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Articolo 125 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Forme dei provvedimenti del giudice

Dispositivo dell'art. 125 Codice di procedura penale

1. La legge stabilisce i casi nei quali il provvedimento del giudice assume la forma della sentenza, dell'ordinanza o del decreto.

2. La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano.

3. Le sentenze e le ordinanze sono motivate, a pena di nullità [177, 604, 606 lett. e]. I decreti sono motivati, a pena di nullità [181], nei casi in cui la motivazione è espressamente prescritta dalla legge [127, 132, 244, 247, 253, 267, 321, 409, 414].

4. Il giudice delibera in camera di consiglio senza la presenza dell'ausiliario designato ad assisterlo [126] e delle parti. La deliberazione è segreta.

5. Nel caso di provvedimenti collegiali, se lo richiede un componente del collegio che non ha espresso voto conforme alla decisione, è compilato sommario verbale contenente l'indicazione del dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si riferisce il dissenso e dei motivi dello stesso, succintamente esposti. Il verbale, redatto in forma di documento analogico dal meno anziano dei componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti i componenti, è conservato a cura del presidente in plico sigillato presso la cancelleria dell'ufficio(1). Non si applicano le disposizioni degli articoli 110, comma 4, e 111 ter, comma 3(2).

6. Tutti gli altri provvedimenti sono adottati senza l'osservanza di particolari formalità e, quando non è stabilito altrimenti, anche oralmente.

Note

***DIFFERENZE RISPETTO ALLA FORMULAZIONE PREVIGENTE***
(in verde le modifiche e in "[omissis]" le parti della norma non toccate dalla riforma)


[omissis]

5. Nel caso di provvedimenti collegiali, se lo richiede un componente del collegio che non ha espresso voto conforme alla decisione, è compilato sommario verbale contenente l’indicazione del dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si riferisce il dissenso e dei motivi dello stesso, succintamente esposti. Il verbale, redatto in forma di documento analogico dal meno anziano dei componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti i componenti, è conservato a cura del presidente in plico sigillato presso la cancelleria dell’ufficio. Non si applicano le disposizioni degli articoli 110, comma 4, e 111-ter, comma 3.


__________________

(1) L'eventuale dissenso può risultare determinante in prospettiva di un'eventuale azione per la responsabilità civile dei magistrati per i danni cagionati con la decisione, dei quali non sarebbe chiamato a rispondere il giudice dissenziente.
(2) Comma modificato dall'art. 7, co. 1, lett. a) del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. "Riforma Cartabia"). Il testo prima in vigore era il seguente “Nel caso di provvedimenti collegiali, se lo richiede un componente del collegio che non ha espresso voto conforme alla decisione, è compilato sommario verbale contenente l'indicazione del dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si riferisce il dissenso e dei motivi dello stesso, succintamente esposti. Il verbale, redatto dal meno anziano dei componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti i componenti, è conservato a cura del presidente in plico sigillato presso la cancelleria dell'ufficio”.

Ratio Legis

La disposizione in esame trova il proprio fondamento nella constatazione che il processo vive di forme e quindi nella correlativa necessità che esista uno stretto legame tra forma degli atti e nell'esigenza che il legislatore limiti i poteri dei soggetti del processo attraverso.

Spiegazione dell'art. 125 Codice di procedura penale

Nonostante la legge delega imponesse la massima semplificazione delle forme procedimentali, con l'eliminazione do ogni atto o attività non essenziale, non si poteva trascurare la notevole importanza che la forma degli atti assume in relazione ai diritti di difesa dell'imputato, specularmente alla limitazione dei poteri dell'autorità giudiziaria.

Il codice contrappone essenzialmente gli atti compiuti nel procedimento, inteso come fase delle indagini preliminari, agli atti compiuti all'interno del processo.

Per quanto concerne i primi, essi sarebbero caratterizzati dalla libertà di forma, mentre i secondi necessitano invece di forme vincolate e non ammettono equivalenti.

Il legislatore, pur non fornendo di regola una disciplina unitaria della forma in relazione ai diversi soggetti del procedimento, fa un'eccezione nei confronti degli atti compiuti dal giudice, che si sostanziano in sentenze, ordinanze e decreti.

La sentenza è un provvedimento idoneo a chiudere uno stato del procedimento, contenendo una decisione su una regiudicanda. Data la massima espressione del potere giurisdizionale, essa va pronunciata in nome del popolo italiano.

Le sentenze si dividono in:

  • sentenze di condanna, disciplinate dall'art. 533 del c.p.p., pronunciabili all'esito del dibattimento o all'esito dei vari procedimenti speciali previsti dal codice;

  • sentenze di proscioglimento, che ricomprendono le sentenze di assoluzione con le varie formule secondo cui il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per altra ragione (art. 530 del c.p.p.), e le altre sentenze di proscioglimento (non fornite come le altre della medesima autorità di cosa giudicata), come le sentenze di non luogo a procedere (art. 425 del c.p.p.);

  • sentenze dichiarative, che verificano solo l'esistenza di alcune fattispecie di natura processuale, come quelle che giudicano sulla giurisdizione o sulla competenza.

Per quanto riguarda le ordinanze, esse si caratterizzano per il fatto che risolvono una questione incidentale e servono a governare l'andamento del processo. Esistono comunque delle ordinanze atte a concludere il procedimento, come quelle che dichiarano inammissibile l'impugnazione. Solitamente l'ordinanza si distingue dal decreto perché in essa manca il contraddittorio tra le parti, assente invece quando il giudice esprime un comando tramite il decreto.


I decreti sono invece una manifestazione di un comando dell'autorità giudiziaria ed hanno natura prevalentemente amministrativa.

Solo le sentenze e le ordinanze necessitano sempre di motivazione, intesa come spiegazione delle ragioni di fatto e di diritto che hanno indotto il giudice ad adottare un provvedimento piuttosto che un altro, mentre i decreti necessitano di motivazione solo quando espressamente previsto dalla legge. Si considera ammissibile anche la c.d. motivazione per relationem, ovvero quella che si rifà al contenuto di un altro atto, a patto che siano rispettati due requisiti. Infatti, il destinatario dell'atto deve essere in condizione di conoscere la motivazione del provvedimento richiamato, quindi questo deve essere conosciuto o facilmente conoscibile, e il richiamo deve soddisfare l'obbligo della motivazione, il quale risulta disatteso ogniqualvolta si ricorra a generiche formule di stile o le argomentazioni adottate siano non logicamente ricollegabili alla decisione adottata.

Ai sensi del comma 4, il giudice delibera sempre in camera di consiglio quando deve pronunciare una sentenza, un'ordinanza o un decreto, senza la presenza del proprio ausiliario. Per gli altri provvedimenti provvede invece oralmente e senza formalità.

