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Articolo 908 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Scarico delle acque piovane

Dispositivo dell'art. 908 Codice Civile

Il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino sul suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino(1).

Se esistono pubblici colatoi, deve provvedere affinché le acque piovane vi siano immesse con gronde o canali. Si osservano in ogni caso i regolamenti locali e le leggi sulla polizia idraulica.

Note

(1) Il divieto imposto dalla norma può essere derogato dalle parti con la creazione di una servitù di stillicidio.

Ratio Legis

L'art. 908 è un esempio di divieto di immissioni di cui all'art. 844.

Spiegazione dell'art. 908 Codice Civile

Disposizioni del vecchio codice

Nel vecchio codice lo stillicidio era contemplato dalle norme riguardanti le modificazioni della proprietà e precisamente le servitù prediali stabilite dalla legge. Vero è che, nel diritto romano, fra le servitù urbane figurava quella consistente nel diritto di far scolare sul tetto o nel fondo del vicino le acque piovane che a goccia a goccia (stillicidium) o raccolte in canali, a cannella o a doccia, cadono dal tetto d'un edificio.

Questo diritto costituiva una vera e propria servitù a danno del vicino, perché in diritto romano ognuno era obbligato a ricevere le acque solo come naturalmente fluivano dal fondo superiore, mentre la costruzione di un edificio alterava il corso naturale delle acque riunendole sul tetto dell'edificio stesso, da cui la conseguenza che il proprietario del fondo inferiore non può essere obbligato a riceverle senza la costituzione apposita di una servitù.

Sennonché la disposizione del codice del 1865 (art. 591), secondo cui ogni proprietario doveva costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolassero sul suo terreno o sulla via pubblica in conformità ai particolari regolamenti e non poteva farle cadere sul fondo del vicino, poneva in essere, più che una servitù, la disciplina dell'esercizio del diritto di proprietà, e quindi bene ha fatto il nuovo codice a trattarne fra le norme relative alla proprietà fondiaria.

Ciò non impedisce che la vera e propria servitù di stillicidio possa acquistarsi per convenzione o per prescrizione.


Disposizioni del nuovo codice

Il nuovo codice, nel ripetere nel primo comma dell'articolo in esame la disposizione secondo cui il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino nel suo terreno e non cadano sul fondo del vicino, ha omesso ogni accenno allo scolo sulla via pubblica. Però il secondo comma rinvia, come faceva del resto anche il vecchio codice, alle norme particolari sia sull'edilizia sia sulla polizia idraulica, aggiungendo in più l'obbligo del proprietario, ove esistano pubblici colatoi, di provvedere in modo che le acque piovane vi siano immesse con gronde o canali.

Perciò quando esistano pubblici colatoi il proprietario non può far scolare le acque dei suoi tetti sulla via pubblica, e, quando non esistano, deve conformarsi ai regolamenti locali.


Quale pendenza può avere il tetto

L'obbligo del proprietario di costruire i tetti in maniera che le acque scolino sul suo terreno non va interpretato nel senso che il tetto debba avere la pendenza verso il fondo del proprietario stesso, essendo opinione dominante in dottrina e in giurisprudenza che basti evitare, con canali, docce e simili, lo stillicidio sul fondo del vicino. La grondaia del tetto non deve però sporgere sul fondo del vicino, perché ciò costituirebbe una servitù di sporto.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 908 Codice Civile

Cass. civ. n. 7576/2007

Poiché, ai sensi degli artt. 908 e 913 cod. civ., salvo diverse ed espresse previsioni convenzionali, il fondo inferiore non può essere assoggettato allo scolo delle acque di qualsiasi genere, diverse da quelle che defluiscono dal fondo superiore secondo l'assetto naturale dei luoghi, lo stillicidio sia delle acque piovane sia, a maggior ragione, di quelle provenienti dall'esercizio di attività umane (come, ad es., dallo scorinio di panni stesi mediante sporti sul fondo alieno) può essere legittimamente esercitato soltanto se trovi rispondenza specifica in un titolo costitutivo di servitù "ad hoc" o comunque - ove connesso alla realizzazione di un balcone aggettante sull'area di proprietà del vicino-sia stato esplicitamente previsto tra le facoltà del costituito diritto reale. Infatti, l'apertura di un balcone non può che integrare una servitù avente un duplice oggetto (la parziale occupazione dello spazio aereo sovrastante il fondo del vicino, in deroga alle facoltà dominicali di cui all'art. 840 comma secondo cod. civ., e il diritto di veduta e di affaccio in deroga alle distanze prescritte dall'art. 905 cod. civ.), ma non anche le diverse facoltà esercitate in deroga a uno dei principi informatori della proprietà fondiaria dei quali gli artt. 908 e 913 cod. civ.sono espressione. (Rigetta, App. Roma, 15 Maggio 2002).

Cass. civ. n. 6222/2005

Il proprietario della cosa (nel caso, cortile e pozzetti di raccolta delle acque piovane) gravata da servitù (nel caso, di stillicidio), rimasta nella sua disponibilità e custodia, risponde, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei danni arrecati a terzi, in quanto egli è tenuto ad eseguire le opere di manutenzione necessarie per evitare danni ai soggetti estranei (nel caso, infiltrazioni d'acqua in un "box" adiacente al cortile).

Cass. civ. n. 5298/1977

L'art. 908 c.c., imponendo ai proprietari degli edifici l'obbligo di costruire tetti in maniera tale che le acque pluviali scolino nei loro terreni e non nei fondi finitimi, esclude la configurabilità di un limite legale della proprietà analogo a quello previsto dal successivo art. 913, che disciplina il deflusso delle acque che scolano naturalmente. Pertanto la deroga alla disciplina contenuta nell'art. 908 c.c., realizzata a mezzo dello scolo di acqua piovana nel fondo del vicino conseguentemente alla costruzione di un tetto, non può trovare il suo fondamento nell'art. 913 c.c., bensì nella costituzione di una servitù di stillicidio, la quale, facendo venire meno il limite legale della proprietà imposto dall'art. 908 c.c., consenta tale scolo.

