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Articolo 556 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Determinazione della porzione disponibile

Dispositivo dell'art. 556 Codice Civile

(1)Per determinare l'ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte(2), detraendone i debiti(3). Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione(4) [562, 737 ss. c.c.], secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli articoli 747 a 750, e sull'asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre [537 c.c.].

Note

(1) La norma descrive come debba essere determinata la porzione disponibile e quella riservata ai legittimari, attraverso la c.d. riunione fittizia. L'operazione consiste nell'individuare il relictum (v. nt. 2), sottrarre ad esso i debiti (v. nt. 3) e aggiungere il donatum (v. nt. 4).
L'aggettivo "fittizia" viene usato in quanto la riunione non determina un aumento del patrimonio ereditario, rivestendo solo un carattere contabile.
(2) Rientrano nel relictum anche i beni oggetto del legato di specie (v. art. 649 del c.c.), quelli oggetto di trasferimenti simulati (v. art. 1414 del c.c.), poiché essi sono solo apparentemente usciti dal patrimonio ereditario, e i crediti.
(3) Sono inclusi anche quelli sorti a causa della morte (es. le spese funebri, le spese per la pubblicazione del testamento etc.), quelli verso i legittimari e quelli sottoposti a condizione risolutiva (non quelli sospensivamente condizionati).
(4) Vanno computate le donazioni oggetto di simulazione relativa, in quanto tali beni non fanno più parte del patrimonio ereditario ma non quelle oggetto di simulazione assoluta, poiché in tal caso i beni sono ancora ricompresi all'interno del patrimonio del defunto.

Ratio Legis

La norma in esame individua le operazioni necessarie per determinare la disponibile, impedendo che le donazioni fatte in vita dal de cuius possano compromettere i diritti dei legittimari.

Brocardi

Bona intelliguntur quae, deducto aere alieno, supersunt

Spiegazione dell'art. 556 Codice Civile

Le operazioni indicate in quest articolo servono prettamente e propriamente per la determinazione concreta della quota legittima. Da quest’articolo risulta come la quota legittima non sia quota della sola eredità, cioè dei beni relitti al de cuius, ma dell'intero patrimonio, costituito dall’id quod relictum più l'id quod donatum.

Le operazioni previste dalla disposizione per la determinazione concreta della quota legittima sono: 1) formazione della massa dei beni relitti; 2) detrazione dei debiti; 3) riunione fittizia delle donazioni. Vedremo in seguito che a queste operazioni ne va aggiunta una: 4) l’imputazione delle liberalità.

Formazione della massa. Questa operazione consiste nella valutazione, con riferimento al momento apertura della successione, di tutti i beni che appartenevano al defunto al momento della morte, perciò anche di quelli di cui egli abbia disposto con testamento.
Si fa questione se debba tenersi conto di quei beni che non appartenevano al de cuius incondizionatamente. La dottrina distingue fra diritti sottoposti a condizione risolutiva e diritti sottoposti a condizione sospensiva. Dei primi ritiene che debba tenersi conto, perché è incerta soltanto la loro cessazione, non anche la loro appartenenza attuale all’ereditando; dei secondi no, finché pende la condizione sospensiva, perché il diritto non è ancora entrato nel patrimonio del de cuius. In entrambi i casi, verificandosi la condizione, devono essere rettificati i risultati dell’operazione.
Detrazione dei debiti. Dal valore dei beni costituenti la massa va detratto quello dei debiti costituenti il passivo ereditario, e cioè dei debiti propri del defunto e di quelli sorti in occasione della sua morte (spese funerarie e di sepoltura, per l’apposizione dei sigilli e l’inventario, ecc.). La detrazione dei debiti dall'attivo ereditario non esclude, come a torto è stato ritenuto, la successione del legittimario nei debiti ereditari, anzi, il legittimario è obbligato anche per i legati. La detrazione dei debiti è invece un’operazione di calcolo diretta a stabilire quanta parte dell’attivo patrimoniale del de cuius è necessaria per formare la legittima, tenuto conto che il legittimario è obbligato, in ragione della quota legittima, per i debiti ereditari. Quella detrazione, pur non escludendo, ma anzi supponendo, la successione nei debiti del legittimario, importa però che la legittima sia attribuita come quota dell’attivo patrimoniale netto del defunto.

Riunione fittizia. Per il calcolo della porzione legittima è disposta una terza operazione, la riunione fittizia dei beni di cui il defunto ha disposto a titolo di donazione. La terminologia legislativa mette in evidenza che i beni donati sono oggetto di una mera operazione di calcolo, non di una riunione materiale, come quella che si effettua mediante la collazione, con gli altri beni esistenti nel patrimonio del de cuius: l’acquisto di tali beni da parte del legittimario potrà avvenire soltanto in seguito alla riduzione. La riunione fittizia consiste pertanto nell’aggiungere al valore risultante dalle precedenti operazioni il valore dei beni che abbiano costituito oggetto di donazione, così da determinare il valore complessivo della cosiddetta massa di calcolo.

Il quoziente che risulta, dividendo tale valore per la frazione costituente la quota del legittimario, rappresenta il valore della legittima a lui spettante, salva l’imputazione sulla legittima. Il valore dei beni va calcolato secondo le stesse norme stabilite riguardo alla collazione per imputazione, cioè con riferimento al tempo dell’apertura della successione tanto per gli immobili, quanto per i mobili.

Sono fittiziamente riuniti i beni che abbiano costituito oggetto di atti di liberalità comunque compiuti in vita dal de cuius: non solo di donazioni dirette, ma anche di quelle indirette o simulate, non rilevando la forma in cui la donazione è seguita. Sono anche soggette a riunione fittizia le donazioni modali o remuneratorie, per la parte eccedente il valore dell’onere o del compenso.

Imputazione delle liberalità. Le precedenti operazioni non sono sufficienti per la determinazione concreta della porzione legittima, cioè per determinare il valore a cui il legittimario abbia diritto a titolo di legittima, essendo necessario procedere ancora all’imputazione delle liberalità sulla disponibile o sulla legittima. Supponiamo che il patrimonio del defunto (relitto più donato) sia di 100, che unico legittimario sia un figlio legittimo, che vi siano donazioni per un valore di 80, di cui 35 al legittimario per anticipazione sulla legittima. Se non si dovesse far luogo all’imputazione, il legittimario avrebbe diritto a conseguire 50 a titolo di legittima; invece, dovendosi imputare sulla disponibile soltanto il valore delle donazioni fatte a non legittimari e sulla legittima il valore della donazione fatta al legittimario, questi troverà nel relitto più di quanto è necessario per il conseguimento del valore di 15, ad integrazione del valore della sua legittima.

Le liberalità si imputano sulla disponibile o sulla legittima, cioè il loro valore si calcola in quello della disponibile o della legittima, secondo le regole qui appresso indicate.
Si imputano sulla disponibile:
1) le liberalità a non legittimari;
2) le liberalità fatte ai legittimari con espressa dispensa dall’imputazione (artt. 553 e 564 co. 2), salvo il limite posto dall’art. 564 co. 4;
3) le liberalità ai legittimari che non vengono alla successione nella legittima, ad eccezione del legato in sostituzione di legittima, e salvo, per il caso di rinunzia, il disposto dell’art. 552.
Si imputano sulla legittima:
1) le liberalità fatte ai legittimari in conto di legittima;
2) le liberalità fatte ai legittimari senza espressa dispensa dalla imputazione (artt. 553 e 564 co. 2);
3) il legato in sostituzione di legittima (art. 551).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 556 Codice Civile

Cass. civ. n. 14193/2022

La riunione fittizia, prevista dall'art. 556 c.c., non è legata solo all'esperimento dell'azione di riduzione, ma è operazione necessaria, nel concorso di eredi legittimari, ogni qual volta sia rilevante stabilire quale sia il valore della disponibile lasciata genericamente dal testatore ad uno di essi.

Ai fini del calcolo della quota disponibile ai sensi dell'art. 556 c.c., sono sempre assoggettate a riunione fittizia tutte le donazioni, a chiunque fatte, indipendentemente dalla qualità di congiunto, erede o di estraneo del donatario.

La dispensa dalla collazione esonera il donatario dal conferimento, ma non importa l'esclusione del bene donato dalla riunione fittizia ai fini della determinazione della porzione disponibile.

Cass. civ. n. 8174/2022

In tema di successione necessaria, la riunione fittizia, quale operazione meramente contabile di sommatoria tra attivo netto e "donatum", cioè tra il valore dei beni relitti al tempo dell'apertura della successione, detratti i debiti, ed il valore dei beni donati, sempre al momento dell'apertura della successione, è finalizzata alla determinazione della quota disponibile e di quella di legittima, per accertare l'eventuale lesione della quota riservata al legittimario; ne deriva che l'inammissibilità della domanda di riduzione proposta, nei confronti del donatario non coerede, dal legittimario che non abbia accettato l'eredità con il beneficio d'inventario è del tutto ininfluente ai fini della riunione fittizia. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso dalla riunione fittizia il valore di un bene donato ad un non coerede in ragione dell'inammissibilità della domanda di riduzione proposta nei suoi riguardi dal legittimario che aveva omesso di accettare l'eredità con il beneficio dell'inventario).

Cass. civ. n. 32804/2021

Nella formazione della massa per la individuazione della porzione disponibile, ex art. 556 c.c., analogamente a quanto accade per la determinazione della base imponibile ai fini dell'imposta di successione, si detrae dal valore dei beni relitti solo quello dei debiti del defunto aventi esistenza attuale e certa, fatta salva la reintegrazione della legittima, previa rettifica del calcolo allorché il debito venga ad esistenza in un momento successivo; ne consegue che il debito derivante dalla fideiussione prestata dal "de cuius" è detraibile se e nella misura in cui sia dimostrata l'insolvibilità del debitore garantito o l'impossibilità di esercitare l'azione di regresso.

Cass. civ. n. 18199/2020

Nel caso di esercizio dell'azione di riduzione, il legittimario, ancorché abbia l'onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata, senza che sia necessaria all'uopo l'indicazione in termini numerici del valore dei beni interessati dalla riunione fittizia e della conseguente lesione, può, a tal fine, allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 27/04/2017).

In tema di azione di riduzione, l'omessa allegazione nell'atto introduttivo di beni costituenti il "relictum" e di donazioni poste in essere in vita dal "de cuius", anche in vista dell'imputazione "ex se", ove la loro esistenza emerga (come nella specie) dagli atti di causa ovvero costituisca oggetto di specifica contestazione delle controparti, non preclude la decisione sulla domanda di riduzione, dovendo il giudice procedere alle operazioni di riunione fittizia prodromiche al riscontro della lesione, avuto riguardo alle indicazioni complessivamente provenienti dalle parti, nei limiti processuali segnati dal regime delle preclusioni per l'attività di allegazione e di prova. Ne consegue che, ove il silenzio serbato in citazione sull'esistenza di altri beni relitti ovvero di donazioni sia dovuto al convincimento della parte dell'inesistenza di altre componenti patrimoniali da prendere in esame ai fini del riscontro della lesione della quota di riserva, il giudice non può solo per questo addivenire al rigetto della domanda, che è invece consentito se, all'esito dell'istruttoria, e nei limiti segnati dalle preclusioni istruttorie, risulti indimostrata l'esistenza della dedotta lesione.

Cass. civ. n. 17926/2020

La ricostruzione dell'intero patrimonio del defunto, mediante la riunione fittizia di ciò che è stato donato in vita a ciò che è rimasto al momento della morte, e l'imputazione della quota del legittimario di quanto egli ha ricevuto dal defunto, costituiscono i necessari antecedenti dell'azione di riduzione; ne consegue che le richieste volte all'esatta ricostruzione sia del "relictum", sia del "donatum", mediante l'inserimento di altri beni, non costituiscono domande, ma deduzioni che attengono ai presupposti dell'azione di riduzione e, come tali, da ritenere implicitamente contenute nella domanda introduttiva.

Cass. civ. n. 27259/2017

In tema di successione necessaria, la quota spettante al legittimario rinunciante non si accresce a favore degli altri legittimari accettanti, dovendo l'individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria essere effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell'apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell'azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.

Cass. civ. n. 5320/2016

Nel procedimento per la reintegrazione della quota di eredità riservata al legittimario, il momento di apertura della successione rileva per calcolare il valore dell'asse ereditario (mediante la cd. riunione fittizia), stabilire l'esistenza e l'entità della lesione della legittima, nonché determinare il valore dell'integrazione spettante al legittimario leso, sicché quest'ultima, ove avvenga mediante conguagli in denaro nonostante l'esistenza, nell'asse, di beni in natura, va adeguata, mediante rivalutazione monetaria, al mutato valore del bene - riferito al momento dell'ultimazione giudiziaria delle operazioni divisionali - cui il legittimario avrebbe diritto affinché ne costituisca l'esatto equivalente.

