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Articolo 714 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Godimento separato di parte dei beni

Dispositivo dell'art. 714 Codice Civile

Può domandarsi la divisione anche quando uno o più coeredi hanno goduto separatamente parte dei beni ereditari, salvo che si sia verificata l'usucapione [1158 ss. c.c.] per effetto di possesso esclusivo(1) 1102 c.c.].

Note

(1) Affinché il coerede possa usucapire il bene è necessario che il suo possesso sia incompatibile con il godimento altrui: vi deve essere il passaggio dal possesso uti condominus a quello uti dominus.

Ratio Legis

La divisione deve avvenire d'accordo tra tutti i coeredi (c.d. divisione amichevole) o con l'intervento dell'autorità giudiziaria (c.d. divisione giudiziale), restando priva di effetti la c.d. divisione di fatto operata da uno o più coeredi salvo l'acquisto a titolo originario del bene per usucapione.

Spiegazione dell'art. 714 Codice Civile

Questo articolo disciplina l’ipotesi in cui i coeredi, invece di godere congiuntamente del patrimonio ereditario, abbiano lasciato tale godimento ad uno o più di essi e dichiara che tale possesso non è di ostacolo alla divisione; il coerede possessore dovrà soltanto rendere conto dei frutti.
L'importanza della disposizione sta nell’ultima parte di essa, in cui si legge che la divisione è impedita dal verificarsi dell’usucapione per effetto di possesso esclusivo. Il corrispondente art. #985# del vecchio codice del 1865 dichiarava di non potersi domandare la divisione quando si provasse esservi stato un possesso sufficiente ad indurre la prescrizione. Il nuovo testo, invece, parla di possesso esclusivo: e con ciò ha codificato quella che era la communis opinio precedente alla sua attuazione, che può riassumersi nelle seguenti enunciazioni:
a) La legge parlava (art. #985# codice del 1865) di godimento di parte dei beni ereditari, ma la soluzione non cambiava qualora uno dei comunisti avesse goduto dell’intero asse ereditario. Lo stesso bisogna ritenersi secondo quanto disposto dall’art. 714, il quale, in via esplicativa, ha aggiunto che il possesso, invece che da uno, può essere stato tenuto da più coeredi (o per beni diversi o per lo stesso bene, o per la stessa totalità di beni).
b) Il possesso dev’essere legittimo, giusta l’art. 686 del codice del 1865, e quindi, fra l’altro, non equivoco e con animo di tenere la cosa come propria. Secondo l’art. 1163 non giova per l'usucapione il possesso acquistato in modo violento o clandestino.
c) Il coerede che possiede oltre la propria quota non è un possessore precario; non gli è dunque applicabile la regola dell’art. #2115# del vecchio codice del 1865; non occorre, cioè, una vera e propria interversio possessionis, proveniente da un terzo o da una sua opposizione contro il proprietario (coerede) ma basta che il possesso sia stato esclusivo, cioè senza ingerenza dei coeredi contro i quali si vuole prescrivere. Gli atti nei quali tale possesso esclusivo si estrinseca consistono generalmente nel raccogliere tutti i vantaggi, sopportando tutti i pesi, nel mutare la destinazione della cosa, nel farvi innovazioni senza il consenso degli altri (quando sarebbe occorso) nell’amministrare o nel disporre da solo della cosa comune, ecc. È logico che tali atti debbano essere compiuti in modo da venire a conoscenza degli altri comunisti. Le controversie su questo punto. pertanto, si riducono ad un diverso modo di intendere l’opposizione da parte del possessore; ove si escluda la necessità di una dichiarazione formale, si può dire che scompaia ogni dissenso.
d) Il possesso esclusivo deve durare per vent’anni.
e) Il comunista può acquisire la quota altrui o anche l’intero mediante usucapione decennale qualora abbia acquistato da un terzo: ma l’ipotesi è di difficile realizzazione quanto all’estremo della buonafede.
La formulazione della norma fu oggetto di discussione in sede di lavori preparatori: dalla Relazione della Commissione parlamentare risulta che taluno dei commissari fece rilevare che godimento separato e possesso esclusivo si identificano, il che venne riconosciuto esatto. Se, quindi, il possesso di un coerede ha coesistito col godimento di altri, non vi è prescrizione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 714 Codice Civile

Cass. civ. n. 35067/2022

In materia di successione ereditaria, il coerede, prima della divisione, può usucapire la quota degli altri coeredi, senza necessità di invertire il titolo del possesso, allorché eserciti il proprio possesso in termini di esclusività, ossia in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare l'inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus", della cui prova è onerato, non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall'uso della cosa. Peraltro, tale volontà non può desumersi dal fatto che lo stesso abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario attraverso il pagamento delle imposte e lo svolgimento di opere di manutenzione, operando la presunzione "iuris tantum" che egli abbia agito nella qualità di coerede e abbia anticipato anche la quota degli altri.

Cass. civ. n. 9359/2021

Il coerede che, dopo la morte del "de cuius", sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, però, egli, che già possiede "animo proprio" ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, godendo del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare un'inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus", risultando a tal fine insufficiente l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune. (Nella specie la S.C., riformando la pronuncia di merito, ha escluso che possa costituire prova dell'usucapione di un appartamento la circostanza che il coerede, che già vi abitava con il padre, abbia continuato, dopo la morte di questi, ad essere l'unico ad averne la disponibilità). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 10/07/2015).

Cass. civ. n. 17876/2019

Ai fini della determinazione dei frutti che uno dei condividenti deve corrispondere in relazione all'uso esclusivo di un immobile oggetto di divisione giudiziale, occorre far riferimento ai frutti civili, i quali, identificandosi nel corrispettivo del godimento dell'immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, ben possono essere liquidati con riferimento al valore figurativo del canone locativo di mercato. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANIA, 16/05/2014).

Cass. civ. n. 10734/2018

Il coerede che dopo la morte del "de cuius" sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, egli, che già possiede "animo proprio" ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus". Non è, al riguardo, univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione "iuris tantum" che abbia agito nella qualità e operato anche nell'interesse degli altri.

Cass. civ. n. 7221/2009

Il coerede che dopo la morte del "de cuius" sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, egli, che già possiede "animo proprio" ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus", non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall'uso della cosa comune.

Cass. civ. n. 27287/2005

Il coerede il quale, dopo la morte del de cuius sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi: a tal fine, lo svolgimento di trattative con gli altri coeredi per la vendita da parte di costoro dei diritti loro spettanti sulla comune eredità non è incompatibile con il possesso esclusivo del coerede possessore che non abbia ancora maturato l'usucapione.

Cass. civ. n. 16841/2005

Il coerede o il partecipante alla comunione può usucapire l'altrui quota indivisa della cosa comune, dimostrando l'intenzione di possedere non a titolo di compossesso ma di possesso esclusivo (uti dominus) e senza opposizione per il tempo al riguardo prescritto dalla legge, senza la necessità di compiere atti di interversio possessionis alla stregua dell'art. 1164 c.c., potendo, invece, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole ,tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibili con il permanere del compossesso altrui ; viceversa, non sono al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad un estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore.

Cass. civ. n. 5006/1993

Allorché un coerede utilizzi ed amministri un bene ereditario provvedendo, tra l'altro, alla sua manutenzione, sussiste la presunzione iuris tantum che egli agisca in tale qualità e che anticipi le spese anche relativamente alla quota degli altri coeredi. Pertanto, il coerede che invochi l'usucapione ha l'onere di provare, a norma dell'art. 1102 c.c., il mutamento del titolo del possesso, ossia che il rapporto materiale con il bene si sia verificato in modo da escludere, con palese manifestazione del volere, gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare un analogo rapporto con il bene ereditario.

Cass. civ. n. 1933/1993

Quando viene scoperto un testamento che modifica le quote che andrebbero attribuite agli eredi legittimi, il precedente compossesso dei beni ereditari da parte dei predetti eredi (legittimi) non può essere considerato possesso di beni altrui e, quindi, non può essere utile ai fini della usucapione.

Cass. civ. n. 2944/1990

In tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, né una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per l'usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi, per un verso, l'impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, per altro verso, denoti inequivocabilmente l'intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, per cui ove possa sussistere un ragionevole dubbio sul significato dell'atto materiale, il termine per l'usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva.

Cass. civ. n. 3563/1989

In tema di comunione ereditaria, ai fini della usucapione dei beni ereditari prima della divisione è necessario un atto di interversione del possesso da parte del coerede qualora egli eserciti su quei beni, in forza del consenso degli altri coeredi, un possesso «separato» quale mera realizzazione del godimento della propria quota ereditaria (salvo conguaglio in sede di divisione).

Cass. civ. n. 3208/1986

In applicazione degli artt. 714, 1141 e 1164 c.c., anche prima della divisione il coerede può acquistare per usucapione la quota o il compendio ereditario per l'intero, ove egli abbia posseduto per il tempo necessario ad usucapire, animo domini, in modo esclusivo ed incompatibile con la possibilità di fatto di un godimento comune con il coerede cui appartiene la quota o con tutti gIi altri coeredi, e ciò senza che sia necessaria, a differenza che nel caso del precarista, un'interversione del titolo del possesso.