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Consulenze legali
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S. C. chiede
venerdì 14/10/2022 - Campania
“Buongiorno sono proprietario di una casa in fondo ad un viale dove c’è sempre stato un canale che ha permesso il passaggio di tutte le acque piovane del viale verso un terreno demaniale che adesso è diventato di mia proprietà. Il grandissimo problema non sono tanto le acque piovane che allagano il mio terreno ma il fatto che i vicini nel viale TIRANO L’ACQUA DAI LORO SCANTINATI CON POMPE ELETTRICHE E LE RIVERSANO CON TUBI NEL VIALE E ALCUNI DIRETTAMENTE NEL CANALE FUORI IL MIO CANCELLO. SONO AUTORIZZATI A SVERSARE QUESTA ACQUA NEL CANALE? È CONSENTITO TIRARE FUORI MECCANICAMENTE ACQUA SORGIVA E RIVERSARLA SUL SUOLO PUBBLICO? Potrei pretendere che smaltiscano stesso loro con autobotti la loro acqua e non la riversino nel viale e quindi nella mia proprietà? Grazie per l’attenzione e la consulenza”
Consulenza legale i 25/10/2022
Sulla base della ricostruzione dei fatti fornita nel quesito, si rileva che l'acqua immessa dai vicini nel canale (si presume pubblico) non proviene dalle abitazioni, e dunque non sembra soggetta alla disciplina degli scarichi di cui agli artt. art. 103 del codice ambiente - art. 105 del codice ambiente, che, ai sensi dell’art. art. 74 del codice ambiente, riguarda il trattamento delle acque reflue.
Non si tratta nemmeno di acqua meteorica, da cui deriva anche l'impossibilità di richiamare l'art. art. 113 del codice ambiente, ma piuttosto di acqua prelevata direttamente dal sottosuolo.
Pertanto, prima che il problema dello scarico, che verrà affrontato più oltre, si pone quello della estrazione di tali acque.
Infatti, l’acqua che si trova nel sottosuolo è una risorsa pubblica, che può essere prelevata dai privati solo in forza di apposita concessione, ai sensi dell’art. 2, R.D. n. 1775/1933, nonché delle specifiche disposizioni di cui agli artt. 92-106 dello stesso Regio Decreto, nonché del Regolamento regionale della Campania n. 12/2012.
In punto eventuali concessioni il quesito, però, purtroppo non è chiaro e dunque la migliore soluzione sarebbe quella di rivolgersi alla Provincia (che è l’ente competente in materia), al fine di esporre la situazione e chiedere che vengano attuate le opportune verifiche a carico dei soggetti coinvolti.

Sotto il profilo civilistico e dei rapporti con il vicino, la fattispecie giuridica meglio riconducibile alla situazione fattuale che qui viene descritta è quella disciplinata dall’art. 1043 c.c., rubricata “Scarico coattivo”.
Si tratta di una norma che prevede una servitù di natura specularmente opposta a quella di acquedotto coattivo, in quanto l’esigenza che si intende soddisfare non è quella di portare acqua nel fondo dominante, bensì quella di liberare il fondo dominante dall’acqua sovrabbondante.
A differenza della fattispecie disciplinata dall’art. art. 913 del c.c., che prevede l’ipotesi dello scolo naturale delle acque, nel caso dell’art. 1043 c.c. si tratta di uno scolo artificiale: l’interessato, che per evitare un danno al proprio fondo, deve scaricare le acque sovrabbondanti presenti sul suo fondo e che non ha altro modo per raggiungere il luogo di scarico se non attraversando fondi altrui, ha diritto di costituire su tali fondi una servitù di scolo di acque sovrabbondanti.
Si tratta di una servitù definita di natura strumentale, in quanto non è volta tanto a procurare un’utilità al fondo dominante, quanto piuttosto a soddisfare il bisogno di scaricare l’acqua sovrabbondante.

Sia in dottrina che in giurisprudenza ( Cass. civ. Sez. II n. 9226 de 29.08.1991) è stato precisato, argomentando dalla ratio di tale norma, che la stessa non può in alcun modo legittimare il titolare del diritto in essa previsto di scaricare impunemente le acque, luride o meno, del proprio fondo in quello del vicino, essendone solo consentito il passaggio verso un luogo ove il proprietario del fondo dominante abbia il diritto di scaricarle, luogo che, si precisa, non può che essere il pubblico impianto fognario.

A ciò si aggiunga, sempre in conformità a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che per poter esercitare il diritto previsto dall’art. 1043 c.c. occorre che il proprietario del fondo dominante non abbia altre alternative (ravvisabili anche nella costituzione di una servitù volontaria per liberarsi delle acque) e che nella creazione del passaggio vengano adottate tutte le precauzione atte ad evitare qualsiasi pregiudizio.

Da quanto fin qui detto, dunque, se ne deve dedurre l’assoluta illegittimità del comportamento posto in essere dal vicino, consistente nel far scaricare in un fondo non di sua proprietà le acque sovrabbondanti del proprio fondo.
Lo stesso potrebbe al limite far valere il diritto che gli riconosce l’art. art. 1043 del c.c., consistente nell’attraversare il fondo altrui per condurre le acque di cui ha necessità di liberarsi verso la fognatura pubblica, ma soltanto in forza di un preventivo accordo con il proprietario del fondo che verrebbe gravato da tale servitù (risultante da contratto), ovvero, in assenza di accordo, in forza di una sentenza, facendo dunque ricorso all’autorità giudiziaria.
In ogni caso, il proprietario del fondo gravato da servitù ha diritto di pretendere la corresponsione di un’indennità.

