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Articolo 1176 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 03/08/2024]

Diligenza nell'adempimento

Dispositivo dell'art. 1176 Codice Civile

Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia(1).

Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata [2104, 2145 comma 2, 2174, 2224 comma 1, 2232, 2236](2).

Note

(1) La diligenza rappresenta un concetto diverso da correttezza o buona fede (v. 1175 c.c.). Queste ultime impongono alle parti di tenere un comportamento corretto nell'eseguire la propria prestazione ma non riguardano interessi specificamente predeterminati bensì il rapporto obbligatorio nel suo complesso. La diligenza, invece, indica le modalità di esecuzione della prestazione e impone al debitore di fare tutto quanto necessario a soddisfare l'interesse del creditore all'esatto adempimento.
(2) Il secondo comma indica il grado di diligenza richiesto al professionista, ad esempio all'avvocato o al medico. Secondo parte della dottrina tale comma esprime un principio di portata generale, per cui si dovrebbero sempre considerare le specifiche competenze del debitore, anche se questi non sia un professionista.

Ratio Legis

La diligenza indica innanzitutto lo sforzo richiesto al debitore per garantire al creditore l'esatto adempimento. Di conseguenza, è in base alla stessa diligenza che viene definita la responsabilità del debitore nel caso di suo inadempimento ai sensi dell'art. 1218 del c.c.. In particolare, si configura colpa lieve anche in caso di minimo inadempimento se viene richiesto un grado maggiore di diligenza; invece quando sia sufficiente una minor perizia è necessaria una violazione più consistente e si parla di colpa grave.

Brocardi

Bonus pater familias
Culpa
Culpa levis
Culpa levissima
Diligentia
Non potest improbus videri, qui ignorat quantum solvere debeat
Solutio
Solutio est praestatio eius quod est in obligatione
Solutionis verbum pertinet ad omnem liberationem quoquo modo factam

Spiegazione dell'art. 1176 Codice Civile

Effetti del rapporto giuridico obbligatorio. L'adempimento

Costituitosi tra le parti o per loro volontà o per determinazione della legge un rapporto obbligatorio, da questo derivano alcuni effetti che si fissano nei due seguenti : adempimento, inadempimento dell'obbligo. Ad essi si può ricollegare anche un altro: la costituzione di mezzi di garanzia per l’ adempimento. Ora, mentre quest'ultimo non trova qui la sua sedes materiae, degli altri due si discorrerà, seguendo l'ordine del codice che, lo si rileva sin d'ora, si presenta sotto alcuni aspetti abbastanza discutibile.

L'adempimento segna, quindi, uno degli effetti del rapporto obbligatorio: quello normale, per cui questo è sorto. Adempimento vuol dire estinzione dell'obbligo, identico significato aveva il termine « pagamento » che il codice del 1865 - forse così traducendo, ma erroneamente, la romana « solutio » - adoperava per designare l'adempimento. Ma se il pagamento ci richiama un debito di danaro (nummorum solutio) e se la prestazione ha questo e diverso oggetto, il termine « adempimento » rispecchia bene l'estinzione del rapporto obbligatorio e risponde con rilevante approssimazione al significato etimologico della « solutio » che null'altro indicava se non la liberazione (solvere) dell’obbligato.

Tuttavia, se adempimento vuol dire estinzione dell'obbligo, non ogni causa estintiva di questo, però, rappresenta un adempimento, potendo il vincolo obbligatorio cessare per fatti che non costituiscono soddisfacimento dell'obbligo primario, tali il casus, la novazione, la compensazione, la confusione, la rimessione del debito, l’ impossibilità della prestazione


Indole e natura giuridica dell'adempimento

Chiarito il concetto di adempimento, occorre delinearne la natura giuridica, problema arduo e dibattuto. Alcuni hanno definito l’adempimento il conseguimento dello scopo dell'obbligazione, ma chiunque rifletta sul fatto che vi sono delle cause le quali attuano lo scopo dell'obbligazione e tuttavia non ne costituiscono adempimento, capirà che tale teoria appare inaccettabile. D'altra parte è chiaro come porre in rilievo il conseguimento della prestazione significa precisare soltanto la funzione economica e non la natura giuridica dell'adempimento.