Cass. civ. n. 4445/2016

In materia di successione necessaria, per determinare la porzione disponibile e le quote riservate, occorre avere riguardo alla massa dei beni appartenenti al "de cuius" al momento della morte - al netto dei debiti - maggiorata del valore dei beni donati in vita dal defunto, senza che possa distinguersi tra donazioni anteriori e posteriori al sorgere del rapporto da cui deriva la qualità di legittimario; a tal fine, la posizione del coniuge del "de cuius" non è diversa da quella dei figli - equiparazione giustificata rispetto alla "ratio" della riunione fittizia - in quanto come il figlio sopravvenuto può chiedere la riduzione di tutte le donazioni compiute in vita dal genitore, anche di quelle compiute prima della sua nascita in favore dell'altro genitore o di altro coniuge ormai non più tale, così il coniuge sopravvenuto rispetto ai figli può chiedere la riduzione di tutte le donazioni compiute dal "de cuius" in favore dei figli, anche di quelle precedenti il matrimonio poste in essere in favore dei figli nati da altro coniuge o nati fuori dal matrimonio.

Cass. civ. n. 12919/2012

In tema di successione necessaria, per accertare la lesione della quota di riserva va determinato il valore della massa ereditaria, quello della quota disponibile e della quota di legittima. A tal fine, occorre procedere alla formazione del compendio dei beni relitti ed alla determinazione del loro valore al momento dell'apertura della successione; quindi, alla detrazione dal "relictum" dei debiti, da valutare con riferimento alla stessa data; e, ancora, alla riunione fittizia, cioè meramente contabile, tra attivo netto e "donatum", costituito dai beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, da stimare, in relazione ai beni immobili ed ai beni mobili, secondo il loro valore al momento dell'apertura della successione (artt. 747 e 750 c.c.) e, con riferimento al valore nominale, quanto alle donazioni in denaro (art. 751 c.c.). Devono calcolarsi, poi, la quota disponibile e la quota indisponibile sulla massa risultante dalla somma tra il valore del "relictum" al netto ed il valore del "donatum" ed imputarsi, infine, le liberalità fatte al legittimario, con conseguente diminuzione, in concreto, della quota ad esso spettante (art. 564 c.c.).

Cass. civ. n. 6709/2010

Nel procedimento per la reintegrazione della quota di eredità riservata al legittimario, si deve avere riguardo al momento di apertura della successione per calcolare il valore dell'asse ereditario - mediante la cosiddetta riunione fittizia -, stabilire l'esistenza e l'entità della lesione della legittima, nonché determinare il valore dell'integrazione spettante al legittimario leso. Peraltro, qualora tale integrazione venga effettuata mediante conguaglio in denaro, nonostante l'esistenza, nell'asse, di beni in natura, trattandosi di credito di valore e non già di valuta, essa deve essere adeguata al mutato valore - al momento della decisione giudiziale - del bene a cui il legittimario avrebbe diritto, affinché ne costituisca l'esatto equivalente, dovendo pertanto procedersi alla relativa rivalutazione.

Cass. civ. n. 20387/2008

Al fine di stabilire se l'atto di disposizione patrimoniale compiuto in vita dal "de cuius" sia lesivo della quota riservata ai legittimari, la donazione con riserva di usufrutto deve essere calcolata come donazione in piena proprietà, riferendone il valore al tempo dell'apertura della successione.

Cass. civ. n. 2975/1991

Ai fini della determinazione della quota di legittima e della quota disponibile deve aversi riguardo, ai sensi degli artt. 556 e 564 c.c., esclusivamente al valore dell'asse ereditario al tempo dell'apertura della successione, differentemente dalla stima dei beni per la formazione delle quote per la divisione ereditaria, che a norma dell'art. 726 c.c. deve farsi con riferimento al loro stato e valore venale al tempo della divisione anche quando si provveda alla reintegrazione della legittima.

Cass. civ. n. 4654/1990

A norma dell'art. 556 c.c. l'ammontare della quota disponibile si determina dapprima formando la massa di tutti i beni che appartenevano al de cuius al momento della morte, indi detraendone i debiti, in riferimento allo stesso momento, ossia al tempo della morte, sia per la determinazione del valore dei beni relitti (attivo) che per la determinazione dell'entità dei debiti (passivo), sì da pervenire una volta effettuata la detrazione ad un dato omogeneo (attivo contrassegnante il relictum), cui sommare il donatum, senza che sia più concepibile una rivalutazione e/o una liquidazione di interessi sull'eventuale credito del legittimario verso l'asse ereditario.

Cass. civ. n. 6979/1986

In materia successoria, ai fini della determinazione della porzione disponibile, i beni vengono in rilievo non per il valore della loro nuda proprietà bensì nel loro effettivo valore secondo le regole della collazione, poiché l'art. 556 c.c. riferisce il calcolo alla massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, depurata dai debiti e integrata con i beni di cui egli abbia disposto a titolo di donazione.

Cass. civ. n. 6011/1984

In tema di riunione fittizia e d'imputazione alla quota del legittimario, il quale abbia proposto domanda di riduzione (artt. 556 e 564 c.c.), la consistenza oggettiva dei beni donati in vita dal de cuius deve essere determinata con riferimento al momento della donazione, mentre la valutazione economica dei beni medesimi va fatta sulla base del potere d'acquisto della moneta, al momento dell'apertura della successione, tenendo conto di tutte le potenzialità economiche dei beni stessi.

Cass. civ. n. 1122/1982

Al fine della determinazione della porzione disponibile e delle quote riservate ai legittimari, occorre avere riguardo alla massa costituita da tutti i beni che appartenevano al de cuius al momento della morte — al netto dei debiti — maggiorati del valore dei beni donati in vita dal defunto, secondo i criteri di valutazione sanciti dall'art. 747 e seguenti c.c., senza che possa distinguersi tra donazioni anteriori e posteriori al sorgere del rapporto, da cui deriva la qualità di legittimario.

Cass. civ. n. 417/1969

La determinazione della quota di legittima va fatta con riguardo al valore della massa risultante dalla riunione fittizia, con detrazione dei debiti ereditari, senza che possa tenersi conto degli oneri e delle obbligazioni non preesistenti e che vengono a costituirsi per volontà del testatore con espressa imposizione a carico dell'istituto nella disponibile.

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Consulenze legali
relative all'articolo 556 Codice Civile

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Anonimo chiede
domenica 20/10/2024
“In questi giorni sono venuta a conoscenza, quasi casualmente, del fatto che mia madre (pensionata ex casalinga) qualche anno fa (tra il 2010 ed il 2012) ha versato tramite 7 semplici bonifici di importi oscillanti tra i 34.000 € ed i 10.000 € (dei quali possiedo tutte le copie) con causali "rimborso, versamento" tutti i risparmi di una vita sua e di mio padre (circa 100.000 €) sul conto di mia sorella nascondendo la cosa a me e a mio padre stesso. Aggiungo che i miei genitori non avevano a disposizione grosse cifre di denaro in quanto mio padre era un muratore e mia madre una casalinga. Secondo lei posso avere restituita almeno la metà di quella somma data di nascosto a mia sorella?
Grazie mille”
Consulenza legale i 24/10/2024
Sotto un profilo meramente teorico, tutte le somme che un genitore trasferisce a titolo gratuito in favore di un suo discendente sono destinate ad essere conteggiate al momento dell’apertura della successione del trasferente.
Dispone, infatti, l’art. 556 c.c che per la determinazione della porzione disponibile, ovvero della quota di patrimonio di cui il defunto può liberamente disporre, occorre formare una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al momento della morte, detrarne eventuali debiti e riunirvi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione.
Ciò comporta che eventuali donazioni effettuate in favore di uno degli eredi legittimari a mezzo bonifico bancario (come si presume sia accaduto nel caso in esame per una delle figlie), dovranno essere sommate al valore dei beni lasciati dal defunto e, sul valore complessivo così ottenuto, potrà calcolarsi la quota riservata a ciascun legittimario.

Qualora, all’esito di tale calcolo, dovesse risultare che qualcuno dei legittimari ha ricevuto meno di quanto la legge gli riserva (secondo le norme dettate dal legislatore agli artt. 536 e ss. c.c.), il legittimario leso potrà agire in giudizio per chiedere la riduzione delle donazioni effettuate in vita dal de cuius, nei limiti di ciò che occorre per reintegrare la sua quota di riserva.
Inoltre, il legittimario beneficiario della donazione che sia anche coerede sarà tenuto alla collazione di quanto ricevuto in donazione, e ciò perché si presume che il defunto, nel fare in vita donazioni ai figli, ai loro discendenti o al coniuge, non abbia voluto alterare il trattamento che egli ha stabilito per testamento o che è disposto per legge in caso di successione ab intestato, ma abbia soltanto voluto attribuire ai donatari un anticipo sulla futura successione.

Quanto fin qui detto vale, come si è precisato all’inizio, sul piano meramente teorico, mentre sotto il profilo pratico occorre fare i conti con tutta una serie di problematiche.
La difficoltà maggiore a cui, in casi di questo tipo, si può andare incontro, è quella di riuscire a dimostrare che i lamentati trasferimenti di denaro siano stati effettuati per mero spirito di liberalità e non, come risulta dalla causale dei bonifici, per “rimborso, versamento”.
Si tenga conto, oltretutto, che dal compimento delle lamentate operazioni è trascorso più di un decennio (si fa riferimento agli anni compresi tra il 2010 ed il 2012) e che, a distanza di così tanto tempo, sarebbe sicuramente impossibile riuscire ad ottenere copia della documentazione bancaria relativa a quel periodo.

Infatti, malgrado la recente pronuncia del Tribunale di Napoli (Trib. Napoli, sez II, 26 aprile 2023) secondo cui, argomentando dall’art. 1713 del c.c., la Banca sarebbe obbligata a consegnare al cliente che ne fa richiesta tutti gli estratti conto e i riassunti scalari sin dall'inizio del rapporto, non soltanto quelli relativi all'ultimo decennio, l’orientamento decisamente prevalente nella giurisprudenza di legittimità (si veda, da ultimo, la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 35039 del 29/11/2022, nonché Cass. n. 11004/2006; Cass. n. 15669/2007; Cass. 11733/1999; Cass., 15669/2017; Cass. 12093/2011; Cass., 24641/2021) è quello secondo cui deve considerarsi contrario a buona fede obbligare un istituto bancario a preservare, in modo integrale e completo, oltre il decennio tutta la documentazione afferente ai singoli rapporti di conto corrente con il cliente “atteso che si finirebbe per obbligare la Banca a conservare potenzialmente all'infinito una massa indeterminata di dati, costringendo la stessa ad una attività dispendiosa".
Pertanto, in conformità a quanto espressamente disposto dall’[[119tub]] e ancor prima dall’art. 2220 del c.c., la Banca sarà tenuta a mettere a disposizione del cliente o dei suoi eredi soltanto la documentazione relativa alle movimentazioni bancarie effettuate nell’ultimo decennio.

Stando così le cose, sembra evidente che, non potendosi concretamente disporre di elementi probatori atti a dimostrare il trasferimento a titolo gratuito di quelle somme di denaro, sarebbe del tutto illogico portare avanti un’azione giudiziaria volta al recupero di quelle medesime somme al patrimonio dei genitori, pur se tale azione avrebbe l’equa e legittima finalità di non vedere lesa la propria quota di riserva.


P. B. chiede
mercoledì 15/05/2024
“Buonasera, la mia domanda è in riferimento ad una presumibile donazione indiretta a danno di un erede.

I miei genitroi avevano una s.n.c. al 50% con un capannone di proprietà che nel 2018 hanno venduto per 131.000. Di questi 131.000, 101.000 euro li ha presi mia madre con promessa di pagare parte dei debiti fatti da mio fratello con altra società (sempre una s.n.c.) . La somma indicata da mia mandre come "aiuto" a mio fratello ammontava a 77.000 euro. Di fatto mio padre ha accettato per aiutare mio fratello donando indirettamente 35.500 euro a mio fratello. Mio padre è venuto a mancare il mese scorso. Questa donazione rientra nell'asse ereditario? Ovvero vale come donazione indiretta? Grazie”
Consulenza legale i 21/05/2024
Una soluzione molto semplicistica indurrebbe in effetti alla conclusione prospettata nel quesito, ovvero a dire che trattandosi di somme di cui i coniugi erano divenuti contitolari per quote eguali, al momento della morte di uno di essi si deve tener conto della metà di quelle somme per determinare il valore complessivo della massa ereditaria in sede di riunione fittizia ex art. 556 del c.c..
Tale soluzione può sicuramente andar bene e soddisfare i contrapposti interessi dei chiamati all’eredità qualora tra di essi vi sia un clima di reciproca disponibilità e collaborazione.

Più complessa, invece, è la soluzione se tra le parti sussiste una situazione conflittuale, per la cui risoluzione deve farsi applicazione di tutti quelli che sono gli istituti giuridici che vengono in rilievo nel caso di specie.
Innanzitutto il primo aspetto che si rende necessario prendere in esame è quello relativo al regime patrimoniale vigente tra i coniugi al momento dello scioglimento della comunione.
Infatti, se il regime era quello della separazione dei beni, il prezzo ricavato dalla vendita del capannone sarebbe dovuto entrare nel patrimonio di ciascun coniuge per quote eguali, ovvero per un importo di euro 65.500 ciascuno.
Considerato, invece, che quella somma è confluita per euro 101.000 nel patrimonio personale della moglie, ne deriva una liberalità in favore della medesima (donataria) da parte del marito (donante) pari ad euro 35.500.
E’ seguendo questo ragionamento che si dovrà tener conto di tale importo (come correttamente determinato nel quesito) ai fini della collazione ereditaria e della determinazione ex art. 556 c.c. della massa ereditaria complessiva, sulla cui base andrà poi calcolato sia il valore della disponibile che il valore della quota di riserva spettante a ciascun legittimario.
Tenuto conto, tuttavia, che beneficiaria di tale somma è stata la moglie superstite, è su quest’ultima che incombe l’obbligo di collazione ed è pure nei suoi confronti che deve eventualmente esperirsi l’azione di riduzione, e non sul figlio beneficiario finale.