P. B. chiede
lunedì 13/06/2022 - Emilia-Romagna
“Antefatto.
Nel 2017 ho acquistato in asta giudiziario un fabbricato su lotto di 426 mq. Sul retro vi è un cortile ( che funge anche da passaggio e ingresso posteriore di mt. 20 x 4,80) delimitato da fabbricato cat. C/2 alto mt. 5 circa coperto a lastrico solare.
Il muro di questo magazzino è coperto con tegole spioventi sul mio cortile e le acque meteoriche del lastrico solare sono convogliate sul mio cortile.
Prima dell'asta giudiziaria i fabbricati, censiti su particelle distinte, erano di un unico
proprietario.
Non abbiamo fatto riconfinamenti per verificare se effettivamente il muro del fabbricato c/2 insiste solo sulla particella non di mia proprietà o è di confine.
Dalle mappe catastali del 1989
(Atto notarile di divisione tra fratelli che portò i 2 fabbricati in capo ad uno d il loro) in quanto ancora redatte a mano, non si hanno certezze. ( Di fatto misurando la superficie del lotto, dichiarata in atti di 426 mq. , Risulterebbe inferiore a 400 mq. Ma in ballo c'è anche una imprecisione sul lato est che confina con particella comprendente siepe e strada di proprietà di indivisa tra Comune e privato che si è aggiudicato all'asta il c/2.
( Per inciso, vatti a fidare delle perizie dei tecnici per le aste fallimentari).
Richiesta:
Quali diritto posso accampare sul muro di confine (?).
Posso reclamare che le acque meteoriche non vengano più convogliate sulla mia proprietà o debbo subire una servitù.
Altra informazione, ho provato a far fare misurazioni di riconfinamenti sul lato est e 2 studi diversi danno misure diverse !!!!? Allora ???
Provvederò a fare il pagamento e invierò a richiesta documentazione catastale e fotografica.
Grazie.”
Consulenza legale i 23/06/2022
Regola generale applicabile in tutti i casi di vendita forzata è quella dettata dall’art. 2922 del c.c., secondo cui in tale tipologia di vendita non può essere invocata la garanzia per vizi della cosa venduta (tale deve intendersi la presenza di una servitù di scolo acque piovane dal fondo del vicino).
La ratio di tale norma può individuarsi nel fatto che nella vendita forzata il potenziale acquirente gode di un importante vantaggio di carattere informativo, in quanto ha la possibilità di consultare con congruo anticipo la perizia di stima elaborata dal professionista nominato dal Giudice dell’esecuzione.
Tale perizia, allegata all’avviso di vendita, consente a qualunque interessato di avere un quadro aggiornato dello stato dell’immobile, della provenienza, dei vincoli trascritti su di esso, oltre che della sua regolarità edilizia ed urbanistica.
Già sotto questo profilo, dunque, si ritiene che non possa aversi alcuna possibilità di contestare la situazione dello scolo delle acque piovane dal fondo del vicino sul cortile di pertinenza dell’immobile acquistato all’asta.

Quanto sopra asserito, peraltro, trova conferma nella giurisprudenza di legittimità (in particolare si veda Cass. sent. n. 21840/2016), nella quale si legge che la mancanza per l’aggiudicatario della ordinaria garanzia per i vizi della cosa, inapplicabile alla vendita forzata ai sensi dell’art. 2922 c.c., trova un limite soltanto nelle ipotesi più gravi di c.d. aliud pro alio, dovendosi pacificamente ammettere tale forma di garanzia anche nel caso di vendita forzata.
Tuttavia, perché possa configurarsi una tale ipotesi si richiede che la cosa consegnata sia completamente difforme da quella oggetto di vendita (appartenendo ad un genere del tutto diverso), ovvero che sia assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente, che abbia difetti che la rendano inservibile, ovvero, infine, che risulti compromessa la destinazione del bene all’uso che abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto (così Cass. sent. n. 2858/2014).
Nulla di tutto ciò sembra ricorrere nel caso di specie.

Peraltro, stando a ciò che viene riferito nel quesito, nel caso di specie neppure può invocarsi il disposto di cui all’art. 908 c.c. per costringere il proprietario del fabbricato confinante a modificare l’inclinazione del tetto del suo fabbricato per far sì che le acque piovane scolino sul suo terreno.
Una richiesta di tale tipo, infatti, si scontrerebbe con la situazione di fatto esistente, la quale trae origine dalla primitiva appartenenza dei due attuali fabbricati ad un unico proprietario e dalla loro successiva divisione, lasciando inalterato lo stato delle cose.
Tale situazione non ha fatto altro che determinare la costituzione di una servitù di scolo delle acque piovane per c.d. destinazione del padre di famiglia, la quale trova espresso riconoscimento all’art. 1061 del c.c., per il venire ad esistenza della quale occorre la sussistenza dei seguenti presupposti, tutti ricorrenti nel caso di specie:
a) che si tratti di una servitù apparente (non può negarsi l’apparenza dell’inclinazione del tetto verso il proprio fondo);
b) che in sede di divisione dei due immobili (quello servente e quello dominante) siano state lasciate “le cose nello stato dal quale risulta la servitù”.

Per quanto concerne, invece, il problema del fabbricato la cui parete risulta realizzata a confine con il cortile di pertinenza del proprio immobile, va innanzitutto chiarito che tale parete non può essere assimilata ad un muro di confine, trattandosi pur sempre di parete.
Dispone espressamente l’[[878cc] che può qualificarsi come muro di cinta qualunque muro isolato che non abbia un’altezza superiore a tre metri, ipotesi ben diversa da quella che qui viene in esame.

Nel caso di specie, infatti, norma applicabile risulta essere l’art. 873 del c.c., rubricato “Distanze nelle costruzioni”, dalla lettura del quale si evince che, salvo diversa disposizione contenuta nei regolamenti locali, la preesistenza sul confine (o comunque ad una distanza inferiore a metri 1,5) della costruzione del vicino dà diritto a costruire in aderenza a tale costruzione (art. 877 del c.c.) oppure ad utilizzare il muro di fabbrica esistente, pagando metà del suo valore.
Il proprietario della costruzione, da parte sua, può decidere di demolire quella parete in modo da ripristinare la distanza minima di mt. 1,5 (così art. 875 comma 2 c.c.).

Altra facoltà di cui ci si può avvalere è quella prevista dall’art. 876 del c.c., ossia di utilizzare il muro di fabbrica esistente del vicino per innestarvi un capo del proprio muro, pagando un’indennità per l’innesto.
La norma si riferisce solo all’ipotesi in cui il nuovo muro che si andrebbe a realizzare vada ad inserirsi al precedente, in modo da divenire un’unica struttura portante con esso; nell’ipotesi in cui, invece, la testa del nuovo muro venga semplicemente appoggiata al muro preesistente, senza un collegamento strutturale, non è dovuta alcuna indennità.
La giurisprudenza qualifica tale norma come eccezionale, con la conseguenza che non può essere invocata per l’innesto di travi, consentito solo sul muro comune ex art. 884 del c.c..

