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Articolo 395 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Casi di revocazione

Dispositivo dell'art. 395 Codice di procedura civile

Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in un unico grado (1), possono essere impugnate per revocazione:

  1. 1) se sono l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra (2);
  2. 2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza;
  3. 3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario;
  4. 4) se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare (3);
  5. 5) se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata [324], purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione;
  6. 6) se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

Note

(1) Il riferimento alle sentenze emesse in unico grado va qui inteso in senso ampio comprendendo non solo le sentenze inappellabili ex lege, ma anche quelle per le quali sia decorso inutilmente il termine per promuovere l'appello, sempre che si tratti di revocazione straordinaria (v. art. 396). Inoltre, ai sensi dell'art. 391bis, la revocazione per errore di fatto può avere ad oggetto anche le sentenze della Corte di Cassazione.
(2) La Corte cost., con sent. 20 febbraio 1995, n. 51 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 395, prima parte e numero 1, c.p.c. "nella parte in cui non prevede la revocazione avverso i provvedimenti di convalida di sfratto per morosità che siano l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra".
(3) La Corte cost., con sent. 30 gennaio 1986, n. 17, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 395 prima parte e n. 4, "nella parte in cui non prevede la revocazione di sentenze della Corte di cassazione rese su ricorsi basati sul n. 4 dell'art. 360 e affette dall'errore di cui al n. 4 dell'art. 395". La Corte cost., con sent. 20 dicembre 1989, n. 558, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 395, prima parte e n. 4 "nella parte in cui non prevede la revocazione per errore di fatto avverso i provvedimenti di convalida di sfratto o licenza per finita locazione emessi in assenza o per mancata opposizione dell'intimato"; la Corte ha inoltre dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 395 prima parte e del n. 4, ai sensi dell'art. 27 l. 11 marzo 1953, n. 87, "là dove non prevede la revocazione per errore di fatto per i provvedimenti di convalida di sfratto per morosità emessi sui medesimi presupposti". La Corte cost., con sent. 31 gennaio 1991 n. 36, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 395, n. 4, "nella parte in cui non prevede la revocazione di sentenze della Corte di cassazione per errore di fatto nella lettura di atti interni al suo stesso giudizio".

Ratio Legis

La revocazione mira ad ottenere una nuova valutazione della controversia da parte dello stesso giudice che ha adottato la sentenza impugnata (art. 398 del c.p.c.), in presenza di circostanze non valutate o non correttamente valutate al momento della decisione. Oggetto di revocazione possono essere non solo le sentenze, ma anche altri provvedimenti aventi un contenuto decisorio quali ad es. il decreto ingiuntivo (art. 656 del c.p.c.), i lodi arbitrali (art. 831 del c.p.c.).

Brocardi

Machinatio
Res iudicata

Spiegazione dell'art. 395 Codice di procedura civile

La revocazione ordinaria costituisce un mezzo di gravame di carattere eccezionale, che si affianca all'appello o al ricorso per cassazione.
In particolare, viene definita come un'impugnazione a critica vincolata, poiché può proporsi solo per i motivi tassativamente indicati dalla legge.
La sua eccezionalità esclude che possano dedursi motivi di nullità relativi alle pregresse fasi processuali, i quali restano deducibili solo con gli ordinari mezzi di impugnazione.

A differenza del ricorso per cassazione, la revocazione investe la giustizia e non la legalità del provvedimento impugnato, il quale, pertanto, si suppone essere stato legalmente emesso.
Il giudizio sulla revocazione si divide in due distinte fasi e precisamente la fase del judicium rescindens e quella del judicium rescissorium.
Nel corso della prima fase il giudice deve limitarsi ad accertare, anche d’ufficio e senza necessità di una sollecitazione della parte, se ricorra uno dei motivi per i quali è ammessa la revocazione, nonché se fra il motivo accertato come idoneo e la decisione impugnata esista un nesso di causalità.
La fase rescissoria, invece, tende alla sostituzione dell'una sentenza all'altra.

La revocazione, inoltre, può essere ordinaria o straordinaria.
In particolare, la prima figura è caratterizzata dal fatto che i motivi di impugnazione attengono alla mera sentenza, e pertanto la sua proposizione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza medesima, dalla cui notificazione (o pubblicazione) decorrono i termini previsti dagli artt. 325 e 327 c.p.c.

Nella seconda ipotesi, i motivi di gravame possono essere denunziati anche oltre i limiti temporali previsti per il passaggio in giudicato della sentenza, e quindi in un termine decorrente dalla concreta rilevabilità del vizio stesso.

Per effetto del combinato disposto degli artt. 395 e 396 c.p.c., la revocazione è ammessa soltanto contro le sentenze pronunziate in grado di appello o in un unico grado; la sentenza di primo grado è suscettibile di revocazione solo quando sia scaduto il termine per l'appello e si tratti di revocazione, c.d. straordinaria, per i motivi di cui all'art. 395, nn. 1, 2, 3 e 6.

La revocazione, inoltre, si ritiene esperibile contro provvedimenti che, pur non rivestendo la forma della sentenza, abbiano comunque contenuto decisorio.
Ne costituisce un esempio l'ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione e/o per morosità emessa in assenza o per mancata opposizione dell'intimato, mentre si esclude, in via generale, la possibilità di esperire revocazione avverso i provvedimenti sommari.

A seguito degli interventi della Corte Costituzionale, sono ora soggette a revocazione anche le sentenze della Corte di Cassazione, se viziate da errori di fatto e rese su ricorsi fondati su uno qualsiasi dei motivi di cui all'art. 360 del c.p.c..

Sotto il profilo del contenuto, sono impugnabili sia le sentenze definitive, che quelle non definitive, siano esse di merito o di rito.


Verranno adesso analizzati i singoli motivi di revocazione, cominciando dal primo di essi, ossia il dolo di una parte in danno dell'altra.

Si esclude il dolo bilaterale, poiché in tal caso difetta il requisito soggettivo, da intendersi nel senso di "volontarietà" di una parte nei confronti dell'altra.
Inoltre, il dolo qui previsto si distingue dal dolo contrattuale, per il quale sono previsti altri rimedi.
Ricorre dolo revocatorio nel caso in cui la parte ponga in essere artifizi e raggiri tali da pregiudicare concretamente il potere di difesa avversario e la possibilità in capo al giudicante di accertare la verità.
Ovviamente, non deve trattarsi di quello che si definisce dolus bonus, ossia la semplice furbizia posta in essere da una delle parti, ma di vero e proprio dolus malus, inteso come fatto idoneo a sviare il convincimento del giudice.
Inoltre, è richiesta la sussistenza di un rapporto di causa/effetto tra il dolo posto in essere e la sentenza resa, nel senso che l'elemento viziato dal dolo deve essere quello in base al quale si è formata la decisione e la susseguente deliberazione del magistrato.

Colui il quale agisce in revocazione ha l'onere di provare il dolo ed il momento in cui il dolo è stato scoperto, al fine di valutare la tempestività della proposizione dell'impugnazione.
Per il raggiungimento di tale prova può essere utilizzato qualunque mezzo, ad eccezione del giuramento decisorio, poiché, secondo il disposto dell’art. 2739 del c.c., tale strumento non può essere riferito su fatti illeciti.

Il secondo motivo di revocazione attiene all’ipotesi in cui la falsità attenga a prove che abbiano concorso alla formazione del convincimento del giudice, purché tale falsità sia stata riconosciuta o dichiarata dopo la pronuncia del giudice.
Il concetto di "prova" deve essere inteso in senso strettamente strumentale rispetto alle domande ed alle eccezioni processuali.
Vengono in considerazione, pertanto, tutte le prove che siano state raccolte nel processo, tranne il giuramento decisorio, ex art. 2738 del c.c., per la cui dichiarazione di falsità è ammessa la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni.
La fattispecie attiene alle prove riconosciute o dichiarate false dopo la sentenza, ovvero le prove che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza medesima.
E’ poi richiesto che la falsità emerga da una sentenza penale o civile, passata in giudicato.

Il successivo n. 3 fa riferimento alla categoria dei documenti, i quali si identificano con qualsiasi oggetto idoneo e destinato a fissare in qualunque forma un fatto storico, al fine di rappresentarlo in futuro.
Si considera decisivo il documento dal quale risultino fatti tali che se il giudice li avesse potuti prendere in considerazione, la decisione sarebbe stata diversa.
Viene considerato documento decisivo anche la sentenza passata in giudicato.

L'apprezzamento del giudice in relazione all'efficacia probatoria del documento ed alla sua decisività costituisce giudizio di fatto, il quale rientra nei poteri del giudice di merito, come tale incensurabile in sede di legittimità se sorretto da sufficiente e coerente motivazione.
Condizione essenziale perché possa ammettersi la revocazione è che il documento decisivo preesista alla decisione impugnata, mentre non può considerarsi sufficiente che anteriore alla decisione sia il fatto rappresentato dal documento medesimo; inoltre, il requisito della preesistenza deve sussistere per tutte le fasi del precedente giudizio di merito, compresa la fase d'appello.
L'impossibilità di produrre in giudizio il documento, perché possa essere giustificata, deve dipendere da cause di forza maggiore o da fatto dell'avversario e non deve essere imputabile al soccombente.

Il n. 4 ammette il ricorso per revocazione quando la sentenza è frutto di un errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa.
Deve trattarsi di errore nella percezione e non di un errore di valutazione, in particolare di errore su un fatto non controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure errore su un fatto supposto inesistente, ma la cui verità invece, è positivamente stabilita e accertata.

Altro requisito del fatto del quale è esclusa la verità o è supposta l'inesistenza è che tale questione non abbia costituito un punto controverso della decisione; tale circostanza distingue il rimedio del ricorso per revocazione dal ricorso per cassazione, il quale ultimo involge valutazioni in ordine ad un preteso inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, che, dunque, integrano un errore di giudizio.

Caratteristica dell'errore di fatto è la sua decisività, ossia la circostanza che tra l'erronea percezione del giudice e la pronuncia che lo stesso ha emesso deve sussistere un rapporto causale tale che, senza l'errore, la pronuncia medesima sarebbe stata diversa.
Da ciò se ne fa conseguire che non può essere revocata una sentenza, fondata su più ragioni concorrenti, qualora una sola di esse venga censurata per errore di fatto.

Integra, ad esempio, un errore revocatorio l'errore aritmetico, implicante un travisamento di fatti, quale può essere l'errore del giudice che, in sede di liquidazione delle spese processuali, ritenga non esplicate alcune prestazioni procuratorie e difensive, risultanti invece dagli atti effettivamente esplicate.

La sussistenza dell'errore revocatorio è rimessa all'apprezzamento del giudice di merito e come tale è incensurabile in cassazione, se sorretto da congrua motivazione.

Altro motivo di revoca­zione ordinaria è la incompatibilità della statuizione con altra sentenza che ha tra le parti autorità di giudicato.
Tale fattispecie è configurabile solo nel caso in cui la revocazione non abbia già pronunciato sull'eccezione di cosa giudicata e quindi se l'eccezione non sia già stata fatta valere nel corso del precedente giudizio.
Affinché la sentenza possa dirsi contraria ad un precedente giudicato, è necessario che tra i due giudizi esista identità di soggetti e di oggetto, ossia che la precedente sentenza abbia ad oggetto il medesimo fatto o un fatto ad esso antitetico, e non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico.
L'esperibilità di questo rimedio non è consentita allorché vi sia stata pronuncia sull'eccezione di giudicato ovvero con riferimento alle sentenze emesse dalla Corte di Cassazione, stante la mancata inclusione di tale vizio fra quelli previsti dall’ art. 391 bis del c.p.c. e dall’art. 391 ter del c.p.c..

Il n. 6 prevede quale ultimo motivo di revocazione il dolo del giudice, ipotesi questa di eccezionale gravità, che non risulta essere mai stata applicata.
Si tratta dei casi in cui il giudice abbia tenuto un comportamento scientemente, volutamente ed illegittimamente a favore di una parte, violando in tal modo il suo dovere di imparzialità.

Considerata la gravità di tale motivo di revocazione, per la sua configurazione è necessario che il dolo del giudice venga accertato con sentenza penale passata in giudicato e che il giudice chiamato a pronunciarsi sulla revocazione debba attenersi alla sentenza che ha condannato il giudice in sede penale.

Il nesso di causalità fra il dolo o la collusione, l'inganno del Giudice e la sentenza ingiusta, deve essere di natura psicologica e non giuridica, poiché in quest’ultimo caso la sentenza sarebbe frutto di un errore, e l'errore costituisce vizio della volontà.

Massime relative all'art. 395 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 38230/2021

In tema di revocazione, il contrasto di giudicati previsto dall'art. 395, n. 5), c.p.c., sussiste qualora tra le due controversie vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende processuali sussista un'ontologica e strutturale concordanza degli estremi identificativi dei due giudizi, nel senso che la precedente sentenza deve avere ad oggetto il medesimo fatto o un fatto ad essa antitetico, non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico, sempre che la relativa eccezione di giudicato non sia stata proposta innanzi al giudice del secondo giudizio, giacché, in caso contrario, non si verte in tema di contrasto di giudicati, ma ricorre un vizio di motivazione denunciabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MESSINA, 07/07/2016).

Cass. civ. n. 16439/2021

L'errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l'esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l'altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l'esistenza o l'inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa. (Nella specie, la S.C. ha affermato il principio escludendo il vizio revocatorio in un giudizio per cassazione nel quale era stato omesso il rilievo che il controricorso era stato notificato alla parte personalmente, anzichè al procuratore nel domicilio eletto). (Dichiara inammissibile, CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA, 21/01/2019).

Cass. civ. n. 1562/2021

L'affermazione contenuta nella sentenza circa l'inesistenza, nei fascicoli processuali (d'ufficio o di parte), di documenti che, invece, risultino esservi incontestabilmente inseriti (nella specie fatture per costi ritenuti indeducibili per difetto di inerenza, non prodotti in giudizio secondo la C.T.R.), non si concreta in un errore di giudizio, bensì in una mera svista di carattere materiale, costituente errore di fatto e, quindi, motivo di revocazione a norma dell'art. 395, n. 4, c.p.c., e non di ricorso per cassazione. (Cassa con rinvio, COMM.TRIB.REG. MILANO, 11/12/2013).

Cass. civ. n. 8114/2020

Qualora la sentenza di merito di accoglimento dell'opposizione a decreto ingiuntivo sia cassata con rinvio, in caso di mancata riassunzione del processo nel termine prescritto non trova applicazione l'art. 653 c.p.c., secondo cui a seguito dell'estinzione del processo di opposizione il decreto che non ne sia munito acquista efficacia esecutiva, bensì il disposto dell'art. 393 c.p.c., alla stregua del quale all'omessa riassunzione consegue l'estinzione dell'intero procedimento e, quindi, anche l'inefficacia del provvedimento monitorio; in tale ipotesi, l'erroneità della declaratoria di esecutorietà del decreto ingiuntivo inefficace deve essere fatta valere con l'opposizione all'esecuzione e non con la revocazione ex art. 395, comma 1, n. 5, c.p.c., strumento utilizzabile quando il provvedimento revocando sia in contrasto col giudicato precedente e non con quello formatosi successivamente. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BARI, 29/08/2017).

Cass. civ. n. 5049/2020

L'interpretazione extratestuale del titolo esecutivo giudiziale è consentita purché avvenga sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo e l'esito non sia tale da attribuire al titolo una portata contrastante con quanto risultante dalla lettura congiunta di dispositivo e motivazione, mentre il contrasto tra il tenore del titolo rispetto a elementi extratestuali oggettivamente discordanti può essere, eventualmente, emendata, secondo i rispettivi presupposti e limiti temporali, o con il ricorso al procedimento di correzione presso lo stesso giudice che ha emesso il provvedimento impugnato o attraverso l'impugnazione per revocazione. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO PALERMO, 06/05/2013).

Cass. civ. n. 1163/2020

Nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'"id quod plerumque accidit", sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza. (Nella specie, la S.C. ha escluso che rispondesse ai requisiti di cui all'art. 2729 c.c. la decisione di merito secondo la quale, ai fini dell'accertamento del danno da perdita della capacità di produrre reddito, l'intenzione dell'attore di astenersi dalla ricerca di un'occupazione per il resto della propria vita potesse desumersi dal mancato inserimento, nella richiesta di iscrizione nelle liste di collocamento, della dichiarazione di disponibilità a svolgere attività lavorativa, circostanza verificatasi quando egli aveva appena ventitré anni). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TORINO, 14/12/2016).

Cass. civ. n. 29634/2019

In tema di revocazione, ai fini della configurabilità dell'errore di fatto di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c. tra gli "atti e documenti della causa" dai quali l'errore stesso deve risultare, vanno compresi – in attuazione dei principi del giusto processo e di effettività della difesa – gli atti e i documenti attinenti alla causa e ritualmente depositati dalla parte interessata, pur se, per mero disguido della cancelleria non imputabile alla parte stessa, essi siano stati inseriti in diverso fascicolo d'ufficio. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto affetta da errore revocatorio la pronuncia della Corte di cassazione la quale abbia dichiarato improcedibile un ricorso non presente in atti, allorché risulti che lo stesso fosse stato ritualmente depositato ma, a causa di un disguido di cancelleria, introdotto in un fascicolo d'ufficio non pertinente).

Cass. civ. n. 26890/2019

L'errore di fatto previsto dall'art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l'inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga a un'errata valutazione delle risultanze processuali. (Nella specie, la S.C. ha escluso che costituisca vizio revocatorio l'errata lettura del contenuto di fonti convenzionali regolatrici del rapporto tributario, con le quali siano riconosciuti al contribuente benefici ed esenzioni, in quanto oggetto di controversia e implicanti la valutazione del giudice).

Cass. civ. n. 13987/2019

In tema di impugnazioni, avverso la sentenza d'appello che non tenga conto del giudicato formale intervenuto prima del suo deposito, a differenza di quanto avviene nell'ipotesi di giudicato sopravvenuto rispetto a tale momento, deve essere proposta revocazione ex art. 395 n. 5 c.p.c., e non ricorso per cassazione, in quanto l'esaurimento della fase di merito si ha solo con il deposito della decisione di secondo grado, sicché nel corso del giudizio di gravame il giudicato esterno può essere dedotto con la produzione della sentenza munita di attestato di definitività, anche mediante un'apposita istanza che consenta la rimessione della causa sul ruolo.

Cass. civ. n. 8630/2019

L'inammissibilità della revocazione delle decisioni della Corte di cassazione ai sensi dell'art. 395 n. 5 c.p.c. non si pone in contrasto - oltre che con i principi di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost. - con il diritto dell'Unione europea, non recando alcun "vulnus" al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, atteso che la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia riconosce l'importanza del principio della cosa giudicata, rimettendone la concreta attuazione all'autonomia processuale dei singoli Stati membri.

Cass. civ. n. 5144/2019

In tema di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., l'impugnazione deve essere presentata, a pena d'inammissibilità, entro trenta giorni dalla scoperta (o del ritrovamento) dei documenti assunti come decisivi non potuti produrre nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, identificandosi il "dies a quo" non nella materiale apprensione dei medesimi, bensì nell'acquisizione di un grado di conoscenza del loro contenuto sufficiente a valutarne la rilevanza revocatoria. L'accertamento del momento dal quale detta impugnazione può essere proposta costituisce un giudizio di fatto spettante, in via esclusiva, al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per vizi di motivazione, nella misura in cui siano rilevanti ex art. 360, n. 5, c.p.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di appello che aveva fatto decorrere il termine per agire in revocazione dalla comunicazione alla parte di alcuni documenti e non da quando essa aveva avuto la disponibilità della relativa perizia esplicativa, poiché la stessa parte si era doluta del fatto che la causa fosse stata decisa in assenza di tali documenti, la rilevanza dei quali era, quindi, già a lei nota).

Cass. civ. n. 27622/2018

L'inammissibilità della revocazione delle decisioni, anche della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., per errore di fatto, qualora lo stesso abbia costituito un punto controverso oggetto della decisione, ricorre solo ove su detto fatto siano emerse posizioni contrapposte tra le parti che abbiano dato luogo ad una discussione in corso di causa, in ragione della quale la pronuncia del giudice non si configura come mera svista percettiva, ma assume necessariamente natura valutativa, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio.

Cass. civ. n. 14810/2017

Non è riconducibile all’ipotesi di revocazione ex art. 395, n. 3), c.p.c. il caso di riconoscimento, nel corso di una deposizione testimoniale resa in un successivo giudizio penale, dell’autenticità della sottoscrizione apposta sulla copia fotografica di un contratto preliminare già oggetto di disconoscimento in un giudizio civile oramai definito, giacché in simile evenienza si è in presenza non già del rinvenimento di un nuovo documento decisivo preesistente alla decisione passata in giudicato, ma della successiva acquisizione, da parte di un documento (copia fotostatica) già presente all'interno dell'incartamento processuale, di un'efficacia probatoria in precedenza esclusa, per esserne stata espressamente disconosciuta la conformità all'originale.

Cass. civ. n. 3591/2017

L'ipotesi di revocazione di cui al n. 3) dell'art. 395 c.p.c. presuppone che un documento decisivo preesistente alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto a suo tempo produrre per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione, sicché non può essere utilmente invocata facendo riferimento ad un documento che solo dopo la decisione è divenuto decisivo, quale la sentenza che, pur essendo stata emessa prima, è passata in giudicato dopo quella da revocare e che, pertanto, al momento dell'adozione di quest'ultima, era sprovvista di efficacia vincolante e rimessa al libero apprezzamento del giudice.

Cass. civ. n. 3200/2017

In tema di revocazione, l’art. 395, n. 4, c.p.c. circoscrive la rilevanza e decisività dell'errore di fatto al solo caso in cui la decisione sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa ovvero sull'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza abbia pronunciato. Pertanto, la circostanza che un certo fatto non sia stato considerato dal giudice non implica necessariamente che quel fatto sia stato espressamente negato nella sua materiale esistenza (potendo, invece, esserne stata implicitamente negata la rilevanza giuridica ai fini del giudizio), perché, altrimenti, si ricondurrebbe all'ambito del giudizio per revocazione, piuttosto che nell’ordinario giudizio di impugnazione, ogni fatto che non sia stato espressamente considerato nella motivazione giudiziale, tanto più che l’art. 111 Cost. non impone di prevedere quale causa di revocazione l’errore di giudizio o di valutazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione impugnata che aveva ritenuto sussistenti i presupposti della revocazione per la mancata valutazione della determinazione di un commissario “ad acta”, estensiva anche alle case di cura che non fossero state parti del relativo giudizio amministrativo della remunerazione delle loro prestazioni sulla base delle tariffe nazionali di cui al d.m. Sanità del 14 giugno 1994).

