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Articolo 1122 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Opere su parti di proprietà o uso individuale

Dispositivo dell'art. 1122 Codice Civile

(1)Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.

In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea.

Note

(1) Articolo così modificato con legge 11 dicembre 2012 n. 220.
Le integrazioni hanno riguardato:
- i luoghi cui si applica la norma: l'unità immobiliare di proprietà esclusiva del condomino ovvero le parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale;
- il tipo di pregiudizio che le opere possono determinare, con l'aggiunta del pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.

Ratio Legis

L'uso dell'unità immobiliare da parte del singolo condomino, o delle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, può generare conflitti con gli interessi degli altri condomini o del condominio; ciò si verifica, per esempio, nel caso in cui il titolare di un appartamento effettui al suo interno interventi di varia natura.
La disposizione prevede il caso del conflitto tra il singolo condomino ed il condominio; qualora nascano conflitti tra singoli condomini possono applicarsi le disposizioni che disciplinano i rapporti di buon vicinato. L'articolo è utilizzabile anche se il danno alle parti comuni dell'immobile derivi indirettamente dagli interventi eseguiti, ovvero nel caso in cui l'opera sia stata integralmente effettuata dentro l'appartamento e non concerna la cosa comune.

Spiegazione dell'art. 1122 Codice Civile

Divieto di opere dannose alle parti comuni dell'edificio

A buon diritto nel testo definitivo del codice non è stata riprodotta la norma dell'art. 10 del R.D.L. 15 gennaio 1934 circa i diritti dei singoli condomini sulle cose comuni, essendo sufficiente la disposizione data dall’ art. 1102 del c.c. in tema di comunione in generale.

Si è ritenuto invece opportuno, come si legge nella Relazione al Re Imperatore, affermare espressamente che ciascun condomino nel piano o porzione di piano di sua proprietà non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio.

Si rileva che la disposizione è posta sotto il sommario « opere sulle parti dell'edificio di proprietà comune », che è erroneo, poiché le opere, secondo il testo, sono compiute nel piano o porzione di piano di proprietà esclusiva e non sulle parti di proprietà comune.

Per la sostanza, data l’ interferenza fra parti in proprietà separata e parti comuni, si comprende la possibilità che un' opera compiuta nell'ambito delle prime operi nella sfera delle seconde; tuttavia i principi generali in tema di esercizio del diritto di proprietà rendono inutile la espressa disposizione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

528 Non ho riprodotto la norma dell'art. 10 del decreto-legge 15 gennaio 1934 circa i limiti in cui deve contenersi l'uso delle cose comuni, poiché tali limiti sono già stabiliti dall'art. 1102 del c.c., in tema di comunione in generale. Ho ritenuto invece opportuno di affermare espressamente che il proprietario di un piano o di una porzione de piano non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio (art. 1122 del c.c.).

Massime relative all'art. 1122 Codice Civile

Cass. civ. n. 30307/2022

L'art. 1122, comma 1 c.c., vieta a ciascun condomino, nell'unità immobiliare di sua proprietà, l'esecuzione di opere che rechino danno alle parti condominiali, nel senso che elidano o riducano in modo apprezzabile le utilità conseguibili dalla cosa comune da parte degli altri condomini o determinino pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari. Spetta al giudice del merito, sulla base di apprezzamento di fatto sindacabile in cassazione soltanto nei limiti di cui all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., verificare se l'opera realizzata su parte di proprietà individuale, nella specie la chiusura eseguita in corrispondenza dell'appartamento di una condomina, pregiudichi in modo apprezzabile la fruibilità del ballatoio comune da parte degli altri condomini, avendo riguardo alla destinazione funzionale dello stesso ed alle utilità che possano trarne le restanti unità di proprietà esclusiva.

Cass. civ. n. 4193/2017

L'azione a tutela del decoro architettonico dell'edificio condominiale, riconducibile all'art. 1122 c.c., trattandosi di opere realizzate da un condomino nella porzione di proprietà esclusiva ha natura reale, costituendo estrinsecazione di facoltà insita nel diritto di proprietà, ed è perciò imprescrittibile, in applicazione del principio per cui "in facultativis non datur praescriptio". Qualora, tuttavia, l'azione diretta alla riduzione in pristino ex art. 1122 c.c. riguardi un immobile comune a più persone, sussiste una causa inscindibile per ragioni sostanziali, comportante litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari medesimi, incidendo la condanna all'abbattimento sull'esistenza dell'oggetto della comproprietà spettante a persone estranee al processo.

Cass. civ. n. 21307/2016

I divieti ed i limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l'individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone detti limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l'ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti. (Omissis).

Cass. civ. n. 13184/2016

Il condomino può dividere il suo appartamento in più unità ove da ciò non derivi concreto pregiudizio agli altri condomini, salva eventuale revisione delle tabelle millesimali; non osta che il regolamento contrattuale del condominio preveda un certo numero di unità immobiliari, qualora esso non ne vieti la suddivisione. (Cassa con rinvio, App. Roma, 04/06/2010).

Cass. civ. n. 3123/2012

In tema di condominio negli edifici, il divieto, sancito dall'art. 1122 c.c., di eseguire, nelle porzioni di proprietà individuale, opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio, comporta una limitazione di fonte legale intrinseca alle singole unità immobiliari, assimilabile ad un'obbligazione "propter rem", cui corrisponde, dal lato attivo, una situazione giuridica soggettiva che non ha natura di diritto reale di godimento su cosa altrui; ne consegue che non occorre che la domanda diretta ad ottenere la relativa tutela venga trascritta, agli effetti indicati dall'art. 2653 c.c. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso la necessità della trascrizione della domanda giudiziale di riduzione in pristino di un'unità abitativa realizzata in uno spazio di proprietà comune, ai fini dell'opponibilità della pronunziata sentenza all'avente causa dell'originario convenuto).

Cass. civ. n. 12491/2007

In tema di condominio negli edifici, l'art. 1122 c.c. vieta al condomino di eseguire, nel piano o nella porzione di piano di sua proprietà, quelle opere che elidano o riducano in modo apprezzabile le utilità conseguibili dalla cosa comune. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, di rigetto della domanda di riduzione in pristino di un balcone di proprietà esclusiva, trasformato da un condomino in veranda, non essendo emersa dall'istruttoria la prova di una apprezzabile limitazione all'ingresso di luce ed aria nel vano scala sul quale affacciava il balcone per effetto della sua trasformazione in veranda).

Cass. civ. n. 2743/2005

In tema di condominio, devono considerarsi vietate, ai sensi dell'art. 1122 c.c., le opere realizzate dal condomino nella proprietà esclusiva che comportino una lesione del decoro architettonico dell'edificio, non trovando al riguardo applicazione la norma dettata dall'art. 1120 c.c. in tema d'innovazione delle parti comuni. (Nella specie, sono state ritenute illegittime le tettoie, che — pur essendo state realizzate nella proprietà esclusiva del condomino — comportavano un danno estetico alla facciata dell'edificio condominiale).

Cass. civ. n. 18214/2004

In tema di condominio l'art. 1122 c.c. — nel fare divieto al condomino di eseguire, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, opere che rechino danno alle cose comuni — intende riferirsi non solo a quello materiale, incidente fisicamente sulla cosa comune ma anche a quello funzionale, incidente cioè sulle utilità che dai beni comuni possono conseguirsi. (Nella specie, è stato ritenuto che arrecava danno alle cose comuni la realizzazione da parte di un condomino di una struttura delimitante il posto auto di proprietà esclusiva, che rendeva impossibile l'accesso comune antistante ai singoli posti auto limitando altresì l'utilizzo della caldaia).

Cass. civ. n. 5612/2001

In mancanza di norme limitative della destinazione e dell'uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, derivanti dal regolamento che sia stato approvato da tutti i condomini, la norma dell'art. 1122 c.c. non vieta di mutare la semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro, purché non siano compiute opere che possano danneggiare le parti comuni dell'edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla proprietà comune; in tal caso il giudice può inibire la nuova destinazione, ordinando la rimozione delle opere pregiudizievoli, qualora sia stata ritualmente proposta la domanda in tal senso. (Nella specie, la S.C., nell'enunciare il principio succitato, ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva statuito il divieto del mutamento di destinazione di porzione di proprietà esclusiva di un condomino da autorimessa ad abitazione, costituendo detta modifica un peggioramento dell'estetica della facciata e creazione di una situazione di «basso», risolventesi anche in pregiudizio economicamente apprezzabile per il decoro abitativo generale dell'edificio, posto in zona residenziale).

Cass. civ. n. 870/1995

Poiché a norma dell'art. 1122 c.c. il limite alla facoltà di ogni condomino di eseguire opere sul proprio piano (o porzione di piano di sua proprietà) si identifica in ogni danno consistente nella diminuzione di valore della cosa comune riferito alla funzione della cosa, considerata nella sua unità, costituisce danno per le cose comuni anche il pericolo attuale e non meramente ipotetico connesso con il rischioso funzionamento o con la realizzazione imperfetta di un impianto autonomo di riscaldamento, quando la tecnica di realizzazione e la complessità delle operazioni necessarie per l'uso dello stesso comportino la possibilità di recare danno all'impianto di riscaldamento centrale.

Cass. civ. n. 1947/1989

In tema di condominio negli edifici, l'esercizio del diritto del singolo sulle parti di sua esclusiva proprietà non può ledere il godimento dei diritti degli altri sulle cose comuni, come si ricava dall'art. 1122 c.c., il quale stabilisce che ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che arrechino danno ad una parte comune dell'edificio, essendo tenuto al rispetto anche della qualità della stessa. Infatti, il concetto di danno, cui la norma fa riferimento, non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili dalla cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico (nella specie, trattavasi del sopralzo dei parapetti del terrazzo di copertura dell'edificio, che, secondo il giudice di merito, aveva compromesso sul piano estetico il rispetto dell'aspetto architettonico del fabbricato).

Cass. civ. n. 283/1987

La presunzione assoluta di comunione (ex art. 1125 c.c.) del solaio divisorio di due piani di edificio condominiale tra i proprietari dei medesimi vale pure per la piattaforma o soletta del balcone dell'appartamento del piano superiore, la quale, avendo gli stessi caratteri per struttura e funzione (separazione in senso orizzontale, sostegno, copertura), del solaio, di cui costituisce prolungamento, è attratta nel regime giuridico dello stesso. Consegue che per tale piattaforma o soletta si configura un compossesso degli indicati proprietari, esercitato dal proprietario del piano superiore anche e soprattutto in termini di calpestio ed estrinsecantesi per l'altro proprietario, oltre che nella fruizione del commodum proveniente dalla copertura, nell'acquisizione di ogni ulteriore attingibile utilità, cui non ostino ragioni di statica ed estetica, sicché quest'ultimo può ancorare a detta soletta le strutture di chiusura necessarie per la realizzazione di una veranda ed altresì utilizzare la faccia inferiore (prolungamento del proprio soffitto) per installarvi apparecchi di illuminazione, per farvi vegetare piante rampicanti, ecc.

Cass. civ. n. 1132/1985

Il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale non può eseguire nella sua proprietà esclusiva opere che, in contrasto con quanto stabilito dalla norma dell'art. 1122 c.c., rechino danno alle parti comuni dell'edificio stesso, né, a maggior ragione, opere che, attraverso l'utilizzazione delle cose comuni, danneggino le parti di un'unità immobiliare di proprietà esclusiva di un altro condomino. (Nella specie, in applicazione del surriportato principio la S.C. ha confermato la decisione di merito con cui si è ritenuto che al proprietario di un appartamento non sia consentito costruire sul suo balcone una veranda in appoggio al muro comune dell'edificio condominiale la quale raggiunga l'altezza del piano superiore diminuendo il godimento dell'aria e della luce al proprietario del piano contiguo).

Cass. civ. n. 256/1985

In mancanza di norme limitatrici della destinazione e dell'uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, derivanti da regolamento approvato da tutti i condomini, la norma dell'art. 1122 c.c. vieta soltanto di compiere, nel piano o nelle porzioni di piano di proprietà esclusiva, opere che possano danneggiare le parti comuni dell'edificio e non già opere che consistano nella semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro.

Cass. civ. n. 4658/1976

In tema di condominio negli edifici, al fine dell'indagine sulla legittimità o meno di opere che, partendo dalla cosa di pertinenza esclusiva del singolo proprietario o compossessore, incidano su spazio o superficie oggetto di comunione (nella specie, cortile), occorre distinguere il caso in cui quelle opere, per loro conformazione e struttura, determinino un'occupazione ed incorporazione stabile, nel bene individuale, di porzione dello spazio e superficie comune, dal caso in cui le medesime si limitino a sporgere e sovrastare su detto spazio o superficie. Nella prima ipotesi, l'illegittimità è insita nel fatto, comportando questo un'oggettiva sottrazione di porzione del bene comune all'uso degli altri compartecipanti. Nella seconda ipotesi, l'illegittimità ricorre ove risulti che il manufatto del singolo, in relazione alla dimensione, entità di sporgenza ed altezza della superficie sottostante, comporti, in concreto, impedimento od ostacolo al normale godimento del bene comune da parte degli altri compartecipanti.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1122 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

E. F. chiede
lunedì 20/05/2024
“Vorrei installare un pannello solare in condominio su un balcone di dimensioni inferiori al pannello stesso, di quanti cm è possibile eccedere a destra e sinistra? il balcone è all'ultimo piano, nel caso reale sarebbero circa 50 cm per lato, le finestre a destra e sinistra del balcone sono dello stesso appartamento, grazie”
Consulenza legale i 25/05/2024
La sua domanda dovrebbe essere rivolta ad un geometra, la quale è la figura professionale che conosce le normative tecniche e regolamentari in materia edilizia e nelle costruzioni.
Da un punto di vista legale, tuttavia, le segnaliamo che l’installazione di un pannello solare con le modalità da lei descritte potrebbe essere lesiva del decoro architettonico dell’edificio e quindi creare certamente contrasti da un punto di vista condominiale.

È ben vero che la normativa prevista dal codice civile è estremamente favorevole in materia di installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sia al servizio del condominio nel suo complesso sia al servizio di una sola unità in proprietà esclusiva: basti solo pensare a quanto dispone l’art. 1122 bis del c.c. È anche vero però che tale normativa fa comunque salva la tutela del decoro architettonico dello stabile, bene giuridico ancora oggi preminente rispetto al diritto del singolo di installare un impianto fotovoltaico. L’ art 1122 del c.c. prevede espressamente che il singolo condomino non può installare nelle parti dell’edificio attribuitegli in proprietà individuale innovazioni che possono arrecare pregiudizio al decoro dello stabile e alla sua stabilità e sicurezza.

Una installazione errata di un pannello fotovoltaico con modalità lesive del decoro del suo palazzo le potrebbero causare contenziosi col condominio dall’esito sfavorevole con la conseguenza che lei sarebbe poi costretto a smontare quanto da lei acquistato. Prima di compiere una scelta sbagliata la invitiamo a rivolgersi ad un geometra, figura professionale sicuramente in grado di darle i consigli giusti per evitare spiacevoli sorprese future e sicuramente in grado di dirle se quello che lei si prefigge di fare sia effettivamente lesivo del decoro del palazzo.

D. P. chiede
martedì 30/04/2024
“Salve,

Sto per ristrutturare un appartamento in cui intendo ricavare due nuovi bagni ciechi con aerazione forzata posti su lati differenti del palazzo, considerando che posso effettuare questi fori a norma di tutte le leggi nazionali e comunali, che saranno effettuati in punti invisibili a tutti gli altri condomini ma che il regolamento di condominio vieta per le parti comuni (quindi anche le facciate) l'apporto di "innovazioni che alterino l'aspetto architettonico dell'edificio", sono costretto a richiedere il consenso in assemblea condominiale per effettuarli o posso procedere senza consenso? Si consideri che ho informato l'amministratore che farò questi lavori (tramite email) già da due mesi, il quale non mi ha risposto né ha indetto assemblea straordinaria.”
Consulenza legale i 10/05/2024
La normativa di riferimento è quella prevista dall’art. 1122 c.c. in tema di opere su parti di proprietà o uso individuale.
Questo articolo definisce quali sono i limiti del proprietario nell’eseguire opere sulla propria proprietà privata all’interno di un Condominio.
Le opere, infatti, non possono recare danno alle parti comuni o pregiudizio alla stabilità, sicurezza o decoro architettonico dell’edificio.
Il condomino è comunque tenuto ad informare l’amministratore che dovrà riferire all’assemblea.