Umberto chiede
domenica 06/12/2020 - Piemonte
“Ho acquistato da poco un attico su due piani e ho scoperto la presenza sotto le canaline per la raccolta delle acque piovane, di un buco non visibile, che non serve solo per il mio terrazzo ma anche per quello dei vicini.
dato che a questo punto dovrò controllare che non si ostruisca per evitare allagamenti, già avvenuti tra l'altro, (dato che i terrazzi sono in muratura e gli sfoghi inutili in quanto più alti del pavimento quindi l'acqua entra in casa) devo sperare che i vicini non gettino materiale (esempio lavori di muratura o altro) nelle loro canaline.
Di tutto ciò non ne ero a conoscenza.
come mi devo regolare?
e' una servitù?”
Consulenza legale i 11/12/2020
Basandoci sulla sommaria descrizione dei luoghi che ci è stata fornita, riteniamo si possa parlare di servitù di stillicidio (art. 908 c.c.). La Cassazione con sentenza n. 7576/2007 aveva sottolineato che: “lo stillicidio sia delle acque piovane sia, a maggior ragione, di quelle provenienti dall'esercizio di attività umane (come, ad es., dallo sciorinio di panni stesi mediante sporti sul fondo alieno) può essere legittimamente esercitato soltanto se trovi rispondenza specifica in un titolo costitutivo di servitù "ad hoc" o comunque - ove connesso alla realizzazione di un balcone aggettante sull'area di proprietà del vicino - sia stato esplicitamente previsto tra le facoltà del costituito diritto reale.”.

La circostanza che Lei non ne fosse a conoscenza (cioè che non ci sia menzione nel contratto di compravendita) ci fa dedurre che la servitù si sia creata “di fatto” e non tramite un atto costitutivo formale.
Quindi, probabilmente, era sorta o per destinazione del padre di famiglia (il costruttore del condominio) o comunque per usucapione.
Come aveva osservato la Corte di Cassazione con la sentenza n.5759/2007 per usucapire una servitù “si richiede la presenza di segni visibili, cioè di opere di natura permanente, obiettivamente destinate all'esercizio della servitù medesima, che rivelino, per la loro struttura e funzione, in maniera inequivoca, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente”( il requisito della cd. apparenza).
Sul punto, la Corte con la sentenza n.16961 del 2009 aveva altresì evidenziato che: “quanto al requisito dell'apparenza della servitù richiesto ai fini dell'acquisto di essa per usucapione o per destinazione del padre di famiglia , si è chiarito che esso si configura come presenza di segni visibili di opere di natura permanente, obiettivamente destinate al suo esercizio e che rivelino in maniera non equivoca l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, dovendo le opere naturali o artificiali rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria e senza l'animus utendi iure servitutis, ma di un onere preciso a carattere stabile, corrispondente in via di fatto al contenuto di una determinata servitù".

Ciò posto, in astratto potrebbe essere sussistente una responsabilità del venditore dell’immobile ai sensi dell'art. 1489 c.c. in quanto Le ha taciuto la presenza di una servitù (a prescindere dal titolo costitutivo della medesima) di cui Lei non era in grado di conoscerne l’esistenza.
Occorre però tenere presente che tale responsabilità non è così pacifica in quanto come ha osservato la Suprema Corte con la sentenza n. 8500/2013 tale garanzia, a differenza dell'evizione (che è dovuta anche in caso di conoscenza da parte del compratore della causa di evizione), non opera quando le limitazioni erano effettivamente conosciute dal compratore ovvero apparenti. I presupposti per l'applicazione della garanzia in questione consistono, per un primo aspetto, nell'accertamento del diritto o dell'onere vantato dal terzo con sentenza ovvero nel riconoscimento di tale diritto od onere da parte del venditore e, per un secondo aspetto, nella ignoranza dell'acquirente al momento della conclusione del contratto del peso gravante sulla cosa, ovvero nella non conoscibilità di tale peso determinata dalla mancanza di opere visibili e permanenti idonee a costituire una situazione di apparenza, come quelle riferentisi all'esercizio di un diritto di servitù.”
Nella presente vicenda, si tratta in effetti di una servitù apparente (trattandosi di servitù di stillicidio ed esistendo un'opera materiale che consente di esercitare lo scarico di acque) sebbene il buco-scolatoio, come Lei ci riferisce, non è visibile.
Quindi una eventuale azione legale ai sensi dell’art. 1489 c.c. (anche solo per chiedere la riduzione del prezzo) appare possibile ma di esito incerto.

Ferma la predetta eventuale azione legale nei confronti del venditore, Lei sarà comunque tenuto a provvedere alla manutenzione ordinaria di tali scolatoi (Cfr. sentenza Cass.n. 6222 del 2005).
Per quanto attiene la ripartizione delle spese per eventuali opere necessarie, come ha osservato la Suprema Corte (anche a mente dell’art. 1069 c.c.): “allorché il proprietario del fondo servente abbia eseguito su quest’ultimo, sia pure nel proprio interesse, opere necessarie alla conservazione della servitù, le relative spese devono essere sostenute sia dal proprietario del fondo dominante che da quello del fondo servente in proporzione dei rispettivi vantaggi” (Cass. n.6653/2017).
In merito a tale aspetto, riteniamo che sarebbe quindi opportuno chiedere all’amministratore di condominio se vi siano state in passato delibere per eventuali manutenzioni straordinarie di questi “scolatoi” e come sono state ripartite le spese.