Cass. civ. n. 1529/1985

In tema di comunione ordinaria ed ereditaria il compartecipe può usucapire la cosa senza necessità dell'interversione del possesso (art. 1164 c.c.), attraverso la semplice estensione del possesso medesimo in termini di esclusività, ma a questo fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso della cosa, occorrendo, altresì, che detto compartecipe ne abbia goduto in modo obiettivamente inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus. (Nella specie, in applicazione del surriportato principio, non si è ritenuto sufficiente, al fine della prova del possesso esclusivo di un immobile di proprietà comune, l'assunzione da parte di uno dei compartecipi, di tutti gli oneri ordinari e straordinari di miglioria).

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Consulenze legali
relative all'articolo 714 Codice Civile

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Cliente chiede
lunedì 22/04/2024
“Diritto di Famiglia: Successionie Ereditaria
Siamo 3 fratelli che hanno ereditato un immobile dal genitore defunto (madre) nel 2019 già suddiviso in precedenza dopo la morte del padre (prima della madre) 1999.
La successione è stata da me presentata con accordo degli altri 2 fratelli (uno con intervento di un legale per conto della sorella più grande) nell'Agosto 2020 All'Agenzia delle Entrate, dove è stato dichiarato che non c'erano altri beni da dividere oltre all'immobile.
Io ho il possesso dell'immobile (chiavi) dal 1999 da quando mia madre è rimasta vedova in quanto sono stato l'unico degli altri 2 fratelli ad occuparmi di lei fino alla sua morte (2019).
Il fratello più grande (sorella) per una sua volontà ha interrotto i rapporti con mia madre e con me a partire dal 2001, senza mai preoccuparsi dello stato di salute e altro della madre fino ad essere assente nel giorno del suo funerale.
L'altro fratello (il più piccolo) pur essendo all' estero per lavoro ha mantenuto i rapporti telefonici e sporadici d' incontro con me e con la madre, perché sapeva che io avrei pensato anche per Lui a ns. madre.
Dal 2005 fino al 2020 oltre al possesso delle chiavi dell' immobile, sono stato residente nell'abitazione con mia madre.
Nel 2020 ho cambiato residenza perché mi sono sposato ma ho continuato ad avere il possesso dell' immobile fino ad oggi.
Nel 2022 c'è stato una sorta di riavvicinamento con la sorella, mio e di mio fratello (che non parlava più con la sorella dal 2013) per dei problemi di salute della stessa e guai giudiziari.
Detto riavvicinamento da parte mia si è subito interrotto nel Novembre 2022, mentre per mio fratello non so se ha ancora rapporti.
Di recente ho ricevuto una raccomandata lettera e pc inviata anche a mio fratello (dove non leggo gli estremi della raccomandata inviata allo stesso) di un avvocato per conto della sorella, che intesta la lettera "Scioglimento divisione Ereditaria della madre" invitando le parti ad un accordo stragiudiziale per la consegna da parte mia di una copia delle chiavi ad entrambi fratelli (il fratello più piccolo non ha mai rivendicato niente dopo la successione) e per
effettuare in contraddittorio l'inventario dei beni mobili ivi presenti".
Da precisare che fin dalla morte di mia madre l' immobile di comune accordo con gli altri fratelli è stato messo in vendita e tutt' ora è in vendita, libero da cose(vuoto) e nessuno dei due dal momento della successione ad oggi ha mai rivendicato cose o beni mobili., vuoi anche per il modesto arredo presente.
Fatta questa premessa vorrei:
1)Se posso rivendicare il diritto dell' usucapione dell'immobile visto il mio possesso dal 1999 ad oggi (sono oltre 20 anni)
2) se posso chiedere danni alla sorella per la mancata assistenza e supporto alla madre per oltre 18 anni, assistenza che ho dato solo io in salute e nel male( ricoveri ospedalieri e interventi chirurgici) a mia madre fino alla sua morte sottraendo alla mia vita il mio lavoro è la mia libertà personale.
Ho dalla mia parte un pullman di testimoni che possono confermare la mia assistenza a mia madre e la latitanza della sorella nei confronti della madre.
Resto in attesa di un Vs riscontro
Grazie

Consulenza legale i 07/05/2024
La facoltà di cui ci si vorrebbe avvalere in effetti risulta espressamente prevista dal legislatore all’art. 714 del c.c., norma che riconosce al coerede il diritto di opporsi alla divisione facendo valere l’usucapione del bene comune caduto in successione allorchè ne abbia avuto il possesso esclusivo per il tempo richiesto dalla legge, ovvero per venti anni secondo quanto disposto dall’art. 1158 del c.c.
Ora, della questione relativa alla possibilità o meno di usucapire un immobile in comproprietà si è in diverse occasioni occupata la giurisprudenza di legittimità, la quale ha, in verità, mostrato nel corso degli anni un orientamento altalenante, in quanto alla tesi negativa si è contrapposta quella favorevole all’acquisto della proprietà esclusiva per usucapione.


Un punto fermo sulla questione è stato raggiunto con l’ordinanza della Cass. Civ. Sez. VI, n. 10620 del 04.06.2020, così massimata: “In tema di possesso ad usucapionem di beni immobili, la fattispecie acquisitiva del diritto di proprietà si perfeziona allorché il comportamento materiale continuo ed ininterrotto attuato sulla res sia accompagnato dall'intenzione resa palese a tutti di esercitare sul bene una signoria di fatto corrispondente al diritto di proprietà, sicché - in materia di usucapione di beni oggetto di comunione – il comportamento del compossessore, che deve manifestarsi in un'attività apertamente ed obiettivamente contrastante con il possesso altrui, deve rivelare in modo certo ed inequivocabile l'intenzione di comportarsi come proprietario esclusivo”.

In particolare, secondo quanto si legge nell’ordinanza sopra citata, quel comportamento c.d. uti dominus, discendente dal possesso continuo, ininterrotto e pacifico, che consente l’acquisto a titolo originario della proprietà di un bene, può anche essere posto in essere dal comproprietario, ammettendosi dunque che questi possa usucapire la quota o le quote del bene immobile appartenenti agli altri comproprietari rimasti inerti.


Occorre a questo punto valutare se nel caso di specie possano dirsi integrati i presupposti per l’acquisto dell’immobile a titolo originario in favore di colui che pone il quesito e la risposta, purtroppo, almeno stando agli elementi del caso concreto qui forniti, si ritiene debba essere negativa.
Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, infatti, ai fini dell’usucapione di beni dell’eredità da parte di uno dei coeredi non basta che gli altri partecipanti si siano astenuti dall’uso della cosa, ma occorre anche che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus (in tal senso Cass. Ord., 966/2019; Cass Ord., 10494/2018; Cass. 24214/2014; Cass. 7221/2009; Cass. 5687/1996; Appello L'Aquila 3.9.2012; Trib. Lecce 7.1.2022; Trib. Cassino 27.1.2011; Trib. Lodi 15.12.2010; Trib. Salerno 14.10.2009; Trib. Cassino 24.9.2009).


Ebbene, quest’ultimo presupposto sembra palesemente escluso dalle seguenti circostanze di fatto:
  1. l’immobile non è stato mai posseduto in via esclusiva da colui che adesso vuole rivendicarne la proprietà, essendo stato abitato da quest’ultimo, per gran parte del periodo utile all’usucapione, insieme alla madre;
  2. la volontà di possedere uti condominus, e non uti domunus, si ritiene possa essere agevolmente desunta dal fatto che dopo la morte della madre l’immobile, stando a quanto viene detto nel quesito, è stato messo in vendita “di comune accordo” tra tutti i fratelli comproprietari, il che lascia intendere che quel godimento esclusivo sia piuttosto conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte degli altri contitolari, inidoneo, come tale, a legittimare l’esercizio del possesso “ad usucapionem” (si veda in tal senso Cass. civ. ordinanza n. 30765/2023).


Passando alla seconda domanda, la questione dell’esistenza di un diritto al risarcimento in capo al figlio che si occupi da solo del genitore anziano e/o cagionevole di salute, mentre gli altri figli se ne disinteressano, è piuttosto delicata e richiede di capire, prima di tutto, quali siano gli obblighi dei figli verso i genitori e quali siano le conseguenze della violazione di tali doveri.
Dal punto di vista del diritto civile, gli artt. 433 e seguenti del c.c. contengono la disciplina dei cc.dd. alimenti.
Spieghiamo sinteticamente di cosa si tratta.
Gli alimenti sono una prestazione che ha natura sostanzialmente economica. Infatti consistono nel pagamento periodico di una somma di denaro, che ha lo scopo di far fronte alle necessità di vita del beneficiario, il quale deve trovarsi in stato di bisogno. Per non dilungarci troppo, ci basterà dire in questa sede che tra i soggetti tenuti a versare gli alimenti ci sono i figli, nei confronti naturalmente dei genitori.
Una modalità alternativa di prestazione degli alimenti, prevista espressamente dalla legge (art. 443 c.c.), è quella di accogliere presso di sé e mantenere direttamente il beneficiario/alimentando, anziché versargli un assegno mensile.
C’è da dire, però, che la disciplina degli alimenti riguarda i rapporti tra persona obbligata a versarli e beneficiario. Nel nostro caso, invece, si tratta di capire se sia possibile una qualche forma di rimborso o addirittura di risarcimento danni nei confronti dei fratelli e/o sorelle che non si sono presi cura del genitore.