Il condomino nel corso della ristrutturazione interna della sua proprietà, che implica la costruzione di un nuovo bagno e i conseguenti fori sulla facciata, deve quindi rispettare i limiti stabiliti dall’art. 1122 c.c.

Dalla descrizione sembra che non li violi e che sia stata rispettata la prescrizione di legge di avvisare l’amministratore di Condominio.

Si tenga presente, però, che il pregiudizio al decoro architettonico è opponibile da ogni condomino e la valutazione sul punto viene svolta dal giudice di merito in concreto; infatti, la legge non stabilisce nulla sui criteri per definire tale pregiudizio.

Si ritiene che, nonostante non ci sia alcun obbligo di sottoporre il progetto all’approvazione dell’assemblea, non si può essere certi di non incontrare contestazioni per i fori qualora qualche condomino dovesse accorgersi dell’opera e ritenerla lesiva per il decoro architettonico.
Si cita a tal proposito quanto stabilito dalla giurisprudenza per la valutazione dell’impatto sul decoro architettonico per cui il criterio da adottare è quello di “reciproco temperamento tra l'unitarietà originaria di linee e di stile, le menomazioni intervenute successivamente e l'alterazione prodotta dall'opera modificativa sottoposta a giudizio” (Cass. civ. n. 5722/2024).

La clausola del regolamento condominiale parla di innovazioni e quindi si ritiene che non si applichi alla fattispecie in esame.


G. C. chiede
domenica 24/03/2024
“Se sostituisco sulla facciata principale, finestre a tre ante con altre, di uguale superficie, misura e colore, che hanno però due ante, incorro in qualche problema? La richiesta è stata approvata a maggioranza dall'assemblea condominiale.
Grazie

Consulenza legale i 26/03/2024
A parere di chi scrive ciò che lei si prefigge di fare non presenta particolari criticità da un punto di vista legale. È vero che si va a sostituire una finestra a tre ante con una a due ante: questo, in linea teorica potrebbe costituire una lesione al decoro architettonico dello stabile. Tuttavia, per giurisprudenza assolutamente costante, affinché vi possa essere una lesione al decoro giuridicamente rilevante è necessario che le opere che si vanno ad installare nel palazzo provochino una importante alterazione alle linee architettoniche dello stabile: questo non pare che sia avvenuto nel caso specifico, le nuove finestre rispetto alle precedenti hanno infatti uguale colore e superficie.
Per tale motivo, se anche qualcuno dei condomini volesse avanzare una qualche recriminazione, sotto questo aspetto vi sarebbero ottime argomentazioni per difendere le sue giuste ragioni.


A. P. chiede
sabato 17/02/2024
“Spett.le Staff Brocardi,
oggetto: autorizzazione condominiale per installazione di riscaldamento a pavimento.
Nel condominio dove abito - nello specifico una palazzina degli anni 75/78, nella quale abitano n.7 condomini, nata con impianto di riscaldamento centralizzato, successivamente con delibera condominiale trasformato ad impianto di riscaldamento autonomo per ciascuno immobile - alla vendita di un appartamento, il nuovo proprietario ha installato riscaldamento con impianto a pavimento, il tutto senza delibera del condominio.
I lavori sono terminati meno di un anno fa, agire legalmente contro il proprietario dell'immobile per aver effettuato dei lavori senza autorizzazione del condominio e far ripristinare lo stato dei luoghi? ci sono dei riferimenti normativi e delle sentenze di riferimento? proponetemi delle soluzioni per poter agire contro il proprietario anche risarcimento di danni.
Grazie”
Consulenza legale i 20/02/2024
Le lamentele avanzate dall’autore del quesito non paiono fondate giuridicamente e sostenibili in un ipotetico contenzioso. Il nuovo proprietario ha tutto il diritto di installare nel suo appartamento il riscaldamento a pavimento e certamente tale diritto non può essere condizionato in alcun modo da una qualche autorizzazione assembleare.
Il n.3 dell’ art. 1117 del c.c. precisa che gli impianti presenti nello stabile devono considerarsi condominiali fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza. Tale principio è da sempre stato un punto fermo del diritto condominiale introdotto dalla giurisprudenza già sotto la vigenza della precedente normativa, ed è stato poi recepito espressamente dal legislatore con la riforma del 2012. Esso nella pratica sta a significare che tutto ciò che sta oltre la soglia dell’appartamento del singolo condomino deve considerarsi di proprietà esclusiva di costui, il quale sulla base dell’art. 1122 del c.c. ha tutto il diritto di compiere sul suo bene personale tutte le innovazioni e ristrutturazioni che ritiene opportune senza alcuna interferenza da parte degli organi del condominio.

Nel caso specifico quindi il nuovo proprietario non deve chiedere nessuna autorizzazione alla assemblea per procedere alla installazione nella sua proprietà del riscaldamento a pavimento, né l’assise ha il potere di negare la realizzazione di tali lavori: una delibera di questo tenore sarebbe radicalmente nulla e potrebbe essere legittimamente ignorata da chiunque.

L’art.1122 del c.c., se da un lato ammette che il singolo proprietario possa realizzare sul suo appartamento tutte quelle innovazioni che ritiene opportune, dall’altro lato precisa che esse non devono recare pregiudizio alle parti comuni dello stabile, o pregiudicarne la stabilità, sicurezza e decoro. Sotto questo aspetto, quindi, è importante che l’installazione del riscaldamento a pavimento sia compatibile con gli impianti comuni presenti nel palazzo, e sia effettuata in modo tale da non arrecare danno allo stabile e agli altri appartamenti. Il problema quindi si sposta sull’assicurarsi che i lavori vengano eseguiti a regola d’arte: se così non fosse, è ovvio che il condominio o anche i proprietari individualmente avrebbero dei margini di manovra per impedire i lavori di installazione del riscaldamento a pavimento da parte del nuovo proprietario, anche agendo giudizialmente, ma non pare che questo sia avvenuto nel caso specifico.


G. S. chiede
venerdì 01/09/2023
“Salve,
vivo in condominio al piano terra.
Il mio immobile ha un piccolo spazio libero annesso all'edificio (per dare un'idea: una sorta di "balcone" ma posto al piano terra come se fosse un "giardino" privato).
Questa pertinenza ha una superficie di circa 12 metri quadri e ha due lati confinanti con il condominio e due lati con pareti in mattone alte 2 metri.
Vorrei far costruire una tettoia, così potrei parcheggiare il mio scooter dentro questa pertinenza.
La tettoia andrà leggermente a modificare il prospetto del condominio. Dico leggermente perché comunque ci sono dei muri alti 2 metri che coprono il mio spazio e la tettoia sarebbe ad un'altezza di circa 2,5 metri.
Per la parte tecnica mi rivolgerò ad un ingegnere, il quale mi dirà il giusto titolo edilizio ecc.
Ma ho il dubbio per quanto riguarda la parte relativa alla norma condominiale.
Devo chiedere l'autorizzazione al condominio?
Nel caso servisse l'autorizzazione del condominio, qual'è la maggioranza richiesta? In attesa, porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 18/09/2023
La normativa di riferimento è quella prevista dall’art. 1122 c.c. in tema di opere su parti di proprietà o uso individuale.
Questo articolo definisce quali sono i limiti del proprietario nell’eseguire opere sulla propria proprietà privata all’interno di un Condominio.
Le opere, infatti, non possono recare danno alle parti comuni o pregiudizio alla stabilità, sicurezza o decoro architettonico dell’edificio.
Il condomino è comunque tenuto ad informare l’Amministratore che dovrà riferire all’Assemblea.

Se per la sicurezza e stabilità dell’edificio si suppone che il tecnico che verrà incaricato farà le analisi necessarie per evitare che ci siano pericoli o danni per l’edificio e le parti comuni, per quanto riguarda il decoro architettonico è necessario fare un approfondimento.

Il pregiudizio al decoro architettonico è opponibile da ogni condomino e la valutazione sul punto viene svolta dal giudice di merito in concreto; infatti, la legge nulla indica sul punto.

Poiché il condomino è libero di compiere le opere che ritiene sulle parti di proprietà individuale, nel rispetto dei già citati vincoli previsti dall’art. 1122 c.c., non è necessario che il progetto venga sottoposto all’approvazione dell’Assemblea (che deve in ogni caso essere informata) e infatti la legge non indica alcuna maggioranza per questo genere di delibere.
Si ritiene, però, che per mettersi al riparo da eventuali questioni che potrebbero sorgere per alterazione del decoro architettonico, è utile sottoporre il progetto all’Assemblea e ottenere l’approvazione dell’intervento all’unanimità.
Qualora ciò non dovesse avvenire, il condomino potrebbe astrattamente eseguire comunque l’intervento anche contro il parere dell’Assemblea ma dovrebbe anche essere pronto a fronteggiare un procedimento giudiziale promosso da uno o più condomini (o dal Condominio stesso) con la richiesta di ripristinare i luoghi per non arrecare pregiudizio al decoro architettonico.

Per completezza si segnala, infine, una recente pronuncia della Corte di Cassazione che ha statuito che il Condominio possa prevedere nel Regolamento l’obbligo di richiedere il parere vincolante dell’Assemblea per l’esecuzione di opere che possono pregiudicare il decoro architettonico dell’edificio (Cass. civ. n. 37852/2022).
Si consiglia quindi di verificare se il proprio regolamento di Condominio abbia una clausola sul punto.

R. L. chiede
mercoledì 09/08/2023
“Quesito: trattasi di un condominio a 4 piani con una colonna di scarico fognario condominiale che si sviluppa esternamente (non è incassata nella muratura ma è a vista nel prospetto) in altezza in prossimità dei balconi. Un condomino tempo fa ha ampliato un bagno in corrispondenza del balcone attraversato dalla colonna condominiale (inglobandosi nel bagno una porzione del balcone compreso il tratto di colonna di scarico condominiale che attraversa il piano), pertanto ritrova all’interno del suo bagno un finto pilastro che maschera la colonna. Di recente si è verificata una perdita di detta colonna causando infiltrazioni con evidenti segni di umidità nella parete sia del bagno che della camera confinante. Il condomino proprietario dell’alloggio pretende che sia il condominio a farsi totale carico della riparazione compresi i lavori smantellamento e ripristino della parte di colonna che si è incassato all’interno del bagno (non si sa se avesse il titolo urbanistico per aver ampliato il bagno) . Si evidenzia che se la colonna fosse stata lasciata come in origine a vista, primo non avrebbe causato i danni di degrado da infiltrazione e secondo sarebbe stato un intervento (a carco del condominio) molto più agevole e molto meno oneroso inquanto si sarebbe trattato semplicemente di sostituire un tratto di tubazione di metri 3 di lunghezza.
Domanda: è legittima la richiesta del condomino? Come ci dovremo comportare? Ringrazio”
Consulenza legale i 14/08/2023
L’art.1122 del c.c. ci dice che il condomino nelle parti dell’edificio di sua proprietà esclusiva non può compiere opere che danneggino le parti comuni o comunque determinino pregiudizio alla stabilità, sicurezza e decoro architettonico dell’edificio.
Ragionando all’ inverso la norma che si sta commentando non fa altro che ribadire il principio secondo il quale il singolo proprietario all’ interno della propria unità immobiliare può compiere tutte le opere che ritiene utili e necessarie seppur debba rimanere entro i limiti dettati dalla norma medesima.

D'altronde l’ art. 832 del c.c., il quale introduce nel nostro ordinamento il diritto di proprietà tutelato a livello costituzionale anche dall’ art. 42 Cost., prevede che il proprietario possa godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo con i limiti e l’osservanza delle norme dell’ordinamento giuridico: l’art.1122 del c.c. non è altro che un evidente esempio di questi limiti imposti dall’ ordinamento a cui faceva appunto cenno l’art. 832 del c.c.

Per dare una risposta all’autore del quesito quindi è prima di tutto necessario chiedersi se l’intervento operato dal condomino nel suo appartamento abbia in effetti causato un danno ed un pregiudizio alla colonna di scarico che è appunto una parte comune dell’edificio ai sensi dell’art. 1117 del c.c. Purtroppo però non vengono offerti sotto questo aspetto sufficienti spunti di riflessione per dare una risposta approfondita, risposta che comunque non deve essere fornita da un legale, ma da un tecnico edile a cui ci si dovrebbe rivolgere per capire se effettivamente gli interventi effettuati nell’appartamento privato abbiano creato nocumento alla colonna fognaria.

Se il tecnico confermasse l’illegittimità dell’intervento di ristrutturazione, vi sarebbero gli estremi per pretendere anche per via giudiziaria che il condomino ripristini la situazione della colonna di scarico nella situazione antecedente alla realizzazione dei lavori, in quanto sarebbe evidente la violazione dell’art. 1122 del c.c.

Al contrario, se invece il tecnico confermasse il fatto che i lavori effettuati dal condomino non hanno in realtà arrecato alcun danno alla colonna di scarico, e quindi non comportano una violazione delle norme del codice civile che si sono citate, le pretese del proprietario che ha ristrutturato il suo appartamento sarebbero del tutto legittime.
Infatti, confermata la legittimità dell’intervento, l’inglobamento della colonna di scarico all’interno dell’appartamento non ne fa venir meno la natura condominiale: essa rimane un bene necessario al funzionamento dell’impianto comune e quindi utile a tutti i proprietari.

La giurisprudenza (Cass. Civ. n. 20593/2018) ha ribadito come la condominialità di un determinato bene o servizio ricompreso nell’edificio risieda nella sua attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo: e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale.
In questa seconda ipotesi quindi i lavori per ripristinare la corretta funzionalità della colonna di scarico dovranno essere ripartiti tra tutti i condomini, ivi compresi i lavori di ripristino nei locali ad uso esclusivo.


G. B. chiede
domenica 28/05/2023
“Salve, ho acquistato una villetta a schiera in un parco dove sono presenti 2 palazzine con una 30ina di appartamenti ed alle spalle delle palazzine sono presenti 15 villette disposte a forma circolare con una piazzetta al centro. In questo parco vige un regolamento condominiale che se occorre vi inoltrerò. Ogni villetta è composta da un piano terra ad androne per il parcheggio delle auto in quanto da regolamento nel parco non dovrebbero essere parcheggiate auto ma possono fare solo brevi soste; a delimitazione della mia villetta ho, guardandola frontalmente, sulla sx il cancello per ingresso auto, al centro il cancelletto pedonale e a destra n muretto con ringhiera. Il quesito che voglio sottoporre è il seguente: posso abbattere questo muretto e creare un altro ingresso auto? Avendo l'androne sia a destra che a sx per me sarebbe molto comodo avere due ingressi auto. Davanti al suddetto muretto c'è un piccolo marciapiede che gira su tutte le villette ed è interrotto dove c'è la presenza degli ingressi auto. Qualora fosse possibile come devo comportarmi con il condominio? Lo potrei fare a prescindere e quindi al massimo avviso l'amministratore oppure non potrei farlo se non sono autorizzato dall'assemblea? (ovviamente avrei a monte effettuata richiesta all'ente comunale per l'autorizzazione). In attesa, cordiali saluti”
Consulenza legale i 02/06/2023
Dalla descrizione che ha fatto della sua abitazione e del complesso condominiale in cui la stessa è inserita, l’intervento che lei si propone di fare insiste su un bene di sua assoluta proprietà esclusiva, e quindi del tutto ammissibile ai sensi dell’art.1122 del c.c.
Tale intervento potrà essere eseguito senza la necessità di alcuna autorizzazione né da parte della assemblea del super condominio, né da parte dell’amministratore, al quale comunque potrà se del caso essere inviata una semplice mail di cortesia.
L’unico modo, per gli organi condominiali, per impedirle un intervento di questo tipo sarebbe quella di eccepire una ipotetica violazione di norme del regolamento di condominio, oppure sostenere, in un ipotetico giudizio promosso nei suoi confronti, una lesione del decoro architettonico del complesso super condominiale.

