Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Roma aveva ordinato ad una condomina di demolire un manufatto coperto (tettoia con angolo cottura), che era stato “realizzato in sopraelevazione su porzione del suo terrazzo”, sito al piano attico di un condominio.
Secondo la Corte d’appello, infatti, tale manufatto appariva “lesivo del decoro architettonico” del fabbricato, in quanto “ben visibile dalla strada”.
Ritenendo la decisione ingiusta, la condomina in questione aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo la condomina, in particolare, la Corte d’appello non avrebbe dato corretta applicazione agli artt. 1120 e 1127 c.c., in quanto “la lesione del decoro architettonico” dovrebbe “considerarsi soltanto con riferimento alla facciata principale dell'edificio”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alla condomina, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Precisava la Cassazione, in proposito, che l’art. 1127 c.c. concede il diritto di sopraelevazione al proprietario dell’ultimo piano di un edificio condominiale, a condizione che ciò non pregiudichi la staticità del fabbricato e l’aspetto architettonico dello stesso.
Evidenziava la Cassazione, inoltre, che “l'aspetto architettonico”, cui fa riferimento l’art. 1127 c.c., presuppone che l'intervento edificatorio in sopraelevazione rispetti “lo stile del fabbricato” e non rappresenti “una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l'originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista, in modo percepibile da qualunque osservatore”.
Secondo la Cassazione, inoltre, “il giudizio relativo all'impatto della sopraelevazione sull'aspetto architettonico dell'edificio va condotto, in ogni modo, esclusivamente in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell'immobile condominiale”.
Osservava la Cassazione, dunque, che a nulla rileva la distinzione, effettuata dalla ricorrente, “fra facciata principale, o meno, dell'edificio”, in quanto, nell’ambito di un edificio condominiale, “le facciate stanno ad indicare l'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che connotano il fabbricato, imprimendogli una fisionomia autonoma e un particolare pregio estetico”.
La facciata rappresenta, quindi, secondo la Cassazione, “l'immagine stessa dell'edificio, la sua sagoma esterna e visibile, nella quale rientrano, senza differenza, sia la parte anteriore, frontale e principale, che gli altri lati dello stabile”.
Ebbene, nel caso di specie, poiché il giudice di secondo grado aveva adeguatamente motivato la propria decisione, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla condomina, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.