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Articolo 674 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Accrescimento tra coeredi

Dispositivo dell'art. 674 Codice Civile

Quando più eredi [675] sono stati istituiti con uno stesso testamento(1) nell'universalità dei beni [588 c.c.], senza determinazione di parti o in parti uguali, anche se determinate(2), qualora uno di essi non possa(3) [459, 462, 463 c.c.] o non voglia(4) [519 c.c.] accettare, la sua parte si accresce agli altri [642, 675 ss., 773 c. 2 c.c.].

Se più eredi sono stati istituiti in una stessa quota, l'accrescimento ha luogo a favore degli altri istituiti nella quota medesima(5) [588 c.c.].

L'accrescimento non ha luogo quando dal testamento risulta una diversa volontà del testatore(6) [523, 688 ss. c.c.].

È salvo in ogni caso il diritto di rappresentazione(7) [467 c.c.].

Note

(1) E' sufficiente che la chiamata sia contenuta nel medesimo testamento (c.d. "coniunctio verbis"), non è necessario che la disposizione testamentaria sia la medesima.
(2) Si parla in proposito di "coniunctio re".
Es. "nomino miei eredi Tizio e Caio" o "nomino miei eredi, ciascuno per 1/2, Tizio e Caio".
(3) Ossia in caso di:
- indegnità del chiamato (v. art. 463 del c.c.);
- premorienza, assenza (v. art. 48 del c.c.) o dichiarazione di morte presunta (v. art. 58 del c.c.);
- mancata nascita del nascituro (v. art. 462 del c.c.);
- incapacità del chiamato (v. art. 462 del c.c.);
- prescrizione del diritto di accettare l'eredità (v. art. 480 del c.c.);
- invalidità di una disposizione testamentaria che non pregiudica la validità delle altre, ecc.
(4) Quando il chiamato rinuncia all'eredità (v. art. 519 del c.c.).
(5) Ad esempio, se il testatore istituisce eredi Primo per 1/2 dell'eredità e Secondo e Terzo per l'altro 1/2, qualora Secondo non possa o non voglia accettare, la sua quota (1/4) si accresce solo a quella di Terzo (che riceverà complessivamente 1/2) e non anche a quella di Primo.
(6) Il testatore può aver escluso l'accrescimento indicando un altro erede per il caso in cui il primo non possa o non voglia accettare (c.d. sostituzione, v. art. 688 del c.c.) o non indicandolo. In tale ultimo caso la quota di eredità vacante sarà devoluta in base alle norme sulla successione legittima.
(7) In conclusione, qualora il chiamato non possa o non voglia accettare l'eredità, operano nell'ordine:
- la sostituzione, se è stato indicato dal testatore un sostituto (v. art. 688 del c.c.);
- la rappresentazione, se sussistono i presupposti (v. art. 467 del c.c.);
- l'accrescimento;
- la successione legittima.

Ratio Legis

Secondo alcuni il fondamento della norma dovrebbe rinvenirsi nella presunta volontà del testatore: le caratteristiche della chiamata suggerirebbero, infatti, l'intenzione di destinare la quota vacante ai chiamati congiunti.
Secondo altri invece la ratio dell'istituto andrebbe individuata nella solidarietà della vocazione: tutti i coeredi sarebbero chiamati per l'intero e i rispettivi diritti troverebbero limitazione nel concorso degli altri coeredi; venuto meno tale concorso i diritti degli altri chiamati si espanderebbero.

Brocardi

Coniunctio re
Coniunctio verbis
Ius adcrescendi

Spiegazione dell'art. 674 Codice Civile

Il diritto di accrescimento, disciplinato agli artt. da 674 a 678, ha avuto in ogni tempo avversari e detrattori, oltre ai sostenitori, ma questi ultimi sono stati di più.
L’istituto ha una sua importante funzione economica, in quanto costituisce una remora allo sviamento e al frazionamento della proprietà.
Rispetto al precedente codice del 1865, rimase in vita la differenza, che già risultava dagli articoli #880# e #884# di quel codice, circa i presupposti rispettivi dell’accrescimento tra coeredi o collegatari: nel primo caso si riteneva e si ritiene necessaria la conjunctio re et verbis; nel secondo si riteneva e si ritiene sufficiente la conjunctio re tantum. Tale differenza non poté mai essere convenientemente giustificata, tanto che si ritenne, giustamente, che la ragione della differenza non fosse né logica, né giuridica, ma soltanto storica.
Tuttavia si deve rilevare che, nell’attuale legislazione, il requisito formale della conjunctio verbis è stato attenuato poiché, a differenza dell’art. #880# codice 1865, l’art. 674 richiede la chiamata col medesimo testamento, senza richiedere altresì l’unità della disposizione.
L’unica differenza dunque - e perciò anche meno giustificabile - consiste nel fatto che, supposta la conjunctio re, l’accrescimento tra coeredi può aver luogo soltanto in base alle disposizioni contenute nello stesso testamento, mentre l’accrescimento tra collegatari può aver luogo anche quando le disposizioni re conjunctae siano contenute in diversi testamenti.