Nel primo caso, sarebbe necessario che il regolamento del super condominio avesse innanzitutto natura contrattuale e che poi contenesse una specifica disposizione che andasse a vietare espressamente modifiche strutturali ed architettoniche sulle recinzioni delle villette a schiera. Per quanto riguarda invece una ipotetica lesione del decoro architettonico del super condominio, ci si limita a dire che gli interpreti non ritengono applicabile il concetto di decoro architettonico al super condominio, ritenendolo ammissibile solo se si ha a che fare con un singolo edificio condominiale e non con un gruppo di essi. Non si sono reperite tra l’altro pronunce significative che fanno applicazione del decoro architettonico ad un complesso edile composto da più stabili tra loro strutturalmente distinti.


M. C. chiede
venerdì 13/01/2023 - Liguria
“Abitazione bifamiliare con terreno, giardino e vano scale in condominio. Uno dei due condomini vuole suddivide il suo immobile in due unità catastali. Ritengo che ciò possa configurare un danno a causa di un maggior numero di condomini e soprattutto della ripartizione delle parti condominiali in tre anziché due. È possibile quantizzare tale danno?”
Consulenza legale i 20/01/2023
L’art. 1122 c.c. stabilisce il diritto per il proprietario esclusivo di un’unità immobiliare di eseguire opere all’interno del proprio immobile, a meno che questo crei un danno alle parti comuni o un pregiudizio alla stabilità e al decoro dell’edificio.
Ai sensi dell’art. 1102 del c.c., infatti, il diritto di godimento e utilizzo delle parti comuni spetta in egual modo a tutti i partecipanti alla comunione.

Per rispondere al presente quesito è quindi necessario tenere presente i principi stabiliti da queste norme di legge.
La questione riguarda un Condominio minimo costituito da due abitazioni in cui uno dei due partecipanti vorrebbe suddividere il proprio immobile in due unità immobiliari autonome.
Questo costituirebbe, secondo l’altro condomino, un danno per l’aumento del numero di condomini.
Si segnala che il danno alle parti comuni come indicato dall’art. 1122 c.c. comprende anche il peggioramento delle condizioni di godimento delle stesse.

Sulla medesima fattispecie si è espressa la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 13184/2016 che ha statuito il diritto del condomino di suddividere in più parti la propria unità immobiliare, se ciò non arreca danno ai condomini e salvo il divieto espresso dal regolamento condominiale.
La Corte stabilisce che per determinare se la presenza di un numero maggiore di condomini possa o meno compromettere il diritto degli altri al godimento delle cose comuni, deve essere fatta un’analisi in concreto “della ubicazione, della struttura e dimensioni dell'edificio condominiale con la descrizione in particolare delle parti comuni”.
Ciò al fine di accertare se l’uso concorrente di un ulteriore nucleo familiare costituisca o meno una potenziale compromissione del diritto degli altri condomini.

L’aumento del numero di condomini non costituisce quindi un danno in re ipsa, anche se non è escluso che il condomino contrario possa riuscire a dimostrare la sussistenza di un danno a seguito di un’indagine sullo stato di fatto.

Al condomino potrà comunque essere inibita la possibilità di suddividere il proprio appartamento in presenza di un regolamento condominiale contrattuale che vieti espressamente di aumentare il numero di unità immobiliari.
Come regolamento condominiale di tipo contrattuale si intende il documento stilato dall’unico proprietario dell’edificio prima della suddivisione in più unità immobiliari oppure approvato all’unanimità da tutti i condomini.
Il regolamento contrattuale infatti è l’unico che può limitare il diritto di proprietà esclusiva dei singoli condomini.
In caso contrario, il proprietario ha il diritto di intervenire sulla propria unità immobiliare apportandovi modifiche o trasformazioni, salvo il pregiudizio alle parti comuni o all’edificio come previsto dall’art. 1122 c.c. (Cass. civ. n. 2493/1967, Cass. civ. n. 2683/1980)

Una problematica ulteriore che potrà sorgere all’interno del Condominio in cui c’è stato un aumento delle unità immobiliari, è la revisione o meno delle tabelle millesimali.
L’art. 69 delle disp. att. c.c. stabilisce che le tabelle devono essere modificate quando a seguito di sopraelevazione, incremento di superficie o di unità immobiliare c’è un’alterazione di oltre un quinto del valore dell’immobile.
Il principio espresso dalla sentenza già citata n. 13184/2016 è quello per cui la revisione sarà necessaria solo se “la somma dei valori dei due nuovi appartamenti superi di un quinto il valore originario dell’appartamento”.
La Cassazione, sulla scorta di questa pronuncia, ha poi statuito che la divisione orizzontale in due parti di un appartamento in un Condominio non implica di dover modificare le tabelle millesimali poiché non sussiste un’alterazione tale del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano, da giustificarne la revisione (Cass. civ. n. 15109/2019).
Piuttosto la questione andrà a influire su una diversa ripartizione interna delle spese ai sensi dell’art. 1123 del c.c..

Tornando al caso sottoposto, non è possibile affermare che la suddivisione in più parti di un’unità immobiliare costituisca un danno per gli altri condomini dissenzienti e quindi dia diritto al risarcimento.
Sarà quindi necessario individuare gli elementi di fatto in base a cui sostenere che l’aumento del numero di persone che usufruiscono della cosa comune, sia effettivamente dannoso per gli altri partecipanti.

G. M. V. chiede
domenica 22/05/2022 - Sicilia
“Egregi Avvocati,
sono proprietario di un appartamento posto al 12° piano di un condominio e altresì proprietario del lastrico solare soprastante l'appartamento (13° piano) in uso esclusivo. Nel 2003 ottengo l'autorizzazione dal mio Comune di appartenenza a chiudere parzialmente il lastrico solare con copertura precaria (pannelli coibentati con poliuretano). Il lastrico solare di circa 90 mq è stato coperto per circa 60 mq. (come ben sapete nella prima fase di applicazione della legge non vi era il limite dei 50 mq sopraggiunto successivamente). Il lastrico solare dunque oggi è rappresentato dai 60 mq di copertura precaria e 30 mq di lastrico originario ancora scoperto così come afferma un legale del mio condominio? Oppure il lastrico solare rimane sempre quello originario seppur parzialmente coperto? Poichè il lastrico solare (per quanto di proprietà esclusiva) rappresenta comunque la copertura di un edificio, il mio quesito è il seguente: la funzione di lastrico è affidata adesso alla struttura precaria da me realizzata? O rimane quella originaria nonostante sia stata coperta?
Grazie del parere legale che vorrete dare”
Consulenza legale i 24/05/2022
Il lastrico solare è quella parte piana dell’edificio posto sulla sua sommità che in luogo del tetto a falde funge da copertura di tutto o parte del palazzo. Esso viene inserito dall’art. 1117 del c.c. tra le parti comuni del condominio, ma a mente del successivo art. 1126 del c.c. esso può essere attribuito in proprietà o in uso esclusivo a un singolo proprietario: circostanza che nella pratica capita sovente.

L’art. 1122 del c.c. precisa che il singolo condomino possa realizzare sulle parti dell’edificio a lui attribuite in uso esclusivo qualsiasi opera che comunque non arrechi pregiudizio alle parti comuni, alla stabilità, sicurezza e decoro dell’intero palazzo.

La realizzazione della copertura descritta quindi pare essere legittima sulla base della vigente normativa, ma sicuramente non fa venir meno la funzione di copertura che rimane assolta dal lastrico solare.


Anonimo chiede
lunedì 25/10/2021 - Veneto
“Buongiorno, abito al primo piano di una palazzina di 6, il condomino del piano terra ha installato una pergotenda in alluminio di circa 20mq autoportante (non aderente alla facciata per pochi centimetri) nel giardino di sua esclusiva pertinenza, il regolamento di condominio non vieta l’opera ma io ed alcuni altri condomini riteniamo che la stessa violi il decoro architettonico. Il vicino sostiene che essendo la pergotenda retrattile e non essendo ancorata alla facciata si tratta di “mero arredo” e quindi non ha obbligo ad informare l’assemblea o rimuovere la struttura.
Ha ragione? In questo caso l'articolo 1122 (o altri) sarebbe applicabile?

PS gradirei riservatezza su questo quesito.”
Consulenza legale i 27/10/2021
La risposta alle domande poste è affermativa: le argomentazioni del vicino non sono condivisibili.
Come è noto con il termine decoro architettonico la giurisprudenza definisce l’insieme delle linee dell’edificio, che concorre a determinare l’armonia della facciata e l’aspetto esteriore della stessa. Seppur il decoro architettonico non sia un bene materiale come le scale o l’ascensore, esso viene considerato dalla costante giurisprudenza come un bene comune del condominio, a cui viene riconosciuto una ampia tutela da parte dei giudici.

Ad esempio, con la sentenza n. 24305 del 30.09.2008 la 2a sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto un gazebo installato nel giardino in proprietà esclusiva di un condomino lesivo del decoro architettonico dell’edificio ai sensi dell’art. 1122 del c.c., confermando le decisioni dei giudici dei gradi precedenti che ne ordinavano la rimozione.

Si ritiene, quindi, che in un ipotetico contenzioso avente ad oggetto il caso descritto, non sia una difesa efficace quello di sostenere che la pergotenda sia un semplice arredo e come tale non lesiva del decoro, posto, tra l’altro, che la pergotenda è sicuramente un’opera molto più stabile e fissa che un gazebo, che magari può essere smontato e riposto durante la stagione invernale.

Il vero problema di un contenzioso di questo tipo risiede nel fornire la prova al giudice che la pergotenda costituisca una lesione significativa al decoro del fabbricato, comportando una importante disarmonia nelle linee architettoniche della facciata. Tali contenziosi infatti si basano su un giudizio estetico e come tale estremamente soggettivo, in quanto ciò che può essere lesivo per un condomino può non esserlo per un altro proprietario o magari per il consulente tecnico nominato dal giudice o dal legale di controparte durante il giudizio.


M.M. chiede
giovedì 09/09/2021 - Lazio
“Buongiorno.
All'interno di un condominio di 4 unità abitative, esistono numero 4 garage auto fuori terra staccatti dal condominio di circa 4/5 mt. ma comunque all'interno dell'area condominiale.
Il proprietario di uno di questi garage sta trasformando il tetto del suo garage in un "terrazzo ", apponendo, pavimento, ringhiere e non so cosa altro abbia intenzione di mettere.
Tutto questo può farlo senza avere il consenso della maggioranza dell'assemblea condominiale?
Grazie”
Consulenza legale i 11/09/2021
Il 1° co. dell’art. 1122 del c.c. detta un principio molto importante in materia condominiale: il condominio nelle parti dell’edificio di sua proprietà o in quelle condominiali ma a lui attribuite in uso esclusivo non può realizzare opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio
Ragionando al contrario, si può dire che tale norma attribuisce al singolo proprietario il diritto di eseguire nelle parti di edificio di sua proprietà tutte le opere che egli ritiene opportune a condizione che non rechino danno alla stabilità sicurezza e decoro del fabbricato, e tale diritto non può essere condizionato o limitato da una qualsivoglia autorizzazione assembleare che a conti fatti non è richiesta dalla norma.

E’ vero, il secondo comma dell’art.1122 del c.c. prosegue specificando che: "In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea", ma la maggior parte degli interpreti ritiene che tale secondo comma non attribuisca un obbligo generale di avvisare l’amministratore; esso scatterebbe, infatti, solo nel caso in cui il proprietario voglia realizzare nella sua unità immobiliare una opera che pregiudica anche in minima parte sicurezza stabilità e decoro dell’edificio.

Alcune pronunce di merito hanno specificato anche come rientri perfettamente nei limiti dell’art.1122 del c.c. compiere dei lavori che comportino un cambio di destinazione d’uso della unità immobiliare interessata (come nel caso specifico), sempre a condizione che si rispettino i limiti sopra detti.

Ad una prima lettura ed in assenza di ulteriori elementi, il comportamento del proprietario è dunque da considerarsi perfettamente legittimo: si dubita fortemente, tuttavia, che i lavori che egli intende eseguire siano muniti dei necessari permessi amministrativi da richiedere presso l’ente comunale. La cosa potrebbe essere opportunamente indagata. Per ulteriormente “mettere il bastone tra le ruote” alle intenzioni del vicino si potrebbe ipotizzare inoltre di contestare i lavori in quanto lesivi del decoro architettonico, ma il quesito non offre al riguardo spunti sufficienti per fare considerazioni più approfondite.


Massimo M. chiede
venerdì 07/05/2021 - Veneto
“Salve,
conduco in locazione un negozio nel quale esercito la mia attività e per aprirla sono intervento con grossi lavori di restauro.
In una vetrina che dà sullo scoperto condominiale recintato (quindi zona con accesso limitato ai soli condomini del fabbricato) o sostituito il serramento all'epoca fisso inserendo una parte di vetrina fissa ed una porta/finestra per acconsentire l'aerazione richiesta per l'uso previsto oltre a consentirmi di poter accedere alla pulizia della vetrata esterne e delle altre finestre.
Su indicazione di alcuni condomini l'amministratore mi ha diffidato a ripristinare la vetrina come in passato in quanto ritengono che quell'apertura vada a generare una servitù a favore del negozio.
Preciso che nello scoperto condominiale recintato oltre a questa vetrina ho anche altre finestre e sul muro perimetrale ho installato il moto-condensante - sostituendo quello vecchio - dell'impianto di climatizzazione sistemando lo scarico con idoneo scarico.
Devo ripristinare la vetrina o mi è concesso aprire una porta finestra che dà sullo scoperto condominiale dell'immobile ?
Grazie”
Consulenza legale i 13/05/2021
Le lamentele dei condomini paiono non avere fondamento, a patto che non vi siano dei rogiti che escludano il proprietario del negozio dalla comproprietà del cortile condominiale.
Il singolo proprietario può nella sua unità immobiliare in proprietà esclusiva compiere le opere che ritiene più opportune, a patto che le stesse non vadano ad incidere sulla sicurezza, stabilità e decoro dell’edificio (in questo caso vi sarebbe il divieto imposto dall’art. 1122 del c.c.). Quindi è ben possibile che il condomino possa aprire un varco sulla sua proprietà per meglio accedere a parti in proprietà comune come il cortile. La legittimità del comportamento tenuto si può dedurre dallo stesso art.1122 del c.c. e dalle innumerevoli norme che riconoscono il diritto di proprietà nel nostro ordinamento: dall’art. 832 del c.c. all’art. 42 della Costituzione. Si tenga presente che la giurisprudenza oramai costante ammette che si possa aprire un varco su un muro condominiale per accedere alla propria abitazione. Qui siamo in una situazione dove vi sono ancora meno dubbi, perché nessuna proprietà comune è stata modificata durante i lavori. Il discorso che si è fatto finora può tranquillamente applicarsi anche all’affittuario del negozio, dando per presupposto che i lavori di ristrutturazione sono stati eseguiti con il pieno consenso del proprietario.

Nel caso in cui vi siano dei rogiti che escludono il proprietario del negozio dalla comproprietà del cortile condominiale la situazione sarebbe invece ben diversa. In questo caso i lavori eseguiti nel negozio potrebbero costituire un varco di accesso verso una proprietà terza non autorizzata e quindi sarebbero legittime le contestazioni avanzate dagli altri condomini tese tra l’altro ad evitare il decorrere del termine per usucapire una servitù di passaggio a favore del negozio condotto in locazione.
Ad ogni modo al di là della fondatezza o meno delle contestazioni mosse, le stesse andrebbero rivolte non tanto al conduttore, ma al locatore dell’immobile che in quanto proprietario riveste la qualità di condomino ed è giuridicamente uno dei soggetti coinvolti nei rapporti che trovano la loro fonte nel condominio.

Anonimo chiede
martedì 04/05/2021 - Lombardia
“Buongiorno
Nel caso il vicino costruisse una veranda nel porticato attiguo al mio, chiudendone tutti i lati inclusa la separazione di cinta e questo impattasse in termini di lesione del decoro condominiale, si ricade nell'articolo 1120 e nei relativi quorum (art 1136) deliberativi?