Cass. civ. n. 17847/2016

Le prescrizioni in tema di distanze tra costruzioni contenute negli strumenti urbanistici locali hanno valore di norme giuridiche, sicché l'erronea percezione del contenuto di documenti che le riproducono costituisce errore di diritto, inqualificabile come vizio revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c.

Cass. civ. n. 10028/2016

La nullità della notificazione del ricorso per cassazione, non rilevata in sede di legittimità, non è soggetta al principio di conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione di cui all'art. 161 c.p.c. e, per l'effetto, non è deducibile in sede di giudizio di rinvio conseguente a sentenza rescindente, potendo, per converso, ove mai non rilevata per errore meramente percettivo nel controllo degli atti del processo, risultare oggetto di ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c..

Cass. civ. n. 9652/2016

L'impugnazione per revocazione correlata, a norma dell'art. 395, n. 3, c.p.c., al ritrovamento di documenti non potuti produrre nel giudizio conclusosi con la pronuncia della sentenza impugnata, deve essere proposta a pena di inammissibilità, a norma degli artt. 325 e 326 c.p.c., entro trenta giorni dalla data della scoperta dei documenti medesimi e l'onere della prova dell'osservanza del termine, e quindi della tempestività e dell'ammissibilità dell'impugnazione, incombe alla parte che questa abbia proposto, la quale deve indicare in citazione, a pena d'inammissibilità della revocazione, le prove di tali circostanze, nonché del giorno della scoperta o del ritrovamento del documento.

Cass. civ. n. 22506/2015

In tema di impugnazioni, qualora il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata ivi eccepita dalla parte interessata, la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione.

Cass. civ. n. 21912/2015

Avverso la sentenza di rigetto pronunciata dalla Corte di cassazione non è ammissibile l'impugnazione per revocazione ex art. 395, n. 3, c.p.c., questo mezzo essendo proponibile solo avverso la sentenza della Corte che abbia deciso la causa nel merito.

Cass. civ. n. 20587/2015

L'ipotesi di revocazione di cui al n. 3 dell'art. 395 c.p.c. presuppone che un documento preesistente alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto produrre a suo tempo per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione, sicché essa non può essere utilmente invocata con riferimento a un documento formato dopo la decisione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva rigettato la domanda in revocazione trattandosi di documento - formato nel 2010 -successivo alla sentenza impugnata, emanata nel 2006, avente ad oggetto il decesso per neoplasia di altro lavoratore addetto al montaggio di componenti in amianto).

Cass. civ. n. 19233/2015

Il ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c. non può avere ad oggetto la sentenza di primo grado quando vi sia già pronuncia, pur solo in rito, del giudice di secondo grado, perché il sistema delineato dagli artt. 395 e 396 c.p.c. esclude il rimedio revocatorio contro la sentenza di primo grado tempestivamente appellata.

Cass. civ. n. 3362/2015

L'ipotesi di revocazione di cui al n. 3) dell'art. 395 cod. proc. civ. presuppone che un documento preesistente alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto a suo tempo produrre per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione, atteso l'uso dell'espressione "sono stati trovati" contenuta nel citato n. 3), alla quale fa riscontro il termine "recupero" adottato nei successivi artt. 396 e 398 cod. proc. civ., mentre è irrilevante che il documento faccia riferimento a fatti antecedenti alla sentenza stessa e sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione; ne consegue che detta ipotesi di revocazione non può essere utilmente invocata facendo riferimento a un documento formato dopo la decisione.

Cass. civ. n. 24334/2014

L'errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione non soltanto deve essere la conseguenza di una falsa percezione di quanto emerge direttamente dagli atti, concretatasi in una svista materiale o in un errore di percezione, ma deve anche avere carattere decisivo, nel senso di costituire il motivo essenziale e determinante della pronuncia impugnata per revocazione. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso per revocazione proposto avverso una propria sentenza per errore di fatto, consistente nell'esame di un quesito diverso da quello formulato, evidenziando che nel provvedimento impugnato erano state comunque valutate le questioni complessivamente poste con il ricorso, sicché la controversia era stata decisa sulla scorta di ragioni giuridicamente e logicamente sufficienti a giustificare la decisione).

Cass. civ. n. 23445/2014

L'errore sul computo del termine annuale per la proposizione di impugnazione può integrare un errore revocatorio, rilevante ai sensi del n. 4 dell'art. 395 cod. proc. civ., atteso che esso riguarda un fatto interno alla causa e si risolve in una falsa percezione dei fatti rappresentati dalle parti, costituendo il rilievo del "dies ad quem" e l'applicazione del calendario comune - adempimenti indispensabili per valutare la tempestività dell'impugnazione - elementi facilmente riscontrabili dalla lettura degli atti da parte del giudice.

Cass. civ. n. 22517/2014

Nel giudizio di cassazione, ove si adduca la falsità degli atti del procedimento di merito (nella specie, per asserita falsità delle sottoscrizioni del mandato relativo all'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado), la querela di falso va proposta in via principale, in quanto l'impugnazione per revocazione ex art. 395, primo comma, n. 2, cod. proc. civ., costituisce, una volta accertata la falsità dell'atto in questione, il solo mezzo per rescindere la sentenza fondata su atti dichiarati falsi, non potendosi dare luogo, nello stesso giudizio di cassazione, ad una mera declaratoria di "invalidità e/o nullità dei precedenti gradi di merito".

Cass. civ. n. 22159/2014

Ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione per revocazione straordinaria, ai sensi dell'art. 395, n. 3, cod. proc. civ., è necessario non solo il rispetto dei termini di cui agli artt. 325 e 326 cod. proc. civ., ma anche che la parte indichi nel ricorso sia le ragioni che hanno impedito all'istante di produrre i documenti rinvenuti in ritardo sia quelle relative alla decisività dei documenti stessi, incombendo sulla parte che si sia trovata nell'impossibilità di produrre i documenti asseritamente decisivi nel giudizio di merito, l'onere di provare - con particolare rigore soprattutto quando si tratti di documenti esistenti presso una P.A., facilmente reperibili dai dipendenti - che l'ignoranza dell'esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava non è dipesa da colpa o negligenza, ma dal fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore.

Cass. civ. n. 12875/2014

Il dolo processuale di una delle parti in danno dell'altra in tanto può costituire motivo di revocazione della sentenza, ai sensi dell'art. 395, n. 1, cod. proc. civ., in quanto consista in un'attività deliberatamente fraudolenta, concretantesi in artifici o raggiri tali da paralizzare, o sviare, la difesa avversaria ed impedire al giudice l'accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale. Ne consegue che non sono idonei a realizzare la suddetta fattispecie la semplice allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio su fatti decisivi della controversia o la mancata produzione di documenti, che possono configurare comportamenti censurabili sotto il diverso profilo della lealtà e correttezza processuale, ma non pregiudicano il diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall'ordinamento al fine di pervenire all'accertamento della verità.

Cass. civ. n. 12162/2014

In tema di revocazione, l'ipotesi prevista dall'art. 395, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., laddove presuppone il ritrovamento, dopo la sentenza, di uno o più documenti decisivi non prodotti in giudizio per causa di forza maggiore, si riferisce ad un avvenimento straordinario, in nessun modo riconducibile ad un comportamento negligente della parte, sicché non è configurabile nel caso di omessa produzione in giudizio del ricorso introduttivo personalmente sottoscritto dal contribuente, sul quale incombe l'onere di controllarne l'effettivo deposito.

Cass. civ. n. 12121/2014

La sentenza dichiarativa di fallimento, in quanto impugnabile, non è suscettibile di ricorso per revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., proponibile solo nei confronti delle sentenze pronunciate in unico grado o in grado d'appello.

Cass. civ. n. 12000/2014

In tema di revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 3, cod. proc. civ., la forza maggiore si concreta nell'ignoranza assoluta ed incolpevole del documento, requisito insussistente ove il documento, nella disponibilità della parte e da questa consegnato al difensore, non sia stato prodotto in giudizio per strategia difensiva, insuscettibile di trasformarsi in forza maggiore neppure per il decesso del difensore, avvenuto durante il termine per l'appello.

Cass. civ. n. 9865/2014

In tema di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 3, cod. proc. civ., la sentenza pronunciata dopo il passaggio in giudicato della sentenza da revocare, anche quando i fatti in essa accertati siano preesistenti a quest'ultima, non costituisce atto idoneo poiché è necessario che il documento decisivo, non potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, preesista alla sentenza impugnata.

Cass. civ. n. 4118/2014

Non ricorre un errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui all'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., nella pronuncia di legittimità che, decidendo nel merito, abbia ritenuto non necessari ulteriori accertamenti di fatto, trattandosi, quand'anche risulti errata, di una violazione di legge nell'applicazione dell'art. 384 cod. proc. civ. e quindi di un errore di giudizio e non di un travisamento del fatto.

Cass. civ. n. 2412/2014

La circostanza che il giudice di merito abbia pronunciato la sentenza sulla base di un documento che si assume non utilizzabile, perché non ritualmente prodotto in giudizio, ove non vi sia controversia sulla irritualità della produzione, integra un vizio revocatorio denunciabile solo ai sensi dell'art. 395 cod. proc. civ.

Cass. civ. n. 1657/2014

Il "punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare", ai sensi dell'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., è, in caso di errore vertente su fatto probatorio qual è la dichiarazione di un teste, il fatto probatorio stesso e non quello oggetto della prova.

Cass. civ. n. 155/2014

L'istanza di revocazione, prevista dall'art. 395, n. 5, cod. proc. civ., per essere la sentenza da revocare contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, è ammissibile solo quando si tratta di giudicato risultante da un giudizio separato e sempre che, con la sentenza da revocare, il giudice non abbia pronunciato sull'eccezione di giudicato esterno; quando il contrasto con un precedente giudicato si riferisce ad una sentenza pronunciata nell'ambito dello stesso giudizio, il rimedio contro la violazione del giudicato interno è quello del ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.

Cass. civ. n. 25761/2013

Il silenzio su fatti decisivi può integrare gli estremi del dolo processuale revocatorio, rilevante ai fini ed agli effetti di cui all'art. 395, primo comma, numero 1), c.p.c., a condizione che esso costituisca elemento essenziale di una macchinazione fraudolenta diretta a trarre in inganno la controparte e idonea, in relazione alle circostanze, a sviarne o pregiudicarne la difesa e a impedire al giudice l'accertamento della verità.

Cass. civ. n. 22080/2013

L'errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi un una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali. Ne consegue che il vizio con il quale si imputa alla sentenza un'erronea valutazione delle prove raccolte è, di per sé, incompatibile con l'errore di fatto, essendo ascrivibile non già ad un errore di percezione, ma ad un preteso errore di giudizio.

Cass. civ. n. 21255/2013

In virtù dei principi costituzionali del giusto processo e dell'effettività della tutela giurisdizionale, la previsione di cui all'art. 395, numero 6), c.p.c. deve essere interpretata nel senso di non inibire alla parte, vittima di una sentenza pronunciata da giudice corrotto, la possibilità di agire direttamente per il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., allorché ricorra una situazione di oggettiva carenza di interesse ad avvalersi dell'impugnazione straordinaria, in ragione sia dell'impossibilità di soddisfare, attraverso l'eventuale pronuncia resa all'esito della fase rescissoria della revocazione, le pretese già in precedenza azionate in giudizio, sia della sopravvenienza di un fatto - nella specie, la conclusione di un contratto di transazione, stipulato nell'ignoranza della vicenda corruttiva - che esplichi effetto preclusivo in ordine alla attitudine della sentenza, frutto di corruzione, ad assumere autorità di cosa giudicata.

Cass. civ. n. 20905/2013

In tema di revocazione ordinaria, i vizi di cui ai numeri 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c. hanno carattere palese, ossia debbono essere riconoscibili alla semplice lettura della motivazione da parte del soccombente, con la conseguenza che l'impugnazione - atteso il carattere eccezionale della revocazione, non suscettibile di interpretazione estensiva - è ammissibile solo ove detti vizi risultino immediatamente rilevanti ai fini decisori. Ne consegue, inoltre, che l'art. 398, quarto comma, c.p.c., come modificato dall'art. 68 della legge 26 novembre 1990, n. 353, ed interpretato alla luce dei principi del giusto processo e della sua ragionevole durata, nonché del principio di lealtà processuale di cui all'art. 88, primo comma, c.p.c., non consente al ricorrente per revocazione di giovarsi della sospensione del termine di ricorso per cassazione qualora l'impugnazione per revocazione sia manifestamente infondata.

Cass. civ. n. 17557/2013

L'impugnazione per revocazione proposta, ex art. 395, n. 5, c.p.c., avverso una sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione è inammissibile, risultando l'ipotesi ivi contemplata esclusa dalla previsione dei precedenti artt. 391 bis e ter.

Cass. civ. n. 9637/2013

L'errore di fatto previsto dall'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione, consistendo in una falsa percezione della realtà, deve sostanziarsi in un'affermazione, positiva o negativa, di un fatto, in contrasto con le evidenze di causa; pertanto, ove il giudice abbia semplicemente ignorato un fatto, omettendo di esaminarne la prova, può configurarsi un vizio di motivazione e non il vizio revocatorio.

Cass. civ. n. 3494/2013

L'errore di fatto previsto dall'art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 391 bis c.p.c., consiste in una svista su dati di fatto, produttiva dell'affermazione o negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, sicché è inammissibile il ricorso per revocazione che suggerisca l'adozione di una soluzione giuridica diversa da quella adottata, come nella specie, relativa a declaratoria di improcedibilità pronunciata ex art. 369, n. 2, c.p.c. per omesso deposito di copia della sentenza munita della relata di notifica.

Cass. civ. n. 15242/2012

È inammissibile l'impugnazione per revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., quando la parte abbia recuperato tardivamente il documento decisivo per fatto imputabile a sua negligenza. (In applicazione di questo principio, in una controversia nella quale si faceva questione della riduzione della rendita catastale rispetto a quella applicata dagli Uffici finanziari, la S.C., annullando la sentenza impugnata e decidendo nel merito, ha rilevato che il documento attestante l'avvenuta riduzione avrebbe potuto essere acquisito tempestivamente con l'ordinaria diligenza, trattandosi di un certificato acquisibile a semplice richiesta presso un ufficio pubblico, e relativo ad una situazione nota al contribuente, che aveva proposto la riduzione della rendita e non aveva ricevuto notizia della determinazione della rendita definitiva nei dodici mesi successivi, così come prescritto dall'art. 1, comma secondo, del d.m. Finanze del 19 aprile 1994, n. 701).

Cass. civ. n. 12962/2012

L'errore di fatto cd. revocatorio è l'erronea percezione degli atti di causa (come la supposizione di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure la supposizione dell'inesistenza di un fatto la cui verità sia positivamente stabilita), mentre l'errore determinato da una svista di carattere materiale rende esperibile il rimedio della correzione di errore materiale. (Nella specie, l'indicazione di uno solo dei due ricorrenti, sia in motivazione che nel dispositivo ed, altresì, l'omessa pronuncia sulla richiesta di distrazione delle spese avanzata dal difensore antistatario).

Cass. civ. n. 11508/2012

E inammissibile il ricorso per revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 5, c.p.c., volto a far valere la contrarietà a precedente sentenza, avente tra le parti autorità di cosa giudicata, di un'ordinanza resa dalla Corte di cassazione in sede di procedimento di correzione di errori materiali, assumendosi l'avvenuto superamento dei limiti propri di detto procedimento per l'operata attribuzione alla sentenza da correggere di un contenuto diverso da quello effettivo, atteso che l'ordinanza di correzione, in quanto priva di funzione decisoria, non è soggetta ad alcuna impugnazione, mentre le stesse sentenze della Corte di cassazione sono impugnabili per revocazione soltanto per errore di fatto, e non anche per contrasto con precedente giudicato .

Cass. civ. n. 29385/2011

Per proporre l'impugnazione per revocazione, ai sensi dell'art. 395, primo comma, n. 3 c.p.c., deve ritenersi "decisivo" il documento che, oltre ad essere stato ritrovato dopo la sentenza, sia astrattamente idoneo, se acquisito agli atti, a formare un diverso convincimento del giudice, e perciò a condurre ad una decisione diversa da quella revocanda, attenendo a circostanze di fatto risolutive che il giudice non abbia potuto esaminare. (Nella specie, il giudice di merito aveva dichiarato simulata una vendita immobiliare e contestualmente revocato ex art. 2901 c.c. il successivo trasferimento del bene dal simulato acquirente ad un terzo; quest'ultimo aveva impugnato per revocazione la sentenza, adducendo di avere rinvenuto documenti dai quali emergeva il reale prezzo del trasferimento, idoneo a dimostrare la sua buona fede e l'"inscientia damni"; il giudice adito tuttavia, rilevato che la domanda di revocazione era stata trascritta prima dell'acquisto del terzo, ha ritenuto tale circostanza di per sé idonea a dimostrare la mala fede del terzo ed ha rigettato la revocazione per irrilevanza dei nuovi documenti. La S.C. ha confermato tale decisione).

Cass. civ. n. 27094/2011

Ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c., richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall'art. 391 bis c.p.c., rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; pertanto, non è configurabile l'errore revocatorio qualora l'asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell'apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice.

Cass. civ. n. 23630/2011

Il principio della consumazione dell'impugnazione trova applicazione, indipendentemente dall'esistenza di specifiche disposizioni che lo prevedano, per tutti i mezzi ordinari di impugnazione, tra i quali anche la revocazione ordinaria per i motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c., non essendo consentito alla parte, che abbia impugnato la sentenza per uno dei suddetti motivi, di proporre una nuova impugnazione, al fine non già di porre rimedio ad un vizio di quella precedente, ma di dedurre nuovi motivi di censura, così sottraendosi all'osservanza del termine a tal fine previsto. Né ciò suscita un dubbio di costituzionalità dell'art. 387 c.p.c., per contrasto con gli artt. 3 e 24 cost., dal momento che il principio vale per tutti i mezzi ordinari di impugnazione e che la garanzia costituzionale del diritto di difesa si attua nelle forme e nei limiti stabiliti dall'ordinamento processuale.

Cass. civ. n. 12958/2011

Se il giudice di merito omette di pronunciare su una domanda che si assume essere stata ritualmente proposta, motivando la propria decisione col fatto che quella domanda non sarebbe mai stata formulata, la sentenza contenente tale statuizione dev'essere impugnata con la revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., e non con i mezzi ordinari, in tal caso non sussistendo una relazione di alternatività tra errore revocatorio e principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. (Nella specie, in un giudizio di risarcimento del danno da sinistro stradale, il giudice d'appello aveva ridotto la liquidazione compiuta dal giudice di primo grado, senza condannare - ritenendo non proposta alcuna domanda al riguardo - il danneggiato alla restituzione di quanto percepito in eccesso dall'assicuratore, il cui ricorso in cassazione è stato dalla S.C. dichiarato inammissibile in base al principio di cui alla massima).

Cass. civ. n. 7488/2011

La pronunzia del giudice, che si assuma erronea, sull'esistenza di uno o più fatti ritenuti pacifici per difetto di contestazione, costituisce frutto non di un errore meramente percettivo, ma di un'attività valutativa, nel senso che il giudice stesso, postasi la questione della mancanza di contestazioni in ordine all'esistenza di uno o più fatti determinati, l'ha risolta affermativamente all'esito di un giudizio, di per sé incompatibile con l'errore di fatto e non idoneo, quindi, a costituire motivo di revocazione a norma dell'art. 395 n. 4 c.p.c.- (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata la quale aveva ritenuto insussistenti le condizioni per far luogo all'invocata revocazione, avendo il giudice di merito accolto la domanda di rivendicazione della titolarità di una servitù di passaggio sul rilievo dell'infondatezza della sollevata eccezione di estinzione per mancato uso ventennale della servitù e sull'acquisita non contestazione dei fatti costitutivi dello stesso diritto di servitù).

Cass. civ. n. 21493/2010

In tema di impugnazioni, nel caso in cui il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata eccepita, nel corso dello stesso, dalla parte interessata, la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione.

Cass. civ. n. 17110/2010

La tardiva proposizione del ricorso per Cassazione, chiaramente desumibile dagli atti ma non rilevata in sentenza, non integra un errore di fatto idoneo a giustificare la revocazione della pronuncia di legittimità ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c. in quanto non si tratta della errata percezione dell'esistenza o inesistenza di un fatto che emerge espressamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice concreta rilevabilità ma dell'omessa valutazione di fatti rilevanti ai fini del giudizio, non proponibile nel giudizio di revocazione.

Cass. civ. n. 13834/2010

Pur nell'assenza di una particolare previsione nella legge 11 agosto 1973, n. 533, il rito speciale del lavoro è applicabile al procedimento di revocazione relativo a sentenze pronunciate nelle controversie in materia di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatorie, osservandosi davanti al giudice adito - ai sensi della disciplina generale di tale mezzo d'impugnazione - le norme stabilite per il procedimento davanti a lui (in quanto non derogate da quelle dettate in tema di revocazione), con la conseguenza che la domanda di revocazione deve reputarsi proposta nel termine di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. allorché il ricorso introduttivo del relativo procedimento sia depositato, entro quel termine, nella cancelleria del giudice adito, anche se la notificazione del ricorso stesso e del decreto di fissazione dell'udienza avvenga successivamente.

Cass. civ. n. 10232/2010

Con riguardo all'ipotesi di revocazione di cui al n. 3 dell'art. 395 c.p.c., riguardante il rinvenimento di documento decisivo, non potuto produrre in giudizio, preesistente alla sentenza, al fine di verificare la rilevanza del rinvenimento occorre fare riferimento (nella disciplina anteriore all'entrata in vigore della legge 26 novembre 1990, n. 353), al momento dell'assegnazione della causa in decisione, in quanto, sebbene il diritto all'esibizione, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., si eserciti normalmente fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, è consentito alla parte di denunciare all'udienza collegiale il rinvenimento o la formazione del documento ritenuto decisivo qualora ne abbia avuto, senza colpa, la disponibilità tra l'udienza di precisazione delle conclusioni e quella collegiale, mentre spetta al Collegio di valutarne la decisività e, in caso di positivo accertamento, rimettere la causa in istruttoria per la rituale acquisizione di esso ovvero, in difetto, non ammetterne la produzione, ciò precludendo la sussistenza delle predette condizioni di revocabilità della sentenza.