È opportuna la disposizione contenuta nel comma 2, concernente l’accrescimento che si riferisce agli eredi istituiti in una medesima quota, sotto le condizioni di cui al primo comma dello stesso articolo.
Per quanto riguarda l’accrescimento tra collegatari, è da rilevare che non tutte le disposizioni dettate per l’accrescimento tra coeredi possono ritenersi senz’altro applicabili, soprattutto per il fatto che la posizione degli eredi presenta delle peculiarità che non consentono sempre un trattamento eguale a quella, diversa, dei legatari. Così, ad esempio, il comma 2 dell’art. 674 non potrebbe mai riguardare i collegatari. Appunto perché non teneva conto di tale esigenza fondamentale, l’art. #884# del codice del 1865, che, a proposito dell’accrescimento tra collegatari, richiamava senz’altro gli articoli #880# e #881# riguardanti l’accrescimento tra coeredi, dava luogo a qualche difficoltà di interpretazione.
L’art. 675, invece, mantenendo in giusti limiti un’autonomia formale, evita tali difficoltà, senza escludere per altro l’applicabilità dei princìpi di carattere generale di cui alle disposizioni dettate per l’accrescimento tra coeredi, anche all’ipotesi di accrescimento tra collegatari.
Un’altra incongruenza riguarda il sistema delle presunzioni legali basate sulla forma della chiamata, che da prima si era inteso abbandonare, posto che il diritto di accrescimento ha in definitiva la sua vera base nella volontà del testatore, ma poi fu ripreso, sia pure in forma più attenuata. Dal combinato disposto degli articoli #880# e #881# del codice del 1865 si deduceva che il diritto di accrescimento era escluso quando il testatore avesse fatto distribuzione di parti fra i coeredi, cioè quando avesse espressamente indicato la quota di ciascuno; non era escluso, invece, quando avesse adoperato l’espressione: per eguali parti o in eguali porzioni.
L’attenuazione realizzata con l’art. 674 è duplice: innanzitutto, si toglie ogni valore al requisito formale dell’espressa indicazione delle quote, facendosi riferimento unicamente alla determinazione di parti, comunque sia attuata nel testamento, senza l’uso di formule o di espressioni o di indicazioni particolari; in secondo luogo, ai sensi della disposizione contenuta nel terzo comma dell’art. 674 (disposizione che ha una portata generale), tutte le presunzioni stabilite, e quindi anche quella relativa alla determinazione delle parti, sono presunzioni iuris tantum, perché può darsi luogo alla prova di una diversa volontà del testatore. Tuttavia, è da rilevare che il requisito del quale si parla non perde il suo valore formale, perché la prova contraria alla presunzione può avere come obiettivo soltanto l’esclusione dell’accrescimento, non già l’ammissione di esso anche nel caso in cui ci fosse determinazione di parti.
Un’innovazione sostanziale, che riduce sensibilmente la sfera di efficacia pratica dell’accrescimento, è consacrata nell’ultimo comma dell’art. 674, che assicura sull’accrescimento la prevalenza al diritto di rappresentazione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 674 Codice Civile

Cass. civ. n. 29146/2022

La formale revoca della rinuncia sopraggiunta in pendenza del termine per l'accettazione dell'eredità fissato, ai sensi dell'art. 481 c.c., all'erede in rappresentazione, senza che questi abbia accettato, impedisce che possa aver luogo l'accrescimento a favore dei chiamati congiuntamente con il rinunziante; una volta concesso il termine, infatti, l'accrescimento può realizzarsi solo dopo lo spirare di esso e sempre che, nel frattempo, non sia intervenuta la revoca della rinunzia da parte del rinunziante o l'accettazione da parte del chiamato per rappresentazione.

Cass. civ. n. 6747/2018

La legittimazione a chiedere la pronuncia di indegnità spetta a coloro che sono potenzialmente idonei a subentrare all'indegno nella delazione ereditaria e, quindi, anche al coerede che potrebbe beneficiare dell'accrescimento della propria quota qualora i successibili per diritto di rappresentazione in luogo del suddetto indegno non possano o non vogliano accettare l'eredità.

Cass. civ. n. 8021/2012

I fatti costitutivi del diritto di accrescimento - rinunzia di un erede, con acquisto "ipso iure" della sua quota da parte dei coeredi - prescindono dall'esistenza di un altrui diritto di rappresentazione, che, ai sensi dell'art. 522 c.c. ("salvo il diritto di rappresentazione"), si configura quale mero fatto impeditivo, rilevante in forma di eccezione; tale eccezione non è rilevabile d'ufficio dal giudice, ma rientra nella disponibilità della parte, in quanto il sistema successorio dispiega in ogni caso i propri effetti, consolidando l'intero compendio ereditario o in capo ai beneficiari dell'accrescimento o in capo a chi succede per rappresentazione.