Altri hanno creduto di vedere nell'adempimento un negozio giuridico che viene identificato ora in un contratto, ora in un negozio giuridico unilaterale. Premesso che il problema sta nel definire l'indole giuridica dell'adempimento, cioè di quella particolare attività del debitore rivolta a soddisfare i1 diritto del creditore, una prima osservazione si delinea spontanea a chi voglia fare buon viso alla teoria del negozio giuridico, sia esso unilaterale che bilaterale, e l'osservazione è questa: poiché vi sono degli obblighi di non fare, come si può definire l'adempimento di questi quale negozio giuridico se al debitore si richiede non una dichiarazione di volontà ma solo l'astensione da un' attività? Di qui secondo alcuni deriva la diversificazione delle due specie di adempimento: per quelli di dare o di fare questo sarebbe un contratto; per quelli di non fare sarebbe un mero fatto

Per evitare tale duplice soluzione del problema altri ancora hanno qualificato l’ adempimento sempre come un atto dovuto, ossia un atto che consiste net soddisfacimento dell'obbligo, un atto che, in certe ipotesi (obblighi di non fare) si verifica senza dichiarazione di volontà. A dire il vero questa concezione dell'adempimento ci lascia abbastanza incerti: che il debitore sia tenuto ad adempiere la prestazione e insito nella stessa funzione del rapporto obbligatorio, nulla, perciò, sembra si precisi col dire che l'adempimento sia un atto dovuto dal debitore. È proprio sull'indole giuridica di tale atto che si discute, poiché nessuno ha messo in dubbio che si tratti di atto dovuto, vale a dire che da un lato ad esso il creditore ha diritto e, dall'altro, il debitore ne è obbligato. Non sembra possibile l’ unificazione di due fattispecie nettamente distinte, l'adempimento negli obblighi di fare e di dare, l'adempimento negli obblighi di non fare: infatti in quelli l’ attività del debitore, diretta alla prestazione, si conclude nella dichiarazione di volontà di adempiere e nell'esecuzione di tale volontà, in questi l’ adempimento si attua in forza di un fatto, ossia di una mera astensione, senza cioè che sia espres­sa alcuna volontà, poiché una dichiarazione di volontà sarebbe, in tal caso, irrilevante.

Se alle considerazioni che precedono si aggiunge – e il rilievo è confermato dall'esame di norme positive - che per l'efficacia dell'adempimento negli obblighi di dare e di fare si richiede la volontà (animus solvendi) e la capacità del debitore e del creditore, appare più fondata la teoria che vede nell'adempimento un negozio giuridico unilaterale o - secondo i suesposti rilievi - bilaterale, con
una sua causa propria (solutio) che ne fa una categoria a se stante, quella dei negozi solutori. Né contro questa conclusione starebbe, come taluno ha ritenuto, l'istituto dell'imputazione dei pagamenti ex parte debitoris o ex parte creditoris (se c’è il loro accordo la questione non si delinea), in cui la determinazione unilaterale del debitore o del creditore, a seconda dei casi, esclude che si possa parlare di negozio giuridico bilaterale e di contratto in particolare. Tale ricostruzione appare però inconsistente, perché nell'ipotesi dell'imputazione di pagamento rimesso alla volontà o del debitore o del creditore non è il pagamento, ma la sua destinazione ad estinguere uno tra i vari debiti.


Le regole per l'esatto adempimento

Il codice, negli articoli posti sotto la sez. I, enuncia varie regole le quali si pongono tutte nel c. d. sistema dell'adempimento in generale e tendono ad assicurare che questo si svolga in modo esatto, vale a dire sulla base di una corrispondenza tra la prestazione effettuata e quella dedotta nel rapporto obbligatorio, poiché solo in tal caso può dirsi soddisfatto il diritto del creditore.