Infatti, l’ulteriore circostanza che la madre abbia deciso di versare gratuitamente ad uno solo dei figli la somma di euro 77.000, al fine di estinguere tutti o parte dei debiti che questi aveva contratto quale socio di una s.n.c., verrà in rilievo quale donazione diretta o indiretta soltanto al momento dell’apertura della successione della madre.
Tale trasferimento di denaro andrà qualificato come donazione diretta della somma di denaro se la stessa è stata trasferita, si presume con bonifico bancario, in favore del figlio.
Su tale specifico argomento si è pronunciata la Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, con sentenza n. 18725 del 27.07.2017 (confermata indirettamente anche da Cass. civ., Sez. V, 10/03/2021, n. 6591), affermando il seguente principio di diritto:
"Il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l'esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta; ne deriva che la stabilità dell'attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell'atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l'ipotesi della donazione di modico valore".

In particolare, la S.C ritiene che si abbia donazione diretta allorchè vi sia un passaggio immediato e per spirito di liberalità di ingenti valori patrimoniali da un soggetto in favore di un altro, situazione configurabile appunto nel caso di bonifico bancario, dovendosi la banca qualificare quale mera esecutrice dell’ordine dato dal correntista disponente.
L’ordine impartito alla banca costituisce atto negoziale esterno rispetto al negozio tra beneficiante e beneficiario, il solo che rappresenta la giustificazione del trasferimento di valori da un patrimonio all'altro.

In tal caso, ai fini della validità risulta necessaria la forma dell’atto pubblico, in mancanza della quale la donazione sarà nulla, con la conseguenza che la somma di denaro dovrà considerarsi come mai entrata a far parte del patrimonio del beneficiario e che gli eredi del disponente potranno far valere il diritto alla restituzione dell’importo in questione perché giuridicamente mai uscito dal patrimonio del donante stesso.

Si potrà configurare, invece, una donazione indiretta se per il trasferimento di quella somma si è fatto ricorso all’istituto giuridico dell’adempimento del debito altrui, c.d. adempimento del terzo, disciplinato dall’art. 1180 c.c.
Com’è noto, l’art. 1180 c.c. consente che l’obbligazione sia adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del creditore.
A differenza dell’adempimento da parte del debitore, che ha natura di atto giuridico, l’adempimento del terzo ha natura negoziale e causa variabile, con la conseguenza che qualora lo stesso venga posto in essere dal solvens con animo liberale nei riguardi del debitore, ricorre ipotesi di donazione indiretta (in tal senso può citarsi Cass. SS.UU. 18.03.2010 n. 6538).

Rimane a questo punto da esaminare l’altra ipotesi, ovvero quella dei coniugi versanti in regime di comunione legale.
In questo caso, si ritiene che l’azienda gestita da entrambi i coniugi e facente capo alla s.n.c. debba farsi rientrare nel disposto di cui all’art. 178 del c.c., con la conseguenza che anche le somme derivanti dall’alienazione di un bene aziendale debbano farsi ricadere nella c.d. comunione de residuo.
Ora, tralasciando il fatto che dal ricavato della vendita una somma pari ad euro 101000 sia stata prelevata dalla moglie (evento che poco rileva in un regime di comunione legale), la circostanza, invece, che dalla somma complessiva di euro 131.000 siano stati, di comune accordo tra i coniugi, sottratti euro 77.000 per essere destinati ad aiutare, con puro animo liberale, uno solo dei figli in difficoltà economica, comporta che di fatto quella somma di euro 77000 è venuta a mancare alla comunione de residuo.

In questi termini deve ammettersi che, di fatto, il padre adesso deceduto ha rinunziato in favore del figlio in difficoltà economica ad una somma di euro 35.500, somma che tutti gli eredi (compreso il coniuge superstite) avrebbero potuto trovare nel patrimonio comune dei genitori al momento dello scioglimento della comunione legale per morte di uno dei coniugi.
In tal caso, dovendosi considerare beneficiario di quella somma il figlio che l’ha ricevuta, sussiste a suo carico l’obbligo di collazione e nei suoi confronti potrà essere eventualmente esercitata l’azione di riduzione.
Per quanto concerne la natura della donazione, se diretta o indiretta, vale quanto detto sopra, dovendosi distinguere a seconda che il trasferimento di denaro sia stato effettuato in favore dei creditori come adempimento del terzo (donazione indiretta) o direttamente in favore del figlio con bonifico bancario (donazione diretta).


A. M. chiede
martedì 22/08/2023
“Buongiorno,
Da un mese è deceduto mio padre e dovremmo procedere alla suddivisione dei beni. Mio padre non ha lasciato nessun testamento, per cui a chi potremmo rivolgerci per la valutazione degli immobili? Sono tuttora intestati tutti a lui, eccetto una casa al mare cointestata a mia madre. Gli eredi sono tre: io, mia madre e mio fratello.
Il patrimonio è costituito da due case al mare, una casa in paese con garage e un capannone industriale con relativo terreno di pertinenza. Preciso che mio fratello da anni utilizza il capannone e il terreno per la sua azienda, sebbene siano ancora intestati a mio padre. Alla sottoscritta non è mai stato corrisposto nulla per l'utilizzo di tale capannone. Ho solo ricevuto in passato una quota per l'accensione di un mutuo, mentre a mio fratello hanno acquistato una palazzina a due piani. Prima di effettuare eventuali lavori di ristrutturazione nella casa in paese che solo a parole mi è stata assegnata, è opportuno procedere alla successione? Mi spetta qualcosa per l'utilizzo del capannone e delle pertinenze per gli anni pregressi? I soldi anticipati per l'accensione del mio mutuo vanno scalati dalle quote spettanti? E quelli destinati all'acquisto della palazzina dove attualmente abitano mia madre e mio fratello? Mio fratello ha la comunione dei beni. Sua moglie rientra nella suddivisione ereditaria?
Grazie per l'attenzione”
Consulenza legale i 28/08/2023
Nel momento in cui un soggetto muore senza lasciare alcuna disposizione testamentaria, la devoluzione del suo patrimonio viene regolata dalla legge (cd. successione legittima), ed in particolare dalle norme dettate agli artt. 565 e ss. c.c.
Nel caso in esame, poichè chiamati ex lege risultano essere la moglie ed i due figli del de cuius, deve farsi applicazione di quanto disposto dall’art. 581 del c.c., in forza del quale il coniuge superstite ha diritto ad 1/3 del patrimonio ereditario ed i figli ai restanti 2/3 indivisi.
E’ tenendo conto di tali quote che si dovrà procedere a divisione ereditaria, facendo riferimento, per la valutazione dei beni immobili compresi nella massa ereditaria, al valore venale in comune commercio dei beni alla data della divisione e non al loro valore catastale.
In tal senso si è espressa tra l’altro l’Agenzia delle Entrate con risposta ad interpello n. 534 del 6 novembre 2020, con cui ha specificato che il valore della quota di diritto andrà confrontato con il valore della quota di fatto e che, qualora dovesse emergere un conguaglio, lo stesso, se superiore al cinque per cento del valore della quota di diritto, dovrà essere assoggettato ad imposta di registro, con l’aliquota stabilita per i trasferimenti immobiliari.

Pertanto, rispondendo tra l’altro alla prima delle domande poste, va detto che il modo migliore per determinare il valore venale degli immobili caduti in successione è quello di rivolgersi ad una agenzia immobiliare di comune fiducia, la quale generalmente si avvale di tecnici abilitati alla professione di perito ed iscritti ad un Ordine degli Ingegneri, Architetti o Geometri.

L’altra questione da prendere in esame è quella che riguarda il capannone industriale con relativo terreno di pertinenza, caduto in successione ed attualmente occupato da uno dei chiamati all’eredità (il fratello).
Di una situazione di questo tipo si occupa espressamente il codice civile all’art. 714 del c.c., ove è detto che non si perde il diritto di chiedere la divisione anche se di uno o più beni ereditari ne abbia goduto soltanto uno degli eredi.
Tale norma, inoltre, deve essere coordinata con l’art. 1102 del c.c. dettato in tema di comunione in generale, ove è consentito a ciascun partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune purchè non si impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

Dal combinato disposto di tali norme se ne deve dedurre che finchè l’altro non farà formalmente constare il suo dissenso all’uso esclusivo di quell’immobile, colui che lo occupa non sarà tenuto in alcun modo ad indennizzare gli altri per il mancato godimento dello stesso.
Peraltro, il fatto che uno solo dei figli abbia utilizzato quell’immobile mentre il padre era in vita e fino alla morte di quest’ultimo, attribuisce al fruitore di quel bene un diritto di detenzione qualificata ma precaria dell’immobile, assimilabile in termini di disciplina giuridica al comodato (gratuito) senza determinazione di durata (così Cass. civ. Sent. n. 7/2014; Cass. civ. sent. n. 7214/2017).
Deceduto il genitore quel rapporto giuridico può considerarsi cessato, ma fin quando gli altri coeredi non faranno constare il loro dissenso all’uso esclusivo di quell’immobile, colui che lo occupa non commetterà alcun illecito risarcibile, in conformità al sopra citato art. 1102 c.c.

Solo dal momento della manifestazione di dissenso all’uso esclusivo, il godimento del bene da parte di uno solo degli eredi diventa privo di alcun titolo giustificativo e, come tale fonte di danno per gli altri eredi, sotto l’aspetto del lucro cessante, per mancata percezione dei frutti civili ritraibili dall’immobile, i quali, per giurisprudenza costante, vanno commisurati al valore figurativo di un ipotetico canone locativo di mercato (così Cass. n. 5504/2012 e Cass. n. 17876/2019).

E’ opportuno anche precisare che agli eredi esclusi dal godimento compete, oltre alla tutela risarcitoria di cui sopra, anche l’esercizio delle azioni volte a recuperare il possesso del bene contro l’erede che ha trasformato l’originario compossesso in possesso esclusivo; potranno così agire con l’azione possessoria di reintegra entro un anno dallo spoglio ex art. 1168 del c.c. o con l’azione di rivendica ex art. 948 del c.c. successivamente.

Rimane da esaminare la questione relativa agli atti di liberalità posti in essere dal genitore in favore dei figli prima della sua morte, dovendosi distinguere tra donazione della somma di denaro alla figlia per l’accensione di un mutuo e acquisto di una palazzina in favore del figlio.
Per quanto concerne la donazione della somma di denaro, vale il disposto di cui all’art. 751 del c.c., rubricato “Collazione del denaro”, in forza del quale la collazione del denaro si attua per imputazione, ovvero attraverso un minor prelievo rispetto a quanto altrimenti spetterebbe pro quota al donatario sull’intero asse.
Vige a tal fine il c.d. principio nominalistico dettato per le obbligazioni pecuniarie e, pertanto, il denaro oggetto dei prelevamenti dovrà essere conteggiato secondo il valore legale della specie monetaria donata (ciò significa che il donatario potrà conferire moneta svalutata, circostanza questa che, favorendo indubbiamente il donatario, ha portato a due pronunzie della Corte Costituzionale, la n. 230/1985 e la n. 107/1981, la quale ha sempre ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 751 del c.c. in ordine al diverso trattamento tra i coeredi donatari di beni immobili, mobili o denaro soggetti a collazione).

Qualora, come spesso accade, nell’eredità da dividere non dovesse esservi denaro, troverà applicazione il secondo comma dello stesso art. 751 c.c., il quale conferisce al donatario la facoltà di liberarsi dall’obbligo della collazione mediante il pagamento di una somma di denaro nominalmente uguale a quella donata a suo tempo dal de cuius.
Se poi il donatario non dovesse avvalersi della facoltà di conferire denaro, opera il meccanismo della imputazione fittizia, mediante prelievo, da parte degli altri coeredi e dai restanti beni, di un complesso di valore corrispondente alla somma già avuta in donazione.

Diversa è la situazione per la donazione della palazzina al figlio (o anche della somma di denaro utilizzata per l’acquisto della palazzina, qualificabile come donazione indiretta dell’immobile), tenuto conto che in tal caso occorre prendere in considerazione quanto disposto dagli 746 e 747 c.c., espressamente richiamati dall’art. 556 c.c.
In particolare, l’art. 746 c.c. consente al donatario di immobile di scegliere se rendere lo stesso in natura ovvero imputarne il valore alla sua porzione; in questo secondo caso troverà applicazione il successivo art. 747 c.c., il quale dispone che, nel caso di collazione per imputazione di un immobile, occorre tenere conto del valore che ha l’immobile al momento dell’apertura della successione.

Fin quando non si procederà a divisione dei beni, comunque, il consiglio che può darsi è quello di non prendere alcuna iniziativa per effettuare lavori di ristrutturazione su uno degli immobili in previsione che lo stesso possa successivamente rientrare nella propria quota, in quanto, una volta caduto in successione, si tratta di bene comune, con la conseguenza che qualunque decisione dovrà essere presa di comune accordo con gli altri coeredi comproprietari (conformemente a quanto disposto dall’art. 1108 del c.c.).
Si potrà vantare un diritto a rimborso soltanto per quelle spese necessarie per la conservazione del bene comune ed in caso di trascuranza degli altri partecipanti (così art. 1110 del c.c..