Cass. civ. n. 604/1976

I requisiti, ai quali il codice civile vigente e quello abrogato subordinano l'accrescimento sia fra coeredi che fra collegatari, costituiscono presupposti legali necessari, in mancanza dei quali il diritto all'accrescimento non sorge anche nel caso in cui il testatore lo abbia espressamente disposto. In mancanza dei detti requisiti, ricorrono altri istituti giuridici e divengono operanti i divieti ed i limiti imposti o le specifiche regole dettate per tali istituti. In particolare, nel caso di chiamata di più collegatari nello stesso usufrutto ma in parti diseguali, l'espressa disposizione del testatore, secondo cui uno dei legatari venga a mancare dopo l'acquisto del godimento, integra gli estremi dell'usufrutto successivo esplicitamente vietato sia dall'art. 901 c.c. abrogato, sia dall'art. 698 c.c. vigente.

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Consulenze legali
relative all'articolo 674 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. G. chiede
giovedì 15/08/2024
“Nel testamento olografo la de cuius lascia la metà della proprietà di un appartamento alla di lei sorella Maria e l'altra metà a Silvana e la metà dei denari alla sorella Maria e l'altra metà a Gianni. La sorella Maria rinuncia all'eredità.
Non esistono altri fratelli/sorelle della de cuius.
Ha luogo l'accrescimento nei confronti di Silvana (appartamento) e di Gianni (denari) ?”
Consulenza legale i 20/08/2024
Il caso in esame prende origine da una successione regolata per testamento, il che rende necessario cercare di dare preliminarmente una corretta interpretazione alla dichiarazione del testatore, la quale, non di rado, si presenta ambigua e fa sorgere il dubbio se il testatore abbia voluto disporre un’attribuzione a titolo di vera e propria istituzione di erede ovvero un lascito di uno o più beni determinati (a titolo, dunque, di legato).

Ora, mentre l’interprete ha un facile compito nel caso in cui al chiamato siano attribuiti tutti i beni del testatore ovvero una quota del complessivo patrimonio ereditario (intesa come frazione dell’intero), dei dubbi cominciano a sorgere quando la disposizione contenga, come in questo caso, l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni, ipotesi che non deve far escludere a priori che la successione sia a titolo universale allorchè risulti che il testatore abbia inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio.

Si configura in tale ipotesi quella che tecnicamente viene definita “istitutio ex re certa”, la quale ricorre tutte le volte in cui la volontà di istituire l’erede è espressa mediante l’attribuzione di beni individuati (res certae, appunto), considerati però come quota del patrimonio.
Ciò che caratterizza essenzialmente tale forma di istituzione ereditaria è la circostanza che la determinazione della quota ereditaria da riconoscere al chiamato avverrà anziché a priori (ossia sulla base della indicazione di una frazione aritmetica esplicitata dallo stesso testatore), a posteriori, ovvero calcolando il rapporto tra il valore dei beni specificamente assegnati ed il totale del patrimonio di cui il testatore ha disposto.

Diversa da quella che è stata sopra definita istitutio ex re certa, invece, è la c.d. “divisione fatta dal testatore”, la quale si configura allorchè il testatore esegua direttamente nel testamento la divisione tra i suoi eredi, attraverso la formazione delle porzioni e l’individuazione dei beni che fanno parte di ciascuna, comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile ed in tal modo impedendo il costituirsi della comunione ereditaria.
Il problema che in questo caso può sorgere per l’interprete è quello di riuscire a stabilire se una siffatta assegnazione di beni dia luogo ad un fascio di legati ovvero a disposizioni a titolo universale ed il principio a cui ci si deve ispirare, argomentando dal secondo comma dell’art. 588 del c.c., è quello secondo cui l’indicazione di beni determinati non esclude il carattere universale della disposizione se risulta che il testatore ha inteso assegnare i beni non già come res individuate, bensì come quota del patrimonio.

Ebbene, fatte queste premesse, si ritiene a questo punto di disporre degli strumenti necessari per affrontare la soluzione del caso in oggetto, ritenendosi di poter affermare che la volontà del testatore sia stata quella di istituire eredi i germani e di dividere tra loro per quote eguali i beni specificatamente indicati nella scheda testamentaria.
Trattandosi di istituzione di erede, pertanto, vanno applicate tutte le norme che il legislatore detta per il caso di rinunzia alla chiamata ereditaria, norme che sono volte sostanzialmente a far sì che la trasmissione dei beni del de cuius avvenga secondo quella sarebbe potuta essere la sua presumibile volontà.
Gli istituti giuridici a tal fine previsti dal codice civile sono, nell’ordine, quelli della trasmissione del diritto di accettare, sostituzione, rappresentazione e accrescimento.
Nel caso in esame deve sin da subito escludersi che possano trovare applicazione la trasmissione del diritto di accettare (in quanto presuppone che il chiamato non abbia espresso, dopo l’apertura della successione, alcuna manifestazione di volontà) e la sostituzione (non risultando, almeno sulla base di ciò che viene riferito nel quesito, alcuna manifestazione di volontà in tal senso da parte del testatore).

