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Articolo 1120 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Innovazioni

Dispositivo dell'art. 1120 Codice Civile

(1)I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'articolo 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni(2).

I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell'articolo 1136, possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:

  1. 1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;
  2. 2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell'edificio, nonché per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune;
  3. 3) l'installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.

L'amministratore è tenuto a convocare l'assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all'adozione delle deliberazioni di cui al precedente comma. La richiesta deve contenere l'indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza, l'amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni.

Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico(3) o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino(4).

Note

(1) Articolo così modificato con legge 11 dicembre 2012, n. 220, in vigore dal 17 giugno 2013.
L’articolo, che disciplina le innovazioni, è stato profondamente mutato:
- è rimasto inalterato il primo comma, che rinvia ai nuovi quorum di cui all’art. 1136 del c.c. quinto comma (un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio).
- le innovazioni che abbiano ad oggetto le opere e interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti e le altre elencate nel nuovo secondo comma dell'articolo (che si possono definire "virtuose") potranno invece essere approvate con quorum inferiori (maggioranza degli intervenuti e metà del valore dell’edificio); chiunque voglia far deliberare l'assemblea su queste innovazioni ha titolo per chiedere all’amministratore di convocare l’assemblea. L’amministratore deve provvedere alla convocazione, salvo che non ritenga di chiedere necessarie integrazioni del contenuto e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti.
(2) La giurisprudenza ha elaborato il concetto di "innovazione", che non è mai stato definito normativamente. Le innovazioni possono essere definite come tutte quelle modificazioni che, determinando l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti.
(3) E' stata la giurisprudenza ad enucleare il significato di "decoro architettonico", definendolo come l'insieme armonico delle linee architettoniche e delle strutture ornamentali dell'edificio condominiale, idonee a conferire al fabbricato una propria identità.
L'azione del condomino a tutela del decoro architettonico, in quanto estrinsecazione di una facoltà insita nel diritto di proprietà, è imprescrittibile.
(4) Il D.L. 18 aprile 2019, n. 32 ha disposto (con l'art. 10, comma 9) che:
"In deroga agli articoli 1120, 1121 e 1136, quarto e quinto comma, del codice civile, gli interventi di recupero relativi ad un unico immobile composto da più unità immobiliari possono essere disposti dalla maggioranza dei condomini che comunque rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio e gli interventi ivi previsti devono essere approvati con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell'edificio.".

Spiegazione dell'art. 1120 Codice Civile

Innovazioni lecite ed illecite

Commentando l'art. art. 1108 del c.c. si è già detto come il nuovo ordinamento abbia profondamente mutato la norma del vecchio codice (art. 677), secondo la quale uno dei partecipanti non poteva fare innovazioni nella cosa comune, anche se le ritenesse vantaggiose per tutti, se gli altri non vi acconsentivano, ed abbia attribuito, invece, ad una particolare maggioranza il potere di deliberare tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo o redditizio godimento.

Nell'ordine dello stesso principio generale alla comunione, in tema di parti comuni negli edifici, l'art. 1120 stabilisce che la maggioranza dei condomini può disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni.

Anche nella disposizione in esame, cioè, è bandito « il concetto egoista ed esclusivista del diritto di ciascun condomino », come diceva la Relazione della Commissione reale per il corrispondente art. 344, mentre viene posto termine alla serie infinita di contestazioni giudiziarie, talvolta diversamente definite, sul fatto se un atto fosse da considerare di innovazione oppure no. Opportune limitazioni, peraltro, fanno sì che l’ introduzione del nuovo principio non desti alcuna preoccupazione.

Anzitutto occorre che le innovazioni siano dirette alternativamente, congiuntamente al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni, sia operando sulla cosa comune come tale, sia operando su di essa colla creazione di altra cosa comune (p. es. impianto di ascensore nella tromba delle scale; creazione di un locale di portineria nell'ingresso).

Secondo il capoverso dell'articolo, poi, se uno di tali vantaggi dovesse conseguirsi a prezzo della stabilità o della sicurezza del fabbricato o dell'alterazione del suo decoro architettonico o della inservibilità di talune parti comuni dell'edificio all'uso o al godimento anche di un solo condomino, l' innovazione costituisce atto illecito, qualunque imponente maggioranza possa deliberarla. Il maggior vantaggio della parte comune dell'edificio non può essere conseguito a danno dell'edificio di cui fa parte, nella consistenza materiale o artistica di esso, oppure a prezzo della mancanza di uso o di godimento da parte anche di un solo condomino della cosa innovata o di altra cosa comune. La parte non deve far perdere la considerazione dell'intero, né può essere alterato il contenuto essenziale della comunione.

Non basta: come per le innovazioni di cui all’ art. 1108 del c.c., anche per queste di cui all'art. 1120 si esige una particolare maggioranza. Invero, non solo occorre un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e non all'assemblea, ma occorre anche che tali voti rappresentino i due terzi del valore dell'edificio. Data la mancanza di autonomia della parte, si comprende il riferimento al valore dell'intero edificio. Altre limitazioni, infine, derivano dall'articolo successivo per le innovazioni gravose o voluttuarie.

Il Progetto della Commissione Reale (art. 344) dava genericamente ad ogni condomino dissenziente anche la possibilità di proporre reclamo all'Autorità giudiziaria contro la determinazione della maggioranza, ma opportunamente tale disposizione è stata soppressa nel testo definitivo a causa del fondato dubbio espresso dalle Commissioni legislative, secondo cui « essa finisce col far risorgere, almeno in parte e di fatto, lo ius prohibendi ». Al condomino dissenziente quindi compete il ricorso all'Autorità giudiziaria, a norma dell' art. 1137 del c.c., solo contro le deliberazioni contrarie alla legge al regolamento di condominio.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

527 La disciplina delle innovazioni si coordina con quella adottata in tema di comunione in generale. La maggioranza dei partecipanti, che rappresenti i due terzi del valore dell'edificio, può disporre le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o più redditizio delle cose comuni. La maggioranza non è costituita soltanto dall'entità degli interessi, ma dal duplice coefficiente del valore dell'edificio e del numero dei condomini. Permane il limite fissato nell'art. 8, secondo comma, del R. decreto-legge 15 gennaio 1934 circa il divieto delle innovazioni che possano pregiudicare la stabilità o la sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano inservibili all'uso o al godimento, anche di un solo condomino, alcune parti comuni dell'edificio (art. 1120 del c.c.). Qualora le innovazioni siano troppo onerose o abbiano carattere voluttuario, si distingue il caso in cui l'innovazione consista in opere suscettibili di utilizzazione separata da quello in cui l'utilizzazione separata non sia possibile. Nel primo caso i condomini che non intendono trarre vantaggio dall'innovazione sono esonerati dal contributo nella spesa; ma ad essi e ai loro eredi o aventi causa è data la possibilità di partecipare, in ogni tempo, ai vantaggi dell'innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera, Nel secondo caso l'innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza che l'ha approvata ne sopporti integralmente la spesa relativa (art. 1121 del c.c.).

Massime relative all'art. 1120 Codice Civile

Cass. civ. n. 35957/2021

Deve considerarsi innovazione, agli effetti dell'art. 1120 c.c., non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria; il relativo accertamento costituisce un'indagine di fatto insindacabile in sede di legittimità, se sostenuta da corretta e congrua motivazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza con la quale la Corte di appello aveva negato carattere di innovazione all'opera di rivestimento ligneo delle porte degli ascensori condominiali, trattandosi di un intervento diretto a rendere più comodo il godimento della cosa comune, lasciandone però immutate la consistenza e la destinazione).

Cass. civ. n. 4513/2021

Le innovazioni di cui all'art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall'art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., dirette a ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; sotto il profilo soggettivo, poi, nelle innovazioni rileva l'interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell'assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, nelle quali non rileva un interesse generale, bensì quello del singolo condomino al cui perseguimento sono rivolte, con i limiti previsti dal citato art. 1102 c.c.

Cass. civ. n. 2636/2021

L'assemblea del condominio ha il potere di decidere le modalità concrete di utilizzazione dei beni comuni, nonché di modificare quelle in atto, anche revocando una o precedenti delibere, benché non impugnate da alcuno dei partecipanti e stabilendone liberamente gli effetti, sulla base di una rivalutazione - il cui sindacato è precluso al giudice di merito, se non nei limiti dell'eccesso di potere - dei dati ed apprezzamenti obiettivamente rivolti alla realizzazione degli interessi comuni ed alla buona gestione dell'amministrazione, non producendosi alcun autonomo diritto acquisito in capo ai condomini, ovvero ai terzi, soltanto per effetto ed in sede di esecuzione della precedente delibera. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto illegittima la revoca di precedenti delibere autorizzative all'installazione di un ascensore, per il sol fatto di essere quelle divenute inoppugnabili, senza verificare, al contrario, se la revoca fosse conforme a legge o al regolamento, per non esser stati rispettati i limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c. quanto all'installazione dell'impianto).

Cass. civ. n. 25790/2020

In tema di condominio negli edifici, ove sia accertata una alterazione della fisionomia architettonica dell'edificio condominiale (nella specie, per effetto della realizzazione di una canna fumaria apposta sulla facciata), il pregiudizio economico risulta conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico, che, costituendo una qualità del fabbricato, è tutelata, in quanto di per sé meritevole di salvaguardia, dalle norme che ne vietano l'alterazione. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TRIESTE, 12/05/2015).

Cass. civ. n. 31462/2018

Qualora un esborso relativo ad innovazioni non debba essere ripartito fra i condomini, per essere stato assunto interamente a proprio carico da uno di essi, trova applicazione la disposizione generale dell'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, in forza della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune - purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condòmini di farne uguale uso secondo il loro diritto - e può, perciò, apportare alla stessa, a proprie spese, le modificazioni necessarie a consentirne il migliore godimento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di appello che aveva ritenuto l'installazione di un ascensore sulle parti comuni, eseguita dai convenuti in primo grado a loro spese, legittima ex art. 1102 c.c., non ricorrendo una limitazione della proprietà degli altri condomini incompatibile con la realizzazione dell'opera).

Cass. civ. n. 21342/2018

In tema di condominio negli edifici, il limite fissato dall'art. 1120, ultimo comma, c.c. non si indentifica nel semplice disagio, ovvero nel minor godimento che l'innovazione procuri al singolo condomino rispetto a quella che, fino a quel momento, è stata la sua fruizione della cosa comune, implicando il concetto di inservibilità la concreta inutilizzabilità della "res communis" secondo la sua naturale fruibilità. (In applicazione di tale principio la S.C. ha affermato che non dà luogo a una innovazione vietata ex art. 1120 c.c. la destinazione a parcheggio di un'area adibita a giardino condominiale).

Cass. civ. n. 21049/2017

In tema di condominio negli edifici, il consenso alla realizzazione di innovazioni sulla cosa comune deve essere espresso con un atto avente la forma scritta "ad substantiam". (Fattispecie relativa all'alterazione della struttura del tetto, mediante la creazione di una terrazza "a tasca", a servizio di un appartamento di proprietà esclusiva).

Cass. civ. n. 20712/2017

In tema di condominio negli edifici, le innovazioni di cui all’art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall’art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne, poi, l'aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte.

Cass. civ. n. 6129/2017

In tema di condominio, l'installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare delle barriere architettoniche, rientra fra le opere di cui all'art. 27, comma 1, della l. n. 118 del 1971 ed all'art. 1, comma 1, del d.p.r. n. 384 del 1978, e, pertanto, costituisce un'innovazione che, ex art. 2, commi 1 e 2, della l. n. 13 del 1989, va approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, commi 2 e 3, c.c., ovvero, in caso di deliberazione contraria o omessa nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, che può essere installata, a proprie spese, dal portatore di handicap, con l'osservanza dei limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c., secondo quanto prescritto dal comma 3 del citato art. 2; peraltro, la verifica della sussistenza di tali ultimi requisiti deve tenere conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche, trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all’intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione

Cass. civ. n. 11034/2016

In tema di condominio, costituisce innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120, comma 2, c.c., l'assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito, di posti auto all'interno di un'area condominiale, in quanto determina una limitazione dell'uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune, con conseguente nullità della relativa delibera.

Cass. civ. n. 22276/2013

Ai fini della validità della delibera condominiale di trasformazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato in impianti individuali - adottata ai sensi dell'art. 26, secondo comma, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, a maggioranza delle quote millesimali e in conformità agli obiettivi di risparmio energetico perseguiti da tale legge - non sono necessarie verifiche preventive circa l'assoluta convenienza della trasformazione quanto al risparmio dei consumi di ogni singolo impianto, né si richiede che l'impianto centralizzato da sostituire sia alimentato da fonte diversa dal gas, occorrendo soltanto che siano alimentati a gas quelli autonomi da realizzare, irrilevante essendo, altresì, la circostanza che, nella fase di attuazione della deliberazione emerga l'impossibilità di realizzare l'impianto autonomo in uno degli appartamenti. Né infine, la medesima legge n. 10 del 1991 impone all'art. 8 (nel testo originario, applicabile "ratione temporis") di preferire l'adozione di valvole termostatiche o di altri sistemi di contabilizzazione del calore, ovvero l'utilizzo di energia solare per riscaldare gli edifici, consentendo anche soltanto di deliberare il passaggio da un impianto centralizzato, comunque alimentato, ad impianti autonomi a gas per le singole unità abitative.

Cass. civ. n. 18147/2013

Ai fini della legittimità della deliberazione adottata dall'assemblea dei condomini ai sensi dell'art. 2 della legge 9 gennaio 1989, n. 13, l'impossibilità di osservare, in ragione delle particolari caratteristiche dell'edificio (nella specie, di epoca risalente), tutte le prescrizioni della normativa speciale diretta al superamento delle barriere architettoniche non comporta la totale inapplicabilità delle disposizioni di favore, finalizzate ad agevolare l'accesso agli immobili dei soggetti versanti in condizioni di minorazione fisica, qualora l'intervento (nella specie, installazione di un ascensore in un cavedio) produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione.

Cass. civ. n. 18052/2012

In tema di condominio negli edifici, le innovazioni di cui all'art. 1120 c.c. non corrispondono alle modificazioni, cui si riferisce l'art. 1102 c.c., atteso che le prime sono costituite da opere di trasformazione, le quali incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, più comoda e razionale, utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c.

Cass. civ. n. 9877/2012

In tema di condominio negli edifici, la delibera assembleare di destinazione del cortile condominiale a parcheggio di autovetture dei singoli condomini, in quanto disciplina le modalità di uso e di godimento del bene comune, è validamente approvata con la maggioranza prevista dall'art. 1136, quinto comma, c.c., non essendo all'uopo necessaria l'unanimità dei consensi, ed è idonea a comportare la modifica delle disposizioni del regolamento di condominio, di natura non contrattuale, relative all'utilizzazione ed ai modi di fruizione delle parti comuni.

Cass. civ. n. 28920/2011

In tema di deliberazioni condominiali, l'installazione dell'ascensore, rientrando fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'art. 27, primo comma, della legge 3 marzo 1971, n. 118 e all'art. 1, primo comma, del d.p.r. 27 aprile 1978, n. 384, costituisce innovazione che, ai sensi dell'art. 2 legge 2 gennaio 1989, n. 13, è approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta rispettivamente dall'art. 1136, secondo e terzo comma, c.c., dovendo, però, essere rispettati (in forza del terzo comma del citato art. 2) i limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c.. Ne consegue che non può essere consentita quell'installazione che renda talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.

Cass. civ. n. 15319/2011

La delibera assembleare di destinazione a parcheggio di un'area di giardino condominiale, interessata solo in piccola parte da alberi di alto fusto e di ridotta estensione rispetto alla superficie complessiva, non dà luogo ad una innovazione vietata dall'art. 1120 cod. civ., non comportando tale destinazione alcun apprezzabile deterioramento del decoro architettonico, né alcuna significativa menomazione del godimento e dell'uso del bene comune, ed anzi, da essa derivando una valorizzazione economica di ciascuna unità abitativa e una maggiore utilità per i condòmini.

Cass. civ. n. 14474/2011

Ciascun partecipante al condominio di edifici può agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della proprietà comune, sicché nel relativo giudizio non è necessaria la presenza in causa di tutti i condomini, né del condominio.

Cass. civ. n. 10350/2011

Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto illegittima l'installazione di una canna fumaria che percorreva tutta la facciata dell'edificio condominiale, così da pregiudicare l'aspetto e l'armonia del fabbricato).

Cass. civ. n. 20902/2010

È legittima la delibera dell'assemblea di condominio che, con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, quinto comma, c.c., richiamato dall'art. 1120 c.c., deliberi l'installazione di un ascensore nel vano scala condominiale a cura e spese di alcuni condòmini soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri condòmini di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi di tale innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione dell'impianto ed in quelle di manutenzione dell'opera, ed ove risulti che dalla stessa non derivi, sotto il profilo del minor godimento delle cose comuni, alcun pregiudizio a ciascun condomino ai sensi dell'art. 1120, secondo comma, c.c., non dovendo necessariamente derivare dall'innovazione un vantaggio compensativo per il condomino dissenziente.

Cass. civ. n. 1286/2010

In tema di condominio degli edifici, il decoro architettonico cui è apprestata tutela ex art. 1120, secondo comma, c.c. riguarda l'estetica fornita dalle linee e dalle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell'edificio od anche di sue singole parti ma non l'impatto dell'opera con l'ambiente circostante. (Omissis).

Cass. civ. n. 20254/2009

A norma dell'art. 9, comma 3, della L. 24 marzo 1989, n. 122, i condomini possono deliberare - con la maggioranza di cui all'art. 1136, secondo comma, c.c. - la realizzazione di parcheggi pertinenziali nel sottosuolo di edifici condominiali, anche in numero inferiore a quello della totalità dei componenti, essendo i dissenzienti tenuti a rispettare la sottrazione dell'uso dell'area comune a seguito della destinazione a parcheggio. Tuttavia, poiché il citato art. 9, comma 3, fa salvo il contenuto degli artt. 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, c.c., detta sottrazione è consentita solo se e assicurata anche ai condomini dissenzienti la possibilità di realizzare, in futuro, nella zona comune rimasta libera, un analogo parcheggio pertinenziale della propria unità immobiliare di proprietà esclusiva, in modo da garantire a tutti il godimento del sottosuolo secondo la sua normale destinazione.

Cass. civ. n. 14455/2009

Ai fini della tutela prevista dall'art. 1120, secondo comma, c.c. in materia di divieto di innovazioni suite parti comuni dell'edificio condominiale, non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato alterato dall'innovazione abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull'immobile, ma è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato sul punto l'impugnata sentenza che aveva ritenuto dimostrata la violazione del decoro architettonico in un caso in cui la trasformazione in veranda dell'unico balcone esistente al piano ammezzato aveva spezzato il ritmo proprio della facciata ottocentesca del fabbricato, che nei vari piani possedeva un preciso disegno di ripetizione dei balconi e di alternanza di pieni e vuoti, non potendosi trascurare, a tal fine, anche la rilevanza delle caratteristiche costruttive della veranda e il suo colore bianco brillante, contrastante con le superfici più opache dei circostanti edifici).

Cass. civ. n. 27822/2008

In tema di condominio, nel caso in cui i condomini abbiano deciso a maggioranza, ai sensi dell'articolo 26 della legge 9 gennaio 1991 n. 10 e del relativo regolamento di esecuzione approvato con d.P.R. 26 agosto 1993 n. 412, la dismissione dell'impianto di riscaldamento centralizzato e la sua sostituzione con autonomi impianti, non è più consentito alla minoranza dissenziente di mantenere in esercizio il vecchio impianto, ed è obbligatorio per tutti i condomini partecipare proporzionalmente alle spese per l'installazione e manutenzione della nuova canna fumaria, che in quanto posta a servizio dei singoli impianti di riscaldamento, costituisce bene comune cui tutti in condomini sono tenuti ad allacciare il proprio. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza della corte di merito che, nell'ipotesi suddetta, facendo applicazione dell'art. 5, comma nono, d.P.R. nr. 412 del 1993, prevedente il diverso caso della ristrutturazione di impianti individuali già esistenti con scarichi non a norma, aveva ritenuto gravare le spese della nuova canna fumaria soltanto a carico dei condomini che avevano installato un autonomo impianto di riscaldamento).

Cass. civ. n. 5997/2008

La delibera condominiale con la quale si decide di adibire il cortile comune - di ampiezza insufficiente a garantire il parcheggio delle autovetture condominiali - a parcheggio dei motoveicoli, con individuazione degli spazi, delimitazione ed assegnazione degli stessi ai singoli condomini, non dà luogo ad una innovazione vietata dall'art. 1120 c.c., non comportando tale assegnazione una trasformazione della originaria destinazione del bene comune, o l'inservibilità di talune parti dell'edificio all'uso o al godimento anche di un singolo condomino.

Cass. civ. n. 21835/2007

Nel condominio degli edifici, la lesività estetica dell'opera abusivamente compiuta da uno dei condomini — che costituisca l'unico contestato profilo di illegittimità dell'opera stessa — non può assumere rilievo in presenza di una già grave evidente compromissione del decoro architettonico dovuto a precedenti interventi sull'immobile (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di rimozione di un ballatoio realizzato da un condomino sul preesistente terrazzo, in considerazione del fatto che non tutte le modifiche compiute avevano danneggiato il decoro dell'edificio, peraltro già compromesso da precedenti interventi, alcuni dei quali opera dello stesso condomino attore).

Cass. civ. n. 16639/2007

La ristrutturazione dell'impianto fognario (vecchio di oltre cinquant'anni e bisognoso di interventi strutturali), in quanto necessaria alla conservazione ed al godimento della cosa comune, non costituisce innovazione. Rientra nei poteri insindacabili dell'assemblea la decisione relativa alle modifiche, del detto servizio comune quando sia dettata dalla necessità di sopperire all'insufficienza strutturale e funzionale di quello preesistente in considerazione delle sopravvenute maggiori esigenze anche igieniche.

Cass. civ. n. 851/2007

In tema di condominio negli edifici, per «decoro architettonico» deve intendersi l'estetica del fabbricato data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità; pertanto, nessuna influenza, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., può essere attribuita al grado di visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell'edificio, ovvero alla presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate.

Cass. civ. n. 12654/2006

In tema di condominio, per innovazioni delle cose comuni devono intendersi non tutte le modificazioni (qualunque opus novum), ma solamente quelle modifiche che, determinando l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti; peraltro le innovazioni, seppure possono derivare da modifiche apportate senza l'esecuzione di opere materiali, consistono sempre nell'atto o nell'effetto di un facere necessario per il mutamento o la trasformazione della cosa. Pertanto, non viola la disciplina dettata in materia di innovazioni la delibera dell'assemblea dei condomini la quale si limiti a lasciare immutato lo status quo ante relativo alla utilizzazione o al godimento degli spazi comuni. (Nella specie è stata ritenuta legittima la delibera con cui l'assemblea aveva rifiutato la richiesta del condomino di tracciare nel cortile comune i posti auto assegnati a ciascuno dei comproprietari sulla base dei titoli di acquisto).

Cass. civ. n. 16980/2005

Con riferimento agli interventi sulle parti comuni dell'edificio condominiale previsti dalla legge n. 10 del 1991 per attuare il risparmio energetico ed incentivare l'utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia, l'art. 26, comma secondo, di tale legge consente che sia approvata a maggioranza delle quote millesimali la delibera di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti autonomi attraverso l'uso delle fonti alternative di energia indicate dall'art. 1 o l'installazione di impianti unifamiliari a gas, secondo quanto stabilito all'art. 8, lett. g); la delibera è valida, anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato dalla relazione tecnica di conformità di cui all'art. 28, comma primo - attenendo il progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera - purché l'assemblea preveda anche il tipo di impianto che sarà installato in sostituzione di quello soppresso, non essendo al riguardo sufficiente la sola previsione della installazione ad iniziativa dei condomini degli impianti autonomi, giacché, essendo questa meramente eventuale e non programmata, la delibera si risolverebbe nella soppressione dell'impianto centralizzato senza il consenso unanime dei condomini aventi diritto a fruire di un bene comune. In proposito non trovano applicazione le disposizioni dettate dall'art. 26, commi quinto e sesto, che, nel consentire la deroga alle maggioranze stabilite dagli artt. 1120 e 1136 c.c., fanno riferimento alle innovazioni volte ad installare nei nuovi edifici sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore indipendentemente dagli interventi di soppressione e sostituzione dell'impianto centralizzato esistente. (Nella specie, è stata ritenuta illegittima la deliberazione con cui l'assemblea aveva approvato con la maggioranza prevista dall'art. 26 comma secondo, cit., la soppressione dell'impianto centralizzato, lasciando liberi i singoli condomini di attivarsi per l'eventuale installazione degli impianti autonomi).

Cass. civ. n. 8286/2005

In tema di deliberazioni condominiali, l'installazione di un servo-scala per facilitare l'accesso ai disabili non implica rinuncia alla realizzazione degli strumenti considerati idonei al superamento delle barriere architettoniche e deliberati dall'assemblea. A tal fine, l'installazione dell'ascensore, rientrando fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'art. 27 primo comma della legge n. 118/1971 e all'art. 1 primo comma del D.P.R. n. 384/1978, costituisce innovazione che, ai sensi dell'art. 2 legge n. 13/89, è approvata dall'assemblea con la maggioranza ridotta prescritta dall'art. 1136 secondo e terzo comma c.c. (ai quali soltanto si riferisce l'art. 2, comma primo, della legge n. 13 del 1989).

Cass. civ. n. 17398/2004

In tema di condominio degli edifici, il decoro architettonico — allorché possa individuarsi nel fabbricato una linea armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia — è un bene comune il cui mantenimento è tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare. Pertanto, una volta accertato che le modifiche non hanno una valenza ripristinatoria o migliorativa dell'originaria fisionomia, ma alterano quest'ultima sensibilmente, non ha alcuna rilevanza l'accertamento — del tutto opinabile — del risultato estetico della modifica, che deve ritenersi non consentita quand'anche nel suo complesso possa apparire a taluno gradevole.

