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Articolo 2052 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Danno cagionato da animali

Dispositivo dell'art. 2052 Codice Civile

Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni [2056] cagionati dall'animale(1), sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito [1218, 1256, 2051](2).

Note

(1) La norma si applica tanto nel caso in cui l'animale sia addomesticato quanto in quello in cui non lo sia.
(2) Circa la natura della responsabilità contemplata dalla norma, accanto a chi vi scorge una responsabilità solo aggravata, vi è chi vi vede una responsabilità oggettiva, addossata al proprietario o al custode in quanto tali. La stessa giurisprudenza richiede una prova liberatoria particolarmente gravosa.

Ratio Legis

Le teorie più recenti ritengono che la norma in esame vada ricondotta al principio cuius commoda et eius incommoda: chi trae vantaggio dal bene ne sopporta anche i rischi.

Brocardi

Casus fortuitus

Spiegazione dell'art. 2052 Codice Civile

Presunzione assoluta di responsabilità a carico del proprietario, o dell’utente. Fondamento giuridico

Quest'articolo riproduce nei suoi termini sostanziali la norma corrispondente del codice del 1865. Non è l’ actio de pauperie del diritto romano, ma si concede azione personale contro colui per la cui colpa o negligenza l'animale abbia recato danno. Colpa o negligenza presunta che anche qui non ammette prova contraria; è consentito solo di provare l'intervento del fortuito, che spezza il vincolo di causalità tra la condotta dell'uomo e l'evento dannoso, il quale solo ad esso fortuito deve riportarsi. Valgono qui i rilievi fatti pei danni cagionati dalle cose, onde il proprietario del­l'animale, o chi se ne serve (che può essere il proprietario medesimo o un terzo), non è liberato dalla responsabilità con la dimostrazione della massima diligenza adoperata nella custodia dell'animale, delle misure adot­tate per impedire ogni danno, se questo si sia verificato, né potrà invocare la forza di natura od il fatto del terzo, come se il cavallo che pascolava nell'aia si sia dato a corsa precipitosa danneggiando persone o fondi per lo scoppio improvviso d'una folgore o di un arma in campo da tiro limitrofo, ovvero abbia vibrato un calcio perché provocato da un bambino.

Un rumore violento e improvviso è tra i prevedibili, così la imprudenza altrui, specialmente se di persona incapace d'intendere e di volere. Solo se l'animale era adegua­tamente assicurato, e la folgore, il terremoto, abbiano aperto il ricovero ove la bestia si trovava, od alcuno abbia forzato la stalla, il custode viene libe­rato. La prova deve mirare ad escludere non la colpa dell'agente, ma il nesso tra la condotta che può apparire causativa dell'evento dannoso, questo, che deriva, invece, dal fortuito.


Responsabilità alternativa

Proprietario o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso. Responsabilità disgiuntiva non solida, appunto perché radicata nel concetto della custodia, a differenza di quanto viene disposto nell' art. 2054 del c.c. (circolazione dei Veicoli) al 3 comma, fondato su altra base. Permane la responsabilità del proprietario se l'uso sia ceduto solo in parte ad altri, in guisa che venga meno il suo dovere di custodia (valutazione di specie). Per­mane, ma per altro riflesso (rapporto institorio, art. 2049 del c.c.), se l'animale fu affidato a terzo perché se ne servisse nell'interesse del proprietario. Non così se l'animale sia stato affidato per cure a veterinario che esercita così su di esso attività professionale.

La fuga o lo smarrimento dell'animale si riannodano alla omessa o trascurata custodia, onde non vale a liberare: anche qui' per accertare chi sia il responsabile del danno arrecato dall'animale fuggito o smarrito bisogna tener presente in quale sfera di disponibilità esso si trovasse quando avvenne lo smarrimento o la fuga, se del proprietario o dell'utente. La custodia affidata a persona incapace vale omessa custodia.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 2052 Codice Civile

Cass. civ. n. 11107/2023

Nel caso di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli e animali selvatici, ai fini dell'integrazione della fattispecie di responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. è necessario provare che la condotta dell'animale sia stata la causa del danno, sicché non è sufficiente, per il danneggiato, dimostrare la presenza dell'animale sulla carreggiata e l'impatto tra quest'ultimo e il veicolo, essendo egli tenuto - anche ai fini di assolvere all'onere della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno ex art. 2054, comma 1, c.c. - ad allegare e dimostrare l'esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possi bile presenza di animali selvatici) e che il contegno dell'animale selvatico abbia avuto effettivamente un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui - nonostante ogni cautela - non sarebbe stato comunque possibile evitare l'impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno.

Cass. civ. n. 13848/2020

In tema di responsabilità extracontrattuale, il danno cagionato dalla fauna selvatica in circolazione è risarcibile non ex art. 2043 c.c. ma ai sensi dell'art. 2052 c.c., poiché tale ultima disposizione non contiene alcun espresso riferimento ai soli animali domestici ma riguarda, in generale, quelli suscettibili di proprietà o di utilizzazione da parte dell'uomo, prescindendo dall'esistenza di una situazione di effettiva custodia degli stessi.

Cass. civ. n. 9661/2020

In tema di responsabilità per danno cagionato da animali, l'art. 2052 c.c. prevede, alternativamente e senza vincolo di solidarietà, la responsabilità del proprietario dell'animale oppure dell'utilizzatore, ma non impedisce che del danno possa rispondere, a diverso titolo e previo accertamento dei presupposti ex art. 2043 c.c., anche l'altro soggetto.

Cass. civ. n. 7969/2020

I danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell'art. 2052 c.c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull'utilizzazione dell'animale e, dall'altro, le specie selvatiche protette ai sensi della l. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema.

Nell'azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell'art. 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte - per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari - da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell'esercizio di funzioni proprie o delegate, l'adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno.

Cass. civ. n. 6737/2019

Il gestore del maneggio risponde quale esercente di attività pericolosa, ai sensi dell'art. 2050 c.c., dei danni riportati dai soggetti partecipanti alle lezioni di equitazione, qualora gli allievi siano principianti, ed ai sensi dell'art. 2052 c.c., nel caso di allievi esperti, con la conseguenza che il danneggiante è onerato, nel primo caso, della prova liberatoria consistente nell'aver fatto tutto il possibile per evitare il danno e, nel secondo caso, della prova del caso fortuito interruttivo del nesso causale, che può derivare anche da comportamento del terzo o dello stesso danneggiato.

Cass. civ. n. 5722/2019

In tema di responsabilità extracontrattuale, il danno cagionato dalla fauna selvatica in circolazione è risarcibile non ex art. 2052 c.c., essendo lo stato di libertà della selvaggina incompatibile con qualsiasi obbligo di custodia a carico della P.A., ma, anche dopo l'entrata in vigore della l. n. 157 del 1992, in forza dell'art. 2043 c.c., con la conseguenza che, in base all'onere probatorio stabilito da tale ultima disposizione, spetta al danneggiato provare una condotta colposa dell'ente pubblico causalmente efficiente rispetto al danno.

Cass. civ. n. 16642/2016

In materia di responsabilità civile, i poteri di protezione e gestione della fauna selvatica attribuiti alle Province toscane ai sensi della L.R. Toscana n. 3 del 1994, da cui discende la responsabilità delle medesime per i danni cagionati da animali selvatici anche a protezione degli utenti della strada per i rischi riconducibili al ripopolamento della fauna, non determinano l'assunzione di specifici doveri di diligenza, al di là di quello generale assolto con la segnaletica stradale, non potendo discendere in capo all'ente delegato doveri diversi da quelli previsti da specifiche disposizioni normative. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, in relazione al danno subito da un'autovettura a seguito dell'impatto con un cinghiale, aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta nei confronti della Provincia di Siena, risultando che questa si era attivata per l'installazione lungo la strada di un segnale stradale di pericolo, attestante l'attraversamento di animali selvatici).

Cass. civ. n. 12727/2016

La responsabilità per danni provocati da animali selvatici deve essere imputata all'ente cui siano stati affidati i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sicché si deve indagare, di volta in volta, se l'ente delegato sia stato posto in condizioni di adempiere ai compiti affidatigli, o sia un "nudus minister", senza alcuna concreta ed effettiva possibilità operativa. Ne consegue che per i danni a coltivazioni nel territorio emiliano-romagnolo provocati da caprioli, rispondono le aziende venatorie di cui all'art. 43 della l.r. Emilia-Romagna n. 8 del 1994 trattandosi di animali "cacciabili", mentre le Province sono responsabili dei danni provocati nell'intero territorio da specie il cui prelievo venatorio sia vietato, anche temporaneamente, per ragioni di pubblico interesse.

