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Articolo 590 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 25/08/2024]

Lesioni personali colpose

Dispositivo dell'art. 590 Codice Penale

Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.

Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.

Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme [sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle] per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni(1).

Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria, la pena per lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni(2).

Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.

Note

(1) Comma, prima sostituito dall'art. 2, L. 21 febbraio 2006, n. 102, poi dall'art. 1, D.L. 23 maggio 2008, n. 92 e da ultimo modificato dall'art. 1, L. 23 marzo 2016, n. 41 con decorrenza dal 25 marzo 2016.
(2) Il presente comma è stato inserito dalla legge 11 gennaio 2018, n. 3. "Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute". In vigore dal 15/02/2018.

Ratio Legis

Viene qui tutelato il bene dell'incolumità fisica delle persone minacciato da condotte non dolose.

Spiegazione dell'art. 590 Codice Penale

Il bene giuridico oggetto di tutela è l'integrità fisica e mentale della persona colpita.

La norma disciplina al primo comma le lesioni personali lievi e lievissime, qualora la malattia sia giudicata guaribile entro i 40 giorni.

Ai sensi del secondo comma la pena è aumentata in caso di lesioni gravi e (con ulteriore aggravamento di pena) gravissime, così come descritte dall'articolo 583.

Quanto al concetto di malattia, la giurisprudenza tradizionale la identificava con qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, anche se localizzata, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali.

La giurisprudenza moderna, invece, al fine di restringere una nozione così estesa di malattia, la identifica invece come una perturbazione funzionale, qualificandola come un processo patologico, acuto o cronico, localizzato o diffuso, che implichi una sensibili menomazione funzionale dell'organismo.

Dal punto di vista soggettivo, non è richiesta la volontà di causare u particolare tipo di lesione, essendo sufficiente la volontà e consapevolezza di cagionare una violenta manomissione dell'altrui persona.

In seguito alle modifiche legislative che hanno disciplinato altrove le condotte colpose di omicidio stradale (art. 589 bis), la disciplina residua prevede l'applicazione di circostanze aggravanti specifiche nel caso in cui il fatto sia commesso con la violazione delle norme antinfortunistiche sul lavoro o nell'esercizio abusivo della professione sanitaria.

///SPIEGAZIONE ESTESA

Il delitto di lesioni personali colpose punisce chi, tenendo una condotta negligente, imprudente o inesperta, oppure contraria a leggi, regolamenti, ordini o discipline, causi involontariamente, in un'altra persona, una malattia nel corpo o nella mente.

Parimenti a quanto disposto per le lesioni personali dolose, dagli articoli 582 e 583 c.p., anche le lesioni colpose si distinguono, in base al loro livello di gravità, in lievissime, lievi, gravi e gravissime. Ai sensi del comma 1, letto in combinato disposto con l'art. 582 c.p., si ha una lesione lieve o lievissima qualora la malattia sorta in capo al soggetto passivo abbia una durata non superiore ai quaranta giorni.
Il combinato disposto del comma 2 della norma in esame e dell'art. 583 c.p., punisce, invece, la lesione grave o gravissima, la cui sussistenza costituisce, anche nel caso delle lesioni colpose, una circostanza aggravante speciale.

Si ha una lesione grave, qualora dalla condotta criminosa derivi, involontariamente, in capo al soggetto offeso, una malattia che ne metta in pericolo la vita oppure una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di quaranta giorni, o, ancora, se ne derivi l’indebolimento permanente di un senso o di un organo.

Per avere un "pericolo di vita" non basta l'insorgenza di una malattia che per sua natura presenti l'astratta probabilità di comportare un esito letale, essendo necessario, invece, che si tratti di una malattia tale da mettere effettivamente in pericolo di vita, ossia che in un determinato momento del processo patologico si sia verificato un reale pericolo di morte, desumibile dal quadro clinico della persona offesa. È, dunque, necessario che si realizzi una situazione patologica di una gravità tale da rendere probabile ed imminente il decesso del soggetto passivo, sulla base della miglior scienza ed esperienza medica.
Con l'espressione "incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni" si intende, invece, fare riferimento all'incapacità, anche soltanto parziale o relativa, per la persona offesa, di svolgere le attività per essa consuete, purché non siano contrarie all'ordinamento giuridico. Tale incapacità non coincide, quindi, con quella lavorativa, poiché, altrimenti, una siffatta qualificazione escluderebbe dall'ambito di applicazione della norma gli anziani, i bambini e i ragazzi. L'incapacità si considera, in ogni caso, conclusa, nel momento in cui la persona offesa torni ad essere in grado di riprendere completamente le sue ordinarie occupazioni.

Si ha un "indebolimento permanente di un senso o di un organo" nel caso in cui si verifichi una notevole diminuzione della capacità funzionale del senso o dell'organo, la quale perduri anche successivamente alla cessazione dello stato di malattia causato dalla lesione. L'indebolimento, inoltre, sussiste anche qualora possa essere rimosso attraverso un intervento chirurgico o una protesi, in quanto la permanenza va riferita alla normale funzione dell'organo. In particolare, "senso" è il complesso di elementi e tessuti anatomici che permettono ad un individuo di percepire il mondo esterno; "organo" è, invece, l'insieme delle parti del corpo che servono ad una determinata funzione, come ad esempio, la masticazione o la digestione. Qualora l'organo interessato dalla lesione sia composto da più parti distinte, come, ad esempio, i denti, si può parlare di indebolimento quando venga a mancare un numero di parti tale da far risultare indebolita la sua funzione.

Si è, invece, di fronte ad una lesione gravissima qualora, come conseguenza non voluta della condotta colposa del soggetto agente, si verifichi, alternativamente, una malattia certamente o probabilmente insanabile, la perdita di un senso, oppure la perdita di un arto o una mutilazione che renda un arto inservibile, la perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare, o, ancora, una permanente e grave difficoltà nel parlare.

Si ha una malattia "certamente insanabile" quando il processo patologico in atto diventa cronico, essendo le possibilità di guarigione nulle o, comunque, inferiori a quelle di non guarigione. Essa, peraltro, rappresentando un processo patologico in atto, è diversa dall'indebolimento permanente di un senso o di un organo, in quanto quest'ultimo caso si è di fronte ad un postumo di una malattia clinicamente guarita.

La "perdita di un senso" si ha quando la persona offesa perde completamente un senso, come, ad esempio, la vista.
Con "perdita di un arto" si intende sia la perdita anatomica totale di un arto, ossia la sua amputazione, sia la sua perdita parziale, per distacco o recisione, che privi la persona offesa dell'uso dell'arto stesso.
"Perdita dell'uso di un organo" indica la totale e permanente soppressione della funzione di un organo del corpo della persona offesa. A tal fine, dunque, non è sufficiente la mera perdita di una parte del corpo, essendo necessario che venga meno anche la funzione a cui essa collabori.

Con "permanente e grave difficoltà nella favella", il legislatore ha inteso far riferimento all'alterazione della chiarezza e della correttezza nel parlare, rispetto allo stato anteriore alla condotta criminosa. Tale difficoltà si considera permanente nel caso in cui sia destinata a protrarsi per tutta la vita della persona offesa o, comunque, per lungo tempo. La stessa è, poi, grave, qualora il preesistente grado di chiarezza e correttezza della parlata risulti essere compromesso in modo tale da rendere difficile, alla persona offesa, esprimere il proprio pensiero attraverso la parola.

Si ha, infine, una "perdita della capacità di procreare" qualora la persona offesa, pur mantenendo la capacità di intrattenere rapporti sessuali, venga privata della capacità di generare, sia che si tratti della perdita di una capacità procreativa già acquisita, sia che ne venga impedita l'acquisizione avendo luogo, la condotta criminosa, ai danni di una persona che si trovi nella fase infantile o preadolescenziale.

La condotta tipica consiste nel comportamento del soggetto che contravvenga alle doverose cautele agendo con negligenza, imprudenza o imperizia, oppure violando leggi, regolamenti, ordini o discipline.
In particolare, si ha "negligenza" qualora l'agente compia una certa attività senza prestare la dovuta attenzione. Si parla, invece, di "imprudenza" nel caso in cui il soggetto attivo tenga una condotta contraria ai generali doveri di prudenza ed accortezza. Si può, infine, parlare di "imperizia" qualora un soggetto tenga una condotta che presupponga la conoscenza di determinate regole tecniche le quali, però, non vengano da lui rispettate, per sua incapacità oppure per sua inettitudine tecnica o professionale.

Oggetto materiale del reato è la persona vivente su cui ricada la condotta criminosa, provocandone un'offesa non voluta all'integrità del corpo o della mente. Si deve, peraltro, trattare di una persona diversa dall'agente, in quanto l'autolesione non è penalmente perseguibile.
Il delitto in esame si considera configurabile anche prima della nascita, cioè nei confronti del concepito che abbia subito delle lesioni in seguito, ad esempio, a maldestri interventi di amniocentesi o di villocentesi, a condizione, però, che la lesione sia poi riscontrabile nel soggetto nato.

Ai sensi del comma 5, qualora le persone lese siano più di una si applica la disciplina del concorso formale di reati, ex art. 81 c.p., anche se la pena non può, comunque, superare i cinque anni di reclusione.

Il reato si considera consumato nel momento in cui si verifichi una malattia nel corpo o nella mente del soggetto passivo, quale conseguenza non voluta della condotta dell'agente.
Per gli effetti del diritto penale, "malattia" è l'alterazione organica o il disturbo funzionale che richieda cure, cautele o precauzioni per guarire o per evitare un eventuale pericolo. Non rappresenta, quindi, una malattia, ad esempio, un'ecchimosi che appaia soltanto sulla cute senza richiedere cure, riguardi o cautele, mentre si considera malattia un'escoriazione o un'abrasione. La malattia, inoltre, può essere sia nel corpo che nella mente. Si ha una malattia nel corpo quando c'è un'alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, limitata o estesa alle sue condizioni generali, tale da richiedere cure, cautele o precauzioni. Rappresenta, invece, una malattia nella mente, sia l'alterazione psichica che tolga o scemi grandemente la capacità di intendere o di volere della vittima, sia quella che menomi, anche solo parzialmente, l'attività dell'intelligenza, della volontà o della memoria, così da richiedere cure, cautele o precauzioni.
Trattandosi di un delitto colposo, non è configurabile il tentativo.

Ai sensi, rispettivamente, dei commi 3 e 4, la fattispecie in esame è aggravata qualora sia commessa attraverso la violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, oppure nell'esercizio abusivo di una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria.

In generale, come previsto dall'ultimo comma, il reato di lesioni colpose è punibile soltanto a querela della persona offesa, fatta eccezione per i casi previsti nel primo e secondo capoverso della disposizione, limitatamente, in quest'ultimo caso, ai fatti commessi attraverso la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene sul lavoro, o, ancora, a quelli che abbiano causato una malattia professionale.

///FINE SPIEGAZIONE ESTESA

Massime relative all'art. 590 Codice Penale

Cass. pen. n. 31816/2023

Ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante di cui all'art. 589, co. 2 (e all'art. 590, co. 3) cod. pen., la locuzione "se il fatto è commesso … con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" va interpretata come riferita a eventi nei quali risulta concretizzato il rischio lavorativo, per essere quelli causati dalla violazione di doveri cautelari correlati a tale tipo di rischio. Per rischio lavorativo deve intendersi quello derivante dallo svolgimento di attività lavorativa e che ha ordinariamente ad oggetto la sicurezza e la salute dei lavoratori ma può concernere anche la sicurezza e la salute di terzi, ove questi vengano a trovarsi nella medesima posizione di esposizione del lavoratore.

Cass. pen. n. 21869/2022

In tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante, purché l'agente assuma la gestione dello specifico rischio mediante un comportamento di consapevole presa in carico del bene protetto.

Cass. pen. n. 2157/2021

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la previsione dell'art. 299 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, elevando a garante colui che di fatto assume ed esercita i poteri del datore di lavoro, amplia il novero dei soggetti investiti della posizione di garanzia, senza tuttavia escludere, in assenza di delega dei poteri relativi agli obblighi prevenzionistici in favore di un soggetto specifico, la responsabilità del datore di lavoro, che di tali poteri è investito ex lege e che, nelle società di capitali, si identifica nella totalità dei componenti del consiglio di amministrazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la decisione che, in assenza di delega di poteri, aveva riconosciuto la qualifica di datore di lavoro al presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, nonostante si occupasse della prevenzione un altro componente del consiglio di amministrazione).