Il comma 5 (come modificato dalla riforma Cartabia, d.lgs. n. 1550 del 2022) disciplina il caso del provvedimento collegiale, quando un componente del collegio ha espresso voto contrario alla decisione: in tal caso, su richiesta del componente dissenziente, viene redatto un sommario verbale con l'indicazione del membro dissenziente, delle questioni dei motivi del dissenso, esposti in modo sintetico.
Nel caso preso in considerazione dal comma 5, in deroga alle regole generali stabilite dagli artt. 110 e ss. c.p.p., il verbale deve essere redatto in forma di documento analogico. Inoltre, dato che tale verbale non è un atto destinato a confluire nel fascicolo informatico, viene escluso l’obbligo ex art. 110, comma 4 c.p.p. e 111 ter, comma 3 c.p.p. di convertire il documento analogico in copia informatica e di depositarlo nel fascicolo informatico.

Massime relative all'art. 125 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 55199/2018

La motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto viziata la motivazione con cui il giudice del riesame aveva confermato il decreto di perquisizione e sequestro del pubblico ministero al quale non era allegata la "nota" della Guardia di Finanza, della quale la difesa aveva cognizione solo al momento del giudizio di riesame).

Cass. pen. n. 47068/2018

La totale assenza di motivazione della sentenza non configura un'ipotesi di inesistenza, ma di mera nullità, suscettibile di sanatoria per effetto del giudicato formatosi sul dispositivo non oggetto di impugnazione. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto legittima l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione aveva proceduto a correzione di errore materiale di una sentenza di condanna recante la motivazione relativa ad altro imputato in diverso procedimento, revocando la sospensione condizionale concessa con detta sentenza per sopravvenuta condanna nel quinquennio).

Cass. pen. n. 54827/2017

Nel caso di radicale mancanza della motivazione, in ordine alla necessaria sussistenza della concreta finalità probatoria perseguita in funzione dell'accertamento dei fatti, del decreto di sequestro di cose qualificate come corpo di reato, che, sebbene non integrato sul punto dal pubblico ministero neppure all'udienza di riesame, sia stato confermato dall'ordinanza emessa all'esito di questa procedura, la Corte di cassazione deve pronunziare sentenza di annullamento senza rinvio di entrambi i provvedimenti. (Nella specie, la Corte, nell'annullare il provvedimento di convalida del sequestro probatorio di una somma di denaro, costituente corpo di reato, in quanto privo di motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, ha osservato che il denaro rinvenuto nel corso di una perquisizione non è necessariamente profitto del reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti, accertato contestualmente al sequestro).

Cass. pen. n. 16499/2017

È affetta da nullità, non sanabile neppure dal giudice del riesame, l'ordinanza applicativa di una misura cautelare personale adottata ai sensi dell'art. 27 c.p.p., a seguito di precedente declaratoria di incompetenza da parte del giudice originariamente adito, quando la motivazione del provvedimento, quanto alla gravità degli indizi ed alle esigenze cautelari, risulti costituita soltanto dalla pedissequa riproduzione di quella emessa dal giudice dichiaratosi incompetente.

Cass. pen. n. 11873/2015

Ai fini della validità formale dell'ordinanza emessa in udienza, non rileva l'illeggibilità della sottoscrizione del giudice, poiché è sufficiente l'identificazione dei componenti dell'organo giurisdizionale che ha emesso il provvedimento, attraverso il verbale d'udienza sottoscritto dall'ausiliario che assiste il giudice e garantisce la veridicità di quanto in esso attestato.

In tema di provvedimenti camerali, non è prospettabile un contrasto tra dispositivo e motivazione poiché in essi manca il dispositivo inteso come atto dotato di autonoma rilevanza, e, quindi, il contenuto della decisione del giudice è racchiuso nell'intero contesto del provvedimento. (Fattispecie relativa ad ordinanza di revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, emessa dal giudice dell'esecuzione all'esito di udienza camerale).

Cass. pen. n. 244/2015

È nulla, ma non inesistente, la sentenza d'appello la cui intestazione individua correttamente l'imputato e la sentenza di primo grado, e che riporta fedelmente il dispositivo letto in udienza, ma che reca, per errore, una motivazione relativa ad altra pronunzia impugnata da un altro imputato, con la conseguenza che, se l'invalidità è tempestivamente dedotta mediante impugnazione, si determina la necessità di rinnovare l'intero giudizio di secondo grado. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che in tale ipotesi - equiparabile alla mancanza grafica di motivazione - non può applicarsi il principio per cui, in presenza di una discrasia tra il dispositivo pubblicato mediante lettura in udienza e la motivazione non contestuale della decisione, deve attribuirsi prevalenza all'elemento decisionale su quello giustificativo).

Cass. pen. n. 53420/2014

La motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto viziata la motivazione con cui il giudice di appello aveva affermato la generica infondatezza dei motivi di impugnazione e si era limitato a richiamare le conclusioni della sentenza di primo grado, in quanto stimate "logicamente e giuridicamente ineccepibili").

Cass. pen. n. 50946/2014

Qualora il ricorso per cassazione sia ammesso esclusivamente per violazione di legge, va esclusa la sindacabilità del vizio di manifesta illogicità mentre è possibile denunciare il vizio della motivazione apparente, atteso che in tal caso si prospetta la violazione dell'art. 125 c.p.p., che impone l'obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto applicabile il principio indicato rispetto al provvedimento applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza).

Cass. pen. n. 48376/2014

Il decreto di sequestro probatorio delle cose che costituiscono corpo del reato deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine alla sussistenza della relazione di immediatezza tra la "res" sequestrata ed il reato oggetto di indagine, non anche in ordine alla necessità di esso in funzione dell'accertamento dei fatti, poiché l'esigenza probatoria del corpo del reato è "in re ipsa".

Cass. pen. n. 43480/2014

La motivazione dell'ordinanza confermativa del decreto di sequestro probatorio è meramente apparente - quindi censurabile con il ricorso per cassazione per violazione di legge - quando le argomentazioni in ordine al "fumus" del carattere di pertinenza ovvero di corpo del reato dei beni sottoposti a vincolo non risultano ancorate alle peculiarità del caso concreto.