Cass. civ. n. 10402/2016

La responsabilità del proprietario, o di chi si serve di un animale, di cui all'art. 2052 c.c., si fonda non su un comportamento o un'attività - commissiva od omissiva - ma su una relazione intercorrente tra i predetti e l'animale, il cui limite risiede nel caso fortuito, la prova del quale - a carico del convenuto - può anche avere ad oggetto il comportamento del danneggiato, purché avente carattere di imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, di condanna del proprietario di un cane che aveva morso un'amica di famiglia, introdottasi in casa, e che gli aveva dato una carezza, nonostante l'invito della moglie del proprietario ad allontanarsi, dando rilievo al fatto che la danneggiata conosceva l'animale fin da cucciolo).

Cass. civ. n. 25738/2015

In tema di danno cagionato da animali, l'art. 2052 c.c. prevede, alternativamente e senza vincolo di solidarietà, la responsabilità del proprietario dell'animale ovvero dell'utilizzatore, evenienza questa ipotizzabile solo allorché il proprietario si sia spogliato, in fatto o in diritto, del governo dell'animale. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che - in relazione ai danni conseguiti ad un sinistro mortale, verificatosi in un maneggio nel corso di una lezione di equitazione - aveva ritenuto unica responsabile l'istruttrice, proprietaria del pony, svolgendo essa la propria attività in piena autonomia rispetto al club ippico).

Cass. civ. n. 12808/2015

La responsabilità extracontrattuale per danni provocati alla circolazione stradale da animali selvatici va imputata alla Provincia a cui appartiene la strada ove si è verificato il sinistro, in quanto ente cui sono stati concretamente affidati poteri di amministrazione e funzioni di cura e protezione degli animali selvatici nell'ambito di un determinato territorio, e non già alla Regione, cui invece spetta, ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n. 157, salve eventuali disposizioni regionali di segno opposto, solo il potere normativo per la gestione e tutela di tutte le specie di fauna selvatica. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice di merito aveva dichiarato il difetto di legittimazione della Regione Abruzzo, la cui responsabilità non poteva essere derivata sulla base del solo impegno a far fronte agli oneri finanziari per il risarcimento dei danni, secondo quanto previsto dall'art. 1, comma 2, della legge reg. Abbruzzi 24 giugno 2003, n. 10).

Cass. civ. n. 17091/2014

Del danno cagionato da animale risponde ex art. 2052 cod. civ. il proprietario o chi ne ha l'uso, per responsabilità oggettiva e non per condotta colposa (anche solo omissiva), sulla base del mero rapporto intercorrente con l'animale nonché del nesso causale tra il comportamento di quest'ultimo e l'evento dannoso, che il caso fortuito, quale fattore esterno generatore del danno concretamente verificatosi, può interrompere, sicché, mentre grava sull'attore l'onere di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra l'animale e l'evento lesivo, la prova del fortuito è a carico del convenuto.

Cass. civ. n. 2414/2014

La responsabilità di chi si serve dell'animale per il tempo in cui lo ha in uso, ai sensi dell'art. 2052 cod. civ., prescinde sia dalla continuità dell'uso, sia dalla presenza dell'utilizzatore al momento in cui l'animale arreca il danno.

Cass. civ. n. 15895/2011

La responsabilità di cui all'art. 2052 c.c., prevista a carico del proprietario di animale per i danni cagionati dallo stesso, trova un limite solo nel caso fortuito, ossia nell'intervento di un fattore esterno nella causazione del danno, che presenti i caratteri dell'imprevedibilità, dell'inevitabilità e dell'assoluta eccezionalità, con la conseguenza che all'attore compete solo di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, deve provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere detto nesso causale, non essendo sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell'animale. (Nella specie, la S.C. ha giudicato erroneo il ragionamento del giudice di merito il quale aveva ritenuto che integrasse l'ipotesi di caso fortuito la condotta della danneggiata, minorenne di anni tre, rimasta ferita per l'aggressione da parte di un cane che si trovava all'interno di un giardino il cui ingresso era costituito da un cancello non assicurato da idonea chiusura, tanto da potere essere facilmente aperto dalla bambina stessa).

Cass. civ. n. 10189/2010

La norma dell'art. 2052 c.c. - in base alla quale chi si serve di un animale è responsabile dei danni dallo stesso cagionati per il tempo in cui lo ha in uso - trova il proprio fondamento nel principio per cui chi fa uso dell'animale nell'interesse proprio e per il perseguimento di proprie finalità, anche se non economiche, è tenuto risarcire i danni arrecati ai terzi che siano causalmente collegati al suddetto uso; in tale situazione, peraltro, non rientra colui il quale utilizzi l'animale per svolgere mansioni inerenti alla propria attività di lavoro, che gli siano state affidate dal proprietario dell'animale alle cui dipendenze egli presti tale attività. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda, avanzata da un componente del corpo di polizia municipale, di risarcimento dei danni conseguenti alla caduta dovuta all'impennata del cavallo da lui montato, sul rilievo che in quel momento l'animale era affidato alla custodia dello stesso danneggiato).

Cass. civ. n. 9037/2010

La responsabilità di cui all'art. 2052 c.c., prevista a carico del proprietario o di chi si serve dell'animale per il periodo in cui lo ha in uso, in relazione ai danni cagionati dallo stesso, trova un limite solo nel caso fortuito, ossia nell'intervento di un fattore esterno nella causazione del danno, che presenti i caratteri della imprevedibilità, della inevitabilità e della assoluta eccezionalità: con la conseguenza che all'attore compete solo di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, deve provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere detto nesso causale, non essendo sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell'animale. (Nella specie, il giudice del merito aveva ritenuto che integrasse l'ipotesi di caso fortuito la condotta del danneggiato, vittima di lesioni per l'aggressione da parte di un cane "pitbull" che si trovava all'interno di uno stabile, al quale il danneggiato stesso aveva avuto accesso tramite il cancello di ingresso aperto, assumendo che i proprietari e custodi del cane avevano adottato tutte le misure idonee ad evitare, in regime di normalità, l'aggressione - apposizione sul cancello di un cartello con la scritta "attenti al cane", sebbene non visibile proprio per essere il cancello aperto; catena lunga tre metri alla quale il cane era legato; posizionamento del cane in luogo distante dal cancello di ingresso - mentre era da reputarsi imprevedibile la circostanza della visita per affari da parte della vittima la mattina del 26 dicembre, allorché i proprietari del cane erano assenti dall'abitazione, e rilevando altresì la sua età - ottanta anni - tale da non consentirgli di ritirarsi con prontezza dall'attacco di un cane legato ad una catena. La S.C., in applicazione del principio sopra riportato, ha cassato la sentenza impugnata, reputando inconferente l'argomentazione relativa all'età del danneggiato ed osservando che, in un contesto in cui il cartello di pericolo non era visibile, non poteva assumersi come atto determinante l'aggressione del cane il solo fatto di varcare un cancello aperto con accesso ad uno stabile).

Cass. civ. n. 6454/2007

In tema di danno cagionato da animali, ai sensi dell'articolo 2052 c.c., la responsabilità del proprietario dell'animale, prevista dalla suddetta norma, è presunta, fondata non sulla colpa, ma sul rapporto di fatto con l'animale. Ne consegue che, per i danni cagionati dall'animale al terzo, il proprietario risponde in ogni caso e in toto, a meno che non dia la prova del caso fortuito, ossia dell'intervento di un fattore esterno idoneo a interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, comprensivo anche del fatto del terzo o del fatto colposo del danneggiato che abbia avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno. Pertanto, se la prova liberatoria richiesta dalla norma non viene fornita, non rimane al giudice che condannare il proprietario dell'animale al risarcimento dei danni per l'intero (nella specie, era stato chiesto il risarcimento ai proprietari di un cane a causa di un morso al volto inferto alla ricorrente mentre era in visita alla loro abitazione, e la corte di merito aveva dato maggior rilievo alla imprudenza della danneggiata nella produzione dell'evento: sulla base dell'enunciato principio la Suprema Corte ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la sentenza impugnata).