Cass. pen. n. 3284/2021

In caso di lesioni personali colpose cagionate durante una competizione sportiva, ai fini della valutazione della responsabilità penale dell'atleta antagonista della vittima, devono essere applicati i criteri ordinari sulla colpevolezza, individuando la regola cautelare che presidia l'attività sportiva e la doverosità della condotta richiesta secondo canoni di prudenza, perizia e diligenza, nonché di osservanza delle specifiche regole di gioco volte a evitare il pericolo di lesioni.

Cass. pen. n. 38423/2021

La pena applicabile al reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ove tale circostanza aggravante sia ritenuta equivalente alle circostanze attenuanti, è quella prevista dall'art. 590, primo comma, cod. pen., e non quella prevista per i reati di competenza del giudice di pace, perché il reato accertato resta quello originariamente contestato di competenza del tribunale.

Cass. pen. n. 45012/2021

Integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico, la condotta di colui che, nella dichiarazione sostitutiva diretta al pubblico registro automobilistico, dichiari falsamente di voler esportare un veicolo in paesi esterni all'Unione Europea.

Cass. pen. n. 37031/2021

Le lesioni colpose provocate dall'utente di una pista sciistica non sono riconducibili a "colpa professionale", ai sensi dell'art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274, poiché la nozione evocata dalla norma processuale rimanda esclusivamente agli esercenti una delle professioni "intellettuali" previste e disciplinate dall'art. 2229 cod. civ., cosicché la competenza a giudicare spetta, in tal caso, al giudice di pace.

Cass. pen. n. 18347/2021

Nel reato di lesioni personali colpose riconducibili a responsabilità medica, la prescrizione inizia a decorrere dal momento dell'insorgenza della malattia "in fieri", anche se non ancora stabilizzata in termini di irreversibilità o di impedimento permanente.

Cass. pen. n. 22256/2021

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la designazione di un preposto al rispetto delle misure di prevenzione non esonera il datore di lavoro da responsabilità ove risulti l'inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la penale responsabilità del datore di lavoro per le lesioni che un suo dipendente, alla guida di un muletto, aveva cagionato ad altro lavoratore, in quanto, pur avendo nominato un preposto, non aveva organizzato i luoghi di lavoro in modo tale da garantire una viabilità sicura, regolamentando la circolazione con cartellonistica e segnaletica orizzontale).

Cass. pen. n. 31517/2021

In tema di infortuni sul lavoro, in caso di lavorazioni in quota, il datore di lavoro deve approntare un ponteggio al fine di prevenire il rischio di caduta di "persone o cose", con la conseguenza che egli è responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore caduto, anche qualora lo stesso si trovasse in quota per ragioni non inerenti lo svolgimento di tali lavorazioni. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni da caduta occorse a due lavoratori, i quali si erano portati sulla sommità della struttura ove erano svolte delle lavorazioni, l'uno per riprendere la borsa degli attrezzi, e l'altro per verificare cosa stesse facendo il collega).

Cass. pen. n. 5802/2021

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il rischio derivante dalla conformazione dell'ambiente di lavoro grava sul committente, perché, inerendo all'ambiente di lavoro, non è riconducibile alla natura specialistica dei lavori commissionati all'impresa appaltatrice. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del committente per il reato di lesioni colpose in relazione all'infortunio occorso a un lavoratore dipendente della ditta appaltatrice, addetto all'autobetoniera, investito da una scarica elettrica in quanto il braccio del mezzo, manovrato con radiocomando da altro lavoratore dipendente della stessa impresa, era stato alzato sino a giungere in prossimità di un elettrodotto sovrastante il cantiere di proprietà del committente).

Cass. pen. n. 20092/2021

In tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi "contra legem" foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, ove si verifichi un incidente in conseguenza di una tale prassi instauratasi con il consenso del preposto, l'ignoranza del datore di lavoro non vale ad escluderne la colpa, integrando essa stessa la colpa per l'omessa vigilanza sul comportamento del preposto.

Cass. pen. n. 4075/2021

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro ha l'obbligo di adottare idonee misure di sicurezza anche in relazione a rischi non specificamente contemplati dal documento di valutazione dei rischi, così sopperendo all'omessa previsione anticipata. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore a seguito della precipitazione della cabina di un ascensore sulla quale stava lavorando, nonostante tale specifico pericolo di precipitazione non fosse contemplato nel DUVR).

Cass. pen. n. 3917/2020

In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, grava su ogni gestore del rischio, nell'alveo del suo compito fondamentale di vigilare sull'attuazione delle misure di sicurezza, l'obbligo di verificare la conformità dei macchinari alle prescrizioni di legge e di impedire l'utilizzazione di quelli che, per qualsiasi causa - inidoneità originaria o sopravvenuta -, siano pericolosi per la incolumità del lavoratore che li manovra. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva ritenuto entrambi responsabili il direttore generale della società e il responsabile di stabilimento, dotati di specifiche deleghe in materia di sicurezza, per le lesioni di cui era rimasto vittima un lavoratore in conseguenza dell'uso di un macchinario privo dei necessari dispositivi di sicurezza).

Cass. pen. n. 35424/2020

Il termine per proporre la querela per il reato di lesioni colpose determinate da colpa medica inizia a decorrere non già dal momento in cui la persona offesa ha avuto consapevolezza della patologia contratta, bensì da quello, eventualmente successivo, in cui la stessa sia venuta a conoscenza della possibilità che sulla menzionata patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari che l'hanno curata.

Cass. pen. n. 1096/2020

In caso di infortunio sul lavoro riconducibile a prassi comportamentali elusive delle disposizioni antinfortunistiche, non è ascrivibile alcun rimprovero colposo al preposto di fatto, sotto il profilo dell'esigibilità del comportamento dovuto, laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza di tali prassi o che le avesse colposamente ignorate, sconfinandosi altrimenti in una inammissibile ipotesi di responsabilità oggettiva "da posizione". (In applicazione del principio la Corte ha annullato senza rinvio, "perché il fatto non costituisce reato", la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del capo reparto di un supermercato, preposto di fatto da soli cinque giorni, per l'infortunio subito da un dipendente a causa del mancato uso dei dispositivi di protezione).

Cass. pen. n. 28728/2020

In materia di infortuni sul lavoro, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, sussiste la responsabilità del committente che, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati, poiché l'obbligo di verifica di cui all'art. 90, lett. a), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, non può risolversi nel solo controllo dell'iscrizione dell'appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo.

Cass. pen. n. 32178/2020

In tema di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell'esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa, di talché, ove in tali luoghi si verifichino, a danno del terzo, i reati di lesioni o di omicidio colposi, è ravvisabile la colpa per violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, purché sussista, tra siffatta violazione e l'evento dannoso, un legame causale e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi, e sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell'infortunio, non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la condanna di un lavoratore che, nello svolgimento di operazioni di scarico merci, in violazione dell'art. 20, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, aveva consentito che un terzo estraneo si intromettesse nello svolgimento della lavorazione riportando lesioni personali). (Rigetta in parte, CORTE APPELLO BOLOGNA, 26/04/2019)

Cass. pen. n. 37766/2019

In tema di prevenzione infortuni nelle istituzioni scolastiche, soggetto destinatario dell'obbligo di sicurezza è il dirigente che abbia poteri di gestione. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto immune da censure il riconoscimento della posizione di garanzia in capo al dirigente scolastico di un liceo, in relazione alle lesioni subite da un alunno in conseguenza della caduta da un lucernaio presente su un solaio, in quanto, nonostante fosse privo dei poteri di spesa, aveva omesso di segnalare alla Provincia la pericolosità del solaio in questione e di sollecitare i conseguenti, necessari, interventi strutturali).

Cass. pen. n. 34139/2019

In tema di lesioni gravissime per contagio da HIV, deve ritenersi sufficiente a provare il dolo eventuale, inteso come accettazione della probabilità dell'evento, il fatto che l'agente, pienamente consapevole di essere portatore del virus, abbia ciononostante ripetutamente consumato rapporti sessuali non protetti, senza avvisare il partner del proprio stato. (Fattispecie in cui la Corte ha precisato come la risalente diagnosi di malattia con prescrizione di retrovirali escludesse, nel caso di specie, la possibilità di inquadrare l'imputato come "uomo della strada", inconsapevole del rischio di trasmissione sessuale del virus).

Cass. pen. n. 31863/2019

In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, indipendentemente dalla sua funzione nell'organigramma dell'azienda. (Fattispecie relativa ad infortunio di dipendente di una ditta addetta al posizionamento di cartelli di segnalazione, con lavoro in quota, in cui anche il "project manager" responsabile di funzione, per quanto non superiore diretto dell'infortunato, è stato ritenuto preposto, in quanto aveva, di fatto, commissionato il lavoro da cui era originato l'infortunio e aveva provveduto a realizzare corsi di formazione nell'ambito del reparto, riguardanti l'uso della cesta per le lavorazioni in quota).

Cass. pen. n. 47801/2018

In tema di colpa professionale, il medico che succede ad un collega nel turno in un reparto ospedaliero assume nei confronti dei pazienti ricoverati la medesima posizione di garanzia di cui quest'ultimo era titolare, circostanza che lo obbliga ad informarsi circa le condizioni di salute dei pazienti medesimi e delle particolari cure di cui necessitano. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità di un ginecologo per il reato di lesioni colpose ai danni di un feto, ritenendo irrilevante la tesi difensiva secondo la quale l'imputato era stato informato dello stato di sofferenza del feto solo a danno compiuto, essendosi accertato che i primi segnali di sofferenza erano emersi in epoca successiva all'inizio del turno ed egli aveva omesso di informarsi dello stato di salute dei pazienti).

Cass. pen. n. 45853/2017

In tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha una funzione di autonoma vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto). (In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva escluso la responsabilità del coordinatore per la sicurezza dei lavori in relazione alle lesioni patite da un operaio intento allo smontaggio di una rete metallica con l'ausilio di una scala inidonea per dimensioni e struttura, rilevando la puntuale verifica dell'adeguatezza delle prescrizioni previste nel piano di sicurezza e della loro messa in opera, rispetto ai lavori previsti dal capitolato d'appalto, tra le quali non rientrava l'attività svolta dal lavoratore).

Cass. pen. n. 24697/2016

In tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, sussiste l'interesse dell'ente nel caso in cui l'omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, mentre si configura il requisito del vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività. (In motivazione, la Corte ha affermato che la responsabilità dell'ente, non può essere esclusa in considerazione dell'esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell'interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi).

Cass. pen. n. 3148/2015

Nel reato di lesioni personali colpose causate da un infortunio sul lavoro, la prescrizione inizia a decorrere dal momento dell'evento, non assumendo alcun rilievo la data di definitiva stabilizzazione dei postumi dell'incidente

Cass. pen. n. 4968/2014

In tema di individuazione delle responsabilità penali all'interno delle strutture complesse, la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi ai deleganti solo se tali eventi siano il frutto di occasionali disfunzioni mentre, nel caso in cui siano determinati da difetti strutturali aziendali ovvero del processo produttivo, permane la responsabilità dei vertici aziendali. (In applicazione del principio la Corte ha riconosciuto la responsabilità del legale rappresentante della società, pur in presenza di una delega in materia di prevenzione sugli infortuni e sull'igiene del lavoro conferita ad altro componente del consiglio di amministrazione, in quanto le lesioni occorse al lavoratore erano dipese dalla violazione delle disposizioni antinfortunistiche afferenti un aspetto strutturale e permanente del processo produttivo, mai sottoposto ad adeguata considerazione e neanche considerato nel documento di valutazione dei rischi).