Prima di arrivare a ciò, però, facciamo un brevissimo accenno alle conseguenze penali della mancata assistenza: si potrebbero, infatti, commettere dei reati, come la violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.) o, addirittura, l’abbandono di persona incapace (art. 591 c.p.). Naturalmente, la sussistenza dei presupposti di tali reati deve essere attentamente valutata, caso per caso; la nostra vuole essere, infatti, un’informativa di carattere generale con lo scopo di evidenziare le possibili conseguenze di determinati comportamenti.

Veniamo quindi alla risposta al quesito che, purtroppo, ad avviso di chi scrive è negativa.
Infatti prendersi cura di un genitore malato o non autosufficiente rientra tra quelle che vengono chiamate “obbligazioni naturali”, cioè doveri imposti da regole morali o derivanti dall’appartenenza alla società e che, quindi, rispondono a un principio superiore di solidarietà.
Ora, per l’art. 2034 c.c. chi effettua spontaneamente una prestazione in esecuzione di doveri morali o sociali non può “ripetere”, cioè chiedere indietro, quanto prestato (quindi non può chiedere ad es. la restituzione di una somma di denaro).
Quindi, chi ha volontariamente accudito il genitore non può chiedere il risarcimento o il rimborso ai fratelli o alle sorelle.


F. G. chiede
martedì 26/07/2022 - Campania
“Ho una causa di divisione di terreni ereditari da ben 15 anni; i cinque fratelli, tutti contadini, che coltivavano il terreno sono deceduti e sono subentrati i figli; uno dei condividenti sostiene di aver usucapito una certa porzione del terreno avendo continuato il possesso del padre. Di fatti OGGI I FONDI SONO ABBANDONATI, NON COLTIVATI, anche quelli di colui che pretende l'usucapione in danno degli altri condividenti. A parte le disquisizioni sull'usucapione ed il timore di essere denunciato per invasione di terreni da questo signore che si è inventato l'usucapione la domanda è: E' legittimo pretendere l'usucapione e lasciare il fondo incolto? il predetto signore non sta commettendo qualche reato? Aver recintato il terreno a causa di divisione in corso al fine di escludere gli altri condividenti non è alterazione dello stato dei luoghi?
cosa si può fare?”
Consulenza legale i 09/08/2022
L’azione posta in essere da uno dei condividenti, consistente nel recintare in corso di causa una porzione del terreno da dividere, non può essere capace di influenzare e comunque produrre alcun effetto giuridico ai fini della formazione dei lotti e della conclusione del giudizio di divisione.
Sembra più che evidente che intenzione di colui che ha recintato sia quella di far uscire quella porzione di terreno dal lotto complessivo da dividere, in modo da ottenerne una quota di maggiore consistenza.

Tuttavia, va detto che non è certamente questo il modo corretto per reclamare e far valere l’usucapione, ancor più nel corso di una causa di divisione.
La norma a cui probabilmente intende fare ricorso colui che ha recintato il terreno è l’art. 714 c.c., ove è prevista la possibilità di domandare la divisione anche nel caso in cui uno o più coeredi abbiano separatamente goduto di parte dei beni ereditari, facendo tuttavia salvi gli effetti dell’usucapione.
Si precisa in giurisprudenza che, ai fini dell’usucapione, non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall’uso della cosa, occorrendo invece che il coerede abbia goduto del bene o della porzione di bene che intende usucapire in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui ed in modo tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus (così Cass. ord. n. 966/2019, ord. n. 10494/2018, sent. n. 24214/2014, sent. n. 7221/2009, sent. n. 5687/1996).

In ogni caso, come si è prima accennato, l’avvenuta usucapione del bene non può essere reclamata semplicemente nei fatti con una recinzione, ma avrebbe dovuto essere quantomeno dedotta dalla parte che ne ha interesse in sede di giudizio di divisione, integrando un’eccezione in senso stretto, in quanto diretta a rilevare la sopravvenienza dei fatti estintivi del diritto degli altri condividenti, la quale deve essere, pertanto, proposta a pena di decadenza con la comparsa di costituzione e risposta depositata dal convenuto nei termini di legge.

A ciò si aggiunga che secondo quanto statuito di recente dalla Corte di Cassazione, Sez. II. con sentenza n. 1642 del 22.01.2019 “Non può essere sottratta dalla comunione ereditaria, per intervenuta usucapione, la sola porzione materiale di un più ampio immobile. Ciò in ragione del fatto che l’usucapente deve godere del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale da evidenziare la volontà di possedere uti dominus e non più uti con dominus”.
Nel caso di specie la Corte di Cassazione escludeva che uno dei coeredi potesse usucapire un’area o un’ala di un castello di oltre 200 vani, ipotesi che ben può assimilarsi alla pretesa del coerede di aver usucapito una porzione, peraltro indivisa, di un più ampio lotto di terreno.

Non potendo trovare quella pretesa di usucapione alcun fondamento giuridico e dovendosi ritenere tutti i coeredi legittimati ad usare il bene immobile ereditato, la conclusione che se ne deve trarre è che il comportamento tenuto dal coerede che ha arbitrariamente recintato una porzione di quell’immobile (così intendendo privare gli altri coeredi del possesso e godimento di detta porzione) configura a tutti gli effetti gli estremi dello spoglio, e ciò conformemente a quanto sostenuto da Cass. civ. sent. n. 17988 del 07.09.2004, ove si legge quanto segue:
Il coerede detentore che impedisce agli altri coeredi il potere di fatto esercitato dal proprio dante causa costituisce spoglio in quanto realizza le condizioni per mutare l’originario compossesso in possesso esclusivo”

Si osserva, infatti, che la detenzione da parte di un coerede non può privare gli altri coeredi, non detentori, del compossesso dei beni ereditati, in quanto costoro succedono nella stessa situazione possessoria che faceva capo al de cuius senza necessità di alcun atto di materiale apprensione.
Integrando l’atto di recinzione gli estremi dello spoglio, ci si dovrà necessariamente avvalere dello strumento giuridico a tali fini messo a disposizione dal nostro ordinamento giuridico, ovvero l’azione di reintegrazione, disciplinata dall’art. 1168 del c.c..
In tal senso si legge sempre nella sentenza da ultimo citata n. 17988/2004 che “l’atto a mezzo del quale il coerede detentore mira, anche senza violenza materiale a modificare arbitrariamente a proprio vantaggio e in danno degli altri coeredi non detentori la relazione di fatto col bene è tutelabile con l’azione di reintegrazione”.

Pertanto, ciò che si consiglia è di affrettarsi a diffidare formalmente il coerede che ha apposto la recinzione a rimuovere la stessa, portando all’attenzione del destinatario, nel corpo della medesima diffida, che l’escludere da ogni godimento diretto o indiretto, anche occasionale, gli altri coeredi fa sorgere in capo a questi ultimi il diritto ad una indennità di occupazione.
Qualora, poi, pur a seguito di tale diffida, il coerede dovesse non rimuovere la recinzione, non resta altra soluzione che quella di agire con l’azione di reintegrazione, la quale va in ogni caso proposta a pena di decadenza entro l’anno dal sofferto spoglio (ovvero entro un anno da quando è stata apposta la recinzione).

M. S. chiede
domenica 30/01/2022 - Lombardia
“buongiorno,

sono uno tra i cinque coeredi in una successione diretta madre / figli. La de cuius ( classe 1921 ) è decedu-ta il 31.10.2020.
Ad oggi, il responsabile della gestione economica in vita della defunta ( uno dei fratelli ) nonostante ripetuti solleciti NON ha ancora presentato il rendiconto finale della successione con relative pezze giustificative.

Della successione fanno parte n. 2 box auto nello stesso stabile ove a partire dal 1998 uno dei coeredi ( che ha curato gli interessi economici in vita della defunta ) ha in essere un bilocale uso ufficio per la sua ditta.

Gli accadimenti:
1) dal 1998 il coerede occupa SINE TITULO e ad uso personale entrambi i box. Uno adibito a ricovero della sua auto di lusso, l’altro per il ricovero della sua seconda autovettura quando si reca nel bilocale affittato.
2) dopo oltre un anno dalla morte della de cuius e nonostante reiterate richieste da parte di 2 coeredi, ad oggi non sono state ancora consegnate copia delle chiavi dei predetti box auto che continuano ad essere utilizzati ed occupati dal coerede ( che afferma però che i due box sono a disposizione di tutti gli eredi ?! ).
3) abbiamo richiesto la corresponsione di un equo affitto mensile, visto che occupa sine titulo i due box, a partire dal 01.11.2021 per i mesi successivi sino alla liberazione deli stessi e consegna della copia delle chiavi.