Cass. civ. n. 16447/2009

In tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, la configurabilità dell'errore di fatto, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., presuppone che la decisione appaia fondata, in tutto o in parte, esplicitandone e rappresentandone la decisività, sull'affermazione di esistenza o inesistenza di un fatto che, per converso, la realtà effettiva (quale documentata in atti) induce, rispettivamente, ad escludere od affermare, così che il fatto in questione sia percepito e portato ad emersione nello stesso giudizio di cassazione, nonché posto a fondamento dell'argomentazione logico-giuridica conseguentemente adottata dal giudice di legittimità.

Cass. civ. n. 12348/2009

Ai fini dell'applicazione dell'art. 395, n. 5, c.p.c., perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, e, quindi, essere oggetto di revocazione, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi sui quali deve essere espresso il secondo giudizio, rispetto agli elementi distintivi della decisione emessa per prima, nel senso che la precedente sentenza deve avere ad oggetto il medesimo fatto o un fatto ad esso antitetico, non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico, restando poi la contrarietà con la sentenza avente autorità di cosa giudicata ipotizzabile solo in relazione all'oggetto degli accertamenti in essa racchiusi, e risultando l'apprezzamento del giudice della revocazione al riguardo sottratto al sindacato di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la possibile esistenza di un contrasto di giudicati - attesa la non identità dei giudizi - tra l'"actio negatoria servitutis" promossa in relazione ad una striscia di terreno e l'azione di accertamento della proprietà esclusiva della medesima striscia introdotta in altra sede dal convenuto nel primo giudizio).

Cass. civ. n. 6821/2009

L'impossibilità di produrre in giudizio un documento decisivo per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, che, a norma dell'art. 395, primo comma, n. 3 c.p.c., giustifica la domanda di revocazione della sentenza passata in giudicato, può essere ravvisata solo quando chi promuove la revocazione abbia dimostrato di aver fatto tutto il possibile per acquisire tempestivamente il documento e di non esserci riuscito per causa a lui non imputabile o per fatto dell'avversario. In questa seconda ipotesi, è necessario fornire la prova della specifica iniziativa probatoria della parte nel giudizio di merito e di un comportamento ostativo della controparte, non essendo sufficiente allegarne la mancata collaborazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva rigettato la domanda di revocazione di una precedente sentenza, con cui era stata dichiarata la prescrizione del diritto del ricorrente al rimborso della tassa di concessione governativa per l'iscrizione nel registro delle imprese, essendo stata prodotta una copia dell'istanza di rimborso richiesta in epoca successiva al passaggio in giudicato della sentenza impugnata, e non essendo stato provato che il ricorrente si fosse tempestivamente attivato per acquisirla).

Cass. civ. n. 3935/2009

A norma dell'art. 395, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell'errore revocatorio, non è un nesso di causalità storica, ma di carattere logico-giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l'errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell'errore, per necessità logico-giuridica.

Cass. civ. n. 3294/2009

La notifica del ricorso per cassazione equivale alla notifica della sentenza impugnata, ai fini del decorso del termine breve per proporre istanza di revocazione ordinaria per errore di fatto o contrasto di giudicato, con la conseguenza che tale istanza è inammissibile se proposta dopo lo spirare di trenta giorni dalla notifica stessa.

Cass. civ. n. 2896/2009

Ai fini della proponibilità dell'impugnazione per revocazione, il riconoscimento della falsità della prova, previsto dall'art. 395 n. 2 cod. proc. civ. come motivo di revocazione, è solo quello proveniente dalla parte a favore della quale la prova è stata utilizzata, mentre è irrilevante l'accertamento della falsità compiuto in giudizi vertenti tra terzi. Pertanto nella controversia tra il contribuente e l'erario riguardante la determinazione del valore di un fondo oggetto di compravendita, ai fini del computo dell'imposta di registro, non costituisce motivo di revocazione della sentenza che abbia rigettato il ricorso l'accertamento, avvenuto in sede penale nei confronti del sindaco, della falsità del certificato di destinazione urbanistica allegato all'atto di compravendita.

Cass. civ. n. 844/2009

L'errore di fatto idoneo a costituire motivo di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., si configura come una falsa percezione della realtà, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l'attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; ne consegue che non è configurabile l'errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico. (Nella specie, un Istituto di assistenza, che aveva agito per sentir dichiarare l'avvenuto perfezionamento di talune cessioni all'INPS – creditore verso l'Istituto medesimo di somme a titolo di omissione contributiva – di crediti vantati verso USL e Regioni, si era lamentato, con ricorso per revocazione ex art. 395, n. 4, cod. proc. civ., che il giudice di appello, respingendo la predetta domanda, non avesse tra l'altro, tenuto conto di documenti che dimostravano il riconoscimento del debito da parte delle USL; la S.C., enunciando l'anzidetto principio, ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso la sussistenza dell'errore revocatorio in quanto la cessione di crediti si doveva ritenere mai perfezionatasi in assenza della presupposta e necessaria comunicazione prevista da normativa speciale applicabile alla fattispecie, così da rendere superfluo l'esame dei documenti asseritamene comprovanti il riconoscimento di debito).

Cass. civ. n. 15534/2008

Non sono deducibili nel giudizio di revocazione ex art. 395 n 3 c.p.c. le circostanze che, pur se emergenti da un documento che si assume non prodotto in giudizio per causa di forza maggiore, si sarebbero potute dedurre o eccepire in sede ordinaria ed altrimenti dimostrare in quella sede, concretandosi il concetto di forza maggiore di cui alla norma citata in una ignoranza assoluta dell'esistenza o del contenuto del documento non attribuibile a colpa dell'interessato. (Fattispecie relativa a un documento tardivamente rinvenuto, la cui esistenza e il cui contenuto erano pacificamente noti al ricorrente, avendolo lo stesso sottoscritto e concorso alla sua redazione, e ben sapendo la predetta parte che il documento in parola era in possesso del fratello e del suo commercialista ).

Cass. civ. n. 3128/2008

L'ordinanza collegiale con la quale sia stata dichiarata l'improcedibilità dell'appello e la derivante estinzione del giudizio ha il contenuto decisorio di una sentenza, con la conseguenza che la medesima, ove sia sottoscritta dal solo presidente che non ne risulti anche relatore o estensore, è viziata da inesistenza giuridica, in quanto non sottoscritta con l'osservanza delle forme di cui all'art. 132, terzo comma, c.p.c.; pertanto, nei confronti di siffatto provvedimento, sono esperibili i mezzi di impugnazione correlati alla sua natura di sentenza e non è proponibile l'impugnazione per revocazione di cui all'art. 395 c.p.c. (come, invece, inammissibilmente formulata nella specie), dovendosi escludere che la mancata sottoscrizione del giudice estensore implichi un vizio revocatorio, pur restando fermo che il giudice dell'impugnazione può rilevare anche d'ufficio la suddetta inesistenza ai sensi dell'art. 161, secondo comma, c.p.c., indipendentemente, perciò, dall'esercizio dell'ordinario rimedio impugnatorio.

Cass. civ. n. 735/2008

Ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione per revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., è necessario che la parte si sia trovata nell'impossibilità di produrre il documento asseritamente decisivo nel giudizio di merito, incombendo sulla stessa parte, in quanto attrice nel relativo giudizio, l'onere di dimostrare che l'ignoranza dell'esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava fino al momento dell'assegnazione della causa a sentenza non era dipeso da colpa o negligenza, ma dal fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore. Ne consegue che, nell'ipotesi di ignoranza dell'esistenza di un documento, l'onere della parte è soddisfatto dalla dimostrazione di una situazione di fatto tale da giustificarne la mancata conoscenza, mentre in quella di ignoranza soltanto del luogo di conservazione l'ammissibilità dell'impugnazione è subordinata alla prova di una diligente ricerca del documento e, nel caso di un suo pregresso possesso, dell'essersi verificato lo smarrimento per cause eccedenti la possibilità di controllo della parte. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva escluso l'ipotesi di ignoranza dell'esistenza di documento decisivo rispetto a corrispondenza spedita o ricevuta dalla parte attrice in revocazione ed aveva ritenuto doversi addebitare alla negligenza della stessa parte, e non già ad avvenimento di carattere straordinario costituente forza maggiore, lo smarrimento del documento, nonché il suo successivo ritrovamento ormai tardivo rispetto alla possibilità di produrlo in giudizio).

Cass. civ. n. 12726/2007

È manifestamente infondata – in relazione agli art. 3 e 24 Cost. ed ai principi del giusto processo di cui al novellato art. 111 Cost. – la questione di costituzionalità dell'art. 395 c.p.c., nella parte in cui consente che il giudizio di revocazione di una sentenza pronunciata dalla corte d'appello si svolga dinanzi alla stessa corte, posto che la decisione sull'istanza di revocazione può essere presa in diversa composizione collegiale. (Nella specie la S.C. ha rilevato che dagli atti non risultava che la decisione sulla revocazione fosse stata presa nella medesima composizione collegiale della decisione impugnata).

Cass. civ. n. 11596/2007

La revocazione delle sentenze pronunciate dal giudice tributario è ammissibile anche nel caso di contrasto con un precedente giudicato, ai sensi dell'art. 395, numero 5, c.p.c., poiché, là dove l'art. 64, comma 1, del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, menziona gli accertamenti di fatto, intende riferirsi anche allo specifico motivo di revocazione costituito dall'errore (revocatorio) sul «fatto» dell'esistenza di un precedente giudicato esterno formatosi tra le stesse parti.

Cass. civ. n. 1647/2007

Non è configurabile un motivo di revocazione allorquando il comportamento asseritamente doloso della parte poteva desumersi dalla stessa lettura della sentenza di primo grado e doveva quindi essere fatto valere come motivo di appello. (Nella specie, la S.C. ha escluso che integrasse vizio revocatorio l'omessa prospettazione, nell'ambito di una causa contumaciale di rilascio di uno stabile ottenuto a titolo di locazione, la deduzione di una occupazione abusiva senza titolo, che ben poteva desumersi dalla sentenza di primo grado).

Non costituisce errore di fatto che giustifichi la revocazione di una sentenza del tribunale, quello in cui, nell'ambito di un giudizio contumaciale, sarebbe incorso il giudice nella percezione delle risultanze istruttorie; si tratta infatti di un vizio che la parte contumace avrebbe potuto conoscere al momento della notifica della sentenza di primo grado e che doveva essere fatto valere con l'appello.

Cass. civ. n. 9369/2006

Ai fini della fattispecie revocatoria di cui all'art. 395, n. 3, c.p.c. (ritrovamento di uno o più documenti decisivi che la parte non abbia potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario), è sufficiente l'assenza di colpa del soccombente nella mancata produzione del documento medesimo, di cui egli non abbia nemmeno potuto chiedere l'esibizione per avere ignorato, in modo incolpevole, la sua esistenza e la persona che lo deteneva, non richiedendosi anche che la mancata produzione sia imputabile a fatto dell'avversario.

Cass. civ. n. 6595/2006

Integra la fattispecie del dolo processuale revocatorio (art. 395 n. 1 c.p.c.) quell'attività intenzionalmente fraudolenta che si concreti in artifici e raggiri (che possono consistere anche nel mendacio su fatti decisivi della causa), tali da travisare una situazione in modo da farla apparire diversa da quella reale, onde fuorviare il giudice nell'accertamento della verità processualmente rilevante. (Nella specie la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice di merito, che aveva riscontrato gli estremi del dolo processuale revocatorio nella circostanza che, per pregiudicare la difesa del ricorrente, la citazione era stata notificata al ricorrente stesso, da anni residente all'estero, presso la residenza ove anagraficamente coabitava con il coniuge separato, colluso con l'attore e nella manipolazione di una lettera inviata al coniuge separato avente per oggetto la vendita della casa di proprietà comune ).

Cass. civ. n. 4398/2006

Ove la Corte d'appello, adita in sede di impugnazione del lodo per nullità, abbia pronunciato sul presupposto di un fatto, l'avere le parti attivato un arbitrato regolato dal capitolato generale di appalto delle opere pubbliche (approvato con il D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063), la cui verità si assume essere incontestabilmente esclusa, si verte in un'ipotesi di errore revocatorio, da rimuovere a mezzo dello specifico strumento di impugnazione disciplinato dall'art. 395 c.p.c., rimanendo esclusa la possibilità di avvalersi del rimedio del ricorso per cassazione, che, se proposto, deve essere dichiarato inammissibile.

Cass. civ. n. 3947/2006

L'art. 395 c.p.c., indicando quale presupposto dell'istanza di revocazione che si sia giudicato su prove «dichiarate false» postula che tale dichiarazione sia avvenuta con sentenza passata in giudicato (in sede civile o penale) anteriormente alla proposizione dell'istanza di revocazione, con la conseguenza che è inammissibile l'istanza di revocazione basata sulla falsità di prove da accertare nello stesso giudizio di revocazione. Ai fini dell'ammissibilità dell'istanza di revocazione è necessario, altresì, che il giudicato (civile o penale) sul falso si sia formato in un giudizio, al quale abbiano partecipato tutte le parti del giudizio in cui è stata emessa la sentenza assoggettata a revocazione, restando esclusa, inoltre, la possibilità che detto giudicato possa desumersi se non per via diretta e principale e quindi in via incidentale.

Per l'accertamento, in sede civile, della falsità di una prova, al fine di poter proporre sulla base di esso azione di revocazione ex art. 395 n. 2 c.p.c., la dichiarazione giudiziale di falsità potrà ottenersi col mezzo speciale della querela di falso tutte le volte in cui l'impugnativa sarà rivolta contro un documento avente fede privilegiata, e in tutti gli altri casi mediante la proposizione di un'azione di mero accertamento, in quanto la regola secondo la quale le azioni di mero accertamento possono avere ad oggetto solo i diritti e non anche i fatti subisce eccezione nei casi espressamente previsti dalla legge, tra i quali rientra l'autonomo giudizio di falsità della prova, propedeutico alla proposizione della domanda di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 2 c.p.c.

L'art. 395,n. 2, c.p.c., laddove richiede come presupposto di ammissibilità della domanda di revocazione la falsità della prova accertata in un precedente giudizio, c.p.c., si riferisce alla prova intesa in senso lato, come qualsiasi mezzo o strumento predisposto dalla legge perché il giudice possa, attraverso un'attività percettiva o induttiva, formarsi un convincimento circa l'esistenza o l'inesistenza dei fatti rilevanti per la decisione della causa; ne consegue che tra le prove la cui falsità è rilevante in questa sede sono da ritenersi incluse, oltre a tutte le prove tecniche – con esclusione del solo giuramento – anche la consulenza tecnica d'ufficio e la perizia svolta nel processo penale.

Cass. civ. n. 3440/2006

Il giudice della revocazione può nell'ambito dei poteri di cui all'art. 112 c.p.c. in sede di interpretazione della domanda riportare l'inquadramento preciso del fatto revocatorio sotto una delle previsioni dell'art. 395 stesso codice anche in difformità dell'indicazione datane dal richiedente, purché non si tratti di fatto ontologicamente diverso da quello dedotto dall'istante.

Cass. civ. n. 14821/2005

In tema di revocazione fondata sulla sopravvenuta conoscenza della dichiarazione della falsità della prova sulla base della quale è stata pronunciata la sentenza revocanda, la parte istante non può limitarsi ad affermare di essere venuta a conoscenza del fatto dedotto a motivo di revocazione per una determinata circostanza e in un determinato momento, ma ha l'onere di dedurre anche la prova del fatto che la relativa circostanza escluda, secondo un ragionamento realistico, sul piano fattuale e logico, l'eventualità di una sua conoscenza anteriore, tanto più quando il fatto rivelatore sia anticipatamente ipotizzabile e prevedibile e la presa di conoscenza di esso dipenda da una minima attivazione dell'interessato. In particolare, ai fini dell'individuazione del termine di decorrenza per la proposizione del ricorso per revocazione, la prova della data dell'avvenuta dichiarazione o del riconoscimento della falsità della prova concerne la conoscenza effettiva e non la conoscenza “legale” di tali fatti e deve essere tale da escludere che, secondo criteri di ragionevolezza, considerata la peculiarità del caso concreto, l'interessato fosse venuto ancor prima a conoscenza della dedotta declaratoria di falsità. (Nel caso di specie, in cui, sulla scorta della conoscenza della vicenda conseguente all'esercizio dell'azione penale nei confronti di un teste in ordine al reato di cui all'art. 372 c.p. – definita con sentenza ex art. 444 c.p.p. – relativamente ad una deposizione resa nel corso del giudizio di primo grado al quale era seguito quello di appello deciso con la sentenza di cui si invocava la revocazione, la S.C. ha ritenuto, in base ad un ragionamento presuntivo basato su fatti evincibili dagli atti processuali e su principi logici, che l'interessato avrebbe potuto, consultando gli atti penali e provvedendo ad una tempestiva richiesta della copia della richiamata sentenza penale emessa a carico del teste, conoscere tempestivamente la relativa circostanza e non allegare la sentenza medesima dopo oltre due anni dalla sua pronuncia).

Cass. civ. n. 9098/2005

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 395, n. 2, c.p.c., sollevata in riferimento all'art. 3 Costituzione per diversità di trattamento rispetto alla difforme soluzione apprestata, per l'identica situazione, dall'art. 630, lett. c), c.p.p., secondo il quale la sopravvenienza di nuove prove successive alla condanna costituisce senza limitazioni motivo di revisione. Infatti, le differenze strutturali, funzionali e teleologiche del processo penale rispetto a quello civile pienamente giustificano, salvo il rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo, una diversa modulazione, da parte del legislatore, nell'esercizio della sua discrezionale potestà di valutazione delle difformi esigenze a tali differenze necessariamente connesse, nella disciplina di istituti pur di analoga natura. Pertanto, è del tutto ragionevole la tutela attribuita, nel processo civile, al fondamentale interesse (generale non meno che delle parti) alla stabilità del giudicato, pur raggiunta sulla base di una verità formale, con misure più incisive sugli interessi dei privati, che non nel processo penale, là dove ai plurimi interessi, anzitutto dell'imputato ma non secondariamente generali, e, quindi, all'accertamento della verità sostanziale, non possono non essere riconosciute rilevanza ed incidenza prevalenti e determinanti.

Cass. civ. n. 8639/2005

In tema di revocazione delle sentenze per errore di fatto, prevista dall'art. 395, n. 4, c.p.c., l'erronea supposizione della soccombenza di una delle parti in una pregressa fase del giudizio non può dar luogo a revocazione, atteso che la soccombenza non costituisce un «fatto» ai sensi della norma citata, bensì una situazione giuridica, in relazione alla quale l'accertamento della sua stessa esistenza e portata, nonché la determinazione degli effetti che essa produce sulle facoltà e i doveri delle parti nella successiva fase di impugnazione, non possono non formare oggetto tipico dell'attività interpretativa e valutativa del giudice e, quindi, della formulazione del giudizio sul piano logico e giuridico.

Cass. civ. n. 6198/2005

In tema di revocazione delle sentenze per errore di fatto, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c. (rimedio esperibile anche nei confronti delle sentenze della Corte di cassazione ex art. 391 bis dello stesso codice), l'errore che può dar luogo alla revocazione non può mai cadere, per definizione, sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, sia perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono «fatti» ai sensi del citato art. 395, n. 4, sia poiché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l'attività valutativa ed interpretativa del giudice.

Cass. civ. n. 19833/2004

La dichiarazione di cessazione della materia del contendere nel corso del giudizio di revocazione postula l'ammissibilità del ricorso e la valida instaurazione del giudizio, pertanto, qualora il giudice adito in revocazione ritenga che non sussistono i motivi di revocazione previsti dall'art. 395 c.p.c., deve senz'altro procedere alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per revocazione, avendo tale pronuncia carattere logicamente e giuridicamente pregiudiziale.

Cass. civ. n. 14669/2004

La revocazione per errore di fatto può essere proposta solo entro l'anno dalla pubblicazione della sentenza revocanda, come previsto dall'art. 327, comma primo, c.p.c., salvo che nell'ipotesi eccezionale di sentenza pronunciata nei confronti della parte contumace, che dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa e per nullità della notificazione degli atti di cui all'art. 292 c.p.c.; tale previsione, in virtù della sua eccezionalità non è estensibile analogicamente alla diversa ipotesi di trasferimento dello studio del domiciliatario regolarmente comunicato, dovendo ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 327 c.p.c. laddove fissa il termine di un anno dalla pubblicazione della sentenza per tutti i casi di revocazione per errore di fatto, non distinguendo il caso in cui l'errore impedisca proprio la tempestiva conoscenza del testo della sentenza, in quanto il termine «lungo» annuale è tale da consentire con l'impiego di una diligenza ragionevole di seguire le vicende dell'impugnazione introducendo se del caso il giudizio di revocazione, contemperando l'interesse di ordine pubblico alla formazione del giudicato.

Cass. civ. n. 13650/2004

La decisività del documento, ai fini della proponibilità della domanda di revocazione a norma dell'art. 395, n. 3, c.p.c., postula che esso sia idoneo, mediante la prova diretta dei fatti di causa, a provocare una statuizione diversa, evidenziando che il giudice della sentenza revocanda avrebbe adottato una pronuncia di segno opposto ove ne avesse avuto conoscenza. Ne consegue che una siffatta decisività va negata non soltanto quando l'atto ritrovato possa offrire semplici elementi indiziari, utilizzabili per dimostrare quei fatti esclusivamente nel concorso con altri dati, ma anche quando dia la prova diretta di un fatto che non sia stato ritenuto determinante per la definizione della contesa, e che potrebbe a palesarsi risolutivo solo in esito ad una revisione dell'apprezzamento della sua irrilevanza.

Cass. civ. n. 5475/2004

Il mancato esame di documenti che il giudice motivi con l'affermazione che non risultino inclusi tra gli atti del processo non può che essere prospettato come errore di fatto nel quale il giudice sarebbe incorso per una mera svista materiale, errore rispetto al quale l'unico rimedio esperibile è quello della revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c.

Cass. civ. n. 5105/2003

Il giudicato, essendo destinato a fissare la «regola» del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma deve essere assimilata, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, all'interpretazione delle norme giuridiche; pertanto gli eventuali errori di interpretazione del giudicato rilevano non quali errori di fatto, ma quali errori di diritto, inidonei, come tali, a integrare gli estremi dell'errore revocatorio contemplato dall'art. 395, numero 4, c.p.c. (Principio espresso in fattispecie di ricorso per revocazione promosso dal procuratore regionale della Corte dei conti nei confronti di un'ordinanza delle Sezioni Unite, resi in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, dichiarativa della inammissibilità del ricorso perché la questione con esso sollevata era da ritenersi coperta dal giudicato con cui era stata riconosciuta, dalle stesse Sezioni Unite, la giurisdizione del giudice ordinario).