Cass. pen. n. 2343/2014

In tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell'esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa, di talché ove in tali luoghi si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, è configurabile l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., con conseguente perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590. u.c., cod. pen., purché sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi. (Fattispecie in cui è stata affermata la colpevolezza sia del legale rappresentante della società gerente il "kartodromo" sia del responsabile della pista per il decesso di una cliente, alla quale era stato consentito di accedere al "kart" nonostante indossasse una sciarpa che le cingeva il collo, la quale, impigliandosi nei meccanismi del circuito, ne aveva provocato la morte per soffocamento).

Cass. pen. n. 9459/2013

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, costituisce "posto di lavoro" anche lo spazio limitrofo ad un autocarro, che deve essere protetto al fine di evitare cadute pericolose di materiali in grado di arrecare lesioni al personale addetto alla movimentazione del carico. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità del datore di lavoro, che aveva consentito di caricare su un autocarro, oltre il limite di sicurezza delle sponde, materiali che, fuoriuscendo travolgevano un dipendente).

Cass. pen. n. 4541/2013

In tema di colpa professionale medica, chirurgia maxillo-facciale, non connotata dall'urgenza ma finalizzata a migliorare l'aspetto fisico del paziente in funzione della sua vita di relazione oltre che a regolarne la postura dentale, il consenso informato del paziente esclude la colpa del sanitario solo se esso non si limiti alla semplice enumerazione dei possibili rischi ed alla prospettazione delle possibili scelte, ma investa non soltanto la mera riuscita dell'intervento ma anche il giudizio globale su come la persona risulterà all'esito di quest'ultimo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto carente la motivazione assolutoria adottata dalla Corte d'Appello relativamente alla condotta di un chirurgo che, benché avesse concordato l'operazione di osteotomia mandibolare con altri specialisti su una paziente per eliminare l'eccessiva sporgenza degli incisivi superiori da cui la predetta era affetta, anziché sconsigliare l'intervento alla luce degli enormi rischi che esso comportava, vi procedeva ugualmente, provocando alla donna tumefazioni e gonfiori permanenti al viso, difficoltà respiratorie e perdita di sensibilità al labbro, così costringendola ad un ulteriore intervento riparatore a distanza di quattro anni).

Cass. pen. n. 2474/2010

Risponde di lesioni personali colpose il medico ospedaliero che, omettendo di effettuare i dovuti esami clinici, dimetta con la diagnosi errata di gastrite un paziente affetto da patologia tumorale, così prolungando per un tempo significativo le riscontrate alterazioni funzionali (nella specie, vomito, acuti dolori gastrici ed intestinali) ed uno stato di complessiva sofferenza, di natura fisica e morale, che favorivano un processo patologico che, se tempestivamente curato, sarebbe stato evitato o almeno contenuto.

Cass. pen. n. 39971/2009

In tema di circolazione stradale, il pedone che attraversi la carreggiata al di fuori delle strisce pedonali è responsabile delle lesioni cagionate al conducente di un ciclomotore, caduto a causa del repentino attraversamento, nonostante procedesse a velocità moderata.

Cass. pen. n. 41029/2008

Integra il reato di lesioni colpose la condotta del conducente di un veicolo che investa un pedone in autostrada quando quest'ultimo già si trovi sulla carreggiata nel momento in cui l'agente abbia percepito la sua presenza, atteso che in tale situazione appare prevedibile la pur imprudente intenzione dello stesso pedone di attraversare la carreggiata ed è dunque dovere del conducente porre comunque in atto le manovre necessarie ad evitare il suo investimento. (In motivazione la Corte ha precisato che diversamente, qualora il pedone fosse stato fermo sulla piazzola di sosta, la particolare conformazione dell'autostrada quale sede destinata al traffico veloce avrebbe consentito legittimamente al conducente di escludere l'intenzione del pedone di attraversare la carreggiata, trattandosi di comportamento in tali condizioni non prevedibile).

Cass. pen. n. 37077/2008

Il medico che prescriva medicinali off label (cioè per finalità terapeutiche diverse da quelle che gli sono riconosciute ) e che non agisca in via del tutto sperimentale, risponde a titolo di colpa e non di dolo delle lesioni riportate dal paziente a causa della loro somministrazione, qualora non abbia compiuto un'attenta valutazione comparativa tra i benefici perseguiti ed i rischi connessi alla particolare utilizzazione del farmaco che era possibile prevedere sulla base della situazione clinica del paziente medesimo. (Fattispecie relativa alla prescrizione di un medicinale antiepilettico nell'ambito di un terapia relativa alla cura dell'obesità, in cui il medico, nell'aumentare il dosaggio del farmaco, aveva omesso di procedere ad adeguata attività di monitoraggio del paziente e di valutare le ragioni della mancanza di una reazione positiva ai dosaggi inferiori ).

Cass. pen. n. 35326/2008

In tema di responsabilità da sinistri stradali, gli organizzatori di corse automobilistiche (nella specie: "rally" di montagna) hanno l'obbligo giuridico di porre in essere tutte le cautele possibili onde evitare incidenti di gara, non potendo, in difetto, invocare il carattere intrinsecamente pericoloso della predetta attività, che soltanto con riguardo alle condotte dei partecipanti può dirsi non ispirata al comune concetto di prudenza.

Cass. pen. n. 33384/2008

In tema di lesioni colpose, la scelta degli interventi terapeutici, purchè tecnicamente validi, è rimessa alla discrezionalità del medico, cosicché la colpa di quest'ultimo, nell'ipotesi d'alternativa terapeutica, non può essere valutata con riguardo alla necessità della certezza del risultato, bensì in relazione all'osservanza delle regole di condotta proprie della professione che sono finalizzate alla prevenzione del rischio collegato all'opzione terapeutica eletta.

Cass. pen. n. 32423/2008

In tema di lesioni colpose provocate dalla somministrazione di farmaci, ai fini della sussistenza del consenso informato non basta comunicare al paziente il nome del prodotto che gli sarà somministrato accompagnato da generiche informazioni, occorrendo indicare gli eventuali effetti negativi della somministrazione, in modo da consentire una congrua valutazione del rapporto costi-benefici del trattamento, che tenga conto anche delle possibili conseguenze negative.

Cass. pen. n. 12348/2008

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto o di un contratto d'opera, non per questo viene meno la responsabilità del committente per gli infortuni subiti dal medesimo, atteso che il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica esclusivamente con riguardo ai rischi specifici delle attività proprie dell'appaltatore o del prestatore d'opera. (Fattispecie in cui è stata affermata la responsabilità del committente per la mancata predisposizione nel cantiere, in cui era stato chiamato a prestare la propria attività il lavoratore autonomo infortunatosi, di un parapetto idoneo ad evitare cadute a chi operava in altezza).

L'infortunio sul lavoro determinato da un errore del lavoratore che abbia prestato il proprio consenso ad operare in condizioni di pericolo non esclude la responsabilità del datore di lavoro il quale abbia omesso di osservare le norme antinfortunistiche, atteso che queste ultime sono dirette a prevenire anche il comportamento imprudente, negligente o dovuto ad imperizia dello stesso lavoratore, che non può altresì disporre del proprio diritto alla salute.

Cass. pen. n. 7730/2008

In tema di lesioni personali colpose, la configurabilità della circostanza aggravante della violazione di norme antinfortunistiche esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, atteso che il rispetto di tali norme è imposto anche quando l'attività lavorativa venga prestata anche solo per amicizia, riconoscenza o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato, purchè detta prestazione sia stata posta in essere in un ambiente che possa definirsi di «lavoro». (Fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità del parroco per l'infortunio occorso ad un fedele impegnatosi volontariamente nell'approntamento della struttura deputata allo svolgimento della festa della parrocchia).

Cass. pen. n. 6280/2008

Il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro e dunque anche quello di accertarsi che i macchinari messi a disposizione dei lavoratori siano sicuri ed idonei all'uso, rispondendo in caso di omessa verifica dei danni subiti da questi ultimi per il loro cattivo funzionamento e ciò a prescindere dalla eventuale configurabilità di autonome concorrenti responsabilità nei confronti del fabbricante o del fornitore dei macchinari stessi.

Cass. pen. n. 41307/2007

In tema di infortuni sul lavoro, l'art. 48 D.L.vo n. 626 del 1994 che detta gli obblighi del datore di lavoro ai fini della prevenzione antinfortunistica in caso di movimentazione manuale di carichi, non si limita ad indicare generiche norme di prudenza ma configura una regola cautelare specifica, idonea a far ritenere sussistente l'aggravante prevista dall'art. 590 comma terzo c.p. e, pertanto, la procedibilità di ufficio ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo citato.

Cass. pen. n. 39623/2007

Il dirigente del servizio manutenzione strade del comune risponde del reato di lesioni colpose in merito alle lesioni riportate da un pedone in seguito alla caduta causata da una fenditura aperta nel manto stradale e non segnalata. (In motivazione la Corte ha evidenziato che il dirigente del servizio assume una specifica posizione di garanzia in ordine alla prevenzione di eventi di questo genere e che soltanto l'accertata impossibilità di procedere al controllo dell'esistenza di significative anomalie nelle sedi stradali percorse da pedoni lo libera da ogni responsabilità).

Cass. pen. n. 39619/2007

In tema di colpa omissiva, la posizione di garanzia che assumono il gestore e il responsabile della sicurezza di un impianto sciistico non origina dalla presunta intrinseca pericolosità dell'attività svolta, atteso che pericolosa è in realtà la pratica sportiva dello sci, bensì dal contratto concluso con lo sciatore che utilizza l'impianto e le piste dallo stesso servite. (Fattispecie relativa alla responsabilità per colpa in merito alle lesioni riportate da uno sciatore e causate dall'omessa delimitazione della pista in un punto ritenuto pericoloso).

In tema di lesioni colpose, sussiste la responsabilità del gestore e del responsabile della sicurezza di un impianto sciistico per le lesioni riportate da uno sciatore che abbia praticato volontariamente il «fuori pista» in un passaggio altamente pericoloso se nel punto in cui era possibile abbandonare la pista battuta non era stato idoneamente segnalato tale pericolo. (Fattispecie in cui sulla pista battuta non era segnalata la presenza, esternamente alla medesima, di un torrente occultato alla vista).

Cass. pen. n. 37642/2007

L'amministratore o il legale rappresentante di un ente pubblico o privato non può essere automaticamente ritenuto responsabile, a causa della carica ricoperta, di tutti gli eventi penalmente rilevanti verificatisi nella gestione dell'ente, qualora l'attività del medesimo sia stata preventivamente suddivisa in settori, ai cui preposti sia stata attribuita autonomia organizzativa e di esecuzione sufficienti a garantire il verificarsi di tali eventi. (Fattispecie avente ad oggetto l'esclusione della responsabilità per il reato di lesioni colpose da incidente stradale in capo al dirigente della manutenzione delle strade provinciali e statali di una Provincia in ordine al mancato intervento di rimozione di un tombino pericoloso dalla sede stradale, intervento ritenuto di competenza del preposto ad una delle zone in cui era stato suddiviso il servizio).

Cass. pen. n. 32822/2007

Il conducente di uno scuolabus ha il dovere di adottare tutte le necessarie cautele suggerite dalla ordinaria prudenza in relazione alle specifiche circostanze di tempo e di luogo al fine di garantire la sicurezza dei minori che gli sono affidati per il trasporto, non solo durante le fasi preparatorie ed accessorie di salita e discesa dal veicolo, ma altresì in quella ulteriore dell'attraversamento della strada, quando alla fermata gli stessi minori non siano presi in consegna dai genitori o da altri soggetti da loro incaricati. (Fattispecie avente ad oggetto la riconosciuta responsabilità per il delitto di lesioni colpose del conducente dello scuolabus che non aveva evitato che un minore, una volta disceso dal veicolo, attraversasse in maniera imprudente la strada, venendo così investito da un'autovettura in transito).

Cass. pen. n. 21593/2007

In tema di infortuni sul lavoro, indipendentemente dalla esistenza o meno della figura del preposto — la cui specifica competenza è quella di controllare l'ortodossia antinfortunistica dell'esecuzione delle prestazioni lavorative per rapporto all'organizzazione dei dispositivi di sicurezza — il datore di lavoro risponde dell'evento dannoso laddove si accerti che egli abbia omesso di rendere disponibili nell'azienda i predetti dispositivi di sicurezza. (Nella fattispecie il «trabattello» sebbene acquistato, non era stato fornito ai lavoratori che pertanto dovevano usare una scala a forbice).

