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Articolo 737 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Soggetti tenuti alla collazione

Dispositivo dell'art. 737 Codice Civile

I figli(1) e i loro discendenti(1) ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione [744 c.c.] direttamente o indirettamente(2), salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati(3).

La dispensa da collazione non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile [556 c.c.].

Note

(1) Il comma è stato così modificato dall'art. 87, comma 1, D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(2) La donazione indiretta è quella che, pur non essendo una vera donazione sotto l'aspetto giuridico, nei fatti ne produce gli effetti (es. la remissione di debito, l'espromissione gratuita, il contratto a favore di terzo, ecc...).
(3) La dispensa può essere concessa sia in forma espressa che tacita. Nel primo caso essa è contenuta nell'atto di donazione o nel testamento, nel secondo si ricava dal contesto dell'atto o dalle sue clausole.

Ratio Legis

Discusso è il fondamento della collazione. Secondo alcuni l'istituto si giustificherebbe in base ad una presunta volontà del testatore, secondo altri nella necessità di salvaguardare l'uguaglianza tra gli eredi. In base all'opinione maggioritaria, tuttavia, si ritiene che la norma voglia qualificare la donazione ricevuta in vita dai figli, dagli ascendenti di questi o dal coniuge del defunto come un'anticipazione dell'eredità di cui si debba tener conto nella formazione delle quote.

Brocardi

Collatio descendentium
Donatum
Relictum

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

357 A proposito dell'art. 276 del progetto, che nel primo comma stabiliva l'obbligo della collazione da parte dei figli o discendenti del de cuius che concorrono con fratelli o loro discendenti e nel secondo comma estendeva l'obbligo della collazione al caso di concorso tra figli legittimi e figli naturali, è stato discusso se sussista l'obbligo della collazione anche nei rapporti dei figli naturali tra di loro, e in base a varie argomentazioni si è giunti ad una soluzione negativa della questione. Tale soluzione mi è sembrata esatta e conforme al sistema del nuovo codice, che esclude ogni rapporto di parentela dei figli naturali tra loro, come si evince specialmente dall'art. 259. Tuttavia, per fissare più esattamente questo principio, ho ritenuto opportuno contemplare in due separati articoli la collazione dei figli legittimi e quella dei figli legittimi con i figli naturali. Pertanto, nell'art. 737 del c.c., ho collocato la norma sull'obbligo della collazione dei figli legittimi tra di loro (corrispondente al primo comma dell'art. 276 del progetto) e l'altra sui limiti all'esenzione da collazione tra figli legittimi (corrispondente al primo comma dell'art. 277 del progetto). Nell'art. 738cc ho poi espressamente disposto che tra figli legittimi e naturali vi è l'obbligo reciproco della collazione. In tal modo avendo affermato che i naturali sono tenuti alla collazione nei confronti dei legittimi e avendo abolito l'istituto eccessivamente rigoroso dell'imputazione previsto dall'art. 146 del vecchio codice, ne deriva che anche i figli naturali possono essere dispensati dalla collazione. Ma poiché la possibilità di dispensa non può essere senza limiti, tenuto conto del rapporto stabilito dalla legge per il caso di concorso tra figli naturali e figli legittimi, bisognava stabilire, colmando la lacuna dei precedenti progetti, che la dispensa non può avere alcun effetto, quando, cumulando il valore delle donazioni con la parte che il figlio naturale avrebbe diritto di conseguire nella successione, si ecceda il limite di capacità posto nell'art. 592. La norma doveva inoltre essere completata per il caso che il figlio naturale non venga alla successione. Anche in questo caso, egli non può ritenere, nonostante qualunque dispensa e a prescindere dalla possibile interferenza di altre norme come quella dell'art. 552, la donazione ricevuta oltre i limiti indicati nell'art. 592. In armonia ai criteri ora esposti, ho formulato il terzo comma dell'art. 738, in cui sono conglobate le due ipotesi sopra accennate.

Massime relative all'art. 737 Codice Civile

Cass. civ. n. 2588/2023

Nella imposizione di registro della divisione ereditaria ex art. 34 del d.P.R. 131 del 1986, al fine di stabilire la massa comune e, di conseguenza, al fine di accertare la eventuale divergenza tra quota di fatto-quota di diritto e la presenza di eccedenze-conguagli tra coeredi tassabili come vendita-trasferimento, si deve tenere conto del valore del bene donato in vita dal "de cuius" ad uno dei coeredi condividenti e come tale oggetto di collazione ex artt. 724 e 737 c.c.

Cass. civ. n. 23403/2022

In tema di divisione ereditaria, l'istituto della collazione, che, in presenza di donazioni fatte in vita dal "de cuius" e salva apposita dispensa di quest'ultimo, impone il conferimento del bene che ne è oggetto in natura o per imputazione, ha la finalità di assicurare l'equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti nella formazione della massa ereditaria, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote determinate attraverso la sommatoria del "relictum" e del "donatum" al momento dell'apertura della successione, sicché il relativo obbligo sorge automaticamente in seguito ad essa, senza necessità di proporre espressa domanda da parte del condividente, essendo a tal fine sufficiente che sia chiesta la divisione del patrimonio relitto e che sia menzionata, in esso, l'esistenza di determinati beni quali oggetto di pregressa donazione. Tuttavia, in caso di donazione indiretta, è pregiudiziale all'obbligo di collazione la proposizione della domanda di accertamento dell'esistenza della stessa.

Cass. civ. n. 41132/2021

La collazione presuppone l'esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre, se l'asse è stato esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, viene meno un "relictum" da dividere, sicché non vi è luogo a divisione e, quindi, a collazione che non potrebbe essere invocata neppure per effetto dell'eventuale azione di riduzione che mira unicamente a far ottenere al legittimario, titolare di un diritto proprio, riconosciutogli dalla legge, l'integrazione della quota di riserva spettantegli e non già la costituzione di una comunione tra coeredi.

Cass. civ. n. 39368/2021

In caso di lesione della quota di legittima, il legittimario, pur potendo eliminare la lesione attraverso la sola collazione, può altresì esercitare contestualmente l'azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che soltanto l'accoglimento di tale domanda può assicurargli l'assegnazione dei beni in natura, sia attraverso il subentro nella comunione ereditaria quando la disposizione testamentaria lesiva non riguardi singoli beni, sia attraverso il subentro nella comunione di singoli beni, come dimostrato dall'art. 560 c.c., che, nel disciplinarne lo scioglimento, prevede, in via preferenziale, la separazione della parte di bene necessaria per soddisfare il legittimario e, in caso di impossibilità della separazione in natura e dunque di non comoda divisibilità del bene, l'applicazione dei criteri preferenziali specificamente individuati dal comma 2, in deroga a quelli di carattere generale di cui all'art.720 c.c..

Cass. civ. n. 509/2021

La collazione presuppone l'esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre, se l'asse é stato esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, sicché viene a mancare un "relictum" da dividere, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l'esito dell'eventuale azione di riduzione.

Cass. civ. n. 28196/2020

Mentre la riduzione sacrifica i donatari nei limiti di quanto occorra per reintegrare la legittima lesa ed è quindi imperniata sul rapporto fra legittima e disponibile, la collazione, nei rapporti indicati nell'art. 737 c.c., pone il bene donato, in proporzione della quota ereditaria di ciascuno, in comunione fra i coeredi che siano il coniuge o discendenti del "de cuius", donatario compreso, senza alcun riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile. Nondimeno, il rilievo che la collazione può comportare di fatto l'eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione proporzioni uguali, non esclude che il legittimario possa contestualmente esercitare l'azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che solo l'accoglimento di tale domanda assicura al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l'assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per l'imputazione del relativo valore. Al contempo, e in modo speculare, deve riconoscersi che l'azione di riduzione, una volta esperita, non esclude l'operatività della collazione con riguardo alla donazione oggetto di riduzione, fermo restando che mentre la collazione, ove richiesta in via esclusiva, comporta il rientro del bene donato nella massa, senza riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile, nel caso di concorso con l'azione di riduzione essa interviene in un secondo tempo, dopo che la legittima sia stata reintegrata, al fine di redistribuire l'eventuale eccedenza, e cioè l'ulteriore valore della liberalità che esprime la disponibile. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TORINO, 16/03/2018).

Cass. civ. n. 15666/2019

L'eventuale nullità della donazione operata dal "de cuius", se dichiarata dal giudice, non provoca, ai fini della divisione, risultati dissimili dalla collazione, ma solo più radicali, in quanto fa rientrare nel patrimonio del "de cuius", come se non ne fossero mai usciti, i beni che ne erano stati oggetto, atteso che per l'ordinamento gli effetti di un contratto nullo e, quindi, anche le attribuzioni patrimoniali con esso operate, si considerano come mai verificati. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 03/10/2014).

Cass. civ. n. 8510/2018

L'obbligo della collazione sorge automaticamente e i beni donati in vita dal "de cuius" devono essere conferiti indipendentemente da una espressa richiesta, essendo sufficiente, a tal fine, la proposizione della domanda di accertamento della lesione della quota di legittima e di riduzione e la menzione in essa dell'esistenza di determinati beni facenti parte dell'asse ereditario da ricostruire.

Cass. civ. n. 1506/2018

Il presupposto dell'obbligo di collazione, ai sensi dell'art. 737 c.c., è che il soggetto ad esso tenuto abbia ricevuto beni o diritti a titolo di liberalità dal "de cuius", direttamente o indirettamente tramite esborsi effettuati da quest'ultimo. Ne deriva che, se durante la vita del "de cuius" il coerede ha acquistato direttamente dal venditore la nuda proprietà di un immobile dopo che questo era stato oggetto di un preliminare di vendita concluso dalla madre con prezzo interamente da lei pagato, in sede di divisione dell'eredità paterna non vi è alcun obbligo di collazione in relazione a quell'immobile, in quanto il "de cuius", sebbene fosse sposato in regime di comunione legale con la madre dell'acquirente, non ha mai acquistato il diritto reale trasferito al figlio, né ha sostenuto esborsi affinché il figlio lo acquistasse.

Cass. civ. n. 13660/2017

La donazione fatta ad un legittimario dal defunto a valere in conto legittima e per l'eventuale esubero sulla disponibile, con dispensa da collazione, è soggetta a riduzione, secondo i criteri indicati negli artt. 555 e 559 c.c., non implicando tale clausola una volontà del "de cuius" diretta ad attribuire alla stessa liberalità un effetto preminente rispetto alle altre in caso di esercizio dell'azione di reintegrazione da parte degli altri legittimari lesi, secondo quanto, invece, stabilito per le disposizioni testamentarie dall'art. 558, comma 2, c.c., e rimanendo, pertanto, il medesimo donatario esposto alla riduzione per l'eccedenza rispetto alla sua porzione legittima.

Cass. civ. n. 24150/2015

In tema di collazione ereditaria d'immobili, la deduzione per migliorie e spese ex art. 748 c.c. spetta anche al donatario nudo proprietario che provi di aver migliorato il bene donatogli dal "de cuius" con riserva di usufrutto, non essendo giustificabile il conferimento in collazione di un valore accresciuto a spese del conferente.

Cass. civ. n. 22097/2015

La dispensa del donatario dall'imputare la donazione alla propria quota di legittima costituisce un negozio autonomo rispetto alla donazione medesima, sicché essa può essere effettuata anche nel successivo testamento del donante.

Cass. civ. n. 17604/2015

Nell'ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, si configura la donazione indiretta dell'immobile e non del denaro impiegato per l'acquisto, sicché, in caso di collazione, secondo le previsioni dell'art. 737 c.c., il conferimento deve avere ad oggetto l'immobile e non il denaro.

Cass. civ. n. 10478/2015

La collazione è disciplinata dalla legge come una fase della divisione ereditaria, sicché non può formare oggetto di un'azione giudiziale autonoma dalla divisione stessa, neppure a fini di mero accertamento.

Cass. civ. n. 5659/2015

Il donante ha solo il potere di dispensare il donatario dalla collazione, ma non può in alcun modo vincolare il donatario stesso, che sia tenuto alla collazione, a conferire l'immobile in natura o attuare la collazione per imputazione.

Cass. civ. n. 12830/2013

L'istituto della collazione, limitato al conferimento nella massa ereditaria delle donazioni non contenenti espressa dispensa, è incompatibile con la divisione con la quale il testatore abbia ritenuto effettuato, ai sensi dell'art. 734 cod. civ., la spartizione dei suoi beni (o di parte di essi), distribuendoli mediante l'assegnazione di singole e concrete quote ("divisio inter liberos"), evitando così la formazione della comunione ereditaria e, con essa, la necessità di dar luogo al relativo scioglimento, in funzione del quale soltanto si giustificherebbe il conferimento nella massa previsto dagli artt. 724 e 737 cod. civ.

Cass. civ. n. 24866/2006

In presenza di donazioni di diversi importi di danaro fatte in vita dal de cuius ad alcuni degli eredi, va effettuata la collazione ereditaria delle somme rispettivamente ricevute, senza che possa operarsi tra gli stessi una sorta di compensazione, dovendosi evitare disparità di trattamento tra tutti i coeredi.