Cass. civ. n. 6332/2005

Spetta al giudice ordinario la cognizione della domanda promossa dal privato per conseguire dalla P.A. il risarcimento dei danni da esso subiti dall'improvviso attraversamento della sede stradale da parte di fauna selvatica. Né la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine a detta domanda risarcitoria può trovare fondamento nel testo novellato dell'art. 7 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034: infatti detta norma — la quale prevede che quando è chiesto al giudice amministrativo, facendosi valere un interesse legittimo, l'annullamento del provvedimento amministrativo, alla domanda principale d'annullamento può essere cumulata una domanda di risarcimento del danno, in tal modo evitandosi la necessità del doppio processo (il primo, dinanzi al giudice amministrativo, per l'annullamento dell'atto; il secondo, dinanzi al giudice ordinario, per il risarcimento del danno) — non opera allorché, come nella specie, difettando un provvedimento amministrativo, manchi una domanda d'annullamento, ed il privato proponga esclusivamente una domanda di risarcimento del danno nei confronti della P.A., nella quale ciò che rileva è la liceità e non la legittimità dell'azione amministrativa.

Cass. civ. n. 14743/2002

In tema di responsabilità per danni causati da animali, perché la responsabilità del proprietario gravi su di un altro soggetto, occorre che il proprietario giuridicamente o di fatto si sia spogliato della facoltà di far uso dello stesso (intendendo tale locuzione nel senso di trarne un profitto economico), trasferendolo ad un terzo. Qualora, invece, il proprietario continui a far uso dell'animale sia pure tramite un terzo e, quindi, abbia ingerenza nel governo dello stesso, resta responsabile dei danni arretrati dallo stesso di qualunque danno (nella specie, la S.C. ha ritenuto un centro ippico responsabile dei danni subiti da un'amazzone a seguito di caduta da un cavallo di proprietà del centro stesso).

Cass. civ. n. 13907/2002

Sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (recante «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio») attribuisce alla Regioni a statuto ordinario l'emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, terzo comma) e affida alle medesime (cui la legge n. 142 del 1990, nel definire i rapporti tra Regioni Province e Comuni, ha attribuito la qualifica di ente di programmazione e di coordinamento) i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando invece alla Province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna ad esse delegate ai sensi della legge n. 142 del 1990 (art. 9, primo comma). Ne consegue che la Regione, in quanto obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la fauna selvatica arrechi danni a terzi, è responsabile ex art. 2043 c.c. dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme.

Cass. civ. n. 200/2002

Il proprietario di un animale (o di chi ne abbia l'uso) risponde ai sensi dell'art. 2052 c.c. sulla base non già di un proprio comportamento o di una propria attività, ma sulla base della mera relazione (di proprietà o di uso) intercorrente fra lui e l'animale, nonché del .nesso di causalità sussistente fra il comportamento di quest'ultimo e l'evento dannoso, fattori - questi - di cui deve dare prova il danneggiato. Il limite di un tal tipo di responsabilità è rappresentato unicamente dal caso fortuito, di cui incombe prova al medesimo proprietario (o utilizzatore), e che non può attenere propriamente al comportamento del medesimo, ma a quello dell'animale.

Cass. civ. n. 4742/2001

La responsabilità ex art. 2052 c.c. del proprietario dell'animale (o dell'utilizzatore che se ne serva in modo autonomo, tale da escludere l'ingerenza del proprietario nel governo dell'animale) postula il nesso causale tra il fatto dell'animale medesimo ed il danno subito dall'attore, il quale, pertanto, al fine di far valere detta responsabilità, è tenuto a provare la sussistenza di tale nesso. Solo a seguito di siffatta dimostrazione, il convenuto è tenuto, per sottrarsi alla responsabilità ex art. 2052 c.c. — la quale è presunta, e prescinde, pertanto, dalla sussistenza della colpa — a fornire la prova del caso fortuito, costituito da un fattore esterno, che può consistere anche nel fatto del terzo, o nella colpa del danneggiato, ma che deve comunque presentare i caratteri della imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità. Detta imprevedibilità, ai fini della individuazione del caso fortuito, opera sotto il profilo oggettivo, nel senso di accertare l'eccezionalità del fattore esterno, e non già come elemento idoneo ad escludere la colpa del proprietario, che, per quanto precisato, è irrilevante a detti fini.

Cass. civ. n. 12161/2000

La responsabilità di cui all'art. 2052 c.c., prevista a carico del proprietario o di chi si serve dell'animale per il periodo in cui lo ha in uso, in relazione ai danni cagionati dallo stesso, trova un limite solo nel caso fortuito, ossia nell'intervento di un fattore esterno nella causazione del danno, che presenti i caratteri della imprevedibilità, della inevitabilità e della assoluta eccezionalità: all'attore compete solo di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, deve provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere detto nesso causale, non essendo sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell'animale.

Cass. civ. n. 1971/2000

In tema di danno cagionato da animali, il proprietario o utente dell'animale, per sottrarsi alla responsabilità presunta ex art. 2052 c.c., è tenuto a fornire la prova del caso fortuito — che può consistere anche nel fatto del terzo, o nella colpa del danneggiato — ma solo dopo che sia stato dimostrato in modo univoco la sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento dell'animale e il danno causato.

Cass. civ. n. 2192/1996

Il danno cagionato dalla fauna selvatica, che ai sensi della legge 27 dicembre 1977, n. 968 appartiene alla categoria dei beni patrimoniali indisponibili dello Stato, non è risarcibile in base alla presunzione stabilita nell'art. 2052 c.c., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma solamente alla stregua dei principi generali della responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c., anche in tema di onere della prova.

Cass. civ. n. 13016/1992

In tema di responsabilità per danni derivanti dall'urto tra un autoveicolo ed un animale, la presunzione di colpa a carico del proprietario dell'animale di cui all'art. 2052 c.c., concorre con quella posta dal primo comma del successivo art. 2054 a carico del conducente del veicolo con la conseguente prova liberatoria a carico di quest'ultimo, a meno che il sinistro non si sia verificato mentre l'animale era al traino di un carretto (veicolo) e non debba, pertanto, applicarsi al conducente del mezzo meccanico il secondo comma dell'art. 2054 che pone a suo carico la presunzione di responsabilità solo concorrente.

La responsabilità del proprietario dell'animale prevista dall'art. 2052 c.c., essendo alternativa rispetto a quella del soggetto che ha in uso l'animale, è esclusa in tutti i casi in cui il danno sia cagionato mentre l'animale, in virtù di un rapporto anche di mero fatto, sia utilizzato da altri, con il consenso del proprietario, per la realizzazione di un interesse autonomo, ancorché diverso da quello che il proprietario avrebbe tratto o di fatto traeva. (Nella specie, in base all'enunciato principio la C.S. ha confermato la decisione dei giudici del merito da cui si è affermata la responsabilità esclusiva del mezzadro, restando irrilevante la circostanza che il proprietario divida con il mezzadro la responsabilità delle scorte del fondo).

Cass. civ. n. 2189/1975

Il caso fortuito è un elemento imprevisto ed imprevedibile che, inserendosi in un determinato processo causale e soverchiando ogni possibilità di resistenza e di contrasto da parte delle forze dell'uomo, rende inevitabile il compiersi dell'evento.