Cass. pen. n. 41939/2006

In tema di lesioni colpose, il nesso causale tra ambiente di lavoro insalubre ed affezioni morbose contratte dal lavoratore sussiste non solo quando emerge con certezza che l'adozione delle norme precauzionali avrebbe scongiurato il prodursi dell'evento dannoso, ma anche nei casi in cui, pur non potendosi escludere in assoluto la possibilità di un diverso meccanismo causale, non risultino dotate di ragionevole concretezza ipotesi alternative dell'insorgere dei processi morbosi per cause, ovvero concause, del tutto indipendenti dall'accertata insalubrità dell'ambiente.

Cass. pen. n. 2382/2006

In tema di normativa antinfortunistica, sussiste la responsabilità del datore di lavoro il quale introduce nell'azienda e mette a disposizione del lavoratore una macchina, che per vizi di costruzione possa essere fonte di danno per la persone, senza avere appositamente accertato che il costruttore, e l'eventuale diverso venditore, abbiano sottoposto la stessa macchina a tutti i controlli rilevanti per accertarne la resistenza e l'idoneità all'uso, non valendo ad escludere tale responsabilità la mera dichiarazione, resa dal datore di lavoro medesimo, di avere fatto affidamento sull'osservanza da parte del costruttore delle regole della migliore tecnica.

Cass. pen. n. 22579/2005

La circostanza dello «scioglimento dell'equipe operatoria» che abbia a verificarsi quando ancora l'intervento deve essere completato da adempimenti di particolare semplicità, esclude l'elemento della colpa per negligenza in capo al medico che ha abbandonato anticipatamente l'equipe, sempre che non si tratti di intervento operatorio ad alto rischio e l'allontanamento sia giustificato da pressanti ed urgenti necessità professionali.

Cass. pen. n. 16695/2005

Il sovrintendente dell'impianto di risalita di una stazione sciistica è portatore di una posizione di garanzia nei confronti del pubblico che usa la seggiovia: ne consegue che l'elemento soggettivo del reato di lesioni colpose è integrato dalla mera inosservanza delle norme di prudenza e di diligenza a causa della quale resti provato l'evento dannoso. (Nella fattispecie l'imputato, che aveva fatto salire un bambino di pochi anni, aveva omesso di avvisare il suo collaboratore a monte della situazione delicata, così rendendosi responsabile dell'incidente occorso ad altro passeggero e causato dall'inesperienza del piccolo viaggiatore).

Cass. pen. n. 6360/2005

In tema di infortuni sul lavoro non occorre, per configurare la responsabilità del datore di lavoro, che sia integrata la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa dell'omessa adozione di quelle misure e accorgimenti imposti all'imprenditore dall'art. 2087 c.c. ai fini della più efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore.

Cass. pen. n. 3448/2005

Integra il reato di lesioni colpose la condotta del chirurgo estetico che, successivamente all'intervento di mastoplastica additiva, abbia omesso di sottoporre la paziente ad adeguati controlli nel periodo post-operatorio, sottovalutando gli inconvenienti dalla stessa lamentati, intervenendo in modo intempestivo e con pratiche mediche non corrette (cosiddetto «squeezing»), nonostante l'evidente processo infiammatorio delle mammelle.

Cass. pen. n. 3444/2005

Risponde del delitto di lesioni colpose il responsabile del laboratorio di scienze di una università il quale, a conoscenza del funzionamento irregolare dell'apparecchio laser, privo di dispositivi di sicurezza, non abbia impedito ad uno studente (vittima delle lesioni) di provare a far funzionare la macchina, pur non essendo egli il tecnico specialista cui sarebbe spettato l'intervento di riparazione e di manutenzione.

Cass. pen. n. 3433/2005

Le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro si applicano anche ai prestatori d'opera. Ne consegue che risponde del reato di lesioni colpose commesso con violazione delle norme antiinfortunistiche l'operatore del «muletto» di carico che abbia usato un mezzo non appropriato al volume, alla forma e al peso del carico medesimo.

Cass. pen. n. 46586/2004

Sussiste la responsabilità per il reato di lesioni colpose del medico che abbia omesso di prescrivere al paziente i necessari esami emato-chimici, che avrebbero consentito di rilevare tempestivamente l'insorgere della malattia renale (nefrite interstiziale), causata dal pregresso uso di un farmaco adoperato per la cura di una preesistente patologia, farmaco di cui doveva conoscere i possibili effetti nefrotossici, e di cui avrebbe dovuto sospendere la somministrazione, impedendo l'aggravarsi della malattia stessa.

Cass. pen. n. 40183/2004

In tema di colpa medica, nel caso di prestazioni di natura specialistica effettuate da chi sia in possesso di diploma di specializzazione, devono essere considerate ai fini della valutazione della condotta le condizioni generali e fondamentali proprie di un medico specialista nel relativo campo, per cui va richiesto con maggior rigore l'uso della massima prudenza e diligenza.

Cass. pen. n. 37666/2004

In materia di lesioni colpose, se i fatti sono commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale, sussiste sempre la procedibilità d'ufficio, ai sensi dell'art. 590 comma 5 c.p., indipendentemente dalla qualifica rivestita dall'imputato, in quanto le valutazioni di carattere soggettivo non influiscono sulla procedibilità.

Cass. pen. n. 36760/2004

Integra il reato di lesioni colpose la condotta omissiva del responsabile dell'ufficio tecnico comunale nella attività di manutenzione di una strada sulla quale, per tale causa, si è verificato un incidente. (Nella fattispecie la Corte nell' escludere che l'addebito potesse essere ascritto al Consiglio comunale, ha affermato tale principio facendo riferimento all'art. 107 del D.L.vo 18 agosto 2000 n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, che distingue tra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, demandati agli organi di governo degli enti locali, e compiti di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, attribuiti ai dirigenti, cui sono conferiti autonomi poteri di organizzazione delle risorse, strumentali e di controllo).

Cass. pen. n. 27861/2004

In tema di lesioni colpose, incombe al gestore di impianti sciistici l'obbligo di porre in essere ogni cautela per prevenire i pericoli anche esterni alla pista ai quali lo sciatore può andare incontro in caso di uscita dalla pista medesima, là dove la situazione dei luoghi renda probabile per conformazione naturale del percorso siffatta evenienza accidentale. (Nella fattispecie, la pista, battuta fino all'orlo, rendeva probabile, in mancanza di reti di protezione, lo scivolamento per il declivio al lato in caso di perdita di controllo da parte dello sciatore).

Cass. pen. n. 18638/2004

In tema di prevenzione infortuni, il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di lesione colposa aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche. (Fattispecie di infortunio occorso all'addetto alla macchina denominata «lupa» durante l'operazione di «lisciatura» manuale effettuata durante il funzionamento della macchina stessa, secondo una prassi illegittima instaurata in fabbrica con il tacito assenso del preposto, in violazione della prescrizione ex art. 49 commi primo e terzo D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547).

Cass. pen. n. 18609/2004

Integra il reato di lesioni personali colpose, aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, la condotta del responsabile legale di un'impresa che, in violazione dell'art. 214 D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, abbia omesso di rendere inaccessibile lo spazio sottostante al nastro trasportatore di materiale inerte, privo di protezione idonea ad impedire la caduta di detto materiale, provocando così l'infortunio del proprio dipendente colpito da una pietra fuoriuscita dal nastro.

Cass. pen. n. 37001/2003

Il datore di lavoro è destinatario delle norme antinfortunistiche proprio per evitare che il dipendente compia scelte irrazionali che, se effettuate, possono pregiudicarne l'integrità psico-fisica. Egli, pertanto, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia eccezionale, imprevedibile, tale da non essere preventivamente immaginabile, e non già quando l'irrazionalità della condotta del dipendente sia controllabile, pensabile in anticipo, risolvendosi nel fare l'esatto contrario di quel che si dovrebbe fare per non incorrere in infortuni.

Cass. pen. n. 7726/2002

Integra il reato di lesioni personali colpose aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la condotta del titolare di un esercizio o di un'impresa, il quale consente che una persona — a lui non legata da un rapporto di lavoro subordinato — utilizzi strutture o macchinari in dotazione all'impresa non conformi alla legge quanto al rispetto dei presidi antinfortunistici, procurandosi, in tal modo, lesioni.

Cass. pen. n. 35773/2001

Sussiste concorso materiale tra i reati previsti dalle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro ed i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose, atteso che la diversa natura dei reati medesimi (i primi di pericolo e di mera condotta, i secondi di danno e di evento), il diverso elemento soggettivo (la colpa generica nei primi, la colpa specifica nei secondi, nell'ipotesi aggravate di cui al comma 2 dell'art. 589 e al comma 3 dell'art. 590), i diversi interessi tutelati (la prevalente finalità di prevenzione dei primi, e lo specifico bene giuridico della vita e dell'incolumità individuale protetto dai secondi), impongono di ritenere non applicabile il principio di specialità di cui all'art. 15 del codice penale.

Cass. pen. n. 12489/2000

In tema di adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo, è sempre necessario, al fine di accertare l'effettiva sussistenza della esclusione della antigiuridicità del fatto, compiere, in concreto, un giudizio di bilanciamento tra il bene protetto dalla norma incriminatrice e la finalità cui mira la causa di giustificazione; ne consegue che non può ritenersi scriminata la condotta dell'agente appartenente alle forze di polizia che, nell'ambito dell'ampio margine di discrezionalità a lui riconosciuto dall'ordine di recarsi «con urgenza» in un determinato luogo, pur avendo attivato dispositivi lampeggianti ed acustici, cagioni lesioni a terze persone in conseguenza della sua condotta di guida, tenuta in violazione di norme del codice della strada e dell'obbligo generico di rispettare le regole imposte dalla prudenza.

Cass. pen. n. 12472/2000

L'esimente della obbedienza gerarchica dovuta ad un ordine militare non è applicabile nel caso di reato commesso alla guida di un autoveicolo, atteso che la relativa responsabilità incombe anche sul conducente, cui compete, nella concreta esecuzione della manovra, il diritto-dovere di valutare e scegliere le più opportune modalità di esecuzione dell'ordine ricevuto.

Cass. pen. n. 9667/2000

Nell'ambito della legislazione antinfortunistica al presidente o commissario straordinario di una Asl o di un ente ospedaliero spetta il controllo su tutta l'organizzazione amministrativa e gestionale dell'ente cui egli è preposto; il che comporta anche l'obbligo di prendere conoscenza, specie quando ne sia stata segnalata l'esistenza, di atti, relazioni, suggerimenti e denunce risalenti anche a prima del suo insediamento. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto corretta l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, commissario straordinario e legale rappresentante di un ente ospedaliero, in ordine al reato di lesioni colpose in danno di una dipendente infortunatasi nel far uso di una macchina lavatrice priva dei prescritti dispositivi di sicurezza rilevando, sulla scorta di quanto accertato dal giudice di merito, che allo stesso imputato era stato più volte segnalato lo stato di usura di impianti e macchinari in dotazione all'Ente, ivi compresi quelli del reparto lavanderia).

Cass. pen. n. 8585/2000

In materia di prevenzione infortuni ed igiene sul lavoro nell'ambito di un ente pubblico territoriale, quale un comune, attesa la posizione di garanzia del sindaco — e degli assessori, la delega di funzioni in favore di altri soggetti, quale il dirigente o il funzionario preposto, assume valore, al fine di escludere la responsabilità in capo ai deleganti, solo ove gli organi elettivi siano incolpevolmente estranei alle inadempienze del delegato, e non siano neppure stati informati di tali inadempienze, così da escludere un atteggiamento di inerzia e di colpevole tolleranza.

Cass. pen. n. 7409/2000

È perseguibile in base alla legislazione italiana e davanti al giudice italiano la violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro accertata a bordo di una nave battente bandiera straniera, attraccata in un porto italiano, quando detta violazione, ed i conseguenti effetti lesivi, non abbiano interessato soggetti appartenenti alla c.d. «comunità navale» sottoposta, come tale, alla giurisdizione dello Stato cui la nave appartiene, ma bensì soggetti estranei alla detta comunità quali, nella specie, lavoratori italiani addetti alle operazioni di carico. (Fattispecie in cui delle lesioni colpose di un lavoratore, socio di una cooperativa, caduto dall'alto durante lo stivaggio di una nave è stato ritenuto responsabile il presidente della cooperativa).