L'adempimento è un atto del debitore di regola: ma, quando la legge o l'indole della prestazione non si oppongono, può essere anche di un terzo. Esso comunque presuppone lo svolgimento di un'attività per la quale l'art. 1176 richiede una determinata diligenza: la diligenza del buon padre di famiglia. Questa figura, di antica tradizione, ha dimostrato di poter essere adattata a qualsiasi specie di adempimento, quando non sia dalla legge richiesta una diligenza di particolare intensità; pertanto essa è stata mantenuta nel nuovo codice, nonostante nel progetto del 1936 non fosse stata enunciata in termini così generali, essendosi osservato che se si escludono casi stabiliti dalla legge (ad es. i contratti di deposito e di mandato) è certo che l’ intensità della diligenza del debitore nell'adempimento deve essere determinata alla stregua della regola secondo cui egli non va esente da responsabilità se non provi che l'inadempimento o il ritardo sono dovuti a causa a lui non imputabile. In verità il principio della liberazione del debitore per caso fortuito si concilia con l'altro che, di portata generale, riflette il comportamento di ogni debitore: entrambi, in definitiva, si integrano a vicenda.

Alla base di questo comportamento del debitore, è dunque ancor oggi mantenuta ferma (contro l'enunciazione, fatta da altri codici, della diligenza adoperata nella vita degli affari), la diligenza del bonus pater familias, dell'uomo, cioè, considerato non quale “medio” secondo un calcolo statistico tra altri dello stesso tipo, ma come quello che, conscio delle proprie responsabilità di cittadino e di collaboratore dell'intero organismo sociale, svolge le sue azioni indirizzandole al raggiungimento di fini che sono non soltanto i suoi ma, principalmente, della società di cui fa parte. Ciò in astratto, perché in concreto poi il tipo del bonus pater familias, per la sua duttile relatività che lo rende adattabile ai vari aspetti della vita sociale e alle particolari circostanze della prestazione, richiama tutto quel complesso di cure, cautele ed attività che ogni debitore impiega normalmente nel soddisfare i propri obblighi, avuto riguardo, beninteso, alla loro particolare natura. Il che permette di delineare un concetto del bonus pater familias non soggettivo, di contenuto incerto e, quindi, non uniformemente applicabile ai rapporti obbligatori, ma oggettivo e generale, che è dato dal tipo di uomo che vive in una determinata società, in un particolare momento storico e in essa svolge quelle attività che segnano un punto di riferimento per la configurazione del bonus pater familias. Che questa figura sia da intendersi in tali termini lo conferma il capoverso dell'articolo in esame, che della regola del primo comma fa un'applicazione a titolo di esemplificazione legislativa (non si tratterebbe, perciò, di norma ristretta alla specie prevista) precisando che nell'adempimento degli obblighi derivanti dall'esercizio di un'attività o di un'organizzazione professionale (prestazioni esclusivamente o prevalentemente intellettuali), la diligenza deve essere valutata con riguardo alla natura dell'attività esercitata.


La diligenza del bonus pater familias in particolare

La diligenza nell'adempimento imposta al debitore è identificata esclusivamente in quella del bonus pater familias, in quanto l’art. 1176, modificando l'art. 1224 del vecchio codice (di cui pure conserva, in sostanza, il contenuto, ma non lo riproduce nelle sue specificazioni e limitazioni) ha inteso escludere, nell’ ambito del nostro diritto, ogni base per la distinzione conosciuta dagli antichi della diligenza in tre diversi gradiminima, media, massima (cui corrispondevano i tre gradi di colpa lata, levis, levissima). Pertanto ha avuto cura di precisare che la diligenza nell'adempimento della prestazione, abbia questa per oggetto l’ utilità di una delle parti o di ambedue, era sempre quella di un buon padre di famiglia: enunciazione che poteva ammettersi solo vigente il codice del 1865 su cui si era fatta sentire quella triplice distinzione. Con le seconde lo stesso art. 1224 soggiungeva, nel cpv., che la regola della comune diligenza era derogata dall'ipotesi di deposito prevista dall'art. 1843 e che la stessa regola si doveva applicare con maggiore o minor rigore secondo le norme dettate dal codice per certi casi. Oggi non è stata indicata nè l'indifferenza dell'utilità della prestazione, ne la necessità di valutare la diligenza con maggiore o minore rigore: l'omissione della prima si spiega con l'abbandono fatto dal codice vigente del grado di diligenza quam in suis, perché ritenuto troppo incerto, vago e determinante, senza giustificati motivi, una responsabilità più gravosa.

