupata all'inizio di tale periodo, abbia fatto valere il proprio diritto all'indennità di disoccupazione, allegando il possesso dei requisiti (nella specie, quello contributivo) che legittimano il conseguimento di tale diritto (e quindi di quello all'indennità di maternità, in base all'art. 17, comma terzo, della legge 30 dicembre 1972, n. 1203, ora sostituito dall'art. 24 del d.lgs. 12 marzo 2001, n. 151), la mancata tempestiva contestazione in primo grado della sussistenza dei detti requisiti da parte dell'Ente erogatore ne determina la definitiva acquisizione sul piano probatorio, ai sensi dell'art. 416, terzo comma, cod. proc. civ., rendendone inammissibile la contestazione nelle successive fasi del processo.
Cass. civ. n. 29936/2008
La scelta dell'imprenditore di cessare l'attività costituisce esercizio incensurabile della libertà di impresa garantita dall'art. 41 Cost. e si traduce in una circostanza di fatto che può essere introdotta nel processo senza necessità di rispettare alcun formalismo, richiedendo solo la rituale acquisizione al giudizio. Ne consegue che, ove l'imprenditore sia stato convenuto in giudizio da un dipendente che deduca l'illegittimità del suo licenziamento, la deduzione della sopravvenuta cessazione dell'attività non richiede la proposizione di una domanda riconvenzionale o di una eccezione in senso formale, dovendosi ritenere inapplicabili le regole di cui all'art. 416, comma 2, cod. proc. civ. e all'art. 418 cod. proc. civ.. (Nella specie, relativa ad una ipotesi di licenziamento collettivo di cui era stata accertata l'illegittimità, la S.C., nel rigettare il motivo di ricorso, ha rilevato che, correttamente, il giudice di merito si era limitato ad accogliere la domanda di risarcimento del danno in quanto l'avvenuta cessazione totale dell'attività aziendale costituiva un accadimento - introdotto dalla società nel giudizio di primo grado e risultante dalla documentazione in atti - che rendeva impossibile la reintegrazione).
Cass. civ. n. 8134/2008
Nel processo del lavoro la tardiva costituzione del convenuto comporta la decadenza dalle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio (tra le quali rientra l'eccezione di prescrizione) ai sensi dell'art. 416, comma secondo, c.p.c., norma la cui violazione, ove non rilevata dal giudice di primo grado, deve essere fatta valere dalla parte con l'atto di impugnazione, in mancanza del quale si forma, sul punto, il giudicato implicito, trattandosi di nullità relativa non rilevabile d'ufficio in grado d'appello.
Cass. civ. n. 2631/2008
Nel rapporto di lavoro, tipico contratto a prestazioni corrispettive, ove il lavoratore abbia indicato, insieme ai fatti costitutivi della sua pretesa retributiva, anche il mancato espletamento della propria prestazione, ha pure l'onere di allegare le ragioni giustificatrici del proprio mancato adempimento; ne consegue, inoltre, che l'eccezione di inadempimento sollevata dal datore di lavoro, vertendo su una circostanza pacifica nel giudizio, ha natura di mera deduzione difensiva e non di eccezione in senso proprio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, ritenendo che, correttamente, i giudici di merito avessero valutato, nonostante la tardiva costituzione del convenuto, l'inadempimento del lavoratore che si era rifiutato – come da lui indicato nel ricorso – di svolgere l'attività lavorativa richiesta per un periodo di quasi dieci anni).
Cass. civ. n. 14288/2007
Nelle controversie assoggettate al rito del lavoro, al fine di verificare il rispetto dei termini fissati (per il convenuto in primo grado ai sensi dell'art. 416 c.p.c. e per l'appellato in virtù dell'art. 436 c.p.c.) con riferimento alla «udienza di discussione» non si deve aver riguardo a quella originariamente stabilita dal provvedimento del giudice, ma a quella fissata – ove, eventualmente, sopravvenga – in dipendenza del rinvio d'ufficio della stessa, che concreta una modifica del precedente provvedimento di fissazione, e che venga effettivamente tenuta in sostituzione della prima.
Cass. civ. n. 10098/2007
La non contestazione della domanda, che ha per oggetto i fatti costitutivi della domanda e non quelli dedotti in esclusiva funzione probatoria, scaturisce dalla non negazione fondata sulla volontà della parte oggettivamente risultante e deve essere pertanto inequivocabile, di talché non può ravvisarsi né in caso di contumacia del convenuto, né in ipotesi di contestazione meramente generica e formale. Peraltro la non contestazione del fatto, che è tendenzialmente irreversibile, non determina di per sé la decisione della controversia, dovendo il giudice di merito valutare se il fatto non contestato sia inquadrabile nell'astratto parametro normativo e, prima ancora, stabilire la sussistenza o l'insussistenza di una non contestazione. A tal fine ove il giudice, anche tacitamente, abbia manifestato la propria interpretazione in senso contrario alla non contestazione e, in assenza di ogni deduzione sulla stessa, abbia proceduto all'espletamento incontestato di un mezzo istruttorio in ordine all'accertamento del fatto, la successiva deduzione di parte in ordine all'altrui pregressa contestazione diventa inammissibile. (Nella specie, relativa all'inquadramento di un dipendente delle Ferrovie dello Stato nell'ottavo livello professionale, la S.C. ha rilevato che non si era formata non contestazione in ordine all'espletamento delle mansioni superiori, come tardivamente dedotto in grado di appello, perché in primo grado era stata espletata prova testimoniale in ordine alle mansioni effettivamente svolte).
Cass. civ. n. 5299/2007
La malattia professionale, pur costituendo un fatto ai fini della regola processuale della decisione in base all'onere probatorio, va accertata con l'ausilio della scienza medica e pertanto è dotata di una forte componente valutativa, che sottrae la allegazione della esistenza di una malattia professionale espressamente denominata al principio di non contestazione (nella specie, la S.C., affermando il principio di cui in massima, ha corretto l'erronea motivazione della corte territoriale sulla natura di silicosi della malattia professionale sulla base della non contestazione da parte dell'Inail
Cass. civ. n. 17947/2006
L'eccezione dell'Istituto previdenziale concernente la titolarità del rapporto previdenziale dedotto in giudizio non si configura come eccezione in senso stretto, soggetta alle preclusioni previste dall'art. 416, secondo comma, c.p.c., ma come contestazione di un fatto costitutivo: questa, in virtù del principio di non contestazione, deve essere fatta valere con la comparsa costitutiva, ai sensi del terzo comma, dello stesso art. 416, ma, in caso negativo, l'esclusione dei fatti contestati dal thema decidendum (con la conseguente inopponibilità nelle fasi successive del processo) si verifica solo allorché il giudice non sia in grado, in concreto, di accertarne l'esistenza o l'inesistenza, ex officio in base alle risultanze ritualmente acquisite, e riguarda, comunque, soltanto le parti costituite e non anche quelle rimaste contumaci nel giudizio di primo grado alle quali, pertanto, è precluso di proporre nuove eccezioni in senso stretto, ma non anche di contestare fatti costitutivi della domanda.