Cass. pen. n. 7402/2000

In tema di lesioni colpose da infortunio sul lavoro, ai fini dell'identificazione della persona responsabile, nell'ambito di un'impresa di grandi dimensioni, in cui la ripartizione delle funzioni è imposta dall'organizzazione aziendale, occorre accertare l'effettiva situazione di responsabilità all'interno delle posizioni di vertice per individuare i soggetti cui i compiti di prevenzione sono concretamente affidati con la predisposizione e l'attribuzione dei correlativi e necessari poteri per adempierli. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto che, sull'assenza di alcuni requisiti formali della delega al responsabile per la sicurezza, quali la sottoscrizione del delegante, la data certa ed il riferimento alla delibera autorizzativa del consiglio di amministrazione, doveva prevalere la realtà effettiva, risultando dalle decisioni di merito che al delegato — il quale era capo di uno dei quattro stabilimenti della società ed in tale posizione operava con sufficiente indipendenza per la gestione produttiva e la capacità di spesa — erano stati conferiti articolati poteri attinenti alla sicurezza).

Cass. pen. n. 2286/2000

Nel caso di attività sportiva esplicantesi in esibizione-allenamento di arti marziali, i contendenti debbono usare particolare prudenza e diligenza per non travalicare i limiti connessi a siffatte modalità di pratica sportiva, caratterizzata da una minore carica agonistica, da un maggiore controllo delle manifestazioni di violenza agonistica e della velocità dei colpi, con specifico riferimento alla capacità ed esperienza dell'avversario ed ai mezzi di protezione in concreto utilizzati.

Cass. pen. n. 7151/1999

Nei reati colposi il giudizio sul rapporto di causalità deve essere formulato in base a regole giuridiche, non naturalistiche (c.d. leggi di copertura) volte a dimostrare che, al momento della condotta, si poteva oggettivamente ritenere l'evento che poi ne è scaturito quale conseguenza necessaria o probabile. In particolare, nei reati omissivi connessi ad una posizione di garanzia dell'agente, quale è quella del medico, occorre accertare se una determinata condotta, omessa, fosse capace, nel caso concreto, di impedire l'evento non voluto; se l'azione comandata dovesse risultare, sulla base del ricordato giudizio di prognosi postuma, incapace di modificare il corso degli eventi, resta escluso il nesso di causalità. (Fattispecie in cui la Corte di cassazione ha escluso il nesso di causalità tra l'omessa effettuazione di attività diagnostica, TAC, e la morte del paziente, essendo stato accertato dai giudici di merito che nel tempo necessario a predisporre tale indagine, la malattia avrebbe comunque avuto effetto letale).

Cass. pen. n. 1738/1997

Le regole di prudenza e le norme di prevenzione vincolano permanentemente i destinatari in ogni fase del lavoro, senza che sia possibile configurare vuoti normativi o di responsabilità in relazione a particolari operazioni da compiere in situazioni o siti pericolosi ovvero quando presso tali luoghi le opere siano terminate o da terminare o momentaneamente sospese per dare corso ad altre fasi del processo produttivo. Le misure di sicurezza, infatti, devono essere predisposte e mantenute, sia pure con diverse modalità, confacenti alla natura del lavoro da svolgere e alla fase produttiva, prima e durante ciascuna fase del processo lavorativo ed anche al termine di essa, ove siano residuate situazioni di pericolo per i lavoratori passati ad altre incombenze ma, comunque, sottoposti al rischio derivante dallo stato di fatto residuato dalla fase pregressa. (Nella fattispecie, in un cantiere, ove si svolgevano opere edilizie era stata lasciata un'apertura a bocca di lupo senza adeguata protezione e con i ferri di armatura sporgenti dal getto di cemento nella quale era caduto un manovale con la conseguenza che uno dei detti ferri gli era penetrato nel capo, cagionando lesioni. È stato riconosciuto l'obbligo dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti di ovviare a siffatti pericoli mediante le opportune cautele indipendentemente dal verificarsi dell'incidente mentre nello stesso cantiere erano in corso opere diverse).

Cass. pen. n. 191/1997

In materia di infortunio sul lavoro, la circostanza del contemporaneo affidamento al direttore dei lavori in esecuzione in un cantiere di altro cantiere non costituisce valida giustificazione dell'abbandono di uno di essi che, comunque, resta affidato alle sue cure, potendosi alternare opportunamente nei due cantieri ed, in ogni caso, dovendo rappresentare a chi di ragione la necessità di essere messo in condizione di curare entrambi i cantieri o, qualora ciò sia impossibile, rifiutandosi di abbandonare uno di essi per non venire meno ai suoi fondamentali doveri di direzione, sorveglianza e cura degli aspetti sia tecnici che di prevenzione degli infortuni, con precise direttive circa lo svolgimento delle opere e la sicurezza dei lavoratori.

Cass. pen. n. 6496/1996

L'art. 182 del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, impone la predisposizione del servizio di segnalazione da terra del movimento della gru, qualora per particolari condizioni di impianto o di ambiente non sia possibile controllare dal posto di manovra tutta la zona di azione del mezzo, in ogni caso di pericolo derivante dallo spostamento della gru stessa e non del solo carico di questa.

Cass. pen. n. 5114/1996

L'art. 2087 c.c., pur non contenendo prescrizioni di dettaglio come quelle rinvenibili nelle leggi organiche per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, non si risolve in una mera norma di principio ma deve considerarsi inserito a pieno titolo nella legislazione antinfortunistica, di cui costituisce norma di chiusura, per altro comportante a carico del datore di lavoro precisi obblighi di garanzia a protezione di fini individuali. Detta norma, per il richiamo alla tutela dell'integrità fisica del lavoratore e alla particolarità del lavoro, rende specifico l'illecito consumato in sua violazione sia rispetto alla colpa generica richiamata nell'art. 2043 c.c. che rispetto a quella di rilievo penalistico e in tal caso aggrava il reato, rendendolo perseguibile di ufficio.

Cass. pen. n. 4968/1996

Nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo di imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, non sussiste violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa mossa nel caso in cui il giudice abbia affermato la responsabilità del prevenuto per un'ipotesi di colpa diversa da quella di colpa specifica contestata ma rientrante in quella di colpa generica. Ed infatti, il riferimento alla colpa generica, anche se seguito dall'indicazione di un determinato, specifico profilo di colpa, evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata sicché questi è in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione dell'evento di cui è chiamato a rispondere, indipendentemente dalla specifica norma che si assume violata. (Nella fattispecie, relativa al reato di lesioni colpose gravi in danno di un lavoratore, l'imputato aveva dedotto con il ricorso per cassazione la mancata corrispondenza tra l'accusa contestata e la decisione di merito per essere stata l'affermazione di responsabilità nei suoi confronti fondata sulla violazione dell'art. 4 del D.P.R. n. 547 del 1955, che non gli era stata contestata, essendogli stati rimproverati altri specifici profili di colpa).

Cass. pen. n. 3483/1996

Beneficiari delle norme di tutela della sicurezza del lavoro sono, oltre i lavoratori dipendenti, i soci di cooperative di lavoro. Il presidente e legale rappresentante di una cooperativa di lavoro, pertanto, deve essere considerato destinatario delle norme antinfortunistiche quando a questa spetti di eseguire le opere. (Fattispecie relativa ad infortunio occorso ad un operaio il quale era socio dipendente di una cooperativa aderente ad un consorzio gestione servizi, appaltatore di attività di facchinaggio. Detto consorzio aveva, a sua volta, affidato l'attività all'associata cooperativa. La responsabilità dell'incidente era stata attribuita, oltre che all'amministratore del Consorzio Gestione Servizi, al presidente della cooperativa, che aveva il dovere di controllare e di sorvegliare le operazioni perché si svolgessero secondo gli accordi ed in condizioni di sicurezza per i lavoratori).

Chi dà in concreto l'ordine di effettuare un lavoro, anche se non impartisce direttive circa le modalità di esecuzione di questo, si inserisce ed assume di fatto la mansione di dirigente sicché ha il dovere di accertarsi che il lavoro venga fatto nel rispetto delle norme antinfortunistiche, senza lasciare agli operai, non soliti ad eseguirlo, la scelta dello strumento da utilizzare. (Nella specie, gli operai, che dovevano apporre teli di plastica ai tubi di riscaldamento correnti sulla parte alta di un capannone al fine di creare all'interno di questo un locale di lavoro destinato all'assemblaggio di materiale, avevano scelto un carrello elevatore elettrico, sulle cui staffe avevano appoggiato un pallet di legno sul quale erano poi saliti. Uno di essi, durante un movimento del carrello era però caduto al suolo, subendo gravissime lesioni traumatiche).

Preposto è colui che, nel suo settore, prende decisioni e sovrintende al lavoro eseguito da altri, pur potendo, ove occorra, contribuire alla realizzazione dello stesso. È da escludere, pertanto, che sia preposto l'operaio che fa parte di una squadra di pronto intervento, la quale può essere destinata ad una o ad altra attività lavorativa, e i cui componenti devono eseguire personalmente il lavoro, stando alle esclusive direttive altrui.

Cass. pen. n. 2840/1995

Le norme antinfortunistiche sono poste a tutela non di qualsivoglia persona che si trovi fisicamente presente sul luogo ove si svolge l'attività lavorativa, magari per curiosità o addirittura abusivamente, ma di coloro che versino quanto meno in una situazione analoga a quella dei lavoratori e che si siano introdotti sul luogo del lavoro per qualsiasi ragione purché a questo connessa. (Nella fattispecie un operaio avventizio, che fino al giorno prima aveva prestato la sua opera a richiesta del datore di lavoro, in un momento successivo, quantunque dissuaso dal farlo perché il suo apporto lavorativo non era necessario, si era attivato spontaneamente agendo su una macchina presentante le aperture di alimentazione prive di idonei ripari ed aveva riportato lesioni gravissime. La Corte di cassazione ha ritenuto che tale intervento, anche se non avvenuto nell'adempimento di una prestazione contrattualmente dovuta, non costituiva qualcosa di estemporaneo, occasionale ed imprevedibile ma il naturale completamento dell'attività prestata e non faceva venire meno, nonostante il carattere di spontaneità, la riconducibilità sotto il profilo causale dell'evento al datore di lavoro).

Cass. pen. n. 12297/1995

La responsabilità del datore di lavoro per violazione delle norme antinfortunistiche, qualora si faccia coadiuvare da un dirigente nel controllo delle modalità di esecuzione del lavoro e in quello per il rispetto delle citate norme, viene meno solo se trasferisca alla persona nominata, che deve essere tecnicamente affidabile, i suoi poteri anche in tema di osservanza delle disposizioni in materia di infortuni sul lavoro e controlli che colui al quale ha conferito la delega la usi concretamente.

Cass. pen. n. 10733/1995

Se anche le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivanti da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, una tale condotta dell'infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio inerente all'attività svolta dal lavoratore e all'omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro. Quest'ultimo è però esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute. (Nella fattispecie, la Corte di cassazione ha annullato con rinvio una sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 590 c.p., aggravato dalla violazione dell'art. 68, D.P.R. n. 547 del 1955, sul rilievo che la corte d'appello non aveva considerato, al fine di valutarne l'incidenza causale, l'iniziativa del lavoratore di introdurre la mano in una zona pericolosa della macchina cui era addetto, ben consapevole che questa era in movimento, per rimuovere manualmente residui di lavorazione dal suo interno, nonostante la presenza di strumento aspiratore, e non aveva verificato se l'intervento del lavoratore fosse stato richiesto da particolari esigenze tecniche).