Tutto quanto sopra precisato, si può adesso rispondere sinteticamente alle singole domande poste:
a) non si ha diritto ad alcun ristoro per l’utilizzo del capannone e del terreno pertinenziale da parte del fratello;
b) sia il denaro donato alla figlia che il valore della palazzina donato al figlio concorrono nella determinazione della massa ereditaria complessiva da dividere ex art. 556 c.c.
c) la moglie del fratello, seppure in comunione legale dei beni, non ha alcun titolo per partecipare alla divisione ereditaria, in quanto ex art. 179 del c.c. tutti i beni acquistati successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione non costituiscono oggetto di comunione e sono beni personali.

P. B. chiede
lunedì 05/06/2023
“In caso di successione di 4 figli, qualora la quota assegnata tramite testamento, sottratto il disponibile, superi di un quarto la quota di legittima di un altro erede quali sono i rischi in caso si ricorra ad un procedimento giudiziario che possa essere messa in discussione la suddivisione delle quota fatta dalla testatrice ferma restando la volontà di reintegrare in denaro eventuali lesioni di legittima ?
Inoltre quando ci sia stata una elargizione consistente di denaro a uno dei figli ma non sotto forma di donazione ma a titolo di liberalità effettuata 22 anni prima per l’acquisto di un immobile è applicabile la collazione della somma per il calcolo dell’asse ereditario?
(eventualmente posso allegare un documento maggiormente dettagliato)
Consulenza legale i 12/06/2023
Il caso in esame si caratterizza per la particolare modalità con cui la testatrice ha inteso disporre dei suoi beni, non essendosi limitata a designare i soggetti chiamati a succedere per testamento, ma avendo anche voluto specificatamente stabilire come i suoi beni sarebbero dovuti essere assegnati a ciascuno dei soggetti contemplati nella scheda testamentaria.
Ciò che caratterizza una disposizione testamentaria così formulata è l’assenza di una espressa predeterminazione di quote, il che consente di poter giuridicamente qualificare detta disposizione come institutio ex re certa, istituto giuridico contemplato al secondo comma dell’art. 588 c.c. e che va tenuto distinto dalla fattispecie, per certi versi analoga, della divisione fatta dal testatore di cui al successivo art. 734 del c.c..

Institutio ex re certa e divisione fatta dal testatore si differenziano, infatti, proprio per il fatto che, mentre nella prima fattispecie non si ha predeterminazione di quote (che occorrerà determinare ex post, verificando il rapporto proporzionale tra il valore delle res certae attribuite ed il valore dell’intero asse), nella seconda, invece, le quote sono già predeterminate dal testatore.
Ciò comporta che, a differenza di quanto accade nel caso della divisione del testatore ex art. 734 c.c., quando si è in presenza di una disposizione testamentaria a titolo universale in forma di istituzione ex re certa non ha luogo la successione legittima, tenuto conto della forza espansiva della stessa per i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti (così Cass. civ. sent. n. 12158/2015).

Ora, sembra evidente che nel caso di specie la volontà della testatrice debba ritenersi manifestata secondo le forme della istitutio ex re certa e che non possa al contrario inquadrarsi nella diversa fattispecie della divisione fatta dal testatore, con la conseguenza che non potrà trovare applicazione il secondo comma dell’art. 763 del c.c. (a cui ci si richiama nel testo allegato al quesito), norma che contempla la c.d. rescissione per lesione, applicabile alla sola ipotesi di divisione fatta dal testatore.
Ad escludere una divisione vale quanto sopra considerato, ovvero la circostanza che il testamento non contiene alcune predeterminazione di quote, le quali, invece, potranno solo ricavarsi a posteriori mediante valutazione dei beni che la testatrice ha voluto assegnare a ciascun istituito ex certa re.

Per quanto concerne la determinazione di eventuali lesioni della quota di riserva spettante a ciascuno dei legittimari, va detto che di ciò se ne potrà avere certezza soltanto nel momento in cui verrà concretamente determinata la consistenza del patrimonio ereditario ed il valore dei singoli beni assegnati a ciascun coerede.
Tale operazione potrà essere compiuta seguendo il dettato dell’art. 556 del c.c., norma che disciplina le modalità attraverso cui può giungersi alla determinazione della quota disponibile del patrimonio ereditario e, conseguentemente, della quota di riserva, da dividere nel caso di specie tra i quattro figli in parti eguali, secondo quanto disposto dal secondo comma dell’art. 537 del c.c..
Ebbene, l’art. 556 c.c. dispone che per determinare la quota di riserva occorre:
a) formare una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al momento dell’apertura della successione, c.d. relictum;
b) detrarre i debiti esistenti a quella data;
c) riunire fittiziamente il c.d. donatum, ovvero i beni di cui il de cuius abbia in vita disposto a titolo di donazione, per il cui valore occorrerà rispettare i criteri dettati dagli articoli dal 747 al 750 c.c.
Ora, mentre nessun problema pongono le operazioni di cui alle lettere a) e b) (trattandosi di operazioni meramente matematiche, che oltretutto nel caso in esame sembrano già essere state effettuate da un perito nominato a tal fine), più delicata si presenta la situazione per ciò che concerne la donazione della somma di denaro ad una delle figlie, somma utilizzata per l’acquisto di un immobile.
In tal caso, infatti, è discusso se oggetto di donazione debba considerarsi la somma di denaro (ciò che configura una donazione diretta) ovvero il bene che grazie al denaro donato è stato acquistato (il che configura, invece, una tipica ipotesi di c.d. donazione indiretta).
Ebbene, sul punto si è pronunciata in diverse occasioni la Suprema Corte di Cassazione, affermando il seguente principio di diritto:
Quando il denaro è stato donato come tale, l’oggetto della collazione non può che essere il denaro stesso, che costituisce il bene con cui il genitore ha inteso beneficiare il figlio, mentre il successivo reimpiego della somma ricevuta non ha rilievo, essendo estraneo alla previsione del donante. Diverso è il caso in cui la dazione di denaro sia stata effettuata al precipuo scopo di procedere all’acquisto immobiliare […] in tale seconda ipotesi – caratterizzata da un collegamento tra l’elargizione del denaro e l’acquisto del bene immobile – si è in presenza di una donazione (indiretta) dell’immobile”.
In buona sostanza, se ad essere donata è sic et simpliciter una somma di denaro, oggetto di collazione sarà il denaro stesso e non l’immobile (o altro bene) eventualmente acquistato con quest’ultimo; viceversa, se il conferimento di denaro è specificamente finalizzato all’acquisto di un immobile sarà quest’ultimo a formare oggetto di collazione.

Nel quesito si dice espressamente che “l’elargizione non risulta da alcun atto pubblico ma da una scrittura privata sottoscritta dalla Sig.ra … nella data suindicata nella quale dichiara che l’intera somma è stata destinata all’acquisto dell’appartamento e che, pertanto, i beni immobili testé acquistati devono ritenersi ad essi donati quale acconto sulla quota di legittima che la sottoscritta potrà vantare sulla futura eredità delle medesima genitrice.
Ciò si ritiene sia più che sufficiente per poter affermare che si sia in presenza non di una donazione diretta del denaro, quanto piuttosto di una donazione indiretta dell’immobile, con tutte le conseguenze che ne derivano sotto il profilo della collazione.
Più precisamente, per determinare il valore di cui tener conto in sede di collazione dovrà farsi applicazione non dell’art. 751 del c.c., bensì dell’art. 747 del c.c., riferito appunto alla collazione di immobile e secondo cui oggetto di collazione è il valore che l’immobile ha al momento dell’apertura della successione (se il denaro trasferito non è stato sufficiente per l’acquisto dell’intera proprietà dell’immobile, si terrà conto della percentuale di proprietà che con quel denaro è stato possibile acquistare).

Peraltro, l’uso dell’espressione “i beni immobili testé acquistati devono ritenersi ad essi donati quale acconto sulla quota di legittima che la sottoscritta potrà vantare sulla futura eredità” deve intendersi quale espressa manifestazione della volontà della donante di non voler dispensare la donataria dalla collazione della somma di denaro trasferita (ciò che, si precisa, sarebbe stato ammissibile nei soli limiti della disponibile).

In considerazione di quanto fin qui detto e cercando, a questo punto, di rispondere alle domande poste nel documento allegato al quesito, può dirsi quanto segue:
a) oggetto di collazione non dovrà essere il denaro donato, ma l’immobile o la parte di immobile con tale denaro acquistato;
b) non è applicabile l’art. 763 c.c., in quanto non si è in presenza di una divisione fatta dal testatore, ma di una institutio ex re certa;
c) il 50% del saldo del conto corrente cointestato caduto in successione potrà essere utilizzato per soddisfare un debito esistente nei confronti di uno degli eredi soltanto se trattasi di debito certo, liquido ed esigibile (in particolare, di tale debito si potrà tener conto anche in sede di determinazione della quota disponibile e di quella di riserva ex art. 556 c.c.

M. C. chiede
venerdì 04/02/2022 - Lombardia
“Salve, dopo la morte di nostro padre, ho saputo che mio fratello vorrebbe contestarmi la proprietà di un box che secondo lui, nostro padre avrebbe donato alla sottoscritta, in realtà tale box mi è pervenuto per riunione di usufrutto. Mio fratello tuttavia, prima che nostro padre morisse, ha vissuto con la sua famiglia in un immobile di proprietà di nostro padre per ben 10 anni, immobile in cui risulta iscritto un diritto di abitazione che nostro padre ha voluto per mio fratello, e attualmente vive nel suddetto immobile a 6 anni dalla morte. Tale immobile è al 50% di entrambi pervenuto per successione. A questo punto mi chiedo, dato che lui mi contesta la proprietà di questo box, se posso "controbattere" in base a tali presupposti. Mi chiedo, il fatto che abbia usufruito dell'immobile per tanti anni, ha un valore? Mio fratello vive e ha vissuto in questo immobile usufruendone con la sua famiglia, mentre di fatto io ho ottenuto il box solo alla morte di nostro padre, la situazione sembra più a sfavore della sottoscritta. Resto in attesa di Vs cortese risposta e porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 10/02/2022
Il caso che qui si sottopone all’attenzione richiede di prendere in esame due aspetti della successione del comune genitore, ovvero quello della collazione di un immobile donato per la sola nuda proprietà e quello della occupazione per tanti anni di un immobile, poi caduto in successione, da parte di uno solo dei futuri eredi.

Sul primo tema si rinviene una recente pronuncia della Suprema Corte di legittimità, e precisamente Cass. Sez. II civ. n. 18211/2020, nella quale è detto che, ai fini della collazione per imputazione, le donazioni con riserva di usufrutto si stimano per il valore della piena proprietà al tempo della morte del donante solo in presenza di riserva in favore del donante stesso.
In particolare, sempre in tale sentenza viene precisato che nell’ipotesi di donazione di bene immobile in piena proprietà, qualora il donatario decida di optare per la c.d. collazione per imputazione (la quale va distinta da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà dello stesso condividente donatario), la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato alla data di apertura della successione, viene sin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato (così art. 747 del c.c.).

Inoltre, poiché l’obbligazione di imputare tale somma di denaro costituisce ab orgine per il donatario un debito di valuta (cfr. Cass. n. 5659/2015, Cass. n. 25646/2018 e Cass. n. 9177/2018), insieme con il valore di stima del bene, devono essere imputati gli interessi legali rapportati a tale valore e decorrenti sempre dal momento di apertura della successione, anziché le rendite dell’immobile nel corrispondente periodo (così art. 745 del c.c. nonché, in giurisprudenza, Cass. n. 2453/1976).

In un caso, poi, come quello di specie, ovvero di donazione della sola nuda proprietà di un immobile con riserva di usufrutto in favore del donante stesso, la collazione per imputazione va effettuata con riferimento al valore corrispondente alla piena proprietà come acquisita dal donatario all’epoca di apertura della successione, sia perché solo in tale momento si può stabilire il valore dell’intera massa da dividere (attuando, così, lo scopo della collazione di ricomposizione in modo reale dell’asse ereditario) sia perché l’acquisizione della piena proprietà del bene in capo al donatario alla morte del donante (momento di apertura della successione ex art. 456 del c.c.) costituisce comunque un effetto riconducibile al suddetto atto di donazione.
Sostenere una tesi diversa comporterebbe il conseguimento di un ingiustificato vantaggio in favore del donatario, derivante dal mancato conferimento alla massa di un importo corrispondente alla differenza tra il valore equivalente alla nuda proprietà e quello equivalente alla piena proprietà del bene stesso (così Cass. n. 20387/2009 e Cass. n. 25473/2010).