Cass. pen. n. 9752/2014

In tema di misure cautelari, l'obbligo di motivazione non può ritenersi adempiuto qualora l'ordinanza del tribunale della libertà contenga una motivazione "per relationem" che si risolva nel mero richiamo alle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, omettendo la valutazione delle doglianze contenute nella richiesta di riesame. (Nella specie, il tribunale del riesame, nel richiamare e condividere le considerazioni svolte dal g.i.p., si era limitato - dinanzi a censure sulla credibilità dei dichiaranti, basate su una sentenza irrevocabile che ne aveva sancito l'inattendibilità - ad invocare i principi di autonomia della propria valutazione, e di scindibilità del dichiarato).

Cass. pen. n. 6779/2014

Incorre nella violazione dell'obbligo di motivazione dettato dagli artt. 125, comma terzo, c.p.p. e 111, comma sesto, Cost. il giudice d'appello che, nell'ipotesi in cui le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state censurate dall'appellante con specifiche argomentazioni, confermi la decisione del primo giudice, dichiarando di aderirvi, senza però dare compiutamente conto degli specifici motivi d'impugnazione, così sostanzialmente eludendo le questioni poste dall'appellante.

Cass. pen. n. 5566/2014

Non è viziata l'ordinanza del giudice che, nel respingere la richiesta presentata da più imputati di sostituzione della misura della custodia cautelare con quella degli arresti domiciliari, dia una motivazione "collettiva" delle ragioni della decisione, in quanto tale tipo di motivazione non viola l'obbligo di individualizzazione delle decisioni nei casi in cui la sovrapponibilità delle situazioni consenta anche una sovrapponibilità delle argomentazioni.

Cass. pen. n. 1269/2013

La motivazione di una sentenza che si limiti a trascrivere le intercettazioni senza alcuna valutazione critica e senza specificare le ragioni per le quali il loro contenuto dimostra una certa tesi può essere ritenuta sufficiente a condizione che la chiarezza delle conversazioni captate e la linearità della vicenda rendano la prova autoevidente.

Cass. pen. n. 14830/2012

In materia di misure cautelari personali non è nulla per difetto assoluto di motivazione l'ordinanza applicativa in cui risulti trasfusa integralmente ed alla lettera la richiesta del P.M., sempre che risulti che il giudice abbia preso cognizione del contenuto delle ragioni dell'atto incorporato, senza recepirlo acriticamente.

Cass. pen. n. 9236/2012

La segretezza della deliberazione in camera di consiglio non esige che i componenti dell'organo giudicante stiano in condizione di isolamento, e quindi di materiale segregazione, per tutto il periodo compreso dall'inizio al termine della deliberazione e non abbiano conseguentemente contatti, ovviamente nei momenti di interruzione della deliberazione, con persone estranee.

Cass. pen. n. 3154/2012

La nullità della sentenza per mancanza grafica della motivazione non incide sulla validità degli atti antecedenti, sicché alla rinnovazione dell'atto nullo deve provvedere il giudice che ha deliberato, con la conseguenza che il processo, ritornato nella fase post-dibattimentale, riprende il suo corso mediante un nuovo deposito in cancelleria della sentenza.

Cass. pen. n. 2736/2012

Il sequestro probatorio deve essere necessariamente motivato considerando la natura delle cose sequestrate in relazione al reato per cui si procede, sicché, con riferimento al delitto di ricettazione di opere d'arte è necessario che il pubblico ministero spieghi compiutamente le ragioni probatorie del sequestro, qualora il rapporto pertinenziale tra la cosa ed il reato non sia di intuitiva evidenza. (Nel caso di specie la Corte ha ritenuto il provvedimento di sequestro probatorio carente della necessaria motivazione sul "fumus" del cosidetto "furto d'arte", trattandosi di beni privi della dichiarazione d'interesse culturale ex art. 13 D.L.vo 22 gennaio 2004, n. 42, che ne rendesse evidente il rapporto pertinenziale).

Cass. pen. n. 858/2012

Il giudice di appello, che sia adito con impugnazione proposta in forza di un provvedimento di restituzione nel termine in favore del condannato contumaciale, deve motivare i provvedimenti relativi alle istanze preliminari di remissione in termini per la richiesta di riti alternativi, in quanto deve essere garantita la parità di diritti all'imputato rimasto inconsapevole, senza colpa alcuna, del procedimento a suo carico, così come é necessario che il giudice motivi la sua decisione in ordine alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, pur essendo libero di valutare la sussistenza dei presupposti che la rendano necessaria.

Cass. pen. n. 16034/2011

È legittima la motivazione "per relationem" dell'ordinanza applicativa della misura cautelare disposta dal giudice competente ai sensi dell'art. 27 c.p.p., purchè il rinvio alle valutazioni già espresse dal primo giudice risulti consapevole e consenta il controllo dell'iter logico-giuridico alla base dell'adozione del titolo restrittivo.

Cass. pen. n. 13385/2011

In materia di misure cautelari, non è nulla per difetto assoluto di motivazione l'ordinanza applicativa di una misura coercitiva in cui risulti trasfusa integralmente ed alla lettera la richiesta del P.M., sempre che risulti che il giudice abbia preso cognizione del contenuto delle ragioni dell'atto incorporato, ritenendole coerenti alla sua decisione.

Cass. pen. n. 9439/2011

La motivazione "per relationem", nella specie: di decreti d'intercettazione di urgenza, non implica la necessità della formale e fisica allegazione del documento specificamente richiamato, essendo sufficiente che quest'ultimo sia acquisito agli atti del procedimento ed esaminato dal giudice ai fini della valutazione che di volta in volta gli è demandata.

Cass. pen. n. 7651/2010

Ricorre il vizio della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza se la stessa risulti inadeguata nel senso di non consentire l'agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova ovvero di impedire, per la sua intrinseca oscurità od incongruenza, il controllo sull'affidabilità dell'esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti.

Cass. pen. n. 3287/2009

Il potere sostitutivo attribuito al presidente del tribunale, in caso di impedimento del giudice monocratico, non è circoscritto alla sola sottoscrizione della sentenza, ma si estende anche alla stesura dei motivi della decisione.

Cass. pen. n. 7476/2008

La illeggibilità della sottoscrizione di ordinanza da parte del giudice non è causa di nullità dell'atto non rilevando, ai fini della validità formale dello stesso, l'identificazione, tramite la sottoscrizione, della persona fisica del giudice, peraltro agevolmente individuabile tramite i registri esistenti presso la cancelleria.

Cass. pen. n. 1533/2008

In tema di motivazione dell'ordinanza applicativa della custodia cautelare, l'obbligo di cui all'art. 125, comma terzo c.p.p. è soddisfatto anche mediante l'esplicito riferimento a precedente ordinanza coercitiva divenuta inefficace per vizio di forma e non di merito, trattandosi di provvedimento rimasto valido nei suoi contenuti sostanziali, la cui valutazione è, così, fatta consapevolmente propria dal giudice che procede e risulta idonea a rendere edotto l'interessato dell'iter logico seguito per pervenire alla decisione adottata.