Cass. pen. n. 1196/1995

Qualora sia riconosciuto il concorso di colpa della persona offesa del reato di cui agli artt. 590 e 589 c.p., la graduazione delle colpe concorrenti non può essere determinata con certezza e deve necessariamente essere apprezzata dal giudice di merito con criteri di approssimazione. Non richiedendo tale graduazione, per sua natura, un'articolata motivazione che dia conto di una percentuale invece di un'altra, l'obbligo relativo deve ritenersi soddisfatto quando risulti che i giudici di merito, nel quantificare il concorso di colpa, hanno tenuto presente le modalità inerenti al sinistro e hanno sostanzialmente messo a confronto le condotte dei soggetti coinvolti.

Cass. pen. n. 8588/1994

Qualora un infortunio sul lavoro si verifichi in conseguenza dell'uso di una macchina i cui dispositivi di sicurezza sono mancanti o insufficienti, è irrilevante il fatto che in una precedente ispezione degli organi di tutela non sia stata rilevata alcuna irregolarità perché, avendo il datore di lavoro l'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche e di accertarsi della loro esistenza, i macchinari che sono soggetti all'usura e con il passare del tempo subiscano modificazioni, devono essere sottoposti a revisione periodica. (Fattispecie relativa a lesioni personali riportate da un operaio con una tagliatrice elettrica).

Cass. pen. n. 7024/1994

Nell'ambito di applicazione dell'art. 101 del D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, rientra anche il movimento che un veicolo compie all'interno di una piazzola di sosta per parcheggiare, o per altra ragione connessa alla sua funzione di mezzo di trasporto. Il concetto di «circolazione» è, infatti, comprensivo di ogni spostamento del veicolo per portarsi da un punto all'altro della sede stradale, per tale da intendersi, a mente dell'art. 2 del D.P.R. citato, il piano formato dalla carreggiata, dalle banchine, dai marciapiedi e dalle piste.

Cass. pen. n. 5020/1994

L'art. 383, D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, è norma con la quale il legislatore ha avuto genericamente di mira la protezione delle mani dei lavoratori da qualunque pericolo di lesioni non meramente superficiali tra le quali va ricompreso lo schiacciamento.

Cass. pen. n. 8875/1993

Il datore di lavoro, destinatario principale delle norme antinfortunistiche, qualora impartisca un preciso ordine al preposto affinché non vengano effettuate determinate operazioni, dalle quali potrebbero conseguire pericoli per l'incolumità dei lavoratori e dei terzi, presenti nell'azienda, è esente da responsabilità nel caso in cui il preposto trasmetta quell'ordine in modo tale da non raggiungere tutti gli interessati. L'ordine dato, infatti, è esercizio del potere gerarchico proprio del titolare dell'impresa e, nel contempo, costituisce delega esplicita a chi è in grado di fare rispettare l'ordine. La responsabilità del datore di lavoro sussiste, ove risulti che l'ordine è stato dato, perché venisse trasmesso ad altri, a chi non era in grado di eseguirlo e di farlo eseguire, ovvero emerga che il datore di lavoro, dato l'ordine, abbia avuto inequivoci segnali che lo stesso non è stato trasmesso così come doveva.

Cass. pen. n. 6722/1993

Ai fini dell'osservanza del disposto dell'art. 115 D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, che impone in modo assoluto l'installazione di dispositivi idonei a bloccare l'organo mobile quando gli arti del lavoratore si trovino nella zona della battuta, non è sufficiente che si adotti il sistema a doppio pulsante ma è indispensabile che il meccanismo di cautela venga mantenuto in perfetta efficienza, anche con riferimento a tutte le connesse apparecchiature che devono intervenire per arrestare immediatamente il punzone ed impedire che possa continuare la corsa per insufficiente funzionamento del freno o per intervento di altre cause. (Nella fattispecie era stata mantenuta in esercizio una pressa il cui punzone non si arrestava immediatamente al rilascio di uno dei due pulsanti di comando ma continuava con lentezza la corsa, rendendo possibile il contatto con l'organo mobile delle mani dell'operatore).

Cass. pen. n. 2054/1993

L'eventuale silenzio della legge sulle misure antinfortunistiche da prendere non esime il datore di lavoro da responsabilità se, di volta in volta, la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono in grado di suggerirgli e, quindi, di imporgli idonee misure di sicurezza. (Nella fattispecie, relativa a salita del lavoratore su una scala a pioli per potare un albero e a successiva caduta dalla stessa priva di ganci di trattenuta o appoggi antisdrucciolevoli alle estremità superiori e solo legata con una corda a un ramo, il ricorrente ha dedotto che le scale a pioli destinate all'agricoltura vengono progettate e prodotte senza tali ganci o appoggi).

Cass. pen. n. 1352/1993

Nel caso di infortunio sul lavoro, qualora il capocantiere cui sia stato delegato il compito di assicurare il rispetto e l'osservanza delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro sia assente per la fruizione di un permesso sindacale, deve essere ascritta a colpa del legale rappresentante della società, datrice di lavoro, la mancata previsione della supplenza di tale soggetto, magari con la diretta e personale assunzione del suddetto compito, anche quando l'infortunio sia in parte riconducibile all'omessa pretesa della adozione, da parte del lavoratore, delle misure di sicurezza obbligatoriamente prescritte. Né ad escludere la responsabilità del legale rappresentante della società varrebbe l'eventuale ignoranza dell'assenza della persona addetta al compito in questione, atteso che egli, quale destinatario delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha l'obbligo di accertarsi della presenza in cantiere di tale persona. (Fattispecie in tema di lesioni colpose).

Cass. pen. n. 11213/1992

In tema di applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato, per effetto dell'art. 60 della L. 24 novembre 1981, n. 689, è inapplicabile la sanzione sostitutiva per il reato di cui all'art. 590 c.p. - commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o all'igiene del lavoro - che abbia determinato le conseguenze previste dal primo comma n. 2 dell'art. 583 c.p.

Cass. pen. n. 9627/1992

L'illecito sportivo presuppone la sussistenza del consenso dell'avente diritto. Esso ricorre quando la condotta lesiva, quale quella del diretto controllo del tiro del pallone, del tentativo di impossessarsene o di contenderlo all'avversario ovvero di introdursi nell'azione di gioco, sia finalisticamente inserita nel contesto di un'attività sportiva. In tema di lesioni cagionate nel corso di quest'ultima, allorquando venga posta a repentaglio coscientemente l'incolumità del giocatore — che legittimamente si attende dall'avversario un comportamento agonistico anche rude, ma non esorbitante dal dovere di lealtà fino a trasmodare nel disprezzo per l'altrui integrità fisica — si verifica il superamento del cosiddetto rischio consentito, con il conseguente profilarsi della responsabilità per dolo o per colpa. Il fatto è doloso ove la gara sia solo l'occasione dell'azione volta a cagionare lesioni, è colposo se innestato nello svolgimento dell'attività agonistica e dipendente dalla violazione di norme regolamentari. L'accertamento del rischio consentito è questione di fatto, da risolvere caso per caso, in relazione al tipo di pratica sportiva nonché, nell'ambito di questa, al tipo di attività agonistica. (La S.C. ha escluso il dolo — nel caso di specie — poiché il fatto lesivo ebbe a verificarsi nel corso di un'azione di gioco tesa ad impedire che l'avversario si proiettasse col pallone verso la rete avversaria, ma ha ritenuto la colpa, poiché il difensore commise fallo con un violento calcio, durante un incontro tra dilettanti).

Cass. pen. n. 11704/1991

In tema di cause estintive del reato di lesioni personali colpose gravi, la violazione dell'art. 4, lett. c), D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 ed ogni violazione comunque riconducibile all'obbligo generico posto dall'art. 2087 c.c. integra una fattispecie violatrice di norma specifica o, comunque, di una norma da ricomprendere tra quelle proprie concernenti la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Ne consegue che, ai sensi dell'art. 2, primo comma, lett. a), D.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865, al reato previsto dall'art. 590, secondo e terzo comma, c.p., commesso con violazione delle norme sopra citate, non è applicabile l'amnistia.

Cass. pen. n. 14199/1990

Il delitto di lesioni colpose, per effetto dell'art. 92 della L. 4 novembre 1981, n. 689, è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo cpv., limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale. Di conseguenza, in mancanza di querela, non può essere iniziata l'azione penale per lesioni colpose conseguenti ad incidente stradale, neppure nel caso in cui si proceda d'ufficio per il delitto di omicidio colposo, in danno di altra parte offesa, seguito allo stesso incidente.

Cass. pen. n. 12643/1990

Qualora il socio di una società di persone subisca lesioni a seguito di un infortunio verificatosi, a seguito della violazione di norme antiinfortunistiche, mentre lavora per conto della società stessa gli altri soci rispondono per le lesioni da lui patite.

Cass. pen. n. 3226/1990

Per la configurazione dell'aggravante di cui al terzo comma dell'art. 590 c.p., non occorre che sia integrata la violazione di norme specifiche dettate per prevenire infortuni sul lavoro, essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa della omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti all'imprenditore dall'art. 2087 c.c. ai fini della più efficace tutela della integrità fisica del lavoratore.

Cass. pen. n. 6168/1989

Al fine di escludere la responsabilità per reati colposi dei soggetti obbligati ex art. 4 del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 a garantire la sicurezza dello svolgimento del lavoro, non è sufficiente che tali soggetti impartiscano le direttive da seguire a tale scopo, ma è necessario che ne controllino con prudente e continua diligenza la puntuale osservanza.

Cass. pen. n. 9981/1987

L'ultimo comma dell'art. 590 c.p., novellato dall'art. 92 L. 24 novembre 1981, n. 689, ai fini della perseguibilità d'ufficio, annovera le lesioni commesse con violazione delle norme antinfortunistiche, delle norme relative all'igiene sul lavoro o determinanti malattie professionali; il terzo comma dell'articolo contempla come aggravante solo la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Dal rapporto tra tali commi si deduce che non è consentito.

Cass. pen. n. 7475/1986

Il reato di lesioni personali colpose, di cui all'art. 590 c.p., è un reato istantaneo che si consuma al momento dell'insorgenza della malattia prodotta dalle lesioni, sicché la durata e l'inguaribilità della malattia sono irrilevanti ai fini della individuazione del momento consumativo. Qualora, però, la condotta colposa causatrice della malattia stessa non cessi con l'insorgenza di questa, ma, persistendo dopo tale momento, ne cagioni un successivo aggravamento, il reato di lesioni colpose si consuma nel momento in cui si verifica l'ulteriore debilitazione. (Fattispecie in tema di decorrenza del termine iniziale di prescrizione).

Cass. pen. n. 10229/1984

In tema di reato colposo contro la persona commesso con violazione delle norme del codice della strada, la semplice inosservanza di queste norme non comporta di per sé un giudizio di colpevolezza in ordine al reato stesso. Tuttavia, se la colpa è consistita proprio nell'inosservanza delle regole normative o di comportamento, concernenti la circolazione stradale e risulti sussistente un nesso di causalità tra la condotta colposa e l'evento, la fattispecie criminosa addebitata deve ritenersi perfettamente integra nei suoi elementi costitutivi. (Fattispecie in cui l'agente cagionava con la sua auto lesioni colpose ad un ciclista che lo precedeva, collidendo con la bicicletta, mentre ne effettuava il sorpasso che era vietato).

Cass. pen. n. 10210/1984

In tema di colpa professionale, è principio generale che la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività svolta (art. 1176 comma secondo c.c.). Tuttavia, anche in rapporto a tale criterio restrittivo, la condotta del professionista (nella specie, sanitario) può essere censurata, anche sotto il profilo della colpa lieve, quando l'errore sia frutto di negligenza, per l'omissione della più comune diligenza rapportata al grado medio di cultura e capacità professionale.

Cass. pen. n. 9526/1984

Qualora sia accertata, in caso di procedimento per reato di lesioni colpose commesso con violazione delle norme di comportamento sulla circolazione stradale, l'insussistenza di qualsiasi elemento di colpa nella condotta dell'agente, la formula assolutoria non può essere che quella per cui il fatto non costituisce reato.

Cass. pen. n. 1220/1983

In caso di lesioni da incidente stradale cagionato da veicolo affidato ad un'officina per le riparazioni, deve essere esclusa la responsabilità del proprietario; infatti, colui che assume l'incarico delle riparazioni ad un automezzo danneggiato, assume anche l'obbligazione di custodia della cosa da riparare per tutto il tempo durante il quale la cosa gli rimane affidata e pertanto risponde anche dei danni connessi all'inadempimento di tale obbligazione. (Fattispecie relativa ad incidente stradale occorso a motociclista schiantatosi contro autotreno parcheggiato senza segnalazioni, di notte e sulla pubblica via, davanti ad una officina).