Cass. civ. n. 15801/2002

In tema di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., i documenti il cui rinvenimento consente tale tipo di impugnazione debbono fornire la prova, non potuta fornire nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, del fondamento di domande ed eccezioni in quel giudizio già formulate, mentre non possono essere presi in considerazione, per il generale divieto di ius novorum, ove siano dedotti a fondamento di domande ed eccezioni che non abbiano fatto parte del thema decidendum dibattuto nel giudizio stesso. Ne consegue che, essendo stato dedotto dalla parte a sostegno dell'eccezione di usucapione sollevata nel giudizio definito con la sentenza impugnata il possesso dell'immobile, negandosi la sussistenza della detenzione (derivata da concessione d'uso da parte di un comune), non può essere dedotta per la prima volta in sede di revocazione, a seguito del rinvenimento di documenti atti a provare l'interversione di una originaria detenzione in possesso, la diversa questione del mutamento dell'animus da detinendi a rem sibi habendi, attenendo siffatti documenti alla prova non di un fatto deciso negativamente per difetto di prova con la sentenza impugnata, ma di un fatto rimasto estraneo al giudizio con essa conclusosi.

Cass. civ. n. 9834/2002

Il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale ex art. 409 c.p.p., pur non rientrando tra i provvedimenti dotati di autorità di cosa giudicata e non costituendo vincolo in sede civile o amministrativa, può contenere elementi che, in quanto negazione di quelli sui quali il giudice civile ha fondato la propria decisione, siano potenzialmente idonei a condurre ad una diversa decisione. Tuttavia, per la sua natura di atto giudiziale non definitivo, esso non integra accertamento della falsità di una deposizione che possa dare luogo al giudizio di revocazione ex art. 395, n. 2, c.p.c.

Cass. civ. n. 8974/2002

Poiché l'errore di fatto revocatorio, di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c., è un errore di percezione del giudice risultante dagli atti o documenti della causa, e non è quindi configurabile rispetto ad atti o documenti che non siano stati prodotti, è inammissibile la produzione nel giudizio di revocazione di nuovi documenti al fine di dimostrarne la sussistenza.

Cass. civ. n. 14714/2001

Nel contenzioso tributario, ai fini dell'applicazione dell'art. 395, n. 5, c.p.c. (richiamato dall'art. 64 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546), perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente autorità di cosa giudicata, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che l'oggetto del secondo giudizio sia costituito dal medesimo rapporto tributario definito irrevocabilmente nel primo, ovvero che in quest'ultimo sia stato definitivamente compiuto un accertamento radicalmente incompatibile con quello operante nel giudizio successivo; ne consegue che — posto che, ex art. 7 TUIR, l'imposta sui redditi è dovuta per anni solari, a ciascuno dei quali corrisponde un'obbligazione tributaria autonoma — non è configurabile il detto motivo di revocazione allorché il precedente giudicato si riferisca ad un'annualità di imposta sui redditi diversa dal periodo d'imposta considerato nella impugnata sentenza.

Cass. civ. n. 9093/2001

L'esperibilità della revocazione per errore di fatto o per dolo di una parte in danno dell'altra, avverso l'ordinanza di convalida di sfratto per morosità o di licenza per finita locazione (derivante dalle sentenze della Corte Cost. n. 558 del 1989 e n. 54 del 1995) non è condizionata allo spirare del termine per l'opposizione ex art. 668 c.p.c.; infatti, tale opposizione e la revocazione ex art. 395, n. 1, c.p.c. sono istituti distinti e autonomi basati su presupposti diversi, la mancanza di tempestiva conoscenza (per irregolarità della notifica o per caso fortuito o forza maggiore) dell'intimazione di licenza o di sfratto nel primo caso e il dolo revocatorio nel secondo.

Cass. civ. n. 561/2000

L'errore di fatto che può dare luogo alla revocazione di una sentenza consiste nell'erronea percezione dei fatti di causa sostanziantesi nella supposizione dell'esistenza di un fatto la cui verità risulta incontestabilmente esclusa dagli atti, o nell'esistenza di un fatto la cui verità è inconfutabilmente accertata, sempre che il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito. Il suddetto errore inoltre non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche; deve avere i caratteri dell'assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l'errore la pronuncia sarebbe stata diversa. Con riguardo, infine, all'errore di fatto che può legittimare la richiesta di revocazione della sentenza di Cassazione, esso deve riguardare gli atti «interni» al giudizio di legittimità (ossia quelli che la Corte deve, e può, esaminare direttamente con propria indagine di fatto all'interno dei motivi di ricorso) e deve incidere unicamente sulla sentenza di Cassazione, giacché, ove esso fosse configurabile come causa determinante della decisione impugnata in Cassazione, il vizio correlato potrebbe dare adito soltanto alle impugnazioni esperibili contro la pronuncia di merito.

Cass. civ. n. 10078/1999

Il decreto con cui la Corte d'Appello, ai sensi del quarto comma dell'art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117, pronunciando in sede di reclamo avverso il decreto di declaratoria della inammissibilità della domanda ex art. 2 della stessa legge, a sua volta conferma detta inammissibilità, deve reputarsi suscettibile di impugnazione per revocazione, senza che in contrario possa valere la circostanza che il suddetto provvedimento abbia la forma del decreto e non quella della sentenza. (Nella specie la Suprema Corte è giunta a tale conclusione, sia sulla base di un'interpretazione sistematica desunta dalla norma dell'art. 656 c.p.c., che ammette la revocazione contro il decreto ingiuntivo, nonché dalla dichiarata incostituzionalità dell'art. 395, prima parte n. 1 e n. 4 nella parte in cui non ammetteva la revocazione contro l'ordinanza di convalida di sfratto o licenza per finita locazione e per morosità, sia dal carattere decisorio del provvedimento, desumibile dalla sua soggezione al ricorso per cassazione e dall'attitudine a divenire inoppugnabile).

Cass. civ. n. 6573/1999

La formulazione letterale dell'art. 395, n. 1, c.p.c., che limita la proponibilità dell'impugnazione per revocazione della statuizione che sia stata effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra alle sole sentenze pronunciate in unico grado o in grado di appello, valutata alla luce della espressa previsione, ex art. 391 bis c.p.c., della revocazione delle sentenze di cassazione come limitata alla ipotesi in cui esse risultino viziate da errore di fatto ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., non consente alcuna possibilità di interpretazione estensiva o di applicazione analogica del disposto del citato art. 395 c.p.c., ostandovi il principio di tipicità delle impugnazioni espresso dall'art. 323 c.p.c.

Cass. civ. n. 5229/1999

Per l'ammissibilità della revocazione prevista dall'art. 395 n. 3 c.p.c. la forza maggiore, impeditiva della produzione in giudizio del documento decisivo, deve aver determinato non l'indisponibilità di esso, bensì l'ignoranza dell'esistenza o del luogo di conservazione del medesimo, non addebitabile a colpa della parte in nessun grado di giudizio e fino al momento in cui è possibile la predetta produzione, e le prove di tali circostanze, nonché del giorno della scoperta o del recupero del documento, devono esser indicate unitamente ai motivi della citazione per revocazione.

Cass. civ. n. 3684/1999

La falsità di un atto del processo (nella specie, concernente la relata di notifica dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado) che faccia apparire come esistente un elemento in realtà mancante può configurare dolo revocatorio della sentenza, ai sensi dell'art. 395 n. 1 c.p.c., solo se si inserisce in una macchinazione fraudolenta che abbia concretamente inciso sul principio del contraddittorio e sul diritto di difesa o, comunque, sull'accertamento della verità.

Cass. civ. n. 1114/1999

Non sono impugnabili per revocazione le sentenze di cassazione contrarie ad altra precedente tra le parti avente autorità di giudicato interno, senza che tale principio, enucleabile dal combinato disposto degli artt. 395, n. 5 e 391 bis c.p.c., risulti in contrasto con alcuna norma di rango costituzionale.

Cass. civ. n. 1094/1998

Il rimedio straordinario della revocazione è concesso non contro errori di criterio nell'estimazione del fatto, bensì contro l'errore di fatto propriamente detto, ossia quando il giudice non ha conosciuto, né potuto esaminare, gli elementi costitutivi del fatto, tanto da non statuire sul vero fatto controverso. Pertanto, nel caso in cui il giudice ha così giudicato non perché non conoscesse i fatti o i documenti, ma in quanto ha ritenuto che la notificazione di un provvedimento esibito in giudizio costituisse la notificazione del provvedimento impugnato, egli non ignorava i documenti, ma li ha erroneamente interpretati, confondendoli tra loro ed incorrendo, quindi, in un tipico errore di interpretazione del fatto che deve essere oggetto di ricorso per cassazione (art. 360 n. 5 c.p.c.).

Cass. civ. n. 5303/1997

L'errore di fatto, che può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395 n. 4) c.p.c., richiamato dall'art. 391 bis c.p.c., consiste nell'erronea percezione degli atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure nella supposizione dell'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato. Tal genere di errore presuppone quindi il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l'altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall'altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti; pertanto, non costituisce errore di fatto, ma di diritto, quello inerente all'idoneità dell'atto di notificazione a determinare l'effetto di far decorrere il termine iniziale per l'impugnazione, ove tale inidoneità sia stata affermata in esito alla valutazione giuridica dell'atto stesso.

Cass. civ. n. 6367/1996

La erronea affermazione dell'esistenza di un fatto la cui realtà, invece, debba ritenersi positivamente esclusa in base al tenore degli atti o documenti di causa può costituire motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., solo se sussiste un rapporto di causalità necessaria fra l'erronea supposizione e la pronuncia in concreto resa dal giudice di merito. Deve quindi escludersi che tale mezzo di impugnazione possa essere utilizzato in relazione ad errori incidenti su fatti che, non decisivi in se stessi, devono essere valutati in un più ampio contesto probatorio, anche quando, nell'ambito appunto della globale valutazione degli elementi di prova, l'elemento pretermesso avrebbe potuto in concreto assumere un rilievo decisivo. (Nella specie, in un giudizio relativo alla qualificabilità — ai fini previdenziali — come di lavoro subordinato di un rapporto con un ente pubblico, era stata erroneamente supposta la revoca di un atto amministrativo di ricognizione del carattere impiegatizio del rapporto. La Suprema Corte, sulla base del riportato principio, ha cassato senza rinvio la sentenza che aveva accolto, nella fase rescindente, l'azione di revocazione).

Cass. civ. n. 4610/1996

Con riguardo all'ipotesi di revocazione di cui al n. 3 dell'art. 395 c.p.c. — che presuppone che il documento decisivo, non potuto produrre in giudizio, sia preesistente alla decisione impugnata — al fine di verificare la rilevanza del rinvenimento del documento deve aversi riguardo alla data dell'udienza in cui la causa viene assegnata a sentenza e, nel rito novellato dalla legge n. 353 del 1990, alla scadenza dei termini per le difese finali di cui agli artt. 190 e 190 bis c.p.c., in quanto, sebbene il diritto di esibizione ex art. 210 stesso codice si eserciti normalmente fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, alla parte, che rinvenga documenti decisivi medio tempore e che sia stata, senza sua colpa, impedita alla produzione anteriore, deve riconoscersi il diritto di denunciarne il rinvenimento al giudice — collegiale o monocratico — incaricato della decisione, il quale avrà l'obbligo, delibata la decisività dei documenti, di riportare la causa in istruttoria per la rituale acquisizione degli stessi.

Cass. civ. n. 2131/1996

L'art. 395 n. 5 c.p.c. – secondo cui l'impugnazione per revocazione è proponibile se la sentenza è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione – va interpretato nel senso che ricorre tale ipotesi di revocazione qualora l'eccezione di giudicato esterno non sia stata proposta davanti al giudice che abbia pronunciato la sentenza revocanda; mentre, qualora il giudice di merito abbia trascurato di considerare la predetta eccezione, ricorre un vizio di motivazione denunciabile ex art. 360, n. 5, c.p.c. (In forza di tale principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione, proposto deducendo pretesa omissione di motivazione sull'eccezione di giudicato esterno, affermando che avverso l'impugnata sentenza avrebbe potuto esclusivamente proporsi la revocazione ex art. 395, n. 5, del codice di rito, in quanto nel giudizio di appello con essa concluso non era stata, né avrebbe potuto essere, tempestivamente proposta l'eccezione di giudicato esterno, non essendosi questo ancora formato al momento della proposizione dell'atto introduttivo del giudizio medesimo).

Cass. civ. n. 11152/1995

Anche nel rito del lavoro ed anche per la revocazione cosiddetta ordinaria (art. 395 nn. 4 e 5 c.p.c.) opera il principio secondo cui, al di fuori di tassative ipotesi previste dalla legge, l'impugnazione con unico atto di più sentenze emesse tra diverse o tra le stesse parti in separati procedimenti è vietata e va dichiarata inammissibile, considerato che solo all'atto dell'introduzione del giudizio è consentito l'esercizio congiunto di azioni, collegate dalla connessione degli oggetti o dei titoli o dalla comunanza di questioni da risolvere o da connessione meramente soggettiva, mentre nel prosieguo del giudizio il potere di riunire i procedimenti è riservato al giudice.

Cass. civ. n. 9770/1995

La dichiarazione giudiziale di falsità contenuta in una sentenza penale, per poter operare come causa di revocazione ai sensi dell'art. 395 n. 2 c.p.c., presuppone che il relativo accertamento possa svolgere efficacia nei confronti delle parti del giudizio civile, il che resta escluso nei confronti di quei soggetti che non abbiano partecipato al giudizio penale o non siano stati, quanto meno, posti in grado di parteciparvi. Pertanto, è inammissibile la domanda di revocazione della decisione del giudice tributario (nella specie della Commissione tributaria centrale), posta ai sensi dell'art. 395 n. 2 c.p.c. sulla base della dichiarazione di falsità della notifica di un avviso di accertamento contenuta in una sentenza penale, emessa a seguito di giudizio cui l'amministrazione finanziaria non ha partecipato, né è stata posta in grado di parteciparvi.

Cass. civ. n. 8051/1995

La sentenza di appello emessa nel processo di revocazione contro crediti ammessi, promosso dal curatore ai sensi dell'art. 102 L. fall. – che si instaura sin dall'inizio come un qualsiasi processo di cognizione (ordinaria) sottomesso alle regole processuali proprie della L. fall., di modo che contro la sentenza di primo grado è ammissibile l'appello ed il ricorso per cassazione – è impugnabile per revocazione ai sensi dell'art. 395 c.p.c., senza che possa invocarsi il divieto di cui all'art. 403 c.p.c., nei termini processuali previsti dagli artt. 325 e 326 c.p.c. anche dal fallito che subentri al curatore nel processo (in applicazione della regola dell'ultimo comma dell'art. 102 L. fall.) soggetto alle stesse regole processuali vigenti al momento del subingresso. Infatti l'istituto della revocazione contro i crediti ammessi, proponibile dal curatore o da qualunque creditore che vi abbia interesse ai sensi dell'art. 102 sopracitato, costituisce un rimedio processuale proprio della procedura fallimentare distinto ed autonomo rispetto a quello della cassazione delle sentenze per revocazione pronunciate in un normale giudizio di cognizione ordinario in grado di appello o in unico grado ai sensi dell'art. 395 c.p.c., senza che per qualche analogia l'uno istituto possa ritenersi sostituibile all'altro, soprattutto in relazione alle regole giuridiche processuali che disciplinano separatamente la revocazione fallimentare da quella ordinaria.

Cass. civ. n. 6028/1995

La domanda di revocazione di una sentenza pronunciata per effetto del dolo di una della parti in danno dell'altra (art. 395 comma primo n. 1 c.p.c.) non richiede l'esistenza di una prova precostituita; se tuttavia il dolo consiste nella fraudolenta utilizzazione di un documento o di una testimonianza falsi, il nesso causale tra l'artificio della parte ed inganno del giudice è condizionato all'accertamento della falsità che, per un principio generale desumibile dall'art. 395 comma primo n. 2 c.p.c. (applicabile per analogia anche nella ipotesi considerata, perché espressione della comune esigenza di evitare che il processo di revocazione si converta in una successiva istanza), non può essere compiuto nel giudizio di revocazione ma deve a questo precedere.

Cass. civ. n. 5068/1995

Ad integrare il dolo revocatorio di cui all'art. 395 n. 1 c.p.c. non è sufficiente la sussistenza di un'attività deliberatamente fraudolenta della parte, ma è necessario anche che essa abbia determinato il convincimento del giudice e la conseguente sua decisione. (Nella specie la S.C., sulla base dell'esposto principio, ha confermato la sentenza con cui il giudice della revocazione aveva rigettato l'impugnazione rilevando che la decisione del giudice d'appello sottoposta a revocazione era stata determinata non tanto dall'ipotizzato doloso impiego di un atto falso, quanto dalla proposizione nel suo ambito di una querela di falso viziata da difetti procedurali).

Nel rito del lavoro, ai fini del giudizio sulla possibilità o meno che avrebbe avuto la parte interessata, nel giudizio definito con la sentenza impugnata per revocazione, di produrre documenti decisivi, la cui successiva disponibilità sia dalla stessa fatta valere ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., deve considerarsi sia che il divieto di ius novorum specificamente posto dall'art. 437 trova applicazione per le prove costituende e non per quelle costituite, sia che la decadenza in cui incorre la parte che non menzioni i nuovi documenti già nell'atto di appello (ai sensi delle previsioni di cui agli artt. 414, 434 e 436) deve escludersi, in base al criterio ricavabile dall'art. 420 quinto comma, con riguardo a documenti sopravvenuti che la parte stessa non abbia potuto anteriormente produrre.

Cass. civ. n. 7576/1994

Ad integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio (ex art. 395, n. 1, c.p.c.) è necessaria un'attività intenzionalmente fraudolenta che si sia concretata in artefizi o raggiri subiettivamente diretti ed oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria, impedendo al giudice l'accertamento della verità, e non basta, quindi, la semplice violazione dell'obbligo di lealtà e probità (art. 88 c.p.c.), né sono sufficienti il mendacio o le false allegazioni o le reticenze se queste non abbiano costituito elementi essenziali di un'attività diretta a trarre in inganno la controparte su fatti decisivi della causa sviandone o pregiudicandone la difesa e così precludendo il loro accertamento.

Cass. civ. n. 4139/1994

La proposizione del ricorso per cassazione avverso una sentenza che ha deciso la sola questione di giurisdizione determina la cessazione dell'interesse della parte ad ottenere una pronunzia sull'impugnazione per revocazione della stessa sentenza ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., atteso che agli errori di fatto risultanti dagli atti o documenti della causa hanno il potere di porre riparo le Sezioni Unite della Corte di cassazione, che, decidendo sulla giurisdizione, sono anche giudice del fatto, potendo interpretare direttamente ed in piena autonomia gli atti del processo.

Cass. civ. n. 4689/1993

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 395 e 396 c.p.c. la revocazione è ammessa soltanto contro le sentenze pronunziate in grado di appello o in unico grado, mentre la sentenza di primo grado è suscettibile di tale rimedio solo quando sia scaduto il termine per l'appello e si tratti di revocazione, così detta straordinaria, per i motivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395. Ne consegue che la sentenza ancora appellabile non è in alcun caso suscettibile della revocazione, i cui motivi possono essere fatti valere con l'appello, quale rimedio normale ed illimitato all'ingiustizia della decisione.

Cass. civ. n. 6082/1992

Qualora il giudice fondi la propria decisione sull'affermazione dell'inesistenza agli atti di causa di un documento la cui acquisizione agli atti risulti, al contrario, positivamente stabilita, la sentenza è viziata da un errore di fatto ai sensi dell'art. 395, n. 4 c.p.c., sempreché la questione dell'esistenza del documento non abbia costituito un punto controverso deciso dalla sentenza stessa.

Cass. civ. n. 12034/1990

L'impugnazione per revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., può investire la sentenza d'appello, per far valere errori di fatto dai quali la stessa sia affetta, mentre gli eventuali errori di fatto in cui sia incorso il giudice di primo grado sono deducibili esclusivamente con l'atto di gravame, restando in difetto preclusa ogni possibilità di denunciarli o rilevarli.

Cass. civ. n. 9213/1990

Ad integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio ex art. 395 n. 1 c.p.c., non basta la semplice violazione del dovere di lealtà e di probità, richiedendosi, invece, un'attività intenzionalmente fraudolenta, concretantesi in artifizi o raggiri tali da pregiudicare o sviare la difesa avversaria, facendo apparire una situazione diversa da quella reale, e, quindi, da impedire al giudice la conoscenza della verità: requisiti, questi, ravvisabili anche nel mendacio o nel silenzio su fatti decisivi della causa, specie quando la stessa domanda giudiziale trovi fondamento su tale atteggiamento, ed il successivo comportamento processuale, attuativo di questo iniziale disegno fraudolento, sia tale da impedire un'efficiente attività difensiva della controparte o, comunque, da pregiudicare l'accertamento della verità. (Nella specie, alla stregua di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza con la quale i giudici del merito avevano ritenuto ininfluente, ai fini della revocazione della sentenza di condanna della Cassa Marittima al versamento di prestazioni assicurative per infortunio, la circostanza che il lavoratore, il quale le aveva giudizialmente rivendicate, non aveva in alcun modo fatto presente che analoghe prestazioni, per il medesimo infortunio, gli erano già state erogate dall'Inail).

Ai fini della fattispecie revocatoria di cui all'art. 395 n. 3 c.p.c., il requisito della decisività del documento va escluso nel caso in cui questo non sia, per sua natura, destinato a costituire la prova di un determinato fatto, ma rappresenti soltanto un mezzo di conoscenza di un fatto decisivo, prima ignorato e del quale l'interessato poteva procurarsi aliunde la conoscenza stessa; mentre, rispetto al documento dotato di tale requisito, è sufficiente ad integrare detta fattispecie l'assenza di colpa del soccombente nella mancata produzione del documento medesimo, di cui egli non abbia nemmeno potuto chiedere l'esibizione per avere ignorato, in modo egualmente incolpevole, la sua esistenza e la persona che lo deteneva, non richiedendosi anche che la mancata produzione sia imputabile a fatto dell'avversario.

Cass. civ. n. 8342/1990

Ai fini dell'impugnazione per revocazione, ai sensi dell'art. 395 n. 3 c.p.c., è decisivo il documento, trovato dopo la sentenza, che, se acquisito agli atti, sarebbe stato in astratto idoneo a formare un diverso convincimento del giudice, e perciò a condurre ad una diversa decisione, attenendo a circostanze di fatto risolutive o comunque atte a determinare una modificazione della sentenza impugnata in senso favorevole alla parte che ne domanda revocazione. È necessario poi che si tratti di documento che la parte si sia trovata nell'impossibilità, non dovuta a sua colpa, di produrre nel giudizio di merito e, pertanto, incombe su chi agisce in revocazione l'onere di dimostrare che, fino al momento dell'assegnazione della causa a sentenza, l'ignoranza dell'esistenza dei documenti e del luogo ove essi si trovavano non sia dipesa da sua colpa ma da fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore, non ricorrente – quest'ultima – allorché emerga che la parte avrebbe potuto accertare l'esistenza del documento attraverso un'elementare indagine.

