Nel caso esaminato, il giudice di pace di Agrigento aveva assolto un imputato dal reato di cui all’art. 590 c.p. (lesioni personali), del quale era stato accusato per aver, alla guida della propria autovettura, “omesso di dare precedenza al ciclomotore proveniente da destra”, entrando in collisione con lo stesso, sul quale era trasportato un minore che, a seguito dell’impatto, “aveva riportato frattura alla tibia sinistra”.
Ebbene, secondo il giudice di pace, l’imputato andava assolto, in quanto non vi erano prove sufficienti per ritenerlo responsabile, “tenuto conto delle contrapposte risultanze processuali e dell'assenza di una relazione di intervento delle forze dell'ordine”.
Il Tribunale di Agrigento, pronunciatosi in grado d’appello, aveva, tuttavia, riformato la sentenza di assoluzione, ritenendo l'imputato responsabile del reato in questione.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo il ricorrente, infatti, il Tribunale non avrebbe dato corretta applicazione all’art. 145 Codice della Strada, erroneamente affermando il suo concorso nella causazione del sinistro.
Evidenziava il ricorrente, in particolare, che il Tribunale aveva correttamente ritenuto che egli avesse l’obbligo di dare la precedenza al conducente del ciclomotore, ma non aveva considerato che quest’ultimo, “pur essendo in prossimità di un incrocio, aveva omesso di moderare la velocità e di approssimarsi con prudenza al crocevia (nel quale poi è avvenuto il sinistro), nel quale transitavano pedoni”.
A detta del ricorrente, dunque, “il conducente del ciclomotore aveva sì diritto alla precedenza, ma, avendo tenuto condotta di guida negligente, era stato causa principale ed esclusiva del sinistro”, nel senso che l’imputato “aveva proceduto la sua marcia, in quanto certo (della conclusione della manovra prima del sopraggiungere del ciclomotore, e, quindi) della c.d. precedenza di fatto o cronologica”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione all’imputato, rigettando il relativo ricorso.
Osservava la Cassazione, in proposito, che il Tribunale di Agrigento, nel riformare la sentenza di primo grado, aveva ritenuto “ampiamente provata” la penale responsabilità dell'imputato, dal momento che, dagli accertamenti effettuati in corso di causa, era emerso che l’imputato aveva avuto l’obbligo di dare la precedenza al conducente del ciclomotore.
Evidenziava la Cassazione, inoltre, che “il conducente che impegna un incrocio senza diritto di precedenza può invocare, come esimente di responsabilità per il sinistro causato, la precedenza cronologica, cosiddetta ‘di fatto’ solo a condizione che sussistano le condizioni per effettuare l'attraversamento con assoluta sicurezza e senza porre in essere alcun rischio per la circolazione”.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, l’ipotesi della cosiddetta “precedenza di fatto” ha “carattere assolutamente eccezionale” e sussiste solo nei casi in cui “l'attraversamento del crocevia possa essere operato in condizioni di assoluta sicurezza”.
Nel caso di specie, invece, secondo la Cassazione “non ricorreva alcuna ipotesi di precedenza cronologica”, dal momento che il ciclomotore “rientrava pienamente nel potenziale campo visivo” dell’imputato e, per di più, era stato avvistato da un testimone oculare (che era seduto nel sedile anteriore dell’auto), il quale aveva riferito di aver visto il ciclomotore “aggirare un gruppo di pedoni in prossimità dell'esercizio commerciale “(…)”, situato a circa 15 metri di distanza dal luogo dell'impatto e di aver avvisato il conducente”.
Precisava la Cassazione, inoltre, che il Tribunale aveva esaminato attentamente la condotta del conducente del ciclomotore, osservando che, in effetti, questi aveva “omesso di moderare la velocità e di approssimarsi con prudenza al crocevia in cui era avvenuto il sinistro” ma che, “in via generale, non è configurabile un legittimo affidamento sull'altrui ottemperanza agli obblighi stabiliti dalla legge in tema di circolazione stradale”.
L’art. 145 C.d.S., infatti, nel sancire il generale obbligo di tutti i conducenti che si apprestino ad attraversare un’intersezione, “di usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti, pone una regola di diligenza volta a far fronte a situazioni di pericolo determinate anche da comportamenti illeciti o imprudenti altrui e la cui violazione costituisce una condotta negligente”.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, la condotta del conducente il ciclomotore si era posta come “concausa” rispetto alla produzione del sinistro, ma non era stata idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e l’evento lesivo in contestazione.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.