- Posso chiedere la liberazione coatta dei due box con relativa consegna delle copie delle chiavi?
- E’ legittima la mia richiesta di un affitto ( ovviamente da dividere tra i cinque eredi ) a compenso dell’occupazione sine titulo dei due beni a decorrere dal mese successivo al decesso della defunta?
- posso chiedere un reintegro RETROATTIVO delle quote di legittima a titolo di compenso per aver occupato abusivamente i due box dalla data di stipula del contratto di locazione del bilocale nello stesso stabile locato nel Gennaio 1998? ( che il contratto di affitto del bilocale non comprendesse i due box l’ ho saputo solo nel mese di
Ottobre 2021 quando ho materialmente esaminato il contratto di locazione ).

grazie”
Consulenza legale i 08/02/2022
Di una situazione come quella in esame si occupa una norma ben precisa del codice civile, ossia l’art. 714 c.c., dettato in tema di divisione ereditaria.
Tale norma riconosce ai coeredi il diritto di chiedere la divisione dei beni caduti in successione anche nel caso in cui uno o più di essi abbiano goduto separatamente di parte dei beni ereditari, riconoscendo a coloro che possano vantare tale possesso esclusivo il diritto di far valere, se ne sussistono i presupposti, l’usucapione.

Nel caso di specie, stando a quanto viene riferito nel quesito, sembrerebbero sussistere i presupposti per impedire al coerede, che dal 1998 ha il possesso esclusivo degli immobili, di far valere l’acquisto per usucapione degli stessi (qualora dovesse averne intenzione), e ciò per le seguenti ragioni:
a) nel periodo che va dal 1998 alla data della morte della madre, si ritiene verosimile sostenere che il figlio possa soltanto vantare la detenzione (e non già il possesso) dei due box, in virtù di un rapporto che può qualificarsi di comodato gratuito.
Certo, non è escluso che lo stesso possa tentare di dimostrare che vi sia stata una cd. interversione del possesso (ossia di aver esercitato nei fatti non la mera detenzione, ma il possesso su quei due locali), nel qual caso, in assenza di un atto scritto tra la madre ed il figlio (da cui far constare il rapporto di comodato), non resta per gli altri eredi che dover fare ricorso alla prova testimoniale, dovendosi tentare di dimostrare, attraverso testi, che il godimento di quegli immobili si inseriva in un più ampio contesto gestorio degli interessi economici della madre.
b) altro valido argomento utilizzabile per contrastare una eventuale pretesa di usucapione dei due box lo si può dedurre da quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione, sez. II civ. con sentenza n. 1642 del 22.01.2019.
Afferma la S.C. in detta sentenza che “Non può essere sottratta dalla comunione ereditaria, per intervenuta usucapione, la sola porzione materiale di un più ampio immobile. Ciò in ragione del fatto che l’usucapente deve godere del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale da evidenziare la volontà di possedere uti dominus e non più uti con dominus”.
Ebbene, in questo caso l’usucapione non avrebbe propriamente ad oggetto “una porzione di un più ampio immobile”, ma si ritiene che lo stesso principio possa invocarsi anche in relazione ai due box, considerato che questi costituiscono pertinenza del bilocale concesso regolarmente in affitto ad un terzo estraneo (si dice nel quesito che fanno parte dello stesso stabile).

Illustrate le possibili argomentazioni a cui fare ricorso per il caso in cui il figlio avesse intenzione di far valere l’usucapione, ci si può adesso occupare delle altre problematiche poste nel quesito.
La prima questione concerne la sussistenza o meno di un diritto a richiedere la corresponsione di un equo affitto mensile a far data dal 01.11.2021.
In senso favorevole ad una tale richiesta si rinvengono diverse sentenze della Corte di Cassazione (tra cui si segnalano Cass. civ. Sez. II ord. N. 17876 del 03.07.2019; Cass. civ. Sez. II sent. n. 20394 del 05.09.2013; Cass. civ. sez. II sent. n. 7716 del 02.08.1990), nelle quali la S.C. sostiene che, nel caso in cui il condividente di un bene immobile abbia goduto, durante la comunione, dell’intero bene da solo senza alcun titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri, quale ristoro per la privazione della utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti al tempo della divisione.
Tali frutti, identificantisi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono, solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione, essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile; è stato altresì precisato che la capacità del bene di produrre reddito va compiuta in relazione allo stato in cui il bene si trova, dovendosi verificare se lo stesso possa essere effettivamente oggetto di utilizzazione.

La seconda questione concerne la sussistenza o meno di un diritto a chiedere la liberazione coatta dei due box con relativa consegna delle chiavi.
Anche in questo caso può rispondersi che si tratta di una richiesta più che legittima, sebbene sia opportuno far precedere detta richiesta da un formale invito alla liberazione dei due locali, onde consentire all’altro o agli altri coeredi il diritto di pari uso degli stessi immobili, secondo quanto previsto dall’art. 1102 del c.c., nella parte in cui dispone, appunto, che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purchè non impedisca agli altri partecipanti di farne pari uso.
Per il formale invito alla liberazione si consiglia di avvalersi di un atto extragiudiziario, da notificare a mezzo ufficiali giudiziari.

L’ultimo dubbio, infine, attiene alla sussistenza o meno del diritto di chiedere che nel calcolo della massa ereditaria da dividere, ai fini della determinazione della quota di riserva a ciascun legittimario spettante, si tenga conto anche di ciò di cui il figlio si è arricchito per aver goduto, dal 1998 alla data della morte della de cuius, dei due box.

Su tale specifica problematica si sono espressi in maniera difforme dottrina e giurisprudenza.
In particolare, secondo la giurisprudenza (cfr. Cass. civ. sent. n. 24866 del 23.11.2006 e più di recente Cass. Sez. II civ. sent. n. 27259 del 16.11.2017), in tema di divisione ereditaria non è qualificabile come donazione soggetta a collazione il godimento, a titolo gratuito, di un immobile concesso durante la propria vita dal de cuius ad uno degli eredi, e ciò perché l’arricchimento procurato dalla donazione non può essere identificato con il vantaggio che il comodatario trae dall’uso personale e gratuito della cosa comodata (tale utilità costituisce il contenuto tipico del comodato stesso e non il risultato finale dell’atto posto in essere dalle parti, come avviene nel caso tipico della donazione).
In senso contrario, invece, si pone la dottrina, la quale sostiene che la concessione fatta dal de cuius e protratta per un lungo periodo di tempo possa considerarsi come donazione indiretta, sottoposta come tale all’istituto della collazione.

Ebbene, a prescindere dal suddetto contrasto di opinioni, non va trascurato che, anche a voler sostenere la tesi della donazione indiretta, ci si troverebbe dinanzi ad un ostacolo di non poco rilievo, ossia quello di dover sostenere la prova del c.d. animus donandi, prova che nel caso di specie si ritiene possa essere difficile da fornire, considerato che, come viene asserito nel quesito, il fratello di fatto si occupava di gestire il patrimonio della madre.
In definitiva, si sconsiglia di portare avanti un’azione di quest’ultimo tipo.

Chiara D. B. chiede
lunedì 12/10/2020 - Veneto
“Spett. Brocardi,
nel 2002 alla morte della padre eredito il 25% di nuda proprietà di un garage e mia sorella l'altro 25% , sempre la nuda proprietà, mia madre eredita l'usufrutto di entrambe, tra l'altro era proprietaria del restante 50%.
Nel 2009 mia sorella riceve come donazione il 25% dell'usufrutto della madre per la quota della sua nuda proprietà, il mio 25% rimane ancora a mia madre.
Nel 2016 mia madre muore ed io faccio subito l'allineamento usufrutto per dichiarare il mio possesso del 25% per intero.
Il garage scopro nel 2016 che era in utilizzo esclusivo da mia sorella, non ben precisato da quanto, a parte la dichiarazione di mia sorella che dichiara di averlo dal 1980, unici testimoni suo figlio e il padre del secondo figlio, testimoni di parte.
Chiedo a mia sorella più volte fino al 2019 un affitto per tale quota di mia proprietà , ma le si rifiuta di corrisponderlo.
Nel 2019 a causa di lavori straordinari da eseguire dentro il garage per un perdita dall'appartamento soprastante sempre in comproprietà, chiedo le chiavi.
Mia sorella si rifiuta di darmele e mi diffida ad entrare senza il suo permesso.
Io scardino la serratura, cambio la chiave gliela consegno metto delle mie cose dentro.
Mia sorella mi minaccia di denunciarmi se non le consegno la chiave e non tolgo le mie cose messe dentro.
Può Farlo? Come mi devo comportare?
grazie
saluti”
Consulenza legale i 15/10/2020
Per rispondere al quesito in esame, occorre in primo luogo far presente che il nostro ordinamento tutela sia situazioni di diritto che situazioni di fatto.
In queste ultime, rientra il possesso che è definito dal codice civile (art. 1140 c.c.) come il “potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale”.
Dunque un soggetto possessore di un bene (anche se non proprietario) se viene molestato in tale stato di fatto può rivolgersi ad un giudice ed ottenere tutela.
Si pensi a tal proposito, alle azioni previste dagli articoli 1168 e 1170 del codice civile denominate, appunto, possessorie.

Ciò posto, nella presente vicenda leggiamo che Sua sorella sostiene di possedere in modo esclusivo il garage in questione sin dal 1980.
Chiaramente, un tale assunto in un ipotetico giudizio andrebbe dimostrato con prove (testimoni, documenti ecc.ecc.).
Ma facendo finta che in effetti sia così, legittimamente Sua sorella Può impedirLe di utilizzare il garage. Scardinare la serratura costituisce infatti un tipico caso di spoglio del possesso. La circostanza che successivamente sia stata fornita una copia delle chiavi non fa venire meno l’aspetto della turbativa considerato anche che nel garage sarebbero state collocate anche cose di Sua proprietà.
Tuttavia, nel nostro caso, leggiamo che il fatto sarebbe avvenuto nel 2019.
L’art. 1168 del codice civile prevede che l’azione possessoria possa essere esperita entro un anno dal sofferto spoglio.
Quindi, a meno che lo spoglio non sia stato posto in essere nei mesi di novembre o dicembre 2019 o ci sia stato un atto interruttivo, l’anno è ormai decorso e l’azione quindi decaduta.