In tema di condominio degli edifici, la tutela del decoro architettonico — di cui all'art. 1120, secondo comma, c.c. — attiene a tutto ciò che nell'edificio è visibile ed apprezzabile dall'esterno, posto che esso si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, cioè alla sua particolare struttura e fisionomia, che contribuisce a dare ad esso una sua specifica identità. Ne consegue che — a prescindere da ogni considerazione sulla proprietà dei muri perimetrali, che l'art. 1117, n. 1, c.c. espressamente annovera tra i beni comuni — il proprietario della singola unità immobiliare non può mai, senza autorizzazione del condominio, esercitare una autonoma facoltà di modificare quelle parti esterne, siano esse comuni o di proprietà individuale (come, ad esempio, la tamponatura esterna di un balcone rientrante), che incidano sul decoro architettonico dell'intero corpo di fabbrica o di parti significative di esso.

Cass. civ. n. 14384/2004

In tema di deliberazioni condominiali, l'installazione dell'ascensore, rientrando fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'art. 27 primo comma della legge n. 118/1971 e all'art. 1 primo comma del D.P.R. n. 384/1978, costituisce innovazione che, ai sensi dell'art. 2 legge n. 13/89, è approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta rispettivamente dall'art. 1136 secondo e terzo comma c.c.; tutto ciò ferma rimanendo la previsione del terzo comma del citato art. 2 legge n. 13/1989, che fa salvo il disposto degli artt. 1120 secondo comma e 1121 terzo comma c.c.

Cass. civ. n. 5975/2004

Gli interventi di adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al conseguimento di obiettivi di sicurezza della vita umana e incolumità delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti e i terzi, attengono all'aspetto funzionale dello stesso, ancorché riguardino l'esecuzione di opere nuove, l'aggiunta di nuovi dispositivi, l'introduzione di nuovi elementi strutturali (In applicazione di tale principio, la Corte ha cassato la sentenza di merito che - con una motivazione carente - aveva considerato le spese per l'adeguamento dell'ascensore come spese di ricostruzione, senza spiegare quale fosse, e in che cosa consistesse, l'elemento strutturale e costruttivo nuovo).

Cass. civ. n. 5899/2004

In tema di innovazioni nel condominio degli edifici, l'alterazione del decoro architettonico può derivare anche dalla modifica dell'originario aspetto di singoli elementi o di singole parti dell'edificio che abbiano una sostanziale e formale autonomia o siano comunque suscettibili per sé di considerazione autonoma. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha cassato la decisione del giudice del merito, la quale aveva invece escluso la possibilità di considerare l'atrio dell'edificio come un elemento dotato, in sé, di autonomo valore estetico e qualificante del pregio architettonico dell'edificio).

Cass. civ. n. 1004/2004

Costituisce innovazione, vietata ai sensi dell'art. 1120 secondo comma c.c., e, come tale, affetta da nullità, l'assegnazione nominativa da parte del condominio a favore di singoli condomini di posti fissi nel cortile comune per il parcheggio della seconda autovettura, in quanto tale delibera, da un lato, sottrae «utilizzazione del bene comune a coloro che non posseggono la seconda autovettura e, dall'altro, crea i presupposti per l'acquisto da parte del condomino, che usi la cosa comune con animo domini, della relativa proprietà a titolo di usucapione, non essendo a tal fine necessaria l'interversione del possesso da parte del compossessore il quale, attraverso l'occupazione della relativa area, eserciti un possesso esclusivo, impedendo automaticamente agli altri condomini di utilizzarla allo stesso modo.

Cass. civ. n. 16098/2003

In tema di condominio degli edifici, la tutela del decoro architettonico — di cui all'art. 1120, secondo comma, c.c. — è stata disciplinata in considerazione della apprezzabile alterazione delle linee e delle strutture fondamentali dell'edificio, od anche di sue singole parti o elementi dotati di sostanziale autonomia, e della consequenziale diminuzione del valore dell'intero edificio e, quindi, anche di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono. Ne consegue che il giudice, per un verso, deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamente ed in qual misura un'unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all'innovazione dedotta in giudizio, nonché se su di essa avessero o meno già inciso, menomandola, precedenti innovazioni. Per altro verso, deve accertare che l'alterazione sia appariscente e di non trascurabile entità e tale da provocare un pregiudizio estetico dell'insieme suscettibile d'un apprezzabile valutazione economica, mentre detta alterazione può affermare senza necessità di siffatta specifica indagine solo ove abbia riscontrato un danno estetico di rilevanza tale, per entità e/o natura, che quello economico possa ritenervisi insito.

Cass. civ. n. 12343/2003

Alle modificazioni consentite al singolo condomino ex art. 1102, primo comma, c.c. si applica anche, in via analogica, per la identità di ratio, il divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato previsto in materia di innovazioni dall'art. 1120, secondo comma, dello stesso codice.

Cass. civ. n. 1166/2002

La delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari, ai sensi dell'art. 26, comma secondo, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, in relazione all'art. 8, lett. g), della stessa legge, assunta a maggioranza delle quote millesimali, è valida anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato dalla rilevazione tecnica di conformità di cui all'art. 28, comma primo, della stessa legge, attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera. Le suddette norme, nell'ambito delle operazioni di trasformazione degli impianti di riscaldamento destinate al risparmio di energia, distinguono infatti una fase deliberativa «interna» (attinente ai rapporti tra i condomini, disciplinati in deroga al disposto dell'art. 1120 c.c.) da una fase esecutiva «esterna» (relativa ai successivi provvedimenti di competenza della pubblica amministrazione), e solo per quest'ultima impongono gli adempimenti in argomento.

Cass. civ. n. 9033/2001

La limitazione, per alcuni condomini, della originaria possibilità di utilizzazione delle scale e dell'andito occupati dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto posto dall'art. 1120, comma secondo, c.c., ove risulti che dalla stessa non derivi, sotto il profilo del minor godimento della cosa comune, alcun pregiudizio, non essendo necessariamente previsto che dall'innovazione debba derivare per il condomino dissenziente un vantaggio compensativo.

Cass. civ. n. 5117/1999

È illegittima la deliberazione dell'assemblea del condominio di un edificio adottata a maggioranza delle quote millesimali (anziché con il consenso unanime di tutti i condomini richiesto dall'art. 1120, secondo comma c.c.) con la quale si prevede la trasformazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato in impianti unifamiliari e si autorizza ogni condomino a provvedere autonomamente ad installare l'impianto che ritiene più opportuno, senza alcun riferimento al rispetto delle prescrizioni della legge n. 10 del 1991 per la riduzione dei consumi energetici.

Cass. civ. n. 3508/1999

La norma di cui all'art. 1120 c.c., nel prescrivere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate maggioranze, tende a disciplinare l'approvazione di quelle innovazioni che comportano oneri di spesa per tutti i condomini; ma, ove non debba procedersi a tale ripartizione per essere stata la spesa relativa alle innovazioni di cui si tratta assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la norma generale di cui all'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, ed in forza della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto, e, pertanto, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune. Ne consegue che, ricorrendo dette condizioni, il condomino ha facoltà di installare a proprie spese nella tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione degli altri condomini, e può far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo.

Cass. civ. n. 10289/1998

La delibera assembleare di destinazione di aree condominiali scoperte a parcheggio autovetture dei singoli condomini va approvata a maggioranza, non essendo, all'uopo, necessaria l'unanimità dei consensi degli aventi diritto al voto.

Cass. civ. n. 8731/1998

Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata, armonica, fisionomia. L'alterazione di tale decoro può ben correlarsi alla realizzazione di opere che immutino l'originario aspetto anche soltanto di singoli elementi o punti del fabbricato tutte le volte che la immutazione sia suscettibile di riflettersi sull'insieme dell'aspetto dello stabile. L'indagine volta a stabilire se, in concreto, un'innovazione determini o meno l'alterazione del decoro di un determinato fabbricato è demandata al giudice di merito il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se congruamente motivato.

Cass. civ. n. 1873/1998

Il proprietario di un immobile non può invocare la norma stabilita dall'art. 1120 c.c. per pretendere che il proprietario di quello antistante ne curi l'estetica intonacandolo adeguatamente all'esterno, perché tale norma disciplina i rapporti condominiali sui beni comuni, non esclusivamente altrui, mentre gli interessi al rispetto dell'«ornato pubblico» e dell'«aspetto dei fabbricati» possono trovare tutela nei regolamenti edilizi comunali (artt. 871 c.c. e 33 legge 17 agosto 1942, n. 1150) — la cui esistenza e contenuto va provata da chi l'invoca — che, se violati, non obbligano ad un facere, ma al risarcimento del danno (art. 872 c.c.).

Cass. civ. n. 1775/1998

La rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale operata dal singolo condomino mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell'impianto centralizzato è legittima se l'interessato dimostri che, dal suo operato, non derivano né aggravi di spese per coloro che continuano a fruire dell'impianto, né squilibri termici pregiudizievoli della regolare erogazione del servizio.

Cass. civ. n. 9717/1997

L'alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio, vietata dall'art. 1120 c.c., postula un mutamento estetico implicante un pregiudizio economicamente valutabile; tuttavia quando la modifica non sia del tutto trascurabile e non abbia arrecato anche un vantaggio, deve sempre ritenersi insito nel pregiudizio estetico quello economico, senza necessità di una espressa motivazione sotto tale profilo tutte le volte in cui non sia stato espressamente eccepito e provato che la modifica ha anche arrecato un vantaggio economicamente valutabile.

Cass. civ. n. 5028/1996

L'art. 1120 c.c., nel consentire all'assemblea condominiale, sia pure con una particolare maggioranza, di disporre innovazioni, non postula affatto che queste rivestano carattere di assoluta necessità, ma richiede soltanto che esse siano dirette «al miglioramento o all'uso pia comodo o al maggior rendimento delle cose comuni», salvo a vietare espressamente, nel secondo comma, quelle che possono recare pregiudizio alla statica o al decoro architettonico del fabbricato o che rendano talune parti comuni inservibili all'uso o al godimento anche di uno solo dei condomini. Pertanto, al di fuori di tale divieto, ogni innovazione utile deve ritenersi permessa anche se non strettamente necessaria, col solo limite, posto dal successivo art. 1121, del suo carattere voluttuario o della particolare gravosità della spesa in rapporto alle condizioni e all'importanza dell'edificio, nel quale caso essa è consentita soltanto ove consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata e sia possibile, quindi, esonerare da ogni contribuzione alla spesa i condomini che non intendano trarne vantaggio, oppure, in assenza di tale condizione, se la maggioranza dei condomini che l'ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.

Cass. civ. n. 3840/1995

L'opera nuova può dare luogo ad una innovazione anche quando, oltre che la cosa comune o sue singole parti, interessi beni o parti a questa estranei ma ad essa funzionalmente collegati. Anche in tal caso, quindi, se l'opera, pur essendo utilizzabile da tutti i condomini, è stata costruita esclusivamente a spese di uno solo dei condomini, questo ne rimane proprietario esclusivo solo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai vantaggi della stessa contribuendo, ai sensi dell'art. 1120 (Rectius: 1121 N.d.R.) c.c., alle spese per la sua costruzione e manutenzione. (Nella specie, si trattava di un ascensore per il collegamento dell'androne dell'edificio condominiale con una strada posta ad un livello notevolmente inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il sottosuolo comuni, anche un terreno in proprietà esclusiva del condomino che aveva eseguite).

Cass. civ. n. 2329/1995

Il condominio può deliberare, con la maggioranza qualificata di cui al primo comma dell'art. 1120 c.c., che il dismesso impianto centralizzato di riscaldamento sia mantenuto in esercizio solo per il riscaldamento dei locali condominiali, trattandosi di una attività che, senza alterarne la consistenza e la destinazione originaria, attua il potenziamento ed il migliore godimento della cosa comune.

Cass. civ. n. 4831/1994

La sostituzione del bruciatore dell'impianto di riscaldamento di un edificio condominiale, nei casi in cui il bruciatore sostituito era guasto o obsoleto, deve considerarsi atto di straordinaria manutenzione, in quanto diretto a ripristinare la funzionalità dell'impianto senza alcuna modifica sostanziale e funzionale dello stesso, mentre deve essere ricondotta alle modifiche migliorative, e non alle innovazioni, se ha lo scopo di consentire l'utilizzazione di una fonte di energia più redditizia, più economica o meno inquinante (nella specie, si trattava della sostituzione di un bruciatore alimentato da gasolio con un bruciatore alimentato da gas metano).

Cass. civ. n. 1926/1993

In tema di condominio di edifici, la delibera di rinuncia all'impianto centralizzato di riscaldamento nella disciplina previgente alla L. 6 gennaio 1991 n. 10, configurando non una semplice modifica, bensì una radicale trasformazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale ed economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unità immobiliari già allacciate o suscettibili di allacciamento al medesimo, è soggetta all'art. 1120 secondo comma c.c., che vieta tutte le innovazioni che rendano parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino dissenziente, senza che in contrario rilevi la disposizione dell'art. 5 della L. 29 maggio 1982 n. 308 (abrogata dall'art. 23 della citata L. n. 10 del 1991), che si riferisce alla diversa ipotesi di interventi su parti comuni di edifici volti al contenimento di consumo energetico.

Cass. civ. n. 3549/1989

Al fine di stabilire se le opere modificatrici della cosa comune abbiano pregiudicato il decoro architettonico di un fabbricato condominiale, devono essere tenute presenti le condizioni in cui quest'ultimo si trovava prima dell'esecuzione delle opere stesse, con la conseguenza che una modifica non può essere ritenuta pregiudizievole per il decoro architettonico se apportata ad un edificio la cui estetica era stata già menomata a seguito di precedenti lavori ovvero che sia di mediocre livello architettonico.

Cass. civ. n. 6817/1988

In tema di condominio di edifici, costituisce innovazione vietata ai sensi del secondo comma dell'art. 1120 c.c. (e, pertanto, deve essere approvata dalla unanimità dei condomini), la costruzione di autorimesse nel sottosuolo del cortile comune, in quanto comporta il mutamento di destinazione del sottosuolo da sostegno delle aree transitabili e delle aree verdi a spazio utilizzato per il ricovero di automezzi (con conseguente modifica di destinazione anche dell'area scoperta soprastante a copertura di locali sotterranei) e determina una situazione di permanente esclusione di ogni altro condomino dall'uso e dal godimento di ciascuna autorimessa sotterranea, assegnata ai singoli condomini, ancorché rimasta di proprietà comune.

Cass. civ. n. 8861/1987

Il codice civile, in materia di condominio di edifici, nel riferirsi, quanto alle sopraelevazioni, all'aspetto architettonico dell'edificio e, quanto alle innovazioni, al decoro architettonico dello stesso, adotta nozioni di diversa portata, intendendo per aspetto architettonico la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell'edificio, sicché l'adozione, nella parte sopraelevata, di uno stile diverso da quello della parte preesistente dell'edificio comporta normalmente un mutamento peggiorativo dell'aspetto architettonico complessivo (percepibile da qualunque osservatore), e denotando per decoro architettonico una qualità positiva dell'edificio derivante dal complesso delle caratteristiche architettoniche principali e secondarie, onde una modifica strutturale di una parte anche di modesta consistenza dell'edificio o un'aggiunta quantitativa diversa dalla sopraelevazione, pur non incidendo normalmente sull'aspetto architettonico, può comportare il venir meno di altre caratteristiche influenti sull'estetica dell'edificio e così sul detto decoro architettonico incorrendo nel divieto ex art. 1120 cit.

Poiché le norme del regolamento di condominio di natura negoziale possono derogare o comunque integrare la disciplina legale, deve ritenersi che qualora una norma del regolamento di condominio vieti le innovazioni che modifichino l'architettura, l'estetica o la simmetria del fabbricato, essa non solo contribuisce a definire la nozione di decoro architettonico formulata dall'art. 1120 c.c., ma recepisce anche un autonomo valore (dandone una definizione più rigorosa), nel senso che il decoro architettonico del fabbricato condominiale in questione è qualificato da elementi attinenti alla simmetria, estetica ed architettura generale impressi dal costruttore o comunque esistenti al momento dell'esecuzione della innovazione, sicché l'alterazione di esso (decoro) è ravvisabile, con conseguente operatività del divieto di cui all'art. 1120 c.c., alla menomazione anche di un solo dei predetti elementi. (Nella specie la Suprema Corte ha corretto la motivazione della decisione impugnata nel senso che la norma del regolamento condominiale, nel definire la nozione di decoro architettonico, recepiva un autonomo valore, confermando la decisione stessa poiché i giudici del merito avevano accertato, con esatti criteri, che nel caso concreto la trasformazione di una finestra sul cortile in porta-finestra non aveva pregiudicato alcuno degli elementi di simmetria, architettura ed estetica considerati dall'art. 11 del regolamento condominiale).

Cass. civ. n. 6640/1987

Il decoro architettonico, che, espressamente richiamato dall'art. 1120 c.c., va valutato con riferimento alla linea estetica dell'edificio indipendentemente dal suo particolare pregio artistico, è un bene al quale sono direttamente interessati tutti i condomini ed è suscettibile anche di valutazione economica, in quanto concorre a determinare il valore sia della proprietà individuale, sia di quella collettiva delle parti comuni.

Cass. civ. n. 4474/1987

La tutela del decoro architettonico è stata apprestata dal legislatore in considerazione della diminuzione del valore che la sua alterazione arreca all'intero edificio e, quindi, anche alle singole unità immobiliari che lo compongono. Pertanto, il giudice del merito, per stabilire se in concreto vi sia stata lesione di tale decoro, oltre ad accertare se esso risulti leso o turbato, deve anche valutare se tale lesione o turbativa determini o meno un deprezzamento dell'intero fabbricato, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a un'utilità la quale compensi l'alterazione architettonica che non sia di grave e appariscente entità.

Cass. civ. n. 175/1986

L'alterazione del decoro dell'edificio condominiale (che in sé non è bene comune ma al regime legale dei beni comuni è assoggettato) ben può derivare dall'alterazione dell'originario aspetto di singoli elementi o di singole parti dell'edificio stesso che abbiano sostanziale o formale autonomia o siano comunque suscettibili per sé, di autonoma considerazione senza che possa rilevare la circostanza che analogo manufatto sia stato da altri realizzato su di un diverso fronte dello stesso edificio.

Cass. civ. n. 6269/1984

L'impianto centrale di riscaldamento è normalmente progettato, dimensionato e costruito in funzione dei complessivi volumi interni dell'edificio cui deve assicurare un equilibrio termico di base, prevenendo e distribuendo le dispersioni di calore attraverso i solai e conferendo un apporto calorico alle parti comuni dell'immobile. Conseguentemente, il distacco delle diramazioni relative a uno o più appartamenti dall'impianto centrale deve ritenersi vietato in quanto incide negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune determinando uno squilibrio termico che può essere eliminato solo con un aggravio delle spese di esercizio e conservazione per i condomini che continuano a servirsi dell'impianto centralizzato. Il distacco è, invece, consentito quando è autorizzato da una norma del regolamento contrattuale di condominio o dalla unanimità dei partecipanti alla comunione, ovvero anche quando, da parte dei condomini interessati al distacco, venga fornita la prova che da questo non possa derivare alcuno dei suddetti inconvenienti.

Cass. civ. n. 2846/1982

In materia di condominio devono intendersi per innovazioni della cosa comune, ai sensi dell'art. 1120 c.c., le modificazioni materiali di essa che ne importino l'alterazione dell'entità sostanziale o il mutamento della sua originaria destinazione. Pertanto, non costituiscono innovazioni e non richiedono la preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale le modificazioni delle cose comuni dirette a potenziare o a rendere più comodo il godimento della medesima, che ne lascino tuttavia immutata la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare l'equilibrio tra i concorrenti interessi dei condomini.

Cass. civ. n. 4592/1978

Costituisce innovazione qualsiasi opera nuova che alteri, in tutto o in parte, nella materia o nella forma ovvero nella destinazione di fatto o di diritto, la cosa comune, eccedendo il limite della conservazione, dell'ordinaria amministrazione e del godimento della cosa, e che importi una modificazione materiale della forma o della sostanza della cosa medesima, con l'effetto di migliorarne o peggiorarne il godimento o, comunque, alterarne la destinazione originaria con conseguente implicita incidenza sull'interesse di tutti i condomini, i quali debbono essere liberi di valutare la convenienza dell'innovazione, anche se sia stata programmata a iniziativa di un solo condomino che se ne assuma tutte le spese. Non sono, invece, innovazioni tutti gli atti di maggiore e più intensa utilizzazione della cosa comune, che non importino alterazioni o modificazioni della stessa e non precludano agli altri partecipanti la possibilità di utilizzare la cosa facendone lo stesso maggiore uso del condomino che abbia attuato la modifica.

Cass. civ. n. 839/1978

Nel caso in cui l'innovazione realizzata dal singolo condomino risulta in contrasto con le norme del regolamento edilizio comunale espressamente richiamate dal regolamento di condominio a tutela dell'estetica e del decoro architettonico dell'edificio, nessun'altra indagine deve compiere il giudice per verificare l'illegittimità di tale opera sotto il profilo dell'alterazione dell'estetica e del decoro stessi, trattandosi di aspetto non suscettibile di essere valutato discrezionalmente con risultati eventualmente non coincidenti con quelli pattiziamente voluti dai condomini.

Cass. civ. n. 4922/1977

In tema di condominio degli edifici, l'utilizzazione a parcheggio di autovetture private di un'area comune alberata, originariamente goduta come «parco - giardino», in relazione alla sua apprezzabile estensione, non si traduce in un miglioramento della cosa comune, ma comporta mutamento ed alterazione della destinazione della medesima, in pregiudizio dei diritti dei singoli condomini. Essa, pertanto, non può essere validamente deliberata dall'assemblea del condominio, con le maggioranze previste per le innovazioni utili (artt. 1120 primo comma e 1136 quinto comma c.c.), ma postula l'unanimità di tutti i condomini.

Cass. civ. n. 697/1977

L'assemblea dei condomini, con deliberazione presa a maggioranza, mentre ha potere di predeterminare, sul cortile comune, le aree destinate a parcheggio delle automobili e di stabilire, nell'interno di esse, le porzioni separate di cui ciascun condomino può disporre, non ha, altresì, il potere di disporre la trasformazione dell'area di parcheggio in una vera e propria area edificabile, destinata alla costruzione di alcune autorimesse (a beneficio, oltretutto, non della collettività, bensì dei singoli che intendano profittarne).

Cass. civ. n. 2696/1975

La installazione in un edificio in condominio (o in una parte di esso) di un ascensore di cui prima esso era sprovvisto costituisce, ai sensi dell'art. 1120, primo comma, c.c., una innovazione, con la conseguenza che la relativa deliberazione deve essere presa con la maggioranza di cui al quinto comma dell'art. 1136 c.c., secondo cui l'approvazione deve avvenire «con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio». L'installazione di un ascensore in un edificio in condominio (o parte autonoma di esso), che ne sia sprovvisto, può essere attuata, riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione dell'impianto ed in quelle di manutenzione dell'opera. Sono innovazioni vietate, che, quindi, debbono essere approvate dalla unanimità dei condomini, soltanto quelle che, pur essendo volute dalla maggioranza nell'interesse del condominio, compromettono la facoltà di godimento di uno o di alcuni condomini in confronto degli altri, mentre non lo sono quelle che compromettono qualche facoltà di godimento per tutti i condomini. A meno che il danno che subiscono alcuni condomini non sia compensato dal vantaggio. Pertanto, qualora, al posto della tromba delle scale e dell'andito corrispondente a pianterreno, si immette un impianto di ascensore, a cura e spese di alcuni condomini soltanto, il venir meno dell'utilizzazione di dette parti comuni dell'edificio nell'identico modo originario non contrasta con la norma del secondo comma dell'art. 1120 c.c. perché, se pur resta eliminata la possibilità di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne offre uno diverso, ma di contenuto migliore, onde la posizione dei dissenzienti è salvaguardata dalla possibilità di entrare a far parte della comunione del nuovo impianto.

Cass. civ. n. 2552/1975

I vincoli per la tutela delle bellezze naturali ed artistiche, gravanti sul proprietario di un immobile in edificio condominiale, incidono, in ordine alle opere che comportino modifica della situazione preesistente, solo nei rapporti fra il proprietario esecutore delle opere stesse e la pubblica autorità investita della tutela, ma non possono interferire negativamente sulle posizioni soggettive attribuite agli altri condomini dall'art. 1120, secondo comma, c.c. per la preservazione del decoro architettonico dell'edificio; da ciò consegue che, al fine di accertare la legittimità o meno, ai sensi del citato art. 1120, secondo comma, c.c., della innovazione eseguita dal proprietario di un piano o di una porzione di piano, in corrispondenza della sua proprietà esclusiva, è irrilevante che l'autorità preposta all'indicata tutela abbia autorizzato l'opera medesima.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1120 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. A. chiede
lunedì 12/02/2024
“buongiorno, ho 70 anni e il garage condominiale ha due ingressi, uno con serranda motorizzata stretto e uno con serranda manuale più ampio, ho appena cambiato la macchina e la nuova non passa più nell'ingresso serranda motorizzata, quindi sono costretto a lasciare l'auto fuori perchè la mia forza e due ernie discali non mi permette di sollevare la serranda manuale con ingresso più ampio, il problema nasce dal momento che un proprietario possiede più della metà dei posti auto che affitta e non si riesce a deliberare la motorizzazione della serranda in quanto lui è contrario con i millesimi a suo favore, può venirmi in aiuto il codice civile l'amministratore dice che non può fare nulla?”
Consulenza legale i 14/02/2024
A parere di chi scrive l’inserimento di una motorizzazione nella serranda manuale rappresenta una innovazione di cui al 1° comma dell’art.1120 del c.c. in quanto tesa al miglioramento e al miglior godimento della cosa comune. Purtroppo, il 5°comma dell’ art. 1136 del c.c. richiede un quorum deliberativo molto elevato, affinché l’assemblea possa deliberare tali tipo di innovazione (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno i 2/3 del valore dell’edificio: 666 millesimi). Se ovviamente durante la riunione non si forma la maggioranza prescritta dalla legge l’amministratore non può procedere con i lavori.