Cass. pen. n. 1365/1980

Il terzo comma dell'art. 590 c.p. non prevede una autonoma ipotesi di reato, ma disciplina soltanto un caso di concorso di reati attenuando sul piano sanzionatorio le conseguenze del cosiddetto concorso ideale omogeneo. Pertanto, realizzandosi la fattispecie prevista dal citato art. 590 (lesione di più persone) l'applicabilità del beneficio dell'amnistia va esaminata in rapporto a ciascuna azione delittuosa, considerata separatamente dalle altre.

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A. S. chiede
mercoledì 21/02/2024
“Salve avrei un dubbio sulla legislazione covid. Fino a quando l'isolamento domiciliare è stato in vigore, un tampone rapido fai da te positivo fatto a casa ha valore legale come quello effettuato in farmacia? Il soggetto positivo al tampone rapido fai da te rischia sanzioni di violazione di isolamento domiciliare o il reato di lesioni o epidemia?”
Consulenza legale i 22/02/2024
In premessa va ricordato che la normativa emergenziale COVID è stata estremamente farraginosa. Disposta attraverso una stratificazione esasperata, non coerente e estremamente lacunosa, ha da sempre lasciato diversi dubbi interpretativi, che necessariamente si riflettono sulle questioni giuridiche in analisi.

Cominciando con la questione del tampone fai da te, la normativa nulla ha mai detto di tali tamponi, atteso che le uniche prescrizioni hanno riguardato l’isolamento domestico in caso di positività.
In via generale, quindi, il soggetto che, fattosi un tampone casalingo, avesse dovuto riscontrare la positività, avrebbe dovuto mettersi automaticamente in isolamento.

Questo è ciò che la normativa ha imposto, ma è anche quello che è stato da tutti disatteso.
Al tampone casalingo, infatti, non seguiva mai quella comunicazione all’ASL (cui era tenuto il medico esecutore del tampone) cui conseguiva automaticamente la misura dell’isolamento. E’ chiaro dunque che il tampone casalingo poteva non essere dichiarato dal soggetto che lo eseguiva ed è altrettanto chiaro che non ci fossero strumenti per sorvegliare e/o comunque individuare condotte anomale di tale genere.

Parlare dunque di “valore” del tampone non è del tutto corretto atteso che la questione attiene piuttosto alla “dichiarazione” dell’esito del tampone, che era impossibile da governare in caso di tampone fai da te.

Sulle conseguenze penali della violazione dell’isolamento in caso di positività ne sono state poi dette di tutti i colori.
Quanto alle fattispecie considerate nella richiesta di parere, l’opinione maggioritaria ne ha escluso la sussistenza nel caso in cui il soggetto avesse deciso scientemente di “uscire di casa” pur sapendo di essere positivo al covid.

Senza entrare nel dettaglio di questioni giuridiche complesse e articolate, è possibile affermare che l’insussistenza del reato di lesioni o epidemia discende dal fatto che in realtà il soggetto che viola l’isolamento non è che automaticamente con tale condotta diffonde il virus. Questi, infatti, non fa altro che omettere di osservare l’isolamento rischiando poi di diffondere il virus.

Ebbene, tale condotta omissiva è stata ritenuta, per la maggior parte della dottrina e per la giurisprudenza (in quei pochi casi oggetto di analisi) insufficiente a integrare i reati di cui trattasi che presuppongono una condotta attiva o comunque una posizione di garanzia non sussistente nel caso di specie.

Anonimo chiede
venerdì 20/10/2023
“Quali sono i termini di prescrizione del reato di lesioni personali gravissime durante attività sanitaria? E’ possibile calcolarlo? Nella fattispecie si tratta di un intervento di amputazione di arto eseguito il 23.12.2020 (data ricovero 14.12.2020), oggetto nei mesi successivi di formale denuncia. Finora non è intervenuto nessuna richiesta di interruzione/sospensione. L’iscrizione nel registro degli indagati da parte del personale sanitario risale al 23.04.2022 con avviso di conclusione delle indagini emesso a inizio Ottobre 2023 (durata 18 mesi), in precedenza erano state eseguite indagini senza iscrizione di alcuno nel registro degli indagati.”
Consulenza legale i 24/10/2023
Quanto alla prescrizione occorre distinguerne due tipi:

- la prescrizione ordinaria o intermedia;
- la prescrizione massima.

Entrambe cominciano a decorrere dalla data di consumazione del reato ma presentano termini diversi.

In osservanza al combinato risposto degli artt. 157 c.p. e 161 c.p., infatti, il tempo intermedio di prescrizione è quello previsto dal limite massimo edittale di pena stabilita per il reato (non si considerano le aggravanti, a meno che non si tratti di aggravanti a effetto speciale o a efficacia speciale, cosa che non è nel caso che ci occupa) mentre quello massimo non può superare il termine intermedio aumentato di un quarto.

Il termine massimo ha una sua logica in quanto pone un argine a eventuali fenomeni interruttivi che potrebbero determinare, ogni volta, l’inizio di un nuovo decorso dei termini di prescrizione.

Limite massimo edittale che, stando sempre alle prescrizioni codicistiche, per i delitti resta comunque di anni 6, anche se la fattispecie dovesse prevedere una pena inferiore (cfr. art. 157 c.p.).

Nel caso di specie, quindi:

1. l’art. 590 prevede la pena, per le lesioni colpose gravissime, della reclusione da tre mesi a due anni;
2. il termine intermedio di prescrizione è dunque di 6 anni, come previsto dal precedentemente menzionato art. 157 c.p.;
3. il termine massimo di prescrizione, invece, è di 7 anni e mezzo, ovvero 6 anni aumentato di 1/4.;
4. essendo stato il reato consumato il 23.12.2020, la prescrizione ordinaria scatterà in data 23.12.2026, mentre quella massima in data 23.06.2028.

A. C. chiede
giovedì 19/10/2023
“Buonasera, avrei necessità di comprendere se nel reato di cui all' art.590 c.p. (lesioni personali colpose) le aggravanti sono le stesse previste per il 582 (lesioni dolose) e se dunque in caso di lesioni irreversibili con mutilazioni, la prescrizione del reato sia di 12 anni anche per le lesioni colpose. Se in base alla sentenza cass. pen. 35424/2020 in caso di colpa medica, la prescrizione decorra da quando si è stabilito chi sia il responsabile della lesione e non dal momento in cui la lesione ha avuto luogo. Grazie”
Consulenza legale i 20/10/2023
Quanto al primo quesito, va risposto negativamente. Le circostanze aggravanti previste dall’ art. 582 del c.p. si riferiscono solo al reato medesimo, non a quello di lesioni personali colpose.

La lesione personale che conduce alla mutilazione di un arto è definita come gravissima dall’ art. 583 del c.p. e, pertanto, la pena prevista per tale fattispecie nella forma colposa è la reclusione che va da tre mesi a due anni, come previsto dal secondo comma dell’art. 590 c.p.
La prescrizione, pertanto, è di sette anni e mezzo.

Quanto alla prescrizione, la stessa comincia a decorrere dalla data di consumazione del reato e in tal senso depone in modo chiaro l’ art. 158 del c.p..
Il dictum della Cassazione menzionata nella richiesta di parere è stato frainteso in quanto la sentenza in parola tratta del diverso tema del dies a quo dal quale far decorrere i tempi per proporre querela che, secondo la Suprema Corte (ormai con orientamento costante e di molto antecedente al 2020), decorre effettivamente solo dal momento in cui la persona offesa dal reato ha piena cognizione del reato posto in essere.

Anonimo chiede
venerdì 04/11/2016 - Emilia-Romagna
“Sono stato citato a giudizio, per incidente stradale, per lesioni colpose art.590, commi 1,2,3 in relazione all'art.583 cp per lesioni giudicate guaribili in un tempo superiore a 40 giorni, con danno biologico di 16 punti ( notevole?) e costituzione di parte civile della parte lesa , nonchè per violazione del codice della strada ( art.154,comma 1 lett.b ). Nell'atto di citazione, come nella querela, è indicato un numero di targa errato. Si può contestare?
Cosa si rischia nel processo penale?
Si rischia l'arresto?”
Consulenza legale i 10/11/2016
La contestazione di una circostanza di fatto errata è certamente possibile, anzi doverosa, specialmente nell’ipotesi in cui possa essere finalizzata all’esclusione della colpevolezza oppure ad una qualificazione diversa del fatto di reato tale da determinare una modifica in meglio e/o una riduzione della pena.

Dal quesito non risulta molto chiaro, per la verità, che rilevanza tale errore possa avere: è evidente e scontato, infatti, che – qualora la targa errata citata in atti abbia determinato la denuncia nei confronti di un soggetto (colui che pone il quesito e che si trova sotto processo) del tutto diverso dal reale colpevole – egli dovrà essere assolto. In altre parole, se l’errore sulla targa ha causato un errore di persona, la rilevazione dell’errore e la prova della circostanza non potrà che condurre all’assoluzione dell’attuale imputato.

Pare, tuttavia, a chi scrive che in realtà l’errore di targa sia stato irrilevante nel caso di specie e che il reale colpevole sia stato correttamente individuato: se così non fosse, in effetti, in fase di indagini, un errore di persona avrebbe dovuto essere facilmente individuato ed avrebbe dovuto condurre all’archiviazione delle indagini nei confronti dell’attuale imputato.
Ciò detto, se chi si trova in questo momento sotto processo è stato coinvolto realmente nell’incidente, per quanto riguarda i rischi della specifica azione penale, vi sono possibili conseguenze sia di natura privativa della libertà personale che di natura patrimoniale.

Trattasi della fattispecie aggravata del reato di lesioni, dal momento che da queste ultime è derivata – così di specifica nel quesito - una malattia o comunque un'incapacità della vittima di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni (art. 583 c.p., 1° comma).
In caso di lesioni gravi, il rischio è quello evidenziato nel secondo comma dell’art. 590 c.p., ovvero "la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 123 euro a 619 euro".

Per quanto riguarda, invece, la violazione del Codice della Strada, l’art. 154, intitolato: “Cambiamento di direzione o di corsia o altre manovre” prescrive gli accorgimenti/comportamenti che i conducenti che intendono eseguire una manovra per immettersi nel flusso della circolazione, per cambiare direzione o corsia, per invertire il senso di marcia, per fare retromarcia, per voltare a destra o a sinistra, per impegnare un'altra strada, o per immettersi in un luogo non soggetto a pubblico passaggio, ovvero per fermarsi, devono obbligatoriamente adottare.
Chiunque viola tali disposizioni è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 41 a euro 168, con possibile aumento della sanzione da euro 84 a euro 335 nel caso in cui l'inversione del senso di marcia sia avvenuta in prossimità o in corrispondenza delle intersezioni, delle curve e dei dossi.

In ordine, infine, all'ultima domanda, se il processo è già pendente, non si può rischiare l’arresto, che è una misura normalmente adottata in fase di indagini e comunque antecedente al processo.
Consiste, infatti, in una temporanea privazione della libertà personale che la Polizia Giudiziaria dispone a carico di chi viene colto nell’atto di commettere il reato o di chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima (art. 382 c.p.p.). Il tutto con la finalità di impedire che il reato venga portato a conseguenze ulteriori ed assicurare l’autore alla giustizia.

Anonimo chiede
giovedì 13/10/2016 - Emilia-Romagna
“Sono stato citato a giudizio, per incidente stradale, per lesioni colpose art.590, comma 1,2,3 per relazione art.586 ( aggravanti),cosa rischio?
Nella querela è indicato la targa di un altro veicolo, può essere annullata.”
Consulenza legale i 21/10/2016
Il quesito, in effetti, non è molto chiaro laddove si chiede quali siano le possibili conseguenze della condotta di cui all’art. 590 c.p., “commi 1,2,3” ed altresì laddove si specifica “per relazione art. 586”.