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D. D. chiede
mercoledì 20/03/2024
“Buongiorno.
In data 17 marzo 2024, la mia compagna ed io eravamo a passeggio insieme al nostro canuccio sulla passeggiata pedonale di XXX quando è sopraggiunto un cane pastore tedesco che ha attaccato il nostro cagnolino afferrandolo per la schiena e, scuotendo la testa, lo sbatteva a destra e sinistra. Ho cercato di far lasciare la presa con un calcio senza effetto alcuno. Allora mi sono buttato sopra il pastore tedesco schiacciandolo a terra con mio peso (95kg) e afferrandolo per il collo (era senza collare), riuscendo così a fargli mollare la presa. Il cane ringhiava e cercava di mordermi. Ho fatto allontanare la mia compagna con il nostro canuccio e chiamato aiuto. Sono comparse tre persone che si son rifiutate di aiutare (ho i dati). Ho cercato di prendere il telefonino e chiamato il 112 per chiedere aiuto. Mi ha risposto che avevo chiamato YYY che era troppo lontano e mi passava ZZZ. CC ZZZ ha detto che era competenza della forestale (ma non sono Carabinieri anche loro?) e che "Li avrebbe avvertiti", chiudendo la chiamata. Alcuni minuti dopo, persistendo la situazione di stallo, una delle tre persone si avvicinava e mi buttava un pezzo di corda dicendo "legalo", cosa per me impossibile da fare senza aiuto. Dopo un'altra decina di minuti così, il cane smetteva di dibattersi e potevo alzarmi. Di lì a poco arrivava il proprietario del pastore tedesco (che era uscito da casa per fare jogging) che ne constatava la morte. Il cane era "custodito" in una villa recintata poco distante. Non scaturiva diverbio con il proprietario (che è il vice sindaco del paese).
Ho portato il mio cane dal veterinario che constava i morsi e forniva relazione e documentazione fotografica.
Personalmente, ho solo subito danni all'abbigliamento e una lussazione al pollice sinistro.
Vorrei sapere che cosa si ravvisa, avendo letto che l'omessa custodia di animale aggressivo è stata depenalizzata.
Grazie

Consulenza legale i 21/03/2024
Cominciamo prima ad analizzare la questione riguardante l’omessa e/o negligente custodia dell’animale.

In effetti, dal punto di vista penale, un tempo esisteva la contravvenzione di cui all’ art. 672 del c.p. che puniva l’omessa custodia dell’animale. La stessa è stata poi depenalizzata dalla legge 689/81. E’ comunque dubbio che la contravvenzione in parola potesse essere applicata al caso di specie, atteso che l’articolo predetto faceva riferimento agli animali “pericolosi” da un punto di vista oggettivo, con conseguente esclusione di un cane (che non è ritenuto un animale oggettivamente pericoloso), seppure aggressivo.

Fermo restando quanto su detto, ad oggi la tutela migliore riguardante danni susseguenti all’omessa custodia dell’animale è approntata dal diritto civile. Ci si riferisce nello specifico all’ articolo 2052 del codice civile, stando al quale “il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

La disposizione normativa è molto eloquente e appronta un particolare tipo di responsabilità oggettiva a carico del proprietario o utilizzatore dell’animale che compia un danno. In queto caso, quindi, non si fa distinzione tra tipologie di animali e la responsabilità del proprietario è conclamata, a meno che questi non provi il caso fortuito, ovvero un elemento estraneo alla propria sfera di dominio che abbia “spezzato” il nesso di collegamento tra il danno posto in essere e l’omessa o imprudente custodia dell’animale.

Il caso di specie, comunque, sembra denotare un vero e proprio caso riconducibile al paradigma normativo del commentato articolo 2050 c.c. atteso che non sembra vi sia l’ipotesi del caso fortuito.

Questo dal punto di vista civile.

Dal punto di vista penale, nel caso di specie l’unica fattispecie astrattamente configurabile potrebbe essere il reato di lesioni colpose, previste dall’ art. 590 del c.p..
La Cassazione, infatti, con orientamento costante, ha affermato che risponde di tale reato anche colui il quale lascia incustodito il proprio animale (anche un cane domestico) e lo stesso morda o aggredisca taluno provocandogli una “malattia” del corpo o della mente (così come recita il predetto articolo 590 c.p.).

Stante il fatto che la lussazione rientra nel concetto di malattia, seppur lieve o lievissima non avendo, in genere, una prognosi di guarigione superiore a 4 settimane, il caso di specie sembra poter essere sussunto nell’alveo della fattispecie di lesioni personali colpose.

Quanto, invece, ai soggetti che si sono “rifiutati” di aiutare, si potrebbe ipotizzare l’ art. 593 del c.p., ovvero l’omissione di soccorso.
Vero è che i soggetti si trovavano dinanzi ad un soggetto “altrimenti in pericolo”, ma è altrettanto vero che la fattispecie in parola non sussiste ogni qualvolta il soccorso del terzo potrebbe porre il terzo stesso in pericolo, tant’è che la norma punisce non solo l’omesso aiuto, ma anche l’omessa segnalazione alle autorità competenti.
Nel caso di specie, dunque, la fattispecie in parola potrebbe sussistere solo laddove i soggetti non abbiano neanche allertato le autorità competenti e si siano quindi dimostrate totalmente incuranti del pericolo altrui.

Eleonora G. chiede
venerdì 12/07/2019 - Emilia-Romagna
“Vorrei sapere se il proprietario del fondo è responsabile anche del disturbo da animali selvatici che si sono insediati nella proprietà ( giardino) avendo trovato le condizioni idonee per starci, condizioni create da lui (laghetti artificiali), con ninfee, piante acquatiche e chi più ne ha più ne metta.
Consideri che si superano abbondantemente i decibel limite della tollerabilità ma sono specie protetta (rane).
Grazie

Consulenza legale i 22/07/2019
Gli animali selvatici rientrano nella categoria di beni patrimoniali indisponibili dello Stato ai sensi della legge 27 dicembre 1977 n 968 e pertanto, generalmente, la responsabilità per eventuali danni da essi cagionati a cose e persone ex art. 2043 del c.c. ricade sull’ente pubblico territorialmente competente – Comune, Provincia, Regione- (ex multis Cass. 80/2010; 467/2009; 21282/2007). Se però gli animali selvatici sono stati immessi intenzionalmente nel terreno dal proprietario, sarà quest’ultimo a rispondere dei danni cagionati a terzi ex art. 2052 del c.c..
In ogni caso, devesi evidenziare che in applicazione del principio del neminem laedere, incombe in capo al proprietario il dovere di adottare tutte le misure necessarie al fine di contenere ovvero inibire che gli animali, pur se arbitrariamente entrati nella sua proprietà, siano fonte di danno per sé e per gli altri. Infatti, in mancanza di ciò potrebbe sorgere in capo al proprietario del terreno una corresponsabilità ex art. 2055 del c.c., con relativo obbligo risarcitorio a favore dei vicini e/o terzi danneggiati dalle emissioni rumorose.
Orbene, è vero che il proprietario di uno stagno in giardino non può essere costretto a eliminare le rane che lo colonizzano, ma è altresì vero che lo stesso potrebbe adottare tutta una serie di misure di vario genere che eliminino o limitino le emissioni di rumori derivanti dalle rane, come, giusto per fare un esempio, la creazione di un getto d'acqua, l’eliminazione della vegetazione galleggiante, la predisposizione di una copertura a rete dello stagno e, in via di ultimo rimedio, la richiesta alla protezione civile per la cattura delle rane e lo spostamento delle stesse presso altro habitat.
Riassumendo, nel caso di specie, potrebbe sussistere una responsabilità civile del proprietario o ex art. 2052 del c.c. c.c., qualora il fatto di aver creato tutte le condizioni ambientali per la colonizzazione del terreno da parte delle rane sia tale da equivalere ad averle immesse volontariamente nel giardino, o ex art. 2055 del c.c. c.c. in solido con l’ente pubblico competente, qualora non si sia prodigato nel limitare i danni derivanti dalla presenza delle rane nel suo giardino.
Purtroppo detta situazione presenta pure profili penalistici potendo la condotta del proprietario e/o dell’ente territoriale integrare ex art. 659 del c.p. la contravvenzione di disturbo della quiete pubblica in presenza dei presupposti della presenza di una lamentela da parte della collettività pubblica (non solo di una sola persona) ,del perdurare nel tempo del disturbo e dell’accertamento oggettivo del danno.
Preme altresì rappresentare che la detta responsabilità del proprietario del giardino deve essere contestualizzata all’ambiente in cui lo stesso si trova: se trattasi di un contesto cittadino le immissioni rumorose avranno una certa rilevanza, meno se si tratta di un contesta rurale, in cui detta situazione può anche apparire di scarso interesse.