Cass. civ. n. 1838/1990

La categoria di «documenti», rilevante ai sensi e per gli effetti dell'art. 395 n. 3 c.p.c. si identifica non con quella delle scritture private, direttamente rappresentative dei fatti dedotti in causa, bensì con quella ampia e generica elaborata in sede di teoria generale del diritto, che fa riferimento a qualsiasi oggetto idoneo e destinato a fissare in qualsiasi forma, anche non grafica, la percezione di un fatto storico al fine di rappresentarlo in avvenire, e che nel capo II del titolo II e del libro VI del codice civile, intitolato alla «prova documentale», trova compiuta regolamentazione.

L'ipotesi di revocazione di cui al n. 3 dell'art. 395 c.p.c. presuppone che il documento decisivo, non potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, preesista alla decisione impugnata – tenuto conto dell'uso dell'espressione «sono stati trovati» contenuta nel citato n. 3, alla quale fa riscontro il termine «recupero», adottato nei successivi artt. 396 e 398 c.p.c. – mentre è del tutto insufficiente che anteriore alla decisione sia il fatto rappresentato nel documento stesso.

Cass. civ. n. 3482/1989

La natura straordinaria dell'istituto della revocazione comporta che la decisività del documento di cui al n. 3 dell'art. 395 c.p.c. debba essere apprezzata in relazione al profilo della motivazione della sentenza impugnata che si assume viziato proprio in conseguenza della mancata conoscenza in giudizio del documento poi ritrovato, il quale non può quindi essere utilizzato in funzione meramente strumentale per aprire il dibattito su aspetti e temi già preclusi nel precedente giudizio indipendentemente dal nuovo elemento ovvero già trattati in sede di impugnazioni ordinarie.

Cass. civ. n. 950/1986

Ai fini della sussistenza del motivo di revocazione per successiva scoperta di un documento decisivo, ai sensi dell'art. 395, n. 3 c.p.c., la precedente ignoranza dell'esistenza o dell'ubicazione di tale documento non è sufficiente, ove essa sia conseguenza della colpa o negligenza di colui che del documento intende avvalersi. Nel valutare se sussista o meno una tale negligenza, va considerato che, mentre nell'ipotesi di ignoranza soltanto in ordine al luogo di conservazione dell'atto, vi è uno specifico onere di ricerca che la parte doveva adempiere, per contro, nel caso di ignoranza dell'esistenza stessa del documento, un tale onere non è configurabile, potendo al più valutarsi in termini di negligenza la mancata verificazione di una ipotesi di esistenza, che fosse autorizzata dalla situazione di fatto.

Cass. civ. n. 3874/1985

Al fine dell'esperibilità dell'impugnazione per revocazione, secondo la previsione dell'art. 395 n. 3 c.p.c., l'impossibilità di produrre in giudizio un documento per causa di forza maggiore non è ravvisabile quando il documento stesso si trovava nelle mani di un terzo, e la parte, a conoscenza di tale circostanza, abbia omesso di chiederne al giudice l'esibizione a norma dell'art. 210 c.p.c., atteso che, in questa situazione, la sua mancata acquisizione è ricollegabile a negligenza della parte medesima, senza che possa addursi in contrario l'eventualità del rifiuto di detto terzo di ottemperare all'ordine del giudice (nella specie, sotto il profilo del segreto professionale), dato che tale rifiuto resta rilevante, al fine indicato, solo quando si sia in concreto verificato.

Cass. civ. n. 5990/1984

Il requisito della decisività dei nuovi documenti rinvenuti dopo la sentenza, richiesto per l'impugnazione per revocazione a norma dell'art. 395 n. 3 c.p.c., implica l'idoneità di tali documenti a provocare una decisione diversa, mediante la prova diretta dei fatti di causa, e va quindi escluso quando essi siano in grado di fornire semplici elementi indiziari, utilizzabili per il convincimento su quei fatti solo in concorso con altri elementi.

Cass. civ. n. 4353/1984

Ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione per revocazione ai sensi dell'art. 395 n. 3 c.p.c. è necessario che la impossibilità di produrre in giudizio il documento — che va riportata al fatto che esso era in precedenza sconosciuto o che era ignoto il luogo in cui si trovava — sia in correlazione con uno stato psicologico della parte non addebitabile in alcun modo a colpa, che deve persistere durante tutte le varie fasi del precedente giudizio di merito, compreso il grado di appello, non essendo in quest'ultimo preclusa la facoltà di produrre nuovi documenti. (In applicazione del principio di cui sopra, la S.C. ha ritenuto corretta la pronuncia di merito che aveva dichiarato la inammissibilità della revocazione, in quanto i documenti — peraltro non decisivi — erano stati rinvenuti, dopo l'inerzia della parte protrattasi per circa tre lustri di istruttoria presso un archivio di Stato, dove erano sempre stati e dove erano stati ricercati solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza).

Cass. civ. n. 3158/1984

Il motivo di revocazione previsto dall'art. 395, n. 5, c.p.c. è configurabile quando, prima dell'emanazione (e non prima del passaggio in giudicato) della sentenza impugnata per revocazione, sia intervenuta un'altra sentenza che abbia deciso in senso contrario, con efficacia di giudicato, tra le stesse parti e sullo stesso punto oggetto della decisione adottata nella pronuncia successiva, sempreché quest'ultima non abbia pronunciato sull'eccezione di giudicato. Ai fini anzidetti, nelle controversie soggette al rito del lavoro, è necessario che il giudicato contrastante si sia formato prima della lettura in udienza del dispositivo della sentenza revocanda.

Cass. civ. n. 3768/1983

Il dolo di una delle parti in danno dell'altra in tanto può costituire motivo di revocazione della sentenza in quanto consista in un'attività deliberatamente fraudolenta, concretantesi in artifici o raggiri tali da paralizzare o sviare la difesa avversaria ed impedire al giudice l'accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale. Di conseguenza, non sono idonei a realizzare la fattispecie di cui all'art. 395 n. 1 c.p.c. la semplice allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio su fatti decisivi della controversia o la mancata produzione di documenti, che possono configurare comportamenti censurabili sotto il diverso profilo della lealtà e correttezza processuale, ma non pregiudicano il diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall'ordinamento al fine di pervenire all'accertamento della verità.

Cass. civ. n. 1957/1983

Attesa la loro eccezionalità, i casi di revocazione della sentenza, tassativamente previsti dall'art. 395 c.p.c., sono di stretta interpretazione, ai sensi dell'art. 14 delle preleggi.

La falsità di un atto del processo, che (come, nella specie, quella concernente la relata di notifica dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado) faccia apparire come esistente un elemento che in realtà manca, può configurare dolo revocatorio della sentenza, ai sensi dell'art. 395 n. 1 c.p.c., solo se rappresenti un elemento di una macchinazione fraudolenta che abbia concretamente inciso sul principio del contraddittorio e sul diritto di difesa o, comunque, sull'accertamento della verità.

Il concetto di «prova», ai fini dell'ipotesi di revocazione prevista dall'art. 395 n. 2 c.p.c., va inteso in senso strettamente strumentale rispetto alle domande ed alle eccezioni proposte dalle parti e cioè nel senso di mezzo di controllo della veridicità dei fatti posti a fondamento delle contrapposte pretese. Pertanto, l'ipotesi di falsità delle prove considerata dalla disposizione citata non è configurabile in ordine a falsità concernenti attività meramente processuale che (come, nella specie, la falsità della relata di notifica dell'atto introduttivo del giudizio) non incidono sulla veridicità delle prove sulle quali si è giudicato e vanno, perciò, fatte valere, nell'ambito dello stesso processo in cui sono state poste in essere, mediante le eccezioni di nullità ed i normali mezzi d'impugnazione.

Cass. civ. n. 326/1983

In tema d'impugnazione per revocazione a norma dell'art. 395 n. 1 c.p.c., la circostanza che il dolo della controparte sia tuttora persistente non interferisce sull'onere dell'istante, a pena d'inammissibilità, di indicare la prova della data della scoperta di detto dolo e di proporre l'impugnazione medesima nel termine di trenta giorni da tale data (artt. 326 e 398 c.p.c.).

Cass. civ. n. 4693/1982

A norma dell'art. 395 n. 3 c.p.c. non costituisce «fatto dell'avversario» rilevante ai fini revocatori l'aver taciuto l'esistenza di un documento a sé sfavorevole.

Cass. civ. n. 4527/1982

L'impugnazione per revocazione, avverso pronuncia resa in base a prove successivamente riconosciute o dichiarate false (art. 395 n. 2 c.p.c.), presuppone, per quanto riguarda la dichiarazione giudiziale della falsità, che il relativo accertamento sia contenuto in giudicato formatosi in data anteriore alla domanda. Pertanto, deve escludersi l'esperibilità di detta impugnazione in base alla dichiarazione della falsità di un documento, che sia stata resa con sentenza penale di proscioglimento istruttorio, atteso che tale sentenza, ancorché irrevocabile per l'intervento di una causa di estinzione del reato (art. 402 c.p.p.), non è idonea ad acquistare autorità di giudicato sostanziale, configurabile solo come conseguenza dell'irrevocabilità della pronuncia emessa in esito a giudizio, e che i principi posti dall'art. 28 c.p.c. (nel testo di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 1971), secondo i quali l'autorità del giudicato penale nel processo civile postula il carattere sostanziale del giudicato stesso ed opera nei soli confronti dei soggetti che siano stati messi in grado di partecipare al processo penale, non trovano deroghe od eccezioni nel giudizio instaurato con la suddetta impugnazione per revocazione.

Cass. civ. n. 3538/1981

Poiché l'art. 395 c.p.c. pone un rapporto di causalità fra le cause di revocazione e la sentenza impugnabile con tale mezzo, è inammissibile l'impugnazione per revocazione del provvedimento con il quale la corte d'appello — a norma dell'art. 31 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, resa esecutiva in Italia con L. 21 giugno 1971, n. 804 — ha dichiarato esecutiva la sentenza straniera, qualora si deduca, come causa di revocazione, un vizio di quest'ultima decisione e non anche del provvedimento impugnato.

Cass. civ. n. 5268/1980

Qualora una sentenza di appello, fondata su due autonome ragioni del decidere, sia impugnata con riferimento soltanto ad una di esse per revocazione, e con riferimento all'altra con ricorso per cassazione, il giudice della revocazione non può dichiarare inammissibile l'impugnazione in quanto rivolta contro una soltanto delle ragioni della decisione, ma deve provvedere con sentenza dichiarativa dell'esistenza o meno del vizio revocatorio, sentenza che resta subordinata al definitivo esito del ricorso per cassazione in ordine all'autonoma ragione della decisione della sentenza d'appello.

Cass. civ. n. 5852/1979

Poiché la revocazione è un'impugnazione prevista per i soli motivi tassativamente indicati nell'art. 395 c.p.c., la parte contro la quale detta impugnazione è proposta non può sollevare nel giudizio di revocazione una questione già dedotta nel precedente giudizio (svoltosi in unico grado o anche in appello), sulla quale vi sia stata una decisione a lei sfavorevole o un'omessa pronunzia, in quanto in tali ipotesi l'unico rimedio ad essa consentito è il ricorso per cassazione, mediante il quale è possibile denunziare, nel primo caso, un errore di diritto o il vizio di motivazione, e, nel secondo caso, il vizio di omessa pronunzia.

Cass. civ. n. 4084/1979

L'ammissibilità dell'impugnazione per revocazione, a norma dell'art. 395 n. 2 c.p.c., per il sopravvenuto accertamento della falsità dei documenti decisivi, che sia contenuto in una sentenza penale secondo la previsione degli artt. 380 e 480 c.p.p., postula che su tale accertamento si sia formato il giudicato. Pertanto, avverso la sentenza che abbia condannato l'emittente al pagamento di una cambiale, detta impugnazione non può essere esperita sulla base di una pronuncia penale resa in grado di appello, la quale abbia affermato la falsità del titolo e condannato l'imputato per il reato di falso in cambiale, qualora contro questa pronuncia sia pendente ricorso per cassazione dell'imputato, tenuto conto dell'idoneità di tale ricorso, quali ne siano i motivi, a travolgere detta pronuncia d'appello anche in punto di sussistenza del fatto e del conseguente accertamento della falsità (art. 152 c.p.c.).

Cass. civ. n. 3918/1979

Al fine della proponibilità dell'impugnazione per revocazione, il riconoscimento della falsità della prova, che l'art. 395 n. 2 c.p.c. equipara alla dichiarazione giudiziale della falsità medesima, è quello proveniente dalla parte che ha utilizzato la prova a proprio favore, e non anche, pertanto, quello proveniente dal suo autore, rimasto estraneo al processo, ancorché interessato al contenuto della prova stessa.

Cass. civ. n. 4452/1978

La sentenza che accoglie l'opposizione all'esecuzione con la quale si è contestato il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata non ha soltanto incidenza processuale, poiché non si limita a dichiarare la nullità del precetto e degli atti esecutivi, ma accerta l'inesistenza, nella realtà giuridica sostanziale, dell'azione esecutiva preannunciata o in corso di esercizio. Contrasta pertanto con tale sentenza, e deve essere revocata ai sensi dell'art. 395 n. 5, c.p.c., la sentenza passata in giudicato la quale abbia successivamente dichiarato che la mancata efficacia di titolo esecutivo della sentenza posta a base dell'esecuzione forzata dipendeva da una mera omissione, emendata con la procedura di correzione degli errori materiali. (Nella specie l'ordine di rilascio dell'immobile locato, del quale era stata rilevata la mancanza in sede di opposizione all'esecuzione, era stato inserito nella sentenza posta a fondamento dell'esecuzione con la procedura ex artt. 287 e 288 c.p.c.; rigettato l'appello contro la sentenza corretta, questa era stata poi revocata per contrasto col precedente giudicato formatosi in sede di opposizione all'esecuzione).

Cass. civ. n. 1040/1978

La falsità di un atto del processo (nella specie, procura ad litem), che abbia fatto apparire come esistente un presupposto processuale in realtà mancante, può configurare dolo revocatorio della sentenza, ai sensi dell'art. 395 n. 2 c.p.c., solo quando rappresenti un elemento di una macchinazione fraudolenta che abbia concretamente inciso sul principio del contraddittorio e sul diritto di difesa o, comunque, sull'accertamento della verità.

Cass. civ. n. 1067/1955

Quando sono state emesse in grado diverso più sentenze, l'istanza di revocazione deve essere proposta contro quella emessa nel grado superiore.

Anche le sentenze che chiudono definitivamente il processo per motivi di rito sono impugnabili per revocazione.

Cass. civ. n. 3007/1954

Non può essere dedotta come motivo di revocazione la mancanza di legittimazione della parte nel giudizio in cui è stata pronunziata la sentenza, impugnata per revocazione.

Cass. civ. n. 1318/1954

Quando il giudice, anche senza che sia proposta l'eccezione, rileva o nega l'esistenza di un giudicato, si ha una situazione strettamente analoga a quella nella quale egli si pronunzi sulla eccezione. I vizi eventuali della sentenza, compreso quello di pronunzia, extra petita (perché l'eccezione non fu proposta) non possono in tal caso farsi valere con l'istanza di revocazione, ma con l'appello o il ricorso per cassazione.

Cass. civ. n. 3865/1953

Il nesso di causalità fra il dolo o la collusione, l'inganno del giudice e la sentenza ingiusta, che ne è la conseguenza, deve essere di natura psicologica, non giuridica, perché la sentenza in tal caso è frutto di un errore, e l'errore è vizio della volontà, il cui prius sia in false rappresentazioni o nella mancata conoscenza di un fatto o di una norma; il che interessa le facoltà di sentire e di percepire. Il predetto nesso di causalità non sussiste quando, pur avendo il giudice potuto tener conto di tutti i fatti giuridici rilevanti, la sentenza è ingiusta poiché in tal caso l'ingiustizia della sentenza è effetto soltanto di errore di diritto: questo è solo del giudice, il quale deve conoscere la legge ed accertarne la concreta volontà, e non può essere considerato che in mero rapporto occasionale (solo empiricamente può parlarsi di causalità) con manchevoli od errate difese in diritto delle parti.

Cass. civ. n. 1197/1953

Il provvedimento del giudice collegiale che dichiara cessata la materia del contendere per rinuncia agli atti del giudizio, respingendo il reclamo contro la declaratoria di estinzione pronunziata dall'istruttore, ha forma e sostanza di sentenza, e sono pertanto contro di esso consentite le impugnazioni previste per le sentenze, e, quindi, anche l'impugnazione per revocazione.

Cass. civ. n. 2152/1949

Le parti possono impugnare per revocazione una sentenza solo nei casi tassativamente elencati dall'art. 395 c.p.c. tra i quali non è compreso quello della collusione, per il quale l'impugnazione può essere proposta soltanto dal P.M. ai sensi dell'art. 397 c.p.c.

Cass. civ. n. 530/1949

Le sentenze che pronunciano sulle opposizioni agli atti esecutivi sono sottratte ad ogni impugnativa diversa del regolamento di competenza, e pertanto non possono essere impugnate nemmeno con l'istanza per revocazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 395 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Dario D. M. chiede
martedì 23/07/2024
“Buongiorno, nel 2021 sono stato licenziato dall'azienda nella quale lavoravo, a causa della segnalazione mendace di tre persone nei miei confronti. Detta segnalazione è avvenuta in contemporanea di un appuntamento preso da me con il General manager dell'azienda, per riportare problematiche di mobbing e non solo, perpetrate da queste persone e da diversi soggetti delle risorse umane ai danni di moltissimi operai. Conversazione mai avvenuta perchè sono stato allontanato giusto il giorno prima dell'appuntamento preso. Ho confutato già con l'azienda prima del mio licenziamento, che fosse tutta una montatura di queste tre amiche, riportando alcune conversazioni scritte tra di loro in cui si accordavano in tal senso, fatte in una chat interna dell'azienda, non coperta da privacy in quanto nel registrarsi a tale applicativo, si accetta che per eventuali accertamenti delle risorse umane, il materiale potrà essere reso pubblico. Nonostante questo, l'azienda mi ha licenziato, sul licenziamento è riportato che il responsabile HR che si occupava allora della mia contestazione, ignorava volutamente le prove in quanto a dire suo e del suo subalterno, avevo confessato durante la lettura della contestazione, e quindi non c'era altro da dire (peccato che era ignaro che io avessi registrato tutta la lettura e la successiva conversazione fino ai saluti, e avevo per 54 minuti fatto il contrario di confessare!). Sono ricorso quindi alle vie legali. In primo grado il giudice mi ha dato pienamente ragione, anche perchè i testi in aula hanno raccontato i fatti in modo totalmente diverso da quanto fatto nelle loro dichiarazioni firmate, e contraddicendosi inoltre l'un l'altra. Il giudice ha quindi stabilito che il fatto non era inventato e stabilito la reintegra. La società è quindi ricorsa in appello, sperando almeno che non venisse confermata la reintegra, per il danno di immagine (me lo hanno detto loro stessi proponendomi 20 mensilità per rinunciare alla reintegra) e purtroppo, il giudice di appello, ha stabilito che per uno solo dei fatti di cui venivo accusato, non avevo prodotto una diretta prova della sua inesistenza, e ha condannato me a pieno compreso il pagamento delle spese di primo e secondo grado. A dire di tutti gli avvocati consultati non c'era possibilità di cassazione. Ora posseggo due nuove prove di quel fatto, la prima è una registrazione audio, fatta da un collega, nella quale la mia accusatrice ammette di aver mentito perchè gli era stato chiesto da una amica, il tutto parlando col collega stesso, che di fatto ha partecipato alla conversazione che ha registrato. La seconda prova è un testimone di quel fatto, che solo due mesi fa ho incontrato per caso, e che mi ha reso noto che quel giorno era a portata di orecchio e ricordava l'accaduto (parliamo di una azienda con 3000 dipendenti, e di quello che per me era un giorno comune, francamente della sua presenza non mi ricordavo). Ora in virtù di queste nuove prove, posso richiedere la revoca del processo di appello? e in funzione di quale dei commi del 395 cpc? ho trovato che potrei denunciare la persona per falsa testimonianza e farla perseguire, e con la sentenza penale ricorrere alla revoca, ma questa strada in Piemonte, è impraticabile, basti pensare che del novembre 2021 ho denunciato queste persone per diffamazione, e ad oggi la pratica non è stata archiviata, ma le indagini non sono ancora mai partite. Considerando ad esempio che due esponenti di HR hanno a suo tempo mentito sulla mia confessione, (dimostrato in aula dalla registrazione fatta da me), anche se ora si parla di uno dei testi che mi hanno denunciato e non dell'azienda in se, non posso comunque appellarmi al dolo a mio danno? (art. 395 n.1)
Attendo un Vostro riscontro, e se volete ulteriori chiarimenti dovete solo chiederlo.”
Consulenza legale i 03/08/2024
Tra i motivi di revocazione di cui all’art. 395 c.p.c. il più calzante per il caso di specie è certamente quello di cui al n. 2: “se si è giudicato in base a prove riconosciute o dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciuti o dichiarati tali prima della sentenza”.

Il riconoscimento della falsità deve provenire dalla parte che si è giovata della prova falsa. Pertanto, dovrebbe essere l’ex datore di lavoro a riconoscere come falsa la testimonianza della collega.

Per quanto riguarda, invece, la dichiarazione della falsità, essa è costituita da una sentenza civile o penale passata in giudicato che abbia accertato la falsità. Purtroppo, non vi è un’altra via, se non quella di procedere in tal senso in tribunale.

Secondo la giurisprudenza, infatti, prova falsa è quella che sia stata dichiarata tale con sentenza passata in giudicato, ovvero quella la cui falsità sia stata riconosciuta dopo la sentenza impugnata. Questo secondo presupposto non può consistere nella valutazione del contenuto di una deposizione testimoniale che la parte compia in maniera difforme da quella seguita dal giudice del merito o nella confessione sostanzialmente resa dalla parte nel corso di un giudizio (Cass. 22 febbraio 2006, n. 3947; conforme Cass. 29 agosto 1994, n. 7576; Cass. 30 marzo 1992, n. 3863).

La prova della falsità deve essere precostituita alla domanda di revocazione.

