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Articolo 120 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Incapacità di intendere o di volere

Dispositivo dell'art. 120 Codice Civile

Il matrimonio può essere impugnato(1) [127] da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto [85, 102, 119], provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio(2).

L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che il coniuge incapace ha recuperato la pienezza delle facoltà mentali [119, 122, 123].

Note

(1) Con la disposizione in esame si limita al solo coniuge che si sia trovato in stato di incapacità di intendere e volere (art. 428 del c.c.) al momento della celebrazione il potere di impugnativa del matrimonio, onde ottenerne l'annullamento.
(2) Ovviamente risulterà fondamentale, da subito, l'accertamento del grado di incapacità non dichiarata del soggetto agente, pur prescindendo dalla riconoscibilità esterna e dall'affidamento suscitato nell'altro coniuge; solo all'esito di tale valutazione del giudice, e salvo quanto precisato sub co. 2, potrà ottenersi l'annullamento.

Ratio Legis

La disposizione esplicita nuovamente l'esigenza di un consenso puro ed effettivo dei nubendi, fondato su una volontà correttamente formatasi, in un soggetto capace di intendere e volere l'atto matrimoniale.

Spiegazione dell'art. 120 Codice Civile

È questa una disposizione che non era compresa nel c.c. del 1865.
Non è necessario che l'incapacità a cui questo art. 120 si riferisce sia tale da permettere che venga promossa interdizione: la legge, infatti, espressamente si riferisce anche a causa transitoria; occorre, però, che l'incapacità o il perturbamento mentale fossero stati di tal gravità da rendere la persona incapace di manifestare validamente il consenso al matrimonio. In tali casi non si avrebbe soltanto nullità, ma inesistenza giuridica del matrimonio per difetto assoluto di consenso.
Nel nuovo primo libro si volle pure comprendere questa disposizione non tanto per affermare la nullità, o meglio la giuridica inesistenza del matrimonio che fosse stato contratto da persona incapace (principio, per vero, di diritto naturale), quanto per disciplinare, con norme positive, il relativo diritto d'impugnazione: diritto concesso soltanto al coniuge che non era capace di intendere o di volere e sempre che egli, riacquistata la pienezza delle facoltà mentali, non abbia, per un anno, coabitato con l'altro coniuge.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

98 Nell'art. 120 del c.c., il quale prevede l'impugnazione del matrimonio da parte dello sposo in condizioni mentali da non potere esprimere un valido consenso, il nuovo testo legislativo, a scopo di coordinamento, indica questo stato psicologico anormale, con l'espressione "incapace d'intendere o di volere".

Massime relative all'art. 120 Codice Civile

Cass. civ. n. 14739/2024

La dichiarazione di efficacia nell'ordinamento italiano della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio non può pronunciarsi, per contrarietà all'ordine pubblico, quando dalla celebrazione, per almeno un triennio, sia proseguita la convivenza matrimoniale, da accertarsi, a seguito di tempestiva eccezione di parte, secondo i principi del nostro ordinamento, e quindi caratterizzata da esteriorità, stabilità, condotte indice di effettiva accettazione del rapporto coniugale, non rilevando che la nullità sia stata pronunciata dal giudice ecclesiastico, nella sostanza, quale che sia la denominazione utilizzata, per una deficienza psichica ovvero una immaturità caratteriale che non sia precisamente riconducibile all'incapacità di intendere di volere, intesa come condizione patologica che impedisce alla persona di intendere il reale significato e rilevanza dei propri atti, e quindi incapace di contrarre matrimonio, e che pertanto comporta, ai sensi dell'art. 120 c.c., la nullità di questo anche per l'ordinamento italiano (la Suprema corte ha pertanto confermato la sentenza della corte territoriale che aveva negato la delibazione, rilevando che la convivenza matrimoniale, da cui erano nati due figli, era durata nove anni, sicché doveva ritenersi consapevolmente superata la criticità psichica rilevata dal giudice ecclesiastico in capo ad entrambi, consistente nel mero difetto ad instaurare un rapporto equilibrato).