Ma la soppressione del cpv. non vuol dire che quel criterio di maggiore o minor rigore nella valutazione di una diligenza non possa ancor oggi essere adottato dal giudice. Così devono considerarsi casi di responsabilità aggravata quelli, ad es., previsti in rapporti contrattuali dagli articoli 1783 (gli albergatori sono obbligati come depositari per le cose che i clienti hanno consegnato loro in custodia), 1805 (il comodatario è responsabile se la cosa perisce per un caso fortuito, a cui poteva sottrarla sostituendola con la cosa propria o se, potendo salvare una delle due cose, ha preferito la propria), e in rapporti non originati da vincolo contrattuale, dagli articoli 2050 (chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati è tenuto al risarcimento se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno), art. 2054 (il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo se non prova di aver fatto tutto ii possi-bile per evitare ii danno). Il maggior rigore nella valutazione della diligenza in questi due ultimi articoli si spiega meditando sul fatto che colui il quale esercita un'attività pericolosa deve prevedere l'evento dannoso ed è, quindi, in condizione più favorevole per adottare ogni misura di cautela.

D'altro canto casi di minor rigore nel giudicare della diligenza del bonus pater familias che chiamano a rispondere solo per colpa grave (oltre che per dolo) possono essere quelli dell'erede con beneficio d'inventario per l'amministrazione dei beni ereditari (art. 491 del c.c.), del donante per inadempimento o ritardo nell'eseguire la donazione (art. 789 del c.c.), del terzo acquirente dell'immobile ipotecato per i danni derivati mobile in pregiudizio dei creditori iscritti (art. 2864 del c.c.), mentre pur con minor rigore, anche se non si può escludere la responsabilità per colpa lieve, viene valutata la responsabilità del mandatario gratuito (art. 1710, 1° comma), del depositario gratuito (art. 1768, 2° comma), e del gestore di affari (art. 2030, 2° comma). Una possibilità di valutare l'ordinaria misura della diligenza con minor rigore è rimessa dalla legge alla volontà delle stesse parti pur con delle limitazioni inderogabili: è e l'ipotesi prevista dall'art. 1229, della quale si dirà a suo tempo.


Requisiti subbiettivi ed obbiettivi per l'esatto adempimento: rinvio

La diligenza che l'art. 1176 richiede nell'adempimento dell'obbligo costituisce un requisito necessario perché questo possa dirsi esattamente adempiuto dal debitore a favore del creditore: essa, però, non è l'unico, poiché ve ne sono altri nel codice, il quale, pur non indicandoli espressamente, li presuppone nelle diverse norme che li disciplinano. Così per l'esatto adempimento è necessario che :
a) vi sia un precedente rapporto obbligatorio;
b) sia prestato quanto è dovuto;
c) sia prestato alla persona che deve ricevere;
d) sia prestato dalla persona che vi è tenuta;
e) sia prestato nel luogo stabilito;
f) ove l'obbligo derivi da contratto, il debitore effettui la sua prestazione secondo buona fede (art. 1375 del c.c.) e in conformità a quanto può essergli imposto dalle clausole d'uso (art. 1340 del c.c.).
Sull'ultimo requisito è necessario precisare che esso — ben lungi dal riprodurre nel nostro ordinamento giuridico la classica distinzione delle actiones in actiones bonae fidei ed actiones stricti juris, significa solo dovere per le parti di mantenere, nella sfera del rapporto obbligatorio, un comportamento ispirato a probità, sia nell'affermazione leale dei diritti e degli obblighi reciproci, sia nel modo con cui questi vengono fatti valere. Degli altri requisiti si dirà in sede di commento agli articoli che se ne occupano.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