È importante che la prova falsa abbia avuto efficacia causale sul convincimento del giudice. In altre parole, il giudice deve essersi basato proprio su quella testimonianza falsa per giustificare la condanna.
Per quanto riguarda il motivo di revocazione di cui al n. 1 (se la sentenza è “l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra”), si osserva quanto segue.

Secondo l’orientamento assolutamente prevalente, perché si abbia dolo revocatorio non è sufficiente che la controparte si sia comportata nel processo in modo sleale o scorretto ovvero che abbia effettuato affermazioni o allegazioni false; è necessario invece che la parte ponga in essere artifizi e raggiri tali da pregiudicare concretamente il potere di difesa avversario e la possibilità in capo al giudicante di accertare la verità.

Ovviamente, non deve trattarsi di semplice furbizia posta in essere da una delle parti, ma di vero e proprio dolus malus, inteso come fatto idoneo a sviare il convincimento del giudice.

Inoltre, è richiesta la sussistenza di un rapporto di causa/effetto tra il dolo posto in essere e la sentenza resa, nel senso che l'elemento viziato dal dolo deve essere quello in base al quale si è formata la decisione e la susseguente deliberazione del magistrato.
Secondo la giurisprudenza, per integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 1, c.p.c., non è sufficiente la sola violazione dell’obbligo di lealtà e probità previsto dall’art. 88 c.p.c., né, in linea di massima, sono di per sé sufficienti il mendacio, le false allegazioni o le reticenze, ma si richiede un’attività («macchinazione») intenzionalmente fraudolenta che si concretizzi in artifici o raggiri subiettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria e a impedire al giudice l’accertamento della verità, pregiudicando l’esito del procedimento (Cass. 10 marzo 2005, n. 5329; conforme Cass. lav., 26 gennaio 2004, n. 1369; Cass. 30 agosto 2002, n. 12720; Cass. 9 giugno 2002, n. 8916).

Integra la fattispecie del dolo processuale revocatorio (art. 395, n. 1, c.p.c.) quell’attività intenzionalmente fraudolenta che si concreti in artifici e raggiri (che possono consistere anche nel mendacio su fatti decisivi della causa), tali da travisare una situazione in modo da farla apparire diversa da quella reale, onde fuorviare il giudice nell’accertamento della verità processualmente rilevante (Cass. 24 marzo 2006, n. 6595)

Nel caso di specie, il datore di lavoro potrebbe essere anche inconsapevole della falsità della dichiarazione delle colleghe e, secondo quanto riportato, non sembra vi siano stati altri artifizi o raggiri posti in essere dall’azienda per fuorviare il giudice.

Pertanto, un ricorso ai sensi dell’art. 395, n. 1, c.p.c. rischierebbe di essere respinto.


Paolo S. chiede
lunedì 21/10/2019 - Marche
“Purtroppo ho partecipato circa 10 anni fa a un avviso per Direttore di Medicina a U. nel cui bando da una parte si dichiarava l'obbligatorietà del certificato, non autocertificabile, dell'attività quali e quantitativa e dall'altra la facoltatività di tale certificato. Io avevo prodotto un certificato di Primariato redatto dalla stessa Azienda del concorso.
Ho vinto quel bando ma successivamente un partecipante ha fatto ricorso che è arrivato in Cassazione nel marzo 2018 (adunanza del 16 marzo 2018 n. 6594) con dichiarazione di nullità contrattuale.
Per tale motivo, ora, mi ritrovo ad essere degradato a Medico semplice di Reparto dopo 10 anni e prima altri 6 di Primario.
C'è, nonostante il tempo passato, la possibilità di revocazione della sentenza di Cassazione per il fatto che esiste una legge dello Stato sulla autocertificazione dei titoli che, lavorando per la stessa Azienda, erano già noti alla Azienda Sanitaria stessa?
Grazie.

Consulenza legale i 31/10/2019
Il bando di concorso rappresenta la lex specialis delle procedure pubbliche destinate a sfociare in un rapporto contrattuale con la Pubblica Amministrazione, che può essere un appalto pubblico, una concessione o, come nell'ipotesi in esame, l'instaurazione di un rapporto di lavoro alle sue dipendenze.

Il bando di concorso presenta una doppia natura: da una parte obbliga i partecipanti a possedere i requisiti del bando non solo al momento della presentazione della domanda, bensì anche per tutta la durata del procedimento di selezione; dall'altra parte vincola la stessa P.A. al rispetto delle regole fissate nella lex specialis a pena di illegittimità del procedimento stesso.

Difatti, anche e soprattutto per il rispetto del principio di trasparenza ed imparzialità nei confronti dei partecipanti al bando di concorso, è chiaro come non possano essere modificate in itinere le regole del procedimento amministrativo di selezione.

Fatte le dovute premesse, pare ora necessario analizzare più da vicino la fattispecie oggetto del quesito.

Per quanto concerne la vicenda, il ricorrente ha chiesto la cassazione della sentenza di appello lamentando una non corretta interpretazione delle clausole del bando, nello specifico se fosse indispensabile o meno presentare la certificazione afferente la tipologia qualitativa e quantitativa delle prestazioni effettuate dal candidato, piuttosto che una (più semplice) autocertificazione.

La cassazione ha invece ritenuto che il bando fosse tassativo nel richiedere la presentazione della certificazione di cui sopra, in ottemperanza a quanto prescritto dall'art. 8 del D.P.R. n. 484/1997.

Orbene, le censure del ricorrente non sono tuttavia giunte sino a porre in discussione la legittimità stessa della lex specialis della procedura, ad esempio per illegittimità del bando rispetto al D.p.r. n. 484/97, ed infatti la stessa Corte di Cassazione statuisce al punto 11.6 della sentenza che “uan volta esclusa la fondatezza del motivo relativo all'interpretazione delle clausole del bando, diviene inammissibile per difetto di interesse la censura di asserita violazione del D.P.R. 484 del 1997 perchè, non essendo mai stata posta in discussione la legittimità della lex specialis della procedura, dalla fondatezza del motivo non potrebbe mai discendere la cassazione della sentenza gravata”.

Posto che, come detto, non è stata censurata la legittimità del bando di concorso, la questione non potrebbe comunque essere sollevata in un eventuale giudizio di revocazione, né tantomeno, per i motivi che vedremo, per la sopravvenienza delle norme sull'autocertificazione.

La revocazione viene tradizionalmente configurata come un mezzo d’impugnazione a carattere eccezionale che risponderebbe all’esigenza di porre rimedio ai casi in cui un giudizio si manifesti affetto da circostanze patologiche che ne hanno turbato il regolare corso in modo talmente radicale da deviarlo verso risultati ingiusti e da far presumere che, in assenza delle ragioni di turbativa, l’esito sarebbe stato diverso. In questi casi, eccezionalmente l’ordinamento può consentire che il bisogno di giustizia prevalga su quello di stabilità della decisione.

La revocazione, per come delineata dall’art. 395 c.p.c., costituisce un mezzo di impugnazione a critica vincolata, esperibile soltanto in presenza dei vizi tassativamente indicati dal legislatore, i quali si distinguono in vizi occulti (quelli di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6), che, in quanto non rilevabili sulla base della sola sentenza, sono denunciabili anche dopo il passaggio in giudicato (e fondano, pertanto, una revocazione straordinaria), e vizi palesi (quelli di cui ai numeri 4 e 5), i quali, in quanto rilevabili sulla base della sentenza, non possono più essere fatti valere se non denunciati entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza o, in mancanza, entro sei mesi dalla pubblicazione della stessa (e fondano, dunque, una revocazione ordinaria). Nell’identificare i provvedimenti impugnabili per revocazione, l’art. 395 c.p.c. fa riferimento esclusivamente alle sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado, non anche alle sentenze o agli altri provvedimenti pronunciati dalla Corte di cassazione, la cui revocabilità era originariamente esclusa dal codice. La revocazione per errore di fatto delle pronunce della Cassazione è stata ammessa soltanto con l’introduzione dell’art. 391 bis c.p.c. (per mezzo della l. n. 353/1990), cui ha fatto seguito l’introduzione (per mezzo del d.lgs. 40/2006) dell’art. 391 ter c.p.c., con cui si è ammessa la revocazione anche per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 c.p.c., ma solo limitatamente ai provvedimenti con cui la Cassazione ha deciso la causa nel merito.

Orbene, la lamentata esistenza delle norme sull'autocertificazione sicuramente non rientra tra i casi di revocazione di cui ai n. 1, 2, 3 e 6 (e nemmeno 4 e 5 in realtà) per i quali si potrebbe chiedere la revocazione della sentenza di cassazione, e quindi è incensurabile la legittimità del bando di concorso. Oltretutto, come detto il ricorrente , già nei precedenti gradi di giudizio, mai si era lamentato circa l'illegittimità del bando, ma, per contro, si era soffermato sull'errata interpretazione di una clausola del medesimo, mentre meglio avrebbe fatto a denunciare l'inapplicabilità del disposto dell'art. 8 D.P.R. 484/1997 al bando in oggetto, oppure l'illegittimità dell'articolo stesso, chiedendone la disapplicazione, e quindi, di conseguenza, l'illegittimità a cascata del particolare requisito della lex specialis.

Ma così non è stato, e quindi già in primo grado si era formato il c.d. giudicato implicito sulla legittimità del bando, dato che alcuna censura era stata mossa in tal senso. Men che meno potrebbe operare l'istituto della revocazione, dato che con esso, come detto, è possibile lamentare la correttezza della sentenza solo quando emergano profili particolarmente gravi (ad es. dolo del giudice, prove rilevanti sopravvenute ecc.) che, per ragioni di giustizia sostanziale, giustifichino la rescissione del giudicato.

Giuseppe G. chiede
martedì 02/04/2019 - Abruzzo
“Desidero sapere se il ricorso per la revocazione di una sentenza della Corte di Cassazione, ex art. 395 c.p.c., preclude la possibilità di presentare contemporaneamente ricorso alla Corte Europea in base alla CEDU.”
Consulenza legale i 09/04/2019
In primo luogo è bene chiarire che non è consentita, allo stato, la revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c. avverso le sentenza di legittimità, ovvero quelle emesse dalla Corte di Cassazione. Il dibattito su questa questione è molto acceso e non ancora sopìto.
Da un lato c’è chi sostiene che sarebbe opportuno che vi fosse uno strumento che consenta di riaprire la discussione dopo il giudicato (ovvero una decisione definitiva e non più impugnabile, in quanto si è esaurita ogni possibilità in tal senso), quando quest’ultimo si ponga in contrasto con la normativa sovranazionale, ed in particolare con decisioni di organi sovranazionali.
Dall’altro la Corte di Cassazione stessa ha sempre respinto tale possibilità, sulla base del ragionamento per cui la non impugnabilità delle sentenze di legittimità (eccettuati i casi che vedremo in seguito) risponde al fine di conseguire la certezza sulla situazione giuridica controversa.

Esiste una sola possibilità di agire in revocazione avverso una sentenza della Cassazione, che è quello previsto dall’art. 391 bis-bis, in base al quale ammettono l’esperibilità del rimedio della revocazione per errore di fatto, ai sensi del 395, 4° comma, c.p.c., le sole sentenze della Suprema Corte affette da errore materiale o di calcolo. Come si vede, la casistica è estremamente ridotta.

Tutto ciò chiarito e premesso, l’art. 35 della Convenzione Europea per i diritti dell’uomo recita: “La Corte non può essere adita se non dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne, qual'è inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva

Ciò significa che il ricorso alla Corte Europea è possibile solo dopo aver esaurito i giudizi interni: per fare un esempio semplice, non si potrà ricorrere alla CEDU avverso una sentenza di appello se prima non si sia tentato il ricorso in Cassazione.

La stessa Corte Europea dei diritti dell’uomo ha chiarito che: “Affinché possa ritenersi applicata la regola del previo esaurimento di cui all'art. 35 Cedu, è sufficiente che l'interessato abbia sollevato davanti alle autorità nazionali almeno in sostanza e alle condizioni e termini prescritti dal diritto interno le doglianze che intendono formulare successivamente a Strasburgo.” (Corte europea diritti dell'uomo, 01/03/2006, Se. c. Italia)

Tornando al quesito, dunque, va chiarito quali siano le doglianze (ovvero le lamentele, le eccezioni da sollevare) che si intendono portare all’attenzione della Corte Europea. Se si tratta di questioni di merito già definite in sede di giudizio interno, ma del tutto diverse da quelle oggetto del ricorso interno per revocazione, la contemporanea pendenza dei due procedimenti (interno e sovranazionale) sarà astrattamente possibile.

Se si tratta, invece, nel caso della revocazione, anche solo parzialmente di identiche questioni allora non sarà possibile ricorrere per revocazione avverso una sentenza (di merito) interna e contemporaneamente promuovere un separato giudizio avanti alla Corte Europea; e ciò anche se il quesito si dovesse riferire alla speciale revocazione di cui all’art. 391-bis s.p.c., poiché bisognerebbe attendere fino a che il primo giudizio non si sia concluso (e sempre, ovviamente, nel rispetto del termine dei sei mesi di cui alla Convenzione Europea).

Walter B. chiede
domenica 31/12/2017 - Campania
“Mi ricollego alla consulenza Q201719952 ricevuta nei giorni scorsi, nella quale tra l’altro mi viene segnalato che l’istanza per dolo dovrebbe avviare un giudizio in cui accertare il nesso di causalità tra l’esibizione del documento contraffatto e l’errore del giudice, mentre la falsità del contratto andrebbe preventivamente accertata in un giudizio autonomo separato; ma come già dicevo in una mia precedente mail, ho controllato il fascicolo documenti del ricorso in questione nell’archivio presso il Tribunale di Napoli e la documentazione della controparte non include alcuna copia di contratto di locazione né è dato sapere se sia mai stato esibito e successivamente ritirato, per cui, circa il dolo, la sentenza e il mio contratto che la contraddice, restano l’unica prova da esibire.
Dunque mi sembra che delle due fasi necessarie, accertamento della falsità del documento e accertamento del nesso causale tra documento e sentenza, la seconda sia la più lineare da gestire, perché come già osservato, se il giudice che ha emesso la sentenza è dell’idea che ha dichiarato, non può che aver letto il contratto contraffatto, completato con qualche motivazione per la richiesta dell’aumento ,e non il mio, per poi conseguentemente e con evidente nesso causale riconoscere come legittima la richiesta di aumento del canone di locazione e respingere il mio ricorso, che invece avrebbe accolto sulla base della sua idea (minoritaria), se avesse letto il mio contratto, quello reale originario di cui vi ho fornito lo stralcio di interesse, che di motivazioni per l’aumento non ne fornisce alcuna.
Nella prima fase invece mi pare che si debba provare non solo la falsità del documento, ma innanzitutto la sua esistenza. Si dovrebbe ottenere cioè che il giudice dica che “se nel ricorso per indebito aumento del canone, a fronte del contratto di locazione esibito dal ricorrente, è stata pronunciata quella sentenza a lui sfavorevole , si conclude che esiste o è esistito un altro contratto di locazione, esibito dalla controparte, e che questo è o è stato contraffatto, nella parte che, letta dal giudice, ha potuto determinare la sentenza stessa”. Tale giudizio conclusivo della prima fase, da far valere come prova della esistenza e della falsità ora giudizialmente accertata di un secondo contratto, servirebbe poi per avviare la seconda fase, l’istanza di revoca per dolo della sentenza originaria.
Questa conclusione che mi renderebbe giustizia sarebbe auspicabile , ma a me pare anche possibile una seconda diversa conclusione , in risposta ad una richiesta di attestazione di falsità per un documento che non si esibisce materialmente, ma di cui si ipotizza l’esistenza sulla base di una deduzione; potrebbe darsi cioè che il giudice invece dica che “se nel ricorso per indebito aumento del canone, a fronte del contratto di locazione esibito dal ricorrente, è stata pronunciata quella sentenza a lui sfavorevole , da ciò non si deduce immediatamente l’esistenza del dolo, ma l’esistenza di un errore, mentre è di un momento successivo la deduzione dell’esistenza di un documento contraffatto che ne sarebbe causa; andava quindi promosso un giudizio per errore del giudice, ma nei termini previsti”.
Tale secondo possibile giudizio conclusivo della prima fase mi precluderebbe l’avvio della seconda, ma soprattutto non farebbe giustizia in un momento in cui sarebbe possibile, impedendo quell’accertamento della verità che la seconda fase potrebbe assicurare.
Ora avvocato, è questa l’opinione che le chiedo, quale delle due conclusioni che ho immaginato possibili lei ritiene probabile, oppure , eventualmente, dove sbaglio, e quale esito invece lei ritiene che potrebbe avere il mio ricorso se impostato come sopra? Grazie. Resto in attesa.”
Consulenza legale i 09/01/2018
Riportandoci al contenuto del parere a suo tempo inviatoLe, in questa sede, alla luce degli ulteriori chiarimenti da Lei forniti con il quesito ora in esame, precisiamo quanto segue.

Lei sostiene che “la documentazione di controparte non include alcuna copia del contratto di locazione, né è dato sapere se sia mai stato esibito e successivamente ritirato”.

In merito a questa precisazione, riteniamo improbabile che controparte non abbia, nel corso del giudizio, depositato il contratto di locazione.

In ogni caso, laddove effettivamente non prodotto, Lei avrebbe dovuto, tramite il suo difensore, già nel corso del giudizio di primo grado, far valere appunto la mancata produzione del contratto e, quindi, ritenere le eccezioni e le pretese avverse non provate.

Essendoci stato poi un giudizio, peraltro da Lei instaurato, appare anomalo che Lei non sappia se il contratto sia o meno stato esibito da controparte. La prima cosa che fa un avvocato è esaminare la documentazione avversaria.

Ciò posto, se, come ci riferisce, non è stato depositato alcun contratto, riteniamo infondata la sua affermazione secondo la quale “il giudice non può che aver letto il contratto contraffatto, completato con qualche motivazione per la richiesta dell’aumento e non il mio”.

In ogni caso, in base alle Sue affermazioni, ci viene da dire che il convincimento del giudice si sia formato in base ai documenti prodotti e che pertanto il giudice abbia errato nella valutazione degli stessi.

L’errore andava impugnato con il rimedio della revocazione ordinaria e negli ordinari tempi di impugnazione non potendo, l’errore di fatto, essere impugnato con la revocazione straordinaria che è, invece, ammessa solo nei casi dei numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 c.p.c.

Inoltre, se il contratto che Lei ritiene essere stato contraffatto, non è mai stato prodotto in giudizio, non sarà percorribile la strada dell’accertamento della falsità del documento.

Non si può impugnare un documento che non è “entrato” nel processo.

Inoltre, siccome il giudice fonda il proprio convincimento sulla base dei documenti allegati dalle parti, risulta assai improbabile che lo stesso abbia deciso presupponendo l’esistenza di un altro contratto di locazione (quello di controparte che, a suo dire, è stato contraffatto) avente un contenuto difforme da quello da Lei prodotto.

Alla luce di quanto detto, pertanto, riteniamo che non possa configurarsi neppure l’ipotesi del dolo.

In sostanza, alla luce di quanto da Lei riferito, l’unico rimedio era quello di impugnare la sentenza di primo grado per revocazione ordinaria per errore di fatto di cui al n. 4 dell’art. 395 c.p.c.


Angelo S. chiede
martedì 12/12/2017 - Puglia
“Salve, gradirei sapere se il giudice dell'esdebitazione sollecitato dal professionista dell'esdebitando e dall'OCC può annullare originari errori giudiziari;
Errori provocati da ausiliari infedeli e attori di irregolarità procedurali (a tutto beneficio di Banche per coobbligazioni assunte negli anni '85/92) quali mancati riconoscimenti di legge (es: uso piazza), travisamento dei saldi di conto (occultamento in c/c di c/anticipi), inspiegato disconoscimento di anatocismo;
In caso affermativo vorrei sapere se il giudice dell'esdebitamento deve necessariamente sottoporre il problema al Tribunale per il giusto rimedio o se può procedere a mezzo falcidia del debito.
Tanto viene richiesto per intervenuta sfiducia nel sistema giustizia.
In attesa di vs. riscontro porgo distinti saluti”
Consulenza legale i 19/12/2017

Scopo di ogni giudizio e di ogni procedimento innanzi all’Autorità Giudiziaria, è quello di raggiungere un certo grado di certezza in ordine a determinati rapporti giuridici controversi, certezza che può dirsi raggiunta, per l’ordinamento civile, quando si giunge alla sentenza a conclusione di un processo scandito da norme di legge e la decisione diventa definitiva ed incontrovertibile.

Questa incontrovertibilità, che il codice di procedura civile definisce “cosa giudicata formale” (art. 324 c.p.c.) coincide con la conclusione del processo e con la preclusione di giudicare di nuovo sul medesimo caso poiché è trascorso un certo lasso di tempo senza che nessuno abbia chiesto una “revisione” – rectius impugnazione - della decisione, ovvero perché si sono esaurite le possibilità di revisione che l’ordinamento contempla.

Anche in questo caso al Giudice del procedimento di esdebitazione è precluso un nuovo giudizio su fatti che già furono oggetto di una precedente decisione. Sarebbe stato necessario proporre impugnazione avverso la decisione che si assume ingiusta nei termini previsti dal codice di procedura civile (al più tardi un anno dalla pubblicazione della decisione), essendosi formato il giudicato nell’inerzia della parte soccombente.

Ciò chiarito si può tuttavia evidenziare che l’unico rimedio per rimettere in discussione dopo tanto tempo una decisione di un giudice avente efficacia di giudicato, è la proposizione di un procedimento per revocazione straordinaria, che in nessun caso potrebbe però essere proposto nel giudizio di esdebitazione.

Con la revocazione straordinaria si possono far valere elementi turbativi del giudizio dei quali è possibile che si venga a conoscenza a distanza di molto tempo, e che pertanto possono essere fatti valere al di là degli stretti termini temporali delle impugnazioni ordinarie, ma comunque entro trenta giorni avverso tutte le sentenze ovvero di sessanta giorni nei confronti delle sentenze della Corte di Cassazione, che decorrono dalla scoperta del fatto o della circostanza sulla quale si fonda il ricorso.

L’art. 395 c.p.c. prevede la possibilità di richiedere la revocazione straordinaria della sentenza:

1) per quelle decisioni che siano l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra, in quanto una parte ha poste in essere comportamenti deliberatamente fraudolenti, tramite artifici o raggiri tali da paralizzare o sviare la difesa avversaria ed impedire al giudice l'accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale (Cass n. 12875/2014);

2) per i casi in cui il giudice ha giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza, e nei quali pertanto sussista una sentenza che riconosca la falsità di dette prove od un riconoscimento espresso della loro falsità della controparte;

3) per i casi in cui dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario;

4) e per i casi in cui la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

Qualora sussistano le condizioni, i presupposti ovvero le prove per sostenere un giudizio di revocazione, allora l’unico modo per eliminare l’ingiusta sentenza è proporre atto di citazione della controparte innanzi al medesimo giudice (inteso come ufficio giudiziario e non come persona fisica) che ha pronunciato la sentenza impugnata (art. 398 c.p.c.) non essendo possibile sottoporre la questione incidenter tantum al giudice dell’esdebitazione.