Cass. pen. n. 27787/2004

A differenza di quanto si verifica nel caso della sentenza, il cui dispositivo letto in udienza costituisce l'atto con cui il giudice estrinseca la volontà della Legge nel caso concreto, l'ordinanza emessa a seguito di rito camerale presenta il carattere unitario del complesso procedimento logico nel quale si compendia la decisione adottata sicchè, non essendovi momento distintivo tra dispositivo e motivazione, ma costituendo dette parti del provvedimento nel loro insieme la decisione, all'eventuale discrepanza esistente nel primo può ovviarsi con la lettura del provvedimento nel suo complesso. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto legittimo il provvedimento con il quale la corte d'appello aveva corretto, nelle forme di cui all'art. 130 c.p.p., il decreto di applicazione di una misura di prevenzione emesso dal tribunale sostituendo, nel dispositivo,l'indicazione della durata di detta misura da anni due ad anni tre, in conformità di quanto risultava dalla motivazione).

Cass. pen. n. 16886/2004

Al giudice dell'impugnazione è consentito motivare per relationem il provvedimento gravato purchè egli si attenga al rispetto di criteri specifici in ossequio ai quali: 1) ogni riferimento risulti ad un atto legittimo del procedimento la cui motivazione sia congrua per rapporto alla propria «giustificazione» verso il provvedimento finale; 2) il decidente risulti pienamente a conoscenza delle ragioni del provvedimento di riferimento, risulti che le ritenga coerenti alla propria decisione e le condivida; 3) risulti che l'atto di riferimento sia conosciuto dall'interessato o almeno a lui ostensibile. (Nella fattispecie la Corte, accogliendo il ricorso, ha rilevato che il secondo dei parametri illustrati non era stato rispettato poichè il giudice di appello si era limitato a ricopiare testualmente la sentenza di primo grado).

Cass. pen. n. 22327/2003

Il giudice penale che abbia concorso, in camera di consiglio, alla deliberazione collegiale non può essere richiesto — trattandosi di attività coperta da segreto di ufficio — di deporre come testimone in merito al relativo procedimento di formazione (e, se richiesto, ha l'obbligo di astenersi), limitatamente alle opinioni e ai voti espressi dai singoli componenti del collegio, salvo il sindacato del giudice che procede circa l'effettiva pertinenza della domanda formulata alle circostanze coperte da segreto. Ne consegue che la testimonianza eventualmente resa, poiché acquisita in violazione di un divieto stabilito dalla legge, è inutilizzabile. (Fattispecie relativa a imputazione di concorso c.d. «esterno» in associazione di tipo mafioso).

Cass. pen. n. 12719/2003

Qualora il provvedimento del questore che impone l'obbligo di comparizione personale, nell'ufficio o comando di polizia competente, a soggetto destinatario di divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive (art. 6, comma 2, legge 13 dicembre 1989, n. 401 e succ. mod.) sia congruamente motivato con riferimento alle ragioni di necessità e urgenza imposte dall'art. 13, comma terzo, Cost. e ai fatti addebitabile, il provvedimento di convalida del Gip nel quale si richiama quello del questore attua una motivazione per relationem che è legittima in quanto ha come termine di raffronto un atto conosciuto dall'interessato e del quale è stata compiuta idonea valutazione.

Cass. pen. n. 39928/2002

L'inosservanza dell'art. 125, comma 4, c.p.p., secondo il quale il giudice decide in camera di consiglio senza la presenza dell'ausiliario designato ad assisterlo e delle parti e la sua deliberazione è segreta, è sfornita di sanzione processuale; conseguentemente, la decisione del giudice collegiale deliberata all'esterno della camera di consiglio (nella specie, nell'aula di udienza) è valida, salva l'applicabilità di eventuali sanzioni disciplinari, dal momento che, a norma dell'art. 124 stesso codice, i magistrati sono tenuti ad osservare le norme del codice anche quando la loro inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale.

Cass. pen. n. 14738/2002

È legittima la motivazione per relationem anche quando ad essere richiamata sia la richiesta, non del pubblico ministero, ma di un'altra parte, purché, i fatti cui si fa riferimento siano conosciuti o conoscibili dall'interessato, in modo che egli sia in grado di controllare la congruenza e la legittimità della motivazione stessa. (Fattispecie in cui il decreto del pubblico ministero era motivato con riferimento alla istanza di dissequestro, che, a sua volta, rinviava ad una perizia assunta con incidente probatorio e, comunque, certamente conoscibile da parte della persona offesa, a seguito della presentazione dell'atto di appello dinanzi al tribunale del riesame).

Cass. pen. n. 11292/2002

La mancanza totale o la mera apparenza della motivazione nelle ordinanze di riesame relative a misure cautelari reali, poiché configura una violazione della norma di cui all'art. 125 c.p.p. che prescrive la motivazione a pena di nullità, determina un vizio di legittimità del provvedimento, che può essere dedotto in cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. c), senza venire a contrasto con la disposizione di cui all'art. 325 c.p.p. che limita il ricorso per cassazione alla sola violazione di legge e lo esclude per vizi motivazionali.

Cass. pen. n. 11191/2002

La motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando l'atto di riferimento, non allegato o non trascritto nel provvedimento da motivare, sia specificato attraverso dati identificativi e, se non conosciuto, sia agevolmente conoscibile dall'interessato, indipendentemente dalla esistenza e dalla validità della sua notificazione, posto che questa non rappresenta l'unico modo attraverso cui gli atti sono conoscibili nel processo. (Nel caso di specie, la Corte ha annullato l'ordinanza di riesame, confermativa del provvedimento del giudice per le indagini preliminari che aveva rigettato la richiesta di revoca del sequestro preventivo, affermando che il tribunale aveva omesso di verificare se i provvedimenti richiamati per relationem nell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari fossero o meno conosciuti o conoscibili dall'interessato).

Cass. pen. n. 5659/2002

L'annullamento, da parte della Corte costituzionale, a seguito di conflitto di attribuzioni sollevato da un ramo del Parlamento, di ordinanze con le quali il giudice ordinario abbia respinto richieste di rinvio di un procedimento a carico di un parlamentare, motivate dalla concomitanza di sedute alle quali quest'ultimo riteneva di dover partecipare, non può estendere i suoi effetti, atteso il principio dell'autonomia delle azioni penali (a ciascuna delle quali corrisponde un rapporto processuale del tutto indipendente dagli altri), alla posizione di coimputati i quali non siano investiti di mandato parlamentare.