Cass. civ. n. 14131/2006
In tema di conseguenze patrimoniali derivanti dal licenziamento illegittimo, il datore di lavoro, per poter essere ammesso a dedurre e a provare tardivamente circostanze idonee a dimostrare l'aliunde perceptum da parte del lavoratore, è tenuto a provare anche di non aver avuto conoscenza delle stesse e di avere, una volta acquisita tale cognizione, formulato le relative deduzioni nell'osservanza del principio, desumibile dagli artt. 414, 416 e 420 c.p.c., della tempestività di allegazione dei fatti sopravvenuti, attraverso il necessario impiego, a questo fine, sotto pena di decadenza, del primo atto difensivo utile successivo. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha rigettato il ricorso del datore di lavoro e confermato l'impugnata sentenza, con la quale era stata rilevata la tardività dell'allegazione, ad istanza dello stesso datore di lavoro, delle circostanze attestanti l'aliunde perceptum da parte del lavoratore, siccome non allegate, nel corso del giudizio di impugnazione del licenziamento, nel primo atto difensivo utile posteriore all'avvenuta conoscenza di tali fatti, senza la prospettazione di alcuna valida giustificazione al riguardo).
Cass. civ. n. 10111/2006
Nel processo del lavoro, il principio di non contestazione opera al fine di far ritenere ammessi, e quindi pacifici, i fatti posti a fondamento della pretesa di controparte allorquando essa abbia ad oggetto dati fattuali e non espressioni qualificatorie o definitorie, che nella variegata realtà produttiva ed aziendale possono tradursi in eterogenee e composite esternalizzazioni, suscettibili di diversa valutazione. (Principio applicato in controversia concernente il rispetto, da parte del datore di lavoro, dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, nella quale il datore aveva rivendicato la legittimità della sua condotta per aver applicato, nella scelta dei lavoratori, il criterio della professionalità, non contestato dalla controparte. La S.C., confermando la decisione di merito, ha ritenuto che l'aver rivendicato il lavoratore, a tutela della sua posizione lavorativa, una maggiore anzianità rispetto ai suoi colleghi non significava di certo una non contestazione del criterio che la società sosteneva di aver seguito, sul presupposto che il protrarsi dell'esercizio dell'attività lavorativa si accompagnasse di solito a maggiore esperienza e capacità, e quindi ad una più accentuata professionalità).
Cass. civ. n. 3798/2006
In tema di controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, ove il beneficiario alleghi nel ricorso introduttivo del giudizio, ai fini del riconoscimento della pensione di inabilità, l'esistenza del requisito reddituale senza che sul punto vi sia stata contestazione da parte del convenuto, limitatosi a contestare la sussistenza del requisito sanitario, lo stesso diventa incontroverso con conseguente insussistenza del relativo onere probatorio.
Cass. civ. n. 3586/2006
A norma dell'art. 416 c.p.c. la costituzione del convenuto (sia essa tempestiva che tardiva), nel rito del lavoro (così come in quello ordinario, ai sensi degli artt. 166 e 167 c.p.c. in relazione all'art. 293 c.p.c. dello stesso codice), si effettua mediante il deposito, in cancelleria o all'udienza, di un fascicolo contenente la procura e le difese scritte, con la conseguenza che, in difetto di tale adempimento, la comparizione del difensore all'udienza, munito di sola procura, non è idonea a impedire la contumacia.
Cass. civ. n. 22829/2004
Attesa la valenza probatoria e considerato il ruolo, nel processo del lavoro, rispettivamente, del principio di non contestazione e dell'istituto del libero interrogatorio delle parti, la mancata contestazione dei conteggi attorei da parte del convenuto non può condurre all'accoglimento della domanda del lavoratore per ore di lavoro maggiori di quelle da lui stesso ammesse in sede di libero interrogatorio.
Cass. civ. n. 16401/2004
Nella controversia proposta dall'assicurato per ottenere la corresponsione degli interessi legali su una prestazione previdenziale già liquidata in suo favore, la deduzione dell'ente convenuto relativa alla preesistenza di un proprio credito nei confronti dell'assicurato, derivante dall'erronea corresponsione della medesima prestazione in misura superiore al dovuto, configura una eccezione riconvenzionale (da proporre nei termini e secondo le modalità di cui all'art. 416 c.p.c.), che comporta l'onere dello stesso ente di provare l'esistenza e l'ammontare del proprio credito.
Cass. civ. n. 15949/2004
Premesso che la sottoscrizione è requisito necessario della scrittura privata e che la mancanza di essa esclude sia l'onere del disconoscimento, se anche si abbia per riconosciuta una scrittura non sottoscritta, la produzione di una scrittura non sottoscritta, quale un tabulato o altra scrittura contabile, e l'attribuzione di essa alla controparte nel ricorso introduttivo di una controversia di lavoro, determinano per il convenuto l'onere, ex art. 416 c.p.c., di una specifica contestazione, con la conseguenza che, in mancanza di questa, il fatto diviene pacifico e su di esso non vi è necessità di prova e non può esservi contestazione nei successivi gradi del giudizio.
Cass. civ. n. 10214/2004
A norma dell'art. 416 c.p.c., il convenuto è tenuto a proporre con la memoria di costituzione tutte le eccezioni, processuali e di merito, che non siano rilevabili d'ufficio e, se a tanto non provvede, o provvede parzialmente, ponendo solo questioni di rito, sopporta le conseguenze processuali della propria opzione difensiva, senza che il giudice, il quale abbia ritenuto di decidere alcune questioni preliminari o pregiudiziali in senso difforme da quello auspicato dal convenuto, sia poi tenuto, prima di decidere la controversia nel merito, a rimettere la suddetta parte in termini per consentire la difesa su aspetti non tempestivamente affrontati con la memoria di costituzione nella convinzione che l'auspicata decisione sulle questioni preliminari o pregiudiziali proposte avrebbe reso superflua tale attività difensiva.
Cass. civ. n. 7917/2004
Nelle controversie agrarie, cui è applicabile il rito del lavoro, il ricorso introduttivo e la memoria difensiva delimitano ab initio processualmente e nel merito, l'intero ambito del dibattito, con i temi ed i punti da discutere, e costituiscono atti il cui contenuto le parti non hanno facoltà di ampliare a seconda delle proprie esigenze difensive, sicché la parte convenuta, che non abbia proposto le eccezioni, processuali e di merito, non rilevabili d'ufficio con la memoria difensiva tempestivamente depositata almeno dieci giorni prima dell'udienza, incorre nella decadenza di cui all'art. 416 c.p.c., mentre a tali termini di decadenza si sottrae il convenuto che si sia limitato a dedurre fatti modificativi, impeditivi o estintivi dell'avversa pretesa aventi natura di mere difese. Ne consegue che, rispetto alla domanda di rilascio del fondo che l'attore assuma detenuto senza titolo per mancata realizzazione, alla morte dell'affittuario, delle condizioni di cui all'art. 49 della legge 203/1982 in capo agli eredi per il loro subingresso nel rapporto agrario, la deduzione dei convenuti che (invocando gli effetti di cui al precedente art. 48 della detta legge) oppongano la preesistente attualità del rapporto agrario intercorrente tra il concedente e l'impresa familiare coltivatrice della quale dichiarano di continuare a far parte dopo la morte dell'originario capofamiglia costituisce tipica eccezione riconvenzionale, che amplia l'ambito del dibattito processuale poiché richiede al giudice di conoscere ed eventualmente predicare l'esistenza di un diverso diritto. (Nell'affermare il principio di diritto che precede la S.C. ha così accolto la domanda di rilascio del fondo avanzata dal proprietario considerando che la detta eccezione doveva essere proposta, dagli eredi dell'affittuario defunto, con la memoria e non, come nella specie, con le note difensive).
