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Articolo 750 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Collazione di mobili

Dispositivo dell'art. 750 Codice Civile

(1)La collazione dei mobili [751 c.c.] si fa soltanto per imputazione [747 c.c.], sulla base del valore che essi avevano al tempo dell'aperta successione [456 c.c.].

Se si tratta di cose delle quali non si può far uso senza consumarle, e il donatario le ha già consumate, si determina il valore che avrebbero avuto secondo il prezzo corrente [1474 c.c.] al tempo dell'aperta successione.

Se si tratta di cose che con l'uso si deteriorano, il loro valore al tempo della aperta successione è stabilito con riguardo allo stato in cui si trovano(2).

La determinazione del valore dei titoli dello Stato, degli altri titoli di credito [1992 ss. c.c.] quotati in borsa e delle derrate e delle merci il cui prezzo corrente è stabilito dalle mercuriali(3), si fa in base ai listini di borsa e alle mercuriali del tempo dell'aperta successione [556 c.c.].

Note

(1) Dubbia è l'applicazione della norma in commento anche ai crediti. Secondo l'opinione dominante l'art. 750 del c.c. si riferirebbe ai soli crediti esigibili.
(2) Tali beni si sarebbero ugualmente deteriorati restando presso il defunto e gli eredi avrebbero conseguito soltanto la rimanenza al tempo dell'apertura della successione.
(3) Per prezzo di borsa o mercato si intende far riferimento a quello ufficiale e non a quello medio o normale.

Ratio Legis

La collazione dei beni mobili avviene esclusivamente per imputazione, considerato il minor valore che normalmente caratterizza tali beni, e la maggiore facilità della loro circolazione.

Spiegazione dell'art. 750 Codice Civile

Questa disposizione ha dato luogo a dibattito in sede di lavori preparatori. Secondo l’articolo #1024# del vecchio codice del 1865, la collazione dei mobili si faceva soltanto per imputazione, sul ragguaglio del valore che avevano al tempo della donazione, in conformità della stima allegata all’atto, e in difetto giusta perizia. Poiché, secondo il vecchio codice, (art. #1070#) la donazione di cose mobili non era valida se non accompagnata da stima, l’ultima parte dell’art. #1024# andava riferita al caso di semplici doni manuali oppure di donazione impugnabile, ma effettivamente non impugnata.
Il codice attuale ha fissato, invece, come momento determinativo del valore, quello dell'apertura della successione, tanto se le cose mobili siano state consumate, tanto se siano state soltanto deteriorate, tanto - beninteso - se non abbiano subito variazioni. Il valore sarà determinato in base ai listini di borsa e alle mercuriali.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

362 Le successive disposizioni di questo capo non hanno dato luogo a rilievi e sono in gran parte rimaste immutate, salvi taluni miglioramenti formali. Soltanto l'art. 289 del progetto, corrispondente all'art. 750 del c.c., che disciplinava la collazione delle cose mobili, è stato profondamente mutato. Infatti il progetto, modificando il codice del 1865, ha distinto relativamente ai beni mobili l'ipotesi nella quale all'atto di donazione sia annessa una stima, dall'altra nella quale la stima manchi. Nella prima ipotesi ha fatto riferimento, per la determinazione del valore, alla somma risultante dalla stima, mentre nell'altra si è riferito al valore si tempo dell'aperta successione. Ora, è stato esattamente rilevato dalla Commissione delle Assemblee legislative che non è conforme alle finalità dell'istituto della collazione, e può portare a notevoli sperequazioni, il diverso trattamento fatto ai beni mobili nei confronti degli immobili. Perciò si è proposto di unificare il criterio per immobili e mobili, e di aver riguardo in tutti i casi al valore al tempo dell'aperta successione, anche se si tratti di cose mobili stimate. Ho accolto senz'altro la proposta della Commissiona e nell'art. 750 ho riportato la formula da essa adottata. Ho inoltre apportato alcune modificazioni di carattere formale al terzo comma dello stesso articolo.