Paolo C. chiede
giovedì 10/09/2020 - Lombardia
“Nel terreno confinante col mio giardino è stato costruito un condominio. Ci divide un muro in prefabbricato vecchio di oltre 50 anni. I giardini degli appartamenti al piano terra (non so se in proprietà esclusiva o no) sono stati ora modellati a un'altezza maggiore rispetto al mio giardino, degradanti verso di me. Ogni volta che piove l'acqua allaga il mio giardino, e temo anche che col tempo la stabilità del muro possa risentirne. Un lampioncino del mio giardino già non funziona più. Non so se l'acqua passi da un foro nel muro o sottopassi il muro. In passato mai si è verificata una cosa del genere, perché i due terreni erano allo stesso livello. Ho contattato bonariamente il costruttore dell'edificio e l'amministratore del condominio, ma sono sfuggenti. Cosa posso fare? Mi basterebbe che ponessero in essere gli accorgimenti per scaricare la loro acqua in fognatura.”
Consulenza legale i 15/09/2020
L’art. 908 del c.c. disciplina specificatamente lo scarico delle acque piovane tra due fondi confinanti. Il primo comma, pacificamente applicabile al caso descritto, ci dice in primo luogo che il proprietario del fondo deve fare in modo che le acque scolino nel suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino. Il 2° comma specifica inoltre che se esistono pubblici colatoi (le fogne per intenderci), il proprietario deve provvedere affinché le acque piovane vi siano immesse con gronde o canali.
E’ evidente come nel caso descritto tale norma venga palesemente ignorata dal condominio confinante e dai suoi proprietari, ma è molto probabile che il primo soggetto che ha violato l’art. 908 del c.c. sia stato il costruttore nel momento in cui ha edificato l’edificio.
Posto questo, la cosa migliore da fare è inviare all’amministratore del condominio una diffida scritta con la quale richiedere la sistemazione del fondo in modo tale che lo scolo delle acque rimanga all’interno della proprietà condominiale, minacciando anche una azione di risarcimento del danno nel caso non si ottemperi entro un congruo periodo di tempo. Se i giardini dal quale provengono le acque anziché essere condominiali sono di proprietà esclusiva di alcuni condomini, si è sicuri che l’amministratore di condominio avrà cura di riscontrare la missiva indicando le generalità dei proprietari a cui direttamente rivolgere le opportune lamentele.
Se attraverso l’invio della diffida non si riuscisse ad ottenere nulla, il secondo passo sarebbe quello di attivare una procedura di mediazione ai sensi del D.Lgs. n.28 del 2010 nel cui ambito tentare di trovare un accordo bonario della vicenda con l’ausilio della figura del mediatore. Tra l’altro, per il caso descritto, il ricorso all’istituto della mediazione è obbligatorio se anche si volesse ricorrere alla autorità giudiziaria. Nel caso in cui anche con la mediazione non si dovesse raggiungere un accordo soddisfacente, l’ultimo passo sarebbe quello di citare in giudizio il condominioo i proprietari dei giardini, al fine di ottenere un provvedimento per mezzo del quale obbligare il condominio o i proprietari a porre in essere i lavori necessari affinché le acque scolino correttamente nella rete fognaria. In giudizio si potrà richiedere, inoltre, il risarcimento del danno patito se esistente.
Ovviamente tutto questo percorso non deve essere affrontato da soli ma è opportuno rivolgersi fin dalla redazione della diffida ad un legale; se la vicenda andrà avanti, sarà opportuno affiancare ad un legale un tecnico edile che realizzi una perizia sullo stato dei luoghi e sul dislivello dei due terreni. Tale documento sarà utile sia in mediazione che nel successivo ipotetico giudizio.
L’art. 908 del c.c. pone l’obbligo di realizzare un corretto scolo delle acque direttamente in capo al proprietario del fondo: per tale motivo non si ritiene che l’autore del quesito debba coinvolgere direttamente nella vicenda il costruttore: egli, infatti, ha già venduto a terzi, per quanto ci è dato capire, tutte le unità immobiliari. Se vi sono delle responsabilità nella costruzione dell’edificio sarà poi compito del condominio o dei suoi proprietari coinvolgere nella vertenza l’impresa che lo ha realizzato.

Marco C. chiede
martedì 29/05/2018 - Lombardia
“Buongiorno. Il mio vicino ha cintato la sua proprietà con un muro a lastre ed interamente sul suo fondo.
Successivamente ha coperto dette lastre con un piovente di lamiera a confine ma con la pendenza verso il mio fondo.
Ora, in caso di pioggia, l’acqua che cade sul piovente di metallo, entra nel mio fondo causando muffa sul mio muro anch’esso costruito a confine ma su mio fondo.
come devo comportarmi? Premetto che i due muri sono di proprietà distinte e ciascuno costruito a confine ma ognuno sulla propria proprietà.
Il mio muro essendo più alto, raccoglie tutta l’acqua che arriva dal piovente di lamiera verso il mio muro provocandone marciume e muffe.
Cosa posso fare?
Grazie per un vs contributo”
Consulenza legale i 01/06/2018
Ai sensi dell’art. 908 c.c., intitolato “scarico delle acque piovane”, il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino nel suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino.
Quando si parla di stillicidio, non si fa altro, difatti, che vietare lo scolo delle acque.
L’art. 908 c.c., dunque, impedendo al proprietario di costruire i tetti in modo tale che le acque piovane scolino nel suo terreno senza invadere il fondo del vicino, prevede il divieto di stillicidio delle acque piovane dal tetto sulla altrui proprietà.
La norma mira quindi ad evitare che le acque piovane provenienti dal tetto o dalla copertura di un edificio, possano cadere o immettersi nel fondo di un vicino.
Anche se il citato articolo fa riferimento solo ai tetti, la Giurisprudenza ha chiarito che vi sono ricomprese tutte le costruzioni e ogni tipo di copertura che sia in grado di raccogliere, per scaricare altrove, le acque piovane ( cfr. Trib. Messina 1/12/2006); quindi anche in presenza di lastre con spiovente come nel caso di specie.

Alla luce di quanto detto, riteniamo che il comportamento del vicino sia sicuramente antigiuridico, potendo lo stillicidio essere legittimamente esercitato solo trovando rispondenza in un titolo costitutivo di servitù ad hoc; servitù che, invece, non si configura nel caso in esame.
Il vicino ha realizzato un manufatto che ha modificato lo scolo delle acque e, pertanto, Lei potrà agire giudizialmente per tutelare i propri diritti.

In particolare si potrà agire per la negazione del diritto ed il conseguente ripristino dello status quo ante attraverso l’azione di denuncia di danno temuto ai sensi dell’art. 1172 c.c., la quale tende proprio a rimuovere un pericolo. Sarà il giudice a stabilire la misura più idonea ad evitare la situazione di danno. Oppure potrà proporsi azione di manutenzione ai sensi dell’art. 1170 c.c. se non è ancora trascorso un anno dalla turbativa, oltre alla richiesta di risarcimento dei danni.

