Cass. civ. n. 1770/2024
In tema di nullitā del matrimonio, dal combinato disposto degli artt. 119 e 120 c.c. si evince che, ove la pronuncia di interdizione per infermitā mentale di uno dei coniugi sia passata in giudicato al momento del matrimonio, i legittimati all'impugnazione sono esonerati dalla prova del vizio della volontā; negli altri casi, invece, l'esistenza dell'infermitā o dell'incapacitā di intendere e di volere al momento del matrimonio deve essere provata da chi agisce per l'impugnazione del vincolo nuziale; con l'ulteriore conseguenza che, in assenza della pronuncia di interdizione passata in giudicato al momento del matrimonio, deve escludersi che l'infermitā di mente possa essere desunta direttamente dalla successiva pronuncia di interdizione, in quanto č richiesto un accertamento, specifico e in concreto, sulla sua esistenza al momento del matrimonio.
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In assenza della pronuncia di interdizione passata in giudicato al momento del matrimonio, č da escludere che l'infermitā di mente possa essere desunta direttamente dalla successiva pronuncia di interdizione in quanto č richiesto un accertamento specifico e in concreto sulla sua esistenza al momento del matrimonio.
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In materia di impugnazione del matrimonio, ove ricorra la pronuncia di interdizione per infermitā mentale di uno dei nubendi passata in giudicato al momento del matrimonio, i legittimati all'impugnazione del vincolo matrimoniale sono esonerati dalla prova del vizio della volontā; negli altri casi, invece, deve essere provata da chi impugna l'esistenza dell'infermitā al momento del matrimonio ex art. 119 cod.civ. o della incapacitā di intendere e di volere ex art. 120 cod.civ.
Cass. civ. n. 27564/2020
E' nullo il matrimonio contratto da chi, al momento delle nozze, si trovava in una situazione di infermitā mentale anche se il giudicato sull'interdizione si č formato in un momento successivo.
Cass. civ. n. 11808/2018
La convivenza prolungata come coniugi, quale elemento essenziale del matrimonio-rapporto, integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, che dunque preclude la delibazione della sentenza di nullitā del matrimonio concordatario pronunciata dal Tribunale ecclesiastico.
Cass. civ. n. 11536/2017
Il divieto per l'interdetto di contrarre matrimonio stabilito dall'art. 85 c.c. e il relativo regime di invaliditā matrimoniale di cui all'art. 119 c.c. non possono essere estesi, neppure per analogia, al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, posto che i sottostanti istituti di protezione si collocano su piani totalmente diversi. Le finalitā di protezione del soggetto incapace devono, nell'amministrazione di sostegno, trovare fondamento e tutela in un individualizzato provvedimento del giudice tutelare. Anche nei casi in cui, in circostanze eccezionalmente gravi e nel suo esclusivo interesse, al beneficiario dell'amministrazione di sostegno sia imposto divieto di contrarre matrimonio, č da escludersi che questo possa poi essere impugnato ai sensi dell'art. 119 c.c., potendosi in tal caso ricorrere unicamente all'impugnazione di cui all'art. 120 c.c., ovvero all'azione di annullamento ad opera dell'amministratore di sostegno.
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In ragione delle significative differenze che intercorrono tra l'amministrazione di sostegno (diretta a valorizzare le residue capacitā del soggetto debole) e dell'interdizione (volta a limitare la sfera d'azione di quel soggetto in relazione all'esigenza di salvaguardia del suo patrimonio nell'interesse dei suoi familiari), il divieto di contrarre matrimonio, previsto dall'art. 85 c.c. per l'interdetto, non trova generale applicazione nei confronti del beneficiario dell'amministrazione di sostegno ma puō essere disposto dal giudice tutelare solo in circostanze di eccezionale gravitā, quando sia conforme all'interesse dell'amministrato. In tali casi, il matrimonio contratto da quest'ultimo puō essere impugnato da lui stesso ex art. 120 c.c. o dall'amministratore di sostegno ex art. 412, comma 2, c.c., non anche dai terzi ex art. 119 c.c., non potendosi richiamare la disciplina dell'interdizione.