Se invece sempre nello stesso caso, la costruzione della veranda non impattasse sul decoro del condominio, ma solo sul singolo condomino in termini di lesione di diritto di aria/luce, quale articolo del codice regola questa fattispecie?

Grazie
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 09/05/2021
Il quesito non chiarisce se il porticato possa considerarsi bene di proprietà esclusiva oppure parte comune dell’edificio. Dando per presupposto che ci troviamo innanzi alla prima ipotesi (che pare la più probabile), è giusto ricordare che ciascun condomino ha la facoltà di eseguire nel proprio appartamento tutte le opere che ritiene più opportune senza bisogno di alcuna autorizzazione della assemblea, a patto che vengano salvaguardati ai sensi dell’art.1122 del c.c. la stabilità, la sicurezza e il decoro dell’edificio.

Per certi versi anche se il porticato è bene condominiale si può giungere alle medesime conclusioni tenendo conto che la giurisprudenza maggioritaria ritiene che sia possibile aprire un varco sul muro comune senza autorizzazione degli altri comproprietari se viene mantenuta la destinazione economica del bene, la sua sicurezza, stabilità e il suo decoro.

In entrambi casi, se l’opera lede il decoro architettonico si può adire il giudice per chiedere che i lavori non vengano eseguiti o che vengano in qualche modo sospesi. Per autorizzare l’esecuzione di lavori potenzialmente lesivi del suo decoro occorre l’unanimità dei consensi dei componenti del condominio.

In realtà, però, leggendo attentamente il quesito si capisce che il vero problema del lettore risiede nel fatto che l’opera che vuole realizzare il vicino lede la luce e la veduta della propria unità immobiliare. L’art. 907 del c.c. ci dice che quando si è acquistato il diritto di avere una veduta del fondo del vicino, questi non può costruire ad una distanza di tre metri, calcolati ai sensi dell’art. 905 del c.c. Si presti attenzione alla circostanza che l’art. 907 del c.c. introduce un vero e proprio diritto di servitù di non fare di fonte legislativa, e deve essere rispettato al di là del fatto che il porticato possa considerarsi o meno bene condominiale o del fatto che l’apertura della veranda sia soggetta ad una qualsivoglia autorizzazione assembleare.

Antonio B. chiede
domenica 02/05/2021 - Veneto
“Siamo un condominio di 10 unità
Un condomino proprietario di un appartamento sito al piano terra ha aperto un cancello che dalla sua proprietà porta nel parcheggio condominiale
Il parcheggio ha solo 9 posti auto all'aria aperta, quindi un proprietario deve parcheggiare la sua auto nella pubblica via.
Poi il cancello aperto provoca problemi di parcheggio in quanto gli altri condomini si fanno scrupolo ad occupare il posto auto e quindi rimangono 8 posti.
Il condomino aprendo il cancello ha di fatto apportato valore alla sua proprietà a discapito di tutti gli altri proprietari.
Passati 20 anni prenderebbe il diritto di fatto per usucapione.
L'amministratore interpellato ha dichiarato in varie assemblee che il cancello è legittimo che il condomino non ha fatto alcun illecito.
Chiedo a voi se può il condomino aprire il cancello in disamina.
Se ci sono sentenze chiare in merito della cassazione
Altri proprietari non sono d accordo sull'apertura del cancello e vogliono chiuderlo.
Aspetto vostra cortese risposta”
Consulenza legale i 09/05/2021
L’amministratore ha ragione.
Il singolo proprietario può nel suo appartamento in proprietà esclusiva compiere le opere che ritiene più opportune, a patto che le stesse non vadano ad incidere sulla sicurezza, stabilità e decoro dell’edificio (in questo caso vi sarebbe il divieto imposto dall’art. 1122 del c.c.). Quindi è ben possibile che il condomino possa aprire un varco sulla sua proprietà per meglio accedere a parti in proprietà comune come il parcheggio condominiale. La legittimità del comportamento tenuto si può dedurre dallo stesso art.1122 del c.c. e dalle innumerevoli norme che riconoscono il diritto di proprietà nel nostro ordinamento: su tutte si pensi all' art. 832 del c.c. e anche alla nostra Carta Costituzionale con l’art. 42. Si tenga presente che la giurisprudenza oramai costante ammette che si possa aprire un varco su un muro condominiale per accedere alla propria abitazione. Qui siamo in una situazione dove vi sono ancora meno dubbi, perché nessuna proprietà comune è stata modificata durante i lavori, per quanto ci è dato sapere.

Il fatto però che il condomino possa aprire un varco per meglio accedere al parcheggio condominiale non gli dà un maggior diritto su tale parte comune. Tutti gli altri condomini hanno quindi diritto ad usare i posti auto disponibili e se lo spazio a disposizione è insufficiente a soddisfare i bisogni di tutti i proprietari contemporaneamente si può pensare ad un uso turnario degli stalli.


Patrizia M. chiede
lunedì 15/03/2021 - Lombardia
“La mia richiesta ha lo scopo di verificare se io abbia fondati diritti, e se sì, quali possibilità di pretendere l'adozione di misure atte a risolvere i problemi legati al degrado e al decoro dell'immobile dove abito oltre a varie turbative del mio diritto di proprietà. Si tratta di una di casa di corte, nella quale sono proprietaria di una porzione, libera su tre lati, oltre ad una unità immobiliare separata e pertinenziale (autorimessa). In questa corte vi sono altre 3 unità immobiliari appartenenti a tre altri distinti proprietari (vicino A, vicino B, vicino C). Le unità non sono costituite in condominio, ma hanno vari elementi in comune perché tutto l'edificio con corte apparteneva un tempo ad un solo proprietario ed è stato in varie successive riprese suddiviso fino a comprendere le attuali 4 unità immobiliari. Gli elementi in comune sono una facciata esterna ed una interna, il tetto e l'androne di passaggio. Alcune unità hanno in comune anche gli impianti fognari, che sono ubicati in una porzione di corte privativa e soggetta a servitù di accesso, carico e scarico, veduta e sporto di gronda a favore della mia proprietà, la quale si trova interclusa.

Elenco e riassumo i punti critici presenti, pregandoVi di esaminare se le mie richieste siano fondate giuridicamente e come possa agire per tutelarmi.

a) IMMISSIONE FUMI E DECORO FACCIATA ESTERNA COMUNE
1) l'uscita dello scarico/gas della caldaia del vicino A è situato in posizione troppo bassa e sotto il livello del tetto della mia veranda (vedi scarico in alto a ds. nella foto 1), emanando continuamente fumi di odore acre che si immettono nella mia porzione di casa in proporzione alla direzione del vento;
2) i fili elettrici e il punto luce sono stati installati dal vicino A in spregio del decoro della facciata esterna ed interna, facendo inoltre passare i fili elettrici su di un muro non suo, quello della mia autorimessa, che non è un muro comune bensì di mia esclusiva proprietà (foto 2);

b) DECORO FACCIATA ESTERNA COMUNE
il tubo del gas è stato fatto installare sulla facciata esterna comune dal vicino B durante la ristrutturazione del suo appartamento nel 2015, senza alcun riguardo per l'estetica e il decoro della facciata stessa, lasciando inoltre nel muro, la sua vecchia nicchia con il vecchio contatore e il vecchio tubo del gas, abbandonati sulla facciata senza alcuno scopo di utilità (foto 3).

c) MANUTENZIONE CANALE DI GRONDA, POSIZIONE MOTORE CONDIZIONATORE, TURBATIVA DIRITTO DI SERVITÙ DI VEDUTA
1) tale canale è costantemente intasato di foglie e di rifiuti ed è totalmente inclinato verso il canale di gronda di mia proprietà, in direzione del quale, a causa di questa pendenza, si vanno a riversare tutte le acque piovane del suo tetto (foto 4). Queste acque tracimano poi all'interno della mia veranda ogni qualvolta vi siano forti piogge. Vi sono inoltre continue azioni di disturbo nel mio uso (regolare servitù iscritta in atti) del locale caldaia adiacente;
2) il motore del condizionatore d'aria del vicino C è posizionato su una delle facciate interne (cortile) sul mio passaggio verso casa (foto 5);
3) il mio diritto di veduta (regolare servitù dichiarata nei titoli di proprietà) è leso con continui comportamenti emulativi da parte del vicino (foto 6).

Allego a parte una piantina e la documentazione fotografica citata, e Vi chiedo di trattare il mio quesito e gli allegati in forma riservata e di non pubblicarli né sul Vs. sito né altrove.

RingraziandoVi, invio cordiali saluti”
Consulenza legale i 20/03/2021
Il quesito offre diversi spunti di riflessione che si andranno ad affrontare per paragrafi separati.

a) Immissioni fumi
L’art. 844 del c.c. al suo primo comma ci detta una regola estremamente importante che giova ripeterla in tale sede: "Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi".

Se si analizza sommariamente tale importante norma del codice civile, si nota subito una prima importante regola: le immissioni di fumo e le esalazioni derivanti dal fondo del vicino sono di per se considerate lecite e non possono essere vietate o limitate.
Tale principio generale trova una importante limite nel momento in cui la immissione supera la normale tollerabilità. Interessante in questo senso e Cass.Civ.,Sez.II, n.939 del 17.01.2011, la quale ci dice che l’immissione supera la normale tollerabilità quando essa pregiudica le altrui condotte di vita.
Da qui ne discende che l’esalazione di fumo e l’odore acre diventano un atto illecito del nostro vicino e quindi come tale idonei per essere contestati in giudizio, solo nel momento in cui essi non siano meramente episodici, ma si protraggono per un considerevole periodo di tempo durante la giornata. Solo in questo caso si potrebbe ragionare di una eventuale illiceità della immissione con tutte le conseguenze che ne deriverebbero.
Da quello che ci è dato capire, le immissioni non sono di una intensità tale da integrare il requisito richiesto dalla giurisprudenza assolutamente dominante.

Forse sarebbe più interessante e proficuo capire se lo scarico dei fumi possa considerarsi a norma ed anche capire la eventuale tossicità di ciò che promana dall’impianto, ma sotto questo aspetto non sono stati dati sufficienti elementi per esprimere un parere sul punto. Il consiglio che ci si sente di dare è di far periziare lo scarico da un termotecnico per avere una prima idea su come muoversi.

b) Decoro architettonico
Il decoro architettonico seppur non espressamente definito dal nostro codice civile, rimane uno degli istituti più rilevanti del diritto condominiale e una delle cause che più genera contenzioso tra i proprietari.
La mancanza di una specifica definizione legislativa è stata colmata dalla giurisprudenza che oramai con le pronunce che si sono susseguite negli anni è giunta ad una definizione che si può considerare acquisita.
Per decoro architettonico si intende l’insieme delle linee armoniche che caratterizzano l’estetica del fabbricato: si ha la sua lesione quando un determinato intervento, sia su parti comuni che su parti in proprietà esclusiva, comporta una loro alterazione esteticamente peggiorativa.

La problematica maggiore delle controversie aventi ad oggetto la tutela del decoro architettonico, sta proprio nella soggettività del concetto, rendendo di fatto estremamente incerto l’esito di un eventuale contenzioso. Una determinata opera, infatti, può apparire del tutto in linea con l’estetica del fabbricato per il tecnico edile chiamato da un condomino a difenderlo in giudizio, come invece può apparire del tutto disarmonioso per il tecnico di controparte, o per quello nominato dal giudice chiamato a dirimere il contenzioso.

A mitigare l’assoluta soggettività del concetto la giurisprudenza a più riprese ha precisato che l’alterazione delle linee estetiche del fabbricato non è di per sé sufficiente affinché si possa verificare una lesione del decoro architettonico, ma tale alterazione deve essere significativa e rilevante per portare ad una rimozione dell’opera lesiva e tradursi in un pregiudizio economicamente valutabile per giustificare un eventuale risarcimento del danno.

Fatta questa dovuta premessa è importante, anche in questo caso, far periziare la facciata dell’edificio da un tecnico edile che possa dire se le opere contestate dall’autore del quesito provochino una alterazione delle linee architettoniche del palazzo tale da poter giustificare un contenzioso.

Soffermiamoci però un po’ più attentamente su un aspetto importante che viene fatto notare nel quesito: le opere che vengono accusate di ledere il decoro, erano un tempo al servizio esclusivo di un appartamento e oggi, a seguito di ristrutturazione, sono inutilizzate.
Sulla base di quanto riferito nel quesito, si ritiene che tali opere sono inerenti ad un diritto di servitù, molto probabilmente costituitosi per destinazione del padre di famiglia, a favore dell’appartamento del vicino e a carico del condominio, in quanto i muri portanti ed esterni del corpo di fabbrica devono considerarsi comuni a tutti.

Posto questo, può il singolo condomino richiedere la rimozione delle opere attinenti ad una servitù inutilizzata? L’art. 1027 del c.c., ci dice che le servitù sono un peso posto su un fondo detto servente per l’utilità di un altro fondo detto dominante. In altri termini, la servitù trova la sua giustificazione nel momento in cui essa arreca un vantaggio al fondo dominante che giustifica una limitazione al diritto di proprietà del fondo servente: nel caso specifico, l’utilità era rappresentata dalla possibilità per l’appartamento del vicino di allacciarsi alla rete del gas.

Tale utilità è sicuramente venuta meno a seguito della ristrutturazione del 2015, ma ciò, purtroppo, non è causa di per se per chiederne la rimozione. L’art.1074 del c.c. ci dice che il venir meno della utilità della servitù non fa estinguere la servitù, se non dopo che sia decorso il termine di prescrizione ventennale indicato dal precedente art. 1073 del c.c. Il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui si è cessato di usare la servitù.

La rimozione di tali opere quindi potrà essere pretesa solo se si dimostrerà in giudizio che esse non sono utilizzate da venti anni, a meno che non si riesca a dimostrare che esse ledono il decoro architettonico nei limiti che si sono detti poco sopra.

Attenzione ad un altro aspetto importante. Nel quesito si dice che vi sono alcuni muri di proprietà esclusiva, perché facenti parte delle singole unità immobiliari: tale affermazione non può dirsi scontata. Se infatti, il muro è parte integrante della facciata del corpo di fabbrica, o è elemento portante della costruzione esso viene considerato comune ai sensi del n.1) dell’art. 1117 del c.c. e quindi sicuramente condominiale. Anche in questo caso solo un tecnico edile può illuminarci sulla effettiva natura del bene.


c) Manutenzione del canale di gronda
Sotto questo aspetto, sarebbe utile esaminare i rogiti di acquisto delle singole unità abitative per capire se sono stati costituiti delle specifiche servitù.

Tuttavia al di là di quello che dispongono i rogiti, si ha il forte sospetto (per non dire la certezza), che tutto il sistema di scolo di acque del corpo di fabbrica, e quindi anche la gronda ricompresa in tale sistema debba considerarsi bene condominiale ai sensi del n.1) dell’art.1117 del c.c,. in quanto necessario all’uso comune. La riprova di tale affermazione risiede proprio nel fatto che la scarsa manutenzione della gronda pregiudica anche le proprietà circostanti.
Ciò comporta un vantaggio, in quanto l’autore del quesito avrebbe tutto il diritto di attivarsi autonomamente per pulire la gronda intasata: anche essa infatti deve considerarsi bene di sua proprietà. Quanto sostenuto per la pulizia potrà poi essere preteso pro quota agli altri proprietari o ai sensi dell’art. 1134 del c.c., se la spesa riveste il carattere di urgenza, o, altrimenti, ai sensi dell’art. 2031 del c.c.

E’ ovvio che se gli altri proprietari non provvedono al pagamento spontaneamente sarebbe possibile teorizzare un ricorso alla autorità giudiziaria, come lo si potrebbe fare nel caso in cui la situazione di inefficienza della gronda causasse un danno alla proprietà esclusiva dell’autore del quesito, ma in questo caso i danni vanno dimostrati.