Cass. civ. n. 4556/2004
Nel rito del lavoro, la mancata specifica contestazione dei fatti costitutivi del diritto dedotti dal ricorrente – che può essere effettuata entro il limite temporale previsto dall'art. 420, primo comma, c.p.c., per la modificazione delle domande, eccezioni e conclusioni – rende i fatti stessi incontroversi e, conseguentemente, essi non possono essere contestati nell'ulteriore corso del giudizio, sono sottratti al controllo probatorio del giudice e devono essere ritenuti sussistenti senza necessità di un apposito accertamento. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in un giudizio di opposizione ad ordinanza – ingiunzione emessa dall'INPS, accogliendo il gravame dell'Istituto previdenziale, aveva riformato la sentenza di primo grado, che aveva annullato l'ordinanza ingiunzione per essere la stessa stata emanata senza la richiesta audizione dell'interessata, anche se solo in grado di appello, l'INPS aveva eccepito che la destinataria del provvedimento sanzionatorio non aveva chiesto di essere sentita in sede amministrativa, ai sensi dell'art. 18 legge 24 novembre 1981, n. 689).
Cass. civ. n. 18263/2003
... il difetto di specifica e tempestiva contestazione da parte del convenuto può avere rilievo, nelle controversie soggette al rito del lavoro, solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione generica della pretesa avversaria, rendendo inutile la prova dei fatti costitutivi della domanda non conoscibili d'ufficio dal giudice, mentre non rileva, ai fini della tempestività della contestazione, la tardività della costituzione in giudizio, in quanto può configurarsi una preclusione (argomentabile dal sistema) alla contestabilità soltanto sul presupposto – non ravvisabile nel solo fatto della contumacia – di un atteggiamento originario di non contestazione.
Cass. civ. n. 9285/2003
Nel rito del lavoro, il convenuto ha l'onere della specifica contestazione dei conteggi elaborati dall'attore, ai sensi degli artt. 167, primo comma, e 416, terzo comma c.p.c., con la conseguenza che la mancata o generica contestazione in primo grado – rappresentando, in positivo e di per sé, l'adozione di una linea incompatibile con la negazione del fatto – rende i conteggi accertati in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice, e la contestazione successiva in grado di appello è tardiva ed inammissibile.
Cass. civ. n. 3126/2003
Il principio secondo cui nel rito del lavoro il convenuto che non abbia proposto le eccezioni processuali e di merito, non rilevabili d'ufficio, con la memoria difensiva tempestivamente depositata almeno dieci giorni prima dell'udienza, incorre nella decadenza di cui all'art. 416 c.p.c., a nulla rilevando la circostanza che l'udienza di discussione non sia stata tenuta nel giorno fissato e sia stata rinviata ad altra data, non si applica nel caso in cui l'udienza di discussione venga rinviata d'ufficio prima della data fissata e prima che l'udienza stessa si sia aperta, seppure senza svolgimento di una concreta attività processuale, dovendosi ravvisare, in tale ipotesi, una sostanziale revoca del precedente provvedimento di fissazione, steso in calce al ricorso introduttivo, con conseguente spostamento del termine di decadenza, previsto dall'art. 416, commi primo e secondo, c.p.c., alla data in cui il giudice, revocato il precedente provvedimento, abbia fissato la prima udienza, senza che ciò comporti pregiudizio per la corretta attuazione del contraddittorio e del principio di concentrazione che caratterizza il processo del lavoro.
Cass. civ. n. 1562/2003
Nel rito del lavoro, l'art. 416, terzo comma, c.p.c., pone a carico del convenuto (o del ricorrente, ove nei suoi confronti venga ritualmente proposta una domanda riconvenzionale) un onere di contestazione specifico in relazione ai fatti costitutivi del diritto affermati dall'attore, dal mancato adempimento del quale discende un effetto vincolante per il giudice, che dovrà astenersi da qualsiasi controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo per ciò solo sussistente. Tale effetto, peraltro, si verifica non immediatamente, poiché nel terzo comma dell'art. 416 c.p.c. non è contenuta la previsione di una decadenza, ma per effetto della preclusione conseguente al limite previsto dall'art. 420, comma primo, c.p.c., per la modificazione di domande, eccezioni e conclusioni già formulate, il cui superamento determina la preclusione della non contestabilità (tardiva) dei fatti (costitutivi del diritto) fino a quel momento non contestati. Per i fatti dedotti dall'attore in esclusiva funzione probatoria, e cioè per i fatti dedotti in quanto idonei a provare indirettamente altri fatti costitutivi del diritto azionato, la mancata contestazione da parte del convenuto, come anche la contestazione meramente generica, costituiscono semplice argomento di prova liberamente apprezzabile dal giudice al fine del giudizio di sussistenza del fatto da provare. In tal caso, però, non si determina alcuna preclusione perché una tardiva contestazione di fatti probatori non comporta alcuna alterazione del sistema difensivo dell'attore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva accolto la domanda riconvenzionale proposta dal datore di lavoro nei confronti del ricorrente, il quale non aveva adempiuto al proprio onere di tempestiva contestazione, avendo egli provveduto a tanto solo nelle note autorizzate, depositate in giudizio prima della decisione di primo grado).
Cass. civ. n. 85/2003
Nel rito del lavoro la contestazione dei conteggi su cui si fonda la domanda attrice deve essere effettuata nella memoria di costituzione ex art. 416, c.p.c., ed assume rilievo solo quando non sia generica, ma involga specifiche circostanze di fatto suscettibili di dimostrare la non congruità e la non rispondenza al vero di tali conteggi, circostanze che devono risultare dagli atti o essere successivamente provati.
Cass. civ. n. 12694/2002
Nel processo del lavoro, il convenuto ha l'onere di prendere posizione sui fatti dedotti dall'attore e indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi; pertanto, dedotta l'inesistenza del diritto dell'attore, la proposizione da parte del convenuto di un ricorso amministrativo avverso l'atto, che sia a fondamento del diritto fatto valere in giudizio, non integra una ragione di difesa, così come la pendenza del ricorso medesimo non fornisce alcuna prova dell'inesistenza del diritto, onde il convenuto non ha l'onere di allegare la pendenza del ricorso amministrativo da lui proposto (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha affermato l'insussistenza di un onere di deduzione da parte dell'Inps del fatto di aver proposto ricorso avverso l'iscrizione dell'attore nell'elenco dei lavoratori agricoli, il cui accoglimento e conseguente cancellazione erano stati poi dedotti in appello quali fatti sopravvenuti).