In tema di divisione ereditaria, non è qualificabile come donazione soggetta a collazione il godimento, a titolo gratuito di un immobile concesso durante la propria vita dal de cuius a uno degli eredi, atteso che l'arricchimento procurato dalla donazione non può essere identificato con il vantaggio che il comodatario trae dall'uso personale e gratuito della cosa comodata, in quanto detta utilità non costituisce il risultato finale dell'atto posto in essere dalle parti, come avviene nella donazione, bensì il contenuto tipico del comodato stesso. A tal fine non solo si deve escludere che venga integrata la causa della donazione (in luogo di quella del comodato) nell'ipotesi in cui il comodato sia pattuito per un periodo alquanto lungo o in relazione a beni di notevole valore, ma rileva la insussistenza dell'animus donandi desumibile dalla temporaneità del godimento concesso al comodatario.

Cass. civ. n. 3013/2006

Poiché la collazione ha la funzione di assicurare nella divisione della massa attiva del patrimonio del de cuius l'osservanza delle quote spettanti agli eredi — estendendo l'art. 737 c.c. ai figli, ai loro discendenti e al coniuge l'obbligo del conferimento di ciò che hanno ricevuto in vita dal defunto per donazione senza attribuire alcun rilievo alla loro qualità o meno di legittimari — l'istituto opera sia nella successione legittima sia in quella testamentaria, secondo quanto si desume anche dallo specifico riferimento contenuto nell'originaria formulazione dell'art. 737 c.c. alla facoltà del testatore di dispensare l'erede dalla collazione.

Cass. civ. n. 15131/2005

In presenza di donazioni fatte in vita dal de cuius la collazione ereditaria — in entrambe le forme previste dalla legge, per conferimento del bene in natura ovvero per imputazione — è uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare l'equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote, da determinarsi, in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del relictum e del donatum al momento dell'apertura della successione, e quindi garantire a ciascuno degli eredi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota. Ne consegue che l'obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell'apertura della successione (salva l'espressa dispensa da parte del de cuius nei limiti in cui sia valida) e che i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti, essendo sufficiente a tal fine la domanda di divisione e la menzione in essa dell'esistenza di determinati beni, facenti parte dell'asse ereditario da ricostruire, quali oggetto di pregressa donazione. Incombe in tal caso sulla parte che eccepisca un fatto ostativo alla collazione l'onere di fornirne la prova nei confronti di tutti gli altri condividenti.

Cass. civ. n. 12477/2004

Le elargizioni di denaro a titolo di liberalità in favore del figlio sono assoggettate alla disciplina della collazione, non rilevando in contrario il soggettivo convincimento del de cuius di rispondere esse ad un obbligo morale.

Cass. civ. n. 5888/1985

L'aggiunta del modus non snatura l'essenza della donazione, non potendo assegnarsi ad esso la funzione di corrispettivo, con la sussunzione della donazione modale nella categoria dei contratti a titolo oneroso, ma comporta che la liberalità, che resta sempre la causa del negozio, attraverso il modus, viene ad esserne limitata. Ne consegue che, nel concorrere alla successione dell'ascendente, i figli legittimi e naturali e i loro discendenti legittimi e naturali, essendo tenuti a conferire ai coeredi tutto ciò che direttamente e indirettamente abbiano ricevuto dal defunto (art. 737 c.c.), sono assoggettati all'obbligo della collazione anche nell'ipotesi di donazione modale, limitatamente alla differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell'onere.

Cass. civ. n. 2752/1984

La dispensa dalla collazione, contenuta in una donazione, ha natura di clausola contrattuale, e come tale non può essere eliminata ex post per volontà dell'uno o dell'altro contraente; essa, tuttavia, non urta contro il divieto di patti successori, trattandosi di mera modalità dell'attribuzione destinata ad avere efficacia (in funzione del rafforzamento di questa) dopo la morte del donante, e non di atto con cui costui dispone da vivo della propria successione.

Cass. civ. n. 278/1984

Con riguardo alla donazione che il de cuius abbia fatto in vita in favore di uno dei propri eredi, la dispensa dalla collazione, che si traduce, con svantaggio degli altri eredi, nell'esonero del donatario dal conferimento del donatum in sede di formazione della massa ereditaria da dividere, non può essere implicitamente ravvisata nelle clausole con le quali il donante abbia regolato l'imputazione della donazione medesima, in conto di legittima o sulla disponibile, atteso che tale imputazione non interferisce, come la dispensa dalla collazione, nei rapporti tra coeredi, ma solo sul limite che la quota di legittima rappresenta per il potere di disposizione del de cuius.

Cass. civ. n. 4381/1982

Poiché l'istituto della collazione mira ad assicurare la par condicio degli eredi, la valutazione dei beni conferiti in natura o per imputazione alla massa ereditaria va fatta con riferimento al valore dei beni stessi all'apertura della successione, mentre, una volta procedutosi a tali operazioni preliminari, il valore dei cespiti, compresi nella massa da dividere, va calcolato, al fine dell'assegnazione delle singole quote, con riferimento al momento della divisione stessa.

Cass. civ. n. 1100/1977

Poiché l'attuale codice civile (a differenza di quello del 1865) non prevede la possibilità della divisione inter liberos per atto tra vivi, l'attuazione, con donazione effettuata sotto il suo vigore, di una situazione di fatto a quella corrispondente non esprime di per sé in modo univoco dispensa tacita dalla collazione.

Per accertare se in un atto di donazione ricorra la volontà tacita di dispensare dalla collazione si può tener conto, ai sensi dell'art. 1362 c.c., del comportamento complessivo del donante, eventualmente desumibile anche da elementi estrinseci a tale atto.

Cass. civ. n. 2453/1976

I beni che i coeredi non donatari possono prelevare dalla massa ereditaria, a seguito della collazione per imputazione effettuata dai coeredi donatari, devono essere stimati per il valore che avevano al tempo dell'apertura della successione - e non già al momento della divisione - perché quei prelevamenti, pur costituendo una delle fasi in cui si attua la divisione, non si identificano con le operazioni divisionali vere e proprie, avendo - al pari della collazione - il prevalente scopo di assicurare la parità di trattamento fra coeredi donatari e coeredi non donatari.

La collazione ereditaria, quale che ne sia il fondamento, rappresenta, in entrambe le forme in cui è prevista dalla legge (in natura o per imputazione), un mezzo giuridico preordinato alla formazione della massa ereditaria da dividere, in guisa che, nei reciproci rapporti tra determinati coeredi, siano assicurati, in senso relativo, l'equilibrio e la parità di trattamento, al fine che non venga alterato il rapporto di valore fra le varie quote e sia garantito a ciascuno degli eredi stessi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota. La differenza tra i due modi di collazione consiste in ciò che, mentre quella in natura consta di un'unica operazione, che implica un effettivo incremento dei beni in comunione che devono essere divisi, la collazione per imputazione ne postula due, l'addebito del valore dei beni donati, a carico della quota dell'erede donatario, ed il contemporaneo prelevamento di una corrispondente quantità di
beni da parte degli eredi non donatari, cosicché soltanto nella collazione per imputazione, non in quella in natura, i beni rimangono sempre in proprietà del coerede donatario, che li trattiene in virtù della donazione ricevuta e deve versare alla massa solo l'equivalente pecuniario, il che di norma avviene soltanto idealmente.

Cass. civ. n. 3935/1975

La collazione presuppone l'esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere mentre, se l'asse sia stato esaurito con donazioni o con legati, o con gli uni e con gli altri insieme, sì che manchi un relictum, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l'esito dell'eventuale azione di riduzione. Né il fatto che, anche quando il defunto abbia donato in vita o legato tutte le sue sostanze ciò nonostante, alla sua morte, rimane spesso un relictum, di sia pur modico valore, basta a far considerare l'esistenza di tale relictum come fatto di comune esperienza, tale da rendere sempre esperibile l'azione di collazione.

Cass. civ. n. 3045/1975

In tema di collazione fra figli legittimi, il diritto del donatario di trattenere i beni donatigli fino a concorrenza della quota disponibile, previsto dall'art. 737 secondo comma c.c., sussiste solo nel caso di dispensa espressa o tacita alla collazione medesima da parte del de cuius.

La dissimulazione di una donazione mediante una simulata vendita non è, di per sé, sufficiente a configurare una dispensa tacita del donatario dall'obbligo della collazione ereditaria, di cui all'art. 737 c.c., essendo all'uopo necessario accertare l'inequivoca volontà del donante di simulare la vendita per porre la donazione al riparo della collazione.

Cass. civ. n. 913/1974

La dispensa dalla collazione del bene donato in vita dal de cuius ad un proprio discendente attribuisce il bene stesso al donatario, nell'ipotesi in cui questi concorra alla successione con altri discendenti del de cuius, fino alla concorrenza della quota disponibile.

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Consulenze legali
relative all'articolo 737 Codice Civile

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V. P. chiede
martedì 28/03/2023
“Buongiorno,
pongo un quesito riguardo una donazione indiretta. Si tratta di una donazione indiretta di immobile, quindi senza atto di donazione, fatta da mio papà il quale ha pagato alla cooperativa costruttrice, di cui io ero socio, le rate per la costruzione dell'immobile. Per quel che so tali donazioni possono essere tenute anche in caso di rinuncia all'eredità, ma chiedo conferma. Aggiungo che i bonifici eseguiti da mio papà alla cooperativa costruttrice, di cui io ero socio, sono avvenuti ovviamente mentre lui era in vita, ma il rogito è avvenuto quando lui era già mancato, ovvero dopo la sua morte; ciò può costituire un problema per la validità della donazione?
Cordialmente.

Consulenza legale i 02/04/2023
Il primo dubbio a cui si chiede di dare risposta è quello relativo alla possibilità o meno per il beneficiario di una donazione indiretta di trattenere quanto ricevuto in caso di rinuncia all’eredità.
Ora, prima di affrontare tale questione, si ritiene possa essere utile chiarire qual è la funzione e quali sono i presupposti della collazione ereditaria.
E’ tale quell’istituto giuridico, disciplinato dagli artt. 737 e ss. c.c., a mezzo del quale determinati soggetti, ovvero i figli, i loro discendenti nonché il coniuge del de cuius, sono chiamati a conferire alla massa ereditaria tutti i beni, mobili e immobili, ricevuti in vita dal de cuius a titolo di donazione, liberalità indiretta ovvero per mezzo di disposizioni testamentarie.
Scopo di tale istituto è essenzialmente quello di formare delle porzioni ereditarie eque, in modo da evitare eventuali pregiudizi che possono derivare dai suddetti atti di liberalità, quale in particolare una eventuale lesione di legittima.

La collazione ereditaria si presenta, dunque, come un onere a cui non possono sottrarsi i soggetti sopra indicati soltanto nel momento in cui decidono di accettare l’eredità (fatti salvi ovviamente i casi di dispensa).
Ciò lo si desume chiaramente dal testo del sopra citato art. 737 c.c., nella parte in cui si fa riferimento alla qualità di coeredi dei soggetti sui quali grava l’obbligo di collazione, il che non può che intendersi nel senso che deve trattarsi di chiamati all’eredità, a qualunque titolo, che abbiano manifestato la volontà d accettarla.

Per quanto concerne ciò che deve costituire oggetto di collazione, va precisato che si considera tale qualsiasi donazione o liberalità disposta in vita dal de cuius, compresi, oltre alle donazioni indirette (come quella ricorrente nel caso in esame), anche eventuali negozi misti con donazione, quali la vendita o l’acquisto di un bene ad un prezzo notevolmente inferiore o superiore al suo valore di mercato, con lo scopo di arricchire la controparte beneficiaria.
Pertanto, rispondendo alla prima domanda, può dirsi che l’onere della collazione non va adempiuto nel caso il cui il soggetto che vi è tenuto decida di non accettare l’eredità, non potendo in tal modo conseguire la qualità di coerede e non venendosi ad instaurare la comunione ereditaria che ne costituisce il presupposto essenziale.

La seconda questione attiene sostanzialmente all’incidenza che può avere il momento perfezionativo del contratto ai fini della configurabilità di una donazione indiretta di immobile.
Sebbene nel quesito non venga fornita alcuna precisazione circa il tipo di cooperativa da cui detto acquisto è stato effettuato, in linea generale può dirsi che l’acquisto da cooperativa edilizia si configura come una fattispecie a formazione progressiva, assimilabile per certi versi alla sequenza preliminare/contratto definitivo.
Il pagamento di tutte le rate di mutuo legittima l’assegnatario dell’alloggio, per il caso in cui la cooperativa non dovesse adempiere alla stipula dell’atto definitivo traslativo della proprietà, di avvalersi del rimedio dell’esecuzione in forma specifica offertogli dall’art. 2932 del c.c..
Pertanto, tutte le volte in cui, come nel caso di specie, l’elargizione sia avvenuta, nell’intento del disponente condiviso dal beneficiario, di consentire a quest’ultimo un determinato acquisto, si ritiene inequivocabilmente che tale dazione di denaro costituisca l’elemento di una complessa operazione economica, diretta a far pervenire gratuitamente un determinato bene nel patrimonio del donatario, e pertanto congegnata in funzione di donazione indiretta del bene medesimo.
La dazione de qua, peraltro, deve intendersi sottratta al rigore della disciplina in tema di forma, richiesta ex art. 782 del c.c. solo riguardo alle donazioni dirette, ipotesi quest’ultima ricorrente allorchè il disponente consegni una somma di denaro, non modica, ad un altro soggetto, per spirito di liberalità, senza avere riguardo all’impiego che di quella somma il beneficiario ne farà, anche se poi, in concreto, essa verrà utilizzata per acquistare la titolarità di un determinato bene (in questo caso ad essere integrata, infatti, è la fattispecie prevista dall’art. 769 del c.c., configurandosi una donazione diretta di denaro)

Nel caso di specie, essendosi realizzata una vera e propria donazione indiretta, in tema di collazione e di successione necessaria occorrerà avere riguardo, come oggetto della liberalità, al bene acquistato con le somme versate direttamente dal padre alla cooperativa alienante, bene che andrà valutato ex artt. 746 e 747 c.c., e ciò sebbene, come spiegato sopra, tale bene non fosse al momento della morte dello stesso disponente entrato nel patrimonio del beneficiario, ma costituisse soltanto oggetto di una aspettativa legalmente tutelata attraverso il rimedio dell’esecuzione in forma specifica.