Pertanto, in considerazione di quanto fin qui detto, ciò che pretende il fratello si presume possa essere proprio questo, ossia che nella ricostruzione della massa ereditaria in sede di c.d. riunione fittizia, si tenga conto non del valore della sola nuda proprietà di quel box che il de cuius ha donato alla figlia, ma del valore che allo stesso immobile deve attribuirsi per la piena proprietà al momento dell’apertura della successione.
Per quanto concerne il secondo aspetto da prendere in esame, ossia quello relativo al godimento, per circa dieci anni, da parte del fratello e della sua famiglia, di un immobile sempre di proprietà del defunto padre e adesso caduto in successione, va detto quanto segue.
Nella generalità dei casi il godimento di un immobile da parte di uno solo dei futuri eredi si ricollega ad un rapporto di comodato gratuito, nel senso che i genitori consentono gratuitamente ad uno dei figli di abitare in un immobile di loro proprietà o perché il figlio non ha mezzi economici sufficienti per procurarsi un’abitazione propria o per qualunque altra ragione.
Proprio con riferimento a tale ipotesi ci si è posti il dubbio se sussista o meno il diritto di chiedere che nel calcolo della massa ereditaria da dividere, ai fini della determinazione della quota di riserva a ciascun legittimario spettante, si debba tener conto anche di ciò di cui il figlio si è arricchito per tale godimento.
In senso negativo si è, tuttavia, espressa la giurisprudenza (così Cass. civ. sent. n. 24866 del 23.11.2006 e più di recente Cass. civ. Sez. II sent. n. 27259 del 16.11.2017), affermando che, in sede di divisione ereditaria, non è qualificabile come donazione soggetta a collazione il godimento a titolo gratuito di un immobile concesso durante la propria vita dal de cuius ad uno degli eredi, e ciò perché l’arricchimento procurato dalla donazione non può essere identificato con il vantaggio che il comodatario trae dall’uso personale e gratuito della cosa comodata (tale utilità costituisce il contenuto tipico del comodato stesso e non il risultato finale dell’atto posto in essere dalle parti, come avviene nel caso tipico della donazione).

Probabilmente è ad una tale ipotesi che ci si intende riferire quando nel quesito viene chiesto se alle pretese avanzate dal fratello sarebbe possibile opporre il vantaggio che lo stesso ha conseguito per aver abitato gratuitamente con la sua famiglia per tanti anni un immobile di proprietà del padre e adesso caduto in successione.
Tuttavia, vi è un dato di cui tener conto nella situazione in esame, desumibile dal testo del quesito, ossia la circostanza che nello stesso si dice che su quell’immobile il padre ha costituito un diritto di abitazione in favore del fratello.
Ora, sebbene nulla venga precisato al riguardo, si presume che la costituzione di tale diritto sia avvenuta a titolo gratuito, il che comporta che è del valore attribuibile a tale diritto che occorre tenere conto nel formare idealmente la massa attiva del patrimonio ereditario secondo il disposto di cui all’art. 556 c.c.

Per poter effettuare una valutazione corretta di tale diritto di abitazione (sempre, è bene precisare, se costituito a titolo gratuito), si può tener conto di quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 1845 del 29.07.1961, la quale, seppure con riferimento al caso delle donazioni aventi ad oggetto un usufrutto od una rendita, aderisce alla tesi secondo cui oggetto del conferimento non potrà che essere il valore che l’usufrutto o la rendita hanno al momento dell’apertura della successione, vale a dire il capitale che sarebbe necessario per acquistare, in base alla probabilità di sopravvivenza del donatario, un reddito pari a quello dell’usufrutto o della rendita.

Pertanto, dopo aver determinato, secondo quanto detto fin qui, il valore di ciò che in vita ciascuno dei figli ha ricevuto dal de cuius, sarà possibile formare la massa ereditaria e verificare se qualcuno di loro ha subito o meno una lesione della quota di riserva che per legge gli compete (cfr. art. 537 del c.c.).

Mauro N. chiede
mercoledì 07/11/2018 - Lombardia
“Mio padre è morto lasciando due figli (io e mia sorella) senza moglie perché premorta. Inoltre ha lasciato:
- casa: valore 130.000 euro,
- conto corrente CC: 50.000 euro
- polizza vita (investimento garantito - Carivita) con beneficiaria causa morte la Sig.ra Rosa estranea alla famiglia con
premi pagati per un importo di 20.000 euro.
Ha fatto un testamento nel quale diceva di voler assegnare la sola quota della disponibile nel seguente modo: 10.000 euro a un'altra estranea Sig.ra Celeste, 20.000 euro ad una mia cugina e la restante parte della disponibile alla suddetta Sig.Rosa.
L'esecutore testamentario ha creato la massa composta:
casa (130.000) + contanti (50.000) + premi polizza (20.000) = 200.000.
- ha diviso per tre creando 1/3 figlio, 1/3 figlia e 1/3 disponibile, ciascuna di 66.666 euro.
Poi ha detto che:
prima assegnava la disponibile: 10.000 a Sig.ra Celeste, 20.000 a mia cugina e restante 36.666 alla Sig.ra Rosa.
Poi verificato che in tasca ha solo 180.000 (casa, contante) toglie disponibile e rimangono 113.334 che divide a metà tra i due legittimari dando 56.667 a ciascuno invece dei 66.667 determinati prima.
  1. Non c'è violazione di legittima dato che 1/3 vale di più di quanto realmente ricevuto dai legittimari?
  2. In questo modo la Sig.ra Rosa si prende la polizza che include tutti i premi e inoltre non essendo stati imputati i premi alla sua quota si riprende ancor parte dei premi come eredità. Se i premi sono donazioni allora dovrebbero ridurre il valore della quota del beneficiario (Sig.Rosa) senza essere contati più volte?
Per me la disponibile sarebbe ancora 66.667, ma alla quota della Sig.ra Rosa va imputata la donazione dei premi, ossia 20.000 e riceverebbe (66.667 - 30.000 agli altri due - 20.000 premi) = 16.667.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 15/11/2018
Il codice civile contiene una norma ben specifica per la determinazione della porzione di eredità di cui il de cuius può disporre (c.d. disponibile), ed è l’art. 556 del c.c..
Tre sono le operazione previste da tale norma per calcolare la quota di eredità spettante ai legittimari, ossia:
  1. determinazione del relictum: consiste nella individuazione dei beni che si ritrovano nel patrimonio del defunto al momento della sua morte e nel calcolo del loro valore, riferito sempre al tempo dell'apertura della successione.

  1. detrazione dei debiti: si tratta di un’operazione meramente contabile e consiste nel detrarre dalla massa dei beni relitti tutti i debiti contratti dal defunto, nonché quelli sorti a causa della morte (ne costituiscono un esempio le spese funerarie e di sepoltura, le imposte di successione, le spese per la pubblicazione del testamento, ecc.).
La detrazione dei debiti si fa solo dal relictum e non anche dall donatum, il che comporta che se i debiti superano il relictum e non vi sono donazioni, non vi sarà neppure legittima, mentre se vi sono donazioni la legittima andrà calcolata solo sul valore delle donazioni.

  1. riunione fittizia delle donazioni: calcolato il valore netto dei beni relitti (ossia l’attivo di cui al n. 1 detratto il passivo di cui al n. 2), a questo andrà sommato il valore dei beni di cui il defunto ha disposto in vita con donazioni o con altri atti di liberalità, comprese le donazioni scaturenti da negozi indiretti o dissimulati (classico esempio può essere quello della vendita che simula una donazione).
Anche questa è un’operazione meramente fittizia (contabile), nel senso che non può influire sulla sorte dei beni donati, i quali resteranno sempre in capo al donatario finché non venga esperita l’azione di riduzione.

Eseguite queste tre operazioni, si sarà in grado di conoscere il valore del patrimonio ereditario su cui calcolare la quota riservata ai legittimari; non resta che considerare il numero e la qualità dei legittimari, applicare le norme che stabiliscono la misura delle quote di riserva (artt. 536 ss.), e finalmente calcolare la porzione indisponibile riservata a ciascuno di essi.
Indirettamente poi, o meglio per sottrazione, si determinerà la quota disponibile.

Adesso, per avere un quadro completo del caso in esame e giungere alla soluzione, occorre spostare l’attenzione su un altro gruppo di norme, ossia gli articoli 1919 e ss. c.c. dettati in tema di assicurazione sulla vita.

In particolare, la norma che più ci interessa è l’art. 1920 del c.c., dedicato proprio all’assicurazione a favore di terzo, dalla cui lettura si deduce che, nel caso delle polizze vita, l’atto di designazione del beneficiario è un atto unilaterale tra vivi a favore di un terzo e che il beneficiario acquista il diritto al pagamento dell’indennità iure proprio (per diritto proprio) in base alla promessa fatta dall’assicuratore di pagare il capitale al momento del verificarsi dell’evento assicurato (con la morte dell’assicurato si consolida un diritto già acquisito inter vivos, che non ha possibilità di entrare in quel relictum di cui si è prima parlato al passaggio n. 1).

Ma qui non è tanto l’indennità assicurativa che va presa in considerazione (la quale, dopo la morte del contraente, va pagata direttamente dall’assicuratore al terzo beneficiario senza entrare nel patrimonio del de cuius), quanto piuttosto i premi che il contraente-de cuius ha versato in forza di un contratto a favore di terzo (il contratto di assicurazione).
Tali premi, infatti, nell’ipotesi in cui la stipulazione assicurativa a favore di terzo venga fatta donandi causa (cioè senza ricevere alcun corrispettivo in cambio), costituiscono oggetto di una donazione indiretta, tant’è che parte della dottrina si è perfino posto il dubbio se la relativa stipulazione debba essere rivestita della forma prevista per la donazione.
In senso contrario, però, si è espressa la giurisprudenza, affermando che il negozio con cui un soggetto si obbliga, senza corrispettivo, a stipulare un contratto di assicurazione a favore di terzo e a pagarne i premi non richiede la forma solenne di cui all'art. 782 del c.c., anche quando realizzi una liberalità, sia pure indiretta, essendo quella forma prevista esclusivamente per le donazioni dirette (in tal senso Cass. n. 566/1955, Cass. n. 1214/1997, Cass. n. 642/2000, Cass. n. 4623/2001.

Completato l’esame teorico della vicenda, vediamo adesso come tali principi possono concretamente applicarsi alla fattispecie in esame.

Prima operazione da fare è quella di determinare il relictum (passaggio n. 1), il quale risulta così composto:
  1. casa: valore 130.000 euro
  2. conto corrente: 50.000 euro
Valore complessivo del relictum: euro 180.000
Seconda operazione: sottrazione dei debiti (passaggio n. 2)
Tale operazione non risulta necessaria in quanto non sembrano esservi debiti.

Terza operazione: riunione fittizia delle donazioni (passaggio n. 3).
Abbiamo visto prima che si tratta di una operazione meramente contabile e che vi si debbono ricomprendere anche le donazioni indirette e simulate.
In questo caso il de cuius ha effettuato donazioni indirette per 20.000 euro, corrispondenti ai premi pagati per l’assicurazione a favore della Sig.ra Rosa, per cui si avrà che al relictum di euro 180.000 va aggiunto il donatum di euro 20.000, per raggiungere un patrimonio complessivo su cui calcolare la disponibile pari a euro 200.000.

Adesso non resta che individuare il numero e la qualità dei legittimari, per stabilire quale sarà la misura della quota di riserva di cui il defunto non poteva disporre, e ciò in applicazione delle norme del codice civile dettate in materia di diritti riservati ai legittimari (artt. 536 e ss. c.c.).
Considerando che il defunto ha lasciato solo 2 figli, in quanto la moglie era premorta, si dovrà applicare il secondo comma dell’art. 537 del c.c., il quale dispone che se il genitore lascia più di un figlio, ad essi è riservata la quota di due terzi del patrimonio ereditario da dividersi in parti eguali tra loro.
Passando ad effettuare un semplice calcolo matematico, si avrà che, essendo stato stimato il patrimonio ereditario in misura pari ad euro 200.000, la quota di riserva (o indisponibile) sarà pari ad euro 133.333 mentre, per differenza, la quota disponibile sarà di euro 66.667.
Tale disponibile, sulla base della volontà testamentaria espressa dal de cuius, dovrà così essere ripartita:
  1. euro 10.000 vanno a Celeste
  2. euro 20.000 vanno alla cugina
  3. euro 36.667 restano a Rosa.

A questo punto ci si può trovare in una situazione di “confusione” in quanto, essendo tali cifre il frutto di una operazione fittizia e meramente contabile, di fatto Rosa si ritroverà ad avere soltanto euro 16.667, poiché i restanti 20.000 già erano usciti dal patrimonio del defunto.

Ogni dubbio, però, deve essere risolto in favore della soluzione a cui qui si è giunti sula base di questa semplice considerazione: costituisce opinione pacifica quella secondo cui l’art. 556 c.c., a cui è stato fatto riferimento, nonostante il tenore della sua rubrica (Determinazione della porzione disponibile), stabilisce le operazioni necessarie per determinare non già la disponibile, bensì la quota di legittima, che è una quota di eredità ragguagliata al valore di una porzione del patrimonio complessivo netto del de cuius.
Solo a seguito del calcolo della legittima si potrà ricavare indirettamente la quota disponibile.

Quindi, in questo caso, ciò che in ogni caso deve essere garantito (per non incorrere in una lesione di legittima), è che ai due figli legittimari vada una quota di eredità pari ad euro 133.333.
Se poi a Rosa resteranno solo euro 16.667 anziché i figurativi euro 36.667, ciò non potrà in alcun modo interferire sul calcolo della legittima, non potendo l’esecutore testamentario ritenersi legittimato a prelevare da tale quota il capitale realmente non presente nel patrimonio del de cuius (a parte la considerazione che, proprio nella fattispecie che ci riguarda, quei 20.000 euro mancanti sono andati a beneficio della stessa Rosa).