Cass. pen. n. 45458/2001

È nulla, ai sensi degli artt. 125, comma 3 e 546, comma 1, lett. E) c.p.p., la sentenza che rechi una motivazione vergata a mano con grafia incomprensibile, non potendo farsi carico alla parte né di un obbligo, non previsto dalla legge e dall'esito incerto, di attivarsi per ottenere una diversa redazione del provvedimento, né del rischio di incorrere medio tempore nella decorrenza dei termini concessi per l'impugnazione.

Cass. pen. n. 43285/2001

In tema di sequestro probatorio d'iniziativa della polizia giudiziaria, è legittimo il decreto di convalida del pubblico ministero motivato per relationem al contenuto del verbale di sequestro allorché quest'ultimo contenga tutti gli elementi idonei a identificare l'ipotesi di reato, le cose sequestrate, la persona o le persone cui sono riferibili e le ragioni della sottoposizione al vincolo, e allorché il decreto di convalida rinvii con chiarezza all'atto della polizia giudiziaria e non lasci dubbi circa l'adesione alle scelte compiute dai verbalizzanti.

Cass. pen. n. 38851/2001

In tema di sequestro probatorio, diversamente da quando sono soggette a vincolo le «cose pertinenti al reato», non è necessario, allorché il sequestro riguarda cose che assumono la qualifica di «corpo di reato», che si provveda a una specifica motivazione circa la necessità del sequestro stesso in funzione dell'accertamento dei fatti, atteso che la qualità di corpo del reato comporta l'esistenza di un rapporto di immediatezza tra le cose e l'illecito penale e di una conseguente necessaria efficacia probatoria diretta, a meno che non vengano mosse specifiche e motivate contestazioni circa la fondatezza e la necessità della misura. (Nell'affermare tale principio la Corte ha rigettato il ricorso nei confronti di ordinanza confermatoria del sequestro di corpo di reato che si limitava a motivare che esso «in concreto, appare necessario per l'accertamento dei fatti»).

Cass. pen. n. 4057/1999

In tema di decreti autorizzativi di intercettazioni (telefoniche od ambientali) la motivazione può essere la minima necessaria a chiarire le ragioni del provvedimento, in ordine alla indispensabilità del mezzo probatorio richiesto, ai fini della prosecuzione delle indagini, ed alla sussistenza dei gravi indizi di reato. Tuttavia, il giudice non deve limitarsi ad espressioni che costituiscano perifrasi del contenuto delle norme che disciplinano l'assunzione del mezzo probatorio, né deve limitarsi a recepire le richieste degli organi investigativi se non a seguito di autonoma valutazione. Inoltre, nel caso di ripetitività di decreti autorizzativi che abbiano come presupposto la sussistenza di gravi indizi di un reato, il giudice può richiamare per relationem la motivazione di altro proprio precedente decreto, emesso per lo stesso reato e nello stesso procedimento, trattandosi di situazioni concrete già valutate e di argomentazioni già esposte.

Cass. pen. n. 4724/1999

In tema di motivazione dell'ordinanza impositiva della custodia cautelare, l'obbligo di cui all'art. 125, terzo comma c.p.p. è soddisfatto anche mediante l'esplicito riferimento a precedente ordinanza coercitiva divenuta inefficace per vizio di forma e non di merito, trattandosi di provvedimento rimasto valido nei suoi contenuti sostanziali, la cui valutazione è, così, fatta consapevolmente propria dal giudice che procede e risulta idonea a rendere edotto l'interessato dall'iter logico seguito per pervenire alla decisione adottata. (Fattispecie relativa a reati di criminalità organizzata, nella quale un primo provvedimento coercitivo era stato dichiarato inefficace dalla Corte di cassazione a norma degli artt. 309, quinto e decimo comma, c.p.p.).

Cass. pen. n. 9/1999

La Corte di appello chiamata a deliberare la novità degli elementi di prova a sostegno di una istanza di revisione ai fini della manifesta infondatezza deve, in osservanza dell'obbligo generale stabilito dall'art. 125, comma 3, c.p.p., fornire una sia pur sommaria giustificazione logica con cui dimostri di aver esaminato le risultanze sottoposte alla sua decisione. Laddove si limiti ad affermare in modo generico ed apodittico che le prove sopravvenute, specificamente indicate con la richiesta, o sono già state valutate nel precedente giudizio di cognizione o non sono idonee a dimostrare che il condannato deve essere prosciolto, la motivazione è soltanto apparente, e quindi inesistente, allorché essa non sia preceduta dalla doverosa indicazione di quali prove sarebbero già state valutate ovvero delle ragioni per cui esse sarebbero inidonee a smentire le prove su cui si è basata la sentenza di condanna.

Cass. pen. n. 4557/1999

La motivazione per relationem è legittima purché sia integrata con la risposta ai rilievi critici formulati nell'atto di appello: in mancanza di specifiche controdeduzioni la mera ritrascrizione della precedente motivazione non adempie l'obbligo di motivazione e fa venir meno lo stesso oggetto del giudizio di appello, costituito dalla revisione critica della precedente pronuncia alla stregua degli argomenti svolti dall'appellante, e quindi la garanzia del doppio grado di giurisdizione.

Cass. pen. n. 754/1999

A differenza delle sentenze, per le quali, in caso di contrasto tra motivazione e dispositivo, vige il principio della prevalenza di quest'ultimo, in tema di ordinanze e decreti vale il principio secondo cui occorre stabilire quale sia stata l'effettiva volontà del giudice, così come emerge dal provvedimento globalmente considerato nell'insieme di motivazione e dispositivo. (Fattispecie relativa a decreto di rigetto di opposizione alla richiesta di archiviazione, emesso de plano dal Gip dopo l'espletamento di indagini ulteriori disposte a seguito di accoglimento di una prima opposizione della persona offesa, che la S.C. ha ritenuto di dover qualificare come decreto di inammissibilità, sul rilievo che nella sua motivazione espressamente si faceva riferimento a «censura di inammissibilità dell'opposizione»).

Cass. pen. n. 4007/1999

La preminente funzione di garanzia che è alla base dei decreti di autorizzazione di intercettazioni telefoniche, impone che la motivazione di essi sia rigorosa e puntuale e non si esaurisca in una mera perifrasi della norma di legge, occorrendo che emerga l'esistenza di un'autonoma valutazione ad opera del giudice circa la presenza delle condizioni richieste per l'esecuzione delle captazioni. Peraltro, con riguardo al più specifico profilo della motivazione per relationem, pur dovendosi ritenere astrattamente legittimo anche un siffatto tipo di motivazione, è indispensabile che il decreto indichi le ragioni per le quali il giudice ritiene di condividere le argomentazioni poste a base della richiesta e non si esaurisca nell'esclusivo richiamo o rinvio all'esposizione delle ragioni contenute nell'istanza.