Venendo ad analizzare le possibili soluzioni si può affermare che:
- se lei è il proprietario del giardino con stagno, il consiglio è quello di tentare un ridimensionamento delle emissioni rumorose, provando a trovare una soluzione transattiva bonaria con i vicini ed adottando una tra le tante misure sopra suggerite. In caso contrario correrebbe il rischio di dover risarcire il danno e di vedersi condannato in sede penale;
- se invece lei riveste la qualità di vicino pregiudicato dalle immissioni rumorose delle rane potrebbe inizialmente tentare un approccio bonario col proprietario, per verificare se sussistono i presupposti per adottare misure che riducano il gracchiare delle rane; in caso di esito negativo, ovvero in caso di mancata collaborazione da parte dello stesso, sarebbe opportuno formalizzare la presente situazione all’ente territorialmente competente, al proprietario dello stagno e, per conoscenza, alla competente protezione civile mediante invio di una lettera raccomandata o di una pec, chiedendo che si adottino le opportune misure del caso. Sarebbe opportuno allegare una valutazione scritta di un perito che determini il superamento del livello di tollerabilità delle immissioni rumorose. Bene anche sarebbe che la sottoscrizione della nota di denuncia avvenga da parte di più persone. Ultima via, qualora vi fossero veramente tutti i presupposti sopra delineati, rimarrebbe la presentazione di una denuncia -querela alla competente Procura della Repubblica.

Leonardo B. chiede
martedì 28/08/2018 - Veneto
“Salve, Ho in conduzione un vigneto, che in questo periodo ha uva matura che presto sarà raccolta. Confinante al mio terreno, vive un signore con una quarantina di pavoni lasciati liberi di circolare dove vogliono.
In questi giorni soprattutto, mi trovo con 10/15 pavoni nel mio vigneto che mangiano l'uva matura oltre a una ventina di galline (sempre del vicino). Ora quantificare il danno in quintali persi non è semplice (inoltre trattasi di Prosecco cioè uva di un certo valore), ma i grappoli più bassi sono visibilmente danneggiati.
Il problema principale è che il signore non cura gli animali lasciandoli allo stato brado liberi di pascolare, senza dare loro del cibo. Vorrei capire che strumenti legali ho per proteggermi, evitando che entrino nel mio terreno e se eventualmente fosse possibile richiedere un risarcimento danni.
Inoltre il signore in caso dice di essere assicurato contro i danni che i pavoni possono fare.
Grazie per l'aiuto”
Consulenza legale i 29/08/2018
Il proprietario di animali è tenuto ad un obbligo di custodia nei confronti dei medesimi.
Infatti, per espressa previsione dell’art. 2052 del codice civile, egli è responsabile dei danni cagionati dall'animale, “sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.
Come è evidente, la norma si riferisce a qualsiasi tipo di animale, sia addomesticato che selvatico. Pertanto, rientra nella fattispecie normativa anche un animale da cortile come un pavone.
Tale tipo di responsabilità è presunta nel senso che il danneggiato, laddove intenda intraprendere una causa di risarcimento danni, non deve dimostrare che il proprietario abbia avuto una condotta imprudente o negligente, potendosi limitare a dare prova che il danno sia imputabile all’animale e che questo sia di proprietà o in uso alla persona convenuta in giudizio.
Quest’ultima, come prevede il predetto art. 2052 c.c., per escludere la sua responsabilità può soltanto dimostrare che l’evento dannoso sia stato dovuto a caso fortuito, cioè qualsiasi evento esterno, idoneo a interrompere il nesso di causalità, imprevedibile ed eccezionale, inevitabile dal proprietario anche usando l’ordinaria diligenza.

Ciò premesso, venendo al caso in esame si osserva quanto segue.

Appare pacifico che i pavoni appartengano al vicino e che questi abbiano creato danni al Suo vigneto. Suggeriamo quindi, come prima mossa, di fare delle fotografie agli animali mentre si trovano nel Suo vigneto (c’è un recinto?) nonché all’uva (magari proprio quando viene mangiata dai pavoni) onde evidenziare i danni arrecati.
Nel contempo, sarebbe opportuno inviare quanto prima una diffida scritta (a mezzo pec o lettera raccomandata a/r) al proprietario dei pavoni invitandolo alla custodia dei propri animali e diffidandolo dal farli entrare nel Suo fondo, con richiesta di risarcimento dei danni subiti e subendi, che si riserva di quantificare precisamente. Nella parte finale della lettera, potrà inserire la dicitura di riserva di tutela legale nelle sedi più opportune, sia civili che penali.

In caso di mancata risposta del vicino o di risposta comunque negativa, dopo aver fatto da un terzi (magari un perito agronomo) fare una stima dei danni subiti, potrà azionare una causa di risarcimento danni.

La circostanza dell’eventuale copertura assicurativa non toglie ovviamente l’eventuale responsabilità del danneggiante. Il soggetto da convenire in giudizio rimane comunque il proprietario degli animali (non si verte infatti in tema di assicurazione obbligatoria) il quale a sua volta potrà però chiamare appunto in causa la compagnia assicurativa.

Da tenere presente che una azione di risarcimento danni, laddove questi ultimi non superino l’importo di euro cinquantamila, dovrà essere preceduta da un invito alla convenzione di negoziazione assistita, così come previsto dal D.L. 132/2014.

Fermo quanto precede dal punto di vista civile, dal punto di vista penale si osserva quanto segue.
L’ingresso di animali nel fondo altrui potrebbe integrare la fattispecie penale di cui all’art. 636 c.p. dal momento che si tratta comunque di un numero rilevante di animali.
A tal proposito, la Suprema Corte con sentenza n.52200/2016 ha statuito che “il delitto di cui all'art. 636 cod. pen. può essere consumato non solo con l'introduzione diretta degli animali nei fondi vicini, ma anche con il loro abbandono in libertà e senza custodia, nella consapevolezza che essi vi si introdurranno guidati dall'istinto, essendo in tal caso configurabile l'elemento psicologico del reato nella forma del dolo eventuale.”
Ad ogni modo, una denuncia in sede penale – seppur astrattamente possibile - non appare molto utile nella presente vicenda dove riteniamo sia preferibile azionare una richiesta di risarcimento danni nel senso sopra indicato.

Anonimo chiede
lunedì 09/04/2018 - Lombardia
“B. F. - Sinistro pedonale con danno biologico
Inviamo a parte per e-mail sentenza emessa dalla C.A. di Milano a fronte di Sentenza 1° Tribunale di (omissis).

QUESITO:
MECCANICA
I fatti si deducono dagli atti. B. F. ha subito un danno, ha citato in giudizio L. A. (non assicurato). B. F. ha perso sia la causa sia l'appello.
Prima di ricorrere alla Suprema Corte desideriamo un Vostro parere sulle probabilità che la sentenza d'Appello possa essere cassata.
Quali potrebbero essere le argomentazioni utili alla vittoria?
Noi osserviamo in primis: se il cane grosso era al guinzaglio estensibile ed ha raggiunto il signor B. F., ciò significa che il L. non si è peritato di bloccarlo. Se invece il guinzaglio era di tipo fisso, peggio ancora: vuol dire che il L. ha addirittura "accompagnato" il proprio cane attraversando persino la strada.
Aggiungiamo che non possiamo notare come, sempre il L., abbia i riflessi piuttosto...lenti.
Meglio: non capiamo perché il B. F. avrebbe dovuto "prevedere" la reazione del cane e non anche il L., di età fra l'altro. molto più giovane.

TESTE A CARICO
Il Teste del L. avrebbe visto la scena con chiarezza: ora, a 200 metri di distanza non si riuscirebbe a capire se un cammello è in piedi o seduto!
si potrebbe ricorrere ad una CTU?
Noi siamo sempre stati del parere che siamo di fronte ad un teste "assoldato" ma purtroppo non abbiamo prove.
Alcuni fatti vandalici sono stati subiti in seguito dalla figlia del B. F., con scritte murali alludenti all'episodio e che solo il teste poteva conoscere, quindi quasi una firma. Fatta regolare denuncia ma senza seguito.
Come si potrebbe mettere... le pulci nell'orecchio del Giudicante senza incorrere in querele o peggio, pregiudicare il verdetto?