Americo P. chiede
mercoledì 07/12/2022 - Lazio
“Buon giorno, i miei genitori, ora deceduti, con sei figli, danno la occasione di costituire una cooperativa mettendo a disposizione un terreno edificabile. Cinque dei figli sono soci di cui uno presidente, anno 1976. L'atto di compravendita tra padre e figlio, presidente, viene formalizzato in tutte le sue forme normali anche facendo dichiarare di aver ricevuto i soldi della vendita con dichiarazione (NON è vero). La cooperativa realizza importanti progetti di costruzione, con importanti fondi, palazzi e ville. I cinque fratelli hanno benefici sia in denaro che in appartamenti e ville, inoltre dai bilanci della cooperativa non risulta che hanno versato nessuna quota per la villa avuta, per esempio. Io escluso, anche interessandomi, voglio che con la collazione rientri qual cosa. Si può fare la collazione che la prescrizione non la prevede? e/o cosa fare?.”
Consulenza legale i 18/12/2022
Anche in questo caso, purtroppo, valgono per gran parte le medesime considerazioni svolte in risposta al quesito 32429.
Il trasferimento del terreno in favore della cooperativa edilizia, di cui solo cinque dei sei figli erano soci, risulta incontestabilmente avvenuto in forza di regolare contratto di compravendita, risalente al 1987, ed il cui carattere simulato non è mai stato contestato.
Peraltro, all’epoca in cui detto atto è stato ricevuto dal notaio, non sussisteva alcun obbligo per le parti circa la tracciabilità dei pagamenti, considerato che è stato solo a seguito dell’art. 35 comma 22 del D.l. 4 luglio 2006 n. 223, convertito con Legge 4 agosto 2006 n. 248 (modificato dall’art. 1 comma 48 della Legge 27.12.2006 n. 296), che fu introdotto l’obbligo per le parti di un atto di cessione di immobile di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà recante l’indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo.
A ciò si aggiunga che solo con l’art. 49 del D.lgs. 21.11.2007 n. 231 (modificato dall’art. 32 del D.l. 25.06.2008 n. 112) è stato vietato il trasferimento di denaro contante (o di libretti di deposito bancario o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o valuta estera), effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore dell’operazione, anche frazionata, risultava complessivamente pari o superiore 12.500,00 euro.

Non trovando applicazione all’epoca dell’atto in discussione alcuna delle normative sopra menzionate, risulterebbe estremamente difficile riuscire a provare in un eventuale giudizio volto a far valere la simulazione di quell’atto che, di fatto, non vi è stato tra le parti alcun trasferimento di denaro o, quantomeno, che vi è stato il pagamento di un corrispettivo inferiore a quello dal medesimo atto risultante, tale da potersi ritenere integrata un vendita mista a donazione.

Sotto il profilo dell’intenzione di invocare l’istituto della collazione, difettano anche in questo caso i presupposti soggettivi richiesti dall’art. 737 c.c., tenuto conto che beneficiaria di quel trasferimento è stata la società cooperativa edilizia, soggetto giuridico dotato di autonoma personalità e patrimonialità, del tutto distinta da quella dei soci che la compongono.

Neppure, infine, può contestarsi, ai fini di una eventuale lesione di legittima in danno del figlio rimasto estraneo alla cooperativa, l’atto di assegnazione di alloggio dalla cooperativa ad uno dei soci, trattandosi di fattispecie negoziale che interessa esclusivamente i rapporti tra la società cooperativa ed i singoli soci che la compongono, ai quali restano del tutto estranei i patrimoni dei danti causa del terreno su cui la società cooperativa ha realizzato gli alloggi.
In particolare, secondo quanto sostenuto dalla Corte di Cass, Sez. III con sentenza n. 17590 del 05.07.2018, nel caso di cooperative edilizie che non fruiscono di contributi pubblici, la sequenza “prenotazione-assegnazione” va ricostruita secondo la fattispecie contratto preliminare di vendita e contratto definitivo di trasferimento della proprietà dell’alloggio, con conseguente possibilità di applicazione anche del rimedio di cui all’art. 2932 c.c.
Ciò contribuisce a dare ulteriore conferma del fatto che il patrimonio dei genitori, soggetti estranei alla cooperativa, non può ritenersi in alcun modo interessato dalle vicende che riguardano la cooperativa ed i suoi singoli soci, con l’ulteriore conseguenza che quell’atto di assegnazione non può in alcun modo ritenersi lesivo delle ragioni ereditarie che il figlio, rimasto estraneo alla medesima cooperativa, può vantare nei confronti dei propri genitori.

A. P. chiede
lunedì 05/12/2022 - Lazio
“Buon pomeriggio, mia madre deceduta nel 2016, ha richiesto a suo genero, marito della figlia, di periziare un terreno edificabile in zona PEEP. Questa perizia, anno 2006, riporta sia il valore del terreno euro 3.000. che il valore di esproprio euro 1.500 .La compravendita è conclusa con il valore di esproprio. Il Comune dell'Aquila ha rilasciato la documentazione in cui la richiesta e il rilascio dell'area è in diritto di proprietà. Pertanto non si avrebbe dovuto applicare il valore di esproprio. E in questo contesto che richiedo l'applicazione della collazione che bandisce la prescrizione. Ritengo che il geometra abbia usato lo strumento, perizia, o per frodare mia madre o per avere una donazione indiretta e/o negozio giuridico. Io vorrei che la differenza tra il valore di mercato e il valore di esproprio rientri in collazione. Si può fare? oppure cosa è meglio fare? Saluti”
Consulenza legale i 18/12/2022
Per rispondere a ciò che viene chiesto è indispensabile cercare preliminarmente di chiarire qual è la funzione e quali sono i presupposti della collazione ereditaria.
E’ tale quell’istituto giuridico, disciplinato dagli artt. 737 e ss. c.c., a mezzo del quale determinati soggetti, ovvero i figli, i loro discendenti nonché il coniuge del de cuius, sono chiamati a conferire alla massa ereditaria tutti i beni, mobili e immobili, ricevuti in vita dal de cuius a titolo di donazione, liberalità indiretta ovvero per mezzo di disposizioni testamentarie.
Scopo di tale istituto è essenzialmente quello di formare delle porzioni ereditarie eque, in modo da evitare eventuali pregiudizi che possono derivare dai suddetti atti di liberalità, quale in particolare una eventuale lesione di legittima.

La collazione ereditaria si presenta, dunque, come un onere a cui non possono sottrarsi i soggetti sopra indicati nel momento in cui decidono di accettare l’eredità, fatti salvi ovviamente i casi di dispensa.
Oggetto di collazione è qualsiasi donazione disposta in vita dal de cuius, compresi anche eventuali negozi misti con donazione, quali la vendita o l’acquisto di un bene ad un prezzo notevolmente inferiore o superiore al suo valore di mercato, con lo scopo di arricchire la controparte beneficiaria.

Ora, sotto quest’ultimo profilo si potrebbe in effetti pensare che la vendita del terreno di cui si discute, essendo stata effettuata ad un prezzo notevolmente inferiore al suo valore di mercato, possa configurarsi come negozio misto con donazione, e come tale costituire oggetto di collazione, quantomeno per la differenza di valore non dichiarata nell’atto di acquisto e di cui la parte acquirente ha beneficiato.
Tuttavia, a prescindere da ogni indagine circa la correttezza della determinazione del prezzo di vendita, difetta qui un presupposto essenziale per poter pretendere che quella vendita possa costituire oggetto di collazione.
Ci si intende riferire al presupposto soggettivo, tenuto conto che, come accennato all’inizio, la collazione è un obbligo che grava su determinati soggetti, i quali devono aver accettato l’eredità (la norma fa espresso riferimento alla condizione di coerede).

Nel caso di specie, la vendita di cui si discute risulta effettuata in favore di una persona giuridica, ed in particolare una società per azioni, la quale non può di certo ricondursi ad uno di quei soggetti sui quali l’art. 737 c.c. pone l’obbligo della collazione.
Pertanto, se ne deve per forza di cose dedurre che non sarà in alcun modo possibile fare ricorso all’istituto giuridico della collazione.
In casi come questo, invece, si potrebbe pensare di avvalersi dell’azione di simulazione relativa, volta a far emergere la reale volontà delle parti, ossia quella di realizzare un negozio di vendita misto a donazione.
Per quanto concerne il termine di prescrizione di tale azione, mentre non sussiste alcun dubbio circa l’imprescrittibilità dell’azione di simulazione assoluta (la quale ha natura dichiarativa), si registrano dei contrasti in merito al termine di prescrizione dell’azione di simulazione relativa, in quanto alla tesi della sua prescrizione nell’ordinario termine decennale, si contrappone altra tesi, secondo cui anche tale azione è imprescrittibile allorchè risulti volta ad accertare la nullità tanto del contratto simulato quanto di quello dissimulato.
In quest’ultimo senso, in particolare, si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con ordinanza n. 125 del 07.01.2019, in occasione della quale la S.C. si è pronunciata su un caso analogo a quello in esame, e precisamente quello di una donna che aveva citato in giudizio i fratelli per chiedere lo scioglimento della comunione ereditaria sull’asse relitto del padre ed i coeredi convenuti, costituitisi in giudizio, chiedevano l’accertamento della simulazione dell’atto di vendita con il quale il de cuius aveva trasferito all’attrice una porzione di podere in quanto dissimulante una donazione.

Non può nascondersi, tuttavia, che, anche a voler aderire alla tesi della imprescrittibilità di tale azione, sarebbe abbastanza arduo portare avanti un’azione giudiziaria di tale tipo, considerato che dallo stesso atto di vendita risultano indicati analiticamente i mezzi di pagamento utilizzati per corrispondere il prezzo di vendita e che quest’ultimo, in ogni caso, risulta ancorato ad una perizia di stima che, per quanto discutibile, risulta comunque redatta da un tecnico professionista.

SALVATORE R. chiede
lunedì 12/04/2021 - Sicilia
“Salve vi contatto per un problema di natura familiare.
I miei genitori sono in vita e siamo 3 fratelli non più conviventi con i nostri genitori.
Fin da piccolo sono l' unico figlio che si è sempre prodigato a gestire gli interessi dei miei genitori impegnandomi a gestire personalmente la ristrutturazione, gestione amministrativa e commerciale degli immobili e delle attività di proprietà dei miei genitori, senza mai nulla a pretendere.
Ciò nonostante purtroppo io, insieme ad uno dei miei fratelli, da circa una decina di anni stiamo subendo una forte discriminazione da parte dei nostri genitori, che aiutano economicamente solo ed esclusivamente mia Sorella. Questo ha determinato la condizione di poca liquidità dei miei genitori, che manifestano la volontà di cominciare a vendere degli immobili, al fine di aiutare economicamente quello che loro definiscono il figlio più debole, ma che in realtà possiede: casa di proprietà con mutuo già estinto, conto in banca con una considerevole importo in giacenza (oltre 100.000 euro), ed è un impiegata statale a tempo indeterminato come insegnante.
Ovviamente il loro obbiettivo è quello di acquisire liquidità al fine di continuare in questa iniqua condotta di cui trae vantaggio solo mia sorella, a discapito di quello che un giorno sarà l 'eredità per tutti i figli.
Non esistono bonifici da parte dei miei genitori nei confronti di mia sorella, ma è palese che il 90% di tutto quello che lei necessita viene acquistato dai miei genitori nella quotidianità, prova ne è il fatto che mia sorella pur essendo separata ed avendo una figlia, riesce a conservare circa il 70% del proprio stipendio.
Esiste un modo per tutelarci fin da adesso? Grazie in anticipo.”
Consulenza legale i 18/04/2021
Non è per nulla raro il caso in cui i genitori adottino nei confronti dei figli un trattamento differente in relazione a quelle che possono essere le loro necessità ovvero anche in relazione alle loro condizioni economiche.
Ora, tralasciando l’aspetto dei rapporti personali e familiari, che in questa sede poco rileva, sotto il profilo patrimoniale il nostro ordinamento consente a chi tra i figli è stato trattato peggio, di invocare a proprio favore la regola della parità di trattamento, garantendo loro il diritto ad una quota del patrimonio dei genitori definita “di riserva” (così artt. 536 e 537 c.c.).
Chiaramente tale quota non va calcolata soltanto su ciò che residua alla morte dei genitori (c.d. relictum), ma anche su tutto ciò di cui gli stessi hanno disposto a titolo gratuito durante la loro vita (c.d. donatum).
In tal senso depone l’art. 556 del c.c., il quale, nel determinare la quota di cui il defunto poteva disporre, stabilisce che per determinare la parte c.d. indisponibile (ovvero da assicurare in ogni caso a coniuge, figli e ascendenti) occorre formare una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti e riunendovi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, sia diretta che indiretta (con tale norma il legislatore ha anche voluto stabilire che di una parte del proprio patrimonio chi muore può disporre come più gli aggrada).