Un ultimo consiglio ci si sente di dover suggerire, anche se non richiesto: poiché potrebbero sorgere delle contestazioni sulle modalità di ripartizione del patrimonio ereditario, essendo la gran parte del suo valore costituito da un bene illiquido (l’immobile), sarebbe opportuno far rientrare detto immobile nel patrimonio dei due figli, prelevando dal conto corrente solo la somma di euro 3.333 a tacitazione della propria intera quota di riserva.
Sarà così più facile per i due germani, senza il concorso di estranei, giungere ad una eventuale decisione di liquidare quel bene attraverso una successiva vendita, limitando così il numero dei comproprietari che dovrebbero decidere e partecipare a tale vendita.

Roberto R. chiede
martedì 20/03/2018 - Toscana
“Sono 1 dei 2 fratelli in vita e uno deceduto che ha lasciato 2 figli-nostra madre è deceduta nell'ott.2014 lasciando testamento. I beni immobili lasciati a noi tutti , di valore circa 280 mila E. ( oltre a ca.5.000 E.sul c/c) risultano ripartiti in parti eque ed accettati da tutti.
Dall'esame dell'estratto conto bancario (c/c cointestato a mia madre e mio fratello in vita con firma disgiunta) (*) risultano emessi due assegni bancari a firma di mia madre di 20 mila E,ciascuno risalenti al 2012 a favore di ciascuno dei due figli di mio fratello deceduto. Nessun esonero da collazione è stato effettuato.
Si chiede cortesemente di sapere se detta somma rientra in collazione e che quindi io
possa pretenderne un terzo.
(oltre al suo conto personale mio fratello operava su detto conto ,nel tempo,con versamenti e prelievi)
Ringrazio con distinti saluti”
Consulenza legale i 26/03/2018
Da quanto detto nel quesito, risulta che al momento della morte della madre gli eredi siano stati due fratelli e le figlie di un terzo fratello premorto alla madre.

Stando così le cose, le figlie del fratello premorto sono divenute eredi della nonna per rappresentazione del loro padre, ossia in virtù di quell’istituto giuridico che il codice civile disciplina all’art. art. 467 del c.c..
Chiarito ciò, la prima cosa da fare è quella di determinare la quota di patrimonio di cui la testatrice poteva liberamente disporre, ed a tal fine occorre fare riferimento agli artt. 536 e 537 c.c.
L’art. 536 c.c. si preoccupa di stabilire quali sono i soggetti in favore dei quali la legge riserva una quota del patrimonio ereditario, individuandoli in FIGLI – CONIUGE – ASCENDENTI.
Dispone poi espressamente all’ultimo comma che, a favore dei discendenti dei figli, i quali vengono alla successione in luogo di questi, ossia per rappresentazione, la legge riserva gli stessi diritti che sono riservati ai figli (quindi, nel nostro caso, le due figlie hanno gli stessi diritti che spettavano al loro padre).

Per stabilire poi la quota che la legge vuole sia riservata ai figli, occorre leggere il successivo art. 537 c.c., il quale dispone che, se vi sono più figli, è loro riservata la quota di due terzi del patrimonio da dividersi in parti uguali.

Applicando tali principi al nostro caso e traducendoli in termini numerici, ovviamente in maniera alquanto approssimativa, avremo che:
il valore del patrimonio ereditario da dividere è pari a circa € 325.000,00 (ossia 280.000,00 (beni immobili) + 5000,00 (denaro in conto) + 40.000,00 (valore delle due donazioni).
I due terzi di tale valore complessivo risultano pari a circa € 217.000,00, mentre il restante terzo, pari a circa € 108.000,00, costituirebbe la quota di disponibile di cui il testatore poteva disporre.

Per determinare tale quota, infatti, si deve fare riferimento all’art. 556 c.c., in forza del quale occorre formare una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al momento della morte, riunendoli fittiziamente con i beni di cui sia stato disposto per donazione.
Poiché tale quota disponibile, sulla base dei calcoli sopra fatti, risulta pari a circa € 108.000,00, avremo che il valore delle donazioni effettuate in favore delle nipoti risulta ben al di sotto di essa, con la conseguenza che gli altri due eredi legittimari non potranno ritenersi lesi nella loro porzione di legittima e, dunque, non avranno alcun diritto a chiedere la riduzione delle stesse donazioni, a prescindere dal rilievo che il testatore abbia dispensato o meno le donatrici da collazione.

Non diverso comunque sarebbe stato l’effetto nell’ipotesi in cui le figlie non fossero subentrate per rappresentazione al terzo fratello deceduto, allorché quest’ultimo fosse venuto a mancare dopo la morte della madre.
In tal caso, infatti, avrebbe trovato applicazione l’art. 739 c.c., dettato proprio in materia di collazione, in forza del quale il coerede è tenuto a collazione solo per le donazioni a lui fatte, e non per quelle effettuate ai suoi discendenti (nel nostro caso le nipoti) o al coniuge.

Secondo una parte della dottrina tale norma si applica anche al caso in cui ricorra un'interposizione fittizia di persona, sempreché la simulazione non venga intesa quale strumento preordinato all'unico fine di sottrarre la donazione al conferimento, poiché in tal caso si dovrebbe in ciò ravvisare una dispensa implicita da collazione (così Carnevali, Collazione, in Digesto civ., II, Torino, 1988, 474).
Inoltre, secondo il Tribunale di Napoli (sentenza 3 ottobre 1986) è da ritenere perfino nullo, perché in contrasto con l’art. 739 c.c., l'obbligo di imputazione alla quota successoria del figlio di una donazione fatta dal nonno al nipote.

In conclusione, dunque, si ritiene che quelle donazioni fatte in favore delle nipoti, non possano costituire oggetto di collazione e di eventuale azione di riduzione, malgrado siano state fatte senza alcuna dispensa da collazione.

Infine, si ritiene opportuno fare un ultimo rilievo:
tutte le movimentazioni finanziarie prive di expressio causae (quali quelle effettuate con assegno bancario) possono essere astrattamente riconducibili, oltre che ad una causa donandi, anche ad una causa solvendi, credendi o di garanzia.
Ciò significa che, nell’ipotesi in cui, malgrado le considerazioni sopra svolte, si decidesse di agire in riduzione, la prima difficoltà che si porrebbe sarebbe quella di far emergere che quell’operazione economica, effettuata in forza di un titolo astratto, qual è l’assegno, abbia avuto una finalità donativa, seppure realizzata al di fuori di uno studio notarile e senza il rispetto di alcun onere formale.

Trattasi di un onere probatorio particolarmente gravoso, ma a cui non ci si può sottrarre, essendo indispensabile documentare, in un tempo successivo a quello in cui è avvenuta la dazione della somma di denaro, non soltanto la movimentazione finanziaria (ciò che risulta alquanto agevole), ma soprattutto la causa che ha giustificato la movimentazione stessa, e ciò nell’intento di ricostruire, in modo completo, le diverse attribuzioni liberali all’interno di una famiglia.


Mario chiede
lunedì 18/07/2016 - Lazio
“Mia moglie, con la quale eravamo in separazione di beni, è deceduta lasciando nel testamento olografo un'autovettura ad un nipote, figlio di una sorella. Detta auto fu pagata direttamente da me al rivenditore con un assegno del mio conto corrente personale. Anche l'assicurazione è stata sempre pagata da me con trattenuta mensile sul mio conto corrente. L'intestazione dell'auto a mia moglie fu motivata esclusivamente dall'opportunità di usufruire del parcheggio gratuito per residenti, avendo lei residenza diversa dalla mia, il che comportò anche un premio assicurativo più oneroso, non potendo usufruire della legge Bersani. A fronte della richiesta avanzata dal nipote di consegnargli la vettura, volendo oppormi, chiedo se io posso rivendicarne la proprietà effettiva o, in subordine, ottenere la restituzione della somma pagata. A tale proposito posso avvalermi, oltre alla documentazione bancaria di quanto da me affermato, anche della testimonianza di un'amica alla quale mia moglie disse che era sua intenzione restituirmi quanto da me pagato. Non ho documentazione scritta di tale impegno alla restituzione né della motivazione della intestazione fittizia.”
Consulenza legale i 28/07/2016
Attraverso il regime di separazione dei beni, i coniugi conservano la titolarità esclusiva dei beni acquistati in costanza di matrimonio (art. 215 del c.c.).

Il successivo art. 219 c.c. afferma che “il coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti dell’altro la proprietà esclusiva di un bene”. È pacifico che i beni a cui si riferisce l’articolo in commento sono beni mobili, per la cui proprietà sono ammessi diversi mezzi di prova (documentali, testimoniali). Infatti, per ciò che concerne tanto i beni immobili quanto i beni mobili registrati, la dimostrazione della proprietà esclusiva in capo ad uno dei coniugi è facilmente ricavabile dagli atti formali a corredo dell’acquisto della proprietà stessa.

Nel caso di specie, l’autovettura intestata alla moglie ma pagata dal marito è – per il solo fatto dell’intestazione formale – di proprietà esclusiva della moglie. Non è nemmeno possibile configurare tale acquisto come negozio fiduciario, posto che la Corte di Cassazione ha affermato che – per aversi negozio fiduciario – “frutto della combinazione di effetti reali in capo al fiduciario e di effetti obbligatori a vantaggio del fiduciante – occorre che il trasferimento vero e proprio in favore del fiduciario sia limitato dall'obbligo, inter partes, del ritrasferimento al fiduciante o al beneficiario da lui indicato, in ciò esplicandosi il contenuto del pactum fiduciae” (C. Cass., 3134/2012). Nel caso di specie manca qualsiasi accenno scritto ad un patto tra marito e moglie affinché la moglie si obbligasse a trasferire la proprietà dell’auto al marito.

Il problema fondamentale che qui si pone è quello della prova: in assenza di un principio di prova per iscritto (con la quale la moglie si impegnava a trasferire la proprietà dell’auto al marito, o quantomeno con cui si dichiarava l’intestazione solo formale dell’auto al fine di ottenere gli sgravi per il parcheggio) non si possono utilizzare documenti né testimoni per la prova del negozio fiduciario.

Per quanto concerne la questione del legato al nipote, l’art. 651 c.c. dispone che “il legato di cosa dell’onerato o di un terzo è nullo”. Stante però quanto sopra esposto, di fatto l’autovettura – che costituisce il legato testamentario in favore del nipote – risultava essere di piena proprietà della moglie defunta, la quale pertanto poteva liberamente disporne.

Purtroppo dal punto di vista prettamente normativo non sembrano esserci spiragli per ottenere un rimborso di quanto pagato o per sottrarsi all’adempimento del legato (che potrebbe dare luogo ad una azione di adempimento ai sensi dell’art. 648 c.c.).

Caterina M. chiede
sabato 23/01/2016 - Basilicata
“Mio padre che muore nel 1988 lascia un testamento olografo datato 1985.
Nel testamento menziona i nomi di 4 figli ai quali lascia beni immobili come di seguito descritto:1) " lascio a mio figlio G. immobile x come disponibile e il supero come legittima, allo stesso lascio immobile y come legittima e il supero come disponibile; 2) "lascio ai figli B., M. L. e G. immobili a, b e c come legittima e il supero come disponibile; "lascio a mia moglie due appartamenti siti al secondo piano via R. Mio padre continua a scrivere: la rimanente proprietà va divisa per i diritti che ad ognuno compete. Firmato......C......(mio padre aveva ancora altri 5 figli).
Il giudice nella divisione giudiziaria ha disposto la formazione delle 10 quote in parti uguali tra i 9 figli e per 1/3 alla moglie senza tenere per nulla conto, nel conteggio delle quote, i beni già descritti del testamento. Il giudice ha così motivato: "In proposito occorre evidenziare che, con tale testamento, il de cuius ha disposto di tutto il suo patrimonio. Ed invero, mentre per taluni beni il testatore ha nominativamente indicato i beneficiari nelle persone dei figli G., B., M. L. e G. e della moglie, per il residuo patrimonio (la "rimanente proprietà", di cui è fatta menzione nella scheda testamentaria) ha ugualmente indicato i beneficiari, sia pur solo indirettamente, ricorrendo all'espressione "per i diritti che ad ognuno compete". Per effetto della clausola testamentaria in esame, i beneficiari del residuo patrimonio ereditario vanno individuati sulla base delle norme della successione legittima, senza che tuttavia, la delazione venga a mutare natura (da testamentaria a legittima), poiché anche per il patrimonio residuo il titolo della delazione resta pur sempre il testamento (in argomento, Cass.civ.n.6697/2002).
Chiedo: è legale che il giudice abbia escluso dall'equa divisione i beni menzionati nel testamento e gli stessi destinatari vengano ancora arricchiti dall'attribuzione di 1/9 del restante patrimonio? I due appartamenti dati alla moglie senza che sia stato specificato in quota disponibile e legittima possono, invece, essere effettivamente esclusi dalla divisione?
Secondo le interpretazioni che il giudice fa del testamento posso ritenermi lesa nella mia quota di legittima?