Se, viceversa, la gronda deve considerarsi come bene esclusivo del vicino e quindi non condominiale, l’autore del quesito può pretendere, anche giudizialmente, che la stessa sia tenuta in buono stato manutentivo invocando l’art. 908 del c.c., il quale dispone: "Il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino sul suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino". Anche in questo caso se lo scolo abusivo causa un danno dimostrabile questo può essere fatto valere in giudizio.
Ad ogni modo per tutte le motivazioni che si sono già dette si è convinti che la gronda rivesta carattere di bene comune condominiale

d) Disturbo diritto di servitù accesso locale caldaia e diritto di veduta

Da quanto ci è dato capire l’autore del quesito è molestato nel possesso di due diritti di servitù, uno di veduta e uno di passaggio e utilizzo del locale caldaia. Nel quesito non ci si dilunga particolarmente nel descrivere come in concreto vengono poste in essere tali azioni di disturbo, ma, anche analizzando il materiale fotografico a corredo, si ritiene che i vicini pongano in essere varie, distinte condotte tese ad ostruire e a rendere più difficoltoso il pacifico godimento di tali diritti regolarmente riconosciuti nei rogiti di acquisto della proprietà.

Se si riuscisse a dimostrare le azioni di disturbo con materiale fotografico e testimonianze, si potrebbe teorizzare la possibilità di radicare innanzi alla autorità giudiziaria una azione di manutenzione del possesso ex art. 1170 del c.c., tesa ad ottenere un provvedimento che imponga ai vicini la cessazione dei comportamenti molesti. Anche in questo caso si potrebbe pretendere un risarcimento, se si riuscisse a raggiungere la prova di aver subito un effettivo danno patrimoniale derivante dalle condotte di disturbo. L’azione di manutenzione ha il vantaggio di poter godere di un rito piuttosto celere, compatibilmente alla situazione dei tribunali nel nostro paese, ma deve essere iniziata entro l’anno dalla sofferta turbativa. Tale rigido termine decadenziale non deve di per sé spaventare, in quanto, se i comportamenti che arrecano molestia sono più di uno e distinti nel tempo, tale termine si rinnova al compimento di ogni condotta.

In conclusione vi sono diversi spunti per tutelare entro certi limiti le ragioni dell’autore del quesito, spunti che necessariamente devono essere approfonditi, non solo con un legale ma anche con un tecnico che necessariamente affianchi l’avvocato nella sua attività.

Ci si sente comunque di consigliare, piuttosto che una causa giudiziaria, l’istituto della mediazione civile, strumento che se accompagnato da buon senso e spirito conciliativo potrebbe dare maggiori soddisfazioni in tempi più rapidi.

Fabio B. chiede
mercoledì 25/03/2020 - Lombardia
“IL CASO ANDROMEDA A MILANO DUE
Tizio risiede in un appartamento nel condominio residenza Andromeda a Segrate (Mi). La residenza Andromeda con altre 27 residenze fa parte del Comprensorio Milano-Due. Il Comprensorio è gestito da un amministratore mentre le altre residenze hanno il proprio amministratore.
La Residenza Andromeda è ritenuta la più prestigiosa del Comprensorio e quindi il mantenimento del Decoro e il rispetto dei Regolamenti assumono particolare rilevanza anche sotto il profilo della valorizzazione dell’immobile.
Negli anni passati il Comprensorio, per frenare i numerosi abusi edilizi, invita gli amministratori delle varie residenze a fornire i nomi di tutti i trasgressori. L’elenco di un centinaio di casi abusivi viene sottoposto all’assemblea comprensoriale che incarica l’amministratore di sollecitare la rimozione degli abusi e in alternativa di procedere per via legale. L’amministratore Andromeda non segnala ufficialmente casi di abusivismo nella residenza che amministra dal 2012, nonostante l’evidenza di verande abusive costruite sul lastrico solare.
Due sono i condomini Andromeda che, proprietari degli appartamenti al settimo e ottavo piano, occupano parte del lastrico solare di utilizzo esclusivo, ma di PROPRIETA’ CONDOMINIALE, disponendo di verande abusive in entrambi i piani. Il primo acquista l’appartamento già “verandato” nel 2005 e oggetto di CONDONO per le superfici abusive nel 2003. Il secondo acquista l’appartamento già “verandato” nel 2017 e oggetto di SANATORIA nel 2014 per le superfici abusive costruite nel 2008.
L’assemblea Andromeda, dopo ripetuti solleciti, approva l’aggiornamento delle tabelle millesimali per le costruzioni abusive, attraverso una perizia ufficiale pagata dai trasgressori. Le spese condominiali per la maggior superficie occupata decorreranno dal 2016. Il tutto verbalizzato in varie assemblee di cui l’ultima è del 30.01.2020.
Viene aggiornato anche l’elenco ufficiale dei trasgressori stilato dal Comprensorio includendo i condomini Andromeda.


Tizio vorrebbe LA DEMOLIZIONE DEGLI ABUSI:

- AGENDO CONTRO IL COMUNE DI SEGRATE perché
Emette ordinanza nel gennaio 2020 confermando la sanatoria del 2014 di un “salotto verandato” su lastrico solare al settimo piano seppur ordinando di demolire la veranda all’ottavo piano mai “sanata”e condona nel 2003 le verande dell’altro condomino, ignorando numerose sentenze che vietano condoni e sanatorie di costruzioni abusive su lastrico solare di proprietà condominiale senza il preventivo assenso di tutti i condomini.
NB - La recente ordinanza viene emessa a seguito di un esposto di Bagna che trasmette l’elenco di tutti gli abusi, stilato a suo tempo dal Comprensorio, alla Polizia Urbana di Segrate nel gennaio 2017, invitando le Autorità ad una verifica. I controlli avvengono, seppur con lentezza, e ad oggi sono state emesse più ordinanze di demolizione.


- AGENDO CONTRO ENTRAMBI I CONDOMINI perché
Occupano il lastrico solare di proprietà condominiale con costruzioni abusive (seppur sanate parzialmente o condonate) senza il consenso dei condomini, violando i regolamenti comprensoriali e condominiali, il decoro architettonico dell’edificio e non pagando le spese condominiali per le maggiori superfici occupate se non per gli ultimi anni.


- AGENDO CONTRO L’AMMINISTRATORE
per negligenza non avendo tutelato la proprietà dei condomini denunciando gli abusi edilizi per violazione di:
- Regolamento Condominiale - paragrafo 31 pagina 19
- Regolamento Comprensoriale - articolo 27 lettera N
- Decoro Ambientale
- Abuso edilizio su lastrico solare di utilizzo esclusivo ma di proprietà condominiale
- Arricchimento indebito x millesimi non conteggiati nelle spese condominiali
I regolamenti Comprensoriale e Condominiale vietano la costruzione di serre, pergolati, coperture, opere esterne che modifichino la composizione architettonica ed i relativi dettagli dei fabbricati.”
Consulenza legale i 18/04/2020
Riguardo il quesito concernente la possibilità di intraprendere un’azione contro il Comune per le sanatorie edilizie già concesse nei confronti dei condomini che hanno realizzato opere abusive, la risposta è purtroppo negativa.
Le ragioni giuridiche che giustificano tale conclusione risiedono nella distinzione elaborata dalla giurisprudenza tra le nozioni di “atto confermativo” o di conferma in senso proprio, considerato impugnabile nell’ordinario termine decadenziale di sessanta giorni poiché autonomamente lesivo, e di “atto meramente confermativo”, ritenuto invece inoppugnabile.

Per stabilire se un provvedimento amministrativo appartenga al primo o al secondo gruppo occorre verificare se esso sia stato preceduto da una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi in gioco.
Può accadere, infatti, che la P.A., all'esito di un riesame delle circostanze di fatto e di diritto, adotti un atto di identico contenuto dispositivo rispetto ad un altro precedente.
Tale nuova espressione di volontà della Pubblica Amministrazione è idonea a modificare in modo autonomo la realtà giuridica, indipendentemente dal fatto che la determinazione finale coincida con quella enunciata in un anteriore provvedimento, con la conseguenza di riaprire i termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale da parte dei soggetti legittimati (T.A.R. Roma, sez. I, 14 gennaio 2020, n.377; T.A.R. Napoli, sez. V, 03 settembre 2019, n.4443).
Al contrario, quando l'Amministrazione si limiti a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione, la costante giurisprudenza esclude l’impugnabilità del nuovo atto “meramente confermativo”, sia per carenza di interesse a ricorrere, sia per non eludere i termini di impugnazione dell’atto confermato (Consiglio di Stato sez. VI, 10 settembre 2018, n.5301; T.A.R. Napoli, sez. VIII, 09 gennaio 2019, n.101).

Nel caso di specie, si nota che l’ordinanza sanzionatoria emessa dal Comune cita la sanatoria del 2014 soltanto come antecedente temporale senza riesaminare i presupposti che hanno portato alla sua concessione, al solo scopo di verificare se le opere riscontrate nel corso del sopralluogo corrispondano o meno a quanto autorizzato.
Nella fattispecie, dunque, si tratta sotto questo profilo di un provvedimento che non pare poter essere oggi autonomamente contestato di fronte al competente TAR.
La stessa conclusione vale anche per il condono risalente al 2003, che peraltro non viene citato nell’ordinanza comunale in discorso, che è ormai diventato definitivo per avvenuto decorso del termine di impugnazione.

Per quanto riguarda le altre opere non oggetto di alcun provvedimento di sanatoria, invece, è opportuno ricordare che rimane fermo il diritto sia di sollecitare l’intervento sanzionatorio del Comune, sia di agire con un ricorso avverso il cosiddetto silenzio nel caso di prolungata inerzia nella repressone degli abusi edilizi.
A tal fine, si sottolinea che l’eventuale azione va proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento (art. 31 c.p.a.).

Ad ogni modo, al di là del fatto che le opere possano essere state regolarizzate da un punto di vista urbanistico, ciò non pregiudica la possibilità di richiederne giudizialmente la rimozione, agendo da un punto di vista civilistico e condominiale in quanto lesive del decoro architettonico sia del singolo edificio Andromeda, sia dell’intero comprensorio Milano 2.
Il decoro architettonico seppur non espressamente definito dal nostro codice civile, rimane uno degli istituti più rilevanti del diritto condominiale e una delle cause che più genera contenzioso tra i proprietari.
La mancanza di una specifica precisazione legislativa, è stata colmata dalla giurisprudenza che oramai con le pronunce che si sono susseguite negli anni è giunta ad una definizione che si può oramai definire acquisita.
Il decoro architettonico non è altro che l’insieme delle linee che caratterizzano l’estetica del fabbricato. Si ha la sua lesione quando un determinato intervento, sia su parti comuni che su parti in proprietà esclusiva del fabbricato, comporta una alterazione esteticamente peggiorativa di tali linee armoniche.
Nel momento in cui si agisce a tutela del decoro architettonico del fabbricato, si è soliti richiedere al giudice due tipologie di azioni: la prima, di natura reale, è volta alla demolizione dell’opera lesiva e ripristino dello stato dei luoghi; la seconda, di natura personale, è il risarcimento del danno derivante dalla lesione. Le due azioni devono considerarsi due domande distinte, le quali vengono trattate insieme nel medesimo processo in quanto presentano evidenti elementi di connessione: sia la richiesta di demolizione e ripristino dei luoghi sia la richiesta di risarcimento del danno dipendono, infatti, dal medesimo fatto: la realizzazione di un’opera che lede il decoro architettonico.

In merito alla richiesta di risarcimento danni derivante dalla lesione del decoro architettonico, è utile precisare che la Corte di Cassazione,Sez.II, con sentenza n. 1286 del 25.01.2010 ,ha precisato che l’alterazione delle linee estetiche del fabbricato, non è di per se sufficiente affinché si possa verificare una lesione del decoro architettonico, ma tale alterazione deve tradursi in un pregiudizio economicamente valutabile; in altre parole l’alterazione deve costituire un danno economico e un deprezzamento per le proprietà ricomprese nel fabbricato condominiale.

Alla luce di quanto detto finora il soggetto che prima di tutto è legittimato ad agire in giudizio per richiedere la rimozione dell’opera e il conseguente risarcimento danni alle proprietà comuni è sicuramente l’amministratore di condominio, e nel caso specifico l’amministratore dell’intero comprensorio posto la evidente violazione del regolamento supercondominiale e stante il disinteresse dimostrato dall’amministratore di Andromeda. Nel caso di inerzia dell’organo amministrativo, o a sostegno della sua azione già intrapresa, può intervenire il singolo condomino il quale potrà richiedere anche il risarcimento del danno derivante alla sua proprietà, causato dalla edificazione di una opera lesiva del decoro. La giurisprudenza assolutamente costante riconosce, infatti, la legittimazione ad agire anche del singolo condomino, poiché il decoro è un bene comune ai sensi dell’art.1117del c.c. (in questo senso si veda Cass. Civ.,Sez.II, Ord. n.28465 del 05.11.19).
Nel caso descritto è importante però capire contro chi proporre le nostre contestazioni giudiziarie in quanto le opere che si ritengono lesive del decoro, per quanto ci è dato capire, sono state realizzate da soggetti che poi hanno provveduto a vendere le unità abitative e le loro pertinenze.
Per quanto riguarda l’azione volta alla demolizione dell’opera lesiva del decoro e alla rimessa in pristino dei luoghi, non vi sono particolari dubbi, poiché i soggetti convenuti in giudizio dovranno essere gli attuali proprietari che hanno l’uso esclusivo del lastrico solare. Il discorso cambia radicalmente per quanto riguarda la richiesta di risarcimento del danno. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n.2957/2016 hanno definitivamente chiarito che la richiesta di risarcimento danni derivante dal danneggiamento del diritto di proprietà non è una obligatio propter rem, come le spese condominiali, inerente alla proprietà del bene e come tale accessorio alla stessa, ma è un diritto di credito autonomo rispetto alla proprietà sia dal lato attivo (il creditore), che dal lato passivo (il debitore).

Da questo fondamentale principio deriva che se Tizio ha realizzato nel 2012 una opera lesiva al decoro architettonico che pertanto ha causato un deprezzamento alla mia proprietà, è lui che dovrò chiamare a rispondere dei danni e non l’eventuale successivo acquirente Mevio che ha comprato casa da Tizio nel 2015. È ovvio che Mevio, in qualità di attuale proprietario, sarà il soggetto a cui ci si dovrà necessariamente rivolgere per richiedere la rimozione dei manufatti lesivi del decoro e richiedere l’eventuale ulteriore risarcimento del danno causato dalle opere dal 2015 fino ad oggi. La lesione al decoro architettonico, infatti, è un danno alla proprietà permanente e continuativo nel tempo: l’opera infatti, una volta edificata viene ad essere un corpus unico con l’intero fabbricato, modificando permanentemente e per il futuro le linee architettoniche dell’edificio. Per questo motivo il danno seppur ha avuto inizio con l’originario proprietario, è stato perpetrato, continuato e ribadito dal nuovo: egli infatti, in linea teorica, poteva attivarsi autonomamente per rimuovere il manufatto.
In merito al coinvolgimento dei precedenti proprietari, è opportuno precisare che potrà avvenire fino a quando non sarà decorso il termine di prescrizione per proporre l’azione risarcitoria, il quale, ai sensi dell’art. 2946 del c.c., è di dieci anni decorrenti dal momento in cui è stata venduta l’unità abitativa.

La problematica maggiore delle controversie aventi ad oggetto la tutela del decoro architettonico, sta proprio nella quasi assoluta soggettività del concetto, rendendo di fatto estremamente incerto l’esito di un eventuale contenzioso. Una determinata opera, infatti, può apparire del tutto in linea con l’estetica del fabbricato per il tecnico edile chiamato da un condomino a difenderlo in giudizio, come invece può apparire del tutto disarmonioso per il tecnico di controparte, o per quello nominato dal giudice chiamato a dirimere il contenzioso.
In giudizio sarà, quindi, essenziale sollecitare il giudicante disporre una consulenza tecnica, che diverrà il momento fondamentale dell’intero contenzioso, volta ad accertare:
1) se le opere alterino le linee estetiche del fabbricato Andromeda e dell’intero comprensorio;
2) se tale alterazione ha causato un deprezzamento delle unità immobiliari di proprietà del condomino autore del quesito, e di altri eventuali proprietari che vorranno con lui coltivare l’azione.