La rappresentazione postula che il rappresentato rientri nella categoria dei soggetti previsti dall’art. 468 del c.c. (ovvero nella linea retta i figli ed in quella collaterale i fratelli e le sorelle del de cuius) e che lo stesso non abbia potuto (per premorienza) o voluto (per rinunzia) accettare l’eredità o il legato.
Pertanto, se la rinunziante Maria, sorella della de cuius, dovesse avere discendenti, saranno costoro a subentrarle nella chiamata ereditaria per rappresentazione.

In mancanza di discendenti, invece, non potendo operare la rappresentazione, potrà, infine, trovare applicazione l’istituto giuridico dell’accrescimento, il quale richiede la ricorrenza di taluni presupposti positivi e negativi, e precisamente:
  1. l’impossibilità dell’operare della rappresentazione e della sostituzione (presupposti negativi);
  2. una chiamata congiuntiva (requisito positivo), la quale ricorre, in caso di istituzione di erede, allorchè gli eredi siano stati chiamati con uno stesso testamento (coniunctio verbis) e il testatore non abbia fatto determinazione di parti, ovvero, pur determinando le parti, abbia chiamato i coeredi in parti uguali (coniunctio re).

Il fondamento dell’accrescimento, infatti, sta nella presunta volontà del de cuius, in quanto si presume che se quest’ultimo ha chiamato più soggetti in quote identiche e per lo stesso bene, è perché intendeva beneficiare in modo eguale le persone considerate; di conseguenza, se la parte di ciascun chiamato viene ad essere limitata dalla presenza degli altri, è normale ritenere che la rinunzia di uno di essi non possa che accrescere quella di coloro che avrebbero concorso con il rinunziante.

Così, ritornando al caso in esame, in assenza dei presupposti per la rappresentazione, la rinunzia di Maria determina l’operare dell’accrescimento in favore di Silvana per la proprietà dell’appartamento ed in favore di Gianni per le somme di denaro, e ciò in conformità a quanto disposto dal secondo comma dell’art. 674 c.c.


F. R. chiede
venerdì 16/12/2022 - Puglia
“Ho un caso di successione testamentaria in cui la de cuius (deceduta il 31.01.2022, vedova e senza figli) proprietaria di 50/60 di un'abitazione dispone con un testamento pubblico del 06.03.2014 (valido) che una quota di eredita' pari a 10/60 dell'abitazione venga assegnata a quattro suoi cognati (fratelli del marito premorto) precisandone la quota pari a 2/60 ognuno ed 1/60 a testa a due nipoti (figlie di cognato premorto) e gli altri 40/60 alle otto sorelle viventi in parti uguali.
nel frattempo (tra il 2014 ed il 2022) due cognati ed una delle due nipoti figlia del cognato, sono deceduti.
Nel dettaglio:
- un cognato premorto era sposato ma senza figli e lascia solo il coniuge;
- l'altro cognato premorto ha discendente solo un figlio;
- la nipote (figlia del cognato premorto) ha come erede solo la sorella, gia' individuata dalla de cuius come erede per la quota di 1/6.
La mia domanda:
in questi casi, visto che la de cuius ha disposto per testamento quote ben definite di proprieta' e che non ha disposto nel testamento eventuali sostituzioni, opera l'istituto della rappresentazione?
se si, opera nei confronti:
- del coniuge superstite del premorto cognato,
- del figlio vivente dell'altro premorto cognato,
- della sorella vivente della premorta figlia del cognato.
se non opera, a chi si devolve per eventuale accrescimento la quota disposta per testamento ai soggetti premorti?
agli altri cognati viventi o alle sorelle della de cuius?
grazie”
Consulenza legale i 27/12/2022
Prima di illustrare le ragioni che conducono alla soluzione che verrà prospettata, si ritiene possa essere utile elaborare uno schema che, anche graficamente, possa risultare di ausilio nel comprendere la risposta.
Nel testamento della de cuius vanno distinte le seguenti disposizioni:

1.DISPOSIZIONE IN FAVORE DEI COGNATI
Cognato 1: 2/60
Cognato 2: 2/60
Cognato 3: 2/60
Cognato 4: 2/60

2.DISPOSIZIONE IN FAVORE DELLE NIPOTI
Nipote 1: 1/60
Nipote 2: 1/60

3.DISPOSIZIONI IN FAVORE DELLE SORELLE
Otto sorelle: 40/60 in parti uguali, quindi 5/60 ciascuno

Prima della morte della de cuius, muoiono Cognato 1, Cognato 2 e Nipote 1

In casi come quello descritto nel quesito, ed in assenza di sostituzione, va innanzitutto esclusa l’operatività degli istituti giuridici della trasmissione del diritto di accettare e della rappresentazione.
Non si ha trasmissione per il fatto che questa presuppone il verificarsi della morte del trasmittente dopo la morte del soggetto della cui eredità si tratta, in quanto solo in tal caso il diritto di accettare l’eredità dell’originario de cuius può considerarsi entrato nel patrimonio del trasmittente ed essere a sua volta suscettibile di trasmissione, al parti di qualunque altro elemento patrimoniale.