Massime relative all'art. 750 Codice Civile

Cass. civ. n. 8174/2022

In tema di successione necessaria, la riunione fittizia, quale operazione meramente contabile di sommatoria tra attivo netto e "donatum", cioè tra il valore dei beni relitti al tempo dell'apertura della successione, detratti i debiti, ed il valore dei beni donati, sempre al momento dell'apertura della successione, è finalizzata alla determinazione della quota disponibile e di quella di legittima, per accertare l'eventuale lesione della quota riservata al legittimario; ne deriva che l'inammissibilità della domanda di riduzione proposta, nei confronti del donatario non coerede, dal legittimario che non abbia accettato l'eredità con il beneficio d'inventario è del tutto ininfluente ai fini della riunione fittizia. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso dalla riunione fittizia il valore di un bene donato ad un non coerede in ragione dell'inammissibilità della domanda di riduzione proposta nei suoi riguardi dal legittimario che aveva omesso di accettare l'eredità con il beneficio dell'inventario).

Cass. civ. n. 2505/2021

In tema di collazione, la cessione di quote societarie va tenuta distinta da quella d'azienda, atteso che, mentre la prima è soggetta alla disciplina propria della collazione dei beni mobili ex art. 750 c.c., in quanto attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria e non un diritto reale sul patrimonio societario, distinto dalle persone dei soci, sebbene, ai fini della valutazione delle quote ai sensi dell'art. 2289 c.c., debba aversi riguardo alle varie componenti del patrimonio societario, oltreché al valore di avviamento e della futura redditività dell'impresa, la seconda è, invece, soggetta alle modalità previste per i beni immobili, ex art. 476 c.c., in quanto rappresenta la misura della contitolarità del diritto reale sulla "universitas rerum" dei beni di cui si compone, sicché, ove si proceda per imputazione, deve tenersi conto del valore dell'azienda, quale complesso organizzato, e non di quello delle singole cose. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che non fosse erroneo, ai fini dell'accertamento del valore di una cessione di quote societarie, far riferimento al valore dell'azienda rientrante nel patrimonio della società onde risalire a quello delle quote, occorrendo all'uopo stimare le varie componenti del patrimonio societario, tra le quali rivestiva valore determinante l'azienda di farmacia, al cui esercizio la società era deputata).

Cass. civ. n. 10756/2019

La quota di società è soggetta a collazione per imputazione, prevista dall'art. 750 c.c. per i beni mobili, poiché - non conferendo ai soci un diritto reale sul patrimonio societario riferibile alla società, che è soggetto distinto dalle persone dei soci - attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria. La collazione della quota di azienda, che rappresenta la misura della contitolarità del diritto reale sulla "universitas rerum" dei beni di cui si compone, va compiuta, invece, secondo le modalità indicate dall'art. 746 c.c. per gli immobili, sicché - ove si proceda per imputazione - deve aversi riguardo al valore non delle singole cose, ma a quello assunto dalla detta azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell'apertura della successione. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO GENOVA, 30/10/2014).

Cass. civ. n. 20258/2014

La quota di società non conferisce al socio un diritto reale su beni costituenti il patrimonio societario, ma un diritto personale di partecipazione alla vita societaria, la cui misura non è soggetta a cambiamento per effetto di successivi aumenti di capitale, sicché la relativa donazione è soggetta a collazione per imputazione di beni mobili, ai sensi dell'art. 750 cod. civ., e, dunque, sulla base del valore che aveva al tempo di apertura della successione.

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Consulenze legali
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M. B. chiede
giovedì 26/12/2024
“Gentili signori,
vi sottopongo il seguente quesito, inerente ad un problema successorio.
• Un padre, vedovo, muore oggi lasciando due figli, che divideranno l’eredità in parti uguali.
• 30 anni fa il padre aveva donato ad uno dei due figli la totalità delle quote di una società immobiliare, proprietaria di diverse unità immobiliari. Il valore netto stimato della società, al momento della donazione, era di un miliardo di lire.
• La società è stata amministrata in tutti questi anni dal figlio donatario.
• Oggi la società immobiliare conta solo due immobili, gli altri essendo stati venduti ed il ricavato in varie forme utilizzato. Il valore netto della società è oggi di 200.000 Euro.
Il quesito è il seguente: qual è il valore corretto da considerare per la collazione ereditaria? Un miliardo di lire – eventualmente rivalutato –, 200.000 Euro o un altro ancora?
Grazie per la vostra cortese attenzione.”
Consulenza legale i 02/01/2025
Il quesito in esame richiede di affrontare la complessa questione della collazione dell’azienda e delle partecipazioni societarie.