Cass. civ. n. 11180/2002
Nel rito del lavoro, il ricorrente che abbia assunto la veste di convenuto in conseguenza di domanda riconvenzionale, può a sua volta avanzare domanda riconvenzionale nei confronti del convenuto (reconventio reconventionis), purché tempestivamente nel primo atto difensivo successivo alla comparsa di costituzione del convenuto, e purché tale domanda dipenda dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione di domanda riconvenzionale ritualmente proposta, ai sensi dell'art. 36 c.p.c.
Cass. civ. n. 5526/2002
L'art. 416, terzo comma, c.p.c., imponendo al convenuto di prendere posizione sui fatti costitutivi dedotti dall'attore, fa della non contestazione un comportamento rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio: la mancata contestazione infatti rappresenta, in positivo e di per sé, l'adozione di una linea difensiva incompatibile con la negazione del fatto, e consente quindi di superare la tradizionale distinzione fra «ammissione implicita» e «non contestazione». Nel caso in cui, poi, la domanda sia integrata da conteggi, contenuti nello stesso contesto o in allegato unito al ricorso, occorre distinguere la componente fattuale di tali conteggi, che soggiace agli oneri di contestazione e agli effetti della mancata contestazione, dalla componente giuridica o normativa, esente dai suddetti oneri.
Cass. civ. n. 761/2002
Nel rito del lavoro, il difetto di specifica contestazione dei conteggi elaborati dall'attore per la quantificazione del credito oggetto di domanda di condanna, allorché il convenuto si limiti a negare in radice l'esistenza del credito avversario, (a) può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti, non semplicemente alle regole legali o contrattuali di elaborazione dei conteggi medesimi, e sempre che si tratti di fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione sull'an debeatur; (b) rileva diversamente, a seconda che risulti riferibile a fatti giuridici costitutivi della fattispecie non conoscibili di ufficio, ovvero a circostanze dalla cui prova si può inferire l'esistenza di codesti fatti, giacché mentre nella prima ipotesi la mancata contestazione rappresenta, in positivo e di per sé, l'adozione di una linea incompatibile con la negazione del fatto e, quindi, rende inutile provarlo, in quanto non controverso, nella seconda ipotesi (cui può assimilarsi anche quella di difetto di contestazione in ordine all'applicazione delle regole tecnico-contabili) il comportamento della parte può essere utilizzato dal giudice come argomento di prova ex art. 116, secondo comma, c.p.c.) si caratterizza, inoltre, per un diverso grado di stabilità a seconda che investa fatti dell'una o dell'altra categoria, perché, se concerne fatti costitutivi del diritto, il limite della contestabilità dei fatti originariamente incontestati si identifica con quello previsto dall'art. 420, primo comma, del codice di rito per la modificazione di domande e conclusioni già formulate, mentre, se riguarda circostanze di rilievo istruttorio, trova più ampia applicazione il principio della provvisorietà, ossia della revocabilità della non contestazione, le sopravvenute contestazioni potendo essere assoggettate ad un sistema di preclusioni solo nella misura in cui procedono da modificazioni dell'oggetto della controversia.
Cass. civ. n. 13697/2001
La domanda di maggior danno per mancata riconsegna dell'immobile locato dalla data giudizialmente fissata e fino all'effettivo rilascio, che trova fondamento sul mancato lucro di corrispettivo maggiore di quello convenzionalmente determinato, è diversa ed autonoma rispetto a quella, fondata sul ritardo, di pagare il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna del bene, e non costituisce effetto legale della mora nella restituzione di questo. Pertanto la domanda di maggior danno ai sensi dell'art. 1591 c.c. deve essere formulata in via riconvenzionale tempestivamente (art. 416 c.p.c.) ovvero in separato giudizio, non potendo essere viceversa proposta, salvo che il conduttore accetti il contraddittorio, in sede di precisazione delle conclusioni o con l'appello incidentale.
Cass. civ. n. 5444/2001
Nel rito del lavoro, il convenuto che non abbia proposto le eccezioni processuali e di merito, non rilevabili d'ufficio, con la memoria difensiva tempestivamente depositata almeno dieci giorni prima dell'udienza, incorre nella decadenza di cui all'art. 416 c.p.c., a nulla rilevando la circostanza che l'udienza di discussione non sia stata tenuta nel giorno fissato e sia stata rinviata ad altra data.
Cass. civ. n. 5230/2001
La ritualità e tempestività degli atti necessari per la costituzione in giudizio può desumersi, in mancanza di dimostrazione contraria ad opera della parte interessata, o, comunque, di opposte risultanze processuali, anche presuntivamente, da qualsiasi elemento, obiettivamente valutabile, che emerga dagli atti di causa, e che soddisfi l'esigenza di certezza circa la sussistenza dei predetti requisiti, in quanto la legge non impone alle parti alcun onere di munirsi di particolari certificazioni positive al riguardo, né esige che i requisiti stessi risultino da atti formali ed insostituibili. Pertanto, pur in difetto di certificazione, da parte del cancelliere, della data del deposito della memoria difensiva di cui all'art. 416 c.p.c., la costituzione del convenuto può essere dal giudice considerata regolarmente avvenuta qualora dagli atti di causa risulti la presenza di entrambe le parti all'udienza di cui all'art. 420 c.p.c., un contegno difensivo del ricorrente che presupponga necessariamente la conoscenza del contenuto di detta memoria, la mancanza durante l'intero corso del giudizio di primo grado di qualsiasi contestazione relativa alla regolarità della costituzione, l'inesistenza di rilievi del cancelliere ai sensi dell'art. 74, ultimo comma, disp. att. c.p.c.
Cass. civ. n. 10343/2000
In base al disposto dell'art. 416, terzo comma, c.p.c., a soddisfare l'onere della prova non è sufficiente la produzione di un documento ritenuto idoneo dal convenuto, ma è altresì necessario che questi indichi specificamente l'uso che intende farne, onde evitare che il contraddittorio relativo sia in tutto o in parte impedito; né lo stesso convenuto, inottemperante a tale onere, può poi lamentare che il giudice, nell'esercizio dei poteri istruttori conferitigli dal successivo art. 421 c.p.c., non abbia preso in esame il documento ritualmente prodotto e non vi abbia ravvisato una prova utile alla sua difesa. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva rilevato che la datrice di lavoro convenuta in giudizio per l'annullamento di un licenziamento disciplinare, dopo avere in primo grado depositato una lettera di addebito, aveva deciso di adoperarla come prova della avvenuta contestazione solo in secondo grado).