Cass. civ. n. 1770/2024

In tema di nullità del matrimonio, dal combinato disposto degli artt. 119 e 120 c.c. si evince che, ove la pronuncia di interdizione per infermità mentale di uno dei coniugi sia passata in giudicato al momento del matrimonio, i legittimati all'impugnazione sono esonerati dalla prova del vizio della volontà; negli altri casi, invece, l'esistenza dell'infermità o dell'incapacità di intendere e di volere al momento del matrimonio deve essere provata da chi agisce per l'impugnazione del vincolo nuziale; con l'ulteriore conseguenza che, in assenza della pronuncia di interdizione passata in giudicato al momento del matrimonio, deve escludersi che l'infermità di mente possa essere desunta direttamente dalla successiva pronuncia di interdizione, in quanto è richiesto un accertamento, specifico e in concreto, sulla sua esistenza al momento del matrimonio.

In materia di impugnazione del matrimonio, ove ricorra la pronuncia di interdizione per infermità mentale di uno dei nubendi passata in giudicato al momento del matrimonio, i legittimati all'impugnazione del vincolo matrimoniale sono esonerati dalla prova del vizio della volontà; negli altri casi, invece, deve essere provata da chi impugna l'esistenza dell'infermità al momento del matrimonio ex art. 119 cod.civ. o della incapacità di intendere e di volere ex art. 120 cod.civ.

Cass. civ. n. 32148/2023

Il matrimonio può essere impugnato qualora uno dei coniugi provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione dello stesso.

Cass. civ. n. 28409/2023

Il matrimonio può essere impugnato per l'incapacità di intendere e di volere del coniuge al momento della celebrazione, intesa come menomazione della sfera intellettiva e volitiva di tale grado da impedire di far comprendere il significato e le conseguenze dell'impegno assunto.

Cass. civ. n. 28307/2023

Ai fini della delibazione delle sentenze ecclesiastiche, la convivenza ultratriennale non costituisce un limite di ordine pubblico in presenza di un vizio di capacità ai sensi dell'art. 120 c.c., il quale, ai sensi della ricordata disposizione, non è, tuttavia, integrato dalla mera deficienza caratteriale o immaturità del coniuge, testimoniata dalla mancata valutazione della rilevanza dell'indissolubilità del matrimonio concordatario, in quanto l'incapacità di valutare ex ante la rilevanza di un vincolo senza termini non si traduce in un deficit psichico, ossia in un vero stato patologico idoneo a incidere sulla capacità di intendere e volere del soggetto e sul corretto formarsi della sua volontà cosciente. Spetta, peraltro, alla corte d'appello, quale giudice della delibazione, il controllo sulla circostanza se i vizi, come riscontrati dalla sentenza del tribunale ecclesiastico, si inquadrino in una delle cause di nullità del matrimonio riconosciute dall'ordinamento italiano.

Cass. civ. n. 27691/2023

Poiché il diritto di autodeterminarsi con riguardo al proprio matrimonio assume il rango di diritto personalissimo unico soggetto leso da provvedimenti giudiziali che incidano su un tale diritto personalissimo è soltanto il titolare di quest'ultimo, ancorchè beneficiario di amministrazione di sostegno.

Cass. civ. n. 149/2023

In tema di delibazione di sentenze ecclesiastiche, la convivenza "come coniugi" - pur costituendo un elemento essenziale del "matrimonio-rapporto" ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione ed integrando una situazione giuridica di "ordine pubblico italiano" - non è di ostacolo alla dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità per vizi genetici del "matrimonio-atto" che siano a loro volta presidiati da nullità nell'ordinamento italiano; in particolare, tale limite non opera rispetto alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità per un vizio psichico che renda incapaci a contrarre matrimonio, corrispondente a quello pure previsto nell'ordinamento italiano dall'art. 120 c.c.