Il problema nasce dal fatto che lo stesso codice civile stabilisce dei limiti per poter far valere il diritto a tale quota di riserva ed è altresì richiesto che sussistano determinati presupposti, di cui ora si dirà.
Per quanto concerne i limiti, vengono in rilievo in particolare gli artt. 741 e 742 c.c., dai quali si evince per quali spese è possibile chiedere la collazione e per quali, invece, non lo è.
In generale non sono soggette a collazione le spese per il mantenimento del figlio che versi in stato di bisogno, così come le c.d. liberalità d'uso, per lo più mance, regali, ecc.
Sono invece soggette a collazione le c.d. donazioni di sistemazione (dirette o indirette, secondo che il danaro sia o meno versato direttamente al discendente), le quali costituiscono liberalità quando eccedono il normale obbligo di mantenere e istruire la prole.

Sembra palese che nel caso di specie le spese sostenute dai genitori in favore della sola figlia stiano creando una disparità di trattamento, in quanto non possono qualificarsi né come liberalità d’uso né, del resto, come spese di mantenimento per sussistenza di uno stato di bisogno della medesima (stando a ciò che viene detto nel quesito, si tratta di persona con una solida posizione economica, anche sotto il profilo lavorativo).

Il problema sta nel fatto che delle elargizioni, a titolo puramente liberale, di tali somme in favore della sola figlia non si ha alcuna traccia, in quanto sembrano essere effettuate nella quotidianità e per piccoli importi o, quantomeno, in misura tale da non essere soggetti all’obbligo, adesso vigente, della loro tracciabilità, quale previsto dai decreti fiscali che si sono succeduti in questi ultimi anni.
Infatti, mentre non si rilevano particolari problemi ad individuare la donazione diretta al fine della collazione del suo oggetto, o della imputazione del medesimo, ben diversa si palesa, sul piano pratico, la collazione (dell'oggetto) di una liberalità atipica.

In assenza di alcuna prova, non sarà possibile, nel momento in cui si andrà ad aprire la successione dei propri genitori, ricostruire il patrimonio degli stessi includendovi, mediante gli istituti giuridici della collazione e dell’imputazione, le somme di cui in vita soltanto la figlia ha beneficiato.
Pertanto, al fine di non trovarsi nella medesima situazione anche per il futuro, ciò che si consiglia è di convincere i propri familiari (i genitori e la sorella) a redigere di comune accordo e sottoscrivere atti ricognitivi e/o di accertamento concernenti le liberalità atipiche che si vanno via via ponendo in essere, per mezzo dei quali precisare il valore degli oggetti o delle somme che ne costituiscono oggetto e che altrimenti risulterebbero non tracciabili e sprovviste di expressio causae.

Va detto che la stessa cosa che si suggerisce di fare per il futuro potrebbe, almeno sotto un profilo giuridico, essere attuata anche per il passato, in quanto ciò che è possibile al momento in cui un atto viene compiuto non può che essere legittimo anche successivamente.
Pertanto, a titolo meramente esemplificativo, sarebbe possibile chiedere al padre di redigere una scrittura del seguente tenore:

Io sottoscritto ………riconosco che ho adempiuto un debito di mio figlia…… allo scopo di arricchirne il patrimonio (o per spirito di liberalità)….

Il "disvelamento" dell'animus, infatti, contenuto in una dichiarazione di tale tipo, rafforzerà le posizioni degli altri figli che nulla hanno ricevuto e nell'interesse dei quali è dettata la disciplina giuridica di cui è menzione negli artt. 809 c.c. e 737 c.c. e ss.
Ovviamente, l’ideale sarebbe che la dichiarazione concernente la ricorrenza dell'animo liberale possa essere contenuta in un atto (c.d. di accertamento) proveniente non soltanto dal suo autore, ma anche dal beneficiario (la sorella), ma, come risulta facile intuire, si tratta di ipotesi improbabile, avendo questa interesse contrario a tale disvelamento, non fosse altro per il rischio di restare travolta dall'esercizio dell'azione di riduzione da parte di eventuali legittimari lesi, appunto, dalla liberalità.

Va, infine, precisato che il rilascio per iscritto di una dichiarazione come quella sopra suggerita potrebbe rivelarsi utile anche nel caso in cui i genitori, al momento della loro morte, non facciano trovare nulla nel proprio patrimonio (c.d. relictum), in quanto l’esercizio dell’azione di riduzione per lesione della propria quota di riserva è possibile anche calcolando il solo donatum.


Anonimo chiede
lunedì 25/01/2021 - Campania
“Buon giorno. Nel 2015 viene stipulato atto di donazione a favore di X da parte della nonna e del padre della stessa. Nell'atto viene riportata la formula "La donazione, perfezionata in conto di legittima e per il supero sulla disponibile, con espressa dispensa dalla collazione...". Preciso che la nonna è vedova e madre del solo padre di X. Il mio primo dubbio è relativo alla quota (50% della nuda proprietà di un appartamento) donato dalla nonna alla nipote che non può essere imputato alla legittima giacché la nipote non è una legittimaria. Potrebbe questo inficiare l'atto di donazione.
L'altro quesito è relativo alla sentenza dell II sez della Cassazione Civile n.13660 del 30.05.2017 che tratta proprio della formula utilizzata nell'atto pervenendo a conclusioni che sembrano escludere la possibilità, nel caso della quota paterna, di imputare l'esubero dalla legittima alla disponibile. Quindi un mio avente causa potrebbe chiedere la riduzione per la parte esorbitante dalla disponibile? E' così? E' questa l'interpretazione giusta e quali rimedi è possibile esperire? Ringrazio anticipatamente e porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 31/01/2021
La formula riportata nell’atto di donazione non può in alcun modo inficiare la validità dello stesso atto.
In effetti, è corretta l’osservazione secondo cui tale formula non si adatta bene alla donazione che la nipote riceve dalla nonna, in quanto, non rientrando la nipote nella categoria dei legittimari di cui all’art. 536 del c.c., non ha diritto ad alcuna quota di riserva a cui imputare la donazione ricevuta.
Tuttavia, in considerazione del fatto che quell’atto di donazione ha come parte donante due diversi soggetti (il padre e la nonna di X), occorrerebbe capire bene, attraverso una sua attenta lettura, se la clausola di cui si discute riguardi o meno entrambe le donazioni.
Infatti, in caso positivo, sarebbe in grado di esplicare la sua efficacia con riferimento alla donazione che X ha ricevuto dal padre.
Qualora, al contrario, non fosse così, la stessa può considerarsi del tutto improduttiva dell’effetto voluto dalle parti.

Probabilmente, comunque, il notaio ha preferito ugualmente inserire detta clausola con un intento ben preciso, ossia quello di prevenire eventuali contestazioni per l’ipotesi in cui X dovesse succedere alla nonna per rappresentazione del padre.
In questo caso, infatti, più volte ci si è posti il dubbio se il discendente che succede per rappresentazione debba conferire le donazioni dirette e le liberalità non donative a lui personalmente fatte, dubbio originato da una non corretta interpretazione dell’art. 737 c.p.c. ed in applicazione del quale si può presupporre che il notaio rogante abbia voluto inserire nell’atto quella formula.

Costituisce principio di diritto tuttora fermo, supportato sia dalla dottrina prevalente che dalla giurisprudenza di legittimità ((così Capozzi, Successione e donazioni, Cass. 09.11.1971 n. 3163, Cass. 07.10.2004 n. 20018), quello secondo cui non possono formare oggetto di collazione le donazioni fatte dal defunto al discendente che succede per rappresentazione.
In tal senso si argomenta in particolare dalla lettera dell’art. 740 del c.c., rubricato “Donazioni fatte all’ascendente dell’erede”, norma che pone in capo al discendente che succede per rappresentazione l’obbligo di conferire ciò che è stato donato all’ascendente, anche in caso di rinuncia all’eredità dello stesso rappresentato.
Nulla viene detto, invece, per le donazioni a lui direttamente fatte, e del resto non potrebbe essere diversamente, in quanto il rappresentante non può essere costretto a conferire le liberalità che ha ricevuto dal de cuius, di cui mai lo stesso rappresentato ha beneficiato e che mai avrebbe dovuto conferire se questi fosse venuto alla successione.

A ciò si aggiunga che lo stesso art. 739 del c.c. esclude espressamente che l’erede debba conferire le donazioni fatte ai propri discendenti.

Il principio che se ne ricava, dunque, è quello secondo cui l’onere della collazione, per chi succede per rappresentazione, riguarda solo le donazioni ricevute dall’ascendente rappresentato e non quelle ricevute dallo stesso discendente; del resto, se X, nipote ex filio della defunta, dovesse considerarsi obbligata a conferire, nei confronti di un altro legittimario della stessa defunta, la donazione ricevuta, verrebbe a conseguire meno di quanto avrebbe conseguito il proprio genitore, il quale non sarebbe stato obbligato a conferire tale donazione ex art. 739 c.c.

A nulla, peraltro, varrebbe addurre in contrario quanto disposto dall’art. 737 c.c., nella parte in cui pone a carico sia dei figli che dei discendenti, senza alcuna distinzione, l’onere di conferire le donazioni ricevute.
In realtà, secondo l’interpretazione preferibile, l’onere di collazione, posto da questa norma in capo ai discendenti che hanno ricevuto donazioni, vale soltanto nei confronti dei propri fratelli, o meglio è un obbligo operante all’interno della stirpe, restandone escluso il medesimo obbligo nei confronti delle altre stirpi.

In ogni caso, anche a voler ammettere che queste siano state le ragioni che abbiano potuto indurre il notaio ad inserire quella formula, si tratta di clausola destinata a rimanere del tutto improduttiva di effetti, valevole al più su un piano meramente teorico e che, nel caso di specie, non troverà mai concreta applicazione, non avendo la de cuius altri eredi legittimari se non il padre della stessa donataria.

L’altro quesito attiene alla corretta interpretazione che va data alla sentenza della Corte di Cassazione, Sez. II civ., n. 13660 del 30.05.2017.
Il principio di diritto che si ricava da tale sentenza è quello secondo cui, anche nell’ipotesi di donazione fatta ad un legittimario dal defunto a valere in conto legittima e per l’eventuale esubero sulla disponibile, con dispensa da collazione, la stessa donazione è ugualmente soggetta a riduzione per l’eccedenza rispetto alla sua porzione legittima e nella misura in cui ciò sia necessario per reintegrare la quota degli altri legittimari lesi.

Applicando tale principio alla donazione che X ha ricevuto dal padre, si avrà che, se alla morte di quest’ultimo vi saranno altri legittimari oltre ad X e la donazione ricevuta da X lede la loro quota di riserva, questi avranno diritto ad agire in riduzione, rimanendo il medesimo donatario esposto a detta azione di riduzione per l’eccedenza rispetto alla sua porzione legittima (si dice nella sentenza che “la dispensa da collazione attribuisce al donatario il diritto di conservare l’attribuzione patrimoniale, oggetto di liberalità, sino all’invalicabile limite determinato dall’intangibilità della quota di riserva dei legittimari”).

E’ bene chiarire e precisare ulteriormente che quanto statuito dalla S.C. vale esclusivamente nel caso in cui il padre di X dovesse lasciare altri legittimari (quali possono essere altri figli, il coniuge o ascendenti), mentre non può in alcun modo trovare applicazione in relazione ad aventi causa dalla donataria X, dovendosi intendere per “avente causa” colui in cui favore la donataria X abbia trasferito quanto ha costituito oggetto di donazione (es. un eventuale terzo acquirente del bene donato).
Di “aventi causa” si parla soltanto al primo comma dell’art. 557 del c.c., rubricato “Soggetti che possono chiedere la riduzione”, ove viene detto che la legittimazione attiva all’esercizio di tale azione compete anche agli aventi causa dei legittimari, dovendosi qualificare come tali il legatario e l’acquirente, a titolo onero o gratuito, dei diritti di legittima (situazione che nulla ha a che fare con quella ipotizzata nel quesito, ossia dell’avente causa dalla donataria X).

Infine, rispondendo all’ultima domanda relativa ai possibili rimedi esperibili, va detto che, se dovessero esservi altri legittimari, purtroppo, finché vive il donante non è possibile adottare alcun rimedio, in quanto l’unico rimedio sarebbe quello della rinuncia all’azione di riduzione, ammissibile ex art. 557 del c.c. comma secondo, ma soltanto dopo la morte del donante (tale norma esclude anche la possibilità di prestare l’assenso alla donazione).

Per quanto concerne la domanda fatta pervenire successivamente, ossia se nella qualità di padre di X è possibile stilare testamento con imputazione sulla disponibile, al contrario di quanto presente nell'atto di donazione, va data la seguente risposta:
nel testamento è possibile soltanto prevedere che la disposizione a favore di X, sia essa a titolo universale che particolare (ossia come erede o come legataria) debba avere prevalenza rispetto alle altre, con l’effetto che la stessa sarà soggetta a riduzione soltanto se il valore delle altre disposizioni non è sufficiente ad integrare la quota riservata ad eventuali altri legittimari.
A prevedere tale facoltà è il secondo comma dell’art. 558 c.c., così consentendosi al testatore di derogare alla regola legale della riduzione proporzionale delle disposizioni testamentarie, senza distinguere tra eredi e legatari.