Cass. civ. n. 9424/2000
L'art. 416, terzo comma, c.p.c., nel chiedere al convenuto – nel rito del lavoro – di prendere una precisa posizione sui fatti affermati dall'attore, senza limitarsi ad una generica contestazione, intende scoraggiare la scelta del silenzio da parte del convenuto che, costituendosi, abbia accettato di partecipare al giudizio, e non già imporgli l'onere di dedurre altri fatti che si oppongano a quelli costitutivi della domanda o, comunque, di formalizzare un'articolata e analitica contestazione rispetto ad ogni singola e particolare circostanza dei fatti addotti dalla controparte, con la sanzione, in caso contrario, di vedere questi ultimi qualificati dal giudice come non necessari di prova; deve invece ritenersi non derogato il principio secondo cui determinati fatti possono essere considerati «pacifici» solo quando l'altra parte abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il loro disconoscimento, oppure si sia limitata a contestare esplicitamente e specificamente alcuni soltanto di quei fatti, evidenziando così il proprio non interesse ad un accertamento degli altri. (Nella specie, il giudice di merito, con la sentenza annullata dalla S.C., aveva ritenuto confermate le deduzioni dell'attore sulla prestazione di lavoro straordinario benché il convenuto avesse contestato, oltre che i presupposti giuridici della relativa domanda, anche quelli fattuali, sia pure in termini globali).
Cass. civ. n. 5893/1999
Dal coordinamento del principio secondo cui, in tema di risarcimento del danno dovuto al lavoratore per effetto della reintegrazione disposta dal giudice, la deduzione dell'«aliunde perceptum» non è riconducibile nel novero di quelle riservate alla disponibilità delle parti con il sistema delle preclusioni e delle decadenze che caratterizza il rito del lavoro si desume che il relativo potere – dovere di rilevazione del giudice è condizionato dalla necessità dei fatti da cui il giudice stesso può trarre d'ufficio tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno risultino acquisiti e provati «rite et recte», alla stregua della specifica disciplina dell'acquisizione propria di detto regime processuale. Ciò significa che il potere di allegazione – che compete esclusivamente alla parte – va esercitato entro il limite temporale del tempestivo deposito della memoria difensiva ex art. 416 c.p.c. (con la sola deroga costituita dai fatti sopravvenuti, i quali devono essere dedotti, sotto pena di decadenza, nel primo atto successivo utile).
Cass. civ. n. 11720/1998
L'art. 416, secondo comma, c.p.c., non preclude all'appellante – che convenuto in primo grado ha eccepito la prescrizione decennale – ovvero al giudice di appello, d'ufficio, di restringerne l'ambito qualificandola invece come quinquennale, perché colui che la invoca ha soltanto l'onere di allegare il fatto del decorso del tempo necessario a farla maturare, onde accertare l'estinzione del diritto fatto valere nei suoi confronti, e non anche quello di individuarne il tipo e le norme applicabili, compito invece del giudice; mentre d'altro canto, diversamente dal caso in cui la parte abbia eccepito dapprima la prescrizione quinquennale, con conseguente limitazione a tale periodo della difesa della controparte, e perciò inammissibilità di qualificazione successiva come decennale, non vi è alcuna menomazione di detta difesa, né quindi violazione del principio del contraddittorio.
Cass. civ. n. 10121/1998
Nel rito del lavoro, oltre il limite temporale segnato, di norma, dal tempestivo deposito della memoria difensiva a norma dell'art. 416 c.p.c., la parte può legittimamente rilevare, ai fini della valorizzazione nel giudizio della loro efficacia giuridica, i fatti che siano anche rilevabili d'ufficio, ma non può allegare fatti nuovi, perché ammettere una simile facoltà significherebbe compromettere il sistema delle preclusioni su cui si fonda detto rito e, in particolare, la funzione delle preclusioni di affidare alla fase degli atti introduttivi del giudizio la cristallizzazione dei temi controversi e delle relative istanze istruttorie. (Nella specie, sulla base del riportato principio, la S.C. ha rigettato il motivo di ricorso con cui il ricorrente, colpito da licenziamento disciplinare, aveva censurato la mancata valorizzazione nella sentenza di merito della tardività della contestazione; infatti la Corte ha rilevato la non decisività delle circostanze che, secondo lo stesso ricorrente, sarebbero state da lui al riguardo tempestivamente dedotte).
Cass. civ. n. 8069/1998
L'erronea indicazione del soggetto autore della memoria di costituzione e della domanda riconvenzionale nell'epigrafe dell'atto non incide sulla validità dello stesso allorché si tratti di mero errore materiale e non sussista alcuna incertezza sulla reale identità del soggetto al quale l'atto sia riferibile.
Cass. civ. n. 7250/1998
Nell'ipotesi in cui il primo giudice si sia pronunciato sul merito della eccezione di prescrizione sollevata dalla parte convenuta, senza rilevarne la tardività in relazione al disposto dell'art. 416 c.p.c., il giudice di appello non può rilevare di ufficio la decadenza della parte dall'eccezione in base a tale norma; la regola della rilevabilità di ufficio delle questioni sottratte alla disponibilità delle parti – quali quella della tempestiva e rituale proposizione delle eccezioni nel diritto del lavoro – va infatti coordinata con il principio della preclusione derivante dal giudicato interno (che nella specie impediva il riesame della questione della decadenza ex art. 416 c.p.c., non riproposta come motivo di gravame avverso la decisione del Pretore, che sia pure implicitamente aveva ritenuto rituale l'eccezione).
Cass. civ. n. 6897/1998
Quando il convenuto nell'eccepire la prescrizione del diritto vantato dall'attore non indichi a quale tipo di prescrizione intende riferirsi, tale eccezione deve presumersi proposta con riguardo al termine decennale, salvo che nell'ulteriore corso del giudizio, eventualmente anche in grado d'appello, la parte non precisi la propria eccezione con riferimento ad altra, più breve, prescrizione, così facendo venir meno il presupposto della detta presunzione. In tal caso, pertanto, è inibito al giudice di applicare d'ufficio una prescrizione diversa da quella che deve considerarsi opposta in concreto, fermo restando inoltre che l'applicazione di quest'ultima è soggetta alle regole proprie del rito processuale da osservarsi in relazione alla materia del contendere, onde, nel caso di controversia di lavoro o di previdenza deve escludersi che il giudice possa tener conto, in appello, della prescrizione quinquennale opposta solo in tale grado a fronte di una generica eccezione di prescrizione formulata nel grado precedente.
Cass. civ. n. 6101/1998
Nel rito del lavoro, l'eccezione di decadenza, al pari dell'eccezione di prescrizione, deve essere contenuta nella memoria di costituzione del convenuto, ai sensi dell'art. 416 c.p.c., ed è tempestivamente proposta anche se il convenuto abbia erroneamente qualificato il termine di decadenza come termine di prescrizione, atteso che è sufficiente che sia stato dedotto il fatto estintivo del diritto o dell'azione sulla base del lasso di tempo trascorso e dell'inerzia dell'attore, spettando al giudice adito qualificare esattamente la natura (prescrizionale o decadenziale) del termine stesso.