È però possibile scavalcare gli organi condominiali decidendo di installare la motorizzazione della serranda a proprie spese: questo rientra nei poteri riconosciuti da ciascun comproprietario dall’art.1102 del c.c. (in questo senso molto chiara: Corte app. civ. Milano, sez. I, 7 marzo 1980, n. 368).
L’art. 1102 del c.c. riconosce infatti al singolo partecipante alla comunione il diritto di apportare alla cosa comune tutte le migliorie necessarie per garantire un suo miglior godimento, purché non ne alteri la destinazione economica e non impedisca agli altri di farne parimenti uso.

L’ installazione di una motorizzazione nella serranda comune rispetta perfettamente le prescrizioni previste dall’art.1102 del c.c. e, se lei decidesse di procedere in tal senso, ne una delibera assembleare né un condominio individualmente o l’amministratore stesso avrebbe il potere di impedirglielo.
Ovviamente prima dell’inizio dei lavori sarà comunque opportuno avvisare con congruo anticipo l’amministratore di condominio, comunicandogli la decisione presa e la data di inizio dei lavori.


M. S. chiede
mercoledì 18/10/2023
“Buongiorno,
nel mio condominio di 13 appartamenti l'assemblea sta discutendo della possibile installazione di pannelli fotovoltaici volti ad alimentare le utenze condominiali (ascensore, luci, pompe riscaldamento, etc.).
Io giudico che la spesa non sia necessaria ne abbia un ritorno economico interessante e sufficiente a gustificarla e non voglio quindi parteciparvi.
Non impedisco a chi vuole partecipare alla spesa di farlo e di ottenere i vantaggi accettando di non goderne dei vantaggi conseguenti (risparmi di spesa per corrente) e non chiedo di avere alcun diritto sulla proprietà: continuerei semplicemente a pagare le spese dei consumi come ho sempre fatto secondo mia quota.
La mia esclusione dall'investimento comune consente comunque la realizzazione dell'impianto, che puo' essere ordinato da una quantità limitata di condomini, non essendovi "barriere all'accesso" (vastità e varietà di offerte tecnico/impiantistiche e commericali che consentono proporzionalità di spesa secondo taglia/dimensioni d'impianto. La gestione e la ripartizione dei vantaggi è inoltre possibile e facile attraverso le informazioni date da semplici soluzioni informatiche fornite insieme alle apparecchiature dell'impianto fotovoltaico - telemetria e registrazione totale dei parametri di funzionamento, consumi dell'utenza, produzione di energia solare - combinate con le informazioni contenute in bolletta (es. Enel): queste informazioni combinate consento in modo trasparente l'attribuzione a ciascuno (partecipanti e non), in modo trasparente e corretto, di costi e vantaggi.

Quesito: posso quindi invocare l'articolo 1121 per escludermi dal partecipare ? (no costi, non proprietà, no vantaggi) considerando la spesa "voluttuaria" (non indispensabile ne necessaria perché si può andare avanti anche senza come ora, non conveniente da un punto di vista del ritorno economico e quindi sproporzionata rispetto ai vantaggi ipotizzati, passibile di utilizzo separato perché accessibile a costi/vantaggi proporzionali anche ad un numero limitato di condomini.”
Consulenza legale i 20/10/2023
Nel caso prospettato non vi è spazio per l’applicazione dell’art.1121 dei c.c. disciplinante innovazioni che possono considerarsi gravose o voluttuarie.
La riforma del condominio del 2012 ha introdotto una particolare disciplina la quale è tesa ad agevolare in condominio l’installazione di impianti fotovoltaici e altre opere similari tese a produrre energia da fonti rinnovabili. In particolare il n. 2 del comma 2° dell’ art. 1120 del c.c. dispone che l’assemblea del condominio possa deliberare la realizzazione di tali interventi con le maggioranze di cui al 2° comma dell’art. 1136 del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio: 500 millesimi), in luogo dei quorum deliberativi sicuramente più elevati previsti dal 5° comma del medesimo articolo (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno i due terzi del valore dell’edificio: 666 millesimi).

Tale novità normativa impedisce che l’installazione di un impianto fotovoltaico possa considerarsi una opera voluttuaria ai sensi del successivo art. 1121 del c.c.: per innovazione voluttuaria si intende quell’opera la quale sia priva di una oggettiva utilità. Tale valutazione ai fini dell’art.1121 del c.c. non deve essere effettuata in base alle intime convinzioni del singolo condomino, ma in base alle caratteristiche oggettive dell’opera da installare e dell’edificio in cui essa deve essere inserita. L’impianto fotovoltaico non può essere considerato una innovazione inutile, dal momento che lo stesso legislatore ne incentiva la messa in opera in condominio prevedendo dei quorum deliberativi più bassi rispetto alle altre tipologie di innovazioni previste dal 1° dell’art.1120 del c.c. e facilitandone in questo modo l’approvazione in sede assembleare.

Posto che tali quorum sono stati raggiunti e posta l’inoperatività dell’art. 1121 del c.c., ai sensi del 1° co. dell’art. 1137 del c.c. la minoranza dissenziente deve sottostare alla volontà della maggioranza dei condomini e sopportare gli oneri per l’installazione dell’opera, godendo nel contempo dei vantaggi che essa apporta all’edificio, anche se si ritengono irrilevanti e di poco conto.


M. D. chiede
mercoledì 27/09/2023
“Sono condomina di un edificio per aver acquistato un immobile nel 2018 e per averne ereditato dai miei genitori un altro nel 2016. Nel 2019, da sola ossia al posto del condominio, ho citato in giudizio un altro condomino per far rimuovere una veranda edificata nel 2004 (2002 secondo i convenuti) al piano attico sulla terrazza in uso esclusivo, veranda mai autorizzata dal condominio (che nel giudizio è contumace). Il tribunale mi ha riconosciuta legittimata all'azione al posto del condominio e ha ordinato la demolizione in quanto la veranda è lesiva del decoro e delle linee architettoniche. Non ha riconosciuto invece la domanda di coercizione indiretta ex art. 614 bis (che ho avanzato non nel primo atto di citazione bensì alla prima udienza) presumo ritenendola domanda nuova (come teorizzato da controparte).
Controparte ha proposto appello significando che io non fossi legittimata ad agire in quanto erede dei miei (anziani e poi defunti) genitori che, a parere di controparte, erano stati acquiescenti per anni (io in realtà ho anche acquistato e non solo ereditato). Ciò premesso, vorrei sapere se:
- la tesi di controparte è corretta in merito alla mia presunta carenza sostanziale di legittimazione all'azione del ripristino del decoro e delle linee architettoniche dell'edificio in quanto erede dei miei genitori
- la decisione di non riconoscere la domanda accessoria di cui al 614 bis perché presunta tardiva o nuova è corretta oppure mi consigliate l'appello incidentale per insistere su questo punto onde ottenere l'abbattimento della veranda (che altrimenti resterà lì per una vita)?
Esiste giurisprudenza sul punto entro quale fase del processo oppure in quale giudizio (ad esempio per la prima volta in appello ?) può essere proposta la domanda di 614 bis cpc ?”
Consulenza legale i 13/10/2023
Per quello che si è potuto capire dai documenti che corredano il presente parere (sentenza e atto di appello di controparte) ci si sente di affermare che il contenzioso è sicuramente ben incardinato, mentre paiono piuttosto flebili le argomentazioni di controparte. Le argomentazioni difensive di parte attrice si ritengono solide in quanto poggiano su concetti che si possono definire ormai acquisiti nel diritto condominiale.

È innanzitutto ormai principio consolidato che la titolarità della azione per la tutela del decoro architettonico spetti anche al singolo condomino: anche tale bene comune immateriale viene considerato infatti una proprietà del condominio (al pari dei manufatti elencati dall’ art. 1117 del c.c.) alla cui salvaguardia è legittimato oltre all’amministratore anche il singolo proprietario: in questo senso è molto chiara l’ordinanza della Cassazione n. 28465 del 05.11.2019 citata anche nella sentenza di primo grado.
Sotto questo aspetto le difese di controparte appaiono a parere di chi scrive scarsamente convincenti. Esse puntano maldestramente a confondere le acque dicendo sostanzialmente che parte attrice starebbe promuovendo l’azione non in proprio ma in qualità di erede dei propri genitori, i quali, con comportamenti tenuti in assemblee promosse prima che l’autrice del quesito divenisse proprietaria, avrebbero prestato acquiescenza e tacita accettazione all’opera che si ritiene lesiva del decoro.
Ammesso e non concesso che gli atti e i comportamenti tenuti dai genitori e familiari di parte attrice possano costituire tacita accettazione dell’opera, tale circostanza è del tutto ininfluente e irrilevante. Parte convenuta infatti omette di sottolineare un dettaglio fondamentale: nel momento in cui si eredita, per l’effetto si diventa anche proprietari della unità immobiliare in condominio e quindi si acquisisce anche nel contempo lo status di condomini, potendo quindi esercitare iure proprio e non certamente iure hereditatis tutte quelle azioni e prerogative che appartengono all’essere condomini di quel palazzo, tra cui certamente come abbiamo già detto rientra la tutela del decoro architettonico.
Tutti i comportamenti infatti che costituirebbero in teoria accettazione tacita dell’opera vengono imputati dalla controparte ai genitori di parte attrice e non alla persona della parte attrice medesima, la quale certamente non poteva prestare acquiescenza a nulla visto che ella all’epoca dei fatti, per quanto si è inteso, non era condomina del palazzo.

Il secondo principio assolutamente granitico su cui si fonda le difese dell’autrice del quesito risiede nella natura giuridica dell’azione a tutela del decoro.
Tale azione infatti essendo una manifestazione del diritto di proprietà del singolo condomino non è soggetta a termini di prescrizione: il co. 3° dell’ art. 948 del c.c. ci dice che l’azione per rivendicare la proprietà è imprescrittibile, fatto salvo il termine per usucapire, il quale ai sensi dell' art. 1158 del c.c. è generalmente di venti anni.
(Cass.Civ. n.7727/00).
Anche sotto questo aspetto le difese di controparte paiono flebili anche se aiutate da motivazioni della sentenza che paiono piuttosto carenti.
La lesione al decoro architettonico non si realizza infatti necessariamente solo con una sopraelevazione ex art. 1127 del c.c., ma con qualsiasi opera il quale comporti una significativa lesione alle linee armoniche del fabbricato condominiale. È questo infatti l’onere probatorio che incombe sul proprietario che sostiene che vi sia stata una lesione al decoro del suo palazzo, onere probatorio che a parere di chi scrive è stato assolutamente assolto da parte attrice anche con l’ausilio della perizia del CTU nominato dal giudice di primo grado che sostanzialmente sposa le argomentazioni attoree.

Controparte, per quanto si è inteso, vorrebbe far credere che la lesione al decoro si concretizzerebbe solo attraverso una sopraelevazione, mentre le altre modalità di lesione, come per esempio un improprio aumento di cubatura, non costituirebbe una lesione al decoro, e pertanto non godrebbero della sostanziale imprescrittibilità di cui all’art. 948 del c.c. Viceversa, secondo sempre le argomentazioni di controparte, l’azione per far valere queste altre forme di lesione “secondarie” sarebbe soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 del c.c.. Sotto questo aspetto, ci si limita a dire che questa ricostruzione non sta in piedi e per quanto si sa non trova conforto in nessuna pronuncia giurisprudenziale nota a chi scrive.

Forse l’unica piccola sbavatura della difesa di parte attrice è rappresentata dalla domanda avanzata ai sensi dell’art. 614bis del c.p.c., rubricato misure di coercizione indiretta. Tale domanda è sicuramente opportuno formularla in un tipo di contenzioso come quello descritto, ma essa è stata avanzata tardivamente nel processo di primo grado. Si consiglia per questo di non coltivarla nel successivo grado di appello, anche perché grazie alla recente riforma Cartabia sul processo civile, potrà essere proposta eventualmente nel giudizio di esecuzione nel caso in cui controparte non ottemperasse all’ordine di demolizione.

La nuova formulazione dell’art. 614bis del c.p.c. come introdotta dalla riforma Cartabia consente di avanzare la domanda di misure coercitive anche nel giudizio di esecuzione se non richiesta nel precedente processo di cognizione. A parere di chi scrive questa novità normativa rende quindi del tutto inutile coltivare nel giudizio di appello la richiesta di misure di coercizione in quanto in quella sede tale tipo di richiesta è ormai compromessa.


A. N. chiede
sabato 19/11/2022 - Sicilia
“Buongiorno.
Abito in un condominio/edificio di 10 appartamenti in 3 piani/ giardinetti, corti varie e terrazze.
Al piano di campagna - in area di proprietà comune - a suo tempo fu trivellato un pozzo freatico per utilizzo comune, successivamente denunciato in sanatoria.
Domanda: volendo utilizzare l'acqua estratta dal pozzo - oltre che per innaffiare piante dei giardinetti - anche per piante da balcone, pulire balconi e terrazzi e simili (comunque esclusivamente usi per esigenze di acqua non potabile), a favore dei i condomini in tutti i piani, la legge ci consente di installare a tal fine delle tubazioni apposite dal minimo impatto (ad esempio affiancate ai tubi del gas), esterne all'edificio (esclusi i prospetti principali), con contatore/rubinetto a livello di balcone/terrazzo/corte/ecc. per singolo utilizzatore, anch'essi esterni all'edificio?
Sentitamente grazie per la risposta, possibilmente con citazione delle norme a favore. Distinti saluti.”
Consulenza legale i 25/11/2022
La normativa di riferimento pare essere quella prevista dall’art. 1120 c.c. in tema di innovazioni.
Il primo comma stabilisce che i condomini possano disporre le innovazioni per il miglioramento o l’uso più comodo delle cose comuni o per poter avere un maggior rendimento dalle stesse.
Per approvare tali interventi è necessario che l’amministratore convochi l’assemblea e che la delibera sia approvata con la maggioranza prevista dall’ 1136 comma 5 che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno i due terzi del valore dell’edificio.
L’unico limite previsto dalla norma è quello del pregiudizio alla sicurezza e alla stabilità dell’edificio e l’alterazione del decoro architettonico.

Sarà ovviamente necessario far redigere una relazione tecnica prima di realizzare questo intervento così da verificare eventuali rischi per il fabbricato e per i condomini.
Se non ci fossero problemi di questo genere rimarrebbe solo l’incognita del pregiudizio al decoro architettonico, opponibile da ogni condomino.

La legge non indica cosa si intenda per alterazione del decoro architettonico e la valutazione sul punto viene svolta dal giudice di merito in concreto.

Per mettere al riparo da eventuali impugnazioni della delibera per alterazione del decoro architettonico, si ritiene utile che l’assemblea approvi l’intervento all’unanimità.

Si segnala, inoltre, che per posizionare nuovi tubi su un edificio, sebbene vicino ad altri già esistenti, è necessario rispettare la distanza di un metro dal confine prevista dall’889 comma 2.

Renzo M. chiede
mercoledì 23/06/2021 - Veneto
“art.1120 cc [innovazioni] > MODIFICHE PROSPETTICHE CONDOMINIALI

Attualmente abito in una unità residenziale facente parte di un complesso a schiera di 4 unità.

Il vicino, ai sensi dell'art 1117 cc, ha chiesto l'assenso per eseguire delle modifiche prospettiche [ovviamente sulla sua unità], assenso che io ho ritenuto di NON dare.

Sempre il vicino, "forte di aver ottenuto" [dice lui, ma io non ho mai visto il documento...] il consenso da parte di 3 condomini su 4 [senza, tra l'altro, aver mai comunicatomi la reale e corretta natura delle modifiche e, soprattutto, senza aver mai convocato una riunione condominiale atta all'eventuale delibera delle stesse] ha eseguito comunque i lavori [vedi foto esemplificativa allegata].

Secondo il mio modestissimo parere l'azione unilaterale del vicino presenta 2 chiare problematiche :
una formale > la mancata convocazione dell'assemblea e della conseguente delibera;
e
una sostanziale > riguardante la maggioranza necessaria per autorizzare le modifiche prospettiche [che mi sembra di aver capito dall'art. 1120 non essere autorizzabili salvo che all'unanimità].

In attesa di una vs preziosa consulenza per oppormi a qs scempio architettonico, resto a disposizione per eventuali chiarimenti e saluto con cordialità.”
Consulenza legale i 25/06/2021
Il decoro architettonico seppur non espressamente definito dal nostro codice civile, rimane uno degli istituti più rilevanti del diritto condominiale e una delle cause che più genera contenzioso tra i proprietari.
La mancanza di una specifica definizione legislativa, è stata colmata dalla giurisprudenza che oramai con le pronunce che si sono susseguite negli anni è giunta ad una definizione che si può oramai considerare acquisita.
Per decoro architettonico si intende l’insieme delle linee armoniche che caratterizzano l’estetica del fabbricato: si ha la sua lesione quando un determinato intervento, sia su parti comuni che su parti in proprietà esclusiva, comporta una loro alterazione esteticamente peggiorativa.
Perché si possa ottenere giudizialmente la rimozione della opera eseguita senza l’autorizzazione assembleare che si intende lesiva del decoro (ovviamente a spese di chi tale opera l’ha realizzata), è essenziale dimostrare che la stessa crei una rilevante alterazione delle linee del fabbricato.

Nel caso specifico siamo di fronte ad un complesso edile composto da quattro villette a schiera e tra i pochi beni e servizi comuni vi è sicuramente il suo decoro architettonico fortemente caratterizzante le quattro costruzioni.
Il decoro architettonico seppur sia un bene condominiale estremamente importante, può essere legittimamente modificato anche profondamente nel momento in cui tutti i proprietari all’unanimità accettino la sua alterazione, autorizzazione unanime che potrebbe avvenire anche fuori da un contesto rigidamente assembleare. Viceversa, una decisione semplicemente presa a maggioranza che autorizzasse una profonda modifica alle linee architettoniche del fabbricato sarebbe radicalmente nulla per contrarietà alle norme di legge ed in particolare all’art.1120 del c.c.

Il comportamento tenuto dal vicino è sicuramente contrario alle più elementari norme del diritto condominiale e stante l’evidente lesione del decoro architettonico del complesso è ben possibile per uno degli altri proprietari adire l’autorità giudiziaria anche con un provvedimento cautelare d’ urgenza per bloccare i lavori e chiedere il ripristino dei luoghi nella situazione antecedente. Ad ogni modo dopo il ricorso al rimedio cautelare, stante la tipologia di lite è altamente consigliabile ricorrere all’istituto della mediazione civile. Ovviamente accanto al legale è importante nominare un tecnico edile che affianchi l’avvocato durante l’intero contenzioso e le operazioni peritali che inevitabilmente dovranno essere richieste.


FABIO R. chiede
domenica 21/02/2021 - Sicilia
“oggetto: eventuale dissidio sul mantenimento cavedio
gen.mi avv.ti redazione giuridica
desidererei questa volta una delucidazione consulenza legale il cui oggetto è uno dei 2 cavedi realizzati in origine fra i tramezzi quindi all'interno della superficie planimetrica di unità immobiliare (parte di un edificio ad uso residenziale in condominio).
l'adibizione di detto cavedio è lo smaltimento vapori e fumi piano cottura.
sono anni almeno da prima che acquistassi nel giugno 1999 la citata unità immobiliare che però il bene comune trovasi in stato di disuso (probabilmente nell'intrinseco concetto di edilizia economica e popolare, a ben vedere scarsamente lungimirante, con cui è nato il complesso immobiliare intorno all'anno 1956) ma in sostanza per motivi funzionalità costituendo un ostacolo oggettivo a migliore distribuzione spazi specie per il vano cucina a renderla più abitabile possibile (cosa di rilevante importanza in ambienti moderni).
a)_
ci sono condomini che hanno già dismesso la parte di detto cavedio relativa al proprio appartamento come me.
b)_
ci sono condomini che mantenendo la parte di detto cavedio relativa al proprio appartamento probabilmente avrebbero in animo rivendicare miserabilmente chissà' cosa per un cavedio che neanche loro usano.
in occasione dei sopralluoghi alle unità immobiliari per le verifiche conformità urbanistiche e studio fattibilità propedeutici agli interventi efficientamento energetico con agevolazione fiscale del 110%,
e
posto che interventi interni al perimetro planimetrico unita' immobiliare nella disposizione interni e non interessanti elementi strutturali non dovrebbero richiedere autorizzazioni di pubblica amministrazione urbanistica
chiederei:
1_
i riferimenti legge che possono supportare ciascuna delle due posizioni dei condomini cui alla lettera a oppure b decorsi tanti anni di disuso del bene comune, quindi la soluzione più realistica e consigliabile
2_
quali disposti legge o sentenze di peso potrebbero favorire e permettere con risolutezza la volontà di sostituire con idonea alternativa la funzione canne fumarie e relativo cavedio di manutenzione più complicata (ad es. con una "presa aria tubolare con aspirazione elettrica" autonoma per ciascun appartamento nel muro esterno lato veranda) ma che in compenso permetterebbe rendere in un appartamentino abitabile la cucina).
3_
se e quale maggioranza condomini interessati fosse sufficiente a dirimere l' eventuale dissidio deliberando caso mai a favore di una delle 2 posizioni condomini alla lettera a oppure b cui sopra ossia:
- ipotesi col supporto di un riferimento di legge a difesa di fondato motivo di riqualificazione logistico organizzativa a promozione di miglior clima abitativo di socialità e convivialità creando idonea alternativa con dismissione e sostituzione canne fumarie e relativo detto cavedio;
- ipotesi obbligo o meno di ripristino struttura e/o uso cavedio come in origine ma che non risolverebbe il problema della cucina non abitabile.”
Consulenza legale i 12/03/2021
Il quesito purtroppo non è chiaro: per quanto ci è dato capire, parrebbe che il suo autore voglia sostituire il sistema degli scarichi dei fumi del palazzo con uno maggiormente efficiente.
Sulla base di quanto riferito e rappresentato il cavedio nulla centra: in realtà si vuole realizzare nel palazzo una innovazione apportando un radicale mutamento al sistema dello scarico dei fumi.
Tale tipo di innovazione rientra tra quelle indicate dal n.1) del 2° co. dell’art. 1120 del c.c. in quanto tesa ad apportare un miglioramento per la sicurezza e la salubrità dell’edificio e dei suoi impianti. Tali tipologie di innovazioni devono essere ovviamente deliberate dalla assemblea di condominio con le maggioranze indicate dal 2° co. dell’art. 1136 del c.c.: maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio (500 millesimi).

Se dopo aver realizzato i lavori nel sistema di scarico dei fumi del palazzo, si vorrà addivenire ad una modifica della destinazione d’uso del cavedio, ciò è possibile farlo seguendo l’iter descritto dall’art. 1117 ter del c.c. Tale norma innanzitutto richiede delle maggioranze particolarmente elevate affinché si possa deliberare su tale argomento: per addivenire al cambio di destinazione del cavedio è necessaria la maggioranza dei 4/5 dei partecipanti al condominio, rappresentanti almeno i 4/5 del valore dell’’edificio (circa 800 millesimi).
Ma questo non è l’unico ostacolo da superare in quanto la norma in esame richiede, inoltre, una convocazione rafforzata della assemblea che dovrà deliberare il cambio di destinazione d’uso.
La convocazione della riunione deve essere affissa per almeno trenta giorni nei locali di uso comune o negli spazi a ciò destinati e deve essere recapitata dall’amministratore ai singoli proprietari a mezzo raccomandata o altri equipollenti mezzi elettronici almeno 20 giorni prima del giorno fissato per la riunione condominiale.
Il 3° comma dell’art 1117 ter del c.c. dispone inoltre che a pena di nullità della convocazione la stessa deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso.
E’ interessante notare come il comma 3° dell’art. 66 disp. att. del c.c. disciplinante la convocazione ordinaria della assemblea, prevede che la convocazione possa essere recapitata anche a mano ai singoli condomini almeno 5 giorni prima della data fissata per l’adunanza, e non prevede alcun requisito la cui mancanza comporti la totale nullità dell’atto di convocazione. Il legislatore, quindi, in merito al cambio di destinazione d’uso ha previsto una modalità di convocazione rafforzata della assemblea condominiale, che aumenta gli adempimenti richiesti all’amministratore rispetto a quelli previsti dalla normativa ordinaria.

Proseguendo in questo senso, il comma 4° dell’art 1117 ter del c.c., dispone che la delibera adottata dalla assemblea convocata nella modalità di cui ai precedenti commi, deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti di convocazione previsti dalla normativa speciale in commento.
Infine è giusto precisare che l’art. 1118 del c.c. dispone che il condomino non può rinunziare al diritto sulle parti comuni e non può sottrarsi al pagamento delle spese necessarie per la conservazione dei beni condominiali.
In ragione di ciò, nessun condomino può rinunciare all’utilizzo del cavedio e una rinunzia di tale tenore sarebbe radicalmente nulla; inoltre, tutti i condomini sono tenuti a partecipare alle spese di conservazione del cavedio e dell’impianto dei fumi del palazzo. Per tale motivo, le maggioranze indicate dagli artt. 1120 e 1117 ter del c.c. devono essere conteggiate tenendo conto della totalità dei condomini al di là delle intenzioni che ciascuno nutre nei confronti del cavedio e dell’impianto di gestione dei fumi.