Non può aversi rappresentazione in quanto questa si fonda su presupposti soggettivi ben precisi, come desumibili dall’art. 468 del c.c., il quale dispone che nella linea retta possono essere rappresentati soltanto i figli, anche adottivi, del de cuius, mentre nella linea collaterale i fratelli e le sorelle del defunto.
Nel caso di specie la de cuius non lascia alcuno di tali soggetti e la premorienza riguarda i cognati (legati alla de cuius da un rapporto di affinità) e la nipote (anche lei legata alla de cuius da un rapporto di affinità, perché figlia di fratello e/o sorella del proprio coniuge).

Non resta, a questo punto, che verificare se possono dirsi sussistenti o meno i presupposti per l’operatività del diritto di accrescimento, quale disciplinato dagli artt. 674 e ss. c.c.
Come è noto, si tratta di quel particolare fenomeno giuridico per effetto del quale la quota vacante viene ad essere inclusa in quella degli altri chiamati ed il cui fondamento viene individuato nella presunta volontà del testatore, il quale, se avesse previsto la mancata successione di uno dei chiamati, avrebbe voluto che la quota degli altri venisse accresciuta.
Dall’analisi dell’art. 674 c.c. si ricava che presupposti dell’accrescimento sono:
a) la coniunctio verbis, ovvero il requisito formale che più soggetti siano chiamati con il medesimo testamento, non potendo di contro operare allorchè vi siano testamenti separati, anche se le disposizioni ivi contenute dovessero risultare compatibili.
b) ulteriore presupposto è quello della unitarietà dell’oggetto e che l’istituzione sia senza determinazione di parti o in parti uguali.
Se così non fosse verrebbe a cadere la stessa ratio dell’istituto, fondata sulla presunta volontà del testatore che, proprio nell’aver previsto la chiamata congiuntiva, dimostra di aver voluto che l’intero venisse diviso tra i chiamati o tra coloro di essi che fossero venuti all’eredità.
c) infine, occorre ovviamente che si verifichi la vacanza della quota, ossia che uno dei coeredi non possa o non voglia venire all’eredità.

Ciò posto, nel caso in esame, come risulta dallo schema riprodotto all’inizio di questa consulenza, devono distinguersi tre diverse chiamate congiuntive, ovvero quella in favore dei cognati (per 2/60) ciascuno, quella in favore delle nipoti (per 1/60 ciascuno) e quella in favore delle sorelle (per i restanti 40/60 in parti uguali).
La premorienza di uno di essi configura indubbiamente il presupposto indicato sopra, sub lettera c), della vacanza della quota, ma il concetto di quota va riferito a quella degli altri soggetti che sono stati chiamati nella medesima proporzione, ovvero:
- la morte di Cognato 1 e Cognato 2 accresce la quota di Cognato 3 e Cognato 4;
- la morte di Nipote 1 accresce la quota di Nipote 2.

Da ciò se ne deve far conseguire che Cognato 3 e Cognato 4 concorreranno all’eredità della de cuius in ragione di 4/60 ciascuno, mentre Nipote 2 vi concorrerà in ragione di 2/60 complessivi
Del resto, tale soluzione si ritiene risulti rispettare in pieno ciò che la de cuius avrebbe voluto, ovvero fare in modo che ai suoi cognati diretti venisse devoluta una quota della sua abitazione pari a 8/60, alle sue nipoti una quota complessiva pari a 2/60 ed alle sue sorelle la rimanente quota complessiva pari a 40/60.