Carlo C. chiede
venerdì 28/08/2015 - Lombardia
“Sono proprietario di un appartamento in un condominio orizzontale in area collinare.
Una sentenza del 2004, per una causa intentata da un condomino contro l'Amministratore, ha stabilito che ogni unità immobiliare è definita cielo terra, per cui non si può più parlare di condominio orizzontale ma di una sorta di villette a schiera dove ognuno è proprietario della propria copertura (piana).
La mia unità immobiliare si trova tra un'unità immobiliare monopiano e 2 unità immobiliari sovrapposte.
Il tetto di queste ultime scarica per la metà ( circa 35/40 mq. ) su una piccola porzione del mio tetto ( circa 5 / 6 mq. ).
In seguito alle piogge degli ultimi tempi ho avuto forti infiltrazioni che mi hanno costretto al rifacimento urgente del condotto verticale del pluviale che passa incassato a confine con i 2 condomini sovrapposti. Non potendo recuperare il condotto esistente,vista l'urgenza e per evitare un intervento invasivo all'interno delle unità immobiliari, ho preferito far spostare il pluviale incassato nella parete esterna del mio appartamento.
Ora i condomini che scaricano le loro acque meteoriche sul mio tetto non vogliono partecipare
in modo paritario alla ripartizione della spesa ma mi propongono un risibile 15% di rimborso complessivo adducendo la scusa di non essere stati informati del fatto ( cosa non vera come
dimostrato dalle mail inviate sia a loro stessi che all'Amministratore ).
Posso in virtù della sentenza che dichiara le unità immobiliari proprietà terra cielo obbligare i Condomini reticenti di spostare dal mio tetto lo scarico del loro tetto, come da me fatto,
incassandolo sulla propria facciata, nel caso non ottemperassero in modo equo alla ripartizione delle spese ?”
Consulenza legale i 02/09/2015
Nel caso in esame si ritiene che la soluzione del quesito vada riscontrata nella disciplina dello scolo di acque piovane e in materia di servitù.

Secondo la regola generale posta dall'art. 908 del c.c., ciascun proprietario deve costruire il tetto in modo che le acque piovane scolino sul suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino. Lo scarico delle acque meteoriche sul fondo del vicino è ammesso solo qualora sia fondato su una servitù di stillicidio.

Tale servitù può sorgere:
1. volontariamente, per concessione del proprietario del fondo vicino;
2. per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (artt. 1061 e 1062 c.c.): nel primo caso sarà il proprietario del fondo dominante a dover provare l'esercizio ventennale della servitù; nel secondo caso, la nascita della servitù consegue al semplice fatto dell'esistenza di un'opera da cui si evince l'esistenza della servitù sui due fondi, posseduti inizialmente dallo stesso proprietario e successivamente separati (e quindi in seguito posseduti da due soggetti diversi).

La prima circostanza da verificare, quindi, attiene all'esistenza di una servitù di stillicidio che è possibile sia stata concessa in fase di costruzione del complesso edilizio o di prima vendita della villetta a schiera, ma che deve essere riportata in tutti i successivi atti di trasferimento dell'immobile, altrimenti non è opponibile al nuovo proprietario.
Se non esiste un titolo di tipo convenzionale, si indagheranno le altre due ipotesi.

Il caso di specie vede l'esistenza di un pluviale che scarica le acque su una porzione del tetto del proprietario della villetta confinante.
Sia l'usucapione che la destinazione del padre di famiglia potrebbero essersi astrattamente verificate nel caso di specie, poiché la servitù di cui si tratta avrebbe natura "apparente", esistendo un'opera materiale che consente di esercitare lo scarico di acque (il pluviale).

Per verificare se la servitù è stata usucapita, è sufficiente sapere da quanto tempo il pluviale scarica con regolarità e costanza l'acqua da un tetto all'altro, senza che vi sia stata interruzione dello scarico per intervento del proprietario del fondo "servente": se sono trascorsi oltre vent'anni, l'usucapione potrebbe essersi perfezionata.

Quanto alla costituzione per destinazione del padre di famiglia, essa potrebbe essere avvenuta se il complesso edilizio era inizialmente di un unico proprietario (es. il costruttore) e poi è stato diviso tra diversi soggetti: ovviamente, il pluviale tra i due edifici deve in questo caso risultare esistente già prima della divisione.

Due sono quindi i possibili casi:
a. non c'è alcuna servitù: in tal caso, il vicino ha diritto a chiedere che lo scolo delle acque piovane sul suo fondo e provenienti da altro fondo cessi;
b. c'è una servitù di stillicidio. In questa ipotesi, la ripartizione delle spese inerenti alle opere necessarie per la servitù segue i criteri posti dall'art. 1069 del c.c.. La legge dice che il proprietario del fondo dominante (chi usufruisce dello scolo) deve fare le opere a sue spese, salvo che sia diversamente stabilito dal titolo o dalla legge: se, però, le opere giovano anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi.
Nel nostro caso, le opere sono state eseguite urgentemente dal proprietario del fondo servente (che si presume abbia tempestivamente avvisato la controparte), al quale le stesse comunque giovano: quindi la ripartizione delle spese andrà fatta in proporzione ai "rispettivi vantaggi" goduti da ciascuna delle parti. Certamente si tratta di un criterio piuttosto vago, per cui in primo luogo saranno le parti a dover trovare un accordo. Se l'accordo non è raggiunto (ma sarebbe certamente la via maestra, perché più veloce e meno onerosa), si potrà chiedere al giudice di operare la ripartizione; farà lui secondo quanto ritenuto più opportuno, eventualmente avvalendosi della consulenza di un perito tecnico di settore.

Infine, quanto al fatto di poter opporre agli altri condomini la sentenza che dichiara la natura di immobile "cielo terra" - che si ha quando un'unica unità immobiliare occupa tutto lo spazio edificabile - la risposta è positiva qualora parte del processo sia stata il condominio, cioè l'ente formato da tutti i proprietari delle parti comuni.
Difatti, sia che i proprietari delle due unità sovrapposte siano gli stessi dal 2004, sia che essi siano successivamente mutati, trova applicazione l'art. 2909 del c.c., il quale sancisce che la sentenza [def ref=3897]passata in giudicato[/def] (o meglio, l'accertamento in esso contenuto) fa stato tra le parti e gli aventi causa (e i successivi acquirenti di un immobile sono "aventi causa"), vale a dire è loro opponibile. In altre parole, non occorre iniziare un nuovo processo che miri ad accertare il medesimo fatto, sempre che la natura del tipo di condominio fosse l'oggetto della prima causa o comunque di una statuizione idonea a passare in giudicato (art. 34 del c.p.c.). Per dare una risposta certa, si dovrebbe però analizzare il provvedimento specifico (sentenza).