Umberto V. chiede
sabato 07/03/2020 - Lombardia
“Salve il 25 gennaio 2020 muore mia madre, vedova e lascia un testamento.
Noi siamo due sorelle e un fratello.
Nel testamento olografo fatto da mia madre c’è scritto che lascia la quota DISPONIBILE di tutti i suoi beni alla figlia che chiamerò O.
Ora mia madre in vita ha fatto donazioni ai tre figli per valori catastali simili:
O 155 mila; E 135 mila; U 150 mila con due atti, ma la prima donazione è stata fatta solo in favore di O del valore di 80mila euro.
Per il resto ha lasciato sul conto corrente a lei intestato circa 14 mila euro .
La mia domanda è : se non accetto di diventare erede corro qualche rischio sulle mie donazioni pregresse?
Ho letto che per non entrare in collazione posso rifiutare l'eredità basta che però non ledo la legittima altrui ,vorrei capire di più.
Se invece accetto l'eredità corro rischi sempre parlando delle donazioni pregresse?
Ultima cosa, ho letto che se non accetto l'eredità posso anche non pagare le spese funerarie, è vero o in caso si può incorrere in problemi?
Grazie

Consulenza legale i 16/03/2020
La prima operazione che si rende necessario compiere è quella di procedere alla determinazione del patrimonio complessivo del de cuius, sulla cui base poter stabilire la quota di riserva spettante a ciascuno degli eredi legittimari e, conseguentemente, la quota di c.d. disponibile.

Nel caso prospettato il de cuius lascia come legittimari tre figli, il che comporta che per stabilire la porzione di eredità che deve essere loro riservata va fatto riferimento all’art. 537 del c.c., secondo cui se il genitore lascia più figli, è loro riservata la quota di due terzi, da dividersi in parti eguali tra tutti i figli, mentre il restante terzo costituisce la quota disponibile.
Per determinare concretamente la quota di cui il defunto poteva disporre occorre leggere l’art. 556 del c.c., il quale stabilisce che è necessario formare preliminarmente una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, alla quale vanno detratti i debiti e riuniti fittiziamente i beni di cui lo stesso defunto abbia disposto a titolo di donazione, secondo il valore determinato in base alle regole dettate negli artt. da 747 a 750 c.c. (nel caso degli immobili queste norme dispongono che va preso in considerazione il valore che essi hanno al momento dell’apertura della successione).

Utilizzando i valori che sono stati forniti nel quesito, dunque, si raggiunge il seguente risultato:
BENI RELITTI: € 14.000 (denaro contante)
BENI DONATI:
O: € 155.000
E: € 135.000
U: € 150.000
Valore totale dei beni donati: € 440.000
VALORE COMPLESSIVO DI RELICTUM + DONATUM:
€ 454.000 (è questo il patrimonio complessivo di cui tener conto).
Non è possibile detrarre i debiti in quanto nel quesito non si fa cenno ad essi, se non per un generico riferimento alle spese funerarie, ma si ritiene che queste non possano avere un’ influenza determinante.

Di questi 454.000 euro, due terzi sono complessivamente riservati ai figli, in parti eguali tra loro, ossia € 302.667 (454.000:3X2) complessivi.
Per stabilire, infine, la quota di riserva di ciascun figlio si dovrà dividere tale somma per il numero dei figli legittimari, ossia:
€ 302.667:3= € 101.000 (quota riservata a ciascun figlio)
La quota disponibile, invece, è pari al restante terzo del patrimonio ereditario, ossia:
€ 151.000
Tutte le somme sono state arrotondate per comodità.

Una volta effettuato tale calcolo, si può constatare che ciascuno dei figli ha ricevuto più di quanto gli spettava a titolo di riserva, con la logica conseguenza che non si pone alcun problema di lesione di detta quota e che nessuna delle donazioni effettuate in vita dal de cuius può essere soggetta a riduzione.

Il passo successivo che occorre compiere è quello di cercare di dare una corretta interpretazione alla volontà testamentaria, avendo la testatrice semplicemente disposto di voler lasciare la quota disponibile di tutti i suoi beni alla figlia O, e non trascurando che in nessuna delle donazioni effettuate in vita vi è dispensa da collazione.
Ora, per fare ciò deve per prima cosa prendersi in considerazione l’art. 587 del c.c., il quale definisce il testamento come l’atto con il quale taluno dispone di tutte le proprie sostanze o di parte di esse.
Dalla lettura di tale norma sembra evidente doversi evincere che il testatore non può che disporre di beni che gli appartengono al momento in cui il testamento viene redatto o di beni che confluiranno nel suo patrimonio al momento dell’apertura della successione (così Cass. 6449/2008).
E’ da escludere, dunque, di poter pensare che per effetto di tale disposizione la testatrice possa riconquistare un potere di disposizione in relazione a beni già usciti dal suo patrimonio, in quanto si giungerebbe all’ipotesi assurda di attribuire al testamento l’efficacia di revocare una precedente donazione, ciò che viene espressamente escluso dall’art. 800 del c.c. (il quale ammette che la donazione può essere revocata nelle ipotesi tassative di ingratitudine o sopravvenienza di figli, rispettando la speciale forma dell’atto pubblico con l’assistenza di testimoni).

Una tale disposizione testamentaria, invece, può assumere rilevanza, come correttamente intuito da chi pone il quesito, qualora si creino i presupposti per adempiere all’onere di collazione, e adesso si cercherà di spiegarne le ragioni.
La pubblicazione di un testamento con tale contenuto comporta il concorso di una successione legittima con una successione testamentaria, in quanto per effetto di esso la testatrice ha voluto soltanto disporre a titolo particolare in favore della figlia O di quella parte del suo patrimonio pari alla quota disponibile, non provvedendo ad alcuna istituzione di erede.
Ciò comporta che per l’istituzione di erede si aprirà la successione legittima ed in particolare l’art. 566 del c.c., il quale dispone che al padre ed alla madre succedono i figli in parti eguali.
La successione legittima, però, può avere effetto solo sul patrimonio della defunta detratta la quota di disponibile, la quale andrà per testamento soltanto alla figlia O.
In tal modo la defunta ha voluto in buona sostanza attuare una ridistribuzione del suo patrimonio per il tempo in cui avrà cessato di vivere, in quanto qualora si decidesse di dare attuazione alla sua volontà, le quote che ne uscirebbero sarebbero le seguenti:
alla figlia O:
Quota disponibile: € 151.000
Quota di legittima; € 101.000
Totale: € 251.000

Al figlio E:
Quota di legittima: € 101.000
Poiché la sua donazione ha un valore di € 135.000 deve rimborsare ad O € 34.000

Al figlio U:
Quota di legittima: € 101.000
Poiché la sua donazione ha un valore di € 150.000 deve rimborsare ad O € 49.000
Infatti, se ai 155.000 euro che O ha ricevuto in donazione sommiamo € 49.000 di U, € 34.000 di E ed € 14.000 di relictum si ottiene un patrimonio totale di € 252.000, pari a ciò che voleva la testatrice.

Tutto ciò, però, presuppone il verificarsi di una condizione essenziale, e qui si arriva alla considerazione fatta nel quesito ed alle domande che da essa ne conseguono.
Perché possa parlarsi di collazione occorre che vi sia un asse ereditario attribuito congiuntamente a più eredi e da dividere tra questi, ossia che sorga una situazione di comunione ereditaria.
Infatti, come si ricava dalla lettura dell’art. 737 c.c., dal punto di vista soggettivo la collazione riguarda esclusivamente i figli legittimi e naturali (e loro discendenti oltre che il coniuge) e presuppone l’avvenuta accettazione dell’eredità da parte degli stessi.
Dal punto di vista oggettivo, essa si estende a tutte le donazioni dirette e indirette compiute da de cuius in favore del coniuge e dei discendenti, a differenza della riduzione, la quale coinvolge solo le liberalità che eccedono la disponibile.
Dal punto di vista degli effetti, la collazione investe la donazione nel suo complesso, in modo del tutto indipendente dalla distinzione tra quota disponibile e quota indisponibile del patrimonio, mentre nella riduzione l’incidenza sulla liberalità è limitata alla misura necessaria ad integrare la quota di legittima.

L’obiettivo ultimo della collazione, in buona sostanza, è quello di realizzare una mera redistribuzione in sede divisoria di un valore commisurato al persistente arricchimento prodotto nel patrimonio dei coeredi dalle liberalità conseguite; prova ne è il meccanismo tipico attraverso cui la collazione si realizza (quello della imputazione) ed il ruolo del tutto residuale del conferimento in natura, oltre che la sostanziale inopponibilità degli effetti della collazione ai terzi subacquirenti del bene donato, espressa dal secondo comma dell’art. 746 del c.c..

Sulla scorta di tali considerazioni, dunque, la rinuncia all’eredità comporta il venir meno del presupposto fondamentale su cui si fonda la collazione, ossia l’instaurarsi di una comunione ereditaria e la conseguente necessità di dover procedere alla divisione secondo la volontà espressa dalla testatrice nel suo testamento.
Pertanto, rispondendo alle domande poste può dirsi che:
  1. se l’eredità non viene accettata, non si ha alcun obbligo di collazione, in quanto non vi è alcuna lesione di legittima, secondo quanto è stato fatto risultare dai calcoli sopra effettuati;
  2. se, al contrario, l’eredità dovesse essere accettata, dovendosi procedere alla divisione dell’eredità ed avendo la testatrice disposto che alla figlia O debba andare una quota pari alla disponibile di tutti i suoi beni, si sarà soggetti a collazione e costretti a restituire alla sorella O le somme come sopra quantificate;
  3. se l’eredità non viene accettata non si avrà alcun obbligo di sopportare le spese funebri.


PIERCARLO C. chiede
venerdì 14/06/2019 - Piemonte
“Tizio, coniugato con Caia, senza discendenti né ascendenti, dona una o più somme di denaro alla cognata Sempronia.
Si chiede se tali somme entrino in collazione nell’eredità devoluta al fratello di Tizio (marito di Sempronia).
Naturalmente, su tali donazioni Sempronia deve pagare la relativa imposta (8%).
Grazie.
14/6/2019”
Consulenza legale i 21/06/2019
La collazione consiste nell’operazione di conferimento, in favore della massa ereditaria, di ciò che sia stato donato, direttamente o indirettamente, dal defunto quando questi era ancora in vita, salvo che il de cuius stesso abbia espressamente dispensato dalla collazione (in questo caso, la dispensa da collazione opera solo nei limiti della quota disponibile).
La giurisprudenza ha precisato che l’obbligo della collazione sorge automaticamente e i beni donati in vita dal de cuius devono essere conferiti indipendentemente da una espressa richiesta (Cass. Civ., Sez. II, 8510/2018).

Ai sensi dell’art. 737 del c.c., i soggetti tenuti alla collazione sono i figli e i loro discendenti, nonché il coniuge, che concorrano alla successione.
Pertanto, la cognata Sempronia non rientra tra i soggetti tenuti alla collazione.

Diversa è l’eventualità in cui la donazione abbia intaccato la quota di riserva in favore dei legittimari. In tale ipotesi, l’art. 555 del c.c. prevede che le donazioni, il cui valore eccede la quota della quale il defunto poteva disporre, siano soggette a riduzione fino alla quota medesima. Tuttavia, in caso di successione testamentaria, le donazioni non si riducono se non dopo esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento.
Ai sensi dell’art. 559 del c.c., le donazioni si riducono cominciando dall'ultima e risalendo via via alle anteriori.

Antonio G. chiede
mercoledì 14/11/2018 - Marche
“buonasera,
Mia zia divorziata da anni e senza figli con età di 84 anni, vorrebbe nominarmi come erede universale, la stessa ha un'abitazione di proprietà.
La stessa ha una sorella in vita, nipoti e pronipoti, io sarei uno dei pronipoti ci sono probabilità di impugnazione del testamento da parte degli altri eredi?
Vorrebbe quindi fare un testamento presso un notaio.
La mia domanda è la seguente: dopo la morte di mia zia, si dovrà procedere con l'eredità ed io avrò la proprietà dell'abitazione, avendo però io debiti con banche ed equitalia, nel caso trasferissi la mia residenza e la adibisco a prima casa, avrò comunque il problema di vedermi pignorata la casa dalle banche o equitalia? i miei debiti sono superiori a 100.000,00
Se invece facesse ora una donazione della nuda proprietà dell'immobile con onere di mantenimento ed usufrutto fino alla morte, potrebbe essere sempre revocabile dagli altri eredi?
La nuda proprietà, in caso decidesse mia zia di procedere con la donazione, è possibile venderla prima della morte lasciando comunque l'usufrutto a mia zia? mentre dopo la morte è possibile vendere l'immobile donato?

Consulenza legale i 26/11/2018
Rispondiamo seguendo l’ordine delle domande.

Nessuno degli altri potenziali eredi potrebbe impugnare il testamento in cui la zia nominasse il pronipote erede universale. Infatti, gli unici eredi che possono essere pregiudicati da un testamento sono il coniuge, i figli o gli ascendenti (genitori) in quanto “legittimari”, ovvero eredi che hanno diritto per legge ad una quota del patrimonio del defunto (quota di riserva o di legittima), quota che non può essere lesa in alcun modo dal testatore (né, peraltro, essere fatta oggetto di rinuncia).
Nel caso di specie, tuttavia, non esistono legittimari (la zia non ha coniuge, né figli né genitori in vita), pertanto potrà disporre del proprio patrimonio come meglio crede.