SERGIO . B. chiede
giovedì 05/03/2020 - Piemonte
“Ho letto la risposta della consulenza Q202024758 e provo fare ora alcune ipotesi pratiche per avere una semplice risposta per ognuna delle seguenti sei domande.
1) abbiamo un solo amministratore che ha sempre misconosciuto la fattispecie del “supercondominio” in cui senza dubbio ci troviamo.
2) nell’assemblea generale, quando ci sono argomenti specifici come scale e ascensori viene invitato a votare solo il gruppo di condomini interessati. Se per esempio l’edificio D deve cambiare l’argano dell’ascensore, mentre gli altri edifici A, B, C, non hanno questa esigenza, sono chiamati a votare i soli condomini dell’edificio D per cui i 250 millesimi in ambito generale diventano proporzionalmente 1000 millesimi nel caso parziale. Da noi non si fanno assemblee parziali e separate.
3) nell’assemblea generale di aprile 2019 abbiamo votato tutti insieme per sancire che le canne fumarie esterne danneggiano gravemente il decoro architettonico, anche in considerazione del fatto che gran parte del rivestimento dei quattro edifici è fatto in pietra pregiata “Ceppo di Grè”. Il rischio che in una prossima votazione analoga, che riguarda una eventuale nuova soluzione esterna meno impattante, l’assemblea approvi, c’è. Qui nasce il dilemma: è legale una tale votazione generale per la sostituzione delle dodici canne fumarie anche se riguardano singoli gruppi di sette condomini alcuni dei quali magari contrari?
4) ipotizzando che si proponga la votazione per edificio, come per l’ascensore, essendoci tre canne fumarie indipendenti a rigor di logica dovrebbero essere i tre singoli gruppi, ognuno di sette condomini, ad esprimersi per la propria canna fumaria. La domanda è: possono i due gruppi di condomini dell’edificio D (escludo quelli degli altri edifici A, B, C) che utilizzano due canne fumarie 1 e 2, per un totale di 14 condomini, deliberare per la canna fumaria 3 utilizzata dagli altri sette condomini (ambito edificio D: 14 favorevoli 7 contrari)?
5) votando per singola canna fumaria, funzionale ai sette condomini, se tre di questi sono favorevoli all’innovazione e quattro non lo sono la delibera è negativa o positiva?
6) la commissione europea, nel regolamento UE 813/2013, dopo analisi costi benefici ha ritenuto che una tale trasformazione per condominii con sistemi fumari aperti come il nostro non è economicamente conveniente. Quindi non è obbligatoria, non é necessaria e non è conveniente. Vale la pena di sacrificare l’estetica per un pungo di mosche e fantomatiche performances di valore commerciale e non tecnico?
7) nel caso di votazione per singola canna fumaria, se 4 condomini sono favorevoli e gli altri tre non lo sono, perché hanno caldaie perfettamente funzionanti e conformi alle vigenti normative, questi ultimi possono chiedere di ritardare l’intervento o devono rottamare inutilmente apparecchi ancora validi anche se nessuno al momento necessita tale e immediata trasformazione?
8) visto l’orientamento della legislazione UE verso la costruzione di case solari che non necessitano di caldaie e di combustibili fossili, ma già da vari anni utilizzano pompe di calore come nei costruendi edifici, se personalmente decidessi di fare questa futura ecologica e conveniente trasformazione, di gran lunga superiore alla caldaia a condensazione, posso dissociarmi dall’innovazione deliberata rinunciando all’uso del nuovo sistema fumario e continuare l’uso della vecchia canna fumaria fino all’approntamento della pompa di calore?”
Consulenza legale i 09/04/2020
Per rispondere in maniera completa alle singole domande poste, si suddividerà l’elaborato seguendo i punti espositivi elencali nel quesito.

Punti 1) e 2)

In molte realtà condominiali capita sovente che il supercondominio per esigenze pratiche non venga “costituito”, anche se, come già detto, per avere un supercondominio non è necessario alcuna delibera assembleare, la quale non farebbe altro che prendere atto di una situazione di fatto già in essere e giuridicamente rilevante.

Proprio per questo, è quasi la prassi che l’amministratore, anche per esigenze organizzative, convochi una unica assemblea generale che racchiude quella di tutti i condomini del complesso edile. In realtà, questo comportamento non è vietato dalla legge: come si è già accennato nel precedente parere, non è necessario, in un contesto di supercondominio, che si tengano assemblee separate in giorni e orari distinti. Soprattutto quando gli edifici che compongono il supercondominio hanno lo stesso amministratore, il professionista in unica convocazione chiama a riunirsi le singole assemblee nel medesimo giorno e alla medesima ora, indicando in essa gli argomenti che dovranno essere trattati e che competono alla assise del condominio A, a quella del condominio B e così via... giungendo, infine, agli argomenti che riguardano i beni comuni a tutti gli edifici e, come tali, di competenza della assemblea del supercondominio.

Durante lo svolgimento della assemblea, o sarebbe più giusto dire delle assemblee, vengono chiamati a votare solo il gruppo di condomini interessati, applicando, per determinare i quorum costitutivi e deliberativi della specifica riunione, i millesimi generali del singolo palazzo, che si è sicuri sono stati elaborati anche nel complesso edile in cui abita il nostro lettore; analogamente per gli argomenti riguardante l’intero complesso si applicherà la tabella dei millesimi generali riferibile al supercondominio, che dovrebbe essere stata parimenti a suo tempo elaborata. Non si ha quindi motivo di ritenere errata la prassi applicata dall’amministratore.

Punti 3) e 4).

Chiarito che vi sono argomenti che attengono ai singoli edifici, e argomenti che attengono al gruppo di edifici nel suo complesso, è giusto dire che ogni opera o modifica, sia essa qualificabile come una innovazione o un lavoro straordinario, che va ad impattare sul decoro architettonico dell’intero comprensorio, diventi un argomento di cui deve essere investita l’assemblea del supercondominio.

Per giurisprudenza assolutamente costante con il termine di decoro architettonico si intende l’estetica, data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato medesimo e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia. Se è piuttosto acquisito il concetto di decoro architettonico riferibile ad un singolo edificio, diventa molto più incerto riferirlo al supercondominio.
Applicando l’insegnamento di Cass.Civ.,Sez.II, n. 17875 del 23.07.2013, possiamo dire che impattano sulla estetica dell’intero comprensorio quelle opere che incidono su quei fregi ornamentali comuni a tutti gli edifici che come tali concorrono a formare le linee estetiche e quindi il decoro architettonico dell’intero complesso. Della realizzazione di tali opere deve necessariamente essere investita l’assemblea del supercondominio. Deve escludersi il carattere supercondominiale a tutte quelle opera che incidono invece in via esemplificativa:
  • sulla conservazione di muri e coperture
  • la posa dei portoni
  • il rifacimento dei pluviali riguardanti l'edificio principale ecc. ecc.
Della realizzazione di tali opere deve essere investita l’assemblea del singolo edificio, non avendo alcun potere decisionale l’assemblea del supercondominio.

Giunti a questo punto, è giusto chiedersi: il rifacimento delle canne fumarie dei singoli edifici incide sul decoro architettonico supercondominiale?
A questa domanda chi scrive non può dare risposta, in quanto si dovrebbe andare ad analizzare le modalità di esecuzione dell’opera e le tecniche costruttive. Forse il soggetto più qualificato in questo senso è proprio l’autore del quesito che, par di capire, lavora nel campo edile occupandosi di impiantistica.
A seconda della risposta a questa domanda sorgono, però, diverse conseguenze che si vanno a sintetizzare.

  1. Il rifacimento delle canne fumarie incide sul decoro architettonico dell’intero comprensorio. Se così fosse, l’assemblea del supercondominio sarebbe, ad avviso di chi scrive, competente a deliberare sia se fare o meno l’intervento, sia sulle modalità realizzative dello stesso.

  1. Il rifacimento delle canne fumarie NON incide sul decoro architettonico dell’intero comprensorio. In questo caso la situazione sarebbe radicalmente diversa, in quanto visto che non vi è coinvolto un interesse supercondominiale, l’assemblea generale non avrebbe alcun potere di deliberare in merito, e se lo facesse la delibera sarebbe radicalmente nulla in quanto affetta dal vizio di eccesso o carenza di potere (in questo senso si devono seguire gli insegnamenti delle SS.UU. con la sentenza n. 4806 dell’08.03.05). L’unico organo competente sul punto sarebbe l’assemblea composta dai proprietari del singolo edificio.

Posto questo, è utile precisare che la lesione al decoro architettonico avviene perché nelle parti comuni od esclusive di un edificio viene eseguita un’opera che altera le linee architettoniche del progetto originario: la lesione non può mai avvenire per la presenza di un manufatto che era già presente nell’edificio, o nell’ intero complesso di edifici, nel momento in cui lo stesso è stato edificato da parte della impresa edile. In altre parole, dato per scontato che l’attuale sistema di canne fumarie era già presente negli edifici nel momento in cui gli stessi sono stati costruiti, non può sussistere una lesione al decoro architettonico! Semplicemente è accaduto che, in maniera del tutto arbitraria, i condomini riuniti nella assemblea supercondominiale hanno deciso di modificare il loro sistema di riscaldamento, ponendo a giustificazione di tale scelta una inesistente lesione al decoro. Ne deriva, come conseguenza che quanto deciso nella assemblea del 19.04.19 potrebbe essere nullo, in quanto la scelta se modificare o meno l’impianto fumario spettava alla assemblea dei singoli edifici.
Una delibera assembleare nulla può essere impugnata in ogni tempo anche oltre i rigidi termini di 30 gg. di cui all’art.1137del c.c., e può essere fatto da chiunque vi abbia interesse, anche da chi ha contribuito col proprio voto favorevole a far adottare la delibera viziata.

Da quanto detto discende anche la riposta al quesito n.4) in quanto, ponendo che non vi è alcuna lesione al decoro, i condomini dell’edificio D) non possono decidere sulla modifica all’impianto fumario degli altri condomini, in quanto, da quello che si è capito, ciascun palazzo ha un impianto fumario autonomo, per gruppi di 7 condomini.


Punti 5), 6) e 7)

Chiarito quale assemblea dovrebbe essere competente a deliberare sulla realizzazione dell’opera, si precisa che, dando per presupposto che l’assise abbia il potere di deliberare sull’argomento, essa è assolutamente libera e sovrana di scegliere le modifiche al sistema di riscaldamento che ritiene più opportuno, a condizione, ovviamente, che siano raggiunti i quorum costituivi e deliberativi richiesti dall’art. 1136 del c.c. Il 1°comma dell’art. 1137 del c.c. ci dice, inoltre, che le deliberazioni prese dall'assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini.
Per tali motivi posto che, per quanto ci è dato capire, né la normativa comunitaria né quella nazionale vietano espressamente, rendendoli quindi contrari alla legge, il rifacimento dell'impianto che una parte dei condomini è intenzionata a porre in essere, l’assemblea è assolutamente libera di scegliere la soluzione più opportuna e la minoranza dissenziente è obbligata a conformarsi alla decisione formalizzata nella delibera.
Per quanto riguarda il punto 5, non si hanno elementi per dare una risposta precisa in quanto si dovrebbe esaminare le tabelle millesimali e capire come in concreto si svolgerà e si voterà nella riunione che delibererà la realizzazione dei lavori.

Punto 8)
Per rispondere all’ultimo punto del quesito è opportuno capire se l’opera che il condominio intende realizzare possa essere considerata una innovazione ai sensi degli artt. 1120 e 1121 del c.c., cosa che non è così scontata come può a prima vista apparire: infatti non tutti i lavori, anche di notevole entità, possono considerarsi innovazione ai sensi della normativa del codice.
La giurisprudenza assolutamente costante ci dice infatti: "per innovazioni delle cose comuni s'intendono, dunque, non tutte le modificazioni (qualunque opus novum), sebbene le modifiche, le quali importino l'alterazione della entità sostanziale o il mutamento della originaria destinazione, in modo che le parti comuni, in seguito alle attività o alle opere innovative eseguite, presentino una diversa consistenza materiale, ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti” (Cass.Civ,, Sez.II, n. 12654 del 26.05.2006, ove sono citate numerose pronunce conformi).

In termini più semplici, possiamo dire che si ha innovazione nel momento in cui l’assemblea delibera di inserire nell’edificio un servizio o un macchinario che prima non era presente: il caso classico è quello della installazione dell’impianto ascensore in un edificio che prima ne era assolutamente privo.

Quando, invece, l’assemblea delibera un lavoro di manutenzione straordinaria di un servizio o parte dell’edificio, che comporti anche una sua sostituzione integrale, non siamo di fronte ad una innovazione ai sensi degli art. 1120 e ss. del c.c. ma ad una riparazione straordinaria di notevole entità ai sensi del co. 4° dell’art.1136 del c.c.
Tornando all’esempio dell’impianto ascensore, la giurisprudenza ha chiarito che la sostituzione di un impianto già esistente - anche se modifica radicalmente quello che già c’era precedentemente - non può considerarsi una innovazione e quindi non si applica la relativa normativa.

Nel caso di specie, anche se è indubbio che quello che i condomini si prefiggono di fare è un lavoro di radicale rifacimento dell’impianto, è difficile sostenere che siamo difronte ad una innovazione, per il semplice motivo che un impianto di riscaldamento è già presente nell’edificio e lo si vuole semplicemente sostituire. Ciò comporta che non possa trovare applicazione l’art. 1121 del c.c., il quale fa riferimento alle innovazioni gravose e voluttuarie suscettibili di utilizzazione separate, disponendo che i condomini che non vogliono trarre vantaggio da tali tipologie di innovazioni possono sottrarsi da qualsiasi contributo nella spesa.
Da ciò si deve concludere che l’autore del quesito, qualora l’assemblea condominiale competente decidesse di procedere con i lavori, non potrà sottrarsi alla contribuzione alle spese.

Trattandosi di impianto di riscaldamento e raffreddamento entra in gioco, inoltre, un’altra norma molto importante: l’art.1119 del c.c. L’articolo ci dice che il condomino può si distaccarsi dall’impianto di riscaldamento e raffrescamento comune, a condizione che questo non comporti squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In ogni caso, chi si distacca rimane sempre tenuto al pagamento delle spese straordinarie, di conservazione e di messa a norma dell’impianto comune (anche, quindi, se ne beneficia più perché si è reso autonomo).
In altri termini, anche se risultasse tecnicamente possibile distaccarsi dall’impianto centralizzato, l’unica spesa a cui ci si può sottrarre è il pagamento dell'energia riscaldante (la bolletta del gas, per intenderci), rimanendo comunque obbligato a sopportare le altre tipologie di spese riconducibili all’impianto.

Concludendo, è utile ribadire che al di là del fatto che trovi o meno applicazione la normativa sulle innovazioni in condominio, ciò non influisce sul quorum deliberativi che devono raggiungersi in assemblea per approvare i lavori: troveranno sempre applicazione le maggioranze indicate dal 2° co. dell’art. 1136 del c.c.: maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio: 500 millesimi. Le ragioni di tale conclusione sono state già ampiamente sviluppate nella precedente risposta.

SERGIO . B. chiede
mercoledì 22/01/2020 - Piemonte
“Siamo in un supercondominio con quattro edifici strutturalmente indipendenti ognuno dei quali dotato di tre canne fumarie collettive ramificate. Nell’ultima assemblea di aprile 2019 si è parlato di sostituire i dodici sistemi fumari con tutte le relative caldaie convenzionali per installare i nuovi modelli a condensazione con idonee canne fumarie nuove. L’assemblea è stata guidata da un’avvocata con una serie di false informazioni che hanno fatto credere che era giunto il momento per fare la suddetta trasformazione. Per questo è stato incaricato un consulente tecnico per portare avanti il suo progetto. (Esempio di falsa comunicazione: Le caldaie convenzionali devono essere tutte sostituite entro settembre 2020 secondo la legislazione vigente. Questo non è vero! La sostituzione di caldaie convenzionali con altre simili non ha diritto alla detrazione fiscale del 50%. Non è vero! Le caldaie convenzionali inquinano più di quelle a condensazione, anche se questo è contraddetto dal regolamento UE813/2013, che fissa una classe emissiva unica NOx 6 per tutte le caldaie). Il regolamento UE stabilisce, al punto 12, la possibilità per i condomini come il nostro, con sistema fumari aperti, di mantenere in uso le caldaie convenzionali per “evitare costi indebiti per i consumatori” dovuti alla trasformazione anzidetta diversa dalla semplice sostituzione. Tra poco ci sarà una nuova assemblea con lo stesso argomento dove il consulente tecnico, come già fatto, confermerà i medesimi errori come sopra esemplificato più altre nuove considerazioni che probabilmente saranno ambigue pur di portare avanti il “progetto”. Sono un tecnico per cui posso cogliere tutte le assurdità o le falsità delle argomentazioni che saranno proposte. Il problema nasce sul piano giuridico, contro la presidente avvocata, per poter arginare questa marea d’ambiguità.
Dalle poche informazioni raccolte sul web ritengo che la votazione debba essere eseguita per ogni singola canna collettiva ramificata ad uso esclusivo dei singoli gruppi di sette condomini che la utilizzano. Sarebbe la fattispecie del “condominio parziale” analoga a quella già utilizzata per l’ascensore e le scale. Come fare per pretendere il rispetto di questo principio?
La canna ramificata strutturalmente è costituita da un condotto collettivo principale e da sette condotti individuali che si immettono in quello principale costituendo un blocco che attraversando le cucine soprastanti sbocca oltre il tetto. Questi condotti secondari, come i canali da fumo che collegano la caldaia individuale installata in cucina, sono praticamente ad uso esclusivo. Ritengo che la trasformazione progettata dalla presidente si possa risolvere in due modi: installando una nuova canna esterna lasciando invariata l’esistente, o intubando l’esistente. Nel primo caso si avrebbe una innovazione (art.1120) per cui la maggioranza (4) potrebbe obbligare gli altri (3) a partecipare alla spesa inducendoli ad abbandonare la propria caldaia anche se funzionante secondo i parametri vigenti in deroga per le caldaie convenzionali. Tutti passerebbero al nuovo sistema con parametri più stringenti e canne funzionanti in pressione. Questa tesi presenta limiti o incongruenze giuridiche?
Nel secondo caso la maggioranza potrebbe costringere la minoranza, che vuole mantenere la propria caldaia in virtù del regolamento UE, a rinunciare all’uso del proprio condotto secondario che verrebbe messo in disuso dall’intubamento per poi cambiare in contemporanea con la maggioranza la propria caldaia funzionante installata in cucina?.
Ho letto l’art.1120 secondo il quale è vietata l’innovazione qualora rechi un incomodo anche ad un solo condomino. Nel nostro caso può valere la sentenza della cassazione 23076/2018 per cui ci vuole l’unanimità dei sette comproprietari della canna?
Visto il numero di domande attendo preventivo.”
Consulenza legale i 01/03/2020
Seguendo la minuziosa descrizione effettuata dall’autore del quesito si ritiene che nel caso specifico non trovi applicazione la giurisprudenza formatasi attorno alla figura del condominio parziale, ma si debba fare attenta applicazione dell’istituto del supercondominio e della giurisprudenza relativa.

Il supercondominio viene posto in essere quando in un complesso edile composto da più di un edificio tra loro contigui, che già di per sé costituiscono dei condomini autonomi, vi sono determinati servizi o manufatti comuni ai singoli palazzi; ad esempio: un parco privato posto al centro dei singoli edifici; il cancello automatico necessario per accedere all’ intero complesso edile; il servizio di riscaldamento comune a più civici ricompresi nel complesso, ...
Tale istituto giuridico è stato introdotto dalla giurisprudenza anteriore alla riforma del condominio del 2012, al fine di estendere ai manufatti comuni ai singoli palazzi la normativa del condominio, in luogo di quella prevista per la comunione ordinaria.

Secondo quanto riferito, nel complesso di cui al quesito vi sono quattro edifici strutturalmente autonomi che, visti isolatamente, possono considerarsi un condominio autonomo, ciascuno con i propri beni e servizi comuni ai sensi dell’art.1117 del c.c., la propria assemblea e con il proprio amministratore; di tali condomini fanno parte i proprietari delle unità immobiliari in essi ricomprese. Affianco a questi quattro condomini autonomi vi è il supercondominio, con il quale si gestiscono i beni e servizi comuni a tutti e quattro gli edifici; il supercondominio è composto da tutti i proprietari delle unità immobiliari ricomprese nei quattro edifici, ha un organo assembleare e un amministratore autonomo rispetto ai condomini che lo compongono.
È giusto precisare che le persone fisiche che ricoprono l’ufficio di amministratore nei quattro condomini e nel super condominio possono coincidere o meno.

La giurisprudenza ha più volte chiarito che il supercondominio: "viene in essere ipso iure et facto, se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’ approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi"( Cass. Civ, Sez.II, sentenza n. 1344 del 19.01.2018).
In altre parole, il supercondominio non deve essere costituito da una specifica riunione condominiale, esso esiste in virtù della struttura dello specifico complesso edile.

I sistemi fumari fanno chiaramente parte dei beni comuni ai singoli edifici, non sono quindi beni supercondominiali, e come tali sono i proprietari di quel singolo fabbricato che riuniti nella assemblea del loro specifico condominio, devono prendere ogni decisione in merito alla manutenzione o sostituzione del loro impianto di riscaldamento.
L’amministratore (o gli amministratori) dei singoli condomini dovranno pertanto provvedere a convocare le singole riunioni mettendo all’ordine del giorno la discussione circa la sostituzione degli impianti fumari (il giorno di convocazione potrà coincidere per tutte le riunioni). I quorum costitutivi e deliberativi di ciascuna assemblea dovranno essere conteggiati tenendo conto delle tabelle millesimali generali riferibili a ciascun palazzo.
Posta l’assoluta autonomia costruttiva degli edifici e dei singoli impianti fumari, è ben possibile che solo alcune assemblee decideranno di cambiare impianto, potendo i proprietari di un altro edificio decidere di procrastinare per il momento i lavori.

È chiaro che se l’amministratore non rispettasse tale modus operandi, ad esempio confondendo le assemblee, effettuando una unica convocazione per tutti i condomini e deliberando i lavori calcolando le maggioranze tenendo conto della tabella dei millesimi generali del supercondominio, ci sarebbero buone possibilità per impugnare, nei termini previsti dall’art.1137 del c.c., quanto deciso da una assemblea palesemente viziata.

Ora, chiarito che ciascun condominio rimane autonomo nel gestire il proprio sistema fumario, e dovrà esprimersi nell’ambito di una propria assemblea, dobbiamo chiederci quali maggioranze sono necessarie per approvare l’opera. Al di là delle modalità con le quali si andranno ad eseguire i lavori, e al di là della questione se considerarli o meno come innovazioni o riparazioni straordinarie, si può dire che le maggioranze richieste per approvare i lavori sono quelle indicate dai commi 2° e 4° dell’art.1136 del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà dei valori dell’edificio: 500 millesimi).

Anche ipotizzando che le modifiche all’impianto fumario possano considerarsi una innovazione (cosa assolutamente non scontata), tale intervento rientrerebbe comunque nelle innovazioni definite agevolate e previste dal n. 2) del 2° co. dell’art.1120 del c.c., in quanto dovrebbe comunque considerarsi come una innovazione tesa al contenimento del consumo energetico degli edifici. Tali tipologie di innovazioni, così come gli interventi straordinari alle parti comuni, richiedono il medesimo quorum deliberativo per essere approvati: per l’appunto quello già precedentemente indicato di cui ai commi 2° e 4° dell’art. 1136 del c.c.

Sempre ipotizzando di considerare i lavori descritti come delle innovazioni, comunque, non riteniamo possa sostenersi in giudizio che la realizzazione degli stessi possa rendere inservibile o più incomodo l’uso di una parte comune dell’edificio ai sensi del co. 4° dell’art.1120 del c.c.
Come ha chiarito molto bene il Tribunale di Salerno con la sentenza n. 2144 del 16 ottobre 2012, l’innovazione, o comunque la modificazione della cosa comune o la sua alterazione, può considerarsi vietata nel momento in cui crea uno squilibrio fra i concorrenti interessi dei condomini.
Nel caso specifico, anche se i lavori verranno eseguiti intubando l’esistente, ciò non provocherà un effettivo squilibrio degli interessi dei condomini, in quanto la fruibilità del servizio di riscaldamento non viene preclusa ad un condomino o ad un gruppo di essi, ma anzi lo stesso verrà potenziato con sistemi energeticamente più efficienti, di cui usufruiranno tutte le unità immobiliari dell’edificio. Alla medesima conclusione deve giungersi se si installerà una nuova canna esterna.
Per lo stesso ordine di motivi non può trovare applicazione nel caso descritto la sentenza Cass. Civ., Sez.II, n. 23076 del 26.09.2018, in quanto i lavori che si andranno ad eseguire non comporteranno una sensibile menomazione di una parte comune dell’edificio, ma al contrario un potenziamento della efficienza del servizio di riscaldamento in essere.

Giancarlo C. chiede
giovedì 03/10/2019 - Emilia-Romagna
“Sono proprietario di 1 di 2 appartamenti siti in condominio prevalentemente abitativo (oltre 700 millesimi per gli appartamenti ) ove a piano terra vi sono un ufficio ed un bar, il quale ultimo, (ottenuta concessione comunale) ha posato una pedana (oltre il marciapiedi) sulla via pubblica, ove mantiene fissi giorno e notte vari tavolini con sedie e -sempre aperti- 2 grossi ombrelloni di tela bianca tipo quelli fiera.
La facciata del condominio è in pregevolissimo stile Liberty, con relativi fregi floreali e cornici intorno a porte e finestre, in ottime condizioni (posso inviare foto facciata del palazzo e pedana bar).
Ciò premesso, Vi formulo il seguente QUESITO:
anche se non è materialmente attaccata ai muri condominiali, la pedana lede il decoro architettonico del condominio ? (come mi parrebbe aver capito dalla lettura della Ordinanza Cassazione Civile n. 1235 pubblicata il 18/1/2018 che recita "Nè ai fini della verifica del danno estetico alla facciata......assume rilievo il fatto che la piattaforma non sia stata realizzata "in aderenza" al muro comune".
Posso quindi chiedere la rimozione della pedana o almeno degli ombrelloni ?”
Consulenza legale i 07/10/2019
Il decoro architettonico seppur non espressamente definito dal nostro codice civile, rimane uno degli istituti più rilevanti del diritto condominiale e una delle cause che più genera contenzioso tra i proprietari.
La mancanza di una specifica definizione legislativa, è stata colmata dalla giurisprudenza che oramai con le pronunce che si sono susseguite negli anni è giunta ad una definizione che si può oramai considerare acquisita.
Per decoro architettonico si intende l’insieme delle linee armoniche che caratterizzano l’estetica del fabbricato: si ha la sua lesione quando un determinato intervento, sia su parti comuni che su parti in proprietà esclusiva, comporta una loro alterazione esteticamente peggiorativa.
Perché si possa ottenere giudizialmente la rimozione della opera eseguita senza l’autorizzazione assembleare che si intende lesiva del decoro (ovviamente a spese di chi tale opera l’ha realizzata), è essenziale dimostrare che la stessa crei una rilevante alterazione delle linee del fabbricato. Tale prova viene resa molto più agevole nel momento in cui l’alterazione venga realizzata su un fabbricato in pregevolissimo stile Liberty, anche se la tutela che si sta esaminando può essere riconosciuta verso qualsiasi edificio, non necessariamente dotato di un qualche valore artistico o architettonico.