Cass. pen. n. 3774/1998

In tema di convalida del sequestro, la motivazione del relativo decreto in ordine al rapporto pertinenziale esistente tra le cose sequestrate e l'ipotesi di reato astrattamente formulata può essere anche estremamente succinta, essendo sufficiente che il pubblico ministero verifichi l'astratta configurabilità del reato.

Cass. pen. n. 1449/1998

È affetta da vizio logico di motivazione l'ordinanza del giudice del riesame che ritenga adeguata la custodia domiciliare per un reato più grave e non per uno meno grave senza fornire adeguata motivazione al riguardo. (Fattispecie in cui all'indagato che si trovava agli arresti domiciliari per ricettazione è stata negata analoga misura in relazione al reato di furto, per il quale era stata disposta custodia cautelare in carcere).

Cass. pen. n. 1355/1998

La sottoscrizione dell'ordinanza o della sentenza da parte del giudice non implica che la firma debba essere leggibile, in maniera tale da consentire l'individuazione del giudice (o dei giudici) da cui la decisione promana, non essendo ciò richiesto da alcuna norma giuridica. (Fattispecie in tema di ordinanza di declaratoria di inammissibilità di istanza di ricusazione).

Cass. pen. n. 2383/1998

Quando il ricorso per cassazione sia consentito soltanto per «violazione di legge» (come nella previsione del ricorso per saltum avverso ordinanza applicativa di misura cautelare, di cui all'art. 311, comma 2, c.p.p.), detta violazione va intesa in senso stretto, e cioè come inosservanza, comportante nullità, di uno specifico precetto normativo; ragion per cui, mentre in essa può farsi rientrare il caso dell'assoluta mancanza di motivazione (previsto come causa di nullità dall'art. 125, comma 3, c.p.p.), ne rimane invece escluso quello dell'illogicità della motivazione stessa, trattandosi, in quest'ultima ipotesi, di vizio deducibile unicamente ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.

Cass. pen. n. 4789/1998

Il ricorso per saltum ex art. 311, comma secondo, c.p.p. avverso i provvedimenti restrittivi della libertà è possibile solo per violazione di legge. Pertanto, con riferimento alla motivazione, il ricorso è consentito solo quando la stessa manchi, poiché il relativo obbligo è imposto a pena di nullità dagli artt. 125, comma 3, e 292, comma 2, c.p.p., concretizzandosi tale mancanza non solo quando la motivazione sia graficamente assente ma anche quando essa sia del tutto apparente in quanto il giudice indichi in modo del tutto generico le fonti dalle quali ha inteso trarre gli indizi di colpevolezza, ovvero si richiami in modo indeterminato al tipo di prova acquisita o, ancora, accenni solo vagamente agli elementi di discolpa dell'interessato apoditticamente ritenendoli superati da quelli a suo carico.

Cass. pen. n. 5268/1997

Nella motivazione di un'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca di un sequestro preventivo, è legittimo e pienamente rispondente alla natura del provvedimento richiamare i motivi che giustificarono il sequestro, considerarne la validità e prendere atto che nessun elemento nuovo è intervenuto. (Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha ritenuto che correttamente fosse stata negata valenza di elemento nuovo sopravvenuto al proscioglimento dall'imputazione di associazione per delinquere, concorrente con quella di usura, in relazione alla quale il decreto di sequestro era in via principale motivato ed era stato disposto rinvio a giudizio).

Cass. pen. n. 3513/1997

L'elusione, da parte del giudice del riesame, del suo compito istituzionale di controllo «in concreto» del provvedimento impugnato integra una violazione di legge - nel cui limitato ambito è consentito il ricorso per cassazione avverso la decisione di riesame in tema di misure cautelari personali ai sensi dell'art. 325, primo comma, c.p.p. - riconducibile alla prescrizione dell'obbligo di motivazione di cui all'art. 125, terzo comma, c.p.p., sanzionato a pena di nullità, e dunque deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, lett. c), c.p.p.; nel caso di specie non ci si trova in presenza, infatti, di uno dei vizi presi in considerazione dall'art. 606, lett. e), dello stesso codice, configurabili con riferimento alla manifestazione del convincimento del giudice sui fatti comunque rilevanti per la decisione, dei quali egli abbia trascurato l'esame o dato una valutazione illogica o contraddittoria, bensì di un'omissione della pronuncia derivante dall'erronea interpretazione delle proprie funzioni da parte dell'organo giudicante e dalla conseguente elusione del ruolo di garanzia caratterizzante la speciale istanza di secondo grado costituita dal riesame delle misure cautelari. Un tale sostanziale rifiuto di provvedere si traduce in una peculiare mancanza di motivazione riconducibile alla violazione tipica di una norma processuale prevista a pena di nullità (art. 125, terzo comma, c.p.p.) e pertanto deducibile con il ricorso per cassazione anche nella limitata estensione consentita dall'art. 325 c.p.p.

Cass. pen. n. 9472/1996

Qualora il giudice di merito pervenga, con adeguata motivazione, a far proprie le conclusioni di due perizie d'ufficio che siano giunte ad identico risultato attraverso diverse metodologie di indagine scientifica, non gli incombe l'ulteriore onere motivazionale di risolvere le eventuali difformità dell'argomentare dei periti, le quali risultano ininfluenti ai fini della decisione.

Cass. pen. n. 17/1996

L'obbligo della motivazione deve ritenersi assolto allorché il giudice indichi il principio di diritto applicato ed esprima la propria adesione ad esso, ritenendo, anche per implicito, che non esistano ragioni che giustifichino una deviazione da indirizzi giurisprudenziali costituenti ius receptum.

Cass. pen. n. 761/1996

A custodia del principio di obbligatorietà dell'azione penale è posto il Gip, chiamato ad evitare ingiustificate inazioni del P.M., totali o parziali, nonché azioni apparenti o fittizie. Tale controllo va esercitato nei precisi limiti e nelle prescritte forme di cui all'art. 409 c.p.p. Se, a seguito dell'udienza camerale (e dell'eventuale contraddittorio), non accoglie la richiesta di archiviazione del P.M., il giudice ha la scelta alternativa di indicare al P.M. ulteriori indagini o di ordinargli la formulazione dell'imputazione. La previsione che il relativo ordine sia disposto con ordinanza implica necessariamente che la decisione sia motivata (art. 125 c.p.p.) e la motivazione non può che concernere gli elementi di fatto e le specifiche ragioni di diritto in base a cui egli ritiene inaccoglibile la richiesta di archiviazione e, per contro, afferma la doverosità di agire, la quale non può essere astratta, ma deve essere riferita a determinate fattispecie di reato, senza le quali non avrebbe senso un potere del giudice vincolante per le parti. (Nella specie è stato ritenuto abnorme il provvedimento del Gip, che dichiarava la nullità, per mancanza di motivazione, della richiesta di archiviazione ed ordinava la trasmissione degli atti al P.M. senza alcuna ulteriore indicazione).