Questo per quanto attiene la situazione di fatto. Riguardo invece la situazione di diritto si osserva quanto segue.

Sua sorella sostiene un possesso esclusivo del garage ultraventennale.
Laddove ciò venisse dimostrato, potrebbe trovare applicazione quanto previsto dall’art. 714 del codice civile che ammette l’usucapione dei beni ereditari. Sua sorella dovrebbe dimostrare cioè l’intenzione di possedere il garage non a titolo di compossesso ma di possesso esclusivo.
Sul punto, la Cassazione con sentenza n.10734/2018 ha evidenziato che: “Il coerede che dopo la morte del "de cuius" sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, egli, che già possiede "animo proprio" ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus". Non è, al riguardo, univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione "iuris tantum" che abbia agito nella qualità e operato anche nell'interesse degli altri.”
Tale principio è stato ribadito anche nella più recente ordinanza n.966 del 2019.

Allo stato, non sappiamo se effettivamente Sua sorella possa dare o meno prova di quanto sopra.
In ogni caso, se proprio appare impossibile tentare un dialogo ai fini di una soluzione bonaria della vicenda (che sarebbe, ovviamente, la cosa migliore), suggeriamo quanto meno di inviare una lettera raccomandata da cui risulti che le chiavi sono state consegnate, contestando qualsiasi possesso esclusivo del bene di Sua sorella e rappresentando che i Suoi beni sono legittimamente collocati nel garage in quanto vi è un compossesso del bene ereditario.

Roberta chiede
martedì 18/12/2018 - Abruzzo
“Buongiorno. Porgo il seguente quesito.

Mia madre insieme ad altri fratelli e sorelle è diventata co-proprietaria oltre 25 anni fa di un piccolo terreno con annessa una casina di legno, pervenuto per eredità a seguito del decesso di un fratello.
Nel frattempo sono deceduti tutti gli altri fratelli (tranne una sua sorella). Ovviamente le quote dei fratelli sono passate ai figli.
Di fatto di questo piccolo orticello se ne è sempre occupato il marito di mia zia (la sorella superstite di mia madre).
In considerazione che nessuno dei moltissimi co-eredi si occupa di questa piccola proprietà e tantomeno ne è interessato, potrebbe il marito di mia zia avviare la pratica per l’Usucapione; da oltre 25 anni nessuno ha mai rivendicato il diritto di proprietà.
Se si, qual è l’ITER da avviare?
Attendo riscontro.
Saluti”
Consulenza legale i 24/12/2018
La risposta al quesito che si pone è positiva.
Ad orientarci in tal senso è l’art. 714 c.c., dettato in materia di divisione ereditaria.

La situazione che si presenta, infatti, è proprio quella della comunione ereditaria, dalla quale si potrebbe uscire soltanto con una divisione, consensuale o giudiziale, a seconda della sussistenza o meno di accordo tra i coeredi.
La norma sopra citata prevede l’ipotesi in cui uno o più coeredi abbiano goduto separatamente di parte dei beni ereditari, riconoscendo a ciascuno degli eredi il diritto di domandare in qualunque momento la divisione per sciogliere quella comunione, ma facendo salva la facoltà, per colui o coloro che hanno avuto il possesso esclusivo di un determinato bene ereditario, di far valere l’intervenuta usucapione.

Per verificare se sussistono i presupposti necessari per il maturarsi di questa forma di acquisto della proprietà, si deve volgere l’attenzione alle norme dettate sempre dal codice civile in materia di usucapione, ed in particolare agli artt. 1158 e ss. c.c..
Dispone l’art. 1158 del c.c. che la proprietà dei beni immobili si acquista in virtù del possesso continuato per venti anni, mentre il successivo art. 1163 del c.c. precisa che, se il possesso è stato acquistato in modo violento o clandestino, non può giovare per l’usucapione, se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità siano cessati.

Nel caso prospettato si ritiene che vi siano tutti gli elementi affinché il marito della zia possa acquistare per antico possesso la proprietà esclusiva di quel bene, avendone di fatto avuto cura pacificamente e sotto gli occhi di tutti, compresi gli altri comproprietari, per più di venti anni.

Poiché sembra peraltro sussistere l’accordo di tutte le parti in tal senso, l’iter più veloce che si suggerisce di seguire è quello previsto dal n. 12 bis dell’art. 2643 del c.c., secondo cui possono essere resi pubblici con il mezzo della trascrizione gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione.

Sarà necessario che l’interessato si rivolga ad un organismo di mediazione, il quale convocherà dinanzi a sé tutti gli aventi diritto sull’immobile (cioè tutti gli eredi) al fine di sottoscrivere un accordo (avente natura di negozio di accertamento) con il quale si riconosce l’avvenuta usucapione.
A tale incontro gli intestatari del bene da usucapire potranno presentarsi personalmente o con procura speciale notarile (e ciò per il caso di impedimento da parte di alcuno).

Redatto l’accordo di mediazione, il passo successivo da compiere sarà quello di recarsi presso un notaio di propria fiducia, al quale spetterà il compito di provvedere all’autenticazione delle firme apposte su quell’accordo.
Tale formalità sarà indispensabile onde munirsi di un documento avente la forma richiesta dalla legge (atto pubblico o scrittura privata autenticata) per procedere a trascrizione ex art. 2643 c.c.; alla trascrizione poi seguiranno le conseguenti volture catastali e la definitiva formale intestazione del bene in capo al possessore esclusivo.
Si tenga presente che non si tratta di un’operazione particolarmente dispendiosa dal punto di vista economico, in quanto non sarà neppure necessario versare l’imposta di registro (prevista normalmente nei passaggi di proprietà) se l’immobile da usucapire risulta avere un valore catastale inferiore ad euro 50.000,00.

Katia B. chiede
domenica 03/06/2018 - Estero
“La mia nonna aveva una casa e vari terreni e piccoli annessi. Aveva quattro figli: due partiti per l'estero negli anni 50, e poi spariti; la mia zia, rimasta a vivere nella casa oltre la morte della nonna, nel 1969; il mio padre, emigrante in F., poi nei P. B. ogni estate tornava al paese.
Con il mio Padre ed insieme a mio fratello, siamo rimasti in contatto diretto con le mie cugine fino al 2000 quando e deceduto il mio Padre; nella loro ultima corrispondenza, le mie cugine hanno indicato che erano ormai le proprietarie dei beni. Abbiamo poi perso il contatto.
Non penso che la mia nonna aveva testamento. Vorrei sapere se, in riferimento alla successione legittima, c'è ancora una possibilità, in una maniera civile, di rivendicare una parte di proprietà di qualche terreno o annesso, come eredi legittimi?
Vi ringrazio per il vostro consiglio.”
Consulenza legale i 08/06/2018
In via preliminare andrebbe valutata la sussistenza di una valida accettazione dell’eredità da parte di suo padre.

All’apertura della successione della nonna, non si è verificato automaticamente il subentro degli eredi nella posizione giuridica della medesima; affinché l’eredità venga trasmessa dal defunto ai suoi eredi è necessaria un’accettazione dell’eredità che si prescrive in 10 anni (art. 480 c.c.).
L’accettazione può essere espressa, con una dichiarazione contenuta in un atto pubblico ovvero in una scrittura privata, oppure tacita attraverso il compimento di un atto che presuppone la volontà di accettare.
In questo senso si diceva che occorrerebbe valutare se vi sono stati fatti od atti per i quali possa dirsi esservi stata una valida accettazione dell’eredità.

Bisogna poi considerare che ogni eventuale pretesa ereditaria che si volesse far valere, andrebbe incontro all’eccezione di usucapione dei beni di cui trattasi.
Nell’ordinamento italiano un bene può acquistarsi attraverso l’esercizio del possesso, pubblico, pacifico, continuato ed ininterrotto, sul medesimo per un certo periodo di tempo, tempo durante il quale perdura l’inerzia del titolare, di colui che ne era proprietario.
Bisogna quindi accertare la compresenza dei tre presupposti dell’usucapione:
  1. Tempo necessario
Ai sensi dell’art. 1158 c.c. un bene immobile può usucapirsi trascorsi venti anni, periodo di tempo che, considerando quanto esposto, è effettivamente trascorso;
  1. Il possesso
Il possesso è la disponibilità giuridica di un bene accompagnato dall’intenzione di tenere la cosa con sé come propria. Il possesso valido a fine dell’usucapione deve essere pubblico (non clandestino), pacifico (non violento), continuo e senza interruzione (il titolare non deve aver esercitato il suo diritto durante il tempo utile all’usucapione).
Il possesso può essere trasferito ai successori. Quindi le cugine, quantunque la zia fosse deceduta prima che fossero trascorsi i 20 anni, possono essersi avvicendate alla mamma succedendo nel possesso valido ai fini dell’usucapione.
  1. L’inerzia del proprietario
Il proprietario che non abbia rivendicato il proprio diritto per gli anni necessari al possessore per usucapire il bene, perde il bene in quanto l’ordinamento giuridico gli preferisce colui che per un così lungo tempo ha dimostrato di avervi interesse.