La sentenza citata nel quesito è sicuramente molto pertinente per il caso prospettato: la vicenda da cui prende le mosse tutto il contenzioso è caratterizzata proprio dal fatto che un condomino esercente una attività bar ristorazione abbia installato davanti alla facciata dell’edificio una piattaforma di rilevante metratura, contenete degli ombrelloni e delimitata da ringhiere.
È interessante notare come i supremi giudici ritengano lesiva del decoro architettonico anche la innovazione realizzata parzialmente su suolo pubblico, e che non sia materialmente unita o ancorata alla facciata dell’edificio. I giudici, infatti, ci dicono espressamente:” In ogni caso, per il giudizio sull’alterazione dello stile architettonico della parete esterna di un fabbricato condominiale, è privo di decisività il dato che il manufatto ivi realizzato si innesti nel muro comune o coesista con esso, rimanendone autonomo.

Nel loro argomentare, i giudici nell’accogliere la domanda avanzata da parte attrice di rimozione della piattaforma, pongono a sostegno di tali richieste non solo l’art 1120 del c.c. (nel testo antecedente alla riforma condominiale del 2012), ma anche la norma generale sulla comunione di cui all’art.1102 del c.c. In particolare nella sentenza viene precisato che ai sensi dell’art. 1102 del c.c. è illegittimo l’uso particolare e più intenso del bene comune (nel caso di specie la facciata dell’edificio), ove lo stesso arrechi una lesione al decoro architettonico.

In conclusione, posto che l’opera descritta nel quesito è sicuramente lesiva del decoro del palazzo, è assolutamente consigliabile sollecitare per iscritto un intervento dell’amministratore, il quale nell’ambito dei suoi poteri di vigilanza e controllo sui beni comuni, quale deve essere considerato il decoro architettonico, possa magari ottenere bonariamente la rimozione della piazzola. Se questo primo intervento non raggiunge l’effetto sperato, lo stesso amministratore, o autonomamente o sollecitato da altri proprietari, deve convocare un’assemblea avente tra gli argomenti all’ordine del giorno la discussione in merito alla opportunità di promuovere, tramite intervento legale, tutte le azioni giudiziarie necessarie volte alla rimozione dell’opera.
Qualora in seno alla assise non si raggiungessero le maggioranze necessarie a promuovere un’azione giudiziaria condominiale, ciascun condomino sarebbe legittimato ad agire autonomamente al fine di ottenere la rimozione della pedana in legno, azione che, posto quanto detto sopra, si prospetta possa avere esiti positivi.

Fabio C. chiede
sabato 20/07/2019 - Emilia-Romagna
“Buona sera, abito in un condominio e la mia caldaia si è rotta. La canna fumaria è collettiva comune. Il condominio è di sei unità, 2 per piano. Per sei unità ci sono 2 canne fumarie, quindi ogni canna fumaria è condivisa da 3 unità/condomini. Attualmente abbiamo tutti e 3 una caldaia a tiraggio forzato. Dopo una perizia abbiamo saputo che l unico modo per poter installare una caldaia a norma ovvero una caldaia a condensazione(intanto vi chiedo conferma che sia obbligatorio) c'è da fare un intervento alla canna fumaria per un totale di 4500 euro. Io e uno dei condomini siamo d'accordo. Il terzo no e ha chiesto all'amministratore di posticipare una riunione con tutti e 6 i condomini per fine settembre. È possibile che mi obblighino a stare senza caldaia? Posso momentaneamente installarla e scaricare a parate? Come posso fare? Scusatemi ma sono in serie difficoltà.”
Consulenza legale i 26/07/2019
In primo luogo evidenziamo che dal 26 settembre 2015 è vietato per legge in Italia immettere sul mercato caldaie che non siano a condensazione. Tutto questo in forza di progetto europeo finalizzato all’utilizzo delle energie rinnovabili e al miglioramento del rendimento energetico tutti i sistemi di riscaldamento (direttiva Europea “Ecodesign” n. 2005/32/CE).
Da tale data, quindi, rivenditori e installatori hanno potuto rifornirsi solo di caldaie a condensazione, potendo però smerciare le rimanenti caldaie tradizionali come fondi di magazzino, fino a esaurimento scorte.
Sostituire la vecchia caldaia tradizionale con quella a condensazione non è dunque obbligatorio, purché l’apparecchio non dia segnali di obsolescenza e funzioni correttamente. Finché al controllo dei fumi, obbligatorio per legge, la caldaia risulta ancora performante, l’utente può decidere di non sostituire la vecchia con una nuova caldaia a condensazione.

A causa peraltro di alcuni vincoli normativi relativi allo scarico dei prodotti della combustione, c’è un caso in cui è ancora possibile installare un particolare tipo di caldaia tradizionale, detta “a camera aperta” o a tiraggio naturale: quando si deve sostituire una caldaia convenzionale in un appartamento di un edificio multipiano e si è in presenza di una canna fumaria condominiale “collettiva ramificata” (alla quale sono allacciate tutte caldaie a tiraggio naturale) è infatti necessario installare ancora una caldaia a camera aperta al posto di un modello a condensazione.

In questo caso, infatti, l’installazione di caldaia a condensazione in condominio richiederebbe di agire sulle parti comuni, con modifiche agli impianti; Il legislatore ha pertanto escluso questa situazione dagli obblighi di efficientamento energetico. È però possibile, per un condomino che lo desideri, installare una caldaia a condensazione trovando soluzioni alternative per lo scarico dei fumi e dei liquidi di condensazione.

A questo punto, nel caso in esame, diventa chiaro che, in assenza di un vero e proprio obbligo di legge – nel qual caso la spesa di sostituzione della canna fumaria diventerebbe obbligatoria non solo per il condomino dissenziente ma altresì per l’amministratore, che si dovrebbe adoperare perché il lavoro sia fatto - l’intervento potrà essere eseguito solo con il consenso del terzo condomino.

A parere di chi scrive, più precisamente, l’intervento rientra nel concetto di innovazione di cui all’art. 1120 c.c..
L’innovazione, soggetta sempre a delibera, è costituita da un’opera di trasformazione della cosa comune che incide sulla sua struttura tecnica o sulla sua destinazione funzionale e che importa un miglioramento della cosa stessa. Tra l’altro l’innovazione manca del carattere della necessità (anche per questa ragione si ritiene che il caso in esame rientri nel concetto di innovazione, trattandosi di interventi non strettamente necessari), che invece caratterizza le opere di manutenzione. Insomma non eseguire o trascurare le innovazioni non comporta alcun danno alle cose comuni.
L’art. 1120 precisa che: “I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell’articolo 1136, possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:
(…) 2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio (…)”.

L’art. 1121 del c.c., poi, aggiunge che se l’innovazione comporta una spesa molto gravosa o ha carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni dell’edifico e consista in impianti o in opere suscettibili di utilizzazione separata i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa.
Se però l’utilizzazione separata non è possibile l’innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condomini che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.
I condomini che in un primo tempo non hanno tratto vantaggio dall’innovazione e i loro eredi o aventi causa possono tuttavia, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi stessi, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera.

Ciò detto e riassunte le norme, si ritiene che la convocazione, nel caso in esame, dell’assemblea sia necessaria, perché è solo quest’ultima che può e deve deliberare sulla eventuale sostituzione della canna fumaria nel caso in esame.
La norma (art. 1120 c.c.) dice però anche che la decisione va assunta in fretta e questo avvantaggia chi intende procedere con l’intervento con una certa urgenza: “L’amministratore è tenuto a convocare l’assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all’adozione delle deliberazioni di cui al precedente comma. La richiesta deve contenere l’indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza, l’amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni”.
Se tuttavia – come pare a chi scrive – si tratta di interventi che comunque non consentono un utilizzo separato a beneficio di due soli condomini su tre, è inevitabile che siano questi ultimi a dover sostenere integralmente la spesa, senza onerare l’altro, il quale però avrà in ogni tempo il diritto di usufruire della canna nuova, purché contribuisca alla spesa.


Facciamo presente e precisiamo, a titolo di completezza, che comunque la fattispecie rientra nel cosiddetto “condominio parziale” elaborato dalla giurisprudenza a partire dall’art. 1123, 2° comma, c.c.. In buona sostanza, se un bene serve solo determinati condomini e non altri, solo i primi dovranno farsi carico delle relative spese. Il problema delle spese relative alla canna fumaria, dunque, interesserà nello specifico solo i tre condomini da questa serviti.

Da ultimo si risponde alla domanda se sia possibile installare comunque la propria caldaia a condensazione autonomamente e “scaricare a parete”.

Ad avviso di chi scrive la risposta è negativa, perché lo scarico ipotizzato potrebbe andare in contrasto con il divieto di cui all’art. 1122 c.c., il quale vieta di eseguire opere nell’unità immobiliare di proprietà esclusiva che possano recare danno alle parti comuni o possano pregiudicare il decoro architettonico dell’edificio.

Il consiglio è quello, come si diceva poc’anzi, di chiedere all’amministratore la convocazione di un’assemblea straordinaria urgente ai sensi del 1120 c.c. per discutere e risolvere velocemente il problema prima di settembre.



Franco C. chiede
martedì 28/05/2019 - Emilia-Romagna
“Buongiorno,
Vorrei installare un ascensore (mini ascensore) esterno per raggiungere il secondo piano di una palazzina facente parte insieme ad altre due di un condominio di circa 20 unità. La palazzina in oggetto è dotata di una scala a chiocciola che attualmente non sarebbe più regolare a causa di gradini alti, di pedata insufficiente e per la mancanza di pianerottoli intermedi per cui una rampa ha 21 gradini e l'altra 18. Detta scala serve un ufficio al primo piano e due abitazioni al secondo piano. Io ho 69 anni come mia moglie e per il momento non abbiamo particolari difficoltà motorie, cosa diversa per qualche parente e conoscente che qualche volta ospitiamo. Nell'unità abitativa di fronte alla nostra abita una coppia che quasi ottantenne dice che non ha nessuna necessità di un ascensore, quindi non disponibile a partecipare alle spese ma addirittura si oppone alla eventuale realizzazione. Anche il proprietario dell'ufficio del primo piano non pare interessato all'opera.
Quindi se si può fare, la spesa sarà tutta a mio carico.
L'ascensore potrebbe essere installato a fianco della colonna scale adiacente alla porta di ingresso e sbarcare sul terrazzo di mia proprietà, ed eventualmente se interessati al balcone del primo piano. Tali balconi son abbastanza ampi e possono accedere aprendo un passaggio ai pianerottoli esistenti, una opportuna chiusura tra sbarco ascensore e pianerottolo rende i due balconi isolati dall'ascensore stesso. Questo consentirebbe a tutti l'eventuale uso del servizio ascensore.
Premetto anche che l'area dove appoggerebbe l'ascensore (circa 2÷3 m²) è un solaio di copertura dell'accesso ai garage della palazzina, ma fa parte di una ampia area cortiliva utilizzabile da tutti i condomini, e non limita alcun passaggio.

Chiedo quale maggioranza condominiale serve per poter occupare l'area di appoggio dell'ascensore? Inoltre, serve una autorizzazione ulteriore e con quale maggioranza da parte degli utenti della scala e del resto della palazzina di proprietà di una banca che però non usufruisce ne della scala ne della zona cortiliva interessata?

In attesa di un vostro riscontro saluto cordialmente


Consulenza legale i 30/05/2019
L’installazione dell’impianto ascensore all’interno di un palazzo che ne è privo è una delle fattispecie più frequenti nel contesto condominiale e anche uno dei motivi di maggior litigio tra i proprietari.
Nel caso prospettato parrebbe non poter trovare applicazione la normativa riguardante il superamento delle barriere architettoniche in edificio, la L. n.13/1989, in quanto i condomini intenzionati ad installare la macchina elevatrice non sono portatori di handicap.

Generalmente l’installazione di un impianto ascensore in condominio costituirebbe un tipico caso di innovazione ex art. 1120 del c.c. che, in virtù della normativa di favore riconosciuta dalla riforma del diritto condominiale, può essere approvata con le maggioranze più agevoli del 2° comma dell’art. 1136 del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio: 500 millesimi).

Secondo la giurisprudenza assolutamente dominante, però, qualora l’iniziativa di installare l’impianto sia presa da un solo proprietario, non trova più applicazione la normativa sulle innovazioni sopra descritta, ma l’art. 1102 del c.c., disciplinante l’uso della cosa comune in generale. È appena il caso di ricordare che la normativa sulla comunione in generale può trovare applicazione anche in ambito condominiale per via del rinvio operato dall’art.1139 del c.c.
Secondo la giurisprudenza di legittimità la normativa sulle innovazioni trova applicazione nel momento in cui la spesa dei lavori debba essere ripartita tra più proprietari; ma quando l’iniziativa di installare l’ascensore è presa da un solo condomino, e quindi la relativa spesa non deve ripartirsi tra tutti i proprietari, deve trovare applicazione la norma generale rappresentata dall’art. 1102 del c.c. (da ultimo in questo senso, tra le tante, si veda Cass. Civ.,Sez.II, n.10852 del 16.05.2014).
Come è noto l’art. 1102 del c.c. dispone che ciascun partecipante può fare uso della cosa comune purché: non ne alteri la destinazione e permetta agli altri partecipanti di farne parimenti uso.
In merito ai requisiti indicati dall’art. 1102 del c.c., la giurisprudenza ha avuto più volte modo di precisare che il permettere agli altri comproprietari di fare parimenti uso della cosa comune, non significa che uno dei proprietari non possa fare della cosa un uso più intenso, anche comprimendo in parte, ma senza limitarlo, la possibilità di utilizzo degli altri partecipanti alla comunione. In altri termini l’espressione parimenti uso non può essere interpretata come un uso qualitativamente identico e simultaneo della cosa da parte di tutti i comunisti.

In questo senso, sempre secondo la giurisprudenza dominante, l’installazione dell’ascensore nell’androne delle scale o nell’andito adiacente non può violare l’art. 1102 del c.c. in quanto tali parti dell’edificio costituiscono, tra l’altro, la destinazione naturale per l’installazione dell’impianto ascensore.
Lo stesso discorso fatto dalla giurisprudenza può tranquillamente applicarsi all’area su cui dovrebbe appoggiare l’opera, in quanto seppur una piccola porzione del giardino condominiale verrebbe occupata dall’ascensore, e quindi utilizzata più intensamente dal condomino che lo utilizza, non verrebbe compromesso agli altri proprietari l’utilizzo dell’area giardino.
Seppur l’installazione dell’elevatore da parte di un condomino deve considerarsi ammessa, la giurisprudenza chiarisce che devono essere sempre garantiti: la stabilità e la sicurezza dell’edificio, la possibilità degli altri proprietari di partecipare, anche successivamente, all’innovazione contribuendo alle spese di costruzione e manutenzione e il decoro architettonico dell’edificio. Si aggiunge inoltre che, visto le caratteristiche del progetto descritto nel quesito, a parere di chi scrive è necessario assicurarsi che l’opera non vada a pregiudicare l’affaccio e la veduta dei singoli balconi coinvolti.
A fronte del fatto che non trova applicazione la normativa sulle innovazioni, non è richiesta alcuna autorizzazione assembleare per procedere all’inizio dei lavori e alla occupazione delle aree comuni necessarie, anche se è buona norma dare preventivo avviso all’amministratore delle modalità di realizzazione dell’opera e dei tempi di costruzione.

Stante il fatto che l’iniziativa personale di installare un ascensore solitamente porta parecchio malumore e litigi tra i proprietari, è opportuno precisare che seppur la giurisprudenza dominante sia a favore dell’autore del quesito, questo non impedisce agli altri condomini di paralizzare l’iniziativa con azioni giudiziarie più o meno fondate adducendo, ad esempio, la lesione del decoro architettonico o la compromissione delle vedute dei balconi. Della fondatezza di tali iniziative giudiziarie potremmo dare riscontro, ovviamente, solo qualora se ne presenterà la necessità.





Fabio S. chiede
giovedì 04/04/2019 - Lombardia
“Spett. Studio Brocardi,

Conformemente all'art. 1102 del c.c. ho applicato all'esterno della palazzina in cui abito il corpo macchina del condizionatore senza inficiare il "pari uso" e le distanze previste.
Da una comunicazione privata del mio amm. sembra che alcuni condomini abbiano sollevato il dubbio che la mia installazione lesioni il "decoro architettonico".
Indipendentemente dall'ubicazione della macchina, comunque nascosta alla vista di chiunque e in una zona non di passaggio comune,
avendo negli anni alcuni condomini:

a) spostato in facciata la propria caldaia provvista di copertura in tinta con la palazzina ma riconoscibile e che permette la vista della canna fumaria
b) chiusura dei terrazzi di proprietà con creazione di locali posti sul lato opposto all'ingresso
c) imbiancatura in facciata principale con colore diverso dagli altri appartamenti (bianco anziché rosa)
d) gazebo fissato in modo definitivo al sottobalcone di proprietà dell'appartamento superiore e dotato di copertura rigida

La mia domanda è: qualora ne esistesse la necessità potrei utilizzare in mia difesa, il fatto che il "decoro architettonico" ormai risulti già lesionato ???”
Consulenza legale i 10/04/2019
Il decoro architettonico seppur non espressamente definito dal nostro codice civile, rimane uno degli istituti più rilevanti del diritto condominiale e una delle cause che più genera contenzioso tra i proprietari. La mancanza di una specifica definizione legislativa, è stata colmata dalla giurisprudenza che, con le pronunce che si sono susseguite negli anni, è giunta ad una definizione che si può oramai ritenere acquisita. Il decoro architettonico viene definito dai giudici come l’insieme delle linee armoniche che caratterizzano l’estetica del fabbricato; si ha la sua lesione quando un determinato intervento, sia su parti comuni che su parti in proprietà esclusiva del fabbricato, comporta una alterazione esteticamente peggiorativa di tali linee armoniche.

Da questa iniziale definizione non si può non notare come la lesione del decoro architettonico passi necessariamente per un giudizio di carattere estetico, il quale è necessariamente variabile a seconda del soggetto chiamato, a seconda dei casi, a valutare tale lesione: ma proprio per questo i giudici hanno ancorato la valutazione della lesione al decoro a precisi parametri oggettivi. Infatti, non tutte le modifiche alle linee estetiche del fabbricato sono rilevanti al fine della valutazione della lesione:esse devono avere specifiche caratteristiche. Innanzitutto, l’alterazione deve essere apprezzabile, e in secondo luogo da essa deve scaturire un pregiudizio che sia economicamente valutabile e che comporti quindi un deprezzamento sia dell’intero fabbricato che delle singole unità in proprietà esclusiva in esso comprese (si veda in tal senso Cass. Civ.,Sez.II, n.1286 del 25.01.2010).

Sotto questo ultimo aspetto, assume particolare rilevanza la situazione fattuale in cui versa la facciata del fabbricato, ed in particolare la sussistenza di precedenti lesioni, rispetto alla alterazione che viene attualmente contestata.
…Il giudice trovandosi a valutare se sussista lesione del decoro architettonico di un fabbricato condominiale, a cagione di un intervento operato dal singolo condomino sulla struttura, deve tenere anche conto delle condizioni nelle quali versava l’edificio prima del contestato intervento, potendo anche giungersi a ritenere che l’ulteriore innovazione non abbia procurato un incremento lesivo, ove lo stabile fosse stato decisamente menomato dai precedenti lavori.” (Si veda in tale senso Cass. Civ.,Sez.II, n.11177 dell’08.05.2017).
Alla luce di quanto detto, si può sicuramente sostenere che l’autore del quesito possa validamente difendersi dalle lamentele degli altri proprietari adducendo la presenza di precedenti lesioni al decoro architettonico che fanno si che il suo attuale intervento non abbia provocato una significativa compromissione alla estetica complessiva della facciata dello stabile.

Renato G. chiede
domenica 06/01/2019 - Trentino-Alto Adige
“Buongiorno,

sono amministratore di un condominio edificato negli anni '40 privo di ascensore.

Un nuovo condomino, che ha acquistato l'appartamento al terzo ed ultimo piano dell’edificio, ha manifestato l'intenzione di installare un ascensore allo scopo di abbattere le barriere architettoniche in favore del figlio disabile.
L'ascensore verrebbe installato all'esterno dell'edifico sul lato posteriore (rispetto all'entrata) ed andrebbe ad occupare una parte della facciata attualmente dotata di finestre che andrebbe adattata, ed uno spazio comune limitrofo all'edificio.

Chiedo cortesemente se, considerato lo scopo, il condomino ha il diritto di procedere in ogni caso all'installazione, anche se l'assemblea nella peggiore delle ipotesi non esprimesse il consenso all'utilizzo delle parti comuni o non venisse raggiunto il quorum previsto dalla normativa vigente di cui prego fornire inequivocabili riferimenti.

Ringrazio dell'attenzione e porgo cordiali saluti.


Consulenza legale i 10/01/2019
Il legislatore si è occupato della eliminazione delle barriere architettoniche e al diritto alla mobilità dei disabili in condominio con due importanti interventi legislativi: il primo è la L. n. 13 del 9.01.1989; il secondo è la legge di riforma del condominio L. n. 220 del 2012 che è andata a modificare parzialmente il testo di legge dell’89 precedentemente citato.
Viene definita barriera architettonica qualunque elemento costruttivo che impedisca, limiti o renda difficoltosi gli spostamenti o la fruizione di servizi (specialmente per le persone con limitata capacità motoria o sensoriale, cioè portatrici di handicap).
In ambito condominiale i classici esempi di barriere architettoniche sono, ad esempio, la mancanza dell’ascensore nello stabile e la presenza nell’ ingresso di gradini o altri ostacoli che rendano difficoltoso l’ingresso nell’edificio.

L’ art. 2 co. 1 della L. n. 13\1989, nel suo testo da ultimo vigente, dispone che: "Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche… sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dal secondo comma dell'articolo 1120 del codice civile.”
L’art. 1120 2° co. del c.c. prevede, a sua volta, che le innovazioni volte alla eliminazione delle barriere architettoniche devono approvarsi dalla assemblea con la maggioranza indicata da 2° co. dell’art. 1136 del c.c., ovvero maggioranza degli intervenuti che rappresentano la metà del valore dell’edificio (500 millesimi). Viene quindi prevista una maggioranza più bassa rispetto a quella richiesta dal 1° co. dell'art 1120 del c.c. per approvare in linea generale una qualsiasi innovazione alle parti comuni dell'edificio che è la maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno i 2/3 del valore dell'edificio (667 millesimi).

Il 3° co. dell’art. 1120 del c.c. obbliga l’amministratore a convocarel’assemblea condominiale entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta avanzata anche da un solo condomino interessato a installare innovazioni volte alla eliminazione delle barriere architettoniche. Tale richiesta deve contenere la tipologia di intervento richiesto e le modalità di esecuzione.
Ora, a fronte della richiesta avanzata per iscritto dal condomino interessato, se l’assemblea non raggiunge le maggioranze di cui all’art. 1136 2°co. del c.c., oppure la stessa non si pronunci sulla richiesta entro 3 mesi dalla sua ricezione, il comma 2° dell’art. 2 della L. n. 13/1989 riconosce il diritto al condomino portatore di handicap o ai suoi eventuali rappresentanti legali (come i genitori) di installare l’ascensore o montacarichi a loro spese.
Quindi al condomino disabile viene riconosciuta dal legislatore una duplice strada per ottenere l’installazione di un impianto ascensore: la prima è quella di far pronunciare in merito l’assemblea, ripartendo il costo della innovazione fra tutti i condomini; la seconda, a fronte del rifiuto o dell’inerzia del consesso condominiale, è quella di installarlo a sue spese.

Qualora il condomino disabile eserciti il diritto a lui riconosciuto dal comma 2° dell’art. 2 della L. n. 13/1989, ai sensi dell’art.1121 co. 3 del c.c., è fatta salva la possibilità per i condomini inizialmente contrari alla installazione della macchina ascensore di partecipare successivamente ai vantaggi della innovazione, contribuendo alle spese di manutenzione ed esecuzione dell’opera.
È importante sottolineare come la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 167 del 29.04.1999, ha ritenuto applicabile la normativa volta alla eliminazione delle barriere architettoniche, non solo al soggetto che viene qualificato portatore di “handicap” dall’ordinamento (ad es. perché riconosciuto tale secondo l’art.3 della L. n. 104 del 05.02.1992), ma anche al soggetto che versi in oggettive ridotte capacità motorie.

Con un importante arresto la Cass. Civ., Sez.II, con sentenza del 25.10.2012 n. 18334 ha stabilito inoltre che il diritto del disabile ad installare l’impianto ascensore prevale sul decoro architettonico dell’edificio, anche nel caso di una villa liberty o comunque di particolare valore artistico, quando la compromissione di tale bene condominiale non cagioni un considerevole pregiudizio economico o, pur arrecandolo, lo stesso sia giustificato da una utilità per il disabile che compensi l’alterazione architettonica che non sia di grave ed appariscente entità.
La giurisprudenza ha invece posto dei paletti al diritto del disabile ad abbattere le barriere architettoniche in condominio quando le innovazioni necessarie:
a) compromettano la statica dell’edificio;
b) compromettano l’utilizzo del bene comune anche da parte di un solo condomino, o causino una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene (si veda in tal senso Cass. Civ. Sez. II del 29.11.2016, n. 24235).