Cass. civ. n. 2187/1998
Nell'ipotesi in cui la parte convenuta in una controversia di lavoro depositi tempestivamente, ai sensi dell'art. 416 c.p.c., documenti consistenti in copie fotografiche di scritture, indicati come mezzi di prova della propria eccezione di compensazione del credito fatto valere dall'attore, non può ritenersi preclusa, ai sensi della stessa norma, la successiva produzione in giudizio degli originali, dato che in relazione all'efficacia probatoria attribuita a detti documenti dall'art. 2719 c.c. l'esigenza di disporre degli originali per accertare la conformità delle copie depositate può sorgere solo a seguito di un'esplicita contestazione della controparte.
Cass. civ. n. 6646/1997
Nel rito del lavoro, applicabile nelle controversie previdenziali, è inammissibile ex artt. 416, comma secondo, e 418 c.p.c. – perché proposta soltanto nel giudizio di determinazione del quantum debeatur – la domanda riconvenzionale dell'Inps (convenuto in giudizio) diretta ad ottenere la detrazione dal credito dell'attore per sgravi contributivi di quanto dal medesimo dovuto per maggiori contributi in ragione della classificazione dell'impresa.
Cass. civ. n. 1788/1997
L'art. 416 comma 2 c.p.c. (a norma del quale il convenuto nel processo del lavoro deve proporre a pena di decadenza nell'atto di costituzione tutte le eccezioni sostanziali e processuali non rilevabili d'ufficio), va interpretato alla luce del successivo terzo comma, nel senso che le predette eccezioni devono essere, oltre che tempestive, anche esplicitamente e non genericamente formulate, essendo la norma intesa a consentire, fin dalle scritture introduttive, la piena esplicazione del contraddittorio. (In applicazione del suesposto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di secondo grado che aveva ritenuto inammissibile perché intempestiva l'eccezione — proposta con l'atto d'appello — secondo la quale la prodotta lettera di impugnativa del licenziamento non era idonea ad impedire la decadenza perché non indirizzata alla sede dell'azienda datrice di lavoro, eccezione ritenuta «nuova» rispetto alla più generica eccezione di mancata impugnativa del licenziamento nei termini prescritti formulata nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado).
Cass. civ. n. 717/1997
Per il disposto dell'art. 416 c.p.c. la costituzione del convenuto oltre il decimo giorno antecedente l'udienza di discussione comporta la decadenza dalle eventuali domande riconvenzionali e dalle eccezioni processuali e di merito in senso proprio. Tale decadenza ha carattere assoluto ed inderogabile e deve essere rilevata d'ufficio dal giudice indipendentemente dal silenzio serbato dall'attore o dalla circostanza che il medesimo si sia difeso sostenendo l'infondatezza anziché l'intempestività della riconvenzionale o delle eccezioni tardivamente proposte.
Cass. civ. n. 7630/1996
Nel rito del lavoro, la preclusione, stabilita dall'art. 416, secondo comma, per le domande riconvenzionali e per le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio che non siano state proposte dal convenuto nella memoria di costituzione, non si estende alle eccezioni improprie o mere difese, volte alla contestazione dei fatti costitutivi e giustificativi allegati dall'attore a sostegno della domanda e disciplinate dal terzo comma dello stesso articolo, il quale, infatti, non commina per esse alcuna decadenza per il caso in cui non siano dedotte con la memoria di costituzione (decadenza che è invece prevista per la mancata indicazione dei mezzi di prova); ne consegue che tale contestazione può essere fatta – salva l'applicazione degli artt. 88 e 92 c.p.c. ove sia ravvisabile una violazione del dovere di lealtà e probità processuale – in qualsiasi momento, anche dal contumace che si costituisce tardivamente, ed anche per la prima volta in appello, senza che la sua mancanza (pur potendo il giudice ricavarne elementi integrativi di convincimento) possa essere equiparata, quanto a effetto probatorio, ad una confessione o ammissione, e senza che l'attore ed il giudice possano esimersi l'uno dall'assolvimento dell'onere probatorio circa la sussistenza di quei fatti, e l'altro dalla verifica di tale assolvimento e comunque dall'accertamento dei fatti stessi.
Cass. civ. n. 2254/1996
L'inadempimento, da parte del convenuto, dell'onere impostogli dal terzo comma dell'art. 416 c.p.c. — a norma del quale, nella memoria difensiva di costituzione questi deve prendere posizione in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda — non è sanzionato da decadenza, come previsto invece dalla stessa norma per l'onere di proposizione delle eccezioni e delle domande riconvenzionali e di indicazione dei mezzi di prova; ne consegue che tale carenza non preclude al convenuto la successiva contestazione dei fatti addotti a fondamento della domanda anche in grado di appello, né al giudice il potere-dovere di accertarne la dimostrazione probatoria, all'uopo ricavando eventuali argomenti di prova anche da quel comportamento del convenuto stesso ai sensi dell'art. 116, secondo comma, c.p.c.
Cass. civ. n. 11736/1995
Nel rito del lavoro, la contestazione in fatto di una circostanza dedotta dal ricorrente in primo grado non costituisce eccezione in senso stretto – che deve essere proposta nel termine di cui all'art. 416 c.p.c. e che si riferisce soltanto alle difese riservate al potere dispositivo delle parti – atteso che essa, essendo diretta a contestare la fondatezza della pretesa attorea – fondatezza che, indipendentemente dalla richiesta delle parti, deve essere comunque verificata dal giudice – costituisce una mera difesa, che può essere legittimamente fatta valere per la prima volta anche nel giudizio di appello.
Cass. civ. n. 552/1995
Il datore di lavoro, che, al fine di contestare la pretesa del lavoratore, intenda valersi di una rinuncia o transazione da questo non tempestivamente impugnata ai sensi dell'art. 2113 c.c., deve eccepire, a rigore, non la decadenza del lavoratore dal diritto di chiedere le sue eventuali spettanze ma l'improponibilità della domanda del lavoratore per intervenuta rinuncia o transazione non tempestivamente impugnata. Tale eccezione — che configura un'eccezione in senso stretto non perfettamente coincidente con quella (avente anch'essa natura di eccezione in senso stretto) di decadenza del lavoratore dal diritto d'impugnare la rinuncia e la transazione — va proposta, ai sensi dell'art. 416, commi 2 e 3, c.p.c. ed a pena di decadenza rilevabile anche di ufficio, con la memoria difensiva, la quale, a parte la formulazione dell'eccezione stessa, deve comunque specificamente indicare il negozio (di rinuncia o di transazione) dal quale derivi quell'improponibilità, il cui documento (sempre a pena di decadenza) va depositato contestualmente alla memoria anzidetta, previa sua indicazione nella medesima, non essendo sufficiente, in mancanza di ciò, la mera contestualità del deposito e non essendo lo stesso documento suscettibile di successiva produzione come mezzo probatorio «precostituito».