ATTIVITA' PROFESSIONALE
Con il nostro tassativo impegno alla riservatezza, potete esprimere un giudizio tecnico sulla qualità dell'assistenza fornita al nostro cliente F. B., tanto per capire se li ricorso alla S.C. possiamo affidarlo allo stesso oppure meglio cambiare cavallo.”
Consulenza legale i 09/07/2018
Ai sensi dell’art. 2052 c.c., alla cui lettura integrale si rimanda, la responsabilità per danno cagionato da animali ricade in capo al proprietario dell’animale oppure in capo a chi concretamente se ne stia servendo al momento del suo verificarsi.
Si tratta di una fattispecie di responsabilità in cui il criterio di imputazione del danno deriva dalla mera disponibilità materiale della cosa da cui deriva l’evento dannoso.
La responsabilità del danno cagionato da animali è ricostruito dalla giurisprudenza e dalla dottrina come responsabilità oggettiva. Il danneggiato è gravato dall’onere di dimostrare l’esistenza del nesso causale tra il fatto dell’animale e il danno subito. Una volta raggiunta la prova, spetta poi al proprietario dell’animale provare l’esistenza del caso fortuito che può far venir meno la derivazione causale del danno dall’azione dell’animale.
Pertanto, l’attore danneggiato deve provare:
  • l’evento dannoso;
  • il nesso di causalità tra evento dannoso ed animale;
  • il nesso di causalità tra evento dannoso e danno risarcibile.
Il proprietario, invece, si libera con la prova del caso fortuito ossia quel fattore imprevisto ed imprevedibile, anche riconducibile al danneggiato stesso o a un terzo, che interrompe il nesso di causalità.

Sul punto la Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: “ in tema di danno cagionato da animali, il proprietario per sottrarsi alla responsabilità presunta ai sensi dell’art. 2052, è tenuto a fornire la prova del caso fortuito che può consistere anche nel fatto del terzo, ma solo dopo che sia stato dimostrato in modo inequivoco la sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e il danno causato”.

Nel caso in esame, il Giudice di prime cure ha rigettato la domanda attorea affermando che “l’attore non ha assolto in maniera completa il proprio onere di provare l’esistenza di un nesso eziologico tra la condotta e le lesioni subite e il comportamento del cane”.
Tale tesi è stata confermata dalla Corte di Appello che ha dato valore alla prova testimoniale di parte convenuta, soprattutto in merito alla circostanza che il guinzaglio del cane Labrador del Legnaghi non era allungabile, mentre il teste di parte attrice ha dichiarato di non ricordare se il guinzaglio fosse o meno allungabile.
Ebbene, a nostro avviso, la difesa dell’attore avrebbe effettivamente dovuto provare meglio la propria domanda, ponendo a fondamento della stessa ulteriori elementi probatori piuttosto che una sola dichiarazione testimoniale.

Quanto al ricorso per Cassazione, esso è un mezzo di impugnazione che si differenzia dall’appello perché non dà luogo ad una nuova valutazione del merito della causa, ma si limita soltanto a verificare l’esatta applicazione delle norme di diritto processuale e sostanziale.
L’art 360 c.p.c. individua i motivi del ricorso in :
  1. motivi attinenti alla giurisdizione;
  2. violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
  3. violazione di norme sulla competenza;
  4. nullità della sentenza o del procedimento;
  5. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Alla luce dei citati motivi, riteniamo che, nel caso in esame, si potrebbe appellare la sentenza di appello facendo leva sul n. 5 dell’art 360 c.p.c. ma riteniamo comunque che la proposizione del ricorso per cassazione sia comunque rischioso stante il principio della libera valutazione delle prove da parte del giudice.
Nel caso in esame il giudizio è stato fondato su due prove testimoniali contrastanti ed il giudice di appello ha ritenuto, dopo aver confrontato le deposizioni raccolte, di dare maggior valore alla dichiarazione resa dal teste di parte convenuta.
Dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c. n. 5, non è facile censurare il modo in cui il giudice ha valutato le prove.
Prima della riforma, si poteva far leva sull’insufficienza o sulla contraddittorietà della motivazione; oggi non più, in quanto il nuovo articolo 360 c.p.c. n. 5 consente solo di denunciare l’omessa valutazione di un fatto decisivo, principale o secondario, oggetto di discussione.
Inoltre, occorre dire che non c’è violazione dell’art 115 c.p.c. nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. rubricato, appunto, “Valutazione delle prove”.
Con la sentenza n. 18175 del 23.10.2012 la Cassazione ha affermato che "la valutazione delle prove testimoniali ed il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla loro credibilità involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione delle altre, non incontra alcun limite se non quello di specificare le ragioni del proprio convincimento, senza dover discutere ogni singolo elemento prospettato dalle parti o confutare ogni deduzione difensiva". La citata Cassazione ha, altresì, precisato che “il vizio di motivazione deducibile con il ricorso per cassazione ex art. 360 , n 5 c.p.c. non può consistere nella difformità di apprezzamento dei fatti e delle prove compiute dal giudice di merito rispetto a quello pretesi dalla parte”.

In conclusione, riteniamo che l’attore avrebbe dovuto provare meglio la propria domanda al fine di soddisfare quanto richiesto dall’art 2052 c.c. che impone al danneggiato di provare il nesso tra l’evento dannoso ed il comportamento dell’animale. Riteniamo poi il ricorso, benché proponibile, comunque di difficile accoglimento poiché, a nostro parere, il giudice ha motivato le ragioni del proprio convincimento.

Gianstefano G. chiede
giovedì 01/03/2018 - Lombardia
“Alla cortese attenzione di “Studio Brocardi.it” per una consulenza on-line.
Nel cortile della comproprietà privata recintata si è verificato l’investimento del mio cane (regolarmente assicurato), libero e posto da anni a guardia della stessa comproprietà (preceduto da altri cani, miei o di mio fratello), da parte di mia cognata (moglie di mio fratello, comproprietaria e residente anche essa), con danni di circa 2'500 euro per spese veterinarie (interventi chirurgici ortopedici e terapie). L’assicurazione dell’auto risarcisce solo in parte i danni, addebitandomi una responsabilità quale proprietario (e presumo per omessa custodia), pari al 30%.
Riguardo la custodia dell’animale, pur essendo io il proprietario e visto il ruolo svolto dall’animale, ritengo dovrebbe essere ricondotta a chi entra (riferito ai comproprietari) nella proprietà,
- che deve fare in modo che l’animale non esca ed arrechi danni a terzi,
- che deve fare attenzione a non investire l’animale, come verificatosi in questo caso, … etc.
In attesa di un vs competente parere, porgo distinti saluti. G.”
Consulenza legale i 06/03/2018
Nel caso in esame, occorre far riferimento principalmente a due norme del codice civile.
La prima è l’art. 2052 c.c. che prevede che il proprietario di un animale è responsabile dei danni da esso cagionati, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito.
La seconda, è l’art. 2054 c.c. che prevede invece che il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Ci sono quindi due diverse presunzioni di responsabilità sia nel caso della custodia di un animale, sia nel caso di guida di un veicolo.

In linea generale, quando l’investimento di un animale si verifica in strada, si tende ad applicare un concorso di colpa del proprietario del cane e del conducente.
Laddove però il conducente provi di aver fatto il possibile per evitare il danno, la responsabilità sarà esclusiva del proprietario del cane. Tale principio è stato recentemente ribadito dalla Suprema Corte che con la sentenza n. 4202/2017 ha affermato che: “vige la presunzione generale del concorso di colpa del proprietario del cane investito e del conducente ma questa regola trova l’eccezione nella valutazione del caso concreto. Ossia, se il conducente procede con il proprio veicolo a velocità moderata lungo una strada che – per le sue caratteristiche – non consente di prevedere l’immissione improvvisa di un animale lungo la stessa, allora la responsabilità è totalmente a carico del padrone dell’animale.”

Ciò posto in linea generale, nello specifico del caso in esame si osserva quanto segue.
La circostanza che il sinistro si sia verificato non in una strada pubblica o di uso pubblico bensì in una area privata recintata non elimina l’obbligo di custodia a carico del proprietario del cane e la relativa presunzione di responsabilità.
Anche se all’interno di una proprietà privata (non condominiale e non accessibile a terzi in quanto recintata) non vi è alcun obbligo di legge di tenere l’animale al guinzaglio (V. ordinanza del Ministero della Salute del 13.07.16) ciò non fa venire meno a carico del proprietario la responsabilità per danni causati dall’animale, a meno che provi il caso fortuito.

Ciò posto, occorre quindi sapere se l’autovettura abbia riportato o meno danni a seguito del sinistro.