Riassunto, per sommi capi, il quadro normativo e giurisprudenziale in questa delicata ed importante materia, si può concludere che a fronte di un eventuale rifiuto della assemblea condominiale di installare l’impianto ascensore, il padre del figlio disabile avrà diritto a procedere alla installazione a sue spese, salvo che le modalità di esecuzione dell’intervento non pregiudichi la stabilità dell’edificio, o non comprometta l’utilizzo della parti comuni da parte degli altri condomini. Sotto questo ultimo aspetto, si deve tenere conto che la limitazione all’uso delle parti comuni deve essere estremamente significativa, non essendo sufficiente una lieve compromissione dello spazio comune, che di fatto permetta agli altri condomini comunque di usufruirne.

Sulla scorta di quanto riferito nel quesito e della giurisprudenza che si è citata, non può considerarsi ostativo alla installazione una eventuale lesione del decoro architettonico dell’edificio. Riteniamo che le modalità di installazione dell’ascensore, collocato nella parte posteriore dell’edificio, non comporti una lesione tale del decoro architettonico che possa indurre un eventuale giudice adito in un ipotetico contenzioso, a far prevalere tale bene giuridico rispetto alla normativa posta a tutela degli interessi del soggetto disabile.


Paolo B. chiede
mercoledì 19/09/2018 - Puglia
“Buonasera,
Vi scrivo per avere il vostro parere al seguente quesito.

Sono proprietario di un appartamento in condominio. Di questo condominio fanno parte anche dei locali commerciali, posti a piano terra, che hanno dei sottolocali accatastati per deposito, il cui accesso avviene mediante una scala interna ad ogni rispettivo locale, Detti locali, privi di servizi igienici, usufruiscono della luce e dell'aria mediante dei finestroni posti all'interno dell'intercapedine dove non c'è ricambio d'aria e la luce proviene, esclusivamente, dai mattoni di vetro-cemento posti sul marciapiede stradale.
In uno di questi locali (concesso in locazione) viene svolta l'attività di bar e produzione di pasticceria. L'affittuario, autorizzato dal proprietario, nel corso del 2017 ha presentato al Comune di Lecce domanda per esecuzione opere edili e di variazione d'uso per i sottolocali da deposito a laboratorio artigianale.
Il tutto è stato eseguito senza alcuna comunicazione all'amministratore del condominio fino a quando non sono stati eseguiti i lavori esterni all'edificio per l'installazione di due canne per lo il ricambio dell'aria nei sottolocali.
Il sottoscritto ha informato immediatamente l'amministratore il quale ha inviato agli interessati un telegramma per fornire tutta la documentazione a riguardo, comunicazione che alla data odierna è rimasta disattesa.
Nel frattempo, ho immediatamente presentato domanda di accesso agli atti all'Ufficio Edilizia del comune di Lecce. Dopo aver visionato gli atti consegnatimi dal Comune, ho segnalato le anomalie rilevate (cfr. allegato), e presentata richiesta di accertamenti dei lavori al Nucleo di Vigilanza Edilizia di Lecce.
Detti lavori siccome modificano l'estetica esterna del palazzo condominiale, come stabilito dal REGOLAMENTO DEL COSTRUTTORE, devono essere comunicati preventivamente all'amministratore il quale indice la relativa assemblea, la cui decisione è sovrana anche in caso di autorizzazione di concessione edilizia da parte del Comune. Inoltre, oltre alla variazione dell'aspetto estetico esterno, potrà essere impugnato il cambio di destinazione d'uso?

Consulenza legale i 26/09/2018
Il quesito posto ci offre la possibilità di affrontare argomenti estremamente rilevanti nella vita condominiale: le innovazioni che ledono il decoro architettonico dell’edificio, le opere pericolose e il cambio di destinazione d’uso della singola unità immobiliare.

Le innovazioni che ledono il decoro architettonico dell’edificio. Opere pericolose.

La giurisprudenza di legittimità assolutamente dominante definisce il decoro architettonico, come l’insieme delle linee e delle strutture ornamentali dell’edificio che, viste nel suo insieme, vanno a costituire l’estetica del fabbricato. Il decoro architettonico viene considerato come un bene comune condominiale ed è tutelato dal codice civile indipendentemente dal fatto che la costruzione sia considerata di pregio o abbia qualche vincolo storico-paesaggistico.
L’art 1120 del c.c. al suo comma 4°, vieta in maniera netta qualsiasi innovazione che possa andare a ledere il decoro architettonico dell’edificio.
Ora è opportuno chiedersi se l’installazione di una canna per il ricambio dell’aria sul muro perimetrale esterno dell’edificio condominiale possa considerarsi vietata ai sensi dell’art.1120 comma 4° del c.c.
In questo senso non è possibile fornire all’autore del quesito una risposta netta, in quanto tutto dipende dalle modalità di realizzazione dell’opera.
La Cass.Civ. n. 1286, Sez.II, del 25.01.2010, ha statuito infatti che l’indagine volta a stabilire se una determinata innovazione leda il decoro architettonico dello stabile condominiale, sia una attività che varia caso per caso, demandata al giudice di merito, che sfugge a qualsiasi sindacato di legittimità.
In altre parole, pare opportuno in questo caso adire l’autorità giudiziaria locale, al fine di porre al vaglio del giudice competente le modalità di realizzazione della canna di areazione; il giudice, supportato da opportune indagini peritali, valuterà se l’innovazione apportata rientri tra quelle vietate ai sensi dell’art 1120 comma 4° del c.c.

La costruzione di una canna per il ricircolo dell’aria, può essere stigmatizzata, però, non solo dal punto di vista dell’art. 1120 comma 4° del c.c., ma anche sotto il punto di vista della sua eventuale pericolosità ex art 890 del c.c.
Tale norma introduce nel nostro ordinamento due principi per la costruzione presso il confine di fabbriche ritenute dal legislatore nocive e pericolose. Tali opere devono essere realizzate, infatti, nel rispetto dei regolamenti locali vigenti, e, qualora la normativa locale nulla dica in merito alle distanze nelle costruzioni di tali opere, deve sempre essere garantita la solidità, salubrità e sicurezza del fondo del vicino.
Se in giudizio, attraverso una perizia tecnica, si riesce a dimostrare che la realizzazione della canna di areazione possa considerarsi opera nociva e pericolosa e che la stessa sia stata realizzata non rispettando i regolamenti locali vigenti in materia di distanze per la costruzione di fabbriche nocive e pericolose, o comunque , in assenza di detti regolamenti, non sia garantita una distanza tale da preservare le unità condominiali da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza, ecco che, si potrebbe arrivare a chiedere la rimozione per violazione dell’art. 890 del c.c. della canna di areazione, al di là del fatto che la stessa possa ledere o meno il decoro architettonico.

E’ importante sottolineare che tutte queste considerazioni sono valide al di là del fatto che le opere siano state autorizzate dagli uffici edilizi comunali competenti. La procedura amministrativa che autorizza un cambio d’uso o la realizzazione di una opera sulle parti comuni dell’edificio è volta a verificare se tali interventi siano conformi agli strumenti urbanistici vigenti; l’autorità comunale non opera alcun controllo sul rispetto delle norme civilistiche e condominiali, che possono essere fatte valere in giudizio dal condominio o, se del caso, dai singoli proprietari.

Il cambio di destinazione d’uso.
Dalla lettura del quesito parrebbe intendersi che nel condominio sia tuttora vigente un regolamento contrattuale predisposto dal costruttore originario dell’edificio.
Il regolamento condominiale contrattuale è quella tipologia di regolamento che non trova la sua origine in una delibera assembleare, ma, allegato ai rogiti di acquisto delle singole unità immobiliari, viene firmato da tutti i partecipanti al condominio nel momento in cui vengono acquistati gli appartamenti e successivamente trascritto nei registri immobiliari, vincolando, conseguentemente, sia gli originari condomini sia eventuali futuri aventi causa degli stessi.

In ragione di ciò, se, all’interno di detto regolamento, sono previste determinate disposizioni che vanno a vietare in maniera chiara ed espressa determinati utilizzi o destinazioni delle singole unità in proprietà esclusiva, ecco che, da un punto di vista civilistico, il cambio di destinazione dovrà essere autorizzato con il consenso unanime di tutti i condomini.
Sovente è il caso in cui nei regolamenti condominiali si prevede il divieto di destinare le unità abitative in proprietà esclusiva a determinate attività o destinazione d’uso (es. studio medico o laboratorio artigianale).

Se vi è stato da parte di un condomino un cambio di destinazione d’uso in violazione di precisi divieti previsti dal regolamento di condominio contrattuale, e in assenza della espressa autorizzazione di tutti i condomini, la compagine condominiale avrà titolo per chiedere alla autorità giudiziaria che vengano cessate nella unità abitativa in proprietà esclusiva gli utilizzi vietati dal regolamento.

Discorso differente si ha se nel condominio in luogo di un regolamento contrattuale, sia vigente un regolamento che trovi la sua legittimazione in una delibera assembleare adottata a maggioranza.
L’assemblea condominiale infatti, non può a colpi di maggioranza limitare il diritto di proprietà del singolo condomino, impedendo in un regolamento assembleare che le unità abitative vengano destinate a determinati usi. Una delibera che approvasse un regolamento condominiale di tal fatta, sarebbe nulla per violazione di legge, e come tale impugnabile in ogni tempo anche oltre i rigidi termini impugnatori previsti dall’art 1137 del c.c.

Pur non essendo chi scrive un esperto di diritto urbanistico e edilizio, si desidera chiudere il quesito con una breve considerazione sotto questo aspetto.
Un cambio di destinazione d’uso o una ristrutturazione di una unità abitativa, prima di essere realizzati devono essere autorizzati con appositi provvedimenti dagli uffici edilizi degli enti comunali competenti. Si è accennato poco sopra, che compito di questi uffici è proprio quello di andare a verificare la conformità dell’intervento che si andrà a realizzare con gli strumenti e regolamenti urbanistici vigenti in quel determinato territorio. Si è anche detto che tali uffici non si occupano degli aspetti condominiali e civilistici della costruzione, la cui tutela è lasciata in linea di massima alla iniziativa privata. Ma può il terzo privato (ad esempio il vicino di casa) intervenire nel procedimento amministrativo di rilascio del provvedimento autorizzativo, facendo eventualmente valere l’eventuale difformità dell’intervento edilizio che si vuole realizzare con gli strumenti urbanistici vigenti, e quindi sollecitando l’autorità competente a rigettare la richiesta di autorizzazione avanzata da chi vuole eseguire l’intervento edilizio?
Il ],Sez VI, con sentenza n. 1156 del 21.03.2016 ha statuito che per pacifica giurisprudenza il terzo non direttamente destinatario del provvedimento edilizio è legittimato ad intervenire nel procedimento autorizzatorio o nell’eventuale processo amministrativo di impugnazione del titolo edilizio dal criterio cosiddetto della vicinitas, ovvero: in caso di stabile collegamento materiale tra l’immobile del ricorrente e quello interessato dai lavori, quando questi ultimi comportino contra legem un’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio; quanto al pregiudizio della situazione soggettiva protetta dei medesimi soggetti terzi, il danno è ritenuto sussistente in re ipsa per gli abusi edilizi, in quanto ogni edificazione abusiva incide se non sulla visuale, quanto meno sull’equilibrio urbanistico del contesto e l’armonico e ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno necessario riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti, o situati comunque in prossimità a quelli interessati dagli abusi;”

In parole più semplici, in caso di cambio di destinazione d’uso o ristrutturazione di una unità abitativa in proprietà esclusiva, se tali interventi non sono conformi agli strumenti urbanistici vigenti e, pertanto, costituiscono un abuso edilizio, il vicino di casa ben può intervenire nel procedimento amministrativo volto ad ottenere l’autorizzazione a compiere i lavori, per porre in risalto le irregolarità urbanistiche ed edilizie e fare in modo che gli uffici comunali competenti, se del caso, neghino l’autorizzazione.


Giuseppe P. chiede
venerdì 31/08/2018 - Sicilia
“Abito un condominio la cui maggioranza (50%+1 ed oltre i /3 m/m) è composta da uno stesso nucleo famigliari (fratelli, cognati, suoceri) mentre gli altri appartengono a faglie diverse. Circa un paio di anni fa è stata deliberata una serie di interventi per la messa in sicurezza dell'edificio e finiture varie, conferendo ad un tecnico l'incarico per la relativa progettazione, senza specifiche dettagliate indicazioni. Il tecnico, entro i termini fissati dal disciplinare d'incarico, consegnava gli elaborati, chiedendo il pagamento della prima tranche del suo onorario; ma la maggioranza bocciava il relativo piano di riparto predisposto dall'amministratore, perché il progettista non aveva previsto alcuni interventi, come la zoccolatura in marmo dell'edificio, non prevista, invero, fra gli interventi approvati. Da tener presente che i piano terra sono di proprietà della maggioranza. Nasceva, quindi, una controversia epistolare e telefonica fra i tre soggetti, fino a quando la maggioranza non ha "dimissionato" l'amministratore, sostituendolo con un altro (di vecchia conoscenza) ma più accondiscendente ai suoi "desiderata", tant'è che nel giro di pochi mesi, con cavilloso motivo "dimissionava" anche il tecnico, senza peraltro, dargliene notizia. Nel mese di giugno u.s., la maggioranza ha approvato un c.m.e., elaborato dal nuovo tecnico, che prevede, tra l'altro, l'isolamento termico a parete ventilata con finiture in gres porcellanato (130€/mq) e applicazioni di cornici (25€/mq) per alcuni piani o porzioni di piano, mentre per altri (compreso lo scrivente) solo il cappotto (69€mq) con un sovrapprezzo (1,50€/mq). Faccio presente che non esiste alcuna delibera assembleare di scelta di uno e/o ambedue sistemi di isolamento termico, e conseguentemente, il c.m.e. elaborato ed approvato è da ritenersi come redatto all'insaputa della minoranza, che ignora che abbia dato indicazioni in tal senso, al nuovo tecnico; peraltro, il verbale sopra citato, mi è stato notificato il 7 agosto u.s., 40 giorni dopo la sua approvazione, e durante la chiusura feriale delle attività giudiziarie, pur avendone sollecitato, con raccomandata A/R, l'invio preannunciando eventuale impugnativa. Per quanto sopra esposto, chiedo: la parete ventilata, con tutti gli annessi e connessi, può considerarsi, innovazione voluttuaria, e, rispetto al cappotto (ne condividerei la scelta) gravosa? In caso di risposta negativa, sarei obbligato a contribuire alla spesa globale, ripartita per millesimi di proprietà individuale, pur non godendo (né volendone godere) della sfarzosità delle finiture in gres porcellanato? Cosi mi consigliate, in relazione, al comportamento dell'amministratore, che con il ritardato invio del verbale mi ha fatto perdere oltre 30 giorni (mese di luglio) per l'impugnativa, atteso che si vogliono iniziare i lavori entro tempi brevi? In attesa di V/s cortesi determinazioni, sentitamente ringrazio e deferentemente saluto.”
Consulenza legale i 10/09/2018
Preliminarmente è opportuno affrontare l’aspetto procedurale posto dal quesito, per poi chiedersi se la decisione dell’organo assembleare possa considerarsi innovazione ai sensi degli artt. 1120 e 1123 del c.c.

Come regola generale l’art 1137 del c.c., dispone che la delibera assembleare possa essere impugnata innanzi alla autorità giudiziaria nel termine perentorio di 30 gg., che decorre: dalla data della delibera, per i condomini presenti in assemblea ma dissenzienti o astenuti, dalla data della comunicazione per i condomini assenti il giorno della assemblea.

Quindi, se andiamo ad applicare solo l’art. 1137 del c.c. al caso posto dal quesito, il termine per impugnare dovrebbe iniziare a computarsi dal 7 agosto (giorno della comunicazione della delibera), e sarebbe già spirato il giorno 6 settembre.
Tuttavia, l’art 1137 del c.c. deve essere letto unitamente all’art.1 della L. n. 742 del 7 ottobre 1969 così come modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale n.49 del 02.02.1990. Tale articolo dispone di diritto la sospensione dei termini processuali delle giurisdizioni ordinarie dal 1° agosto al 31 agosto di ogni anno. La Corte Costituzionale con la sentenza citata ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.1 della L. n. 742/1969 nella parte in cui non dispone che la sospensione ivi prevista, si applichi anche al termine di 30 gg. previsto dall’art. 1137 del c.c.

In forza della normativa che si è sopra descritta, pertanto, la comunicazione ad un condomino dissenziente di una delibera condominiale il 7 agosto non comporta immediatamente il decorso del termine di 30 giorni per impugnare; detto termine inizierà a decorrere dal 1° settembre e spirerà il 30.09, il quale giorno se è festivo viene prorogato, ai sensi dell’art.155 c.p.c. , al primo giorno non festivo previsto dal calendario.

In conclusione, il comportamento tenuto dall’amministratore non ha portato alcun danno alla tutela dei diritti dell’autore del quesito, in quanto all'oggi la delibera è ancora pienamente impugnabile. Tra l’altro essendo le liti condominiali tra i casi in cui è richiesto, ai sensi dell’art 5 del D.Lgs. 28/2010, di esperire un tentativo di mediazione obbligatorio prima di adire l’autorità giudiziaria, sarà sufficiente depositare una istanza di mediazione ad un Organismo regolarmente iscritto presso il Registro del Ministero di Giustizia, per sospendere il decorso del termine di 30 giorni previsto dall’art. 1137 del c.c.

Dobbiamo ora chiederci quali lagnanze possiamo far valere nella impugnazione di una delibera assembleare, in quanto non la si può impugnare per il solo fatto che non siamo in accordo con le scelte operate dalla maggioranza. La importantissima sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n.4806/2005 ci dice che sono annullabili le delibere affette:
da vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, affette da irregolarità nel procedimento di convocazione e se violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto.

E’ quindi opportuno verificare se la delibera con la quale l’assemblea ha adottato i lavori contestati abbia gli opportuni quorum costitutivi e deliberativi previsti dall’art 1136 del c.c. Pare solo il caso di segnalare in questa sede che la tipologia dei lavori approvati dalla assemblea rientra tra le riparazioni straordinarie di notevole entità, previste dal 4° comma dell’art. 1136 del c.c., e, pertanto, vanno approvati con un numero di voti che rappresenta la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà in millesimi del valore dell’edificio. È importante verificare anche che l’ordine del giorno e la convocazione siano stati regolarmente comunicati a tutti i partecipanti al condominio secondo quanto dispone l’art 66 disp.att. del c.c., e, se qualche condomino è intervenuto per delega, è opportuno verificare la regolarità delle stesse, secondo il disposto dell’art. 67 disp.att del c.c.

Ora veniamo a trattare la seconda parte del quesito: l’isolamento termico dell’edificio può considerarsi innovazione gravosa e voluttuaria ai sensi dell’art.1121 del c.c.? Prima di chiederci ciò, bisogna rispondere ad un'altra domanda che logicamente precede: l’isolamento termico dell’edificio può considerarsi semplice innovazione ai sensi dell’art. 1120 del c.c.?
La giurisprudenza tende ad effettuare una distinzione tra semplice modifica della cosa comune e sua innovazione.
La Cass. Civ. Sez. II, n.12654 del 26.05.2006 ha statuito che:” In tema di condominio, per innovazioni delle cose comuni devono intendersi le modifiche che importino l'alterazione della entità sostanziale o il mutamento della originaria destinazione, in modo che le parti comuni presentino una diversa consistenza materiale, ovvero vengano utilizzate per fini diversi da quelli precedenti
Seguendo questa consolidata giurisprudenza, non è possibile considerare l’isolamento termico di un edificio come una innovazione ai sensi degli artt. 1120 e 1121 del c.c., in quanto esso non comporta una alterazione sostanziale dei muri maestri, una modifica della consistenza sostanziale o una diversa destinazione degli stessi; l’isolamento termico comporta un semplice miglioramento della efficienza isolante dell’edificio. Motivo per cui non credo che nella fattispecie possa trovare applicazione l’art. 1120 e 1121 del c.c.


Eugenio G. chiede
lunedì 06/11/2017 - Lombardia
“Buongiorno
Sono interessato a capire quale maggioranza, in termini di millesimi del valore dell'edificio (,cioè 500+1 oppure 333 ) occorre per approvare il rifacimento della coibentazione termica del sottoporticato che ha una superfice di circa 400 m2 per una spesa preventivata di circa 17000 €.
Nell'ultima assemblea straordinaria erano presenti 23 condomini per un totale di 791,92 millesimi di proprietà.
La votazione finale ha visto 422,68 millesimi favorevoli per eseguire il lavoro, contro 359,01 per non eseguire il lavoro. Secondo il nostro amministratore, non essendo stato raggiunto il quorum necessario (quale? appunto), il lavoro non sarà eseguito.
L'assemblea di cui sopra era in seconda convocazione.
Segnalo anche che per eseguire questo intervento siamo in possesso di una perizia stilata da un termotecnico autorizzato che certifica un miglioramento nei consumi in caso di realizzazione di questa coibentazione.
Inoltre sul documento di certificazione energetica dell'edificio rilasciato nel 2009 da un ente certificatore, nelle note/suggerimenti, è specificato, nonostante esistesse già una specie di coibentazione, il rifacimento della stessa anche se alla nota stessa sia stata data una priorità bassa.
Forse avrete già intuito che il problema è nato da quando sono stati introdotti per legge i contabilizzatori di calore essendo il nostro edificio dotato di riscaldamento centralizzato. Questa modifica ha comportato per me, che abito al primo piano, una penalizzazione sia in termini climatici che finanziari, cioè ho più freddo e pago di più. La ripartizione dei costi è del 30% fisso e 70% a consumo.
A questo proposito vorrei sapere, se possibile, se corrisponde al vero che in caso che un condomino esca di casa per tutta la stagione invernale, debba mantenere comunque una temperature di 16°C all'interno del suo appartamento in modo da garantire una temperatura non invernale al condomino che abita sopra di lui.
Se questo fosse vero chi deve garantire a me, visto che la legge dovrebbe essere uguale per tutti, che abito al primo piano sopra il porticato, i 16°C sottostanti?
Grazie e Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 15/11/2017
Occorre preliminarmente distinguere il caso del rifacimento del cd. cappotto termico da quello della coibentazione ex novo dell’edificio.

Quando deve essere fatto ex novo l’isolamento termico dell’edificio, perché prima ne era sprovvisto o perché quello esistente è completamente obsoleto, allora può parlarsi di innovazione: l’opera ricade sotto l’egida dell’art. 1120 c.c. il quale al secondo comma prevede che “I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell'articolo 1136, possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:1) [omissis];2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell'edificio, nonché per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune”.

Dunque, stando alla lettera di questa norma, dal momento che la coibentazione è certamente un intervento che mira all’efficientamento energetico dell’edificio, la decisione al riguardo deve essere presa “con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio” (art. 1136 c.c. 2° comma).
Maggioranza che nel caso de quo non vi sarebbe, come sostenuto dall’amministratore.

Anche nel caso si trattasse di una ristrutturazione del vecchio sistema di coibentazione, visto l’importo dei lavori preventivati, il condominio avrebbe la necessità di una maggioranza altrettanto ampia.
Sempre l’art. 1136 c.c. impone che “le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell'edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità e le deliberazioni di cui agli articoli 1117-quater, 1120, secondo comma, 1122-ter nonché 1135, terzo comma, devono essere sempre approvate con la maggioranza stabilita dal secondo comma del presente articolo”, il quale come anzidetto richiede sempre il voto favorevole della metà del valore dell’edificio.

Senonché in tale quadro si inserisce, quale lex specialis, l’art. 26 L. 10 del 1991 (così come modificato dall'articolo 28 della Legge 11 dicembre 2012, n. 220) stando al quale “Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo energetico ed all'utilizzazione delle fonti di energia di cui all'articolo 1, individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza degli intervenuti, con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio”.

Sebbene siano sorti dubbi circa il raccordo delle due disposizioni normative appena richiamate, ad oggi è possibile affermare che qualora si debba dar corso ad un intervento che mira al risparmio energetico si applicherà l’art. 1120 c.c., e dunque occorrerà la maggioranza del valore dell'edificio, a meno che dette opere vengano ad essere deliberate dall’assemblea a seguito della diagnosi di un tecnico e sulla base della relazione da questi redatta.
Pertanto nel caso specifico deve ritenersi raggiunta la maggioranza necessaria a dar corso alla coibentazione, atteso che vi è non una ma ben due relazioni tecniche.

Non esiste poi una norma che imponga di tenere nel proprio appartamento una certa temperatura.
Chiaramente un impianto di tipo centralizzato, raggiunge un livello di prestazione eccellente se non ci sono vuoti di calore, ma resta comunque salva la possibilità per ciascun condomino di decidere la temperatura di casa sua.
L’art. 4 DPD 74/2013, forse invocato per imporre a ciascun condomino di non scendere con la temperatura sotto i 16 gradi, è una norma che elenca i casi in cui il riscaldamento può essere acceso nonostante i limiti giornalieri previsti dalla normativa, ma non impone l’accensione obbligatoria del medesimo.
Occorre però verificare che tale obbligo non sia stato imposto con regolamento condominiale e che i contabilizzatori installati permettano tale opzione.