Francesco chiede
venerdì 12/07/2013 - Toscana
“Sono proprietario di un immobile con giardino dal 1997, sul lato nord insisteva un fosso campestre che consentiva il passaggio di acque piovane da una proprietà con immobile,di fronte alla mia, tramite un tubo che corre sotto una strada privata che divide le due proprietà. Non si ha certezza, ma pare che il tubo ed il fossetto fosse stato realizzato dalla ditta che aveva lottizzata la zona con licenza edilizia dell'estate 1993 (luglio o Agosto), ma no è riportato né sui fogli del catasto né nei contratti.Da alcuni anni nella proprietà di fronte confluiscono altre acque provenienti da altri lotti edificati per poi convogliare tutte nella mia proprietà che poi scarica in un fosso demaniale, dove io ho regolare concessione. Recentemente ho costruito un immobile compreso l'intubazione del fossetto su questa parte del giardino (tutto con regolare licenza), ma le acque sono aumentate di portata e volume e mi creano dei problemi di scorrimento anche perché la fossa demaniale non è molto grande e viene pulita quasi mai. Le chiedo : quali sono le regole in materia, se sono nati diritti di servitù( ho inviato una RR ricevuta il 27/6 per bloccare i termini), se posso pretendere un regolamento per sapere da dove vengono tutte queste acque e chiedere una contribuzione per le spese inerenti (concessione, manutenzione e pulizia).Ovviamente credo che possa richiedere tutto questo solo al dirimpettaio, oppure anche agli altri?
Grazie aspetto la vostra cortese risposta.”
Consulenza legale i 24/07/2013
Il quesito è particolarmente complesso ed è possibile fornire solo un quadro generale degli istituti che possono rilevare nel caso di specie.
Quanto alla possibilità che siano nati diritti di servitù, va innanzitutto precisato che, esistendo un'opera materiale che consente di esercitare lo scarico di acque, l'ipotetica servitù avrebbe natura "apparente": essa, quindi, potrebbe essere nata per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (artt. 1061 e 1062 c.c.). Nel primo caso, sarà il proprietario del fondo dominante a dover provare l'esercizio ventennale della servitù: nel secondo caso, la nascita della servitù consegue al semplice fatto dell'esistenza del tubo che collega due fondi posseduti inizialmente dallo stesso proprietario e successivamente separati (e quindi ora posseduti da due soggetti diversi).
Andranno, quindi, esaminati i diversi presupposti delle citate modalità di costituzione della servitù.
Nel caso descritto potrebbe configurarsi in astratto anche una servitù di scarico coattivo (che può quindi essere coattivamente costituita anche con sentenza del giudice, su richiesta del proprietario del fondo dominante). L'art. 1043 del c.c., che disciplina tale servitù, ha ad oggetto lo scolo artificiale delle acque che il vicino non consenta di ricevere (differenziandosi dall'art. 913 del c.c. che prevede invece l'ipotesi dello scolo naturale). La servitù di scarico coattivo richiede però un ulteriore presupposto: il proprietario del fondo servente è tenuto a consentire il passaggio delle acque solo quando esse servano ai bisogni della vita ovvero quando siano destinate ad usi agrari od industriali (art. 1033 del c.c.). Lo stesso art. 1033 c.c. esclude inoltre questo tipo di servitù per le case, i cortili, i giardini e le aie attinenti.
Come si intuisce, non è semplice stabilire con certezza se sia sorta o meno una servitù, ma dovranno essere valutati i diversi presupposti brevemente sopra indicati.
In ogni caso, è bene precisare che secondo la giurisprudenza la semplice lettera di diffida non è idonea ad interrompere l'usucapione, in quanto è necessario un vero e proprio atto giudiziale (si veda ad esempio la recente Cass. civ. Sez. II, 6 novembre 2012, n. 19089: "A tal riguardo va richiamato e ribadito il costante indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, a termini del quale siffatta efficacia interruttiva, per il combinato tassativo disposto di cui agli artt. 1165 e 2943 c.c., può essere ascritta soltanto a quegli atti comportanti la perdita materiale, sia pur temporanea, del potere di fatto esercitato sulla cosa, o alle iniziative giudiziali dirette a provocarne ope iudicis la privazione nei confronti del possessore usucapente").

Per quanto concerne l'indagine sulla provenienza delle acque e la condivisione delle spese di manutenzione e pulizia, è consigliabile anzitutto consultare il competente ufficio del Comune ove sono ubicati i terreni, per chiedere a chi spetti il mantenimento del fosso demaniale (molti comuni prevedono che sia il privato proprietario del terreno a pulire il fosso pubblico). L'indagine circa la provenienza delle acque può essere affidata ad un consulente tecnico assunto privatamente dalla parte, ma per avere una efficacia probatoria spendibile in un giudizio civile è necessario che la perizia sia svolta in contraddittorio con le altre parti (quantomeno con il dirimpettaio, ma anche con i proprietari di altri terreni da cui si presume provengano le acque): andrebbe quindi richiesto un accertamento tecnico preventivo urgente ai sensi dell'art. 696 del c.p.c., o anche un a.t.p. in funzione conciliativa (art. 696 bis del c.p.c.).

LUCIANA chiede
mercoledì 03/07/2013 - Toscana
“Abito da 2 anni in questa casa (bifamiliare), pagando 839,00 euro di affitto, nella quale ho sempre avuto grandi problemi di umidità. Poi un idraulico mi fece notare che un canale lato monte in comune si disperde l'acqua piovana di entrambe le case nel mio giardino. Perciò avevo chiesto di mettere 2 divisori, in modo che ciascun inquilino potesse disperdere nel proprio terreno solo l'acqua piovana del tetto competente e raccogliere solo l'eventuale sporco della propria grondaia. Per cui ho evocato anche l'art. 908 del cod. civ. Io inizialmente avevo chiesto alla proprietaria di firmarmi l'autorizzazione per poter mettere dei divisori alla grondaia in modo che ciascun inquilino avesse solo l'acqua e lo sporco del proprio tetto. Invece mi si chiede, tramite una lettera dell'avvocato della proprietaria, addirittura di concordare i lavori con l'altro inquilino e di farli supervisionare da lui perché può avere dei danni la sua parte di casa. Ma è legale questo?”
Consulenza legale i 11/07/2013
L'art. 908 c.c. riguarda esclusivamente il "proprietario" e non il conduttore/inquilino dell'immobile, che ha solo un diritto di obbligazione e non un diritto reale.
E', quindi, corretto che sia il proprietario a gestire lo scarico delle acque piovane sul suo terreno, cercando di collaborare con i confinanti per far sì che gli stessi non subiscano danni (è verosimile che la lettera dell'avvocato mandata all'inquilino segua ad una segnalazione di eventuali danni da parte di chi risiede nell'altra porzione di bifamiliare).