63 Nel capoverso del citato art. 73 è riprodotto, in termini più generali, il principio dell'art. 1124 cod. civ., in base quale i contratti debbono essere eseguiti di buona fede.
L'affermazione di questo dovere si completa, allo scopo di determinare il grado e la misura del contegno attivo che il debitore deve tenere, con il principio che il debitore deve, nell'adempimento dell'obbligazione, usare la diligenza di un buon padre di famiglia.
Detta regola non era stata assunta dalla Commissione reale in termini così generali perché, ad avviso della stessa, se si escludono i casi menzionati dalla legge (custodia e mandato), la intensità del dovere del debitore deve essere determinata alla stregua dalla regola secondo cui egli non è esente da responsabilità se non quando provi che l'inadempimento o il ritardo provengono da causa estranea a lui non imputabile.
Il sistema adottato dalla Commissione reale è quello del codice Napoleone (art. 1137); e questo ritorno a posizione superate dal codice del 1865 poteva segnare un regresso, tanto più che la giurisprudenza francese estendeva già il ristretto principio dell'art. 1137 ad ogni genere di obbligazione. Vero è, solo che, mentre in certe obbligazioni (come, ad esempio, quella di custodia) il richiamo alla diligenza importa addirittura la determinazione concreta del contenuto dell'obbligo, invece in altre obbligazioni, in cui il contenuto specifico è già predeterminato, la diligenza richiesta. è solo un criterio per valutare il contegno del debitore. Ma questo diverso rilievo, che può avere il richiamo della diligenza nell'adempimento, non esclude affatto la possibilità di una formulazione generale.
Né mi pare, poi, che tale formulazione contrasti con il fatto che il debitore è esente dalla sole conseguenze del fortuito. La regola generale suddetta integra, anzi, la norma che pone la esenzione dal solo fortuito. Infatti, di vero casum non si potrà più parlare quando risulti che non fu osservata la dovuta misura di diligenza; sorge, allora, l'imputabilità dell'evento che impedì o ritardò l'esecuzione dell'obbligazione.
64 La figura del bonus pater familias non merita, poi, di scomparire dal sistema del codice civile, perché essa ha una tradizione bimillenaria; e, per quanto sommersa dai principi portati con le invasioni barbariche, si è manifestata tanto piena di vitalità da ritornare a dominare la vita giuridica con la resurrezione del romanesimo.
I sistemi che hanno tentato di allontanarsi dal tipo dell'uomo medio hanno sostituito formule che sono ricadute nella considerazione del tipo stesso. Così, i sistemi che hanno richiamato la diligenza richiesta nella vita degli affari (§ 276 B.G.B.) hanno usato una formula che, quando si è voluta concretare, è sempre venuta a riferirsi al contegno della media degli uomini. Quelle altre legislazioni che si sono nettamente distaccate dalla formula romana, hanno rinviato all'arbitrio del giudice la determinazione del grado di diligenza necessaria (cfr. esplicitamente, § art. 717 del codice portoghese e, sostanzialmente, § 99 del codice svizzero delle obbligazioni) e hanno portato, nell'apprezzamento del contegno del debitore, quegli estremi di subiettività, che non danno certezza di contenuto ai rapporti obbligatori.
Si è detto che la formula del bonus pater familias conduce l'interprete a considerare le condizioni di ambiente in cui opera il singolo, e descrive il tipo dell'uomo di una determinata società in un suo determinato momento storico. [...]
Da codesti estremi dovranno la giurisprudenza e la dottrina ricavare l'apprezzamento circa la diligenza del debitore se vorranno interpretare lo spirito della legge nuova; e poiché la regola posta ha carattere generale, è sembrato inutile specificare, come fa l'art. 1224 cod. civ., che la diligenza del buon padre di famiglia si deve impiegare sia quando l'obbligazione abbia per oggetto l’utilità di una delle parti, sia quando essa abbia per oggetto l’utilità di entrambe le parti.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