Sull’abitazione eventualmente ereditata e la sua pignorabilità, il discorso è più complesso.
L'istituto della impignorabilità della prima casa è stato introdotto nel nostro ordinamento dal decreto del fare n. 69/2013, il quale, all’art. 52 ha modificato l'art. 76 del D.P.R 602/1973 (“Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito") in questo modo: “(…) l'agente della riscossione: a) non dà corso all'espropriazione se l'unico immobile di proprietà' del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è' adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente".
Attenzione, dunque, che l'unico soggetto a non poter pignorare l'unico immobile del contribuente è l'agente di riscossione, che dopo la soppressione di Equitalia è l'Agenzia delle Entrate.
Spesso l’espressione “prima casa” viene fraintesa.
In realtà il testo dell'art. 76 del D.P.R 602/1973 non lascia dubbi, laddove parla di “unico immobile di proprietà del debitore.": ad essere impignorabile da parte dell'agente di riscossione è dunque l'unica casa e non la prima.
Ad esempio, se un soggetto è proprietario di due immobili (prima casa ed una seconda casa per le vacanze), il creditore può aggredire entrambi. Se invece egli è titolare di un solo immobile allora quell'immobile non può essere pignorato dall'Agenzia delle Entrate.
Il testo, ancora, parla di immobili e non di case. Per cui se il contribuente è intestatario della casa in cui abita ed altresì di un terreno agricolo, essendo anche quest’ultimo “un immobile”, l'abitazione potrà essere pignorata perché non è "l'unico immobile" di sua proprietà. I garage, le cantine, i box e tutte le altre pertinenze dell'abitazione, invece, anche se accatastate autonomamente, non privano l'immobile del requisito della "unicità".
In sintesi, affinché l'unico immobile sia impignorabile è necessario che:
  • corrisponda al luogo in cui il contribuente ha fissato la propria residenza;
  • abbia destinazione catastale abitativa;
  • non sia catastalmente classificato come villa (A8) o castello (A9) e non possieda i requisiti delle case di lusso di cui al decreto citato nella norma.

La Corte di Giustizia Europea, poi, a differenza del nostro legislatore, pone come ulteriore limite al pignoramento della prima casa la presenza di clausole abusive nel contratto che il consumatore ha sottoscritto e da cui scaturisce il suo debito.
La Corte ritiene infatti che la perdita dell'abitazione familiare non sia solamente idonea a violare il diritto dei consumatori, ma altresì che ponga i familiari del consumatore interessato in una situazione particolarmente delicata.

In conclusione, solo il Fisco “ha le mani legate”, mentre possono pignorare e far vendere forzatamente anche l’unico immobile del debitore tutti gli altri creditori, come la banca con cui si è stipulato un mutuo, la società finanziaria a cui è stato richiesto un finanziamento o qualsiasi creditore privato.

Infine, l'art. 8 D.L. 50/2017 (che ha introdotto le ultime modifiche alla disciplina normativa sopra illustrata) consente all'agente di riscossione di procedere esecutivamente se il contribuente ha un debito di almeno € 120.000 e se il valore catastale di tutti gli immobili posseduti è almeno di 120.000 euro.

Ancora, proseguendo nelle domande di cui al quesito, sulla donazione della nuda proprietà – premesso che in tal caso si sta parlando, al contrario di prima, di un’ipotesi di successione ex lege, ovvero in mancanza di testamento – occorre fare un’importante premessa.
Dal quesito non risulta chiaro se questa zia abbia solamente una sorella - la quale abbia a propria volta avuto figli e nipoti (tra i quali chi ha posto il quesito) - oppure si vi siano altri fratelli e sorelle.
Ebbene, secondo le regole generali, “il più prossimo esclude i remoti”, il che vuol dire che i parenti più vicini in ordine di grado escludono quelli più lontani.
Nel caso in esame, se c’è una sola sorella, sarà quest’ultima l’unica erede; dovrà invece dividere il patrimonio con gli altri fratelli e sorelle in caso di pluralità di questi ultimi.
Attenzione; solo qualora fratelli e sorelle (o l’unica sorella) rinuncino all’eredità, allora subentreranno (per rappresentazione, artt. 468 c.c.) i nipoti della zia: ed ancora solo se anche questi ultimi (tutti quanti) rinunceranno a propria volta, subentreranno i pronipoti (art. 469 c.c.).

Ciò premesso e chiarito, tornando alla donazione, è evidente che nel caso in esame si tratta di operazione certamente possibile.
Il problema si porrebbe solo nel caso in cui tra gli eredi vi fossero figli, discendenti di questi oppure coniuge: va tenuto in debita considerazione, infatti, che per questi eredi la donazione è considerata anticipo di eredità: tutto quanto ricevuto in vita dal defunto, al momento della successione, è come se tornasse virtualmente nel suo patrimonio ai fini del calcolo delle quote loro spettanti. E’ un’operazione che in gergo tecnico si chiama "collazione".
I soggetti, però, tenuti alla collazione - identificati dal legislatore nell'art. 737 c.c. - sono solo i figli, i loro discendenti ed il coniuge.
Non essendo presente invece nel nostro caso nessuna di queste categorie di successibili, non si porrà alcun problema per la donazione.

Lo stesso si può dire in ordine alla vendita dell’immobile donato.
Quando si vende un immobile oggetto di precedente donazione, la vendita in questione è suscettibile di essere resa inefficace solo dagli eredi legittimari, qualora l’operazione avvenuta in vita possa aver leso la loro quota di riserva.
Ma nel caso di specie, mancano completamente i legittimari, con la conseguenza che non ci sarà alcun rischio di lesione della quota riservata loro dalla legge e la vendita sarà del tutto libera.
E ciò sia prima che dopo la morte, perché indipendentemente da quando la vendita avvenga, il bene sarà comunque entrato definitivamente a far parte del patrimonio del donatario.

Anonimo chiede
venerdì 21/10/2016 - Puglia
“Il mio defunto genitore con atto notarile mi donò la nuda proprietà di un immobile,riservando l'usufrutto generale vitalizio per sé e dopo di sé per sua moglie.
Nell'atto è riportato " Il donante espressamente dispensa il donatario dall'obbligo della collazione ed imputazione nella futura successione di esso donante,del bene con il presente atto donato,volendo che lo stesso sia interamente computato sulla quota disponibile"
L'immobile dall'origine,è stato ceduto in locazione. Le relative mensilità sono state sempre incassate da mio padre e, in sua mancanza,dall'usufruttuaria,mia madre.Con la sua morte, le ho incassate ed incasso io.
Preciso che fra noi coeredi è in atto un contenzioso giudiziario per la divisione dei beni paterni.Per inciso,il CTU,con la riunione fittizia-collazione,ha escluso il donato dalla massa dei beni da dividere avendo accertato che il valore della donazione non supera la quota disponibile.Il processo è ancora in corso.
Uno dei coeredi sostiene che anche la donazione integralmente deve par parte della massa dei beni da dividere,quindi anche i fitti.A tal proposito chiede che le locazioni vengano depositate fino a sentenza in un libretto bancario a tutti gli eredi intestato .Non avendo aderito alla sua richiesta,sono stato querelato per appropriazione indebita.
Il mio quesito: può la mia condotta in qualità di proprietario dell'immobile donato,nelle more del giudizio,essere considerata dolosa e quindi cadere nella fattispecie di appropriazione indebita?

Consulenza legale i 27/10/2016
La questione è abbastanza peculiare e non esiste, purtroppo, giurisprudenza che la affronti nello specifico.

Per individuare la soluzione al problema che ci occupa, occorre senz'altro partire dall’art. 745 cod. civ., per il quale i frutti di quanto donato nonché gli interessi sulle somme soggette a collazione sono dovuti dal giorno in cui si è aperta la successione. Dunque i frutti maturati e percepiti nel tempo che precede la morte dell'ereditando sono esclusi dalla collazione: si presume, infatti, che i medesimi sarebbero stati ugualmente consumati dal defunto/donante, per cui gli eredi non ne avrebbero comunque goduto, anche nell'ipotesi in cui il cespite fruttifero non fosse stato donato.

Pertanto, se in forza della citata norma i fitti derivanti dalla locazione di un immobile donato non rientrano nella collazione, a maggior ragione ne saranno esclusi nel caso in cui sia intervenuta dispensa dalla collazione dell’immobile in questione, come nel nostro caso.
Gli altri eredi, conseguentemente, parrebbero sbagliare nell’affermare che i frutti civili derivanti dal godimento dell’immobile donato debbano rientrare nella massa ereditaria.

Va però correttamente evidenziato che non è chiaro, per alcuni studiosi, se l'art. 745 si riferisca solo a frutti naturali ed interessi, oppure anche ad ogni altra specie di frutti civili (come, appunto, i corrispettivi delle locazioni) e la giurisprudenza, d'altro canto, non si è mai pronunciata sulla questione.
Si menziona un'ipotesi in cui doveva essere effettuata la collazione per imputazione di un immobile: in questo caso la Cassazione ha deciso che, oltre al valore del bene al tempo dell'apertura della successione, dovessero venir computati (sempre a far tempo dalla morte dell'ereditando) anche gli interessi legali sul detto valore e non le rendite dell'immobile nello stesso periodo temporale (Cass. Civ., Sez.II, n. 2453 del 1976). In tal modo è stato escluso il riferimento ad ogni altro frutto civile diverso dagli interessi.

In ogni caso, nella fattispecie concreta che ci occupa, stiamo parlando di un caso di intervenuta dispensa, per cui non avrebbe alcun senso logico-giuridico che i frutti civili della cosa donata seguissero un regime diverso rispetto al bene stesso: il bene non deve rientrare nella massa ereditaria e i frutti invece sì.

Nel caso in cui l'interpretazione da dare alla citata norma fosse quella appena esposta, non si potrebbe dire integrato il delitto di appropriazione indebita (646 c.p.) nella fattispecie al nostro esame, perché secondo gli studiosi il reato in oggetto costituisce violazione al diritto di proprietà, per cui la sua vera essenza sarebbe costituita dall’abuso del possessore che risponde della cosa come se fosse sua. Nel caso concreto, però, la cosa (sempre se escludiamo i fitti dalla collazione e comunque se rientrano nella dispensa) è effettivamente sua, perché l’ha ricevuta per donazione ed ugualmente può fare propri i frutti della stessa. Non pare neppure che sia presente l’elemento soggettivo del dolo, né tantomeno l’ingiustizia del profitto, dal momento che l’erede agisce facendo valere una pretesa tutelata dall’ordinamento nonché - si potrebbe anche dire - in forza di una legittimazione che gli è stata conferita dal donante (“In tema di appropriazione indebita, non sussiste il profitto ingiusto, richiesto per l'integrazione del reato, quando l'appropriazione sia realizzata in accordo con la volontà del titolare dei beni che sono oggetto della condotta”, Cassazione penale, sez. V, 05/03/1993).

A parere di chi scrive, ragioni forse più di opportunità che di legittimità indurrebbero ad accettare la proposta degli altri eredi, in attesa del pronunciamento del Giudice, anche nell'interesse stesso del donatario, che non incorrerebbe così nel rischio dell'appropriazione.

Anonimo chiede
lunedì 08/02/2016 - Lombardia
“Questione: “Mio zio, fratello di mia madre, è deceduto il OMISSIS. Era vedovo ed aveva solo una figlia.
Nel testamento olografo redatto nel novembre OMISSIS scriveva testualmente.


“Dispongo che, in caso di mia morte, la quota di legittima venga devoluta a mia figlia……………… Per quanto riguarda la quota disponibile, essa sarà devoluta a favore di mio nipote……………….., figlio di mia sorella……………………. nato il……..………………… (cioè io).
I beni da me posseduti in data odierna sono
• Immobile di civile abitazione sito in …………………..in via……………………………………
• Immobile di civile abitazione in ……………………..in via………………………”