Cass. pen. n. 528/1996

L'ordinanza, a differenza della sentenza, i cui requisiti sono fissati nell'art. 546 c.p.p., è un importante provvedimento a forma libera. All'uopo è sufficiente che sia chiaramente individuabile l'autorità che l'ha pronunciata e la persona alla quale si riferisce; la concisa esposizione della motivazione di fatto e di diritto; il dispositivo, ricavabile dall'intero testo del documento; la data e la sottoscrizione del giudice. Al fine di individuare il soggetto al quale si riferisce, l'indicazione delle generalità, pur essendo certamente opportuna, non è tuttavia indispensabile, potendo essere desunta anche da altri elementi, quali la specificazione del numero del ruolo.

Cass. pen. n. 12/1995

Il provvedimento con il quale il giudice accoglie o respinge la richiesta di proroga della custodia cautelare — per consentire alle parti di conoscere le ragioni che lo hanno guidato e di censurarne la legittimità dinanzi al giudice dell'impugnazione — deve essere adeguatamente motivato in riferimento alla specifica individuazione delle esigenze cautelari dotate del carattere della gravità e alla necessità di specifici adempimenti di indagine, che devono essere complessi, assolutamente necessari alla definizione del procedimento e avere diretto riferimento alla posizione processuale dell'indagato nei cui confronti la proroga è stata richiesta. (In motivazione, la S.C. ha affermato che di regola le uniche esigenze cautelari che possono venire in rilievo ai fini della proroga sono quelle di natura probatoria, ma che, data la valenza generale dell'istituto operante anche in relazione ai delitti indicati nell'art. 275, comma terzo, c.p.p., per i quali esiste la presunzione di una generalizzata gravità delle esigenze cautelari, tale gravità deve essere riferita, quanto meno per questi delitti, non solo alle esigenze di cautela probatoria, ma anche a quelle di cautela finale e sostanziale).

Cass. pen. n. 2253/1995

Poiché, ai fini della validità degli atti e provvedimenti del giudice, occorre aver riguardo alla loro sostanza ed agli effetti che essi sono idonei a produrre, in linea con la funzione pratica ad essi assegnata, esplicitamente o implicitamente, dal legislatore, deve escludersi che sia qualificabile come «abnorme» il provvedimento con il quale il giudice, ai sensi del combinato disposto degli artt. 23 e 521, comma secondo, c.p.p., abbia dichiarato la propria incompetenza adottando la forma dell'ordinanza anziché quella della sentenza. (Nella specie, in applicazione di detti principi, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal pubblico ministero avverso l'ordinanza - asseritamente abnorme - con la quale il giudice si era dichiarato incompetente).

Cass. pen. n. 12414/1994

L'ordinanza di revoca del provvedimento con il quale era stata disposta la sospensione del processo è provvedimento meramente ordinatorio, la cui mancanza di motivazione non è causa di nullità, essendo sufficiente che il giudice esponga le ragioni della decisione, che hanno determinato la revoca della precedente ordinanza sospensiva nella motivazione della sentenza: ed invero si tratta di provvedimento funzionale alla decisione di merito, sicché del medesimo, contrariamente ad altri tipi di ordinanza aventi effetti separati da detto giudizio, può darsene congrua motivazione in uno con la sentenza. (Nella specie l'ordinanza di revoca era stata emessa nel giudizio camerale di impugnazione di sentenza di primo grado pronunciata con rito abbreviato).

Cass. pen. n. 3148/1994

La motivazione per relationem, pur costituendo una prassi censurabile in altra sede e quindi da evitare non determina nullità, quando le argomentazioni del provvedimento richiamato siano perfettamente note all'interessato, perché da lui conosciute o facilmente conoscibili. Né a diversa conclusione può giungersi in base al dato meramente formale della sede di pronuncia del provvedimento richiamato e cioè se la motivazione richiamata esista nel procedimento, al quale quella per relationem si riferisca, od in altro procedimento, essendo sufficiente che siano chiare al ricorrente le ragioni della pronuncia adottata dal giudice. (Nella specie due giorni prima era stata notificata al difensore una decisione concernente la stessa richiesta di revoca dell'ordinanza di divieto di espatrio e cioè una pronuncia reiettiva dello stesso tribunale, pur se concernente un distinto procedimento. La motivazione impugnata richiamava espressamente questo provvedimento ed il suo contenuto).

Cass. pen. n. 670/1994

Pur in assenza di una esplicita disposizione come quella dettata, in tema di requisiti della sentenza, dall'art. 546 c.p.p. che sanziona con la nullità il difetto o l'incompletezza del dispositivo, non può escludersi la sussistenza di analogo vizio per le ordinanze a contenuto decisorio, che hanno, in definitiva, struttura e contenuto analoghi a quelli della sentenza ed al pari di questa decidono, eventualmente in modo irrevocabile, la questione di merito sostanziale che ne costituisce l'oggetto; né il dispositivo può desumersi implicitamente dalla parte motiva: la motivazione del provvedimento, infatti, può esplicare utilmente funzione di orientamento per la comprensione del dispositivo ma non può assumere valenza e funzione sostitutiva di questo, che manifesta il comando della legge nel caso concreto e dà certezza del contenuto preciso e indiscutibile della decisione, anche in relazione al potere di impugnazione riconosciuto alle parti. (Nel caso di specie l'ordinanza impugnata, emessa dal giudice dell'esecuzione, aveva deciso circa revoche ed applicazioni di condono relative a varie condanne pronunciate con più sentenze ma, dal dispositivo, non risultava statuizione alcuna in ordine alla richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato ritualmente avanzata dall'interessato, sulla quale tuttavia, in motivazione, erano enunciate valutazioni di sostanziale rigetto).

Cass. pen. n. 5608/1994

1994, n. 4353Il provvedimento adottato in forma di ordinanza, che statuisce su diritti o su determinate situazioni giuridiche con quel carattere di definitività che è considerato distintivo, immanente ed essenziale, della sentenza deve ritenersi irrevocabile se soggetto ad impugnazione, con la conseguenza che, dopo la sua emanazione, essendosi esaurito l'esercizio della potestà decisoria, è sottratta, immediatamente o successivamente, all'organo della giurisdizione (anche in sede esecutiva) la possibilità di tornare sulla presa decisione, cui va pertanto, riconosciuta la idoneità a decidere in modo risolutivo l'episodio che ad essa ha dato vita. (Fattispecie relativa ad ordinanza applicativa di indulto).