Mario V. chiede
martedì 07/03/2017 - Lazio
“Nel nostro condominio è in essere un impianto centralizzato di riscaldamento alimentato a gasolio per 18 appartamenti. Come è noto, dal 1 settembre tale alimentazione non sarà più consentita. L’ amministratore ha reso edotto i condomini che per quella data l’impianto verrà dismesso. Nel corso di varie assemblee tenutesi circa la metà dei condomini ha manifestato la volontà di non voler più usufruire, per il futuro, di un impianto centralizzato ma di singoli impianti autonomi in quanto non è possibile la semplice trasformazione da gasolio a gas. Infatti il locale dove è ubicato attualmente l'impianto non è idoneo per una caldaia a metano andrebbe quindi rifatto un nuovo impianto con diversa allocazione. Il condominio non presenta locali idonei. Coloro che vorrebbero fare il nuovo impianto centralizzato avrebbero pensato di istallare la caldaia sul terrazzo-stenditoio di proprietà e di uso comune confinante con terrazzi di singole proprietà. La spesa per il nuovo impianto ammonterebbe a circa 50.000 euro. Ora si chiede, visto anche la modifica sostanziale dell’uso del terrazzo-stenditoio, l’opposizione di alcuni condomini potrebbe impedire l’istallazione della caldaia? Vista l’entità della spesa per il nuovo impianto, trattandosi di innovazione (come anche più volte indicato dall’amministratore) questa andrebbe suddivisa solo tra coloro che ne usufruiranno o fra tutti i condomini?
Ringrazio”
Consulenza legale i 14/03/2017
Per offrire una risposta al quesito occorre capire se l’intervento condominiale in oggetto debba ricondursi alla fattispecie di cui all’art. 1117 ter del codice civile, che disciplina le “modificazioni delle destinazioni d’uso”, oppure a quella di cui all’art. 1120 cod. civ. che riguarda le “innovazioni”.

Prima della riforma del 2012 anche le modifiche delle destinazioni d’uso delle parti comuni rientravano nel concetto di innovazione: la giurisprudenza ha precisato che costituiscono “innovazioni” “non tutte le modificazioni, ma solamente quelle modifiche che, determinando l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano a essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti” (Cass. civ. n. 12654/2006). Inoltre, deve trattarsi di “(...) una particolare modificazione dunque che rende, per così dire, nuova la cosa, con trasformazioni e cambiamenti dell'originaria funzione e destinazione o con un'alterazione della sua entità sostanziale”. (Cass. civ. n. 18334/2012).

Gli interventi “modificativi”, invece, sono interventi che, per esigenze di particolare interesse collettivo, comportano la modifica della destinazione d'uso in modo rilevante (fattibili purché non rechino pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o non alterino il decoro architettonico).
Non determina sicuramente una modifica di destinazione di uso, per esempio, la locazione dei locali dell'ex portineria, oppure l'utilizzo di alcuni locali che ospitavano il lavatoio oppure la caldaia come ripostiglio o sala riunioni. Queste sarebbero, infatti, semplici modifiche delle modalità di uso di un bene comune da deliberare in assemblea, a maggioranza degli intervenuti con almeno la metà del valore dell'edificio.

Ebbene, per gli interventi modificativi, che prima della riforma rientravano nella categoria generale delle innovazioni, quest’ultima ha stabilito un quorum deliberativo più alto: si tratta infatti non di innovazioni semplici ma «modificative».
Quindi, per approvarle (a differenza delle innovazioni “semplici”) ora occorrono almeno i 4/5 dei partecipanti e almeno 800 millesimi, con un iter di convocazione dell'assemblea piuttosto articolato, perché si tratta di modificazioni del bene comune che possono trasformarlo fino a consentirne un uso del tutto estraneo rispetto alla sua originaria destinazione oggettiva e strutturale.
Le innovazioni, invece, possono essere adottate con maggioranze meno allargate, elencate nell’art. 1120 cod. civ. e, per espresso richiamo di quest’ultima, nell’art. 1136 cod. civ..

Si ritiene che la realizzazione di un nuovo impianto di riscaldamento rientri nel concetto di innovazione in senso stretto di cui all’art. 1120 cod. civ., comma 2: “(…) I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell'articolo 1136, possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:
1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;
2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell'edificio, nonché per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune; (…)”.

Nel caso di specie, tuttavia - per tornare al quesito - non si tratta propriamente di realizzazione di un nuovo impianto ma di adeguare (pur sostituendolo, di fatto) quello esistente. Un impianto di riscaldamento, infatti, già esiste. E si presume che esista dalla fondazione stessa del condominio. È la legge che oggi impone di adeguarlo (sostituendolo, per limiti tecnici insuperabili del vecchio impianto che non permette il cambio del combustibile senza il contemporaneo cambio della caldaia), non è una volontà diretta dei condomini, che semplicemente subiscono la volontà espressa dal legislatore.
È altrettanto vero, peraltro, che l’ubicazione della nuova caldaia determina certamente una modifica della destinazione d’uso della comune terrazza (o almeno di una parte di essa), adibita sino ad oggi a stenditoio.

In definitiva, ad avviso di chi scrive, la sostituzione dell’impianto di riscaldamento non può qualificarsi come innovazione ma deve leggersi come modifica dello stato d’uso di una parte comune dell’immobile, perché l’accento va posto non tanto sull’intervento di sostituzione dell'impianto (non si tratta, si ribadisce, di un nuovo impianto in senso proprio), quanto piuttosto sulle conseguenze che la nuova collocazione dell’impianto avrà su alcune parti comuni e sul loro utilizzo (nel caso di specie, la terrazza ora adibita a stenditoio).

Va evidenziato che (e con ciò si risponde alla prima domanda posta nel quesito) l’opposizione di una parte solamente del condominio non basterebbe ad impedire i lavori di realizzazione del nuovo impianto.

Per la risposta alla seconda domanda occorre invece partire dal testo dell’art. 1123 cod. civ., 2° comma: “Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne. (…)”.
Tale norma va poi coordinata con l’art. 1118 cod. civ., che è stato introdotto dal legislatore della riforma proprio pensando a situazione come quella che ci occupa: “(…) Il condomino può rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma.

Benché, nel caso di specie, come abbiamo già più volte sottolineato, non si tratti di manutenzione della caldaia ma proprio di sostituzione della medesima con altra, sembra doversi comunque fare applicazione della norma succitata.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1420 del 27 gennaio 2004, ha chiaramente precisato che le spese di sostituzione della caldaia condominiale devono essere ripartite secondo i millesimi di proprietà e non secondo l’uso che ciascun condomino può farne (salvo deroga contrattuale attraverso una convenzione che obblighi tutti i condomini): lo ha stabilito, precisando che tali spese, attenendo alla conservazione, cioè alla tutela dell’integrità materiale e, quindi, del valore capitale dell’impianto comune, interessano i condomini quali proprietari dell’impianto, a cui carico la legge (art. 1123, primo comma, cod. civ.) pone l’obbligo di concorrere alle spese, configurando a loro carico delle obligatio propter rem, che, nascendo dalla contitolarità del diritto di proprietà sull’impianto comune, sono dovute in proporzione della quota che esprime la misura della appartenenza.

In conclusione, pertanto, la decisione assembleare relativa alla sostituzione dell'impianto centralizzato di riscaldamento, non riguardando la delibera un'innovazione vera e propria (nel senso che l'impianto non viene realizzato ex novo ma semplicemente sostituito ed adeguato) ed attenendo invece, perlopiù, alla modifica della destinazione d'uso della terrazza comune (questo è il vero punto), richiederà le maggioranze di cui all'art. 1117 ter cod. civ..

Alla spesa dovranno quindi partecipare anche i condomini che non sono più intenzionati a servirsi dell'impianto centralizzato.

Poerio R. chiede
martedì 27/09/2016 - Lazio
“Buongiorno, chiedo cortesemente il Vostro parere in merito all' installazione di un montascala per disabili presso un condominio da me gestito.
Premetto che l'installazione di una pedana inclinata non è possibile per l'esiguo spazio disponibile e perché impedirebbe il passaggio al transito di condomini sulle vie di accesso condominiale, terminerebbe inoltre in un giardino parte comune. Il montascala è quindi una soluzione obbligata.
Si chiede se esista obbligo da parte del Condominio di aderire a tale richiesta considerato che l' edificio è stato costruito nell' anno 1970 e se vi sia obbligo di accollo delle relative spese. Si chiede inoltre quali siano le maggioranze eventualmente previste in Assemblea per l'accettazione (1/3 o 1/2 dei millesimi).
Vi chiedo infine se il condomino richiedente, qualora l'Assemblea deliberi la non adesione, possa effettuare l'installazione a proprie spese osservando normative e obblighi di legge in materia.”
Consulenza legale i 10/10/2016
L’argomento che si propone di affrontare è sostanzialmente quello relativo alla eliminazione delle barriere architettoniche in un condominio.
Dal 18 giugno 2013 per ottenere l’abbattimento delle barriere architettoniche (compresa l’installazione di un ascensore negli stabili) le cose sono cambiate.
Infatti, la Legge 11 dicembre 2012, n. 220, intitolata “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici” (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17/12/2012), stabilisce un nuovo quorum deliberativo per le decisioni dell’assemblea in seconda convocazione.

Dopo il primo comma dell’articolo 1120 del codice civile, sono inseriti i seguenti: «I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell’articolo 1136, possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto: 1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti; 2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche (…)».
Precisamente, il legislatore ha ritenuto di aumentare il quorum necessario per assumere le delibere relative ad interventi di abbattimento delle barriere architettoniche richiedendo, sia in prima che in seconda convocazione, il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore millesimale dell’edificio.

La disciplina previgente a tale normativa, invece, e precisamente la legge 9 gennaio 1989 n. 13, richiedeva per l’abbattimento delle barriere architettoniche l’approvazione da parte di un terzo dei partecipanti al condominio e un terzo del valore millesimale.
Ratio fondamentale di tale normativa era quella di consentire ad ogni inquilino di circolare senza difficoltà nel proprio condominio, partendo dal presupposto che qualsiasi ostacolo che possa impedire la mobilità a chi ha una capacità motoria ridotta o impedita costituisca una barriera da eliminare.

Peraltro, la medesima normativa, come sopra modificata, ha consentito in questi anni alla giurisprudenza di estendere sempre di più la tutela in tale materia, riuscendosi così a proteggere non soltanto i disabili residenti negli edifici condominiali ma anche tutti coloro che hanno occasione di accedervi per qualsiasi motivo.

Tralasciando queste considerazioni di carattere sociale, va poi precisato che, una volta raggiunto il quorum deliberativo, la spesa dell’intervento deliberato su ogni parte comune va ripartita in base ai millesimi di proprietà, così come previsto dal Codice Civile, compresi ovviamente coloro che hanno espresso parere negativo.

Fortunatamente l'art. 2 della Legge 13 del 9 gennaio 1989 mirava a tutelare il disabile in situazioni di completo disinteresse da parte del condominio e l’intervento di modifica apportato dall’ art. 27, comma 1, L. 11 dicembre 2012, n. 220 ha riguardato solo i quorum costitutivi e deliberativi richiesti per tali innovazioni.

E’ da ritenere tuttora in vigore, infatti, il secondo comma del medesimo articolo 2 Legge 13/1989, nella parte in cui prevede che, qualora il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, tale deliberazione, il disabile possa installare, a proprie spese, servoscala o strutture mobili e facilmente rimovibili.

Pertanto, nella situazione in esame, dopo aver avuto parere negativo dall'Assemblea condominiale, ritengo sia facoltà della persona invalida intervenire accollandosi tutte le spese. È tuttavia necessario, per rispettare la legge, che la modifica apportata sia una struttura mobile o facilmente rimovibile (è tale è certamente da ritenere un montascala).

Altra condizione, ovviamente, è che l'intervento risulti conforme alle prescrizioni tecniche previste dalla legge.
Trattasi di una norma che senza dubbio mira a tutelare i disabili ma che si interseca anche con la normativa sul condominio e pertanto sulle parti comuni, essendo consentito un intervento limitato (strutture mobili o facilmente rimovibili), in modo da non ledere il diritto di proprietà degli altri condomini, che è sancito dalla Costituzione.
A causa dell'accollamento totale delle spese da parte del disabile, talvolta la norma di cui sopra non viene di fatto sfruttata appieno in quanto accade spesso che qualcuno sia costretto a rinunciare all'intervento proprio per ragioni di carattere economico, rendendo ciò di fatto la legge insufficiente.

Si ritiene ad abundantiam opportuno ricordare, a tal proposito, che l'intervento in esame può usufruire della detrazione fiscale per le ristrutturazioni edilizie (pari al 50%), in quanto questa detrazione fa rientrare nelle opere agevolabili anche quelle volte all'abbattimento delle barriere architettoniche.
Così, una volta effettuato l'intervento, per accedere alla detrazione fiscale bisognerà pagare la fattura con apposito bonifico bancario e successivamente conservare la fattura e la ricevuta di pagamento, oltre che eventuali permessi comunali o comunicazione ASL quando necessari.

Renato C. chiede
sabato 09/07/2016 - Lombardia
“Buongiorno, sono proprietario di un locale artigianale, al piano terra in uno stabile civile, ma adibito ad officina di autoriparazioni.
Le due entrate del locale, nato come negozio, quando l'ho acquistato sono state modificate e dotate di rampe
di accesso per i veicoli, (1983) piuttosto che da marciapiede e giardinetto come il resto dei negozi al piano terra.
Sopra queste rampe di acceso, e a fianco di queste entrate durante la giornata lavorativa tengo (quando ne ho) auto e moto parcheggiate in attesa di vendita, o ferme per effettuare piccole riparazioni.
Una moto in particolare viene parcheggiata di lato all'entrata, di fronte alla facciata sempre sulla "struttura rampa" predisposta per l'accesso, la quale resta di fronte alla facciata di competenza rispetto la parte interna, solo al mio locale.
Un condomino ha proposto di posare una fioriera in luogo della mia moto in vendita, perché dice che da fastidio, e di certo con la votazione otterrà la maggioranza.
Con ciò premesso, se la votazione passerà (al 13-07-2016) il condominio è legittimato ad impedirmi di utilizzare lo spazio?
Oppure rendendolo per me e la mia attività permanentemente più incomodo, si può applicare l'art. 1120 per cui dichiarare nulla la delibera?
Grazie!

Cordiali Saluti.”
Consulenza legale i 21/07/2016
Com’è noto, il proprietario di una unità immobiliare in condominio assume le vesti di “condomino”, vale a dire di compartecipante alla comunione forzosa che viene a crearsi tra singole unità immobiliari e c.d. parti comuni.
Il condominio è stato oggetto di una recente riforma con la legge n. 220 dell’11/12/2012, entrata in vigore il 18/6/2013, che ha novellato gli articoli del codice civile ad esso inerenti.

In particolare, l’art. 1117 c.c. individua quelle che sono le parti comuni dell’edificio: “1) il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d'ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune; 2) i locali per la portineria e per l'alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune; 3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all'uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l'acqua, per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini”. Su tali parti comuni l’art. 1118 c.c. sancisce la proporzionalità del diritto di ciascun condomino “al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene, se il titolo non dispone altrimenti”, il che dà anche la misura del contributo alle spese di manutenzione e conservazione.

Il caso di specie presenta alcune peculiarità: il locale risulta essere ubicato al piano terra del condominio, con ben due ingressi indipendenti costituiti da rampe di accesso e costruiti in epoca contestuale all’acquisto da parte dell’attuale proprietario.

Prima di verificare la possibilità di applicazione dell’art. 1120 c.c. sulle innovazioni vietate, occorre affrontare un argomento “a monte”, vale a dire stabilire se i due ingressi del locale di proprietà esclusiva adibito a officina di autoriparazioni siano da considerarsi “parti comuni” – e quindi ricadenti nel condominio – oppure siano di proprietà esclusiva del condomino. A parere di chi scrive gli ingressi indipendenti sono di proprietà esclusiva del condomino e pertanto non annoverabili tra le “parti comuni” del condominio: l’art. 1117 c.c., infatti, annovera tra le “parti comuni” tutte quelle che siano “necessarie all’uso comune”, cosa che non pare accadere per le due rampe di accesso indipendente che sono adibite a servire il solo locale di autoriparazioni . Ciò posto, il condominio non può andare a deliberare limitando il godimento della proprietà esclusiva di uno dei condomini.

Resta da verificare se la moto in vendita in luogo della fioriera possa in qualche modo ledere il decoro architettonico del condominio medesimo. La risposta parrebbe essere negativa (anche se occorrerebbe uno sguardo quantomeno al titolo di proprietà e all’eventuale regolamento condominiale per avere contezza piena delle affermazioni): sin dal 1983 esiste quella rampa di accesso e – se avesse leso il decoro architettonico dell’edificio – non si vede perché, in oltre 30 anni, non sia stato fatto nulla per ripristinare lo status quo ante o, addirittura, sia stata data l’autorizzazione alla modifica dell’ingresso indipendente.

Si sottolinea ancora come, per una corretta applicazione dell’art. 1120 c.c., occorra verificare se l’opera (la posa di una fioriera) possa essere annoverata tra le innovazioni. Al silenzio del legislatore sono sopperite varie pronunce della giurisprudenza di legittimità, la quale ha stabilito che “per innovazione in senso tecnico giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solo quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione … non possono definirsi innovazioni” (C. Cass., 23/10/1999 n. 11936; conf. 5/10/2009 n. 21256). Ciò posto, la posa di una fioriera non pare annoverabile tra le “innovazioni” in senso tecnico giuridico, ciò che non consentirebbe una applicazione dell’art. 1120 c.c.

In conclusione pertanto:
- il condomino può legittimamente opporsi alla delibera assembleare ribadendo l’esclusiva proprietà della rampa di accesso alla sua unità immobiliare (salvo approfondimento circa il titolo di proprietà e il regolamento condominiale, come esposto sopra), con ciò precisando che il condominio non può andare a limitare il godimento della sua proprietà;
- in caso di accoglimento della delibera, il condomino può impugnarla e farne valere la nullità, ciò che comporta l’assenza del termine di decadenza per l’impugnazione (che l’art. 1137 c.c. fissa in 30 giorni dall’adozione), posto che una siffatta delibera lede tanto il diritto individuale del condomino, quanto il suo godimento della proprietà esclusiva. Si badi però che – in caso di impugnazione – si rende necessaria l’attivazione della procedura di Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.

Fabio T. chiede
mercoledì 25/05/2016 - Toscana
“L'assemblea di condominio a approvato quanto segue:
L'assemblea, visto che sono sempre cadute nel dimenticatoio le richieste di cessazione di attività commerciale fatte, dal condominio, nell'arco di diversi anni e che più volte siamo stati presi in giro con promesse non mantenute e visto, che, nel caso in cui il fabbricato non adempia una funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione e ad un esercizio commerciale, il criterio dell'utilità sociale, cui è informato l'art. 844 del codice civile, impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dei condomini, privilegiando, alla luce alla luce dei principi costituzionali (Cost. Art 14, 31 e 47) le esigenze personali di vita connesse all'abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all'esercizio di attività commerciali, attività che non sono compatibili con i concetti di quiete, tranquillità, riposo e sicurezza, assolutamente meritevoli di tutela di un immobile destinato a civile abitazione, chiede la cessazione dell'attività di affittacamere.
Preciso che entro i 30 giorni dall'assemblea non c'è stata alcuna opposizione e che il titolare una volta data la chiave dell camere se ne va a casa sua e ciascuno fa quello che vuole tanto non c'è nessuno che controlla. Visto quanto sopra possiamo far scrivere lettera di diffida a continuare l'attività.”
Consulenza legale i 01/06/2016
Va preliminarmente detto che sulla qualificazione dell’attività di affittacamere la Corte di Cassazione ha modificato recentemente il proprio orientamento.

Fino a non poco tempo fa, infatti, riteneva che l’attività in questione non potesse essere assimilata ad un’attività commerciale perché non comportava un mutamento di destinazione d’uso dell’unità immobiliare ad uso abitativo e quindi, come tale, era sempre consentita (“l'esercizio dell'attività di affittacamere non modifica la destinazione d'uso a civile abitazione degli appartamenti in cui è condotta. Conseguentemente, anche in presenza di regolamento condominiale che vieti di destinare gli appartamenti "ad uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato", l'attività di bed & breakfast è da ritenersi consentita (…)” (Cass. Civ., sez. II, 20 novembre 2014, n. 24707).

Di recente, invece, con la sentenza n. 109 del 07 gennaio 2016, la Suprema Corte ha modificato il proprio orientamento in maniera più restrittiva, ritenendo, a proposito dell’attività di affittacamere, che detta attività sia “del tutto sovrapponibile [...] a quella alberghiera e, pure, a quella di bed and breakfast” e che pertanto, qualora il regolamento contrattuale di condominio vieti ai condomini altri utilizzi differenti rispetto a quello abitativo del proprio appartamento, non sarà possibile intraprendere nessuna delle menzionate attività, salvo, ovviamente, il consenso unanime dei condomini che invece autorizzi la predetta attività nonostante il divieto contrattuale.

Dalle pronunce sopra richiamate si evince chiaramente che l’unico discrimine sta nella volontà dei condomini. Indipendentemente, cioè, dalla qualificazione dell’attività di affittacamere come commerciale o meno, vale sempre la regola generale per cui l’uso che il condominio fa della sua proprietà individuale ed esclusiva non può trovare limitazioni se non nella volontà unanime dei condomini.

Più precisamente, le limitazioni all’uso della proprietà individuale sono consentite solo se trovino la loro fonte in un regolamento condominiale contrattuale – ovvero predisposto dall’originario proprietario dell’immobile ed al quale hanno necessariamente aderito i successivi aventi causa delle singole unità immobiliari – oppure nella volontà assembleare unanime.

Nel caso di specie, pertanto, qualora non vi sia un regolamento condominiale o non sia stata assunta una decisione assembleare all’unanimità che disponga un divieto in merito, non si potrà impedire l’attività privata del condomino, che sarà, comunque, tenuto al rispetto dei limiti di cui all’art. 1122 cod. civ..

Paolo R. chiede
venerdì 10/07/2015 - Veneto
“Vivo in una palazzina di due appartamenti e vorrei sapere se ho il diritto di chiudere il portoncino d'entrata con chiave, visto che anche l' altro condomino è dotato di chiave per l' apertura. Il portoncino è dotato di sistema di apertura elettrica e di serratura manuale.”
Consulenza legale i 15/07/2015
Con riferimento alla vicenda descritta nel quesito, la norma che viene in rilievo è l'art. 1102 del c.c., laddove recita: "Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto".

I comproprietari di un bene, in base a tale norma, possono usare la cosa interamente, senza particolari limitazioni.
Vengono stabiliti per legge solo due limiti fondamentali:
- il divieto di alterare la destinazione della cosa comune;
- il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne pari uso.
La legittimità dell'uso della cosa comune, se manca l'accordo tra le parti, va verificata dal giudice di merito, in base al confronto tra uso diverso e destinazione possibile della cosa.
L'uso da rispettare va inteso come quello attuale, cioè l'ultimo voluto dai partecipanti alla comunione o l'ultimo praticato.
Inoltre, si ritiene ormai comunemente che ciascun comproprietario abbia diritto di trarre dal bene comune una utilità anche maggiore e più intensa rispetto agli altri, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso.

Ciò premesso, sembra che il comproprietario che fa uso della chiave per chiudere il portoncino d'entrata agisca con pieno diritto. Difatti, da un lato, utilizza il bene secondo la sua destinazione, che comprende la chiusura manuale; dall'altro, non impedisce all'altro comproprietario - dotato di copia della chiave - l'uso del portoncino.

Naturalmente, questo ragionamento non è applicabile se tra le parti era intervenuto un accordo (anche solo verbale, ma contenente un serio impegno) in base al quale esse avrebbero dovuto sempre usare il portoncino con la modalità di apertura/chiusura elettrica: in questo caso, prevarrebbe il contenuto dell'accordo, e i comproprietari sarebbero tenuti ad attenersi ad esso.

Se la gestione del portoncino comune crea dissapori tra i due comproprietari, è consigliabile redigere un regolamento ai sensi dell'art. 1106 del c.c., che andrà approvato con il consenso di entrambi, e che disciplinerà l'uso futuro del bene.
Per avere aiuto nella redazione del regolamento ci si può rivolgere ad un professionista, come un amministratore di condominio, che certamente ha esperienza in materia.

ENNIO M. chiede
sabato 18/10/2014 - Lazio
“In un condominio composto di 7 unità immobiliari esiste una zona destinata a posti auto scoperti per sole 6 unità. Il rogito dei 6 condomini riporta i dati esatti del posto auto asservito all'appartamento. Nel rogito del settimo condomino non risulta nulla: egli dispone di un accesso privato, carrabile, e sul quale paga la relativa tassa, direttamente nel giardino privato. Il condomino, a sue spese, pensa alla manutenzione del suo cancello.
E' stata deliberata la sostituzione del cancello carrabile dell'area destinata a posti auto scoperti con altro similare ed automatizzato, decisione unanime dei presenti in assemblea e non impugnata dagli assenti, ai quali è stato recapitato il verbale dell'assemblea nei modi previsti dalle vigenti norme.
Il settimo condominio non utilizza il cancello carrabile dei parcheggi, tanto che non possiede neanche la chiave, né ha motivi di accedere all'area, neanche dalla parte interna confinante con l'ingresso pedonale della palazzina.
QUESITO:
La sostituzione del cancello deve essere addebitata ai soli condomini che hanno il posto macchina assegnato, oppure anche al settimo?
Se anche il settimo condomino deve corrispondere la quota parte, ha diritto a vedersi riconosciuta la realizzazione di un posto macchina? La suddivisione delle spese deve essere fatta in ragione dei millesimi di proprietà o in parti uguali, visto che la parte asservita a parcheggio non ha quota millesimale?
Attendo una risposta.
Grazie”
Consulenza legale i 27/10/2014
L'art. 1117 del c.c. dice che sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio le aree destinate a parcheggio "se non risulta il contrario dal titolo" (inteso come titolo di acquisto del bene immobile posto in condominio).
Nel caso proposto, in base ai dati forniti nel quesito, si evince che la zona destinata a parcheggio risulta in comune solo a 6 dei 7 condomini: il settimo non risulta proprietario di quel bene, comune agli altri. In altre parole, il "titolo" di acquisto dell'unità immobiliare prevede che quella parte del condominio (parcheggio) - che sarebbe per sua natura bene condominiale per tutti -, nel caso specifico del settimo condomino non lo sia.
Ciò implica che tale condomino non sarà tenuto a sostenere alcuna spesa relativa a manutenzione di aree di cui non è neppure parzialmente proprietario.