Il valore dei due immobili è approssimativamente di OMISSIS l’uno e OMISSIS l’altro.
Nel Mese di OMISSIS cioè 2 mesi prima di morire, mio zio ha effettuato la donazione dell’immobile di OMISSIS alla figlia.
Gradirei pertanto sapere se la quota disponibile di mia spettanza è di euro OMISSIS cioè il 50% del valore dell’appartamento caduto in successione oppure di euro OMISSIS nel caso in cui per effetto della la cosiddetta riunione fittizia, il valore dell’immobile donato debba essere sommato al valore dell’immobile caduto in successione ai fini del calcolo della quota legittima spettante alla figlia e della quota disponibile spettante al sottoscritto e cioè OMISSIS. Quota disponibile 50% = euro OMISSIS.
Vi prego altresì di comunicarmi, in maniera inequivocabile i presupposti legislativi sui quali si baserà la Vostra risposta.
In attesa di un Vostro cortese riscontro, porgo distinti saluti.
OMISSIS”
Consulenza legale i 23/02/2016
Nel caso di specie vi è un testamento olografo con il quale il de cuius ha disposto a favore di un legittimario (la figlia) e di un altro soggetto che non riveste detta qualifica (il nipote) (v. art. 536 c.c.), chiamando il primo nella riserva ed il secondo nella disponibile.
Ha successivamente disposto la donazione di uno dei propri beni a favore del legittimario.
Innanzitutto va stabilito se, in tale ipotesi, debba o meno procedersi a riunione fittizia.
Tale istituto è espressamente contemplato dall'art. 556 c.c., secondo il quale "Per determinare l'ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli articoli 747 c.c. e 750 c.c., e sull'asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre".
Come si evince dalla disposizione, l'operazione serve a determinare la quota di legittima e, di conseguenza, quella disponibile e si traduce in un'operazione matematica (relictum-debiti+donatum). La ratio ad essa sottesa è di verificare se il de cuius possa aver leso, in vita con atti di disposizione, ciò che la legge riserva ai legittimari. Dall'esame della giurisprudenza sembra dedursi che tale operazione vada sempre fatta nell'ipotesi in cui vi sia concorso di eredi legittimari, proprio per lo scopo cui essa tende: "La riunione fittizia (in quanto diretta a ricostruire l'intero patrimonio del de cuius, che la legge considera come termine di riferimento per la determinazione della quota disponibile e di riflesso per quella delle quote di riserva) non è legata necessariamente alla proposizione dell'azione di riduzione, ponendosi come un prius indispensabile alle operazioni divisionali quando vi sia concorso di eredi legittimari" (Cass. 837/1986). Quanto al valore dei beni, esso è quello che hanno all'apertura della successione (stante il richiamo dell'art. 556 c.c. all'art. 747 c.c.).
Dunque nel caso di specie si procederà così (supponendo debiti pari a zero e che i beni abbiano avuto all'apertura della successione i valori indicati in quesito): x (relicutm)+ y (donatum) = z. Poiché la quota riservata al figlio unico legittimario è ½ del patrimonio (art. 537 c.c.), si ricavano tali quote:
- legittima = w
- disponibile = r
La figlia legittimaria ha ricevuto in vita una donazione per OMISSIS, dunque la sua quota di legittima non è stata lesa. Occorre però verificare in che modo questa donazione si ponga rispetto al calcolo delle quote.
A riguardo la disposizione di riferimento appare l'art. 564 co. 2 c.c. secondo cui il legittimario che agisce in riduzione deve imputare alla sua porzione di legittima le donazioni ed i legati ricevuti, salvo che ne sia stato dispensato. Da ciò sembra ricavarsi il principio per cui il legittimario deve sempre imputare alla legittima quanto ha ricevuto in donazione, salvo che ne sia stato espressamente dispensato dal donante. Di conseguenza, secondo tale interpretazione, si ricava che nel caso di specie se la figlia non è stata dispensata (ciò che si dovrà verificare), ella deve imputare quanto ricevuto (OMISSIS) alla sua quota di legittima (OMISSIS). Quindi, si ricava ulteriormente che il de cuius con la donazione priva di dispensa avrebbe anche disposto di una parte di disponibile, pari a OMISSIS. In assenza di altri legittimari oltre alla figlia, questa attribuzione non è suscettibile di essere ridotta: tale facoltà spetta infatti solo ai legittimari stessi (art. 557 c.c.). Sulla base di tale lettura si dovrebbe ritenere che la quota rimanente di OMISSIS sia da qualificarsi come disponibile (essendo il legittimario già stato soddisfatto): dunque, in base a quanto disposto nel testamento, essa andrebbe devoluta al nipote.
Diversamente si dovrebbe concludere nel caso in cui vi fosse stata dispensa da imputazione. Con la dispensa, infatti, il disponente vuole che il soggetto ottenga più di quanto gli spetterebbe a titolo di legittima (naturalmente senza che possa esservi lesione della riserva di eventuali altri legittimari). Pertanto in tal caso la figlia non dovrebbe imputare quanto ricevuto a titolo di donazione. Quindi il patrimonio del defunto (OMISSIS) andrebbe ripartito per metà a lei e metà al nipote, dunque ad entrambi spetterebbe OMISSIS; alla figlia, proprio come espressione della volontà di farle conseguire più della legittima spetterebbe, in conclusione, la quota di OMISSIS(legittima) ed anche quella di OMISSIS(donati).

Angelo G. chiede
sabato 16/01/2016 - Lazio
“Buonasera
mio padre anni fa mi ha intestato il suo appartamento all'atto del rogito. Parliamo all'epoca di circa XXX milioni delle vecchie lire.
Mio fratello, con il quale non ho un rapporto positivo, ha avuto invece da mio padre una somma più o meno equivalente in denaro per l'acquisto della sua abitazione.
Ad oggi l'appartamento di mio padre ha un valore più che raddoppiato.
Ci sono delle possibilità che io fratello venga a pretendere qualcosa?
In tal caso, quali sono gli accorgimenti da prendere?”
Consulenza legale i 21/01/2016
Innanzitutto, finché il padre è in vita può disporre liberamente dei propri beni, anche avvantaggiando un figlio rispetto ad un altro.

Problemi potrebbero però porsi in sede successoria, nel momento in cui procedendo alla divisione del compendio si effettuerà la collazione. Essa è l'istituto in forza del quale i figli, i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire alla massa ereditaria tutto quanto donato loro dal de cuius quando era in vita (art. 737 del c.c.). Lo scopo per cui vi si procede è mantenere le proporzioni tra quanto donato e quanto spetta agli eredi per legge o testamento, sulla base dell'idea per cui le donazioni abbiano appunto costituito un anticipo sulla successione.

Nel caso di specie i due figli hanno ricevuto in donazione uno (Tizio) denaro per l'acquisto della propria abitazione, mentre all'altro (Caio) è stato intestato l'appartamento. Come opera la collazione nel caso di specie?

Secondo la giurisprudenza se si accerta che la donazione ha avuto ad oggetto (seppure indirettamente) l'immobile, intestato al donatario dal donante in sede di acquisto, oggetto del beneficio è l'immobile: "l'acquisto di un immobile con denaro del disponente e intestazione ad altro soggetto (che il primo intende, in tal modo, beneficiare), costituendo lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, integra una donazione indiretta del bene stesso, e non del denaro (giurisprudenza consolidata, a partire da Cass. sez. unite, 5 agosto 1992, n. 9282; cfr. e plurimis, Cass., sez. II, 26 agosto 2002, n. 12.486; Cass., sez. I, 6 aprile 2001, n. 5122)" (Cass. 11496/2010).
Invece, se oggetto della donazione è una somma di denaro, di regola è questa ad essere oggetto di collazione ex art. 751 del c.c.. Tuttavia, secondo la giurisprudenza si deve distinguere: "La donazione diretta del denaro, successivamente impiegato dal beneficiario in un acquisto immobiliare con propria autonoma determinazione (caso in cui oggetto della donazione rimane comunque il denaro) va tenuta distinta dalla dazione del denaro quale mezzo per l'unico e specifico fine dell'acquisto dell'immobile, che integra un'ipotesi di donazione indiretta del bene, fattispecie la cui configurazione non richiede peraltro la necessaria articolazione in attività tipiche da parte del donante (pagamento diretto del prezzo all'alienante, presenza alla stipulazione, sottoscrizione d'un contratto preliminare in nome proprio), necessario e sufficiente a riguardo essendo la prova del collegamento tra elargizione del denaro ed acquisto, e cioè la finalizzazione della dazione del denaro all'acquisto" (Cass. 2642/2004, v. anche Cass.18541/2014).
Dunque se esiste un collegamento tra l'elargizione del denaro a Tizio e l'acquisto dell'immobile, ed esso viene provato, anche questi dovrà collazionare l'immobile e non il denaro ricevuto.

Pertanto, nel caso di specie si evince che Caio dovrà collazionare il bene, in particolare potrà scegliere tra collazione in natura (restituzione dell'immobile) ovvero per imputazione (imputare il valore del bene alla massa, ciò che consente di non perdere materialmente il bene); nel primo caso il valore del bene andrà stimato al momento della divisione (art. 726 del c.c.), nel secondo caso al tempo dell'apertura della successione (art. 747 del c.c.).
Tizio, invece, se non risulterà donazione indiretta dell'immobile, dovrà collazionare il denaro ex art. 751 del c.c. (la somma ricevuta rivalutata degli interessi legali). In tale ipotesi Caio si troverà quasi certamente in una posizione deteriore rispetto al fratello, visto l'aumento di valore dell'immobile (resta però salvo che il donatario quando procede a collazione, sia per imputazione che in natura, ha diritto di dedurre il valore delle migliorie effettuate al bene e le spese straordinarie sborsate per la conservazione della cosa e non causate da sua colpa, ex art. 748 del c.c.). Caio, in tal caso, dovrà cercare di far valere la circostanza che anche per Tizio vi è stata donazione indiretta dell'immobile (ipotizzando - ovviamente - che anche l'immobile di Tizio abbia avuto un aumento di valore).

Infine, la legge prevede che il donante possa dispensare il donatario dalla collazione o dall'imputazione, con atto contestuale o successivo alla donazione (rispetto i requisiti di forma richiesti dalla legge).
In particolare, la dispensa dall'imputazione (art. 564 del c.c.) comporta che la donazione non venga ricompresa nella quota di legittima, cioè che non venga considerata come fatta in conto di legittima bensì come fatta sulla quota disponibile. Con la dispensa da collazione, invece, il donatario è dispensato dal conferire il bene in collazione (art. 737 c.c.), e dunque esso rimane fuori dalla massa ereditaria da dividere. In entrambi i casi resta fermo il limite per cui le donazioni non possono ledere la quota di riserva dei legittimari, quindi l'eventuale dispensa non può ledere tale principio.

Stefano chiede
mercoledì 05/06/2013 - Veneto
“In base ad una perizia due figli ricevono una donazione di Euro 1.000.000 ciascuno in immobili,dove non è menzionata nessuna dispensa dalla collazione,sempre in riferimento a questa perizia alla madre restano immobili per 2.000.000 premetto che non si conosce il valore totale dell'asse ereditario.prima delle donazioni.al terzo figlio viene proposta una donazione di pari importo,che lo stesso non accetta, fra la madre ed il terzo figlio non vi sono buoni rapporti,causa la madre.Prima dell'apertura del testamento con atto privato viene fatta una dispensa dalla collazione per i primi due figli.Prima del testamento la madre fà sparire gli immobili di sua proprietà vendendoli o attuando altre strategie.Cosa succede all'apertura del testamento per ognuno dei figli,specialmente per il terzo?Quanto devono riconferire nell'asse,e quanto spetterebbe di legittima al terzo figlio?Per gli immobili di cui la madre si è sbarazzata penso non resti nessuna traccia o valore che deve essere riconferito nell'asse,quindi all'apertura dell asse non vi è niente oppure molto poco, non si considera eventuale contante che possa avere la madre in quanto può sparire in molti modi,cosa cambierebbe se anche il terzo figlio accettasse la donazione di pari importo come per i fratelli?Cosa succederebbe se la madre oltre che alla dispensa della collazione facesse anche la dispensa dell'imputazione per i primi due figli?In conclusione per il terzo figlio è meglio accettare la donazione oppure è meglio aspettare l'apertura del testamento in quanto una legittima gli spetta per legge? le donazioni dei primi due figli potrebbero rientrare nella disponibile?
Consulenza legale i 12/06/2013
Per rispondere al quesito è necessario fare chiarezza su alcuni istituti successori.
La collazione (artt. 737 ss. c.c.) consiste nell'apporto reale di un bene (o del suo equivalente) alla massa ereditaria da dividere, allo scopo di assicurare l'equilibrio e la parità di trattamento tra i coeredi. Essa si applica solo al concorso tra figli o tra figli e coniuge del de cuius. E' possibile la dispensa.
Il testamento è l'atto unilaterale con cui un soggetto dispone dei propri beni per quando avrà cessato di vivere e con esso è possibile modificare (entro i limiti di legge) quella che sarebbe la ripartizione delle quote ereditarie in base alla successione legittima (che opera quando non c'è un testamento: in tal caso il codice civile prevede i vari casi possibili e le quote spettanti alle diverse categorie di eredi). La disciplina della successione legittima è diversa da quella sui legittimari (artt. 536 ss. c.c.).
Ancora, l'imputazione ex se (art. 564 del c.c.) è un onere per tutti i legittimari (categoria che comprende anche gli ascendenti, quindi più ampia del campo di applicazione della collazione) e consiste nel 'detrarre' dalla propria quota le donazioni e i legati fatti a sé, quando lo stesso legittimario agisca con l'azione di riduzione. Anche per l'imputazione ex se è possibile la dispensa.

Nel caso di specie, vi sono tre (futuri) eredi di una donna, che si presume siano gli unici eredi. A due dei figli viene donato ciascuno un complesso di immobili per un valore di 1.000.000 €, con dispensa dalla collazione stabilita in scrittura privata.
Il terzo figlio non sa se accettare la donazione, anch'egli per un valore di 1.000.000 di euro, o se attendere quanto gli spetta in quanto legittimario.

Va prima di tutto precisato che la dispensa dalla collazione può essere fatta con testamento e, se fatta con atto tra vivi, deve rivestire la stessa forma della donazione dispensata, nel caso di specie la forma dell'atto pubblico (richiesta per la donazione di immobili). La semplice scrittura privata non integra il requisito di forma richiesto e pertanto la dispensa così disposta non dovrebbe avere efficacia.
Tuttavia, poiché la giurisprudenza ammette pacificamente anche la dispensa tacita, potrebbe desumersi la validità di una dispensa derivante da un atto separato, una scrittura privata, non avente i requisiti formali della donazione o del testamento.
E' sempre comunque possibile che la dispensa venga inserita nel testamento prima della morte della madre.
Non ci dimentichi che la dispensa dalla collazione non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile (ultimo comma dell'art. 737 c.c.).

L'effetto della dispensa dall'imputazione è quello di far gravare le liberalità (anche donazioni precedenti) sulla porzione disponibile dell'asse, così che il legittimario possa fruire di esse in aggiunta rispetto alla porzione legittima di spettanza.
Ai sensi del terzo comma dell'art. 564 c.c. la dispensa dall'imputazione deve essere espressa. La dispensa può essere contestuale alla donazione o contenuta nel testamento: essa può anche essere contenuta in autonomo atto tra vivi ma, in questo caso, secondo l'opinione più condivisibile deve rivestire la forma solenne della donazione ad substantiam (atto pubblico).