Spero proprio che possiate darmi una risposta che sia vera e giusta per tutti i componenti familiari.”
Consulenza legale i 25/02/2016
Con il presente quesito viene richiesto se:
1. la divisione giudiziale possa pronunciarsi solamente con riferimento alla porzione di patrimonio di cui il de cuius non abbia disposto nel dettaglio con testamento e se, di conseguenza, sia ineccepibile l'assegnazione a ciascun figlio di una ulteriore quota del patrimonio di cui non si è disposto per testamento;
2. i beni assegnati alla moglie del de cuius per testamento, possano essere esclusi dalla divisione giudiziale;
3. si configuri una lesione della quota di legittima.
Una risposta esaustiva al presente quesito richiede un chiarimento preliminare. Occorre infatti distinguere tra l'azione di divisione ereditaria (proposta dai coeredi nel caso di specie) e l'azione di riduzione.
"L'azione di divisione ereditaria e quella di riduzione sono fra loro autonome e diverse, perché la prima presuppone la qualità di erede e tende all'attribuzione di una quota ereditaria, mentre la seconda implica la qualità di legittimario leso nella quota di riserva ed è finalizzata alla riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni lesive della legittima; ne consegue che la domanda di riduzione non è implicitamente inclusa in quella di divisione" (cfr. Cassazione civile, Sez. II, 10 novembre 2010, n. 22885).
In sostanza, la domanda di divisione si propone quando, costituitasi la comunione ereditaria in seguito alla apertura della successione legittima o testamentaria, gli eredi chiedono lo scioglimento e le conseguenti assegnazione delle porzioni o attribuzione dei beni.
Caratteristica della domanda di divisione è che, con questa, nessun erede deduce di aver subito una lesione della quota di riserva: il petitum, pertanto, consiste nel conseguimento della quota ereditaria, mentre la causa petendi è data dalla semplice qualità di erede legittimo o testamentario.
L'azione di riduzione, invece, si propone nel caso in cui le disposizioni testamentarie (o le donazioni) siano eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre e ha come scopo, anzitutto, la determinazione dell'ammontare concreto della quota di legittima: vale a dire, della quota di cui il defunto poteva disporre e di stabilire come ed in quale misura le singole disposizioni testamentarie o le donazioni debbano ridursi per integrare la legittima.
Essendo stabilito dalla legge il diritto del legittimario ad una determinata quota, con l'azione di riduzione egli mira a conseguire in concreto tale diritto e cioè ad accertare (costitutivamente), nei confronti della successione che lo riguarda, l'ammontare della quota di riserva e, quindi, della lesione che ad essa hanno apportato le disposizioni del de cuius, nonché le modalità e l'ammontare delle riduzioni di dette disposizioni lesive.
Contestualmente, l'attuazione della reintegrazione in concreto implica la proposizione delle istanze di restituzione.
Chiarita la differente natura delle due azioni si comprende come, nel caso di specie, da quanto esposto, sembra essere stata proposta solamente l'azione di divisione ereditaria, pertanto:
1. Il giudice si è pronunciato solamente con riferimento alla domanda proposta (di divisione dei beni in comunione) ripartendo le singole quote della comunione ereditaria in favore dei nove figli, titolari dei beni in comunione in virtù del testamento.
Infatti, il giudice, non avrebbe potuto pronunciarsi con riferimento a quella parte di patrimonio rispetto alla quale il de cuius aveva disposto l'assegnazione a determinati eredi, poiché tale patrimonio non è entrato in comunione ereditaria.
2. La medesima ratio è sottesa all'esclusione, dal computo dei beni entrati in comunione ereditaria, dei due immobili assegnati alla moglie. Tali immobili sono entrati nella disponibilità della moglie e non sono entrati a fare parte della comunione.
3. Al fine di determinare se in seguito all'apertura della successione vi sia stata lesione della quota di legittima, si richiama il dettato degli artt. 536 del c.c. e ss. e, in particolare, nel caso di successione tra coniuge in concorso con più figli - come si è verificato nel caso di specie - dell'art. 542, comma 2, del c.c.: "[II]. Quando i figli, sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio e al coniuge spetta un quarto del patrimonio del defunto. La divisione tra tutti i figli, è effettuata in parti uguali".
Chiarite le quote di patrimonio che dovrebbero spettare nel caso di specie al coniuge (1/4) ed ai figli (1/2 del patrimonio, da dividere in parti uguali per i 9 figli), al fine di calcolare l'asse ereditario occorre applicare il dettato di cui all'art. 556 del c.c., il quale prevede che: "per determinare l'ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli articoli 747 a 750, e sull'asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre".
Una volta calcolato il patrimonio di cui il de cuius poteva disporre, occorre calcolare le relative percentuali di 1/4 ed 1/2 corrispondenti alle quote di legittima della moglie e dei figli.
Laddove gli importi così ottenuti dovessero essere superiori rispetto a quelli attribuiti dal de cuius in sede in disposizione testamentaria, allora gli eredi legittimari lesi nella loro quota di legittima potrebbero proporre azione di riduzione, ai sensi degli artt. 553 e ss. del c.c.
Occorre subito precisare che "il diritto alla reintegrazione della quota di riserva, o legittima, non può ritenersi indisponibile, quindi, imprescrittibile, a norma dell'art. 2934 del c.c., in quanto il divieto dei patti successori, opera con riferimento alle successioni non ancora aperte; ne consegue che, dopo l'apertura della successione, i diritti del legittimario sono liberamente disponibili, e le relative azioni, tra cui l'azione di riduzione, sono soggette a prescrizione" (cfr. Cass. Civ. n. 5611/78); nello stesso senso Cass. Civ. n. 4230/87: "l'azione di riduzione, di natura personale, si prescrive nell'ordinario termine di dieci anni, decorrente dall'apertura della successione, senza che possa aver rilievo, a tal fine, l'individuazione del momento in cui il legittimario ha scoperto la lesione della propria quota di riserva" .
Pertanto, nel caso di specie, essendo trascorsi oltre 10 anni dall'apertura della successione, bisognerebbe eventualmente verificare se il coerede che fosse interessato a proporre azione di riduzione abbia posto in essere atti interruttivi della prescrizione decennale.
Infine, è altresì utile rilevare che: "in tema di successione necessaria, l'esecuzione volontaria delle disposizioni testamentarie lesive della legittima non preclude al legittimario l'azione di riduzione, salvo che egli non abbia manifestato in modo non equivoco la volontà di rinunciare a far valere la lesione (Cassazione Civile, Sez. II, 21 maggio 2012, n. 8001).

Luca chiede
domenica 23/08/2015 - Puglia
“Eredità - testamento olografo
Il testatore ha indicato: "lascio a mia moglie M e ai miei figli P e M la quota di legittima, a mia figlia C la quota di legittima e la quota disponibile.
Moglie e figlia rispettivamente M e P rinunciano alla eredità.
C accetta l'eredità ma con Beneficio di inventario.
Figlio M non ha ancora espresso alcuna volontà in merito.

Relictum pari a € 380.000 circa.
In vita il de cuius ha disposto trasferimenti di denaro con BB al coniuge di C ( causale indicata nella disposizione " bonifico a favore di N) per un importo pari a € 210.000 circa ed inoltre ha estinto debiti contratti dal coniuge di C per € 170.000 circa (causale nel BB - estinzione garanzia prestata dal de chiusa a favore del Sig. N rispetto a quanto a lui prestato dall'istituto Bancario) anche in questo caso con BB.
Per quanto sopra il denaro trasferito
a N non è' dato sapere come sia stato poi impiegato da parte di N o a chi eventualmente sia stato poi trasferito...
Non è' dato sapere inoltre se il conto corrente di N fosse cointestato con altri soggetti e quindi la moglie C.

Il de cuius ha inoltre disposto a C un girofondi-trasferimento in denaro con BB per pagamento Inail pari a € 15.000
Non è' dato sapere se esiste una dispensa da collazione in relazione a questo importo.

Inoltre il de cuius ha in vita ha trasferito un importo in denaro di € 50.000 ( € 25.000 per ciascun figlio) ai figli di C ed N.

Il de cuius ha inoltre trasferito al figlio M una somma di denaro tramite BB pari a € 100.000 ( causale indicato per il BB - girofondi), egli ha inoltre e successivamente trasferito con BB al figlio M € 30.000 in relazione alle spese del suo matrimonio ( causale indicato nel bb - girofondi) ed M li ha effettivamente spesi in questo ambito.

Ora, come possono essere "considerate" le somme di denaro ed i debiti estinti dal de cuius rispetto a quanto da egli disposto a favore di N oltre a quanto pagato dal de cuius in favore di C ed ai suoi figli, fin anche quanto disposto a favore d M.

A)rispetto alla eredità nel suo complesso ed alle indicazioni testamentarie.

B)a quanto disposto dal de cuius nel testamento e quindi alle quote di legittima di M ed alla quota di legittima e disponibile di C?

C) al quantum ereditario?

D)Quanto pagato dal de cuius a favore di C dovrebbe essere considerato in ambito di collazione?

E) Quanto dato a N ed il pagamento dei suoi debiti come dovrebbe essere considerato? Potrebbe rientrare in una ipotesi di donazione indiretta facente riferimento ad una operazione di simulazione fittizia per la quale C potrebbe essere considerata la reale beneficiaria?

F) Quanto trasferito in denaro
al figlio M è da ritenersi suscettibile a collazione? Anche per l' importo di € 30.000 relative alle spese per il matrimonio?

M in virtù di tutto quanto quanto sopra esposto e a quanto indicato dal testatore, ritiene che la sua quota di legittima sia stata lesa in relazione alle somme date in vita a C ed al di lei marito N ed ai suoi figli per un importo totale di circa € 450.000 rispetto alla somma del relictum pari a circa € 380.000 nonostante egli abbia ricevuto dal de cuius un totale di € 130.000

M non ha ancora espresso alcuna indicazione rispetto alla eredità, come dovrebbe comportarsi?
Se M accettasse con beneficio di inventario come per altro fatto da C (la quale avendo per prima accettato con beneficio ha l'obbligo di preoccuparsi della stesura dell'inventario e quindi ciò sarà oggettivamente un vantaggio per M) potrà poi agire rispetto alla convinzione da egli maturata rispetto alla lesione della sua quota di legittima?
Grazie”
Consulenza legale i 02/09/2015
Il quesito è articolato ma in realtà le norme a cui si deve guardare per risolvere il caso non sono molte.

Lart. 556 del c.c. sancisce che, per determinare l'ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre (la c.d. "disponibile"), si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendo i debiti. Vanno quindi riuniti "fittiziamente" i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli articoli 747 a 750, e sull'asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre.

Rileva, poi, l'istituto della collazione, il quale prevede che i figli, i loro discendenti e il coniuge che abbiano accettato l'eredità debbano restituire alla massa ereditaria tutti i beni che sono stati loro donati - direttamente o indirettamente - dal defunto quando questi era in vita, al fine che siano divisi tra tutti i coeredi: al contrario della riunione "fittizia" di cui all'art. 556, qui si deve operare una vera e propria restituzione dei beni alla massa, che verrà suddivisa tra gli eredi. Il de cuius può prevedere una dispensa dalla collazione, ma tale esonero produce effetti solo nei limiti della quota disponibile: in altre parole, la quota legittima resta intangibile anche in presenza di dispense dalla collazione di donazioni fatte a moglie o figli.

Importante nel caso in esame è anche l'art. 739 del c.c., laddove prevede che l'erede non è tenuto a conferire le donazioni fatte al suo coniuge, a meno che gli sia succeduto (quindi il coniuge sia morto) e lui ne abbia conseguito il vantaggio. Se le donazioni sono state fatte congiuntamente a coniugi di cui uno è figlio del donante, la sola porzione a questo donata è soggetta a collazione.

E' fondamentale ricordare, infine, che alcune liberalità sono escluse da collazione, in particolare, per quanto qui ci interessa, le spese ordinarie fatte per nozze (soggette a collazione solo per quanto eccedono notevolmente la misura ordinaria, tenuto conto delle condizioni economiche del defunto, v. art. 742 del c.c.) e le liberalità che si è soliti fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi (art. 770, comma 2, c.c.).

Fatte queste premesse, in ordine al caso proposto si può spiegare quanto segue.

Il calcolo delle quote legittime va effettuato secondo i criteri dell'art. 556. Il relictum è di 380.000 euro (si presume siano già stati sottratti i debiti) e ad esso va sommato il donatum (donazioni verso chiunque, anche quelle non soggette a collazione), che consta di:
- € 210.000 bonificati a C in favore di N: donazione diretta di denaro;
- € 170.000 bonificati verso il creditore di N: donazione indiretta mediante pagamento di un debito altrui;
- € 15.000 bonificati a C per estinguere i suoi debiti verso l'INAIL: appare come una donazione diretta di denaro alla figlia;
- € 50.000 dati ai nipoti, figli di C ed N: donazione diretta di denaro;
- € 100.000 bonificati al figlio M: donazione diretta di denaro;
- € 30.000 donati al figlio in occasione del matrimonio.
Si può indicativamente dire che la massa su cui calcolare la quota disponibile è pari ad € 955.000 (ovviamente andranno eseguiti tutti gli accertamenti del caso). Si ripete che questa è una riunione "fittizia". Il de cuius lascia moglie e tre figli: metà patrimonio va ai figli, diviso in parti uguali (955.000 diviso 2 e poi diviso 3 = 160.000 € circa), un quarto alla moglie (238.750 €) e un quarto è la quota in questo caso disponibile (quella che si può lasciare a chi si vuole, anche a terzi estranei).