Cass. pen. n. 5639/1994

Anche per l'ordinanza la motivazione costituisce requisito formale e non sostanziale, essendo la parte dispositiva che realizza il contenuto decisorio, fornito di propri effetti e suscettibile di divenire irrevocabile se non viene proposta impugnazione nei termini. La mancanza della motivazione configura quindi una nullità, che viene sanata dal giudice di appello che è tenuto, a seguito di impugnazione, ad integrare il provvedimento privo di motivazione. (Nella specie trattavasi di ordinanza di rimessione in libertà, pronunciata dal Gup - contestualmente alla sentenza - all'esito di giudizio abbreviato, e che era stata oggetto di appello da parte del P.M.).

Cass. pen. n. 1309/1994

Non vi è inadempimento all'obbligo della motivazione qualora il giudice d'appello abbia accertato e valutato il materiale probatorio con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado. In tal caso le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d'appello.

Cass. pen. n. 4353/1994

Quando il provvedimento del giudice emesso in forma di ordinanza non decide su questioni contingenti o temporanee, sia di forma che di sostanza, ma statuisce su determinate situazioni giuridiche con carattere di definitività ed è soggetto ad impugnazione, il provvedimento stesso deve ritenersi irrevocabile una volta che sia decorso il termine per l'impugnazione o questa sia stata respinta; la revocabilità di una ordinanza è dunque correlata alla situazione giuridica su cui il provvedimento incide e deve essere esclusa tutte le volte in cui ha il carattere della definitività, come nelle ipotesi di ordinanza emessa dal giudice all'esito del procedimento di esecuzione in cui l'esaurimento della situazione considerata impedisce la riproponibilità delle questioni decise; eventuali elementi nuovi che incidano su una situazione esecutiva in atto possono essere solo condizione per un nuovo incidente di esecuzione. (Nella specie la Corte ha confermato la dichiarazione di inammissibilità della richiesta di revoca, avanzata dalle parti civili già costituite, di un'ordinanza che, in presenza di una pluralità di giudicati, aveva disposto l'esecuzione della sentenza di assoluzione).

Cass. pen. n. 1782/1993

L'ordinanza emessa dal tribunale in sede di riesame del sequestro probatorio (artt. 257 e 324 c.p.p.) deve seguire lo schema formale di motivazione previsto dall'art. 125, comma terzo, c.p.p. costituisce parte integrante della motivazione del provvedimento l'esposizione degli elementi di fatto ritenuti e posti a fondamento del giudizio, alla quale deve rifarsi la Corte di cassazione per esercitare il controllo di legittimità sull'adeguatezza, congruità e logicità della motivazione del provvedimento impugnato, essendole inibito di accedere alla consultazione degli atti al fine di verificare la carenza o illogicità della motivazione. Ove tale ricostruzione manchi o risulti frammentaria, tanto da non rendere intellegibile l'esatto contorno storico e processuale della vicenda, la Corte viene posta nella impossibilità di esplicare correttamente il suo ruolo di pura legittimità. Ne consegue la nullità del provvedimento. In particolare, nel provvedimento deve essere indicata l'ipotesi concreta del reato per cui si procede, sia pure sinteticamente e con l'approssimazione che lo stato delle indagini permette, non essendo sufficiente la sola indicazione degli articoli di legge, e ciò al fine di stabilire la relazione esistente tra la cosa sequestrata ed il reato per consentire al giudice dell'impugnazione di valutarne la sussistenza e la legittimità.

Cass. pen. n. 3119/1992

La congruità o meno della motivazione di un provvedimento giurisdizionale non può dipendere dal fatto che il giudice abbia o non abbia usato le parole usate dal legislatore, dovendosi invece aver riguardo solo al fatto che egli abbia o meno indicato elementi di prova o indizi aventi le caratteristiche richieste dalla legge. (Nella specie, sulla scorta di tale principio, è stata ritenuta la validità, sotto il profilo motivazionale, di un provvedimento in materia de libertate in cui, pur affermandosi la necessità di verificare la sussistenza dei «gravi indizi di colpevolezza», si erano poi talvolta definiti tali indizi come «sufficienti»).

Cass. pen. n. 2973/1992

L'esistenza di vizi formali concernenti l'indicazione del giudice non è causa di nullità quando dal contesto e dal contenuto del provvedimento risulti chiaramente identificabile il giudice che lo ha emesso. (Nella fattispecie la Corte Suprema ha ritenuto del tutto irrilevante la circostanza che, da un timbro erroneamente apposto nell'intestazione e nella sottoscrizione dell'atto, risultasse l'indicazione di «pretore», essendo agevolmente identificabile da una serie di elementi univoci — numero di registro generale, intestazione dello stampato, ecc. — il diverso organo giudiziario che lo aveva emesso).

Cass. pen. n. 2762/1992

Poiché non esiste una sorta di presunzione generale di affidabilità di ciascuno al servizio sociale ma, al contrario, in base al testuale tenore dell'art. 47, secondo comma, dell'«ordinamento penitenziario», devono sussistere elementi positivi sulla base dei quali il giudice possa ragionevolmente «ritenere» (come richiesto dalla norma), che l'affidamento si riveli proficuo, in relazione agli obiettivi di rieducazione e di prevenzione propri dell'istituto, appare evidente che la reiezione dell'istanza di affidamento può considerarsi validamente motivata anche sulla sola base delle informazioni fornite dagli organi di polizia giudiziaria, quando esse, lungi dal dimostrare l'esistenza di elementi del genere anzidetto, pongano in luce, al contrario, la negativa personalità dell'istante.

Cass. pen. n. 90/1991

In tema di misure cautelari personali, per poter ritenere adempiuto l'obbligo della motivazione non è sufficiente la generica indicazione della fonte dalla quale potrebbero ricavarsi gli indizi di colpevolezza, oppure il generico richiamo al tipo di prova acquisita, essendo invece necessaria l'indicazione del contenuto delle risultanze emergenti dagli elementi presentati dall'organo richiedente il provvedimento, nonché la menzione dei fattori indizianti che se ne possono desumere e delle ragioni della loro rilevanza ai fini del giudizio di probabile reità. (Nella specie è stato annullato il provvedimento del giudice di merito, siccome privo del riferimento alla dichiarazione della parte offesa e al referto medico, rilevanti ai fini della sussistenza di indizi gravi di colpevolezza per lesioni volontarie).

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