ALFREDO C. chiede
venerdì 18/11/2016 - Lazio
“a seguito di 4 accertamenti fiscali abbiamo prodotti i relativi ricorsi tributari. Per 3 tutto ok, il 4^ dopo molto tempo siamo andati in Commissione e abbiamo riscontrato diverse inesattezze. Abbiamo esperito il ricorso per revocazione e la Commissione di 1^ grado ha deciso l'inammissibilità del ricorso. Per appellarci alla sentenza a chi dobbiamo presentare l'atto?
Grazie e cordiali saluti

Consulenza legale i 21/11/2016
Nel processo tributario, la revocazione delle sentenze è disciplinata dagli artt. 64 – 67 del d.lgs. n. 546 del 31.12.1992 (il c.d. Codice del processo tributario).
Ai sensi dell’art. 64, «contro le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate è ammessa la revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello possono essere impugnate per i motivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 c.p.c. purché la scoperta del dolo o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al n. 6 dell’art. 395 c.p.c. siano posteriori alla scadenza del termine suddetto».

Si trova ancora un’analogia tra le disposizioni relative al processo civile e quelle relative al processo tributario. Si applica infatti l’art. 395 c.p.c. sui motivi di revocazione, che, al pari della revocazione civile, anche in sede tributaria può essere definita come mezzo di impugnazione straordinario, in quanto è esperibile quando avverso la sentenza non è più possibile proporre altro mezzo di impugnazione (appello o ricorso per Cassazione).
La peculiarità risiede nel fatto che in sede tributaria è possibile chiedere la revocazione per quelle sentenze che abbiano implicato un accertamento di fatto (vale a dire, un accertamento nel merito della questione prospettata).

Nel caso in cui sia comminata la inammissibilità del ricorso per revocazione, si applica l’art. 60 del d.lgs. n. 546/92, il quale prevede espressamente il divieto di riproporre l’appello dichiarato inammissibile.

Diverso sarebbe stato se si fosse avuta una sentenza di merito all’interno del giudizio di revocazione: in tal caso, l’art. 67 del d.lgs. 546/92 prevede infatti che «contro la sentenza che decide il giudizio di revocazione sono ammessi i mezzi d'impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione».

Nel caso di specie, essendo stato dichiarato il ricorso per revocazione inammissibile, non sarà più possibile esperire alcun mezzo di impugnazione.

Giuseppe D.F. chiede
domenica 19/06/2016 - Friuli-Venezia
“Premesso che nel 1996 ho comprato un appartamento in provincia di Udine. Sul lato nord dello stabile in questione vi è esistente un manufatto che, seppur apparentemente, sembra una canna fumaria, in realtà non è altro che una struttura costruita per nascondere due tubi coibentati di canne fumarie, a se stanti e perfettamente funzionanti. Nel corso degli anni l'intonaco di tale struttura, per motivi atmosferici (infiltrazioni e gelate) è "scoppiato". A seguito di ciò il proprietario dell'altra canna fumaria ha provveduto al rifacimento dell'intonaco rovinato del manufatto posto esclusivamente a nascondere le predette canne fumarie, chiamandomi poi a corrispondere la metà delle spese sostenute. Ritenendo che, la richiesta fattami fosse ingiusta, dapprima mi rivolgevo all'architetto progettista e direttore dei lavori del fabbricato in questione e poi, a seguito di dichiarazione di questi, attestante che il manufatto in questione era un complemento della facciata, facevo presente alla controparte di rivolgersi al condominio e non a me. Malgrado quanto sopra mi sono trovato ad essere condannato al pagamento della metà della spesa da questi sostenuta, più le spese legali, sia in primo grado che in appello. Ritenendo fondato che, in entrambe le circostanze i giudizi espressi siano frutto di un "errore" di valutazione da parte di entrambi i magistrati, ex art 395 c.p.c. Le chiedo se è possibile ricorrere per revocazione in quanto entrambi si sono espressi in tal senso perché in errore a causa di "deficienza tecnica" scaturita dalla mancata: -1)ammissione del teste ( l'architetto) ma me citato;; -2) considerazione della dichiarazione scritta dallo stesso progettista nella quale si evidenzia che la struttura in questione non ha alcuna connessione funzionale con le citate canne fumarie ma trattasi di un complemento della facciata dello stabile. Personalmente Le aggiungo, inoltre che, tale manufatto pur sembrando apparentemente un canna fumaria risulta non averne le caratteristiche in quanto mancante del necessario collegamento con la camera di combustione ed ha due aperture una superiore ed un' altra inferiore. E' possibile ricorrere ex art. 395 c.p.c. Che percentuale di successo si potrà avere?”
Consulenza legale i 27/06/2016
Va in primo luogo premesso che il rimedio della revocazione è del tutto eccezionale, pertanto i casi elencati dalla norma (art. 395 c.p.c.) sono di strettissima interpretazione.
Ciò detto, dalla descrizione dei fatti di cui al quesito, non si ritiene sussistano i presupposti per il rimedio processuale in oggetto e pertanto le percentuali di successo di un’azione di questo tipo, nel caso concreto, sarebbero scarsissime.

Nella fattispecie, la revocazione è stata ipotizzata, nel quesito, per “errore di fatto”, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.: “Le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione (…) 4) se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
Attenzione, tuttavia, che l’errore di fatto di cui parla la norma non consiste in pretesi, inesatti apprezzamento o valutazione delle prove, delle allegazioni delle parti o delle norme di legge, ma consiste in una “falsa percezione” di ciò che emergeva dagli atti di causa e che era del tutto incontroverso ed incontrovertibile, tanto che non avrebbe potuto nemmeno dar luogo ad apprezzamenti di qualche tipo, né avrebbe necessitato di argomentazioni o indagini particolari. Insomma, qualcosa di immediatamente comprensibile e di automatica rilevabilità, sulla quale il Giudice ha avuto una semplice svista materiale, per cui ha ritenuto esistente un fatto decisivo che invece gli atti di causa palesemente escludevano (o, al contrario, ha ritenuto inesistente un fatto che dagli atti del giudizio risultava incontestabilmente inesistente).

Deve trattarsi, in definitiva, di un errore di percezione e non di valutazione e/o interpretazione: qualora, infatti, l’errore si traduca in una vizio logico della motivazione, il rimedio della revocazione è escluso e si dovrà necessariamente impugnare il provvedimento in Cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.: “Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione: (…) 5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.”

La giurisprudenza ha escluso che costituiscano legittime ipotesi di revocazione l’omesso esame di specifici elementi probatori, l’erronea lettura della deposizione di un testimone (per ritenuta discordanza tra le dichiarazioni attribuite dal giudice al teste e quelle da questi effettivamente rese) e, in generale, l’inesatto apprezzamento delle risultanze processuali o un’incompleta valutazione degli atti di causa. Ciò perché sono tutti casi in cui, senza l’errore del giudice, non è detto che la decisione sarebbe stata sicuramente ed automaticamente diversa (ciò che invece, è quel che si valuta in sede di revocazione).

Si riportano di seguito alcune pronunce in materia che aiutano a chiarire il significato nella norma in commento:

-“L’errore di fatto previsto dall'art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste nell'affermazione o supposizione dell'esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece in modo indiscutibile esclusa o accertata in base al tenore degli atti e documenti di causa; esso si configura quindi in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti e documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l'attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; ne consegue che non è configurabile l'errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse dichiarato inammissibile la domanda di revocazione, in quanto con essa si assumeva che dalla prova testimoniale risultasse che la strada in cui si era verificato un incidente stradale non fosse né rettilinea né ben illuminata, denunciandosi in tal modo non un errore nella percezione del significato della deposizione testimoniale, ma un errore di valutazione).” (Cassazione civile, sez. III, 23 febbraio 2006, n. 4015);

In tema di impugnazioni civili, l'errore nella percezione del significato letterale e logico di una deposizione testimoniale non attiene alla interpretazione e valutazione della prova e non dà luogo, quindi, al vizio di omessa o contraddittoria motivazione della sentenza, ma ad un errore di fatto che, a norma dell'art. 395 n. 4 c.p.c., consente solo l'impugnazione per revocazione.” (Cassazione civile, sez. III, 25 giugno 2003, n. 10127);

-“Perché ricorra l'ipotesi di revocazione rappresentata dalla supposta inesistenza di un fatto la cui verità è, invece, positivamente stabilita, deve sussistere rapporto di causalità fra questa erronea supposizione e la pronuncia in concreto adottata, nel senso che, in mancanza dell'errore, la decisione sarebbe stata con certezza, in tutto o in parte, di segno opposto. Pertanto, nel caso di una deposizione testimoniale erroneamente considerata inesistente e, quindi, non tenuta presente ai fini della decisione, non si configura la detta ipotesi di errore revocatorio, atteso che esula una siffatta certezza, dovendo le dichiarazioni di un teste essere valutate - sia per quanto riguarda la loro effettiva consistenza, sia per quanto riguarda l'attendibilità del dichiarante - dal giudice del merito. L'omesso esame di tali deposizioni, ancorché virtualmente decisive, nel senso che vi sia sufficiente certezza di una diversa soluzione della controversia in base ad esse, è pertanto denunciabile per cassazione, pure se determinato da una mera svista materiale, come vizio di motivazione.(Cassazione civile, sez. II, 11 febbraio 1987, n. 1493);

-“L'errore di fatto previsto dall'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione, consistendo in una falsa percezione della realtà, deve sostanziarsi in un'affermazione, positiva o negativa, di un fatto, in contrasto con le evidenze di causa; pertanto, ove il giudice abbia semplicemente ignorato un fatto, omettendo di esaminarne la prova, può configurarsi un vizio di motivazione e non il vizio revocatorio” (Cassazione civile, sez. II, 19 aprile 2013, n. 9637);

- Infine “Non si ha errore di fatto ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c., ma vizio denunciabile per cassazione a norma dell'art. 560 n. 5 dello stesso codice, allorché il giudice del merito, per difetto di attività processuale, abbia proceduto ad erronea valutazione delle risultanze processuali, incorrendo così in errore di giudizio (Cassazione civile, sez. lav., 22 maggio 1980, n. 3388).

Com’è evidente, in conclusione, nel caso di specie ciò che si imputa al giudice è di aver errato nel decidere se assumere o meno una testimonianza e di aver ritenuto irrilevante una seconda testimonianza, pur se espressamente resa a favore della parte poi soccombente: si tratta, tuttavia, di evidenti casi di errore nella valutazione e nel giudizio delle prove, che eventualmente sarebbero censurabili in Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c. (si precisa “eventualmente” perché sussistendo nel processo civile il principio del libero e prudente apprezzamento del giudice sulle prove, qualora la sua decisione sia congruamente e logicamente motivata nessuna censura potrà essere mossa neppure in sede di legittimità sotto il profilo evidenziato).

Eugenio P. chiede
mercoledì 14/10/2015 - Campania
“Esiste una sentenza del 2003, passata in giudicato, che rigetta una opposizione a d.i., e conferma il decreto contro una s.r.l., l'unico socio (io) e la moglie.
Per riscuotere le ingenti somme (oltre 500.000 euro) vengono attivate nel 2013 diverse procedure di pignoramento bancario e immobiliare: sono pendenti le opposizioni all'esecuzione.

L'opposizione al d.i. consisteva nel fatto che le stesse somme erano state oggetto di un prestito personale da me a mio fratello (che ha chiesto e ottenuto il d.i. e oggi è deceduto), ma il giudice non mi ha dato ragione in quanto ho prodotto solo gli assegni e si è ritenuto che mancasse la prova in giudizio dello "specifico titolo" ("gli assegni versati provavano un movimento di denaro tra gli emittenti e nulla più").

In data 15 settembre 2015, ho ritrovato per caso nella mia cantina un vecchio registro privato della società, in particolare con due verbali del 1990 dove si dà atto che gli assegni venivano da me consegnati a mio fratello a titolo di prestito personale: i verbali sono tutti firmati sia da me che da mio fratello.

Si chiede, alla luce di detto rinvenimento documentale che costituisce un TITOLO DI PRESTITO in modo inequivocabile, è possibile:
1- chiedere la REVOCAZIONE della sentenza del 2003 ai sensi dell'art. 395 punto 3), con la quale sono stati effettuati i pignoramenti mobiliare e immobiliare;
2- chiedere la restituzione delle ingenti somme già prese in banca e alla posta?
3- chiedere la revoca del pignoramento immobiliare già effettuato?
4- chiedere un congruo risarcimento dei danni patiti materiali e morali?
5- qual è il termine per l'eventuale prescrizione della revocazione straordinaria?
Ringrazio infinitamente.”
Consulenza legale i 14/10/2015
Il caso esposto implica una riflessione sull'ipotesi considerata dall'art. 395, n. 3, del codice di procedura civile, il quale sancisce che le sentenze possono essere impugnate per revocazione "se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario".

Va premesso che, nel caso di specie, i documenti ritrovati sembrano essere di fondamentale importanza per provare il titolo della dazione di denaro tra i due fratelli (in particolare perché anche il fratello che ha ricevuto il prestito ha sottoscritto i verbali), pertanto si ritiene che sussista l'elemento della loro decisività, in quanto sarebbero stati in grado di formare diversamente il convincimento del giudice e perciò di condurre a una diversa decisione.

Si deve ragionare, quindi, sul motivo per cui tali documenti non si siano potuti produrre prima.
Il "fatto dell'avversario" è dato dalla circostanza che il documento non fu prodotto per colpa della controparte (es. perché solo in suo possesso).

La "forza maggiore", invece, si concreta nella ignoranza assoluta ed incolpevole del documento, requisito insussistente, ad esempio, "ove il documento, nella disponibilità della parte e da questa consegnato al difensore, non sia stato prodotto in giudizio per strategia difensiva, insuscettibile di trasformarsi in forza maggiore neppure per il decesso del difensore, avvenuto durante il termine per l'appello" (Cass. civ., n. 12000/2014).
La giurisprudenza di legittimità ha specificato che la parte che agisce in revocazione deve fornire la prova che l'ignoranza dell'esistenza dei documenti e del luogo in cui essi si trovavano non sia dipesa da sua colpa.
Si è detto che "l'impossibilità della produzione in giudizio dipendente da forza maggiore indica la mancata conoscenza dell'esistenza del documento e non la sua mancata disponibilità per causa di forza maggiore", e che "per espressa disposizione di legge la citazione per revocazione deve indicare, a pena di inammissibilità, il motivo della revocazione e le prove relative alla dimostrazione dei fatti di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c. e del giorno della scoperta o del recupero dei documenti, art. 398, comma 2, c.p.c." (Cass. civ., sez. II, 29.5.1999 n. 5229).

A contrario, può dirsi che la forza maggiore non c'è quando la parte avrebbe potuto accertare l'esistenza del documento attraverso un'indagine elementare di ricerca.

Nel nostro caso, si devono quindi analizzare le circostanze e i motivi per cui la parte soccombente non ha ritrovato quei documenti nel corso del giudizio conclusosi nel 2003. Sembra pacifico che il socio sapesse dell'esistenza di quel registro, avendo egli partecipato alle assemblee sociali, ma non ne conoscesse l'ubicazione: questo, però, deve essere rigorosamente provato in giudizio.

La decisività dei documenti ritrovati impone di fare almeno un tentativo: nell'atto di impugnazione si dovrà provare che il registro dei verbali, nonostante fosse nel possesso della parte, non fu mai rinvenuto dalla parte non per sua colpa (es. i documenti si credevano perduti e la parte non sapeva che qualcuno li aveva recuperati e inseriti in un certo scatolone).

Il termine per la proposizione della revocazione straordinaria (art. 395 nn. 1, 2, 3 e 6 c.p.c.) è particolarmente breve: trenta giorni (sessanta per le sentenze della Cassazione), che decorrono dal giorno in cui l'interessato ha avuto notizia dell'esistenza del documento (non dalla data di materiale apprensione dello stesso, v. Cass. civ. n. 2287/2005).
Naturalmente, se il ritrovamento è avvenuto in casa, in assenza di testimoni, potrà posticiparsi la data in modo ragionevole, al fine di proporre comunque tempestivamente l'azione.
E' consigliabile contattare immediatamente un avvocato.

Per quanto concerne le procedure esecutive nate sulla base della sentenza impugnata per revocazione, l'art. 402 del c.p.c. dice che con il provvedimento di revoca dispone l'eventuale restituzione di ciò che si sia conseguito con la sentenza revocata.
Inoltre, se vi sono esecuzioni pendenti, l'attore in revocazione può chiedere al giudice di emettere una ordinanza di sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'art. 373 del c.p.c. (v. art. 401).

Il risarcimento del danno potrà essere eventualmente conseguito solo laddove si provi, secondo le regole ordinarie, l'esistenza dei presunti danni e il fatto che siano stati causati dall'avversario (v. artt. 2043 ss. c.c.). In generale, non ci sembra che il mero ritrovamento del documento decisivo, in assenza di una colpa o dolo della controparte, possa giustificare, da solo, una richiesta di risarcimento del danno.

Antonio C. chiede
lunedì 27/07/2015 - Campania
“Ho chiesto (erroneamente per conto del convenuto) in data 2.10.2014, la revocazione della sentenza di primo grado del Tribunale di S. n. ..../2014, emessa il 6.8.2014; sentenza contenente l'errore del nome del convenuto (Feliciano anziché Felice); l'attore chiedeva al Tribunale che aveva emesso la sentenza la correzione del nome, l'otteneva nel mese di giugno 2015 e la notificava ex novo al convenuto in data 15.7.2015, con l'allegato provvedimento di correzione.
Attualmente, è in atto la causa di revocazione della sentenza contenente il suddetto errore; causa di revocazione, trattata in prima udienza il 16.1.2015 e rinviata al 5.11.2015 per la precisazione delle conclusioni.
Essendo stata notificata ex novo la sentenza corretta, il 15.7.2015, ossia 21 giorni prima di un anno dal deposito in cancelleria della sentenza contenente l'errore del nome. Può il convenuto proporre appello (nonostante in atto la causa di revocazione) avverso la sentenza corretta rinotificatagli?
Come il convenuto deve rappresentare al Giudice che sta trattanto la causa di revocazione, basata sulla sentenza contenente l'errore del nome, dopo la notifica della sentenza corretta, perché possa di ufficio dichiarare il non procedersi del giudizio di revocazione?
Può il convenuto chiedere al Giudice della revocazione che dichiari nulla la citazione basata sulla precedente sentenza notificatagli contenente l'errore del nome?”
Consulenza legale i 27/07/2015
Nel caso di specie, il modo migliore per risolvere la questione è appellarsi al concetto di cessazione della materia del contendere. Figura di creazione giurisprudenziale, tale situazione si verifica ogniqualvolta non si possa far luogo alla definizione del giudizio per rinuncia alla pretesa sostanziale o per il venir meno dell’interesse delle parti alla naturale definizione del giudizio stesso.

La giurisprudenza ritiene che la pronuncia di cessazione della materia del contendere sia applicabile in ogni fase e grado del giudizio, e possa essere emanata sia d’ufficio che su istanza di parte.

E' evidente che il giudice nel giudizio di revocazione, una volta reso edotto che è avvenuta la correzione della sentenza, si pronuncerà per la chiusura del procedimento in virtù dell'istituto della cessazione della materia del contendere: la problematica legata all'errore sul nome, infatti, è stata già risolta con il procedimento di correzione.
Non è neppure pensabile che all'udienza di p.c. l'attore in revocazione proponga una nuova e diversa domanda, volta alla dichiarazione di nullità della citazione basata sulla sentenza notificata contenente l'errore: la fase del giudizio è tale da non consentire l'introduzione di nuove domande.
Bisognerà casomai preparare una adeguata difesa solo in merito alle spese di giudizio, che potrebbero essere poste in capo a chi ha chiesto la revocazione per aver scelto una modalità di correzione della sentenza errata.

Quanto alla possibilità di proporre appello contro la sentenza oggetto di correzione, esso risulterà ancora possibile se non siano decorsi il termine lungo (art. 327 del c.p.c.) o il termine breve (art. 325 del c.p.c., in caso di notifica della sentenza contenente l'errore in un momento precedente). Non si può far partire il termine dalla notifica dell'ordinanza di correzione, in quanto il codice consente tale possibilità solo se l'appellante vuole impugnare proprio la parte della sentenza che è stata corretta, affermando che si trattava di errore di giudizio e non materiale: nel caso di specie, il mero errore su un nome della parte risulta inidoneo a giustificare una tale impugnazione.

Pertanto, se la sentenza n. ..../2014 depositata il 6.8.2014 non è stata notificata alla parte soccombente, il termine per proporre l'appello sarà individuato calcolando da tale data un anno + 45 giorni (sospensione feriale), sempre che il procedimento di primo grado sia stato instaurato prima dell’entrata in vigore della legge 69/2009, avvenuta il 4 luglio del 2009. Altrimenti, varrà il nuovo termine di sei mesi.
Se la sentenza depositata il 6.8.2014 è stata notificata alla parte soccombente, si applicherà il termine breve di 30 giorni, ai sensi dell'art. 325 c.p.c.

Antonio T. chiede
venerdì 19/06/2015 - Trentino-Alto Adige
“Gent.mi professionisti di giurisprudenza! Chiedo: Quali sono i termini di prescrizione della revocazione straordinaria? L'attore di una causa di lavoro é stato condannato penalmente, unitamente alla nipote, per aver deposto il falso in un procedimento penale a carico della figlia, rinviata a giudizio per falsa testimonianza resa nel procedimento di lavoro a favore del padre. La testimonianza resa in penale riguarda lo stesso identico fatto del civile, cioé "l'inizio del rapporto di lavoro". Il giudice del penale, lo stesso del civile, ha condannato l'attore del civile, teste in penale a difesa della figlia, per essere stato ingannato nel procedimento. Nel procedimento di condanna dell'attore v'erano altri testi denunciati ma rimasti indagati dei quali non ho mai più avuto alcuna notizia. Grazie con tutto il cuore. Distinti saluti.”
Consulenza legale i 25/06/2015
Il termine per la proposizione della revocazione straordinaria (art. 395 nn. 1, 2, 3 e 6 c.p.c.) è di trenta giorni (sessanta per le sentenze della Cassazione), che decorrono dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la falsità, o l'interessato ha avuto notizia dell'esistenza del documento (non dalla data di materiale apprensione dello stesso, v. Cass. civ. n. 2287/2005) o è passata in giudicato la sentenza di cui al n. 6 dell'art. 395.