Quanto detto sinora vale anche nel caso si tratti di beni ereditari, salvo qualche precisazione.

Il coerede infatti spesso si trova nel possesso di beni ereditari per il particolare rapporto affettivo che lo lega al de cuius, nell’ambito di rapporti –quelli familiari – che rendono plausibile che gli altri coeredi tollerino il possesso da parte di uno solo dei coeredi senza che questo significhi una loro rinuncia alla proprietà.
La norma di riferimento per questi casi è l’art. 715 c.c., che sancisce che “Può domandarsi la [[indivisione]] anche quando uno o più coeredi hanno goduto separatamente parte dei beni ereditari, salvo che si sia verificata l'usucapione per effetto di possesso esclusivo” .

Quindi il possesso del coerede, utile ai fini dell’usucapione del bene ereditario, è il possesso che si caratterizza anche per essere esclusivo, teso ad escludere gli altri coeredi dal godimento del medesimo diritto.
A tal fine, non basta che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso della cosa, ma occorre altresì che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere "uti dominus", (come fosse il proprietario), e non più "uti con dominus" (come mero com-proprietario, ovvero proprietario assieme ad altri).
Sul punto la Suprema Corte nella sentenza n. 24214/2014 ha specificato che il possesso del coerede utile ad usucapire il bene deve essere esercitato “attraverso un'attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene”.
Occorre cioè un possesso obiettivamente inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall'uso della cosa.

Alla luce di quanto evidenziato, andrebbe ricostruito con esattezza il rapporto che sussisteva tra i fratelli ed in quali termini suo padre si recava tutti gli anni in vacanza nel paese di origine della sua famiglia. Se, infatti, suo padre durante le vacanze estive utilizzava liberamente i beni ereditari, allora non è detto che i beni siano stati usucapiti e sarà ancora possibile far valere il diritto alla propria quota.
Se, invece, suo padre alloggiava altrove ovvero era ospite della sorella la quale, ad esempio deteneva in via esclusiva le chiavi e l’accesso ai detti beni, allora le cugine potrebbero avere più elementi per dimostrare di aver acquisito la proprietà per usucapione.

La soluzione della vicenda verte sostanzialmente sulle prove che le parti potranno addurre in un futuro giudizio.

In ogni caso è bene ricordare che le controversie in materia di divisione ereditaria devono essere necessariamente precedute da un tentativo obbligatorio di conciliazione, innanzi ad uno degli organismi a ciò deputati.

Anonimo chiede
venerdì 13/04/2018 - Sicilia
“Gentile Redazione,
Il 17/11/ 2012 alla morte di mia madre eredito assieme ai miei 5 fratelli in maniera indivisa la casa padronale così composta : un appartamento, la casa padronale originale, sviluppato su due piani, 2° e 3°, di circa 300 mq a piano, con propria particella catastale e con abitabilità, abitata, dopo la dipartita di mio padre nel 1990, da mia madre, dal 4° figlio fino all’anno 1994 e dal 5° figlio, dopo essersi separato dalla moglie, dal 1998 circa fino a Maggio 2017; oggi disabitata;
due appartamenti in sanatoria, uno al piano terra di circa 150 mq.più giardino e uno al 1° piano di pari dimensioni più terrazza, abitati esclusivamente da 33 anni da me 2° figlia e da mia sorella 3° figlia con le nostre rispettive famiglie , questi appartamenti furono ricavati 33 anni fa, a spese e per volontà di mio padre che ci voleva vicini, dalla chiusura di un grande portico; un appartamento in sanatoria, al 4° piano sottotetto- mansardato, di circa 300 mq in quanto copertura di tutta la casa, abitabili per circa 180 mq, ricavato dalla ristrutturazione del tetto dopo la morte di mio padre, abitato da 4° figlio dal 1994; appartamentino di due vani e mezzo al piano terra detta “la casa del custode”; cantina, garage, terreno sistemato a giardino, spazi esterni, per una estensione di circa mq 1.160 coperti oltre balconi e terrazze e mq 1.100 di terreno. Mia sorella, la 1° figlia , vive a sessanta km.da noi con la famiglia, ed è ben felice di averne una parte.
Mio fratello, il 6° figlio, vive con la famiglia in C.
Tutti d’accordo avevamo deciso di dividere la casa padronale, in 3 appartamenti indipendenti ed equivalenti tra loro, ad un costo ragionevole in quanto avremmo partecipato tutti alle spese, con un progetto che stava a bene ai tre fratelli destinatari.
Al momento di decidere i particolari il 6° fratello dichiara di non essere interessato e vuole essere liquidato con una cifra esosa che nessuno di noi ha e può dare visto che dovremmo anche partecipare alle spese della divisione per gli altri due.
Il 6° fratello, dopo vari tentativi infruttuosi da parte di tutti di arrivare ad un accordo bonario, ha rotto con tutti e ha deciso di adire le vie legali, ha fatto il passo della conciliazione che abbiamo tutti rifiutato. Vorrei sapere io e mia sorella che abitiamo in maniera esclusiva i nostri appartamenti, con bollette e consumi a nostro nome, anche con pratica di sanatoria a nostro nome presentata il 03/07/1986 con oblazioni pagate, da pagare solo gli oneri di urbanizzazione possiamo pretendere l’usucapione? Nel caso affermativo quali sono i passi da fare o è meglio aspettare che parta la causa? Mio fratello può pretendere soldi da noi ? La casa padronale, ancora tutta arredata, è stata ed è sempre a disposizione del 6° fratello quando la abitava per le vacanze o le feste con tutta la sua famiglia e oggi è totalmente disabitata, ed è di facile divisione, può un giudice costringerci a venderla così come mi dicono in tanti? Possiamo dividerla a nostre spese anche senza il consenso di uno?
Spero di essere stata chiara nell’esporre la situazione, se volete altri chiarimenti fatemi sapere.
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 19/04/2018
La prima domanda posta nel quesito riguarda l’usucapibilità di parte dei beni in comunione ereditaria ma utilizzati esclusivamente solo da alcuni dei coeredi.
A tale domanda, in linea di principio, può essere data risposta affermativa se ricorrono determinati presupposti. Infatti, in presenza di particolari condizioni, chi possiede i beni ereditari in una situazione di comunione ereditaria può acquisirne la proprietà o altro diritto reale.
In primo luogo, il coerede deve aver esercitato il possesso in via esclusiva, con esclusione degli altri coeredi.
In secondo luogo, deve essere trascorso il tempo di legge previsto per l’usucapione senza interruzioni (venti anni).
In terzo luogo, deve sussistere il cd. l'animus possidendi del coerede, cioè deve essersi comportato come l'effettivo proprietario del bene.
Infine, il possesso deve essere stato riconoscibile dagli altri coeredi, che non devono aver mosso alcuna contestazione.
Ciò posto, nel caso in esame, i predetti presupposti parrebbero sussistenti.
La circostanza che si è cercato bonariamente di fare una divisione dei beni ereditati non appare ostativa in tal senso, come sottolineato anche dalla Suprema Corte nella sentenza n.16896/ 2012. Anzi, semmai l’aver usucapito è ostativo alla divisione dei beni posseduti in modo esclusivo, come espressamente previsto dall’art. 714 c.c.

In risposta alla seconda domanda contenuta nel quesito su quali siano i passi da fare, suggeriamo di attendere la causa del sesto fratello (se abbiamo bene interpretato quanto riportato nel quesito, sarebbe infatti già stato espletato il tentativo di mediazione obbligatoria - che trova la sua disciplina nel D. Lgs. 28/2010 in materia di Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali e che, ipotizziamo, avesse ad oggetto la divisione del compendio ereditario) ed in quella sede far valere, in via riconvenzionale, l’intervenuta usucapione dei due appartamenti.

Con riguardo alla terza domanda contenuta nel quesito (se cioè vostro fratello possa pretendere soldi da voi) occorre precisare quanto segue.
Ipotizzando venga accertata l’intervenuta usucapione dei due appartamenti (sia a seguito di un giudizio autonomo oppure come domanda riconvenzionale in giudizio già instaurato), resterebbero comunque i restanti appartamenti in situazione di comunione ereditaria. Se questi sono comodamente divisibili, si procederà alla divisione. In caso contrario, si applicherà quanto previsto dall’art. 720 c.c.
Ciò significa che “Quando nella comunione ereditaria sia compreso un immobile non comodamente divisibile e i coeredi siano titolari di quote uguali, la scelta tra coloro che ne richiedano l’attribuzione è rimessa, ai sensi dell’art. 720 c.c., al giudice sulla base di ragioni di opportunità e convenienza, soccorrendo in mancanza di una ragione di preferenza il rimedio residuale della vendita all’incanto. Non assume rilievo, invece, il criterio della maggiore offerta rispetto al prezzo di stima, che fa venir meno la parità di condizione tra gli aspiranti assegnatari” (Cass., sez. II, 19 maggio 2015, n. 10216).
Quindi, i soldi che vostro fratello potrebbe richiedere (come del resto tutti voi fratelli) sono quelli derivanti da conguaglio a seguito della procedura prevista dall’art.720 c.c. o dal ricavo della eventuale vendita all’incanto del compendio ereditario.
Inoltre, per altri beni ereditari non oggetto di usucapione ma comunque goduti in via esclusiva da taluno dei coeredi occorre tenere presente quanto previsto dall'art. 723 c.c., meglio spiegato in questa massima della Corte di Cassazione: "Il coerede che abbia goduto in via esclusiva dei beni ereditari è obbligato, agli effetti dell'art. 723 cod. civ., per il fatto oggettivo della gestione, sia al rendiconto che a corrispondere i frutti agli altri eredi a decorrere dalla data di apertura della successione (o dalla data posteriore in cui abbia acquisito il possesso dei beni stessi), senza che abbia rilievo la sua buona o mala fede" (Cassazione civile sez. II 31 gennaio 2014 n. 2148).