Se, come sembrerebbe dalla lettura del quesito, non vi sono danni, si può allora escludere certamente una responsabilità del proprietario del cane per omessa custodia.
In tal caso, l’unica responsabilità ipotizzabile sarebbe quella del soggetto che ha causato l’investimento ai sensi dell’art. 2054 c.c. (o, in ogni caso, ai sensi dell’art. 2043 c.c.) che sarebbe quindi tenuto all’integrale risarcimento del danno.

Se invece l’autovettura ha riportato danni a seguito dell’impatto con l’animale, è ragionevole ipotizzare un concorso di colpa del proprietario del cane e del conducente.
Per giurisprudenza costante, infatti, “la responsabilità del proprietario, o di chi si serve di un animale, di cui all'art. 2052 c.c., si fonda non su un comportamento o un'attività - commissiva od omissiva - ma su una relazione intercorrente tra i predetti e l'animale, il cui limite risiede nel caso fortuito, la prova del quale - a carico del convenuto - può anche avere ad oggetto il comportamento del danneggiato, purché avente carattere di imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità” (Cass.10402/2016).

In ogni caso, deve escludersi la possibilità di chiedere i danni direttamente alla compagnia assicurativa dell’auto del danneggiante. Tale possibilità prevista dall’art. 144 del codice delle assicurazioni si ha infatti soltanto quando il danno sia stato cagionato dalla circolazione del veicolo su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate dal momento che la copertura assicurativa per legge si ha solo in tali ipotesi (art. 122 Codice delle Assicurazioni).
Nel quesito leggiamo che è intervenuta una compagnia assicurativa: dobbiamo ipotizzare che la polizza del danneggiante copra anche tali tipi di sinistri.
Tuttavia, laddove in sede giudiziale si voglia chiedere un risarcimento dei danni subiti, l’azione andrebbe esperita soltanto nei confronti del danneggiante che a sua volta chiamerebbe in garanzia la propria compagnia assicurativa.

Salvatore D. chiede
sabato 24/09/2016 - Sardegna
“Sono il presidente di una A.S.D. centro di equitazione. Una nostra tesserata con un'esperienza di oltre 15 anni, agli inizi di una ripresa della scuola di equitazione, disattendendo gli ordini dell'istruttore (che aveva detto: passo sulla pista), spingeva il cavallo al galoppo tenendo le redini eccessivamente lunghe. Il cavallo, dopo un giro del maneggio al galoppo, raggiunti gli altri due cavalli degli altri allievi presenti (e che nel frattempo si erano fermati al centro del maneggio) si arrestava bruscamente e l'allieva si buttava di sella malamente sbattendo il bacino e provocandosi una "frattura discosomatica di L1 e L2". Il fatto è successo nel marzo del 2013. In questi giorni l'allieva, che ora sta bene, mi ha citato in tribunale civile chiedendomi una cifra enorme di risarcimento danni. Preciso che l'allieva era assicurata con la compagnia assicuratrice proposta dalla F.I.S.E. (compresa l'integrazione per l'abbattimento della franchigia) e che io entro 24 ore dal sinistro feci regolare denuncia. Ad oggi (dopo oltre tre anni) la compagnia non ha liquidato l'allieva assicurata. Inoltre al momento del tesseramento l'allieva (come tutti i nostri tesserati) aveva sottoscritto un documento di Manleva nei confronti dell'associazione.”
Consulenza legale i 03/10/2016
L’allieva danneggiata è, purtroppo, ricorsa all’applicazione di quelle norme del codice civile che stabiliscono forme di responsabilità oggettiva in capo a chi gestisce determinate attività, definibili come “pericolose”, e/o vere e proprie presunzioni di responsabilità in capo a chi sia proprietario o utilizzatore di animali per i danni che questi ultimi possano causare a terzi (per cui a nulla rilevano eventuali dichiarazioni di manleva).

Nel caso, infatti, in particolare, dell’attività equestre, trovano applicazione i seguenti articoli:
- l' art. 2050 cod.civ. che disciplina la "responsabilità per l'esercizio di attività pericolose";
- l'art. 2052 cod.civ., che invece riguarda il "danno cagionato da animali".

Quando il Giudice si trova davanti ad una fattispecie di danno cagionato da attività equestre dovrà dapprima valutare se la stessa rientri nell’ambito di applicazione della prima norma, e successivamente, in caso negativo, valutare se trovi invece applicazione la seconda.

Ebbene, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che l'attività di maneggio non possa considerarsi pericolosa di per sé e sempre, ma che possa diventarlo se ricorrano determinate circostanze.
La Corte di Cassazione ha infatti più volte affermato che l'attività equestre potrà considerarsi pericolosa solo quando esercitata da principianti (“Il gestore del maneggio risponde quale esercente di attività pericolosa, ai sensi dell'art. 2050 c.c., dei danni riportati dai soggetti partecipanti alle lezioni di equitazione, qualora gli allievi siano principianti, del tutto ignari di ogni regola di equitazione, ovvero giovanissimi; nel caso di allievi più esperti, l'attività equestre è soggetta, invece, alla presunzione di responsabilità di cui all'art. 2052 c.c., con la conseguenza che spetta al proprietario od all'utilizzatore dell'animale che ha causato il danno di fornire non soltanto la prova della propria assenza di colpa, ma anche quella che il danno è stato causato da un evento fortuito.” Cassazione civile, sez. III, 19/06/2008, n. 16637) o allievi giovanissimi e inesperti che non possiedono la capacità di controllo delle imprevedibili reazioni dell'animale (Cass. civ. n. 12307/98).

Pertanto, in via del tutto generale, si può dire che l'attività di equitazione non costituisce "attività pericolosa" ex art. 2050 cod.civ. quando la pericolosità del mezzo "cavallo" è attenuata dalle misure di cautela (uso del casco ovvero idonea struttura del maneggio), dal cavaliere esperto, dall'istruttore che a terra impartisce i vari ordini.
Se l'attività viene, invece, considerata "pericolosa" il responsabile del maneggio potrà evitare la condanna soltanto provando di aver adottato tutte le misure necessarie ad evitare il danno.
In altre parole l’art. 2050 c.c. pone una presunzione di responsabilità a carico di chi esercita l'attività pericolosa, superabile solo nel caso venga fornita da questi la "prova positiva" di aver predisposto ogni misura idonea a prevenire l'evento dannoso, di modo che il comportamento del danneggiato o del terzo costituisca solo una causa concorrente al verificarsi dell'evento lesivo.

Quando l’attività di maneggio non costituisce attività pericolosa, la responsabilità dell’esercente verrà valutata secondo quanto disposto dall’art. 2052 cod.civ.
La responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. viene valutata in termini oggettivi, nel senso che non si fonda su un comportamento omissivo o commissivo del proprietario, ma esclusivamente sulla relazione intercorrente tra chi fa uso del cavallo e il cavallo stesso: “L'attività sportiva consistente nella partecipazione ad una lezione di equitazione da parte di allievi dotati di sufficiente esperienza rientra, ai fini della responsabilità civile, nella fattispecie di cui all'art. 2052 c.c., con applicazione della relativa presunzione; spetta, pertanto, al gestore dell'animale (utilizzatore o proprietario) che ha causato il danno fornire non solo la prova della propria assenza di colpa, ma anche quella che il danno è stato cagionato dal caso fortuito, poiché ciò che rileva è la semplice relazione esistente tra il gestore e l'animale e il nesso di causalità tra il comportamento di questo ed il danno. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione che aveva ritenuto il gestore responsabile del danno causato dal calcio improvviso di un cavallo sferrato mentre il gruppo di allievi, sotto la guida dell'istruttore, stava procedendo in fila indiana).” (Cassazione civile, sez. III, 09/03/2010, n. 5664).

Sul piano probatorio, trattandosi di una presunzione di responsabilità e non di una presunzione di colpa, il proprietario o chi si serve dell’animale dovrà fornire la prova positiva del “caso fortuito” al fine di andare esente da responsabilità.

Per caso fortuito si intende ogni fatto del terzo, colpa concorrente o esclusiva del danneggiato ed ogni fattore esterno imprevedibile o inevitabile – estraneo alla sfera soggettiva del proprietario o dell’utilizzatore - che interrompe il nesso causale tra l’evento contestato e il danno subito.
Al danneggiato spetta esclusivamente la prova del nesso causale tra la caduta (o l’evento) e le lesioni subite.