Cass. civ. n. 6416/1994
Il secondo comma dell'art. 416 c.p.c., disponendo che il convenuto in una controversia di lavoro deve, a pena di decadenza, proporre nella memoria di costituzione (anche tardiva) le eccezioni processuali e di merito (oltre che le eventuali domande riconvenzionali) non rilevabili d'ufficio, non impone altresì che tali eccezioni siano proposte in modo diverso e più specifico rispetto a quanto consentito nel rito ordinario; pertanto, la portata di dette eccezioni ben può essere dal giudice desunta dal contenuto globale delle difese svolte dalla parte nella memoria suindicata.
Cass. civ. n. 5359/1994
L'inottemperanza, da parte del convenuto, alle prescrizioni dell'art. 416, comma 3, c.p.p. — il quale stabilisce, in particolare, che nella memoria di costituzione il convenuto deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda — può, secondo le circostanze, costituire elemento integrativo del convincimento del giudice, ma non già essere equiparata, quanto ad effetto probatorio, ad una confessione della fondatezza degli assunti di controparte. (Nella specie, la Suprema Corte enunciando il suesposto principio, ha censurato l'impugnata sentenza in relazione all'omesso esame delle censure proposte in appello dell'Ente Ferrovie dello Stato in tema di calcolo del compenso per lavoro straordinario ai sensi dell'art. 4 del D.P.R. n. 1188 del 1977).
Cass. civ. n. 1898/1990
Anche nella nuova disciplina del processo del lavoro si applicano le normali regole del procedimento contumaciale ed, in particolare, il principio secondo cui la contumacia del convenuto non equivale ad ammissione dell'esistenza dei fatti dedotti dall'attore a fondamento della propria domanda e non esclude il potere-dovere del giudice di accertare se da parte dell'attore sia stata data dimostrazione probatoria dei fatti costitutivi e giustificativi della pretesa, indipendentemente dalla circostanza che, in ordine ai medesimi, siano state o meno proposte, dalla parte legittimata a contraddire, contestazioni specifiche, difese ed eccezioni improprie (non soggette alle preclusioni previste dagli artt. 416 e 437 c.p.c.).
Cass. civ. n. 4800/1989
Nel rito del lavoro, applicabile anche in materia locativa, opera il principio secondo cui la contumacia del convenuto, pur essendo liberamente apprezzabile dal giudice ai sensi dell'art. 116 c.p.c., non importa ammissione della domanda, né, al pari del silenzio nel campo negoziale, equivale ad una manifestazione di volontà favorevole alle pretese dell'attore, il quale, perciò, non è dispensato dall'onere di provare i fatti costitutivi delle proprie pretese.
Cass. civ. n. 3985/1986
Anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 13 del 1977 (e con le successive ordinanze nn. 36 e 64 del 1978), nel rito del lavoro, l'attore convenuto in via riconvenzionale ha – con riferimento alla nuova udienza fissata nei modi previsti dall'art. 418 c.p.c. – gli stessi poteri (ed incorre nelle stesse preclusioni) che l'art. 416 c.p.c. prevede per il convenuto in via principale, non è tuttavia consentito all'attore riconvenuto di avvalersi del più ampio termine a lui spettante in conseguenza della proposta riconvenzionale per introdurre nuove e più ampie richieste probatorie, dirette, invece, che a contrastare la riconvenzionale, a sorreggere unicamente la propria originaria domanda principale.
Cass. civ. n. 3683/1986
Nelle controversie individuali di lavoro ed in relazione al giudizio di primo grado, ancorché una sanzione di decadenza si trovi espressamente comminata dall'art. 416 c.p.c. soltanto per il convenuto che non indichi nella memoria difensiva specificamente i mezzi di prova quali intende avvalersi ed in particolare i documenti che deve contestualmente depositare, identica sanzione opera anche nei confronti del ricorrente che non assolva siffatto onere di specificazione nonché di produzione di prove documentali contestualmente al deposito dell'atto introduttivo del giudizio, giusto il combinato disposto degli artt. 414 e 420 c.p.c., dal quale emerge, sia pure indirettamente, il carattere cogente e perentorio dell'onere stesso.
Cass. civ. n. 3516/1986
Il fatto che nel rito del lavoro le preclusioni poste dagli artt. 416, comma secondo, e 437, comma secondo, c.p.c. riguardino soltanto le eccezioni in senso stretto, e non anche le deduzioni difensive concernenti questioni rilevabili d'ufficio (come, in una controversia per il riconoscimento della pensione d'invalidità, quella della sussistenza o meno del requisito minimo contributivo), non esclude che l'indagine del giudice in ordine a tali questioni rilevabili d'ufficio deve essere condotta alla stregua del materiale probatorio indicato ai sensi degli artt. 414 n. 5, 416, comma terzo, e 420, commi primo, quinto e settimo, c.p.c. – salvi i residui poteri istruttori conferiti al giudice dagli artt. 421, secondo comma, e 437, secondo comma, c.p.c. – e quindi tenendo conto, entro il detto ambito, anche degli elementi desumibili dalla mancata contestazione specifica ad opera del convenuto di circostanze affermate dall'attore, oltre che delle risultanze acquisibili attraverso i mezzi di prova indicati dal medesimo.
Cass. civ. n. 5680/1985
Nel rito del lavoro, l'inammissibilità dell'eccezione del convenuto, perché non proposta nel termine fissato a pena di decadenza dall'art. 416 secondo comma c.p.c., è rilevabile d'ufficio, senza che si renda necessaria una sollecitazione da parte dell'attore.
Cass. civ. n. 3670/1985
Nei giudizi davanti al pretore l'art. 314 c.p.c. (e – analogamente – l'art. 416 c.p.c. nei giudizi davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro) prescrive che le parti devono dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel territorio comunale ove ha sede la pretura. Pertanto, qualora una parte ometta tale dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio ovvero vi provveda con l'elezione di domicilio fuori del territorio comunale, la controparte può effettuare la notificazione della sentenza che conclude il giudizio davanti al pretore, ai fini della decorrenza del termine di cui all'art. 326 c.p.c., nella cancelleria del medesimo giudice ai sensi dell'art. 58 disp. att. stesso codice.
Cass. civ. n. 2755/1985
Nelle controversie soggette al nuovo rito del lavoro, il divieto per il convenuto, ai sensi dell'art. 416, secondo comma, c.p.c., di proporre nel corso del giudizio eccezioni (nella specie, di prescrizione) non sollevate con la memoria prevista da detta norma non viene meno per la mancata opposizione della controparte alla tardiva formulazione dell'eccezione, atteso che tale comportamento, alla stregua del primo comma dell'art. 420 c.p.c., può rilevare ai fini di un ampliamento del tema del dibattito solo quando, dagli atti del processo anteriori alla sentenza, emerga inequivocabilmente una valutazione del giudice, esplicita o implicita, sulla sussistenza di gravi motivi giustificativi di tale ampliamento.