Secondo la tesi prevalente in giurisprudenza, per determinare il valore delle partecipazioni ai fini successori occorre prendere in considerazione il loro valore al tempo dell’apertura della successione, considerato che è questo il momento al quale riferire la stima dei beni relitti e di quelli oggetto di donazione, fittiziamente richiamati nella riunione della massa ereditaria ex art. 556 del c.c., onde verificare se vi sia stata lesione della quota di riserva.


In particolare, mentre la donazione di azienda va equiparata alla liberalità di un immobile (con la conseguenza che la collazione della medesima può farsi, a scelta del donatario, per imputazione o in natura), la donazione delle partecipazioni sociali deve qualificarsi come una liberalità di beni mobili.
Trattandosi di beni mobili, vale per essi il disposto di cui all’art. 750 c.c., il quale stabilisce che la collazione può effettuarsi solo per imputazione e sulla base del valore che detti beni hanno al tempo dell’apertura della successione.

È stato, tuttavia, osservato che si tratta senza alcun dubbio di un criterio ragionevole allorché abbia ad oggetto la donazione di una partecipazione sociale d’investimento (ove viene in rilievo il semplice rendimento, trascurandosi l’attività del titolare), ma che il medesimo criterio appare irragionevole in caso di partecipazione sociale di gestione o di controllo, ove il valore delle partecipazione sociale o dell’azienda dipende principalmente dalla politica imprenditoriale.


Di contro, si osserva pure che non si può, seguendo un diverso criterio (quale potrebbe essere quello di far riferimento al valore della partecipazione al tempo della donazione), correre il rischio di includere - nel valore delle partecipazioni sociali e dell’azienda - i risultati dell’attività imprenditoriale svolta da parte del titolare, altrimenti nella successione del donante cadrebbe il valore dell’attività lavorativa del donatario.

La dottrina, così, ritiene di poter superare tali problematiche stimando il valore delle partecipazioni sociali e/o dell’azienda al tempo della donazione e capitalizzando questo valore al tempo dell’apertura della successione, richiamandosi a tal fine alla disciplina dettata per i patti di famiglia e valevole per il diritto tributario.


È proprio questa, peraltro, la soluzione a cui ha deciso di aderire il Tribunale di Sassari, Sez. I, con sentenza n. 576 del 24/05/20222 (Giudice Guadalupi), applicando analogicamente le norme dettate in tema di patto di famiglia, istituto giuridico disciplinato dagli artt. 768 bis e ss. c.c.
È tale quel contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni dettate in tema di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce in tutto o in parte l’azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce in tutto o in parte le proprie quote, ad uno o più discendenti, garantendo la tutela dei futuri legittimari.
I soggetti beneficiari, infatti, devono liquidare a questi ultimi una somma di denaro o l’equivalente in natura, il cui valore è determinato al momento della stipula del patto, secondo i criteri operanti in materia di successione necessaria, con esclusione dei meccanismi di riduzione e collazione ereditaria.


In contrario, tuttavia, si osserva che una soluzione di questo tipo, oltre che porsi in contrasto con l’orientamento prevalente in giurisprudenza, non convince proprio perché fa applicazione delle norme dettate in tema di patto di famiglia, senza considerare che la disciplina di tale istituto prevede la contestuale soddisfazione degli altri legittimari, sicché detta regola non può assumersi come generale per donazioni che avvantaggiano il solo beneficiario e che debbono essere prese in considerazione al fine di riequilibrare le porzioni spettanti ai legittimari a distanza di molto tempo.


Si ritiene, dunque, che la soluzione più corretta sia quella che, argomentando dalla qualificazione giuridica della partecipazione sociale quale bene mobile, faccia applicazione del disposto di cui all’art. 750 c.c., con la conseguenza che il valore da prendere in considerazione non può che essere quello che la partecipazione sociale ha al tempo dell’apertura della successione.
De resto, non va trascurato che tale soluzione si pone in stretta correlazione con quello che è il c.d. rischio di impresa, potendo ben verificarsi che, al contrario di ciò che è accaduto nel caso in esame, la partecipazione sociale possa presentare al momento dell’apertura della successione un valore di gran lunga superiore a quello che la stessa aveva al momento della donazione.