Si può ragionevolmente presumere che si sia trattato di incidente stradale dal quale, purtroppo, come evento non voluto, è derivata la morte della persona coinvolta nell’incidente stesso.
Ve quindi subito esclusa l’applicazione del terzo comma del 590 c.p., che si riferisce alle lesioni causate “con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”.

Per il resto, la norma recita, per quel che qui interessa: “Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a 309 euro.
Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 123 euro a 619 euro; se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da 309 euro a 1.239 euro. (…).
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.”

Le lesioni sono gravi, se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni (art. 583 c.p., 1° comma), mentre sono gravissime se dal fatto deriva una malattia certamente o probabilmente insanabile; la perdita di un senso; la perdita di un arto o una mutilazione che renda l'arto inservibile; ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella, oppure infine la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso (art. 583, 2° comma).

Di conseguenza, chi pone il quesito sarà soggetto alle pene di cui al primo oppure al secondo comma del 590 c.p., a seconda del tipo di lesioni causate alla vittima.

Se tuttavia dall’incidente dovesse derivare un’ulteriore conseguenza, ovvero anche la morte della persona lesa, si applicherà l’art. 586 c.p. – correttamente richiamato nel quesito – per il quale: “Quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell'articolo 83, ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate”.

L’art. 586 c.p. recita: “Quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell'articolo 83, ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate”, mentre l’art. 83 c.p. recita: “Fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, se, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell'evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo (…)”.

Ciò significa che se dall’incidente è derivata la morte di una persona anche se tale evento non era stato previsto né voluto da colui che ha commesso il reato (in questo caso, il reato di lesioni), quest’ultimo risponderà anche di tale ultimo evento se è previsto dalla legge come reato colposo: nello specifico, la legge prevede in effetti l’omicidio colposo, pertanto il reo di lesioni risponderà nella fattispecie anche di omicidio colposo, con l’”aggravante” che la pena per l’omicidio colposo (ai sensi del 586 c.p.) sarà aumentata dal Giudice.

Per quanto riguarda, infine, l’ultimo inciso del quesito, il significato non è ben chiaro: con “targa di un altro veicolo” si potrebbe infatti intendere:
a) che, unitamente a chi pone il quesito, esiste un altro colpevole, che ha concorso a causare l’incidente unitamente al primo, e la targa della sui macchina è stata ugualmente segnalata nella denuncia querela: in tal caso, evidentemente, risponderanno per la legge penale entrambi i soggetti;
b) che (e si ritiene sia questa l’ipotesi interpretativamente corretta) per errore, chi ha sporto denuncia-querela, ha indicato un numero di targa diverso da quello del colpevole.

In tale ultimo caso, non è corretto parlare di querela “annullabile”, perché l’errore in questione non vale certo ad invalidare la denuncia: le indagini verranno comunque svolte sulla base delle indicazioni ricevute (per cui l’autorità di polizia giudiziaria avrà come riferimento la targa di un’autovettura che non è quella “giusta” ed interrogherà il suo proprietario); non è detto, però, che si concludano nell’archiviazione, perché ovviamente la polizia è in grado di (e deve) assumere informazioni aggiuntive rispetto a quelle che sono contenute nella denuncia-querela e quindi potrà comunque arrivare ad individuare il reale colpevole.

D. D. chiede
mercoledì 20/03/2024
“Buongiorno.
In data 17 marzo 2024, la mia compagna ed io eravamo a passeggio insieme al nostro canuccio sulla passeggiata pedonale di XXX quando è sopraggiunto un cane pastore tedesco che ha attaccato il nostro cagnolino afferrandolo per la schiena e, scuotendo la testa, lo sbatteva a destra e sinistra. Ho cercato di far lasciare la presa con un calcio senza effetto alcuno. Allora mi sono buttato sopra il pastore tedesco schiacciandolo a terra con mio peso (95kg) e afferrandolo per il collo (era senza collare), riuscendo così a fargli mollare la presa. Il cane ringhiava e cercava di mordermi. Ho fatto allontanare la mia compagna con il nostro canuccio e chiamato aiuto. Sono comparse tre persone che si son rifiutate di aiutare (ho i dati). Ho cercato di prendere il telefonino e chiamato il 112 per chiedere aiuto. Mi ha risposto che avevo chiamato YYY che era troppo lontano e mi passava ZZZ. CC ZZZ ha detto che era competenza della forestale (ma non sono Carabinieri anche loro?) e che "Li avrebbe avvertiti", chiudendo la chiamata. Alcuni minuti dopo, persistendo la situazione di stallo, una delle tre persone si avvicinava e mi buttava un pezzo di corda dicendo "legalo", cosa per me impossibile da fare senza aiuto. Dopo un'altra decina di minuti così, il cane smetteva di dibattersi e potevo alzarmi. Di lì a poco arrivava il proprietario del pastore tedesco (che era uscito da casa per fare jogging) che ne constatava la morte. Il cane era "custodito" in una villa recintata poco distante. Non scaturiva diverbio con il proprietario (che è il vice sindaco del paese).
Ho portato il mio cane dal veterinario che constava i morsi e forniva relazione e documentazione fotografica.
Personalmente, ho solo subito danni all'abbigliamento e una lussazione al pollice sinistro.
Vorrei sapere che cosa si ravvisa, avendo letto che l'omessa custodia di animale aggressivo è stata depenalizzata.
Grazie

Consulenza legale i 21/03/2024
Cominciamo prima ad analizzare la questione riguardante l’omessa e/o negligente custodia dell’animale.

In effetti, dal punto di vista penale, un tempo esisteva la contravvenzione di cui all’ art. 672 del c.p. che puniva l’omessa custodia dell’animale. La stessa è stata poi depenalizzata dalla legge 689/81. E’ comunque dubbio che la contravvenzione in parola potesse essere applicata al caso di specie, atteso che l’articolo predetto faceva riferimento agli animali “pericolosi” da un punto di vista oggettivo, con conseguente esclusione di un cane (che non è ritenuto un animale oggettivamente pericoloso), seppure aggressivo.

Fermo restando quanto su detto, ad oggi la tutela migliore riguardante danni susseguenti all’omessa custodia dell’animale è approntata dal diritto civile. Ci si riferisce nello specifico all’ articolo 2052 del codice civile, stando al quale “il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

La disposizione normativa è molto eloquente e appronta un particolare tipo di responsabilità oggettiva a carico del proprietario o utilizzatore dell’animale che compia un danno. In queto caso, quindi, non si fa distinzione tra tipologie di animali e la responsabilità del proprietario è conclamata, a meno che questi non provi il caso fortuito, ovvero un elemento estraneo alla propria sfera di dominio che abbia “spezzato” il nesso di collegamento tra il danno posto in essere e l’omessa o imprudente custodia dell’animale.

Il caso di specie, comunque, sembra denotare un vero e proprio caso riconducibile al paradigma normativo del commentato articolo 2050 c.c. atteso che non sembra vi sia l’ipotesi del caso fortuito.

Questo dal punto di vista civile.

Dal punto di vista penale, nel caso di specie l’unica fattispecie astrattamente configurabile potrebbe essere il reato di lesioni colpose, previste dall’ art. 590 del c.p..
La Cassazione, infatti, con orientamento costante, ha affermato che risponde di tale reato anche colui il quale lascia incustodito il proprio animale (anche un cane domestico) e lo stesso morda o aggredisca taluno provocandogli una “malattia” del corpo o della mente (così come recita il predetto articolo 590 c.p.).

Stante il fatto che la lussazione rientra nel concetto di malattia, seppur lieve o lievissima non avendo, in genere, una prognosi di guarigione superiore a 4 settimane, il caso di specie sembra poter essere sussunto nell’alveo della fattispecie di lesioni personali colpose.

Quanto, invece, ai soggetti che si sono “rifiutati” di aiutare, si potrebbe ipotizzare l’ art. 593 del c.p., ovvero l’omissione di soccorso.
Vero è che i soggetti si trovavano dinanzi ad un soggetto “altrimenti in pericolo”, ma è altrettanto vero che la fattispecie in parola non sussiste ogni qualvolta il soccorso del terzo potrebbe porre il terzo stesso in pericolo, tant’è che la norma punisce non solo l’omesso aiuto, ma anche l’omessa segnalazione alle autorità competenti.
Nel caso di specie, dunque, la fattispecie in parola potrebbe sussistere solo laddove i soggetti non abbiano neanche allertato le autorità competenti e si siano quindi dimostrate totalmente incuranti del pericolo altrui.

D. G. chiede
lunedì 14/11/2022 - Friuli-Venezia
“Buongiorno, io e mia moglie siamo proprietari di un fondo agricolo intercluso e per recarci nella nostra proprietà dove teniamo un orto dobbiamo passare sul terreno del vicino, il quale a sua volta ha il diritto di passaggio sul mio terreno per accedere alla pubblica via.
Posso allegare una planimetria per meglio chiarire la situazione.
Il terreno del vicino è recintato e per accedervi c'è un cancello scorrevole, che un tempo era automatico mentre ora è manuale perché l'automatismo è rotto.
I relativi passaggi sono stati definiti anche da due scritture private con i precedenti proprietari.
L'attuale vicino, subentrato circa due anni fa, possiede due alani, oltre ad un cavallo, un pony e vari altri animali.
Gli alani sono normalmente tenuti chiusi in un recinto durante le mattinate, periodo nel quale più frequentemente ci rechiamo nel nostro terreno.
Durante i pomeriggi, o nei giorni festivi, capita però che uno dei due cani sia libero nel loro terreno che noi dobbiamo traversare.
Non sempre è possibile vedere dal cancello se l'alano sia libero o meno.

Capita di trovarci quindi improvvisamente davanti un cane grosso come un vitello che ringhia, finora non ci ha mai attaccati ma non è detto che non possa accadere.
Inoltre l'animale viene liberato anche durante la sera e la notte, impedendoci di fatto di accedere al nostro terreno se lo volessimo fare, magari durante l'estate, per goderci il fresco.

La domanda è questa: possiamo legalmente chiedere al vicino di tenere sempre il passaggio libero dai suoi animali, e non solo nelle mattinate?
In altre parole possiamo esercitare il nostro diritto di passaggio liberamente in qualsiasi momento del giorno o della notte senza dover ogni volta chiedere che il cane sia chiuso e senza rischiare di essere aggrediti da un cane potenzialmente letale?”
Consulenza legale i 21/11/2022
Sotto il profilo dell’esercizio della servitù, il secondo comma dell’art. 1067 del c.c. vieta al proprietario del fondo servente di “compiere alcuna cosa che tenda a diminuire l'esercizio della servitù o a renderlo più incomodo”. Lasciare liberi animali, peraltro pericolosi, ad avviso di chi scrive può essere considerato comportamento tale da rendere più incomodo il passaggio al proprietario del fondo servente.

D’altra parte, la condotta del vicino appare illegittima anche sotto altri profili.
Sempre da un punto di vista civilistico, l’art. 2052 del c.c. sancisce la responsabilità del proprietario di un animale per i danni cagionati dallo stesso, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito.
Per altro verso, l’art. 672 del c.p. sanziona - anche se, oggi, solo con la sanzione amministrativa da euro 25 a euro 258 - la condotta di “chiunque lascia liberi, o non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui posseduti” (il relativo reato contravvenzionale è stato, infatti, depenalizzato).

L’omessa custodia dell’animale può essere, comunque, fonte di responsabilità penale, in particolare a titolo di lesioni personali colpose ex art. 590 del c.p.: “in tema di lesioni colpose, la posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane, discendente anche dalle ordinanze del Ministero della Salute del 3 marzo 2009 e del 6 agosto 2013, impone l'obbligo di controllare e custodire l'animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi” (così Cass. Pen., Sez. IV, sentenza 27/06/2019, n. 31874).

In altri termini, nel nostro caso non viene in considerazione solo la questione del libero esercizio della servitù, ma la stessa tutela del diritto alla salute e all’incolumità personale.
Pertanto, chi ha diritto di esercitare il passaggio sul fondo servente può pretendere che gli animali vengano adeguatamente custoditi durante tutto l’arco del giorno e della notte, con le accortezze necessarie e idonee a scongiurare possibili “assalti”.

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