Sara T. chiede
giovedì 26/09/2019 - Campania
“A (de cuius)
muore nubile e senza figli , lasciando come eredi testamentari :
senza esprimersi sulla sostituzione :
B (sorella) C (fratello)
premorta nubile e senza figli
gli eredi più prossimi di B sono i germani:
C Fratello vivente (già erede testamentario)
D Sorella vivente
E Fratello premorto (del quale sono in vita i figli F + G)
Alla luce di ciò
La quota di B in testamento :
1) Si riunisce a C, che a questo punto diventa erede unico di A
2) B, premorta nubile e senza figli, ha come eredi i suoi fratelli
pertanto la quota da ereditare viene per rappresentazione attribuita ai
fratelli in vita e pertanto in parti uguali tra C e D (sorella vivente esclusa dal testamento)
Nel caso specifico :
C erediterebbe i 750/1000 della quota di A
D erediterebbe 250/1000 della quota di A.
3) B, premorta nubile e senza figli ha come eredi i suoi fratelli
pertanto la quota da ereditare viene per rappresentazione attribuita ai
fratelli in vita ed agli eredi del fratello premorto,
e pertanto 1/3 della quota di ½ tra C + D (sorella vivente esclusa dal testamento) +
E (premorto e rappresentato dai figli F + G)
Nel caso specifico :
C erediterebbe i 667/1000 della quota di A
D erediterebbe 167/1000 della quota di A
F erediterebbe 83/1000 della quota di A
G erediterebbe 83/1000 della quota di A”
Consulenza legale i 02/10/2019
Si cercherà di seguire passo passo i diversi momenti successori per giungere alla corretta individuazione degli eredi e delle loro quote.
Il primo evento da prendere in considerazione è la morte di A, la quale muore nubile e senza figli, ma con disposizione testamentaria aveva voluto che suoi eredi fossero la sorella B ed il fratello C.
La volontà di A può trovare piena attuazione, in quanto non si pone alcun problema di riserva in favore di soggetti legittimari, essendo tali, per espressa disposizione dell’art. 536 del c.c. il coniuge, i figli e gli ascendenti (non vi è alcuno di tali soggetti).

Tuttavia, la sorella B risulta già morta al momento del decesso di A, e non possono trovare applicazione:
  1. l’istituto della trasmissione del diritto di accettazione di cui all’art. 479 del c.c. in quanto B non ha potuto assumere la posizione di chiamata all’eredità;
  2. la sostituzione, poiché A non ha manifestato alcuna volontà in tal senso, non avendo provveduto per il caso in cui l’istituito non possa o non voglia accettare l’eredità;
  3. la rappresentazione, di cui agli artt. 467 e ss c.c.
Quest’ultimo istituto giuridico, infatti, fa subentrare all’infinito (art. 469 del c.c.) i discendenti legittimi o naturali (c.d. rappresentanti) nel luogo e nel grado del loro ascendente (c.d. rappresentato) che non può o non vuole accettare (art. 467 del c.c. comma 1°), a condizione che questi sia figlio legittimo, legittimato, adottivo o naturale del defunto, ovvero suo fratello o sorella.
Come si vede, dunque, possono assumere la posizione di rappresentanti soltanto i discendenti legittimi o naturali del rappresentato (la sorella premorta B).
Poiché in questo caso B non ha figli, ma soltanto fratelli e sorelle, troverà applicazione l’istituto giuridico dell’accrescimento, disciplinato dagli artt. 674 e ss c.c.
Dispongono gli ultimi due commi dell’art. 674 c.c., infatti, che l’accrescimento non può aver luogo soltanto quando dal testamento risulti una diversa volontà del testatore (c.d. sostituzione) e quando non possa trovare applicazione l’istituto della rappresentazione.

Pertanto, alla morte di A la sua eredità andrà tutta devoluta in favore di C, e precisamente in ragione di ½ per successione testamentaria ed in ragione dell’altro ½ per accrescimento.

Eredi di B, nubile e senza figli, saranno:
  1. C, fratello vivente
  2. D, sorella vivente
  3. F e G, figli rappresentanti del fratello premorto E (rappresentato).
Nel patrimonio ereditario di B, ovviamente, non si rinviene la quota che le sarebbe dovuta pervenire alla morte di A.

La sua eredità verrà divisa secondo le seguenti quote:
4/12 (ossia 1/3) a C;
4/12 (un altro terzo) a D;
2/12 ciascuno a F e G (ovvero il restante terzo diviso in due quote eguali).


I. A. chiede
sabato 01/09/2018 - Estero
“Buongiorno , mi trovo davanti ad un problema di successione ,cerco di spiegare in miglior modo il problema: Una zia è deceduta , la zia in questione non ha figli ne marito. Questa zia aveva tre fratelli , anche loro deceduti precedentemente. Quindi risultano tre Stirpi , quella di mio Padre (deceduto) un altro zio con due figli e un altro zio con un figlio solo. Fin qui tutto bene , sarebbero cinque eredi che avrebbero rispettivamente diritto 1/6 + 1/6 la prima Stirpe ( io e mio Fratello ) poi ancora 1/6 + 1/6 per la seconda Stirpe ( Due cugini figli di stesso padre , quindi mio zio ) e per ultimo 1/3 per la terza Stirpe (cugino figlio unico ) E fin qui tutto bene . A questo punto uno dei due cugini fratelli (seconda stirpe) rinuncia alla sua eredità non indicando un beneficiario ( il cugino è senza figli ) Quindi il commercialista esegue la Successione nel seguente modo : 1/6 +1/6 alla prima Stirpe (io con mio fratello) 1/3 alla seconda Stirpe ( dove un cugino ha rinunciato la sua parte è andata al cugino rimanente ) e 1/3 alla terza Stirpe (cugino figlio unico) .
Presentato il tutto alla Banca per dividere i contanti , la banca si rifiuta di accettare la successione perché a loro parere è sbagliata. Motivazione : La parte del rinunciante doveva essere divisa tra tutti gli eredi restanti e non assegnata al fratello del rinunciante. Sarei grato per un po di chiarezza
Distinti Saluti”
Consulenza legale i 05/09/2018
La prima norma da prendere in esame è l’art. 570 del c.c., il quale dispone che, quando taluno muore senza lasciare figli nè genitori nè altri ascendenti, gli succedono i fratelli e le sorelle in parti eguali.
Tale norma deve poi essere coordinata, per il caso che ci riguarda, sia con l’art. 467 del c.c. che con il successivo art. 468 del c.c., per effetto dei quali, qualora chiamati a succedere siano i figli o i fratelli del de cuius e questi gli siano premorti, gli subentreranno i loro discendenti per rappresentazione.
Dispone in particolare l’art. 468 c.c. che la rappresentazione ha luogo nella linea collaterale a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto, mentre il successivo art. 469 del c.c. stabilisce che, in caso di rappresentazione, la divisione si fa per stirpi, e non in base al numero dei capi concorrenti.