Cass. civ. n. 2444/1985
L'essersi la parte convenuta «rimessa alla giustizia» non implica preventiva acquiescenza ad una sentenza qualunque essa sia e non preclude quindi alla stessa parte di gravarsi avverso una decisione che poi le risulti soggettivamente ingiusta; né a ciò è di ostacolo, nel rito del lavoro, la disciplina degli artt. 416 e 437 c.p.c., perché l'obbligo del convenuto di proporre con la comparsa di costituzione tutte le eccezioni in senso proprio a pena di decadenza, e la preclusione in appello di nuove eccezioni non impediscono la deduzione, in qualunque momento, di mere difese dirette a contestare l'esistenza o la portata del fatto costitutivo della pretesa fatta valere in giudizio dall'attore.
Cass. civ. n. 1655/1985
Nel nuovo rito del lavoro, la costituzione del convenuto, che, in violazione del primo comma dell'art. 416 c.p.c., non sia stata effettuata «almeno dieci giorni prima dell'udienza», non è né nulla né inammissibile e comporta soltanto, per il convenuto tardivamente costituitosi, l'obbligo — alla stessa stregua di ciò che si verifica in caso di costituzione tardiva del contumace — di accettare il processo nello stato in cui si trova, con la conseguente decadenza, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, dalla possibilità di proporre eventuali domande riconvenzionali ed eccezioni non rilevabili d'ufficio.
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In tema di computo dei termini processuali, qualora la legge non preveda espressamente che si tratta di termine libero, con esclusione cioè dal computo stesso sia del giorno iniziale che di quello finale, opera il criterio generale di cui all'art. 155 c.p.c., secondo il quale non vanno conteggiati il giorno e l'ora iniziali, computandosi invece quelli finali. Pertanto, in difetto della previsione suddetta, anche il termine di dieci giorni prima dell'udienza di discussione, previsto dall'art. 416 c.p.c. per la tempestiva costituzione del convenuto nelle controversie di lavoro, va computato escludendo il dies a quo, costituito dal giorno dell'udienza, ed includendo, come l'ultimo utile per il compimento dell'atto, il decimo giorno precedente l'udienza stessa.
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Nel nuovo rito del lavoro, la costituzione del convenuto, che, in violazione del primo comma dell'art. 416 c.p.c., non sia stata effettuata «almeno dieci giorni prima dell'udienza», non è né nulla né inammissibile e comporta soltanto, per il convenuto tardivamente costituitosi, l'obbligo – alla stessa stregua di ciò che si verifica in caso di costituzione tardiva del contumace – di accettare il processo nello stato in cui si trova, con la conseguente decadenza, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, dalla possibilità di proporre eventuali domande riconvenzionali ed eccezioni non rilevabili d'ufficio.
Cass. civ. n. 1077/1985
Nel nuovo rito del lavoro, la disciplina stabilita dagli artt. 414 n. 5 e 415, primo comma, c.p.c., per la quale l'attore è tenuto ad indicare nel ricorso i documenti che intende produrre e a depositarli in cancelleria insieme con l'atto introduttivo predetto, non preclude al ricorrente la successiva produzione di ulteriori documenti, ove questa si renda necessaria a seguito della domanda riconvenzionale proposta dal convenuto e delle nuove questioni introdotte dalla medesima. In ogni caso, la tardività dell'esibizione o del deposito dei documenti ad opera dell'attore o del convenuto, essendo i relativi termini stabiliti nell'esclusivo interesse delle parti, può essere eccepita nell'udienza di discussione, ma non può essere rilevata d'ufficio dal giudice.
Cass. civ. n. 5981/1984
Le prescrizioni dell'art. 416 c.p.c., che, a pena di decadenza, impongono al convenuto di proporre tempestivamente le eccezioni processuali e di merito e di prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore, valgono anche per quest'ultimo in relazione alla domanda riconvenzionale, dovendo egli considerarsi convenuto rispetto a tale domanda, con la conseguenza che tale soggetto non può proporre per la prima volta in appello una questione di inammissibilità della domanda riconvenzionale rispetto alla quale abbia, in primo grado, accettato il contraddittorio nel merito.
Cass. civ. n. 5555/1984
Anche nel rito del lavoro, al pari di quanto previsto per il procedimento civile ordinario davanti al tribunale, la costituzione del convenuto presuppone l'avvenuto deposito in cancelleria di uno scritto difensivo (comparsa di risposta, nel rito ordinario o memoria difensiva, in quello speciale), quale atto iniziale dell'esercizio del diritto di contraddire, con la conseguenza che il difetto di tale atto non è utilmente riparabile con il solo fatto della comparizione all'udienza, ma comporta che l'attività processuale dal convenuto stesso eventualmente spiegata, nel permanere di tale difetto, sia del tutto abnorme ed irrituale nonché inidonea ad impedire la contumacia.
Cass. civ. n. 3808/1984
Nel giudizio soggetto al rito del lavoro, la decadenza del convenuto, ai sensi del secondo comma dell'art. 416 c.p.c., dal diritto di proporre eccezioni processuali e di merito che (come quella di prescrizione) non siano rilevabili d'ufficio presuppone l'osservanza, da parte dell'attore, delle prescrizioni dell'art. 414 dello stesso codice, e, in particolare, di quella contenuta nel n. 4 di tale articolo. Pertanto, qualora, a causa di incompleta o inesatta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda, il convenuto non abbia avuto modo od interesse a sollevare un'eccezione in senso proprio, questa può essere proposta anche oltre il limite precisato dal citato art. 416, e quindi con la prima difesa successiva alla deduzione o all'acquisizione in giudizio, per altra via, del fatto o elemento omesso, la cui cognizione è essenziale ai fini della proposizione dell'eccezione stessa.
Cass. civ. n. 1847/1983
Quando davanti al pretore, adito quale giudice del lavoro ai sensi dell'art. 413 c.p.c., venga proposta una domanda riconvenzionale (non soggetta, di per sé, al rito del lavoro), detto giudice deve procedere alla separazione dei procedimenti, e rimettere al giudice superiore la causa riconvenzionale, soltanto se quest'ultima non rientri nella sua competenza per materia o ecceda quella per valore, essendo tenuto, in caso contrario, a pronunciare sulla riconvenzionale, a nulla rilevando la diversità del rito previsto per la medesima.
Cass. civ. n. 1363/1977
Qualora la domanda principale abbia ad oggetto un rapporto di lavoro autonomo, nella richiesta del convenuto di accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e la conseguente applicabilità del relativo contratto collettivo deve ravvisarsi una domanda riconvenzionale e perciò devono applicarsi gli artt. 416, secondo comma, e 418 primo comma, c.p.c., nuovo testo.
Cass. civ. n. 3497/1976
Poiché a norma dell'art. 416, secondo comma, c.p.c. la costituzione del convenuto nelle controversie di lavoro si effettua mediante deposito di memoria difensiva, nella quale debbono essere imposte a pena di decadenza, le eventuali domande riconvenzionali le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio, le contestazioni insorte tra le parti circa la ritualità dell'eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto non possono essere risolte se non procedendo ad un esame puntuale e approfondito della predetta memoria difensiva.