Tuttavia, è obbligo del locatore mantenere la cosa locata (l'immobile) in stato da servire all'uso convenuto, garantendone al conduttore il pacifico godimento (art. 1575 del c.c.).
Nel caso proposto, quindi, ammesso che il proprietario possa richiedere al suo inquilino di concordare dei lavori con il confinante al fine di far confluire nel modo migliore l'acqua piovana, è bene sottolineare che qualsiasi danno subito dal conduttore che sia nel pieno godimento dell'immobile in base a un valido contratto di locazione può essere fatto valere nei confronti del proprietario. Infatti, se i problemi di umidità della casa derivano dal mancato intervento del locatore per correggere lo scolo delle acque piovane, al locatore stesso saranno addebitabili tutti i danni che l'inquilino può subire in conseguenza della sua negligenza.
E' consigliabile, pertanto, che l'inquilino, con lettera raccomandata a.r., evidenzi al locatore i difetti dell'immobile che possono cagionargli dei danni, pretendendo la loro sistemazione a spese del proprietario.

Cosimo chiede
venerdì 05/10/2012 - Puglia
“la mia casa costruita a confine(originariamente era unica proprietà) scaricava le acque piovane nel fondo del vicino.io ho posto dei pluviali in modo che le acque meteoriche scarichino nel mio terreno.premetto che i pluviali si affacciano sulla proprietà del vicino il quale dopo 17 anni mi obbliga a ripristinare la situazione originaria.domanda: essendo i pluviali beni mobili posso invocare l'usucapione decennale?grazie”
Consulenza legale i 11/10/2012

Sarebbe necessario poter visionare una immagine dei luoghi per meglio valutare il rapporto esistente tra i due edifici e vedere il percorso e il posizionamento dei pluviali. Sarebbe altresì necessario poter comprendere cosa si intende con "mi obbliga a ripristinare la situazione originaria".

In ogni modo, il caso posto all’attenzione impone una disamina in tema di rapporti di vicinato.

In particolare, appare applicabile il disposto normativo di cui all’art. 908 c.c. in base al quale:
“Il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino nel suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino".
Se esistono pubblici colatoi, deve provvedere affinché le acque piovane vi siano immesse con gronde o canali. Si osservano in ogni caso i regolamenti locali e le leggi sulla polizia idraulica”.

Dal testo del quesito proposto si evince che sono stati costruiti dei pluviali per permettere lo scolo delle acque piovane nel proprio terreno rispettando la disposizione di legge di cui all’art.908 c.c. sopracitato.

A parere dello scrivente, quindi, i pluviali costruiti appositamente per far defluire le acque piovane sul proprio terreno sono compatibili con il disposto normativo di cui sopra e non dovranno essere rimossi.
Potrebbe eventualmente parlarsi di una modifica del percorso degli stessi, se, così come sono posizionati oggi, invadono la proprietà del vicino, che, è bene ricordare, è diritto che si estende "usque ad sidera, usque ad inferos".


Francesco chiede
lunedì 29/11/2010
“Il mio immobile confina con un terreno privato, in stato di abbandono, che procura al mio fabbricato danni di umidità ascendente, per via delle piogge.
Posso fare dei lavori per proteggere lo stabile e costruire un marciapiede per isolare il fabbricato dal terreno?”
Consulenza legale i 02/12/2010

I lavori da svolgersi all’interno del terreno di proprietà di colui che subisce i danni da umidità possono essere iniziati senza indugio. Essi potranno essere effettuati anche laddove comportino la necessità di accedere o passare sul fondo altrui, poiché ai sensi dell’art. 843 del c.c. il proprietario deve permettere l’accesso e il passaggio nel suo fondo per la costruzione o riparazione di opera del vicino.
Se i lavori di costruzione del marciapiede dovessero comportare una parziale occupazione del terreno altrui, invece, sarà bene interpellare il proprietario, qualora egli fosse rintracciabile.


Panizzi G. chiede
martedì 23/11/2010

“Ho un immobile che confina con un altro immobile dichiarato inagibile. Un parte del muro è dentro la mia proprietà. La gronda perde e l'intonaco si sta rompendo.
Ho invitato con raccomandata A.R. la richiesta al proprietario di sistemare gronda e muro, ma non sente ragioni. Cosa devo fare per indurlo a fare il lavoro del muro e il ripristino della gronda? Posso chiedere i danni?
Distinti saluti”

Consulenza legale i 15/12/2010

In tema di scolo di acque piovane soccorre l'art. 908 del c.c., secondo il quale il proprietario deve costruire i tetti in maniera da convogliare le acque sul proprio fondo; lo scarico delle medesime acque sul fondo del vicino è ammesso solo qualora sia fondato su una servitù di stillicidio (Cassazione civile, sez. II, 07 dicembre 1977, n. 5298).
Il proprietario dell’abitazione il cui muro si affaccia sulla proprietà altrui, se privo della titolarità di una servitù di scolo, risponde ai sensi dell'art. 2051 del c.c., dei danni arrecati a terzi, in quanto egli è tenuto ad eseguire le opere di manutenzione necessarie per evitare danni ai soggetti
estranei (nel caso, infiltrazioni d'acqua sul muro adiacente). Nelle more della causa ordinaria, il danneggiato, col ministero di un avvocato, potrebbe paralizzare il verificarsi di ulteriori danni esperendo ricorso in via d’urgenza ex art. 700 del c.p.c., facendosi autorizzare alla rimozione e sostituzione delle grondaie, con rifusione delle spese.


Rosario L. chiede
mercoledì 03/11/2010
“Un mio vicini ( immobile confinante col mio) ha inserito il tubo di scarico delle acque meteoriche della Sua terrazza sul mio tratto finale del tubo di scarico fognario.
Per la elevata superficie della terrazza e per la notevole altezza dei pluviali, quando le piogge sono intense, per il principio dei vasi comunicanti e per la poca funzionalità del pozzetto di scarico fognario, le acque mi entrano nei vari appartamenti attraverso i bagni.”
Consulenza legale i 03/11/2010

Il comportamento del vicino è chiaramente illecito.


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