Riguardo invece le sorti della casa padronale “originale” oggi totalmente disabitata, vale quanto testè rilevato, ossia (sempre ipotizzando una divisione in sede giudiziaria): se è comodamente divisibile, il Giudice non disporrà la vendita all’incanto. Laddove invece così non fosse, dovrà applicarsi quanto previsto dall’art. 720 c.c. sopra citato che prevede la vendita come opzione residuale laddove non si sia proceduto alla attribuzione dei beni con conguaglio a favore degli eredi cui non è stato assegnato l’immobile.

Con riguardo, infine, all’ultima domanda contenuta nel quesito (se cioè sia possibile dividere la casa padronale originale senza il consenso di uno degli eredi) si deve rispondere negativamente per le ragioni che andiamo subito ad illustrare. La comunione ereditaria (a parte l’ipotesi in cui il defunto abbia ripartito le quote per testamento) può essere sciolta consensualmente o tramite ricorso al giudice. Nella prima ipotesi, il consenso deve essere espresso da TUTTI i coeredi non essendo sufficiente che decidano solo alcuni, anche se costituiscono la maggioranza e anche se ciò avvenisse a loro spese.
Si tratta infatti di una divisione contrattuale e, in quanto tale, per essere valida ed efficace, deve avere il consenso di ogni erede. Insomma, una divisione fatta senza il consenso di uno dei coeredi sarebbe radicalmente nulla.

Fabio L. chiede
sabato 11/03/2017 - Veneto
“Salve!
mio padre, ora deceduto, senza nulla scrivere, ha dato una stanza grande del suo appartamento a mia sorella. Questa ha dapprima messo in comunicazione il suo di appartamento e poi ha chiuso vari fori isolandosi (con la stanza in questione). Ho fatto una possessoria per far valere i miei diritti di successione. La giudice ha rigettato adducendo l'animus dereliquendi di mio padre. A me, sia il padre che la sorella, hanno sempre detto di un "prestito". Cosa posso fare?
Grazie infinite per la risposta, infatti sto vivendo male la cosa come fosse una sorta di furto.”
Consulenza legale i 17/03/2017
Il caso prospettato si inquadra perfettamente nella fattispecie prevista dall’art. 714 del codice civile, dettato in materia di divisione ereditaria e rubricato proprio “Godimento separato di parte dei beni”.

Intanto va detto che l’avere infruttuosamente esperito l’azione possessoria, conclusasi con sentenza che ha rigettato le pretese avanzate dallo spoliato sulla base di un presunto animus dereliquendi, non significa essere rimasti privi di tutela.
Alquanto discutibile, peraltro, è il riferimento, se correttamente espresso, all’animus dereliquendi, trattandosi di elemento psicologico presupposto dell'acquisto della proprietà per occupazione, ma valevole per i soli beni mobili.
Infatti, dispone espressamente il primo comma dell’art. 923 c.c. che con l'occupazione si può divenire proprietario di soli beni mobili che non siano di proprietà di nessun altro soggetto; per i beni immobili abbandonati, invece, non è possibile l'occupazione, sia perché l'art. 923 non li nomina, sia perché l'art. 827 c.c. espressamente dispone che i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato.

Tralasciando comunque questo aspetto, che forma ormai oggetto di un decisum giudiziale, va detto che, in assenza di un testamento e di una divisione voluta dal testatore, alla morte del de cuius si è indubbiamente aperta la successione legittima, a seguito di che l’erede dovrà innanzitutto preoccuparsi di compiere un atto di accettazione dell’eredità, ed a tal fine il richiamo va necessariamente fatto all’art. 474 c.c., il quale dispone che l’accettazione può essere espressa o tacita.
In particolare, dispone il successivo art. 476 c.c. che l'accettazione è tacita quando il chiamato all'eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede; a tale riguardo la giurisprudenza ha affermato che determina accettazione tacita, tra l’altro, e per quello che qui ci interessa, la domanda di divisione (C. 22288/2013) e l'adesione alla stessa da parte dei coeredi, ove concreti una vera proposta negoziale e non anche se si traduca in generiche sollecitazioni (C. 1585/1987; T. Roma 20.4.2000).
Ciò comporta che, seppure uno dei coeredi (la sorella) abbia goduto separatamente di una parte del bene ereditario (si parla di bene perché nel quesito si ha riferimento solo ad una casa di abitazione ove viveva il de cuius), l’altro coerede sarà legittimato ex art. 714 c.c., in apertura citato, a chiedere in qualsiasi momento la divisione di tale bene, formulando a tal fine una vera e propria proposta negoziale di divisione, la quale produrrà anche l’effetto di una accettazione tacita dell’eredità ai sensi del predetto art. 476 c.c.

Va precisato che oltre al godimento separato di parte dei beni ereditari, anche una divisione di fatto, quale potrebbe essere quella qui realizzatasi, non incide sulla possibilità di chiedere la divisione (C. 3451/1977), ma va anche aggiunto ed evidenziato, purtroppo, che il medesimo art. 714 c.c. fa salvi gli effetti di una eventuale usucapione.

A tal fine, non basta che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso della cosa, occorrendo altresì che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus (C. 24214/2014; C. 7221/2009; C. 5687/1996; A. L'Aquila 3.9.2012; T. Cassino 27.1.2011; T. Lodi 15.12.2010; T. Salerno 14.10.2009; T. Cassino 24.9.2009).
L'avvenuta usucapione del bene, dedotta dalla parte convenuta in un eventuale giudizio di divisione, integrerà un'eccezione in senso stretto, in quanto diretta a rilevare la sopravvenienza dei fatti estintivi del diritto dell'attore, la quale deve essere, pertanto, proposta a pena di decadenza con la comparsa di costituzione e risposta depositata dal convenuto nei termini di legge (T. Genova 23.11.2012).

A questo punto, dunque, ciò che si deve evitare è che vengano a maturare i tempi per una eventuale usucapione, considerato che la sorella, avendo isolato la stanza, ne ha il possesso esclusivo; i rimedi che ci si sente di suggerire per evitare ciò sono essenzialmente due.
Il primo, che tuttavia si ritiene in realtà di difficile attuazione pratica, sarebbe quello di accordarsi al fine di:
  1. vendere le rispettive quote dell’immobile ad un terzo,
ovvero
  1. assegnare in sede di divisione consensuale l’intero immobile ad uno dei coeredi, con diritto dell’altro di ricevere un conguaglio in denaro; tale soluzione si fa discendere dal combinato disposto degli artt. 718 c.c. (che riconosce il diritto di ciascun coerede ad avere assegnati i beni in natura) e728 c.c. (il quale prevede che l’ineguaglianza in natura nelle quote ereditarie si compensa con un equivalente in denaro).
L’altro rimedio che, data la situazione, forse sarebbe in grado di realizzare una tutela più concreta, è quello di promuovere un giudizio di divisione ereditaria dinanzi al Tribunale competente, cui sarà coinvolta a partecipare anche la sorella.
La divisione dovrà avvenire, se possibile, in natura, cioè trasformando le quote ideali dei partecipanti in porzioni fisiche della cosa.
Se il carattere del bene, tuttavia, non consentisse o rendesse scomoda la divisione in natura (così art. 720 c.c.), si procederà anche in questo caso all’assegnazione a uno dei partecipanti, interessato ad averlo, che corrisponderà agli altri il valore in danaro della loro quota, oppure, nell’ipotesi in cui nessuno dei comproprietari fosse interessato, si procederà alla sua vendita con conseguente ripartizione del ricavato.
A questo proposito va comunque evidenziato quanto detto dalla Cassazione, la quale ha precisato che il giudice, nel determinare il coerede cui assegnare l'immobile non comodamente divisibile, soprattutto in presenza di quote uguali tra loro, gode di ampi poteri discrezionali (Cassazione civile, sezione II, 19 marzo 2003, n. 4013).

Se invece non c'è accordo, l'immobile o gli immobili vengono messi all'asta: i patti e le condizioni della vendita degli immobili, se non sono concordati tra i coeredi, sono stabiliti dal giudice; dopo la vendita il giudice provvede ad attribuire a ciascuno dei coeredi parte del ricavato in misura corrispondente alla sua quota di eredità.