Ai fini della decorrenza del termine breve non si ritiene sufficiente il verificarsi dell'evento dal quale sorge il potere di impugnazione (es. scoperta del dolo), bensì risulta necessaria la conoscenza legale della sentenza da revocare, che deve quindi essere notificata alla persona interessata. Quindi, il termine breve decorre dalla data dell'evento solo se esso si è verificato dopo la notificazione della sentenza; se si è verificato prima, il termine decorre invece dalla notifica del provvedimento.

L'art. 396 stabilisce che le sentenze per le quali è scaduto il termine per l'appello possono essere impugnate per revocazione straordinaria, purché la scoperta del dolo o della falsità o il recupero dei documenti o la pronuncia della sentenza di cui al n. 6 siano avvenuti dopo la scadenza del termine suddetto: se i fatti avvengono durante il corso del termine per l'appello, il termine stesso è prorogato dal giorno dell'avvenimento in modo da raggiungere i trenta giorni da esso.

La revocazione si propone con citazione davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

Nel caso di specie, se si vuole impugnare la sentenza civile emessa nel processo del lavoro a favore dell'attore, che si è accertato aver detto il falso circa un determinato fatto (inizio del rapporto di lavoro), il termine per la revocazione straordinaria - 30 giorni - decorre quindi dal passaggio in giudicato della sentenza penale che accerta la falsità della prova ("la dichiarazione della falsità della prova deve avvenire con sentenza passata in giudicato anteriormente alla proposizione dell'istanza di revocazione", Cass. civ., 29.8.1998, n. 8650).

Antonio C. chiede
venerdì 06/02/2015 - Campania
“Il Giudice di 1° grado ha basato la sentenza sulla C.T.U., sebbene impugnata nei verbali di causa, nelle precisazioni delle conclusioni, nelle conclusioni e fornendo C.T.P. GIURATA; si tratta di consulenza di ufficio eseguita senza effettuare i sopralluoghi richiesti per la valutazione di un fabbricato e l'impianto di un frutteto su terreno incolto, che attribuisce alla massa 1/8 del valore determinato dal CTP. Si può chiedere la revocazione della sentenza di primo grado già passata in giudicato, sebbene proposto l'appello alla Corte di Appello?”
Consulenza legale i 17/02/2015
La vicenda in esame attiene ad una sentenza di primo grado passata in giudicato, che si basa su una consulenza tecnica d'ufficio asseritamente incompleta ed insoddisfacente.

La revocazione è un rimedio contro i provvedimenti dell'autorità giudiziaria che si caratterizza per il fatto di essere fondata su particolari circostanze che, se conosciute o correttamente valutate dal giudice, avrebbero condotto a una decisione differente.
Si tratta di un tipico mezzo di impugnazione a critica vincolata, in quanto può essere proposto solo per i motivi espressamente elencati nell'art. 395 del c.p.c..

Si parla di revocazione "ordinaria" quando l'azione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza; di revocazione "straordinaria" in quei casi in cui può essere proposta anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, e si fonda su fatti il cui verificarsi o la cui scoperta può verificarsi in qualsiasi momento successivo alla sentenza.

Avverso le sentenze di primo grado, il rimedio è esperibile solo quando sia scaduto il termine per l'appello (oppure l'appello sia estinto: in tal caso l'art. 338 del c.p.c. sancisce che l'estinzione del procedimento fa passare in giudicato la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto) e si tratti di revocazione straordinaria (n. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395).

Quindi, nel caso di specie, la sentenza di primo grado può essere impugnata per revocazione solo in caso di:
- dolo di una delle parti in danno dell'altra;
- giudizio dato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza;
- ritrovamento di uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario;
- dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

L'incompletezza della perizia del consulente d'ufficio o la sua negligenza non ci sembrano poter rientrare in uno dei quattro casi elecati; il dolo delle parti o del giudice non ci sembra attenere al caso di specie (e qualora esistesse, dovrebbe essere rigorosamente provato); la falsità delle prove sembra parimenti estranea al caso di specie (almeno sulla base dei dettagli del caso forniti nel quesito); infine, anche la scoperta di documenti decisivi sembra doversi escludere.

Il quarto motivo di revocazione ("se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare") avrebbe potuto più congruamente attenere ai vizi della sentenza lamentati nel quesito, ma esso non è più invocabile, posto che la sentenza di primo grado è ormai passata in giudicato.

Carmelo P. chiede
sabato 23/08/2014 - Estero
“Egregi Avvocati, ho bisogno di un parere circa l'interpretazione dell'art. 395 c.p.c. per quanto riguarda la possibile revoca di una emananda sentenza, tutta basata e incardinata su false testimonianze,documentate nei verbali del Tribunale e smentibili da altri testi e prove documentali. Si tratta di una lunga causa imperniata sul falso e progressivamente su costruita, ma non ancora definita. Si può impugnare anche se non è stata fatta denuncia contro il falso teste entro il termine di prescrizione? Cioè la denuncia di falso è una condicio sine qua non o bastano i verbali e i testimoni che smentiscono?
Inoltre, se la sentenza (non ancora pronunciata dopo dieci anni), sarà basata su un errore di fatto del Giudice risultante dagli atti giudiziali, e cioè il non aver applicato o tenuto conto di una sentenza della Cassazione e tutto l'iter della causa è stato incardinato e condizionato da tale errore, è anche questo un caso di revocazione secondo lo stesso articolo 395 c.p.c.?
Cordialmente”
Consulenza legale i 23/08/2014
La revocazione è un mezzo di impugnazione delle sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado, o comunque di altri provvedimenti a contenuto decisorio, caratterizzato dal fatto di essere fondata su particolari circostanze che, se fossero state conosciute o correttamente valutate dal giudice, avrebbero portato ad una decisione diversa.
In particolare, il n. 2 dell'art. 395 del c.p.c. dice che può essere impugnato il provvedimento se "si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza". Si tratta di un motivo di revocazione straordinaria, che può essere proposta anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza (cioè quando non sono più esperibili i rimedi ordinari, come il ricorso per Cassazione).
Al fine di poter ricorrere a questo motivo di revocazione, non è sufficiente la mera convinzione o conoscenza soggettiva della falsità della prova, ma è necessario che la prova sia stata dichiarata falsa con sentenza civile o penale passata in giudicato prima della proposizione del rimedio della revocazione, oppure che la falsità sia stata riconosciuta dalla parte a cui vantaggio essa è stata utilizzata e non dalla parte che l'ha prodotta o, nel caso di prova testimoniale, dallo stesso testimone.
Sul punto si possono leggere alcune sentenze, come la n. 3947 del 22.2.2006 ("L'art. 395 c.p.c., indicando quale presupposto dell'istanza di revocazione che si sia giudicato su prove "dichiarate false" postula che tale dichiarazione sia avvenuta con sentenza passata in giudicato (in sede civile o penale) anteriormente alla proposizione dell'istanza di revocazione, con la conseguenza che è inammissibile l'istanza di revocazione basata sulla falsità di prove da accertare nello stesso giudizio di revocazione") e la n. 9770 del 15.9.1995 ("La dichiarazione giudiziale di falsità contenuta in una sentenza penale, per poter operare come causa di revocazione ai sensi dell'art. 395 n. 2 presuppone che il relativo accertamento possa svolgere efficacia nei confronti delle parti del giudizio civile, il che resta escluso nei confronti di quei soggetti che non abbiano partecipato al giudizio penale o non siano stati, quanto meno, posti in grado di parteciparvi").
Inoltre, occorre in ogni caso un nesso di causalità tra la decisione impugnata per revocazione e la falsità della prova (il falso deve cioè aver inciso in maniera decisiva sul provvedimento del giudice).

Quanto alla seconda questione, il "non aver applicato o tenuto conto di una sentenza della Cassazione" può essere inteso in due modi:
1. non aver considerato che esiste una sentenza della Cassazione che regola un caso simile (ma in un contesto e tra parti del tutto diverse) dando ragione a una delle parti del giudizio;
2. non aver tenuto conto dell'esistenza di una sentenza precedente tra le medesime parti che abbia autorità di cosa giudicata per le stesse.
Nel primo caso, che si ha quando, ad esempio, una delle parti citi una sentenza della Suprema Corte nei propri atti difensivi, sentenza che dà pienamente ragione a quella parte, non si configura un motivo di revocazione: infatti, nel nostro tipo di ordinamento giuridico, il giudice non è vincolato al "precedente", ma può decidere liberamente, anche discostandosi da orientamenti giurisprudenziali consolidati (ricordiamo, però, che è inammissibile il ricorso per Cassazione quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, v. art. 360 bis del c.p.c.).
Il secondo caso rileva, invece, come motivo di cui al n. 5 dell'art. 395, sempre laddove la precedente sentenza non rispettata/non considerata presenti con la causa successiva identità di soggetti e di oggetto, nel senso che la precedente sentenza deve avere ad oggetto il medesimo fatto o un fatto antitetico (Cass. civ. sez. II, 27.5.2009 n. 12348). Si tratta qui di un motivo di revocazione ordinaria della sentenza, quindi esso andrebbe proposto entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza.


E. S. &. C. chiede
giovedì 05/06/2014 - Trentino-Alto Adige
“Oggetto: Due Sentenze di Cassazione diverse per il medesimo gruppo di 234 importazione di banane – scortate da certificati AGRIM materialmente falsi - per due soggetti coobbligati solidalmente.

Premesso
-che lo spedizioniere E. sas, che ha dichiarato in Dogana 234 carichi di banane (scortate da certificati Agrim materialmente falsi), di cui 183 in rappresentanza diretta e 51 in rappresentanza indiretta, è stato responsabilizzato in qualità di coobbligato solidale per 51 operazioni, mentre C. spa di Roma, mandatario delle operazioni, è stata responsabilizzata per tutte le 234 importazioni in qualità di coobbligato solidale, e che, con sentenza n. x/10 della Suprema Corte di Cassazione ad E. è stata negata la prescrizione;
mentre
con sentenza n. y/13 della Suprema Corte di Cassazione a C. è stata accordata la prescrizione per 223 importazioni su 234 (incluse 49 importazioni delle 51 imputate ad E.), ciò a fronte di una tardiva notitia criminis (la stessa per E.),
-che l’Agenzia della Dogana, in data 29/04/2014 ha presentato istanza di revocazione della sentenza n. y/13,
-che E. con sentenza n. z/12 del Tribunale di Trento (passata in giudicato) ha il diritto d’essere manlevata da parte di C. relativamente all’obbligazione tributaria delle 51 importazioni s.c.;
-che l’esecutività della sentenza n. x/10, sospesa dalla Commissione Tributaria di Trento sino ad avvenuto giudizio in Cassazione, è ancora in attesa di esame;
si chiede
se è un diritto della E. avere copia della richiesta di revocazione presentata dalla Dogana.
Ciò, perché potrebbe essere utile, presentarla alla Commissione Tributaria per ottenere un’ulteriore sospensiva sino all’esito dell’istanza di revocazione.
Grazie per il cortese riscontro”
Consulenza legale i 09/06/2014
Nel caso proposto si chiede se sia possibile estrarre copia di un atto giudiziario (in particolare, ricorso per revocazione ex art. 395 del c.c.) di cui sia parte la pubblica amministrazione, nella specie l'Agenzia delle Dogane.

Di regola, una parte estranea al giudizio non può chiedere alla cancelleria dell'ufficio giudiziario interessato copia di atti riguardanti soggetti terzi.
Quando sia coinvolta la pubblica amministrazione, tuttavia, esistendo un generico diritto di accesso agli atti amministrativi, si potrebbe pensare che un tale atto possa essere richiesto direttamente alla P.A. Il diritto di accesso è una espressione della trasparenza amministrativa e consiste nella possibilità di accedere ai documenti della P.A. quando vi sia interesse del privato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti.
Si deve però escludere che sia possibile accedere sempre e senza limite alcuno agli atti giudiziari di cui sia parte un ente pubblico.

L’articolo 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) fornisce un concetto ampio di documento amministrativo: "ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale".

Vi sono però dei limiti all'accesso, costituiti principalmente dalla segretezza (che tutela interessi pubblici e generali) e dalla riservatezza (che protegge l’interesse privatistico di mantenere il riserbo in ordine a determinate vicende).
L’art. 24, comma 1, della legge 241/1990 stabilisce che il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell’articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento.
L’art. 2 del D.P.C.M. 26 gennaio 1996, n. 200 sancisce che, ai sensi dell’art. 24, comma 1, della L. 241/1990, in virtù del segreto professionale già previsto dall’ordinamento, al fine di salvaguardare la riservatezza nei rapporti tra difensore e difeso, sono sottratti all’accesso i seguenti documenti: a) pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza; b) atti defensionali; c) corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e b).

Anche la giurisprudenza amministrativa ha dichiarato che sono sottratti all'accesso gli atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l’Amministrazione, trattandosi di un segreto che gode di una tutela qualificata, dimostrata dalla specifica previsione degli articoli 622 del codice penale e 200 del codice di procedura penale (Consiglio di Stato, sez. VI, decisione 30.9.2010 n. 7237).

Tuttavia, è possibile per il privato dimostrare che l'accesso agli atti contenenti anche dati giudiziari sia indispensabile per la tutela dei suoi interessi.
Ad esempio, T.A.R. Sicilia Catania, Sez. III, 22 ottobre 2010, n. 4228 ha sancito: "Le necessità difensive, riconducibili al principi di tutela fissati dall'art. 24 cost., devono ritenersi prevalenti rispetto a quelle della riservatezza, come previsto dal comma 7 dell'art. 24, l. n. 241 del 1990, secondo cui deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici anche nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari; l'accesso, in quest'ultime caso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile; infatti il legislatore ha chiaramente specificato come non siano sufficienti esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l'accesso, dovendo quest'ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi; tutela ammessa solo nei limiti in cui la conoscenza di documenti, contenenti 'dati sensibili e giudiziari', sia strettamente indispensabile".

Si potrebbe tentare di inoltrare una richiesta di accesso agli atti dell'Agenzia delle Dogane, specificando le esigenze difensive sottese alla richiesta: tuttavia, non si può garantire un esito positivo dell'istanza.

Paolo chiede
domenica 22/04/2012 - Marche
“faccio seguito alla risposta del quessito n.2580 del 2 marzo per chiedervi un chiarimento attinente la revocazione , che vengo ad illustrare:
ove venga alla luce uno dei casi di cui ai nn. 1,2,3,e 6 dell'art. 395 cpc una volta che la corte di appello si sia gia' pronunciata con dispositivo di rigetto del ricorso (nel momento in cui la sentenza di appello non sia stata quindi ancora pubblicata), e l'aspetto da sottoporre per la revocazione attenga a questioni che erano presenti sia in 1 grado sia in appello, a chi va presentata l'istanza di revocazione al giudice del lavoro di 1 grado o al collegio della sezione lavoro della corte di appello?
e se non chiedo troppo vorrei anche sapere se , ove il dolo concernesse aspetti variegati da sottoporre all'attenzione del p.m. di cui all'art. 397 cpc a chi va presentata ?
grazie mille .
saluti”
Consulenza legale i 22/04/2012

Ai sensi dell'art. 398 del c.p.c. la revocazione si propone con citazione davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Ancora la norma in analisi specifica che la citazione deve indicare, a pena d'inammissibilità, il motivo della revocazione e le prove relative alla dimostrazione dei fatti di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'articolo 395, del giorno della scoperta o dell'accertamento del dolo o della falsità, o del recupero dei documenti.

Nel caso prospettato, la sentenza che si vuole impugnare per revocazione è stata pronunciata dalla Corte d'Appello sezione lavoro ed è pertanto dinnanzi alla stessa che si dovrà presentare la citazione di cui all'art. 398 del c.p.c..

La regola di cui alla citata norma vale anche nell'ipotesi in cui la sentenza sia impugnabile per revocazione nei casi previsti dall'art. 397 del c.p.c..


Giovanni D. S. chiede
sabato 26/02/2011 - Lazio

“Il giudice di merito (in sede civile) ha fondato i suoi giudizi esclusivamente su quanto riportava la CTU, non prendendo in considerazione l'istanza con le motivazioni della parte attrice. Quest'ultima si rifaceva alla migliore letteratura medica scientifica, che produceva in corso di causa.
Vorrei conoscere, in questo caso, se al tribunale si può addebitare un errore di fatto, poiché la letteratura scientifica sosteneva, a mio giudizio inconfutabilmente, le ragioni della parte attrice, contrariamente a quanto sostenuto dalla CTU e dai giudici di merito. Sarei intenzionato a proporre un ricorso per revocazione per errore di fatto.
Vi ringrazio anticipatamente della Vostra gentile risposta.”

Consulenza legale i 02/03/2011

Se la sentenza di primo grado non è ancora passata in giudicato, ogni doglianza dovrà essere proposta con l'appello. Se, invece, è già avvenuto il passaggio in giudicato della decisione per l'inutile decorrere del termine per proporre appello, la revocazione ex art. 396 del c.p.c. sarà ammessa solo nei casi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 del c.p.c.. Viene quindi esclusa dal codice di procedura civile la possibilità di chiedere la revocazione c.d. straordinaria nel caso in cui vi sia un errore di fatto (n. 4 dell'art. 395 c.p.c.). Si precisa che tale errore deve avere ad oggetto la percezione dei fatti, mentre è escluso che esso ricorra se il giudice di prime cure ha effettuato una valutazione giuridica nei limiti della discrezionalità che gli compete per legge.


L. P. A. chiede
lunedì 17/10/2022 - Lombardia
“Buongiorno, in esito a una sentenza divisionale ereditaria, il giudice in parte ci aggiudica dei beni inesistenti, per un suo errore ( dato che più volte durante la causa abbiamo chiaramente dimostrato che non esistono più e chiesto conguaglio in denaro- parlo di un conto corrente chiuso e di un conto corrente da cui abbiamo fornito già prove che la metà del denaro è stata tolta da controparte). Cosa si può fare per correggere SOLO questo errore? Premetto che siamo già seguiti da avvocati, ma dato che voi siete conosciuti per le vostre consulenze, spero di poter aver una risposta al mio quesito: “ cosa fare in caso di aggiudicazione di beni inesistenti?” Grazie”
Consulenza legale i 23/10/2022
La soluzione del problema che si pone non può che essere ricercata nelle norme dettate dal codice di procedura civile.
Sebbene nel quesito si faccia riferimento ad una “errore”, in realtà per l’ordinamento processual civilistico i casi di errore, che possono legittimare una richiesta di correzione della parte che ne ha interesse, sono specificatamente previsti dall’art. 287 c.p.c. e vengono individuati in omissioni, errori materiali ed errori di calcolo.
Sia il procedimento che il provvedimento disciplinato dagli artt. 287 e ss c.p.c. hanno natura amministrativa, con la funzione di ripristinare la corrispondenza tra quanto la sentenza ha inteso dichiarare e quanto ha formalmente dichiarato.

Due sono le tipologie di provvedimenti assoggettabili a questa procedura:
a) le sentenze inappellabili, le sentenze appellabili, ancorché non ancora appellate e, infine, quelle non più appellabili in quanto passate in giudicato.
b) le ordinanze irrevocabili, quelle, cioè, dichiarate tali dalla legge (ad esempio, ex art. 177 del c.p.c., 3° co.) e quelle in relazione alle quali risultino esauriti i rimedi esperibili.

Per quanto concerne ciò che può costituire oggetto di correzione, la norma fa riferimento a:
1. omissione: si considera tale una dimenticanza da parte del giudice di un elemento formale necessario per legge, come la mancata indicazione, nella sentenza, del nome di una parte (se dal contesto della sentenza risulti chiaramente l'identità).
2. errore materiale: è tale quello dovuto ad una svista o dimenticanza del giudice, che ad esempio indichi erroneamente la data di deliberazione della sentenza.
3. errore di calcolo: non è altro che una scorretta applicazione di regole matematiche o aritmetiche.

E’ poi importante precisare che la decisione sulla correzione non costituisce mai una decisione sostitutiva di quella già contenuta nella sentenza.

Ora, da quanto appena detto se ne deve per forza di cose dedurre che il vizio della sentenza lamentato nel caso di specie non può in alcun modo qualificarsi come mero errore e come tale farsi rientrare in alcuna delle ipotesi di correzione previste dal sopra citato art. 287 c.p.c.
Piuttosto, può costituire una valida ragione per proporre appello avverso la sentenza di primo grado, chiedendo la modifica di quella sentenza nella parte in cui include nelle quote assegnate ad uno o più dei coeredi condividenti beni non esistenti nell’asse ereditario (diminuendo, dunque, il reale valore economico della quota).
Non dovrebbe corrersi alcun rischio di incorrere nel divieto di domande ed eccezioni nuove di cui all’art. 345 c.p.c., se è vero, come si precisa nel quesito, che l’inesistenza di alcuni dei beni assegnati era già stata dedotta e dimostrata nel corso del giudizio di primo grado.

Neppure è possibile fare ricorso al rimedio della impugnazione per revocazione disciplinato dall’art. 395 c.p.c., risultando astrattamente ammissibile far rientrare il vizio della sentenza lamentato nell’ipotesi prevista al n. 4 di detta norma (sentenza effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa).
Dispone, infatti, il primo comma del suddetto art. 395 c.p.c. che possono formare oggetto di revocazione soltanto le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado, mentre il successivo art. 396 c.p.c. estende il medesimo rimedio alle sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello, ma limitatamente ai casi di cui ai nn. 1,2,3 e 6 dell’art. 395 c.p.c. (con esclusione, dunque, dell’ipotesi che qui interessa, ossia il n. 4).
In questo caso, invece, sembra di capire che si è di fronte ad una sentenza di primo grado, in ordine alla quale non viene precisato se è scaduto o meno il termine per proporre appello.

Infine, e per concludere, andrebbe valutata la possibilità di esperire l’azione di rescissione per lesione di cui all’art. 763 c.c., alla quale è possibile fare ricorso anche in caso di divisione giudiziale, ma a due condizioni:
1. occorre una lesione oggettiva ultra quartum, ovvero il condividente che la esercita deve aver ottenuto, proporzionalmente a quanto ricevuto dagli altri condividenti, beni di valore inferiore almeno di un quarto rispetto al valore della propria quota;
2. è applicabile alla divisione giudiziale soltanto se il provvedimento del giudice segua ad un accordo tra i condividenti.
In mancanza anche di uno solo di questi presupposti, non sarà possibile neppure avvalersi di questo rimedio

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