Sarà quindi imprescindibile affiancare al legale che seguirà l’intera vicenda un tecnico edile che sosterrà le ragioni della parte attrice durante tutte le attività peritali.

Venendo ora a trattare la posizione dell’amministratore del condominio “Andromeda”, è giusto precisare che il decoro architettonico è un bene giuridico condominiale, verso cui l’amministratore ha un obbligo di vigilanza che gli deriva da quanto dispone l’art. 1130 del c.c. Il fatto che il professionista non si sia mai attivato con tutti i mezzi a sua disposizione per tutelare gli interessi condominiali, costituisce sicuramente una giusta causa di revoca ex art. 1129del c.c. in quanto è evidente la negligenza professionale tenuta, ma ciò non comporta di per sé che tale mala gestio abbia causato un danno riconducibile al professionista e come tale dallo stesso risarcibile. Sulla base di quanto descritto, l’unica condotta che può giustificare la richiesta di un risarcimento del danno è quella tenuta dai proprietari che hanno edificato prima, e mantenuto poi, opere lesive del decoro, ma solo a loro potrà essere ascritta tale responsabilità e non all’amministratore dello stabile.

Anche l’ingiusto arricchimento ex art. 2041 del c.c. verificatosi per il fatto che i proprietari autori dell’abuso edilizio abbiano corrisposto in minor importo gli oneri condominiali in rapporto alla unità abitativa di loro proprietà, è una contestazione che va mossa non tanto all’amministratore, ma ai condomini autori dell’abuso, in quanto sono loro i soggetti che di fatto hanno goduto dell’ingiusto arricchimento. È opportuno ricordare che l’amministratore di condominio è un semplice rappresentante dei proprietari, e ogni attività da esso compiuta, come per esempio l’incasso degli oneri condominiali, non va a suo vantaggio ma è compiuta in nome, per conto e nell’ interesse dei proprietari amministrati.
Anche una azione di ingiusto arricchimento può essere, quindi ipoteticamente contestata ai proprietari, precedenti e attuali, delle opere lesive del decoro sempre nei limiti del termine prescrizionale decennale decorrente, questa volta, dalla data di approvazione dei singoli rendiconti. Ovviamente, anche questa azione potrà essere svolta nell’ambito del contenzioso che si è in precedenza tratteggiato.

FAZIO R. chiede
lunedì 08/07/2019 - Liguria
“In un regolamento di origine contrattuale si legge che< il terreno confinante con i seminterrati è di esclusiva proprietà dei proprietari dei seminterrati medesimi>.
Ora il proprietario di questo terreno (diventato marciapiede) ha cintato con pali in ferro e catene molto pesanti e difficilmente movibili, la sua proprietà, rendendo difficile l'accesso alla strada comunale a mamme con carrozzine per neonati e a 4 ultraottantenni che abitano nel condominio.

Si chiede se la legge per il superamento delle barriere architettoniche sia applicabile al caso in questione

Si chiede - in caso affermativo - come fare rispettare la legge senza ricorrere alle vie legali-
Consulenza legale i 18/07/2019
Va premesso che la definizione di barriere architettoniche si trova nell’art. 1, comma 2 del D.P.R. n. 503/1996, secondo cui “per barriere architettoniche si intendono:
a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;
b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi, attrezzature o componenti;
c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi”.
Tuttavia, occorre anche precisare che non esiste, in Italia, un’unica “legge sulle barriere architettoniche", ma una serie di norme di cui è necessario verificare, di volta in volta, l’applicabilità.

Detto questo, nel caso in esame, stando alle informazioni fornite, il fatto che l’area di cui si tratta sia di proprietà privata rende quanto meno improbabile che si possa imporre la rimozione del paletto il quale - secondo quanto riferito - impedirebbe un accesso al caseggiato in condizioni di sicurezza.
L’art. 1122 del c.c. vieta al condomino di eseguire, nell'unità immobiliare di sua proprietà, quelle opere che arrechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio: il che non appare verificato nel caso che ci occupa.
Si consideri anche che l’art. 841 del c.c. consente al proprietario di un fondo di chiuderlo, e quindi di recintarlo, “in qualunque tempo”.

Le conclusioni non cambiano neppure nel caso in cui il marciapiede in questione possa essere considerato di “uso pubblico”.
Infatti appare comunque consentito il transito pedonale sullo stesso; inoltre dalla documentazione fotografica fornita il paletto non risulta collocato in corrispondenza di un passaggio pedonale, né appare dimostrato che l’accesso alla strada pubblica ed il suo attraversamento non possano avvenire in altro punto, magari a breve distanza dall’ingresso dell’edificio condominiale (di quest’ultimo, peraltro, non è stata chiarita la collocazione), ed in condizioni di maggior sicurezza.

Zeno Z. chiede
giovedì 24/01/2019 - Veneto
“Buongiorno,
ho un appartamento a piano terra con giardino privato di circa 50mq in un condominio.
Attualmente esiste un bonus per ampliare valido fino al 31 marzo 2019 per il piano casa veneto.
Vorrei presentare un progetto con veranda, da costruire acquisendo anche la volumetria permessa dal piano casa. I lavori sarebbero eseguiti sul terreno individuale. Da un punto di vista architettonico verrebbero eseguiti con parti in legno e vetro con la stessa estetica con cui è fatta l'autorimessa esterna.

Per approvare il progetto e rilasciare la licenza di costruire, il comune può chiedere il consenso della maggioranza del condominio o posso procedere dando notizia preventiva all'amministratore? Ci possono essere motivi che impediscono la realizzazione, naturalmente rispettando le normative su distanze e altro, o ci può essere solo opposizione successiva alla costruzione per motivi legati al decoro architettonico?

Grazie e resto a disposizione per fornire altri dettagli o documentazione ove necessari.”
Consulenza legale i 30/01/2019
Il decoro architettonico è da considerarsi un vero e proprio bene comune condominiale suscettibile di valutazione economica e come tale in caso di sua lesione risarcibile. Esso è definito dalla giurisprudenza assolutamente dominante come l'estetica del fabbricato data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità.
La tutela di tale fondamentale bene condominiale è stata chiarita e ampliata dal legislatore della riforma del 2012. Innanzitutto, il comma 4° dell’art.1120 del c.c., dispone che sono assolutamente vietate le innovazioni che rechino pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio. Il successivo art.1122 del c.c. estende tali limitazioni anche alle opere eseguite nelle singole proprietà individuali.
Dispone infatti l’art.1122 del c.c.” Nell'unità immobiliare di sua proprietà…il condomino non può eseguire opere che…determinino un pregiudizio…al decoro architettonico dell'edificio.”
Interessante per il caso prospettato è Cass. Civ., Sez. II, n.10048 del 24.04.2013, la quale ha ritenuto lesiva del decoro architettonico l’opera che, seppur rispettosa dello stile dell’edificio, ne alterasse in ogni caso le linee e le forme; è importante precisare che la sentenza che si è citata aveva ad oggetto una controversia che vedeva protagonista, come nel caso di specie, un’opera che presentava un consistente aumento di volumetria, comportando inevitabilmente un mutamento delle linee estetiche del fabbricato.

Alla luce di quanto detto, al di là del discorso urbanistico che si analizzerà poco più avanti, non si può assolutamente condividere il modo di agire che si è esposto nel quesito. Anche se si rispettassero tutte le normative locali e nazionali in materia di distanze nelle costruzioni, la sola possibilità di andare a ledere il decoro architettonico dell’edificio con la opera che si vorrebbe realizzare, indipendentemente dal fatto che essa sia situata in un area in proprietà esclusiva, espone il proprietario al rischio che l’intera compagine condominiale, o anche il singolo condomino, possa adire l’autorità giudiziaria per richiedere la rimozione dell’opera e la rimessa in pristino dello stato dei luoghi, con ulteriore possibilità di richiesta danni, in quanto, come si è accennato prima, se il decoro architettonico viene definito dalla giurisprudenza un bene economicamente valutabile, diviene, conseguentemente, un bene che se leso, può essere risarcito. Sotto questo ultimo aspetto si apre un ulteriore problema, in quanto la lesione del decoro architettonico difficilmente può essere valutata attraverso dei parametri oggettivi, ma essa può sussistere o meno, sulla base della sensibilità e del gusto estetico di ciascuno. Il risultato è che se un condomino ritiene l’opera realizzata semplicemente brutta, egli avrebbe buone possibilità di adire l’autorità giudiziaria e ottenere una sentenza che obblighi l’autore dell’opera a rimuoverla e a ripristinare lo stato dei luoghi nella situazione antecedente ai lavori.

Tenendo conto che l’art.1122 del c.c. non è inserito dall’art.1138 del c.c. tra le norme inderogabili dalla volontà dei condomini, e che l’opera che si andrà a realizzare sembra non compromettere la statica e la sicurezza dell’edificio, ne pare recare danno alle parti comuni, ci si sente di consigliare il comportamento contrario a quello descritto dal quesito.
Prima di iniziare i lavori, al fine di evitare qualsiasi possibile contenzioso, allo stato molto probabile, è necessario procurarsi il consenso scritto alla realizzazione dell’opera di tutti i partecipanti al condominio, con il quale i proprietari riconoscano che il manufatto che si intende realizzare non lede il decoro architettonico. Si badi bene, qui non si sta parlando di ottenere l’approvazione a maggioranza da parte dell’assemblea condominiale, ma di far sottoscrivere a tutti i condomini una autorizzazione ad edificare. Il problema alla soluzione prospettata sta nel fatto che non si è trovata alcuna pronuncia giurisprudenziale che espressamente riconosca la possibilità che un accordo tra tutti i condomini possa autorizzare la realizzazione in un parte dell’edificio in proprietà esclusiva di un’opera lesiva del decoro architettonico, e in secondo luogo, che, al di là della sua validità, l’accordo sottoscritto ex art.1372 del c.c. non potrà comunque essere vincolante per futuri nuovi proprietari che dovessero entrare a far parte del condominio.
Per rendere efficace anche a terzi soggetti l’accordo raggiunto, sarebbe necessario che lo stesso fosse sottoscritto innanzi ad un notaio e trascritto nei registri immobiliari, anche se, non trattandosi di convenzioni che capitano nella pratica molto frequentemente, non si può dare certezze sul fatto che il Conservatore dei registri accetti di trascrivere una convenzione di questo tipo, né che un notaio accetti di ricevere un atto simile.
Ad ogni modo se non si ottiene almeno l’autorizzazione di tutti i condomini alla realizzazione dell’opera si consiglia di desistere da qualsiasi intento edificatorio.

Venendo a trattare la parte urbanistica del quesito, si precisa che il comma 1° dell’art. 11 del D.P.R. n.380/2001 dispone che: "Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo". E’ opportuno precisare che la giurisprudenza amministrativa (si veda TAR Campania, Napoli, Sez. II, n. 26817 del 6 dicembre 2010), ha ritenuto che qualora l’opera da realizzarsi nel palazzo vada comunque a ledere i diritti degli altri comproprietari, è legittimo richiedere anche il loro consenso, la cui mancanza costituisce una carenza istruttoria e motivazionale, che può essere fatta validamente valere dagli altri condomini innanzi al Tar in una ipotetica impugnativa della autorizzazione a costruire.
Ora, non si conoscono nello specifico le prassi adottate dalla autorità comunale competente a rilasciare il provvedimento, ma considerando il fatto che comunque l’opera che si vuole realizzare andrebbe ad incidere su un bene condominiale rilevante come il decoro architettonico, crediamo che sia opportuno per l’ente comunale, anche alla luce dell’orientamento della giurisprudenza amministrativa citata, richiedere comunque l’autorizzazione della assemblea condominiale al fine di prevenire eventuali contestazioni.

Ad ogni modo il comma 3° dell’art 11 del D.P.R. n.380/2001 dispone che:” Il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi.” Quindi anche se il permesso di costruire venisse rilasciato senza richiedere alcuna autorizzazione assembleare, ciò non impedirebbe al condominio di tutelare in sede civilistica la lesione del diritto architettonico nei termini sopra descritti.


Costanzo C. chiede
sabato 12/08/2017 - Friuli-Venezia
“Buongiorno,
vivo a (omissis). Da tre mesi mi sono trasferito in un appartamento di mia proprietà in un condominio di due piani.
Dopo un mese il condomino sopra di me al secondo piano, il mio è al primo, ha installato una mega piscina
sul terrazzo sopra il mio, abbiamo terrazzi rotondi con diametro di mt 3,7.
Da un rapido calcolo risulta un carico sul soffitto sopra il mio terrazzo di circa 5 tonnellate, più il peso di eventuali soggetti che usano la piscina. I terrazzi esterni hanno il supporto di due colonne che danno anche l'aspetto al condominio.
Dopo alcuni tentativi di rendere chiaro il rischio è la preoccupazione che percepisco ho interpellato l'amministratore,
poiché il vicino asserisce che lui è ingegnere e che secondo lui è tutto in sicurezza e mi ha allontanato con modi poco cortesi.
L'amministratore dopo una rassicurazione verbale che avrebbe proceduto a richiedere documenti che accertassero la stabilità del terrazzo con tale carico, mi gira invece una dichiarazione scritta e firmata del vicino dove asserisce che carica 600 mt al metro quadro è che il solaio tiene 900 Kg metro quadro. Questo poiché tempo fa lui avrebbe fatto una prova pratica caricando più acqua fino a 900 Kg mt Q.

L'amministrazione se ne lava le mani rimandando ogni decisione all'assemblea che si terrà nel marzo 2018.
Ad oggi nelle assemblee precedenti non ci sono note su questa piscina, anche se i vicini asseriscono di averne parlato.

Tale lettera posso inoltrarvela , non contiene cmq nessun riferimento a progetti depositati, o a perizie vere o a normative e leggi vigenti.
Io continuo ad essere preoccupato e mi sembra che dovrei accollarmi gli oneri e le spese per verificare il progetto originale con le dovute tenute ammesse , così come anche le normative di legge che consentono sia l'installazione della piscina che anche il rischio per la tenuta del solaio.

Non dovrebbe il condomino provvedere a fornire documentazione adeguata?
Non dovrebbe l'amministratore provvedere a vietare quanto non deliberato e che può mettere a rischio la tenuta statica di una parte che è condominiale?
Ci saranno delle normative e leggi che regolano i limiti di carico di un solaio?

Grazie per ogni eventuale aiuto e resto a disposizione per fornire altri dettagli o documentazione.

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 11/09/2017
Per rispondere al presente quesito, bisogna preliminarmente soffermarsi sull'analisi della fattispecie: le piscine fuori terra, stante la loro natura amovibile, non rientrano tra le innovazioni di cui all'articolo 1120 del Codice Civile. Tuttavia, per installare una piscina è necessaria un'analisi ed alcune prove di carattere tecnico della portanza del terrazzo, al fine di accertare quale sia il peso massimo che la soletta può sopportare onde evitare danni strutturali, come infiltrazioni, e pericoli di crollo.

Il singolo condomino, quindi, può scegliere di porre una piscina sul terrazzo anche senza richiedere autorizzazioni, ma egli, ai sensi dell'art. 1122 c.c. non può mai eseguire opere che rechino danno alle parti comuni oppure determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio. In ogni caso, è suo preciso onere informarne previamente l'amministratoreche ne riferisce all'assemblea. A fronte del dovere di dare preventiva notizia all’amministratore, la legge non prevede alcuna autorizzazione da parte dell’assemblea dei condomini, trattandosi, d’altra parte, di opere eseguite su parti esclusive. Non è inoltre previsto un preciso obbligo per l’amministratore di convocare l’assemblea straordinaria al solo fine di effettuare la comunicazione ma, l’inosservanza dell’obbligo della preventiva comunicazione non sembra comportare il diritto degli altri condomini a chiedere la riduzione in pristino, in quanto, si ribadisce, la legge non richiede anche la preventiva autorizzazione dell’assemblea.