Da come viene rappresentata la situazione del caso di specie, comunque, ed esclusa sempre l’ipotesi che non si siano maturati i termini (20 anni) per una eventuale usucapione, la soluzione che meglio può soddisfare gli interessi di entrambe le parti sarebbe quella di raggiungere un accordo divisionale, in forza del quale assegnare alla sorella la stanza grande di cui ha di fatto avuto il godimento esclusivo, ed all’altro coerede la restante parte dell’unità abitativa, con diritto per colui che ha ricevuto un valore minore di ottenere un equivalente conguaglio in denaro ex art. 728 c.c.

Si fa infine presente che per avere garanzia di maggiore certezza giuridica, l’art. 730 del codice civile riconosce agli eredi condividenti la facoltà di avvalersi dell’opera di un notaio, cui deferire di comune accordo le operazioni divisionali.
Lo stesso notaio, a sua volta, e per il caso in cui sorgano contestazioni nel corso delle operazioni, sarà legittimato a rimettere ogni decisione su tali contestazioni alla cognizione dell’autorità giudiziaria competente, la quale provvederà con sentenza, costituente titolo esecutivo per far valere quanto in essa statuito.

Ininfluente sulle soluzioni proposte si ritiene che sia il riferimento ad un presunto prestito, in quanto non supportato da alcun titolo, sia esso volontario o giudiziale, in forza del quale poterlo far valere; in ogni caso, pur ammessa per ipotesi l’esistenza di un debito del de cuius verso uno dei coeredi, ciò non legittimerebbe il coerede creditore ad assegnarsi in soddisfacimento ed unilateralmente la porzione di immobile di cui ci si è impossessati.

Renee chiede
martedì 12/10/2010
“Gentili Signori, vi chiedo una consulenza in merito ad un immobile ereditato da 5 fratelli in parti uguali (causa decesso dei genitori). In occasione di una controversia con un vicino, 4 fratelli sono d'accordo nell'assumere un legale per la tutela dei loro interessi, il quinto non è d'accordo. Posto che,se i quattro fratelli procedessero, gli effetti di tale azione legale andrebbero a favore anche del quinto, come ci si può regolare per procedere i tal senso? si può "obbligare" il quinto a partecipare alle spese legali, essendo lui in "minoranza"? Lo stesso quesito è posto per una eventuale vendita dell'immobile, alla quale solo uno dei fratelli si oppone, ma non è in condizioni di poter rilevare del quote dei 4 fratelli venditori. Grazie in anticipo.”
Consulenza legale i 12/10/2010

Riguardo il primo quesito, bisognerebbe comprendere il tipo di azione che si intende intraprendere. Occorre, comunque, fare riferimento al complesso istituto processuale del litisconsorzio.

Riguardo la vendita di un bene comune, nessuno dei comproprietari pro quota può essere obbligato a firmare per ottenere in capo ad altri il trasferimento della proprietà dell'intero bene. Ciascun comproprietario è libero di alienare o meno la propria quota. Solo se tutti i comproprietari desiderano vendere ciascuno la propria quota si arriverà ad un consenso traslativo dell'intero bene. Il fatto, poi, che chi si oppone alla vendita della propria quota, impedendo, di fatto, l'alienazione dell'intero bene, non sia in grado di rilevare le quote degli altri comproprietari non ha rilievo giuridico.

A livello economico, peraltro, è chiaro che il bene sarà assai più difficilmente commerciabile. E se anche il potenziale acquirente decidesse di procedere comunque all'acquisto delle quote dei quattro fratelli che desiderano vendere, in attesa di rilevare, magari in futuro, quella del restante fratello, è chiaro che lo farà cercando di lucrare un risparmio. Le quote indivise di un bene, infatti, valgono notoriamente meno, proprio perché non permettono di arrivare ad ottenere la proprietà piena del bene e costringono, di fatto ad una comunione "forzosa". La quale, spesso, crea problemi nell'amministrazione del bene. Esiste, peraltro, per superare questo genere di problemi, lo strumento previsto dall'art. 1505 c.c., quarto comma, a cui si rimanda.


F. G. chiede
venerdì 21/10/2022 - Lazio
“Buonasera,
sono in comproprietà al 50% con mio fratello di due immobili ed un terreno lasciatoci in eredità dai nostri genitori.
Ora io abito fin dal lontano 1979, con l'allora benestare assoluto dei miei genitori, in uno dei due immobili che vale molto meno dell'altro in quanto il mio è nella provincia di Roma e l'altro in zona centrale di Roma.
Sono stata chiamata in causa da mio fratello perché non riconosce il valore maggiore della casa di Roma rimasta vuota dopo la morte di mia madre ultima usufruttuaria dopo mio padre.
Ora il CTU nominato dal Tribunale ci ha convocato per una eventuale conciliazione, ha fatto la stima totale dell intera eredità ed ha precisato che io che occupo l'immobile di valore minore dovrei pagare a mio fratello un ipotetico affitto mensile calcolato in circa 400 euro mensili (il 50% di 800) per un totale di euro 23000 ca, considerati arretrati di 5 anni proprio dopo la morte di mia madre usufruttuaria.
Ora io mi chiedo può pretendere tale cifra visto che non mi è mai stato chiesto di andarmene esplicitamente e non esiste alcun contratto tra noi che comprovi tale accordo e quindi se non pago posso chiedere provocatoriamente di sfrattarmi e se tutto ciò può essere possibile vista la completa disponibilità dell altro immobile sempre al 50% che è rimasto vuoto da 5 anni in attesa di deciderne la spartizione. Inoltre la causa intentata da lui andrà avanti ancora chissà ancora per quanto tempo ed io non ritengo giusto pagare tale affitto non concordato e chiedo se posso comunque pretendere solo però da ora in poi un contratto senza il quale mi sento esonerata dal pagamento.
Grazie per un vostro cortese parere e invio cordiali saluti”
Consulenza legale i 27/10/2022
Quanto osservato nel quesito è senza alcun dubbio corretto: il fratello comproprietario non ha alcun diritto di pretendere la somma proposta dal CTU, somma che gli sarebbe dovuta quale indennizzo per il mancato godimento dell’immobile.

L’ipotesi che costituisce oggetto del caso in esame si verifica molto di frequente nella prassi quotidiana, tant’è che in diverse occasioni la giurisprudenza è stata chiamata a pronunciarsi al riguardo.
Due sono gli orientamenti che si sono venuti a formare:

a) da un lato si pone una tesi meno recente secondo cui i coeredi esclusi dal godimento dell’immobile hanno diritto di ottenere un’indennità di occupazione per mancata utilizzazione del bene (così Cass. n. 20934/2013).
Tale tesi trova il suo fondamento nella considerazione secondo cui l’immobile è un bene in grado di produrre frutti civili e, pertanto, al vantaggio patrimoniale che ne riceve l’occupante in via esclusiva del bene se ne fa conseguire, in modo diretto, la potenziale perdita patrimoniale subita dagli altri comproprietari esclusi dal possesso di quel medesimo bene.

b) secondo una diversa e più recente tesi, invece, dall’utilizzazione esclusiva del bene comune da parte di uno dei comproprietari non se ne può far discendere immediatamente un pregiudizio in danno degli altri.
Perché possa configurarsi detto pregiudizio è necessario un ulteriore requisito, ossia che i comproprietari esclusi abbiano manifestato il loro dissenso.
L’indennità di occupazione, pertanto, dovrebbe essere corrisposta soltanto nell’ipotesi in cui i contitolari esclusi dal possesso richiedano espressamente e formalmente l’uso della cosa e detta richiesta fosse/venisse negata dal coerede che abita nell’appartamento (così Cass. n. 2423/2015).

Questa è la tesi a cui attualmente aderisce la prevalente giurisprudenza di legittimità, operando la seguente ulteriore distinzione:
1. se l’immobile in comproprietà viene utilizzato per ricavarne frutti civili (è il caso della locazione), tutti i comproprietari avranno il diritto di partecipare alla ripartizione di tali frutti in proporzione alla propria quota (potendo, dunque, pretendere da colui che li ha riscossi per intero la restituzione di quanto a ciascuno di essi spettante);
2. se, invece, come accade nel caso di specie, l’immobile viene utilizzato, secondo la sua destinazione d’uso, in via esclusiva da uno solo dei comproprietari, il semplice godimento esclusivo non potrà considerarsi produttivo di pregiudizio in danno degli altri comproprietari, a meno che gli stessi a loro volta non dimostrino di aver provato a godere del bene e di non averlo potuto fare in quanto impediti dall’altro coerede.

La tesi suesposta, peraltro, risulta perfettamente aderente a quella che è la ratio risultante dall’art. 1102 c.c., rubricato appunto “Uso della cosa comune”, nella parte in cui dispone che “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè…non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto…”.
Da un punto di vista meramente pratico, quanto fin qui detto comporta che l’altro fratello comproprietario ha, intanto, il diritto di far uso di quell’immobile al pari del fratello che attualmente lo occupa.
Qualora chi occupa l’immobile non volesse consentirne il pari uso, il comproprietario escluso sarebbe pienamente legittimato ad agire giudizialmente per ottenere il rilascio forzato dell’immobile.
Nel caso in cui, invece, il fratello che attualmente non fa uso dell’immobile non avesse alcuna intenzione di usarlo, ma volesse trarne i c.d. frutti civili, sarà necessario formalizzare detto accordo in un regolare contratto di locazione, dal quale ne discenderà l’obbligo per l’occupante di pagare il relativo canone (ovviamente, in misura pari al 50% del canone convenuto).

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