Ora, considerato che la zia defunta aveva tre fratelli, tutti premorti, a succedere saranno i discendenti dei fratelli secondo le seguenti quote, che qui vengono fissate in diciottesimi per comodità di suddivisione:
6/18 complessivi per ciascuna stirpe, da dividere in 3/18 per ognuno dei figli (capi) che la stirpe ha prodotto.

Fin qui la legge risulta abbastanza chiara e precisa, stabilendo espressamente sia quali sono i soggetti in favore dei quali opera la successione sia come debbono formarsi e dividersi le varie quote.
Il dubbio che adesso si pone è quello di capire cosa succede se uno dei capi chiamati a succedere per rappresentazione decida di rinunciare all’eredità, dubbio scaturente dal fatto che le norme sulla rappresentazione non disciplinano chiaramente tale situazione.
Ebbene, la soluzione va ricercata nel coordinamento tra le norme in materia di rappresentazione e quelle dettate in materia di accrescimento.

Le prime, come abbiamo visto, dispongono che l’eredità tra i rappresentanti va divisa per stirpi e non per capi, ciò che deve intendersi nel senso che si formeranno tante quote quante saranno le stirpi.
A queste norme vanno poi coordinate quelle dettate in materia di accrescimento, ed in particolare ci si intende riferire al secondo comma dell’art. 674 c.c., secondo cui se più eredi sono stati istituiti in una stessa quota (e qui ad ogni stirpe corrisponde una quota), qualora uno di essi non possa o non voglia accettare l’eredità, l’accrescimento avrà luogo a favore degli altri istituiti nella quota medesima.
Infatti, uno dei presupposti perché possa operare l’accrescimento è proprio l’istituzione (sia essa per legge o per testamento) di più persone nella medesima quota, ed in questo caso di unicità di quota può parlarsi soltanto all’interno della stirpe.

Diverso sarebbe il discorso qualora entrambi i figli di uno dei fratelli premorti avessero deciso di rinunciare all’eredità della zia; in quel caso, venendo di fatto a mancare una stirpe (e sempre in assenza di eventuali altri discendenti della medesima stirpe), l’accrescimento si sarebbe verificato in favore di tutti gli altri eredi chiamati a succedere per rappresentazione, ma sempre per stirpi e non per capi.
Ciò significa, tradotto in termini numerici, che la quota pari a 6/18 che avrebbe formato oggetto di rinunzia da parte di tutti, sarebbe dovuta essere divisa in ragione di 3/18 ciascuna tra le altre due stirpi.

Infine, a confermare la correttezza della soluzione sopra esposta, che poi è quella fatta propria dal commercialista, si aggiunga un’altra considerazione.
Il primo comma dell’art. 469 c.c. dispone che la rappresentazione, all’interno di ciascuna stirpe, ha luogo all’infinito. siano uguali o disuguali il grado dei discendenti e il loro numero.
Questo vuol dire che, se il figlio rinunziante avesse avuto a sua volta dei figli, i suoi 3/18 rinunziati sarebbero andati ai suoi discendenti per effetto del suddetto art. 469 comma 1 c.c.
Allora ci si chiede: per quale ragione in questo caso la quota rinunciata rimane all’interno della stessa stirpe e non debba invece rimanervi nel caso che ci riguarda?

In conclusione, dunque, non resta che confermare la correttezza dell’operato del commercialista che si è occupato di redigere la denuncia di successione, dovendosi conseguentemente ritenere che gli eredi siano pienamente legittimati ad ottenere dall’istituto di credito interessato la consegna del saldo contabile, di cui il de cuius risultava titolare al momento della morte, secondo le quote sopra riportate, ovvero:
3/18 ciascuno a coloro che succedono in due;
6/18 a coloro che succedono per un solo capo.