Cass. civ. n. 20862/2021

Il matrimonio può essere impugnato, ai sensi dell'art. 120 c.c., per la mera incapacità di intendere e di volere del coniuge al momento della celebrazione, intesa come menomazione della sfera intellettiva e volitiva di tale grado da impedire di far comprendere il significato e le conseguenze dell'impegno assunto, senza che abbia rilievo il pregiudizio dell'incapace o il vantaggio dell'altro contraente, né il dolo o la malafede di quest'ultimo, poiché la nullità del matrimonio è prevista a tutela dell'integrità del consenso dei coniugi, che l'ordinamento vuole formato in piena libertà e consapevolezza.

Cass. civ. n. 30900/2019

Il dato incontroverso della convivenza continuativa ultratriennale non può essere messo in discussione, al fine di escludere la condizione ostativa al riconoscimento in Italia della sentenza di annullamento ecclesiastico del matrimonio, deducendo una non adesione affettiva al rapporto di convivenza da parte di uno o di entrambi i coniugi. Occorre, perché tale dedotta mancanza di affectio coniugalis sia rilevante, che entrambi i coniugi la riconoscano, al momento della proposizione della domanda di delibazione, ovvero che gli stessi abbiano manifestato nettamente all'esterno la piena volontà di non considerare la convivenza come un elemento fondamentale integrativo della relazione coniugale ma come una semplice coabitazione. Occorre altresì che sia manifesta la consapevolezza delle conseguenze giuridiche di tale esteriorizzazione e cioè l'affermazione comune dell'esclusione degli effetti giuridici propri del matrimonio per effetto della semplice coabitazione.

Cass. civ. n. 11808/2018

La convivenza prolungata come coniugi, quale elemento essenziale del matrimonio-rapporto, integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, che dunque preclude la delibazione della sentenza di nullità del matrimonio concordatario pronunciata dal Tribunale ecclesiastico.

Cass. civ. n. 4653/2018

In tema di impugnative matrimoniali, l'azione per impugnare il matrimonio affetto da vizi della volontà ovvero da incapacità di intendere e di volere di uno dei coniugi ha carattere personale ed è trasmissibile agli eredi solo qualora il relativo giudizio sia già pendente al momento della morte di detto coniuge, il quale è titolare esclusivo del potere di decidere se impugnare il proprio matrimonio; l'azione di nullità, inoltre, pur essendo promuovibile dal pubblico ministero, ex art. 125 c.c., non può più essere esperita dopo la morte di uno dei coniugi.

Cass. civ. n. 6611/2015

In tema di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario per difetto di consenso, le situazioni di vizio psichico assunte dal giudice ecclesiastico come comportanti inettitudine del soggetto, al momento della manifestazione del consenso, a contrarre il matrimonio non si discostano sostanzialmente dall'ipotesi d'invalidità contemplata dall'art. 120 cod. civ., cosicché è da escludere che il riconoscimento dell'efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo in principi fondamentali dell'ordinamento italiano. In particolare, tale contrasto non è ravvisabile sotto il profilo del difetto di tutela dell'affidamento della controparte, poiché, mentre in tema di contratti la disciplina generale dell'incapacità naturale dà rilievo alla buona o malafede dell'altra parte, tale aspetto è ignorato nella disciplina dell'incapacità naturale, quale causa d'invalidità del matrimonio, essendo in tal caso preminente l'esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio psichico.

Cass. civ. n. 14794/2014

L'art. 428 cod. civ., che disciplina il regime di impugnazione degli atti negoziali compiuti da persona incapace di intendere e di volere, non si applica in ambito matrimoniale, il cui regime delle invalidità è disciplinato da norme speciali, le quali, nel bilanciamento tra il diritto personalissimo del soggetto di autodeterminarsi in ordine al matrimonio e l'interesse degli eredi a far valere l'incapacità del "de cuius" allo scopo di ottenere l'annullamento del suo matrimonio, assegnano preminenza, in modo non irragionevole, all'esigenza di tutela del primo e, quindi, della dignità di colui che, non interdetto, ha contratto matrimonio. Ne consegue la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 120 e 127 cod. civ., con riferimento all'art. 3 Cost., laddove esclude la legittimazione piena ed autonoma degli eredi ad impugnare direttamente il matrimonio contratto dal loro congiunto in stato di incapacità di intendere e di volere.

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