Comunque, nel caso in cui l’opera sia legittima, cioè conforme alle prescrizioni di legge, la violazione della procedura potrebbe al più portare ad un eventuale risarcimento dei danni, qualora ne sussistano i presupposti, come stabilito dalla Cassazione nella sentenza n. 22596 del 5 novembre 2010; qualora, invece, si tratti di opera illegittima ai condomini sarà consentito chiedere la rimessione in pristino a causa della loro potenzialità a recare pregiudizio alla stabilità e sicurezza del fabbricato o ad alterare il decoro architettonico: in questi casi, il condominio potrà chiedere bonariamente e poi, eventualmente, per via giudiziale, la rimessione in pristino dei luoghi.

Si sottolinea, tuttavia, che spetta a chi agisce in giudizio indicare il pregiudizio o il danno che l’opera potrebbe causare; quindi, qualora si intenda contestare la legittimità delle opere ai sensi dell’art.1122 c.c., è consigliabile, prima di agire in giudizio ed al fine di evitare contenziosi dagli esiti negativi, fornirsi di analisi svolte da tecnici e professionisti che provino l'illegittimità dell'opera.

Dall'analisi della documentazione inviataci, rileva che l'unica perizia di carattere tecnico è stata redatta dal proprietario del terrazzo, stessa persona che ha posizionato la piscina, ingegnere iscritto all'albo, il quale, pur assumendosene implicitamente la responsabilità, fornisce pur sempre una consulenza di parte, peraltro svolta senza i disegni strutturali dell'edificio realizzati a suo tempo dalla ditta costruttrice.

Pertanto, alla luce di quanto esposto, seppur non sussista un obbligo dell'amministratore del condominio di informare l'assemblea in modo tempestivo, e prendere le doverose precauzioni, si consiglia di insistere con la richiesta allo stesso amministratore di convocare l'assemblea straordinaria e di fornire una perizia che non sia "di parte" e che sia redatta anche sulla base dei disegni strutturali originali, portando altresì alla sua attenzione che, comunque, l'amministratore di condominio in quanto tale ricopre una posizione di garanzia che discende dal potere attribuitogli dalla legge di compiere atti di manutenzione e gestione delle cose comuni e di compiere atti di amministrazione straordinaria anche in assenza di deliberazioni della assemblea, e che da ciò consegue la responsabilità per omessa rimozione del pericolo cui si espone l'incolumità pubblica di chiunque acceda in quei luoghi, e per l'eventuale evento dannoso derivato dalla situazione di pericolo (Cass. Pen. 46385/2015).

Luca P. chiede
sabato 29/04/2017 - Abruzzo
“Salve, il regolamento di condominio contrattuale del 1972 prevede per la modifica alle parti comuni l'approvazione dell'assemblea mentre per i lavori nelle parti private si rifa' all'art 1122 del c.c. Io sono proprietario di un attico e mansarda quest'ultima collocata sopra l'attico e resa abitabile da un condono edilizio nel 1995. Le finestre del mio attico non sono conformi al progetto e quindi da sanare mentre per la mansarda per poterla collegare con l'attico è necessaria una scia e per il recupero abitativo di aprire finestre e ristabilire il rapporto aeroilluminante ( tali aperture sono ammesse dalla legge regionale che norma l'attività edilizia ed in particolare il recupero del sottotetto) . Considerando che parliamo di una zona della facciata non visibile dall'esterno a causa delle dimensioni del terrazzo dell'attico e che le finestre non rispettano nessuna simmetria con le altre finestre del palazzo e considerando che il condominio non vuole dare nessuna autorizzazione " per non creare precedenti" vorrei sapere se posso procedere a ripristinare le finestre nella posizione più vicina possibile a quella di progetto e aprire abbaini nel sottotetto per il recupero edilizio senza approvazione condominiale rifacendomi all'art 1102 e 1122 del cc. I lavori che voglio eseguire sono lavori su parti comuni o lavori su parti individuali con impatto sulle parti comuni? nel primo caso ho bisogno di approvazione nel secondo devo solo evitare di pregiudicare il decoro. Aggiungo che la mansarda non era presente nel progetto del 1970 a cui il regolamento fa riferimento e mi chiedo se tale regolamento possa impedirmi una messa a norma.”
Consulenza legale i 06/05/2017
Primo aspetto da chiarire è se i lavori che si intendono eseguire sono lavori relativi a parti comuni o a parti di proprietà esclusiva (con impatto sulle parti comuni).
Ebbene, al riguardo va detto che in realtà si tratta chiaramente di utilizzare un muro comune (condominiale) in parte corrispondente alla proprietà esclusiva della singola unità immobiliare.

Chiarito ciò, vediamo adesso come ci si deve comportare per apportare delle modifiche a tali parti dell’edificio condominiale.

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (tra le tante, Cass., Sez. II, 25 settembre 1991, n. 10008; Cass., Sez. II, 26 gennaio 1987, n. 703; Cass., Sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16097; Cass., Sez. VI-2, 14 novembre 2014, n. 24295), quello secondo cui, in tema di condominio, il principio della comproprietà dell'intero muro perimetrale comune di un edificio legittima il singolo condomino ad apportare ad esso (anche se muro maestro) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini (e, quindi, perfino a procedere all'apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua proprietà esclusiva), a condizione di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell'esercizio dell'uso del muro, ovvero la facoltà di utilizzarlo in modo e misura analoghi, e di non alterarne la normale destinazione e sempre che tali modificazioni non pregiudichino la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato condominiale.

Si è anche precisato (Cass., Sez. II, 29 aprile 1994, n. 4155; Cass., Sez. II, 26 marzo 2002, n. 4314) che l'apertura di varchi e l'installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell'edificio condominiale, eseguite da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all'unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, non integrano, di massima, abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell'art. 1102, primo comma c.c., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non già alla necessità di ovviare ad una interclusione dell'unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all'intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario.

In conseguenza di ciò, dunque, sembra chiaro che negli edifici in condominio, i proprietari esclusivi delle singole unità immobiliari possano utilizzare i muri comuni, nelle parti ad esse corrispondenti, sempre che l'esercizio di tale facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 cod. civ. (norme che in questo caso si ritengono applicabili), non pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico del fabbricato.

Ad avvalorare il legittimo esercizio di tale diritto vi è la considerazione che le opere verrebbero eseguite, come detto nel quesito, in una zona della facciata non visibile dall'esterno a causa delle dimensioni del terrazzo dell'attico, e pertanto le stesse lascerebbero senza dubbio immutato lo stile architettonico della facciata interessata, non comportando alcuna significativa alterazione del relativo decoro, nonché delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso.

A tutto ciò si aggiunga la circostanza che la realizzazione di tali nuove aperture verrebbe eseguita in ottemperanza ad una normativa di interesse pubblico, qual è quella che impone, nelle ipotesi di recupero dei sottotetti, il rispetto di alcune caratteristiche di abitabilità.
Ciò a cui ci si intende riferire è appunto il rispetto di un corretto rapporto aeroilluminante, ovvero il rapporto tra la superficie del pavimento e quella delle finestre, rispetto che si rende necessario affinché la mansarda possa essere idonea ad accogliere persone al suo interno.

Ora, considerando che il rispetto di tale rapporto discende da una normativa nazionale in materia (Decreto Ministeriale 5 luglio 1975, a cui hanno fatto seguito le diverse leggi regionali), non vi è alcun dubbio che, nel conflitto tra il soddisfacimento di un interesse pubblico e quello di interessi privati (quali sono quelli che si intendono soddisfare con le norme contenute nel regolamento condominiale), va data certamente preminenza agli interessi di natura pubblicistica, il che consente di procedere alla modifiche in discussione anche in spregio alle maggioranze che il regolamento di condominio richiede per l’esecuzione di modifiche sulle parti comuni dell’edificio.

Germano P. chiede
mercoledì 04/05/2016 - Lombardia
“Buongiorno,
Vivo in un condominio di 6 unità. La mia abitazione è una delle 2 villetta di testa, mentre gli altri 4 appartamenti sono situati tra le 2 villette, 2 al piano terra e 2 al piano primo.
Il condominio ha un amministratore ed è privo di un regolamento.
Ho ottenuto dal comune e dalla sovraintendenza il diritto chiudere la mia veranda privata con delle vetrate scorrevoli.
Ho comunicato all'amministratore precedente la mia intenzione, a mezzo di RR, senza ottenere risposta.
Premesso che sicuramente non pregiudico la stabilità dell'edificio ne pregiudico luci, vedute affacci di altri, il nuovo amministratore appena nominato pretende di valutare la situazione e decidere se autorizzare i lavori, ovvero chiedere all'assemblea tale autorizzazione.
Poiché ritengo di non violare il decoro architettonico e comunque non in modo apprezzabile o tale da diminuire il valore delle altre proprietà, intendo procedere con i lavori, avendo anche già ordinato le vetrate.
Salvo il diritto di chiunque di rivolgersi al giudice per apprezzare l'eventuale violazione del decoro, l'assemblea o l'amministratore possono votare al fine di impedirmi i lavori, ed eventualmente con quale maggioranza. Distinti saluti.”
Consulenza legale i 16/05/2016
Nel caso di specie viene in considerazione l’articolo 1122 del codice civile, secondo il quale: “Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.
In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea.”

Più in particolare, nella fattispecie concreta in esame, occorre stabilire se potrebbe verificarsi – attraverso la realizzazione di una veranda chiusa con vetrate scorrevoli – il rischio di un pregiudizio del cosiddetto decoro architettonico dell’edificio.

La giurisprudenza si è occupata in più occasioni della suddetta ipotesi: anche se, in effetti, non si trattava nello specifico di villette ma di stabili a più piani, si ritiene in ogni caso che i principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione sul punto trovino comunque applicazione allargata all’ipotesi di cui al quesito.

La più recente pronuncia sul punto (Cassazione civile, sez. II, 4 dicembre 2013, n. 27224) stabilisce: “In tema di condominio, negli edifici, costituisce alterazione del decoro architettonico dell'edificio, ossia lesione dell'estetica dello stabile, la trasformazione di un balcone, o di una terrazza, in una veranda praticata tramite l'installazione di vetri e di una struttura in alluminio. E' nozione comune, infatti, che una simile operazione alteri, ossia peggiori, la sagoma dello stabile sicché per considerarla legittima è necessario dimostrare la mancanza di alterazione del decoro dell'edificio.” Nella motivazione della sentenza, in particolare, i Giudici precisano: “Va qui osservato che il motivo in esame ripropone una questione già affrontata e delibata da questa Corte Suprema ed è quella di stabilire il senso da attribuire all'espressione "decoro architettonico" di un fabbricato e quali le caratteristiche che devono presentare le "innovazioni" di cui all’art. 1120 c.c., per essere ritenute lesive del decoro architettonico.
Come è stato già affermato da questa Corte Suprema (con sentenza n. 8731 del 1998) che qui si intende ribadire e riattualizzare, per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata, armonica, fisionomia.
L'alterazione di tale decoro può ben correlarsi alla realizzazione di opere che immutino l'originario aspetto anche, soltanto, di singoli elementi o punti del fabbricato tutte le volte che la immutazione sia suscettibile di riflettersi sull'insieme dell'aspetto dello stabile.

In altra pronuncia sullo stesso tema, la Corte di Cassazione ha chiarito: “Ai fini della tutela prevista dall'art. 1120, comma 2, c.c. in materia di divieto di innovazioni sulle parti comuni dell'edificio condominiale, non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato alterato dall'innovazione abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull'immobile, ma è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato sul punto l'impugnata sentenza che aveva ritenuto dimostrata la violazione del decoro architettonico in un caso in cui la trasformazione in veranda dell'unico balcone esistente al piano ammezzato aveva spezzato il ritmo proprio della facciata ottocentesca del fabbricato, che nei vari piani possedeva un preciso disegno di ripetizione dei balconi e di alternanza di pieni e vuoti, non potendosi trascurare, a tal fine, anche la rilevanza delle caratteristiche costruttive della veranda e il suo colore bianco brillante, contrastante con le superfici più opache dei circostanti edifici).” (Cassazione civile, sez. II, 19 giugno 2009, n. 14455).

Il profilo sul quale, in buona sostanza, la giurisprudenza ha espresso nel tempo un orientamento costante è quello relativo alla visibile alterazione della "particolare struttura" e della "complessiva armonia" idonee a conferire all'immobile una "propria specifica identità".

Dunque, per decoro architettonico deve intendersi quell'insieme di caratteristiche suscettibili di conferire all'edificio una specificità estetica riconoscibile, sia sotto il profilo strutturale che decorativo. E la tutela del decoro architettonico stesso deve essere considerata afferente a tutto ciò che nell'edificio risulti visibile ed apprezzabile dall'esterno, e ciò a prescindere dall'accertamento − giudicato irrilevante − del risultato estetico ottenuto con la modifica, la quale deve essere considerata non consentita anche se apparentemente "gradevole".

Ora, nel caso che ci occupa, occorrerebbe in effetti valutare se, in concreto, la realizzazione della veranda chiusa quale elemento architettonico nuovo vada ad alterare/modificare l’aspetto generale del complesso condominiale di villette, tanto da essere visibile all’esterno in maniera apprezzabile; in buona sostanza, si dovrebbe valutare se allo sguardo di un osservatore esterno del complesso di villette possa risaltare chiaramente all'occhio che c’è un elemento “diverso”, che “stona” rispetto all’insieme delle forme e delle linee.

Pertanto, alla luce di quanto sopra, è pienamente legittimo il dubbio dell’amministratore sulla fattibilità o meno dell’intervento edilizio. E' lecito, cioè, che voglia essere precisamente informato della cosa onde valutare se il tutto sia accettabile o meno.

Per quanto concerne, invece, la domanda se l’assemblea condominiale possa o meno deliberare un divieto di esecuzione dei lavori nella proprietà individuale, e con che maggioranza, va detto che con la riforma della disciplina del condominio nel 2012, la nuova formulazione del 1122 codice civile (il testo è quello sopra riportato) non ha aiutato molto ad individuare una risposta in questo senso.

La lettera del testo, tuttavia, secondo i commentatori, laddove all’ultimo paragrafo specifica che “In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea”, sembra negare la necessità di delibera assembleare sui lavori, anche in forza del principio per cui la volontà dei condomini non può incidere sul potere e sulla libertà di determinazione del singolo sulla proprietà individuale.

Pertanto, il controllo sulla legittimità dell’intervento potrà, dagli altri condomini e/o dall’amministratore, essere effettuato solamente a posteriori, ovvero quando il lavoro sarà completato e si potrà effettivamente valutare in maniera migliore se il decoro architettonico del complesso condominiale sia stato compromesso o meno.

L'obbligo di preventiva informazione, secondo talune opinioni, è stato previsto dal legislatore proprio per evitare liti future, offrendo la possibilità ai condomini, attraverso la mediazione dell'amministratore, di trovare una intesa previa. E certamente tale strada è consigliabile, sempre e comunque.

Domenico V. chiede
domenica 20/09/2015 - Abruzzo
“Sono proprietario di un garage in un condominio al quale si accede mediante un porta che si affaccia sulla strada pubblica. L'apertura della porta e di cm 192 che è insufficiente per rimettere la mia autovettura. Posso allargare questa apertura ad almeno 240 cm sostituendo l'attuale saracinesca con un simile a quelle immediatamente vicine? Premetto che ho già una perizia di un ingegnere che attesta che l'allargamento dell'apertura non comporterà problemi di stabilità all'edificio. Premetto inoltre che il regolamento condominiale ad un certo articolo riporta la seguente frase : "è vietata qualunque opera interessante le strutture portanti degli edifici senza l'autorizzazione dell'assemblea dei condomini". Ovviamente la porta oggetto di allargamento e sul muro portante dell'edificio ma il suo eventuale allargamento non comporterà effetti sulla staticità dello stesso come asseverato dal tecnico citato innanzi ma solo una modificazione del prospetto della facciata. Qualora potessi procederà all'allargamento quali sono i passi da effettuare? Il Comune al quale verrà inoltrata la Dia/scia che ritengo sia necessaria può subordinare il rilascio dell'autorizzazione al rilascio del parere favorevole dell'assemblea di condominio o può pretendere di averla in via preventiva? Qualora l'allargamento fosse possibile e ricevessi un'opposizione da parte dell'amministratore o di uno o più condomini al fine di bloccare i lavori di ampliamento cosa potrò opporre? Ringrazio in anticipo per la risposta che vorrete fornirmi.”
Consulenza legale i 22/09/2015
Per la soluzione del caso proposto si deve guardare innanzitutto all'art. 1122 del c.c. nella sua nuova formulazione.
Il legislatore ha stabilito che nelle unità immobiliari di proprietà esclusiva, ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino possa eseguire qualsiasi opera, salvo quelle:
- che rechino danno alle parti comuni;
- che determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.
In ogni caso si deve dare preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea. E' quindi esclusa la possibilità di iniziare i lavori senza comunicare agli altri condomini la propria intenzione ma, al tempo stesso, non è prevista alcuna necessità di approvazione da parte dell'assemblea. Il condomino deve adempiere al dovere di comunicazione dei lavori e poi potrà darvi esecuzione; solo successivamente gli altri condomini potranno eventualmente adire le vie legali ove ritengano che sia stato leso l'art. 1122 c.c.