La moglie e un figlio rinunciano all'eredità, quindi, la loro quota va, se il testatore non ha previsto sostituzioni:
* quanto alla moglie, ai figli della stessa per rappresentazione (artt. 467 e seguenti c.c.);
* quanto al figlio, ai suoi figli (se ne ha), sempre per rappresentazione. Se non ha figli, la sua quota va conferita a coloro che sarebbero eredi legittimi, cioè moglie e figli del de cuius (non ci sembra che possa verificarsi un accrescimento ai sensi dell'art. 674 del c.c., in quanto il testatore ha prestabilito delle quote per gli eredi).

Indipendentemente da questi passaggi successivi ed eventuali (bisogna vedere se chi ha diritto di rappresentazione accetterà, etc.), la quota legittima per il figlio M sembrerebbe essere pari ad € 160.000 (calcolo del tutto approssimativo). Se egli non riceverà almeno questa somma, avrà il diritto di agire in riduzione contro le donazioni effettuate in vita dal de cuius. Esse si riducono cominciando dall'ultima, la più recente, e risalendo via via alle anteriori (art. 559 del c.c.).

L'eredità, però, sarà divisa tra due figli del de cuius. Ed ecco allora che entra in gioco la collazione: quanto dovranno restituire alla massa M e C per poi effettuare la divisione materiale dell'eredità?

M sembra aver ricevuto una donazione diretta pari ad € 100.000 e, se non ha ricevuto dispensa, deve conferire tale denaro; quanto ai 30.000 € ricevuti per il matrimonio, si ritiene possa essere considerata una somma (quasi) "ordinaria" per il pagamento delle spese di nozze, quindi potrebbe escludersi dalla collazione.

C ha ricevuto sicuramente 15.000 € in donazione.
I soldi donati ai suoi figli (tot 50.000 €) vanno esclusi dalla collazione.
Quanto al denaro donato al coniuge N, si deve fare un'analisi più approfondita. Affinché possa considerarsi donazione indiretta a C la dazione di € 210.000, si dovrà provare la destinazione del denaro a favore della figlia del de cuius, mediante indagine circa l'utilizzo del denaro. Se, ad esempio, N acquistò una casa per viverci con C, si può applicare l'art. 739 e considerarla come donazione congiunta, quindi la figlia dovrà imputare a collazione parte del denaro.
Per quanto riguarda i 170.000 €, se si trattò di estinguere effettivamente i debiti di N, sembra difficile configurare un obbligo di collazione di C: si dovrà però indagare con accuratezza circa la natura dei debiti estinti e capire se C ha ricevuto dei vantaggi dalla donazione del denaro al marito, perché in tal caso si potrebbe configurare una donazione indiretta del padre anche a lei.
In generale, il concetto di donazione indiretta richiamato dall'art. 737 del c.c. è molto ampio, ricomprendendo una vasta casistica, che va dall'adempimento di debito altrui senza rivalsa sul debitore, alla rinunzia a diritti, etc.

Solo sciogliendo i dubbi relativi alla destinazione delle quote dei chiamati rinunciatari e alla natura delle donazioni al coniuge di C, N, si potrà verificare la massa effettiva da dividersi e valutare se la quota concretamente ricevuta da M sia almeno di € 160.000, che abbiamo ipotizzato essere la quota legittima a lui spettante.
E' in ogni caso consigliabile rivolgersi ad un professionista per la stima precisa del patrimonio ereditario e ad un legale per le indagini relative alle donazioni fatte al genero da parte del defunto.

Conclusivamente, va ricordato che l'azione a tutela del legittimario, la c.d. riduzione, può essere esperita anche dopo l'accettazione dell'eredità, anzi: per agire contro donatari e legatari che non siano a loro volta chiamati come coeredi, l'accettazione beneficiata è un obbligo per il legittimario leso (art. 564 del c.c.).
Nel nostro caso, M, potendo agire in riduzione contro soggetti diversi dai chiamati (es. il genero e i nipoti del de cuius, che hanno ricevuto donazioni dal testatore ma non sono chiamati nel testamento), dovrà prima accettare con beneficio d'inventario e poi potrà esperire l'azione contro di essi.

Anna R. chiede
martedì 23/10/2012 - Emilia-Romagna
“ex art 556 c.c., dal calcolo per determinare l'ammontare della quota disponibile risulta: valore relictum 100, valore debiti 150 (non vi sono donazioni)quindi risulta un'eredità passiva con un deficit ereditario di -50. Domanda: la quota disponibile risponde del pagamento pro quota (nel mio caso 1/3) del debito eccedente l'attivo o, in caso di debiti eccedenti l'attivo semplicemente questa quota non esiste ?grazie.”
Consulenza legale i 25/10/2012

La quota del legittimario, calcolata sul relictum, tolti i debiti e aggiunto il donatum, è costituita da una porzione composita dei beni del de cuius, sulla quale gravano, in proporzione, i debiti ereditari (venendo essi, appunto, detratti).
Allo stesso modo, la quota disponibile è parimenti gravata dai debiti, sempre in modo proporzionale.

Il legittimario non potrà ottenere alcunché nel caso in cui nell'eredità il passivo superi l'attivo (damnosa hereditas).
Se chiamato all'eredità per successione legittima o testamentaria, se non intende rinunciare, il legittimario potrà evitare la confusione tra il suo patrimonio e quello del de cuius accettando l'eredità con beneficio d'inventario (art. 484 del c.c.): così facendo risponderà dei debiti ereditari con i soli beni della stessa eredità (i creditori del defunto, nel caso di specie, non sarebbero interamente soddisfatti). Se pretermesso, il legittimario non avrà alcun interesse ad agire con azione di riduzione.

Colui cui è lasciata parzialmente o tutta la disponibile, dovrà allo stesso modo rispondere dei debiti ereditari e quindi, se i debiti superano le poste attive dell'eredità, potrà accettare con beneficio d'inventario o rinunciare ad essa.


Anonimo chiede
venerdì 11/10/2024
“Si tratta di aspetti relativi alla successione. Mio padre in vita, mia madre già morta nel 2020. Ho 1 sola sorella. Mio padre ha sia un patrimonio immobiliare (2 case) sia fondi di investimento, liquidità nel cc e assicurazione vita. Mia sorella ha già ricevuto per donazione con atto notarile del 2021 (che non ho mai letto) la cifra ipotetica di 100. Mio padre per fare le cose della stessa entità mi voleva fare la stessa donazione, ma io ho rifiutato per problemi di separazione con il mio ex dal quale dopo lunghe vicende giudizali, sentenze, ordinanze a suo carico (tra cui 2 penali) sono finalmente riuscita a rientrare in possesso della casa familiare per assegnazione fino ad autonomia economica di ns figlio, affido esclusivo e pagamento degli alimenti (da agosto 2022 considerando che il figlio è del 2009). Non mi addentro su questi aspetti. L'avvocato mi ha consigliato di farmi trasferire i beni in bonifici di piccolo taglio e quindi aprire un'assicurazione vita impignorabile e "non visibile" come patrimonio. Mio padre non ha voluto fare questi bonifici, nè venire ad un incontro con l'avvocato per la successione, nè tantomeno dalla mia consulente finanziaria (che gli avrebbe spigato la bontà del prodotto assicurativo). Il mio cc è in banca diversa da quella di mio padre. Lui si è voluto fidare del suo consulente finanziario con il quale ha fatto tutto senza farmi partecipare ad alcun incontro e ora mi ritrovo che il 100 che di legittima mi toccherebbe è stato trasferito in assicurazioni vita intestate a mio padre con beneficiaria la scrivente. Ho cercato in tutti i modi di far capire a mio padre che con le cose siffatte, se lui muore, per legittima, la banca quando muore è tenuta a dividere tutti i fondi e la liquidità al 50% tra me e mia sorella, e nulla vale il fatto che solo io sono la beneficiaria dell'assicurazione vita. Lo ha capito solo ieri sera, dopo 10 mesi dall'aver firmato l'atto assicurativo, perchè ha accettato di partecipare ad una consulenza gratuita con un legale del Comune che era consultabile sul tema successione.
Mio padre non vuole fare nessun testamento, nè atto olografo perchè non vuole scocciature, nè avere a che fare con avvocati e notai mangiasoldi, nè tantomeno perdere tempo con cose che non valgono perchè sono comunque impugnabili dopo che lui sarà morto e sono "cazzi" miei e di mia sorella. L'inventario e il valore dei beni poi cambiano negli anni, che lo faccio a fare?
Richiesta:
- come risolvere la questione?
- sperare che mio padre viva altri 5 anni e acquisire il beneficio dell'assicurazione per "chiuderla" senza penali?
- incontrarsi con mia sorella - con cui non c'è mai stato un bel rapporto - e reciprocamente farsi dare copia dell'atto notarile di donazione e io quello dell'assicurazione, metterli nel cassetto e prenderli in considerazione al momento del decesso di mio padre?
- Mi confermate che sentenza recente ha disposto che atti di donazione in vita non possono essere considerati nel quorum successorio? Se così è, la questione per quanto mi riguarda è ancora più penalizzante perchè quanto le è stato già donato non può essere conteggiato a favore della successione
- vi sono modi per tutelarsi?
Grazie. Attendo vostra risposta

Consulenza legale i 17/10/2024
Vi sono due aspetti della situazione familiare descritta che vanno necessariamente chiariti e di cui si deve tener conto al fine di risolvere le problematiche proposte.
Il primo aspetto concerne il contratto di assicurazione sulla vita stipulato dal padre, nel quale sembrerebbe essere stata indicata quale beneficiaria la figlia che nulla fino a questo momento ha ricevuto.
Non è corretto affermare che a “nulla vale il fatto che solo io sono la beneficiaria dell’assicurazione vita”.
Al contrario, costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, argomentando dal terzo comma dell’art. 1920 c.c., in forza del contratto di assicurazione sulla vita il soggetto indicato dal contraente quale beneficiario della polizza acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione di fonte esclusivamente contrattuale.
Infatti, con la designazione del beneficiario, il diritto di credito esce dal patrimonio del contraente per entrare a far parte di quello del beneficiario, che lo acquista, appunto, iure proprio.

Si tratta di un diritto di credito pieno, di cui il beneficiario può liberamente disporre e che, alla sua morte, si trasmette perfino ai suoi eredi.
Di converso, da quel momento non fa più parte del patrimonio del contraente, il quale, conseguentemente, non può più disporne; l’unica facoltà che rimane al contraente è quella di revocare la designazione, anche nel caso in cui il terzo abbia già dichiarato di volerne profittare.
Tale strumento negoziale, peraltro, presenta risvolti positivi anche sotto il profilo fiscale, in quanto le indennità ricevute dal beneficiario di una polizza assicurativa stipulata dal de cuius sono escluse dall’imposta sulle successioni, ex comma 1 lett. c) dell’art. 12 del T.U. successioni e donazioni, nella considerazione che le somme trasferite al beneficiario della polizza non derivano direttamente dal patrimonio del contraente (poi defunto), ma costituiscono erogazioni che il beneficiario riceve iure proprio dalla compagnia assicurativa sulla base del contratto di assicurazione.

Quanto sopra detto, pertanto, induce a dover dare conferma della correttezza della scelta effettuata dal padre, tenuto conto che, come desiderato dalla figlia, i benefici di tale contratto non si produrranno immediatamente, bensì soltanto alla morte dello stesso padre contraente.
Unico rischio per la figlia beneficiaria rimane quello derivante da una possibile revoca da parte del padre del beneficio in suo favore, revoca che potrebbe anche essere contenuta nella stessa scheda testamentaria.
In questo caso, però, la figlia non rischia di subire particolari conseguenze negative, in quanto, contrariamente sempre a quanto viene asserito nel quesito, non è vero che delle donazioni effettuate in vita dal de cuius non si può tenere conto in sede di successione ereditaria.

E’ proprio questo il secondo aspetto che si reputa necessario prendere in considerazione, onde chiarire meglio il sistema di calcolo delle donazioni in sede successoria.
Norma di riferimento in questo caso è l’art. 556 del c.c., dettato dal legislatore ai fini del calcolo della quota disponibile del patrimonio del de cuius e, per converso, della quota indisponibile, ovvero di quella parte della massa ereditaria che deve in ogni caso essere riservata in presenza di eventuali legittimari (sono tali le figlie, come risulta dall’art. 536 del c.c.).
Ebbene, secondo quanto disposto dal citato art. 556 c.c., per determinare la quota di patrimonio di cui il defunto poteva disporre, occorre formare una massa di tutti i beni che appartengono allo stesso al momento della morte (c.d. relictum), detrarre i debiti e riunirvi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, sia diretta che indiretta.
Inoltre, il donatario che sia anche coerede sarà tenuto alla collazione di quanto ricevuto in donazione, e ciò perché si presume che il defunto, nel fare in vita donazioni ai figli, ai loro discendenti o al coniuge, non abbia voluto alterare il trattamento che egli ha stabilito per testamento o che è disposto per legge in caso di successione ab intestato, ma abbia soltanto voluto attribuire ai donatari un anticipo sulla futura successione.

Nel caso in esame l’obbligo della collazione sussiste sia per la figlia beneficiaria della donazione diretta che per la seconda figlia beneficiaria del contratto di assicurazione sulla vita, quest’ultima nei limiti del capitale impiegato dal padre per la stipula di tale contratto.
Non si è a conoscenza di alcuna sentenza dalla quale poter desumere che gli atti di donazione non possono essere presi in considerazione nella formazione della massa ereditaria, anche perché ciò si porrebbe in contrasto con la precisa ed inequivoca volontà manifestata dallo stesso legislatore.


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