Nel caso in esame, pare a chi scrive – benché il quesito non chiarisca se il cavallo nel caso concreto fosse di proprietà del maneggio o della ragazza – che si rientri nell’ipotesi del 2052 cod. civ., ovvero che non si possa parlare di attività pericolosa dal momento che la cavallerizza aveva oltre dieci anni di esperienza.
Di conseguenza, a fronte della domande risarcitoria della danneggiata, che si sarà evidentemente limitata a dimostrare il nesso di causalità tra le lesioni subite e l’evento, il titolare della scuola di equitazione dovrà dimostrare il “caso fortuito” che, tuttavia, nel caso di specie potrebbe essere costituito dalla volontà della cavallerizza di far correre al galoppo il cavallo pur nella piena consapevolezza che stava disattendendo gli ordini del suo responsabile ed ugualmente nella consapevolezza che – vista la sua pluriennale esperienza - poteva prevedersi qualche evento dannoso correndo a tale velocità.

D’altra parte è forse questo il motivo per il quale, nonostante la copertura assicurativa, la Compagna di Assicurazione non ha voluto procedere al risarcimento.

L’onere della prova non è, in effetti, molto agevole per il responsabile ex art. 2052 cod. civ. ma la più recente giurisprudenza sembra venire in suo aiuto.
Si riportano di seguito stralci di una recente pronuncia di Cassazione, in una fattispecie nella quale l’evento dannoso è stato ritenuto prevedibile da parte di una cavallerizza esperta (nel nostro caso si aggiunge la violazione dell’ordine impartito) e quindi il danno non è stato ritenuto risarcibile: “In data 8 gennaio 2005 P.P. rimase vittima di un incidente di equitazione avvenuto, sotto la guida dell'istruttrice M.M., nelle vicinanze del Centro Ippico La Madonnina in Garfagnana (LO), a distanza di circa un chilometro dal maneggio e su un terreno accidentato, là dove il cavallo, scivolando, fece balzare di sella la stessa P., provocandone la violenta caduta in terra. Sulla scorta di tali fatti, P.P., dunque, convenne in giudizio M.M. ed il Centro Ippico La Madonnina per sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti nel predetto sinistro.
(…)6.1. - L'art. 2052 c.c. radica la responsabilità del proprietario dell'animale (o di chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso) sulla mera relazione di proprietà o di utilizzo dell'animale, nonché sul nesso causale tra il comportamento dell'animale e l'evento dannoso. Fornita la prova di questi due elementi, il convenuto può andare esente da responsabilità - che è di natura oggettiva e prescinde, quindi, dalla colpa solo dimostrando il caso fortuito, costituito da un fattore esterno, che può essere anche il fatto del terzo o il fatto addebitabile esclusivamente allo stesso danneggiato.
Dunque, in base alla disciplina di cui all'art. 2052 c.c. grava sull'attore l'onere di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra l'animale e l'evento lesivo, mentre la prova del fortuito è a carico del convenuto (tra le tante,Cass., 28 luglio 2014, n. 17091). (…)
In armonia con le coordinate giuridiche appena rammentate il giudice d'appello ha escluso la responsabilità dei convenuti in ragione della ritenuta sussistenza del caso fortuito, assumente efficacia causale esclusiva nella produzione del danno (Cass., 15 dicembre 2015, n. 25223), ravvisandolo nel fatto colposo del danneggiato.
Difatti, il giudice del gravame, dapprima, ha escluso che potesse ravvisarsi un evento eccezionale e imprevedibile, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento dell'animale e il fatto causativo del danno, nello scarto stesso del cavallo durante il suo incedere su un terreno accidentato e ghiacciato. La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che proprio lo scivolamento del cavallo sul terreno, in quelle pericolose condizioni morfologiche, costituiva non un evento inusuale, bensì prevedibile e prevenibile; evento che la P., in quanto esperta cavallerizza, avrebbe potuto e dovuto "dominare in ragione della sua esperienza e... padronanza della disciplina equestre".
Di qui, la conclusione - coerente con le premesse in diritto e in linea con la struttura della fattispecie legale di riferimento - che la condotta della cavallerizza rappresentava la causa esclusiva dell'evento dannoso alla medesima occorso, come tale idonea ad integrare il caso fortuito di cui all'art. 2052 c.c..” (Cassazione civile, sez. III, 16/06/2016, n. 12392).

Si ribadisce, quindi, in conclusione che nel caso di specie è possibile vincere la presunzione di responsabilità facendo leva, a titolo di “caso fortuito” sull’autonoma decisione, contraria a quella del responsabile del maneggio (e proprietario del cavallo?), di condurre l’animale ad un andatura maggiormente “pericolosa”.

D. G. chiede
lunedì 14/11/2022 - Friuli-Venezia
“Buongiorno, io e mia moglie siamo proprietari di un fondo agricolo intercluso e per recarci nella nostra proprietà dove teniamo un orto dobbiamo passare sul terreno del vicino, il quale a sua volta ha il diritto di passaggio sul mio terreno per accedere alla pubblica via.
Posso allegare una planimetria per meglio chiarire la situazione.
Il terreno del vicino è recintato e per accedervi c'è un cancello scorrevole, che un tempo era automatico mentre ora è manuale perché l'automatismo è rotto.
I relativi passaggi sono stati definiti anche da due scritture private con i precedenti proprietari.
L'attuale vicino, subentrato circa due anni fa, possiede due alani, oltre ad un cavallo, un pony e vari altri animali.
Gli alani sono normalmente tenuti chiusi in un recinto durante le mattinate, periodo nel quale più frequentemente ci rechiamo nel nostro terreno.
Durante i pomeriggi, o nei giorni festivi, capita però che uno dei due cani sia libero nel loro terreno che noi dobbiamo traversare.
Non sempre è possibile vedere dal cancello se l'alano sia libero o meno.

Capita di trovarci quindi improvvisamente davanti un cane grosso come un vitello che ringhia, finora non ci ha mai attaccati ma non è detto che non possa accadere.
Inoltre l'animale viene liberato anche durante la sera e la notte, impedendoci di fatto di accedere al nostro terreno se lo volessimo fare, magari durante l'estate, per goderci il fresco.

La domanda è questa: possiamo legalmente chiedere al vicino di tenere sempre il passaggio libero dai suoi animali, e non solo nelle mattinate?
In altre parole possiamo esercitare il nostro diritto di passaggio liberamente in qualsiasi momento del giorno o della notte senza dover ogni volta chiedere che il cane sia chiuso e senza rischiare di essere aggrediti da un cane potenzialmente letale?”
Consulenza legale i 21/11/2022
Sotto il profilo dell’esercizio della servitù, il secondo comma dell’art. 1067 del c.c. vieta al proprietario del fondo servente di “compiere alcuna cosa che tenda a diminuire l'esercizio della servitù o a renderlo più incomodo”. Lasciare liberi animali, peraltro pericolosi, ad avviso di chi scrive può essere considerato comportamento tale da rendere più incomodo il passaggio al proprietario del fondo servente.

D’altra parte, la condotta del vicino appare illegittima anche sotto altri profili.
Sempre da un punto di vista civilistico, l’art. 2052 del c.c. sancisce la responsabilità del proprietario di un animale per i danni cagionati dallo stesso, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito.
Per altro verso, l’art. 672 del c.p. sanziona - anche se, oggi, solo con la sanzione amministrativa da euro 25 a euro 258 - la condotta di “chiunque lascia liberi, o non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui posseduti” (il relativo reato contravvenzionale è stato, infatti, depenalizzato).

L’omessa custodia dell’animale può essere, comunque, fonte di responsabilità penale, in particolare a titolo di lesioni personali colpose ex art. 590 del c.p.: “in tema di lesioni colpose, la posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane, discendente anche dalle ordinanze del Ministero della Salute del 3 marzo 2009 e del 6 agosto 2013, impone l'obbligo di controllare e custodire l'animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi” (così Cass. Pen., Sez. IV, sentenza 27/06/2019, n. 31874).

In altri termini, nel nostro caso non viene in considerazione solo la questione del libero esercizio della servitù, ma la stessa tutela del diritto alla salute e all’incolumità personale.
Pertanto, chi ha diritto di esercitare il passaggio sul fondo servente può pretendere che gli animali vengano adeguatamente custoditi durante tutto l’arco del giorno e della notte, con le accortezze necessarie e idonee a scongiurare possibili “assalti”.

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