Per quali ragioni gli altri condomini possono opporsi alle opere su parti private del condominio?
Solo per i motivi evidenziati nell'articolo sopra citato, che passiamo ora brevemente ad analizzare.
- L'assenza di danno alle parti comuni: è motivo evidente di impedimento delle opere; se infatti vi è il rischio di un danno ai beni condominiali, i condomini hanno diritto di agire in tutela.
- La seconda motivazione è una novità legislativa del 2012: per pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza, e si fa qui con ogni evidenza riferimento al rischio di danni di tipo strutturale o funzionale dell'edificio condominiale.
- Quanto al decoro architettonico dell'edificio, si tratta di un concetto puramente estetico, dato dall'insieme armonico delle linee architettoniche e delle strutture ornamentali dell'edificio condominiale, idonee a conferire al fabbricato una propria identità. La lesione del decoro architettonico condominiale va valutata caso per caso (e non è sempre facile valutarlo, perché è facilmente suscettibile di valutazioni personali).

Attenzione però: l'allargamento del basculante di un garage posto su muro portante condominiale implica un'opera che incide anche sulle parti comuni dell'edificio, risultando necessario modificare i muri comuni ove si trova l'autorimessa.
Si ha quindi un caso di intervento misto su bene privato e bene condominiale.
In base all'art. 1102 del c.c., il singolo comproprietario può svolgere in autonomia alcune opere, purché rispetti il pari uso degli altri condomini: "ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa". Quindi, a priori non è vietato al condomino di partire con i lavori sul proprio garage, anche se interessano parti comuni.
Resta, naturalmente, il problema del potenziale danno arrecabile alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.

Inoltre, nel caso di specie, si deve prendere in considerazione anche la clausola del regolamento che espressamente richiede l'autorizzazione dell'assemblea dei condomini. Tale clausola ha valore vincolante? La risposta è positiva solo se si tratta di regolamento contrattuale, cioè di un regolamento predisposto dal costruttore e fatto accettare nei successivi atti di acquisto degli appartamenti, oppure approvato all'unanimità da tutti i condomini, come un vero e proprio contratto.

Per tutte le ragioni sopra esposte, si conclude dicendo:
- se il regolamento è di tipo contrattuale, l'autorizzazione dei condomini appare necessaria;
- se il regolamento non è contrattuale, appare comunque consigliabile ottenere la previa autorizzazione dell'assemblea condominiale, al fine di evitare l'esperimento di successive azioni giudiziali da parte di condomini che reputino lesi la stabilità, la sicurezza o il decoro architettonico dell'edificio (concetto, come immaginabile, piuttosto vago e quindi difficile da definire a priori: la valutazione del carattere alterativo delle opere è rimessa all'apprezzamento del giudice adito, e, se adeguatamente motivato, diviene incensurabile anche in Cassazione).
Imprescindibile, in ogni caso, l'obbligo di comunicazione all'amministratore e all'assemblea in merito ai lavori che si intendono effettuare (v. citato art. 1122): alla riunione condominiale si potrà esporre la relazione del tecnico che garantisce la stabilità dell'edificio anche dopo l'effettuazione dei lavori. E' certamente consigliabile presentare ai condomini un progetto già piuttosto definitivo delle opere che si andranno ad eseguire.

Dal punto di vista amministrativo, infine, non si ravvisa una necessità da parte del Comune di avere una autorizzazione assembleare.
Lo hanno stabilito il T.A.R. Veneto, Sez. II, 4.4.2009, n.1198 e il T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 24.3.2009, n. 221: in tali pronunce si dice che il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, sicché l’interessato è tenuto a fornire al Comune prova del suo diritto, ma quest’ultimo non può e non deve svolgere sul punto verifiche eccedenti quelle richieste dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza, in relazione alle concrete circostanze di fatto, tanto più che, come lo stesso art. 11 specifica, il permesso di costruire non incide sulla proprietà o altri diritti reali e non comporta limitazione dei diritti dei terzi.
Non è quindi necessario allegare alla richiesta di permesso di costruire il consenso degli altri partecipanti alla comunione. Il singolo condomino, in virtù del combinato disposto degli artt. 1102 c.c. (facoltà del comunista di servirsi delle cose comuni), 1105 c.c. (concorso di tutti i condomini alla cosa comune) e 1122 c.c. (divieto al condomino di realizzare opere che danneggino le cose comuni), può ottenere a proprio nome la concessione edilizia per un'opera da realizzare sulle parti comuni di un edificio senza chiedere il consenso degli altri condomini, sempre che le opere siano strettamente pertinenziali all'unità immobiliare. Il condomino può apportare al muro perimetrale, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modificazioni che consentano di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini, ivi compreso l’inserimento nel muro di elementi ad esso estranei e posti al servizio esclusivo della sua porzione, purché non impedisca agli altri condomini l’uso del muro comune e non ne alteri la normale destinazione con interventi di eccessiva vastità.

Anna S. chiede
giovedì 25/06/2015 - Veneto
“Posseggo una mansarda con relativo posto auto in una rimessa comune e il condomino che possiede quello attiguo al mio da tre anni ha installato nel suo posto auto che sembra essere di proprietà, sulla linea di confine un mobile (circa mt. 1,50x0,30x2,00) che mi impedisce di fare manovra per uscire poiché è indispensabile, vista la particolare posizione del portone rimessa rispetto al già angusto mio posto auto, che il muso della mia autovettura invada per 15/20 cm. il suo. L'amministratore nel corso di questi anni ha sostenuto che deve rimuoverlo poiché quegli spazi sono destinati al rimessaggio delle auto e nulla vi si può depositare d'altro. A completamento del quadro devo dire che il suddetto condomino in un primo momento lo ha installato in materiale infiammabile ed in seguito, a fronte di intimazione dei vigili del fuoco ha sostituito le parti infiammabili con altre ignifughe. L'amministratore è sordo alle mie sollecitazioni che mirano a farlo rimuovere, perché vuole evitare problemi con quel condomino particolarmente litigioso.
Con quali argomenti (art. di legge) posso "costringere" L'amministratore a farlo rimuovere ?
In attesa, porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 30/06/2015
Ai sensi dell'art. 1130, primo comma n. 2, c.c., l'amministratore deve disciplinare l'uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini. La norma è rimasta immutata dopo la riforma del condominio del 2012, segno che si tratta di una disposizione che da sempre trova pacifica applicazione.
E', quindi, preciso dovere dell'amministratore quello di fare in modo che gli spazi comuni siano fruibili nel modo migliore da tutti i condomini che li utilizzano.
Ciò vale anche in questo caso, anche se il mobile "scomodo" si trova su una proprietà privata, in quanto, ai sensi dell'art. 1122 del c.c., il singolo condomino non può eseguire nell'unità immobiliare di sua proprietà opere che rechino danno alle parti comuni: anche in questi casi l'amministratore deve intervenire.

Se l'amministratore non ottempera ai suoi doveri, la sanzione principale prevista nei suoi confronti è quella di poter essere revocato dall'assemblea (art. 1129 del c.c.).
Tuttavia, nel caso di specie non si vuole arrivare a tanto, ma solo sollecitare l'amministratore ad agire, vista la sua inerzia.

Un argomento che potrebbe convincere l'amministratore è il seguente.
L'amministratore di condominio è considerato dalla giurisprudenza custode dei beni comuni. Con sentenza della Corte di Cassazione n. 25251/2008, ad esempio, si è stabilito che "A tale figura il codice civile e le leggi speciali imputano doveri ed obblighi finalizzati ad impedire che il modo di essere dei beni condominiali provochi danni a terzi. In relazione a tali beni l'amministratore, in quanto ha poteri e doveri di controllo e poteri di influire sul loro modo di essere, si trova nella posizione di custode [...]. Questi allora deve curare che i beni comuni non arrechino danni agli stessi condomini o a terzi, come del resto riconosciuto dalla giurisprudenza allorché ha considerato l'amministratore del condominio responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso dei suoi poteri e, in genere, di qualsiasi inadempimento dei suoi obblighi legali o regolamentari".

In altre parole, se dovesse capitare che a causa del mobile non spostato dal condomino "litigioso" si verifichi un danno ad un altro condomino - ad esempio un danno all'automobile - l'amministratore potrebbe essere chiamato direttamente in causa per pagare i danni.

Per convincere l'amministratore a prendere provvedimenti contro il condominio che ha collocato in posizione scomoda il suo mobile, si potrà quindi invocare questa sua responsabilità, nella speranza che tale argomentazione lo induca ad agire.
Va ricordato che prima di adire eventualmente l'autorità giudiziaria, è previsto il tentativo obbligatorio di mediazione. L'articolo 71-quater delle disposizioni di attuazione del codice civile stabilisce che per controversie in materia di condominio, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall'errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l'attuazione del codice.
La domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato.
Al procedimento è legittimato a partecipare l'amministratore, previa delibera assembleare.
La proposta di mediazione deve essere approvata dall'assemblea con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.

Marco chiede
giovedì 29/05/2014 - Lazio
“Mi trovo a Roma in un appartamento al piano terra in una villa di 5 appartamenti. Vorrei realizzare un pergolato in legno addossato ad una facciata della villa, chiuso nella parte superiore con tetto in coppi, ma aperto su 3 lati. Per fare questo pensavo di aprire una DIA/SCIA e usare il piano casa per ciò che attiene l'ulteriore 20% di pertinenze/locali accessori, anche perché la percentuale di piano casa per l'ampliamento vero e proprio è già stato destinato altrove. In tale contesto, ove non esiste ne un regolamento condominiale ne condominio "formale", ma c'è solo il vialetto comune di accesso, devo chiedere l'autorizzazione agli altri 4 per realizzare la struttura che si troverebbe totalmente all'interno della mia proprietà? e ove previsto, che distanza devo mantenere tra la Pergola e il vialetto comune adiacente al confine del mio giardino (non ci sono altre costruzioni nelle vicinanze è solo un problema di confini)?”
Consulenza legale i 29/05/2014
Supponendo che la costruzione del pergolato sia lecita e rispettosa di tutta la normativa, anche locale, in ordine alla necessità di autorizzazione da parte degli altri condomini si precisa quanto segue.

Il condomino, all'interno della sua proprietà, può eseguire tutti i lavori che desidera, ma con alcuni limiti.
L'art. 1122 del c.c., riformato dalla l. 220/2012, prevede che nell'unità immobiliare di sua proprietà, il condomino non possa eseguire quelle opere che rechino danno alle parti comuni, ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio. In ogni caso, dell'intenzione di avviare l'opera deve essere data preventiva notizia all'amministratore, che ne riferisce all'assemblea.
Nel caso di specie, poiché i condomini sono meno di 8, non è stato nominato un amministratore. Tuttavia, il condominio, che si caratterizza per la coesistenza, accanto alle proprietà individuali di singoli piani o parti dell'edificio, di una c.d. comunione forzosa, non suscettibile di scioglimento, su alcune parti comuni dell'edificio, da un punto di vista giuridico, esiste: pertanto, l'art. 1122 trova applicazione.

Rispetto ad un'opera come quella descritta nel quesito, il rischio più evidente è quello di un pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio.
E' bene notare che prima della riforma l'art. 1122 recitava semplicemente "il condominio [...] non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio": con l'entrata in vigore della novella legislativa, è stata data dignità normativa al concetto di decoro architettonico, che era già entrato nelle aule di giustizia attraverso la giurisprudenza di merito e di legittimità.

Il concetto di decoro è dato dall'insieme - che di regola dovrebbe essere armonico - delle linee architettoniche e delle strutture ornamentali dell'edificio condominiale. Il decoro architettonico "può ritenersi pregiudicato non da qualsiasi innovazione, ma soltanto da quella idonea ad interromperne la linea armonica delle strutture che conferiscono al fabbricato una propria identità (Cass. 14455/2009; Cass. 2755/2005)" (Cass. civ., 22 novembre 2011, n. 24645). Molto dipenderà, quindi, da come il pergolato si inserirà nello stile architettonico dell'edificio. Sul punto, si fa notare che la violazione o meno del decoro di cui all'art. 1122 costituisce un apprezzamento discrezionale demandato al giudice di merito, che potrà basarsi sulle risultanze di una consulenza tecnica.

Pertanto, si consiglia di ottenere dai condomini il consenso alla costruzione dell'opera, al fine di evitare future sospensioni dei lavori a causa di presunti pregiudizi di cui all'art. 1122, che non si possono escludere a priori.

Ciò premesso, supponendo che l'opera possa essere regolarmente avviata, la distanza tra il pergolato e il vialetto di accesso dovrà essere stabilita sulla base dei regolamenti comunali in materia di edilizia. Non trova applicazione la disciplina dell'art. 873 del c.c. sulle distanze tra edifici (fissata in 3 metri, derogabili dalla normativa locale), in quanto l'opera si andrebbe già a costruire in aderenza all'edificio condominiale esistente e il vialetto non costituisce in ogni caso una "costruzione" dalla quale mantenere una distanza legale. Su questo punto, quindi, si dovrà consultare il tecnico incaricato di redigere il progetto e il tecnico del Comune.

Mauro chiede
venerdì 05/08/2011 - Veneto
“Forare un pilastro di calcestruzzo portante che passa per il mio appartamento (foto da 1 cm di diametro) rientra nel divieto? Mi serve per ancorare un arredo pesante. Grazie”
Consulenza legale i 05/08/2011

L'entità dell'intervento è di una tale modestia che non rileviamo violazione sostanziali all'articolo in esame. Chiaro che se fosse una carotatura passante (da un lato all'altro del pilastro) le cose starebbero assai diversamente.


Andrea B. -. P. chiede
martedì 20/07/2021 - Veneto
“Può un condomino costruire una pensilina lunga 7 o 8 metri atta a coprire tutti le porte finestre dei suoi vani che permettono di uscire sulla terrazza di sua proprietà?
Nel caso la forza del vento divelti l'opera trascinandola e arrecando danno a terzi, le responsabilità ricadono sull'intero condominio che ha dato autorizzazione all'esecuzione dell'opera o a carico del solo proprietario?”
Consulenza legale i 26/07/2021
L’art. 1122 del c.c. dispone il divieto per il condomino di realizzare sulle parti dell’edificio in proprietà esclusiva o a lui attribuite in uso esclusivo opere che possano pregiudicare l’utilizzo delle parti comuni dell’edificio o pregiudicare la sua sicurezza, stabilità e decoro.

Ragionando, quindi, al contrario, se l’intervento descritto nel quesito rimane nei confini indicati dalla norma citata e non va a limitare l’utilizzo da parte degli altri proprietari dei beni e servizi condominiali e non crea pregiudizio alla costruzione nel suo complesso, esso, da un punto di vista del diritto condominiale, è sicuramente lecito.

E’ chiaro che la pensilina rimane un bene in proprietà esclusiva di chi la realizza e pertanto il suo proprietario ai sensi dell’art. 2051 del c.c. è responsabile di ogni danno da essa causata a cose e persone anche non necessariamente facenti parte del condominio. Ovviamente anche il costo di realizzazione dell’opera rimane ad esclusivo carico di chi la realizza: le gestione del condominio e gli altri proprietari non devono essere coinvolti in nessun caso.



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