In casi come questo, al fine di evitare ulteriori diatribe con la banca e soprattutto sollevare quest’ultima da ogni eventuali coinvolgimento in questioni ereditarie, sarebbe opportuno, oltre che necessario, che tutti gli eredi, in possesso della dichiarazione di successione regolarmente registrata all’Agenzia delle Entrate, si presentino contemporaneamente presso lo sportello della Banca interessata, chiedendo lo svincolo delle somme depositate sul conto del defunto secondo le quote risultanti dalla denuncia di successione.
In tal modo la Banca si renderà partecipe di un vero e proprio contratto di divisione concluso con il consenso di tutti gli aventi diritto, restando sollevata da ogni responsabilità che da tale divisione ne possa scaturire.

Qualora, malgrado tali accorgimenti, l’istituto di credito continui ad ostinarsi nella propria tesi, sarà necessario investire della questione l’Arbitro Bancario Finanziario (per tale ipotesi si rimanda al seguente link: https://www.arbitrobancariofinanziario.it/presentare-ricorso/index.html)


Giovanni chiede
mercoledì 11/01/2012 - Veneto
“In relazione all'art.674cc I comma e in particolare all'espressione "Quando più eredi [675] sono stati istituiti con uno stesso testamento (1) nell'universalità dei beni [588], senza determinazione di parti o in parti uguali, anche se determinate (2)" volevo chiederLe se l'applicazione del I comma riguarda solo il caso in cui tutte le parti degli eredi siano uguali(ad es 3 eredi con quote di 100 ciascuno su un patrimonio di 300) oppure se operi anche nel caso in cui ci sono alcune parti diverse e altre parti uguali, limitatamente a quest'ultime(ad es. 4 eredi che su un patrimonio di 400 ereditano rispettivamente 100, 200, 50 e 50; l'accrescimento si opera tra le due quote di 50?).
Grazie”
Consulenza legale i 13/01/2012

Affinché operi l'istituto dell'accrescimento nella successione testamentaria, il nostro ordinamento richiede alcuni presupposti: non deve risultare una diversa volontà del testatore (il testatore, cioè, non deve aver escluso l'applicazione dell'accrescimento), non ci devono essere i presupposti per la rappresentazione e ci deve essere una chiamata congiuntiva o solidale. Sotto quest'ultimo aspetto, nell'eredità sono necessarie la coniuctio verbis, per cui la chiamata dei due o più eredi deve essere fatta nello stesso testamento, e la coniuctio re, per cui la chiamata nell'universalità di beni deve essere fatta senza determinazione di parti per i singoli eredi, o con attribuzioni in parti uguali. La determinazione nel testamento di parti diseguali comporterebbe il difetto d'identità dell'oggetto, e la presunzione stessa che è alla base dell'istituto. L'uguaglianza di trattamento appare coerente con la presunta volontà del testatore di attuare una potenziale chiamata al tutto.

Nel caso posto all'attenzione mancano i presupposti per l'applicazione dell'accrescimento: la chiamata nell'universalità dei beni è stata fatta con attribuzioni in parti diseguali. In questo caso, la quota dell'erede che non può o non vuole succedere andrà devoluta secondo le regole della successione legittima.


Francesco chiede
giovedì 10/02/2011 - Veneto

“Bianchi muore lasciando due fratelli e designando per 1/2 una Associazione (che rinunzia), e disponendo "l'altra metà in parti uguali" tra gli amici Carlo (premorto al de cuius) e Franco. Operano uno o due accrescimenti? Dal momento in cui si ammette che si possano istituire due o più persone in una stessa quota, non sarà anche tale quota ad accrescersi a seguito della rinunzia dell'associazione (dando per scontato un primo accrescimento interno alla quota degli amici)?”

Consulenza legale i 11/02/2011

Occorre fare attenzione quando si leggono i primi due commi dell’art. 674 del c.c.. E' vero che il primo comma disciplina il caso in cui più eredi sono stati istituiti con uno stesso testamento nell'universalità dei beni, senza determinazione di parti o in parti uguali, anche se determinate, per cui qualora uno di essi non possa o non voglia accettare, la sua parte si accresce agli altri.

Nondimeno, se, come nella fattispecie, si hanno due quote, una collettiva fra i due amici ed una individuale per la società rinunziante, opera in via specifica il secondo comma, per il quale tra più eredi istituiti in una stessa quota, l'accrescimento ha luogo a favore degli altri istituiti nella quota medesima. L’accrescimento della quota di Carlo premorto opera verso l’eredità di Franco ex art 674 c.c., ossia all'interno della stessa quota.

Quanto all’altra quota, invece, in mancanza dei presupposti dell’accrescimento ad altri coeredi, si apre la successione legittima: essa è, quindi, interamente devoluta ai due fratelli ai sensi dell’art. 457 del c.c.. Infatti, le disposizioni testamentarie del defunto sono divenute inefficaci in quanto prive di un destinatario (associazione che ha rinunciato) dopo l'apertura della successione.


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