Anche laddove si potesse ipotizzare che l'area adibita a parcheggio sia comunque un bene comune a tutti e 7 i condomini, si delineerebbe la fattispecie prevista dal terzo comma dell'art. 1123 del c.c., ossia la situazione in cui esiste un'opera/impianto destinato a servire una parte dell'intero fabbricato: in questo caso, le spese relative alla manutenzione di quel bene sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità, con esclusione, quindi, di chi non lo utilizza. Il settimo condomino privo di posto auto sarebbe comunque esonerato dalla partecipazione alla spesa relativa al cancello, di cui non fa uso in alcun modo.

Quanto alla questione della suddivisione delle spese di rifacimento del cancello tra i 6 condomini che lo utilizzano, non esistendo una tabella millesimale specifica, ci si deve rifare alle regole generali.
La sostituzione di un cancello con uno automatizzato non è generalmente considerato dalla giurisprudenza come un'innovazione, trattandosi di un intervento sul bene comune ne rende più comodo il godimento (v. ad esempio Cass. civ. n. 9999/1992, "in tema di condominio di edifici la delibera assembleare, con la quale sia stata disposta la chiusura di un'area di accesso al fabbricato condominiale con un cancello o con una sbarra comandati elettricamente e con consegna del congegno di apertura e di chiusura ai proprietari delle singole unità immobiliari, rientra nei poteri dell'assemblea dei condomini, attinenti all'uso della cosa comune ed alla sua regolamentazione, senza sopprimere o limitare le facoltà di godimento dei condomini, e non incorre, pertanto, nel divieto stabilito dall'art. 1120, secondo comma, c.c. per le innovazioni pregiudizievoli delle facoltà di godimento dei condomini, non incidendo sull'essenza del bene comune, né alterandone la funzione o la destinazione").
La suddivisione delle spese va operata secondo la regola stabilita dall'art. 1123 c.c., in base al quale le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
Quindi, i criteri da seguire sono i seguenti:
- criterio convenzionale stabilito dai condomini stessi (che, ad esempio, possono decidere di dividere le spese in parti uguali);
- in mancanza di accordo dei condomini, suddivisione in base ai millesimi di proprietà secondo la tabella generale.
Nel caso di specie, per ragioni di equità (il parcheggio è utilizzato in maniera paritaria dai 6 condomini, con posti auto - si presume - identici), sarebbe opportuno dividere l'importo in sei parti uguali, ma tale decisione, come già detto, spetta ai condomini.

Agnese chiede
domenica 29/04/2012 - Lombardia
“Vorrei chiedere all'assemblea condominiale il permesso di erigere una serra\giardino d'inverno, sul mio terrazzo, che non si trova all'ultimo piano ma al terzo (il palazzo e' di cinque piani l'ultimo e' un attico con terrazzo). Di che tipo di maggioranza avrei bisogno? Art. 1136 due terzi o art. 1120 un terzo? Grazie e cordiali saluti. Agnese”
Consulenza legale i 03/05/2012
L'opera descritta nel quesito rientra nel novero delle c.d. innovazioni di cui all'art. 1120 del c.c. primo comma.
Le deliberazioni che hanno ad oggetto le predette innovazioni necessitano di un'approvazione con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio (art. 1136 del c.c. secondo comma).
Inoltre, relativamente all'opera descritta nel quesito, è opportuno ricordare che la Corte di Cassazione è intervenuta con una recente pronuncia, la n. 18507 dell'11.5.2011, con cui ha ribadito che la trasformazione di un balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, o di un terrapieno et similia mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica o altri elementi costruttivi, non costituisce intervento di manutenzione straordinaria, di restauro o pertinenziale, ma è opera già soggetta a concessione edilizia e attualmente a permesso di costruire.

Francesco B. chiede
sabato 23/10/2010
“In un vasto complesso di elevata qualità in costruzione(già realizzate in circa 20 anni 9 Res.za)i singoli Reg.ti Cond.li hanno via via recepito quanto stabilito nel più generale Reg.di Comprensorio che tra le altre prescrizioni impone una tipologia di tende da sole per i balconi.Accade che,consegnati da poco gran parte degli immobili dell'ultima Res.za,si è constatato che questa presenta caratteristiche costruttivo-architettoniche notevolmente differenti:piano mansarda a forma triangolare anziché schiacciata e più alta e con doppie finestre ai due estremi;entrambi i prospetti privi di balconi aggettanti e,in particolare,quello interno presenta al 2° piano una balconata continua per tutta la lunghezza (mt.450 ca);lo spazio fra i due corpi di fabbrica della Res.za trovandosi del 1° piano,oltre a essere privo delle aiuole risulta diviso in ben 16 cortiletti frontisti (8+8) di mq.50 ca.separati fra loro sui tre lati da muri alti mt.1,90. Ora,proprio tale ultima caratteristica costruttiva ha creato la c.d. "galleria del vento" dei test auto o come una canna di fucile per la cartuccia:essendo a ridosso dei Monti Peloritani i frequenti venti di Nord-Ovest e Nord-Est vi si gettano con tale violenza da sradicare e trasportare anche a notevole distanza stendibiancheria,poltroncine/tavoli da giardino, ecc. con grave rischio ma in pratica rendendo impossibile la quotidianità del vivere all'aperto nei detti spazi che sono circa metà superficie di ogni appartamento.Stanti la assoluta diversità/difformità nella tipologia costruttiva/architettonica rispetto a tutte le altre nonché la inappropriatezza/inadeguatezza delle comuni tende da sole (da sostituire con maggiore frequenza, ecc.) e le notevoli limitazioni nel diritto di fruire legittimamente l'immobile acquistato nonché il fondato/concreto dubbio che lo standard qualitativo prospettato ex ante per Messina in realtà ne risultasse sminuito;nel corso di incontri informali e di due regolari Assemblee era stata avanzata la proposta di adottare in luogo delle tende e solo per la porzione esterna alle cucine una copertura autoportante in travetti di legno e fasce di alluminio apribili di un Marchio noto in Europa, scongiurando così l'effetto "kasbah" o di mercatino rionale data l'apertura di ben 16 tende tutte orizzontali!:siffatta proposta illustrata alla ditta costruttrice/venditrice veniva condivisa per iscritto perché ritenuta migliorativa e in linea con gli elevati standard di qualità dell'intero Comprensorio;ma uno dei condòmini ha eccepito che trattandosi di Reg.to Cond.le contrattuale, occorressero 1000/1000mi e con ciò la discussione si è conclusa prima ancora di cominciare! Allo scrivente invece sembra che poiché tali cortili a livello configurano parti di uso esclusivo aventi lo scopo di ampliare il godimento e l'uso dell'appartamento cui sono annessi, ove in luogo delle tende si adottasse siffatta copertura autoportante in legno/alluminio non si avrebbe una innovazione bensì una semplice modifica tendente a potenziare/rendere più comodo il godimento degli appartamenti (16 su 32) posti a 1° piano.Per tutte queste ragioni, tenendo presente soprattutto la spiegata specificità, è opinione dello scrivente che vada negata anzitutto la legittimità della assimilazione totale ed assoluta di tale ultima Res.za in uno con l'esigenza di adottare legittimamente ogni utile modificazione per il pieno esercizio del diritto di proprietà in difformità a quanto statuito in entrambi i Regolamenti (apprezzato dalla Ditta) e, quindi, a ciò bastando anche 501,00/1000mi in luogo dell'unanimità. O no? Grazie dell'attenzione.”
Consulenza legale i 24/10/2010

La questione proposta è molto complessa e di non rapida soluzione.
Indichiamo però, in generale, le maggioranze necessarie in alcune situazioni che sembrano rilevare nel caso in esame.

Innovazioni: le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste dall'articolo 1120, comma 1, devono essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio (art. 1136 c.c.).

Modifica di regolamento condominiale, limitatamente alle parti che coinvolgono interessi impersonali della collettività dei condomini (ad esempio, quelle che prevedono le modalità di uso dei servizi condominiali): modificabili con deliberazione dell'assemblea adottata con la maggioranza prevista dall'art. 1136, commi 2 e 3 c.c.

Modifica di regolamento condominiale, laddove viene incisa la sfera dei diritti soggettivi e degli obblighi di ciascun condominio (ad esempio, modifica dei criteri di ripartizione delle spese): modificabili solo per iscritto e con il consenso unanime di tutti i condomini.


M. N. chiede
sabato 06/01/2024
“Nel mio condominio abbiamo la caldaia centralizzata per il riscaldamento. Qualche anno fa ad ogni termosifone degli appartamenti hanno installato le valvole termostatiche per il consumo. In questa occasione alcuni condòmini decisero di distaccarsi dal sistema centralizzato installando il riscaldamento autonomo. Attualmente si è verificato un guasto alla presa d'aria del sistema centralizzato. Alcuni condomini vorrebbero proporre l'installazione del riscaldamento autonomo per tutti. A riguardo si chiede:
1) quale maggioranza è necessaria per approvare tale proposta in assemblea condominiale;
2) chi deve votare: tutti i condomini (compresi chi già ha il riscaldamento autonomo) oppure soltanto chi dovrebbe fare il cambio (da centralizzato ad autonomo)?
In attesa di vostra risposta si inviano distinti saluti”
Consulenza legale i 09/01/2024
Le maggioranze necessarie per addivenire a ciò che ci si prefigge variano in base a come verrà congeniata e predisposta la delibera assembleare: proviamo ad argomentare.

Il co. 4° dell’art.1118 del c.c. prevede il diritto soggettivo del singolo condomino di distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento (o di condizionamento) comune, a condizione che ciò non determini un aggravio di spesa per gli altri condomini o squilibri nel funzionamento dell’impianto. Il diritto a distaccarsi, il quale non può essere in alcun modo condizionato o limitato da una delibera assembleare adottata a colpi di maggioranza, costituisce tuttavia una rinuncia ad utilizzare l’ impianto di riscaldamento comune, ma non certo una rinuncia alla proprietà del medesimo: prova di ciò ne sia il fatto che la stessa norma che introduce la possibilità di distaccarsi, precisa come il distaccante rimanga comunque obbligato a corrispondere gli oneri condominiali relativi alla manutenzione straordinaria, alla sicurezza e messa norma dell’ impianto comune.

Applicando questa norma al caso specifico, se l’assemblea si limitasse ad adottare una delibera che disponga la semplice rinuncia all’utilizzo dell’impianto di riscaldamento comune da parte di quei proprietari che ancora lo utilizzano, essa dovrebbe essere adottata con il voto unanime di tutti quei condomini che hanno le loro unità abitative ancora allacciate all’impianto condominiale. L’ unanimità dei consensi, seppur limitata a quel gruppo di condomini che ancora utilizza l’ impianto di riscaldamento centralizzato, è resa necessaria dal fatto che l’assemblea non può imporre a colpi di maggioranza anche solo ad un singolo proprietario di distaccarsi da un impianto comune condominiale di cui egli intende ancora fare utilizzo: una delibera di questo tipo, sarebbe gravemente nulla in quanto lesiva dei diritti che la legge attribuisce ai condomini sulle parti comuni dell’edificio: in questo, senso è molto chiara Cass.Civ.,Sez.II, n.4219 del 23.02.2007. Parimenti, oltre al raggiungimento di un tale alto consenso, si dovrà valutare con un termotecnico se un distacco di tutti i condomini ancora rimasti sia tecnicamente fattibile e non danneggi l’impianto esistente.

Ovviamente, sempre in forza di quanto disposto dal 4° co. dell’art. 1118 del c.c., anche se si addivenisse in forza di una delibera di tale tenore al distacco di tutti i condomini dall’ impianto condominiale, ciò non potrebbe comunque costituire una rinuncia alla comproprietà del medesimo: quindi, tutti i condomini, sia quelli che hanno esercitato il distacco in un primo momento sia i successivi, sarebbero comunque tenuti a sopportare in proporzione ai rispettivi millesimi le spese di manutenzione straordinaria, di conservazione e messa a norma dell’impianto anche se di fatto dismesso.

Il discorso fatto finora muterebbe però radicalmente nel caso in cui l’assemblea di condominio non si limitasse ad adottare una delibera meramente abdicativa all’ utilizzo dell’impianto centralizzato comune già esistente, ma deliberasse invece la sua sostituzione con un nuovo impianto di riscaldamento che permetta, oltre ad un risparmio energetico, anche la coesistenza per ciascuna unità immobiliare del palazzo di tanti impianti unifamiliari di riscaldamento autonomi l’uno con l’altro.

In forza di quanto disposto dagli artt. 1120 2° co. e 1136 2° co. del c.c., una delibera di questo tenore, può essere adottata con la maggioranza degli intervenuti alla riunione condominiale, opportunamente convocata secondo le norme di legge, che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio, ovvero 500 millesimi. Si presti tuttavia attenzione, in quanto il quorum deliberativo indicato non potrà essere calcolato solo sulla base di quel gruppo di condomini che ancora utilizza l’impianto centralizzato esistente ma si dovrà tenere conto anche di quei proprietari che già sono da esso distaccati: come già detto infatti, anche tali condomini rimangono pieni comproprietari dell’ impianto e quindi mantengono fermi i loro diritti assembleari nel caso in cui si decidesse la sostituzione dell’ impianto o un intervento straordinario sullo stesso. È anche vero però che rimarrà parimenti fermo in capo a tale secondo gruppo di condomini - unitamente a tutti gli altri proprietari - l’obbligo di corrispondere in proporzione ai millesimi, gli oneri condominiali che deriveranno dai lavori di sostituzione dell’impianto.

Le argomentazioni che si sono finora sviluppate trovano conforto e sostegno in una interessante pronuncia della II° sezione civile della Corte di Cassazione n. 24976 del 19.08.22 secondo la quale: "la delibera che dispone l’eliminazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato per creare singoli impianti autonomi in tanto può essere adottata a maggioranza, e quindi in deroga agli artt. 1120 e 1136 c.c., in quanto sia previsto che avvenga nel rispetto delle previsioni legislative di cui alla L. n. 10 del 1991, ossia
  • a garanzia sull'an e sul quomodo della riduzione del consumo specifico di energia,
  • del miglioramento dell'efficienza energetica,
  • dell'utilizzo di fonti di energia rinnovabili".
Si segnala che tale pronuncia parrebbe ammettere che qualora la sostituzione dell’ impianto comune con più impianti individuali comporti un contenimento dei consumi, accertato per mezzo di un attestato di prestazione energetica eseguito da un tecnico abilitato, la delibera di approvazione dei lavori possa essere adottata ai sensi del co. 2° dell’art. 26 della L. n.10 del 09.01.1991 nel testo oggi vigente con un numero di voti che rappresentino solo un terzo del valore dell’edificio, (333 millesimi): quindi addirittura con un quorum più basso di quello in precedenza indicato. Tuttavia per ragioni prudenziali si ritiene che nel caso indicato il quorum corretto da applicare sia quello indicato dagli art. 1120 2° co. e 1136 2°co. del c.c., anche perché l’applicabilità di tale normativa è sicuramente più agevole, poiché non condizionata all’ ottenimento di un qualsivoglia attestato energetico, come invece previsto dall’art. 26 della L. n.10/91.
Quindi, concludendo e riassumendo, in relazione al caso prospettato i quorum deliberativi e i soggetti che avranno diritto di voto varieranno in base al tipo di delibera che l’assemblea sarà chiamata ad approvare. Se ci si limiterà a votare la semplice rinuncia all’ utilizzo dell’impianto di riscaldamento centralizzato esistente, tale tipo di delibera sarà validamente adottata con l’unanimità dei consensi di coloro che ancora utilizzano l’impianto centralizzato. Se invece, si adotterà una delibera precettiva in cui non ci si limiterà a disporre il distacco da un impianto comune esistente, ma si delibererà la sua sostituzione indicando nel contempo quale tipologia di impianto andrà a sostituire il precedente, tale tipo di delibera si potrà adottare a maggioranza, utilizzando i quorum deliberativi già indicati nel parere, calcolati però sulla totalità dei componenti il condominio, indipendentemente dal fatto che essi abbiano o meno già esercitato il diritto al distacco previsto dal 4° co. dell’art. 1118 del c.c.


Domenico D. chiede
lunedì 22/03/2021 - Marche
“Oggetto:
Stima della possibilità di impiantare una causa e della percentuale di vincita.

Descrizione:
In sede assembleare, i condomini del mio palazzo hanno discusso della possibilità di realizzare dei lavori sulle parti comuni dell'edificio avvalendosi del bonus statale al 110%
( C.1 lett. a Art. 119 del D.L. 19/5/20 n.34 passato nel cosiddetto D.Rilancio L. 17/7/20 n.77)
oppure in alternativa del bonus statale al 90% per le facciate
(C. 220 Art. 1 L. 160/2019 detta legge di Bilancio 2020, G.U. 304 Suppl.Ord. 45 30/12/2019).

Nota:
Per poter raggiungere il salto delle due classi energetiche richieste dalla legge per avvalersi del bonus statale al 110% sarà necessario realizzare un cappotto termico sull'intero edificio e cambiare in ognuno degli immobili dello stabile in questione la caldaia di riscaldamento/acqua sanitaria.

Riferimenti normativi:
Il comma 6 art.121 del D.L 19 Maggio 2020 n.34 recita:” il recupero dell'importo di cui al comma 5 è effettuato nei confronti del soggetto beneficiario di cui al comma 1…" cioè nei confronti dei condomini. Quindi esiste un rischio reale di pagare per intero tutte le spese dell'intervento edilizio, nel caso in cui per qualche motivo la procedura del bonus 110% venga rigettata dall'Agenzia delle Entrate.

Richieste:
1)Inquadrando i lavori come innovazione in base all'art. 1121 del Codice Civile (l'utilizzazione separata non è possibile) e a seguito del rischio esposto sopra, noi possiamo
opporci
ad un'eventuale decisione dell'assemblea condominiale di effettuare dei lavori per usufruire del bonus statale al 110% e che probabilità di vincita avremmo in giudizio?

2) Nel caso in cui invece si decida a maggioranza ( rispettando tutti i vincoli di legge ) di fare una manutenzione straordinaria con bonus statale al 90% , esiste qualche argomento giuridico per potersi opporre?”
Consulenza legale i 28/03/2021
Al di là della legislazione tecnica e fiscale, è importante ricordare come l’art.1137 del c.c. al 1° comma dispone che le deliberazioni della assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini, se adottate però seguendo le procedure prescritte dal codice civile.

E’ cosa nota anche ai non addetti ai lavori, che le delibere della assemblea condominiale per essere valide devono essere adottate da determinate maggioranze prescritte dall’art. 1136 del c.c. (o da altre leggi speciali), maggioranze che variano a seconda dal tipo di decisione che deve essere adottata dall’assise.

Se una delibera è adottata con una maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge, essa potrà essere impugnata innanzi alla autorità giudiziaria nei termini indicati sempre dall’art.1137 del c.c. È importante tenere presente che se non si impugna una delibera invalida entro i termini indicati da tale articolo, nella stragrande maggioranza dei casi essa diverrà definitiva, e quindi obbligatoria per i proprietari ai sensi del 1° co. dell’art.1137 del c.c., anche se adottata con maggioranze inferiori a quelle prescritte.

Vi sono alcuni casi però, in cui una delibera è affetta da vizi talmente gravi che il legislatore ammette che possa essere contestata in ogni tempo oltre i termini indicati dall’art.1137 del c.c., quindi anche paradossalmente dopo diversi anni dalla sua adozione: questi sono i vizi di nullità della delibera condominiale.
Uno dei vizi di nullità più frequenti, è quando l’assemblea prende una decisione che va ad incidere non sulle parti comuni dell’edificio, ma sulle singole unità immobiliari in proprietà esclusiva. L’assemblea, infatti, non può a colpi di maggioranza costringere il proprietario a fare determinati lavori nella sua abitazione: per fare ciò, ci vuole necessariamente il suo consenso. Da qui scaturisce la necessità di approvare alla unanimità dei proprietari determinate delibere assembleari che prevedono lo svolgersi di alcuni lavori nelle singole abitazioni, unanimità che se mancante comporta la totale nullità di quanto deciso.

Ora per capire il senso di questa lunga premessa teorica affrontiamo nello specifico le problematiche affrontate nel quesito.

Nel condominio si vuole deliberare la realizzazione di un cappotto termico e il cambio delle caldaie nei singoli appartamenti e far rientrare tali interventi negli interventi normativi che introducono il superbonus 110%, o il bonus facciate 90%.

In merito al cappotto termico, tale tipo di intervento a parere di chi scrive, non può considerarsi innovazione ai sensi degli artt.1120 del c.c., e quindi neppure innovazione gravosa e voluttuaria ai sensi del successivo art. 1121. L’ innovazione si ha nel momento in cui si introduce nel condominio un servizio o un manufatto che prima era inesistente. Ciò non può dirsi del cappotto termico, che è un intervento volto a ristrutturare e a migliorare la facciata dello stabile che è una parte dell’edificio che, giocoforza, è sempre esistita, anzi senza di essa lo stabile non esisterebbe neppure.
La giurisprudenza in questo senso è assolutamente chiara: "per innovazioni delle cose comuni s'intendono, dunque, non tutte le modificazioni (qualunque opus novum), sebbene le modifiche, le quali importino l'alterazione della entità sostanziale o il mutamento della originaria destinazione, in modo che le parti comuni, in seguito alle attività o alle opere innovative eseguite, presentino una diversa consistenza materiale, ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti” (tra le tante: Cass.Civ,Sez.II, n. 12654 del 26 maggio 2006)".

Si ritiene, quindi, che il cappotto termico, applicando la normativa ordinaria del condominio, possa essere approvato con le maggioranze di cui ai co. 2 e 4° dell’art.1136 del c.c.: maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio.

Ad ogni modo, ad identica conclusione si perviene anche se si volesse considerare il cappotto termico una innovazione, in quanto tale tipo di intervento rientrerebbe tra le innovazioni tese a migliorare l’efficientamento energetico dell’edificio di cui al n. 2) dell’art. 1120 del c.c.: per approvare tali lavori è comunque sempre sufficiente il quorum deliberativo di cui al 2° co. dell’art. 1136 del c.c.

In definitiva, se l’assemblea decidesse di approvare l’intervento del cappotto termico agevolando il tutto con il bonus facciate non vi sarebbe spazio per alcuna contestazione, a patto che il tutto venga approvato con le maggioranze di cui all’art. 1136 del c.c. e l’assise venga convocata seguendo le procedure prescritte dal codice civile: quanto deciso dalla assemblea diverrebbe, inevitabilmente, obbligatorio per tutti i condomini ai sensi del 1° co. dell’art. 1137 del c.c.

Il rischio poi di subire una verifica da parte della Agenzia delle Entrate è del tutto ininfluente, in quanto questo è una eventualità che si corre tutte le volte che si decide di aderire ad un bonus fiscale, ma ciò sicuramente non giustifica una impugnazione della delibera condominiale innanzi alla autorità giudiziaria.
E’ chiaro che se in sede di verifica emergessero delle responsabilità da parte dei professionisti che hanno assistito il condominio durante l’iter per l’ottenimento del bonus, si potrebbe al massimo teorizzare una ipotetica causa nei loro confronti.

Se si decidesse invece di richiedere il bonus 110%, il cappotto termico potrebbe essere approvato con un quorum deliberativo ancora più basso rispetto a quello previsto dal codice civile. Il nuovo comma 9 bis dell’art. 119 DL Rilancio prevede infatti che le deliberazioni dell'assemblea del condominio aventi per oggetto l'approvazione degli interventi agevolabili al 110% siano valide se approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell'edificio.
Secondo la normativa del 110%, si arriverebbe quindi ad approvare il cappotto termico con delle maggioranze che normalmente si applicano quando l’assemblea, riunita in seconda convocazione, deve prendere decisioni ordinarie, come, ad esempio, il cambio della impresa di giardinaggio!

È importante tener presente, però, che queste maggioranze molto basse sono previste dalla normativa del bonus 110%, poiché tale tipo di agevolazione è molto più difficile da raggiungere rispetto al bonus facciate: vi sono molte più condizionalità e step da seguire per ottenerla.
Tra queste, la condizione più famosa e la più ardua da raggiungere è quella di dover assicurare all’edificio, per mezzo dell’intervento edilizio, un balzo di due classi nella scala dell’efficientamento energetico.

Per raggiungere tale obbiettivo in un condominio, è spesso necessario effettuare ristrutturazioni che non si limitano a coinvolgere le sole parti in proprietà comune, ma che si estendono anche alle singole abitazioni dei condomini.

Questo, molto probabilmente, è il caso del condominio descritto nel quesito, in quanto si sta pensando non solo di effettuare il cappotto termico alla facciata comune, ma anche di cambiare le caldaie per il servizio di riscaldamento e acqua sanitaria, caldaie che però devono considerarsi pertinenze delle singole abitazioni e quindi in proprietà esclusiva dei singoli condomini.

Come abbiamo visto sopra, l’assemblea a colpi di maggioranza non può imporre l’esecuzione di lavori all’ interno delle singole abitazioni: una delibera in tal senso sarebbe radicalmente nulla. L’unica strada per addivenire al cambio delle caldaie è che tutti i condomini alla unanimità decidano di effettuare tale tipo di intervento; tutto ciò con buona pace delle maggioranze semplificate previste dalla legge sul bonus 110%! Ciò comporta che per bloccare l’iter di approvazione dei lavori, basterebbe che un condomino si rifiutasse di cambiare la propria caldaia nel suo appartamento.

Quindi, concludendo: se l’assemblea decidesse di approvare la realizzazione del solo cappotto termico usufruendo del bonus facciate, vi sarebbero pochi margini per una eventuale contestazione in giudizio, a patto ovviamente che il tutto venga approvato con le maggioranze di cui all’art. 1136 del c.c. che si sono già illustrate.

Se invece, si volesse optare anche per il cambio delle caldaie e l’utilizzo del bonus 110%, si avrebbe sicuramente un maggior spazio di manovra per una eventuale contestazione in quanto tale intervento non potrebbe essere approvato a maggioranza: una decisione in tal senso da parte della assemblea sarebbe facilmente impugnabile innanzi al giudice in ogni tempo. In questo secondo caso, affinché i lavori possano essere validamente approvati, vi sarebbe la necessità che tutti i condomini, e quindi anche l’autore del quesito, diano il loro assenso.


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