La quota di legittima spettante a ciascun figlio va individuata ai sensi dell'art. 537 del c.c., secondo comma: quando vi sono due o più figli, ad essi spettano 2/3 dell'asse ereditario, da dividersi in parti uguali. La quota 'disponibile' è pari a 1/3 dell'asse.

Ipotizziamo cosa si verificherebbe nei casi prospettati.
1) Asse ereditario vuoto (la madre ha fatto sparire ogni bene) e donazioni per complessivi 2.000.000 di euro a due degli eredi; presupposta la validità della dispensa dalla collazione e mancanza di dispensa dall'imputazione; testamento con chiamata all'eredità di tutti e tre i figli.
In questo caso al terzo figlio spetta una legittima di un terzo dei 2/3 del patrimonio, calcolato sommando al relictum (ciò che resta del patrimonio della defunta) il donatum (le donazioni fatte in vita dal de cuius): si tratta della c.d. riunione fittizia. Le donazioni con dispensa dalla collazione sono soggette a tale riunione fittizia, perché il donante in nessun modo può impedire che le donazioni da lui compiute siano fittiziamente riunite ai sensi dell’art. 556 del c.c..
Il patrimonio ipotetico su cui calcolare la quota è di 2.000.000 di euro, pari alle donazioni (la quota spettante a ciascun figlio sarebbe indicativamente 450.000 euro).
Il terzo figlio potrà agire in riduzione nei confronti dei fratelli per ottenere quanto gli spetta per legge, agendo contro le donazioni loro fatte. L'azione di riduzione contro il coerede donatario presuppone naturalmente che questi sia stato dispensato dalla collazione, altrimenti il solo meccanismo da questa previsto sarebbe sufficiente a far conseguire a ogni erede la porzione spettantegli.

2) Asse ereditario vuoto (la madre ha fatto sparire ogni bene) e donazioni per complessivi 2.000.000 di euro a due degli eredi; presupposta la validità della dispensa dalla collazione e esistenza della dispensa dall'imputazione; testamento con chiamata all'eredità di tutti e tre i figli.
Qui le cose non cambiano: la dispensa da quella imputazione che, ex se, deve fare il legittimario che agisce in riduzione (art. 564, 2° comma) ha lo scopo di permettere a tale legittimario di conseguire la donazione in più rispetto alla legittima, quindi cumulativamente, ma non vi è alcuna modificazione della base di calcolo per la determinazione della legittima stessa. Nel caso in esame, ad agire in riduzione sarebbe un altro coerede, non quello dispensato dall'imputazione.

3) Il terzo figlio accetta la donazione finché la madre è in vita.
Egli conseguirebbe subito beni per un valore di 1.000.000 di euro. Se anch'egli fosse dispensato da collazione e imputazione, nulla quaestio. Se invece lui non fosse dispensato, i fratelli potrebbero rivendicare parte del valore della donazione qualora alla morte della madre il relictum non fosse sufficiente a coprire la loro quota di legittimari.

Rodolfo W. chiede
giovedì 13/01/2011

“Una sorella (tre eredi) ha trovato testamento olografo e non vuole farmene avere copia. Cosa posso fare?
All'inizio del 2009, inoltre, avevano portato il padre da un notaio per farsi firmare un atto di donazione, nonostante lui soffrisse di Alzheimer.
Vi ringrazio anticipatamente per la risposta.”

Consulenza legale i 21/01/2011

Il codice civile impone a chi sia in possesso di un testamento olografo di presentarlo a un notaio per la pubblicazione (art. 620 del c.c., primo comma).
Chiunque vi abbia interesse può ricorrere al tribunale del circondario in cui si è aperta la successione affinché venga fissato un termine per la presentazione (art. 620 cc, secondo comma).
Benché non vi siano esplicite sanzioni per colui che indebitamente non presenti il testamento olografo in suo possesso, in caso di ritardo egli potrà essere ritenuto responsabile verso gli altri interessati, e anche personalmente ex art. 490 cp in caso di occultamento (Soppressione, distruzione e occultamento di atti veri: “Chiunque, in tutto o in parte, distrugge, sopprime od occulta un atto pubblico, o una scrittura privata veri soggiace rispettivamente alle pene stabilite negli articoli 476, 477, 482 e 485, secondo le distinzioni in essi contenute”).
Quanto alla donazione, il nostro ordinamento disciplina un'azione di annullamento - che si prescrive in 5 anni dal giorno in cui la donazione è stata fatta - per il caso in cui si provi che il donante, sebbene non interdetto, sia stato incapace di intendere o di volere al momento della conclusione dell'atto di liberalità (art. 775 del c.c.).


V. P. chiede
domenica 01/05/2022 - Veneto
“Buongiorno, sono a chiedere una consulenza in materia di successione ereditaria. Un figlio entra come socio in una cooperativa edilizia, la quale prevede di acquistare un terreno e costruire una palazzina divisa in varie unità immobiliari. Man mano che la cooperativa acquista il terreno ed esegue le opere, al figlio vengono chiesti i relativi pagamenti per l’avanzamento dei lavori; il padre di questo figlio, in accordo col figlio stesso, paga al posto del figlio tutte le somme che la cooperativa chiede. Si arriva al rogito e l’unità immobiliare viene assegnata definitivamente al figlio. In un caso come questo mi sembra si configuri una donazione indiretta di immobile, se il padre non chiede al figlio le somme pagate alla cooperativa in sua vece. Però, quando si perfeziona la donazione indiretta, al momento dei bonifici oppure al rogito? Se prima del rogito il padre cambiasse idea e decidesse di farsi ridare i danari dalla cooperativa, potrebbe? Il padre o la cooperativa dovrebbero avere l’assenso del figlio per procedere con la restituzione al padre delle somme versate dallo stesso alla cooperativa? In caso di annullamento dell’operazione con annessa restituzione di quanto versato, tali soldi andrebbero restituiti al padre o al figlio? Se il padre non cambiasse idea, ma purtroppo venisse meno prima del rogito, gli altri eredi del padre potrebbero chiedere alla cooperativa la restituzione delle somme versate dal padre? Il de cuius lascia testamento, scrivendo in esso: “questo figlio beneficia di tali somme per l’acquisto di quella casa”. Questa scrittura testamentaria fa subentrare il figlio nella titolarità delle somme versate dal padre alla cooperativa, nel caso tali somme non siano già divenute del figlio all’atto dei bonifici fatti dal padre alla cooperativa? Questa scrittura testamentaria può valere come tacita dispensa dalla collazione, visto che il figlio può ricevere effettivamente quell’importo solo se dispensato dalla collazione? Ovvero, è implicata l’intenzione di dispensare il figlio dalla collazione?”
Consulenza legale i 12/05/2022
Prima di affrontare il tema principale oggetto del quesito, ossia quello della donazione indiretta, si reputa necessario inquadrare correttamente l’aspetto relativo agli acquisti di alloggi da cooperativa edilizia.
Le cooperative edilizie possono essere di due tipologie, e precisamente:
a) cooperative c.d. “a società divisa”, il cui scopo è quello di costruire degli edifici ad uso abitazione. Terminata la costruzione degli stessi, la società assegna l’immobile ai soci, che lo acquistano in proprietà con conseguente scioglimento della società.
b) cooperative c.d. “a società indivisa”, la quale costruisce gli immobili, per poi assegnarli non in proprietà ma solo in godimento ai soci, per un determinato numero di anni, trascorsi i quali vengono ritrasferiti alla cooperativa, che rimane attiva.

Si dà per presupposto che il caso di specie debba farsi rientrare nel primo tipo di cooperativa, considerato che si fa espresso riferimento all’intenzione di acquistare l’alloggio.
Ora, nel momento in cui il socio, futuro acquirente, entra a far parte della cooperativa, si impegna contestualmente a versare alla stessa delle somme di denaro quale corrispettivo per il successivo trasferimento di una determinata abitazione, mediante una sorta di prenotazione.
Ciò fa seguito ad una domanda di assegnazione che, se accettata dalla cooperativa, comporta la conclusione di un vero e proprio contratto di vendita di bene futuro, analogo in tutto alla compravendita o al preliminare di compravendita di bene da costruire.
Tale vendita produce immediatamente effetti soltanto obbligatori, e precisamente l’obbligo per la cooperativa di trasferire il bene nel momento in cui verrà ad esistenza e contestualmente l’obbligo per il socio di versare le somme contrattualmente determinate.
Soltanto quando l’immobile viene ad esistenza avviene il vero e proprio trasferimento della proprietà (effetti reali del contratto), mediante un atto di assegnazione che sarà stipulato in forma pubblica dinanzi al notaio.

Quanto fin qui detto si ritiene di fondamentale importanza per chiarire le conseguenze del pagamento da parte del padre delle somme dovute dal figlio alla cooperativa, sia nell’ipotesi in cui il trasferimento dell’immobile si realizzi sia nella diversa ipotesi in cui non dovesse giungersi a detto trasferimento.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui si configura come donazione indiretta qualunque atto giuridico, anche specificamente disciplinato, che, posto in essere con spirito di liberalità, produce lo stesso effetto perseguito dalla donazione diretta, vale a dire l’arricchimento economico del donatario con il correlativo depauperamento del donante.
In particolare, la stessa Suprema Corte ha precisato che “nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario e, quindi, integra donazione indiretta del bene stesso, non del denaro, sicché, in caso di collazione, secondo le previsioni dell’art. 737 c.c., il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile, non il denaro impiegato per il suo acquisto” (Cass. 29 maggio 1998; Cass. 22 settembre 2000, n. 12563; Cass. 6 novembre 2008, n. 26746; Cass. 12 maggio 2010, n. 11496; Cass. civ., sez. II, sentenza 20 maggio 2014, n. 11035).

Nel caso di specie l’atto giuridico che viene utilizzato per arricchire indirettamente il patrimonio del figlio socio della cooperativa è l’adempimento del terzo (ove terzo è il padre, debitore il figlio e creditore la cooperativa edilizia), il quale seppure, come si è accennato prima, specificamente disciplinato dal codice civile all’art. 1180, integra un negozio mezzo per porre in essere, in concreto, una donazione indiretta.
Deve a questo punto precisarsi, però, che a tale conclusione potrà giungersi soltanto dopo aver verificato l’assetto di interessi che le parti del rapporto interno di provvista (padre e figlio) hanno voluto porre in essere.
Infatti, non va trascurato che colui il quale adempie in nome altrui conserva pur sempre il diritto di ripetere quanto da lui versato in forza del generale principio dell’indebito arricchimento; solo se ed in quanto egli dovesse rinunciare a tale diritto di regresso, il rapporto di provvista potrebbe assumere il carattere della gratuità, mentre in caso contrario non potrà che presumersi oneroso.

Precisati i termini generali della vicenda in esame, si cercherà adesso di rispondere alle singole domande che vengono poste, tenendo conto degli istituti giuridici che si ritengono interessati.
Dovendosi inquadrare l’acquisto da cooperativa nella fattispecie della vendita di cosa futura, gli effetti reali si produrranno soltanto nel momento in cui il bene viene ad esistenza.
Realizzatosi tale evento, non può non farsi applicazione del principio espresso dalla Suprema Corte ed a cui prima si è fatto riferimento, ossia quello secondo cui, in casi come questo, oggetto della donazione indiretta (e di conseguente collazione) non può considerarsi il denaro, bensì l’immobile (è di questo che in definitiva si viene ad incrementare il patrimonio del figlio).

Poiché l’atto giuridico posto in essere dal padre deve qualificarsi come adempimento del terzo ex art. 1180 c.c., lo stesso non può vantare alcun diritto alla restituzione delle somme corrisposte alla cooperativa qualora prima del trasferimento definitivo dell’immobile decidesse di cambiare idea.
Tale ripensamento potrà essere gestito soltanto nei rapporti tra padre (terzo) e figlio (debitore), c.d. rapporto di provvista, essendo concesso al padre di esercitare il c.d. diritto di regresso.
In tal caso sembra evidente che quell’adempimento viene a perdere il carattere della gratuità per assumere natura onerosa.

Non sarebbe neppure sufficiente l’assenso del figlio per legittimare la cooperativa alla restituzione al padre delle somme riscosse, in quanto si tratta di soggetto estraneo al rapporto contrattuale intercorrente tra la cooperativa stessa ed figlio socio; ciò significa che, in caso di eventuale scioglimento del vincolo contrattuale, la cooperativa potrà liberarsi da ogni obbligo di restituzione delle somme a quel punto indebitamente riscosse, solo facendone restituzione al legittimo creditore, ossia il socio.
Quanto fin qui detto vale anche per gli eredi del padre, per l’ipotesi in cui dovesse verificarsi la morte di quest’ultimo prima del trasferimento definitivo dell’immobile.
Altra ipotesi che si chiede di prendere in considerazione è quella relativa all’eventuale inserimento nel testamento del padre della clausola “questo figlio beneficia di tali somme per l’acquisto di quella casa”.
Tale espressione non può in alcun modo valere quale dispensa da collazione delle somme di denaro di cui il figlio ha beneficiato, mentre varrà quale conferma del c.d. spirito di liberalità che ha animato il padre nell’adempiere come terzo al debito che il figlio ha assunto nei confronti della cooperativa.
Ciò comporterà l’obbligo per il figlio beneficiario di conferire in collazione ex art. 737 c.c. l’immobile acquistato per effetto della donazione di quelle somme di denaro, secondo il valore che lo stesso avrà al momento dell’apertura della successione (così art. 747 c.c.).


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