559 Quale caposaldo della disciplina dell'adempimento delle obbligazioni rimane la misura di diligenza riferita al tipo classico del buon padre di famiglia art. 1176 del c.c.: nell'art. 1768, primo comma, è stato abbandonato il criterio della diligenza quam in suis, applicata nel deposito dall'art. 1843 cod. civ. del 1865, perché esso non dava alla responsabilità del debitore una base certa, come la dà la diligenza in astratto,e poteva anche spingere senza ragione verso una responsabilità più rigorosa. La diligenza del buon padre di famiglia, come è noto, è una di quelle formule elaborate dalla giurisprudenza romana e dalla tradizione romanistica, che desumono il loro contenuto dalle concezioni dominanti nella coscienza sociale, e che, per la loro adattabilità alle situazioni di fatto, rispondono in modo eccellente ai bisogni vari della vita di relazione. La figura del bonus pater familias non si risolve nel concetto di « uomo medio », ricavabile dalla pratica della media statistica; ma è un concetto deontologico, che è frutto di una valutazione espressa dalla coscienza generale. E' il modello di cittadino e di produttore, che a ciascuno è offerto dalla società in cui vive; modello per sua natura mutevole secondo i tempi, le abitudini sociali, i rapporti economici e il clima politico. Oggi il buon padre di famiglia è, in conformità della dottrina fascista, il cittadino o il produttore memore dei propri impegni e cosciente delle relative responsabilità. Il criterio della diligenza, richiamato in via generale nell'[[1176]] come misura del comportamento del debitore nell'eseguire la prestazione dovuta, riassume in sé quel complesso di cure e di cautele che ogni debitore deve normalmente impiegare nel soddisfare la propria obbligazione, avuto riguardo alla natura del particolare rapporto ed a tutte le circostanze di fatto che concorrono a determinarlo. Si tratta dl un criterio obiettivo e generale, non soggettivo e individuale: sicché non basterebbe al debitore, per esimersi da responsabilità, dimostrare di avere fatto quanto stava in lui per cercare di adempiere esattamente l'obbligazione. Ma, d'altra parte, è un criterio che va commisurato al tipo speciale del singolo rapporto; per questo, nel secondo comma dell'[[1176]], è chiarito, a titolo di esemplificazione legislativa, che, trattandosi di obbligazioni inerenti all'esercizio (e quindi all'organizzazione) di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi avuto riguardo alla natura dell'attività esercitata; per questo, inoltre, pur essendo apparso superfluo riprodurre il secondo comma dell'art. 1224 del c.c., è da ritenersi certo che sussistono anche nel nuovo sistema dei casi in cui la diligenza deve apprezzarsi con minore o con maggiore rigore. Il minor rigore, oltre che a proposito dell'erede beneficiato (art. 491 del c.c.), del donante (art. 789 del c.c.), del prestatore d'opera intellettuale (art. 2236 del c.c.) e del terzo acquirente dell'immobile ipotecato (art. 2864 del c.c., primo comma), per i quali la responsabilità sorge solo come effetto della colpa grave, si applica nei confronti del mandatario gratuito (art. 1710 del c.c., primo comma), del depositarlo gratuito (art. 1768 del c.c., secondo comma) e del gestore d'affari (art. 2030 del c.c., secondo comma) per i quali la diligenza normale deve essere valutata meno rigorosamente, anche se non si arriva ad escludere del tutto la responsabilità per colpa lieve. Ma il minor rigore può essere anche stabilito convenzionalmente: l'ammette l'art. 1229 del c.c., sempre che il patto relativo non importi esonero o limitazione della responsabilità per dolo o per colpa grave, e con l'ulteriore esclusione dei casi in cui l'obbligazione è stabilita da norme di ordine pubblico. Il maggior rigore concerne la ipotesi dell'art. 1681 del c.c., sulla quale sarà fatta parola più avanti (n. 571, in fine).

Massime relative all'art. 1176 Codice Civile

Cass. civ. n. 8058/2023

Sussiste la responsabilità dell'architetto, dell'ingegnere o del geometra, il quale, nell'espletamento dell'attività professionale consistente nell'obbligazione di redigere un progetto di costruzione o di ristrutturazione di un immobile, non assicuri la conformità dello stesso alla normativa urbanistica, in quanto l'irrealizzabilità del progetto per inadeguatezze di natura tecnica costituisce inadempimento dell'incarico e consente al committente di rifiutare di corrispondergli il compenso, ovvero di chiedere la risoluzione del contratto. Né la responsabilità del professionista viene meno e può riconoscersi il suo diritto ad ottenere il corrispettivo ove la progettazione di una costruzione o di una ristrutturazione in contrasto con la normativa urbanistica sia oggetto di un accordo tra le parti per porre in essere un abuso edilizio, spettando tale verifica al medesimo professionista, in forza della sua specifica competenza tecnica, e senza che perciò possa rilevare, ai fini dell'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 2226, comma 1, c.c., la firma apposta dal committente sul progetto redatto.

Cass. civ. n. 2906/2023

In tema di riscossione, la responsabilità dei liquidatori e degli amministratori per le imposte non pagate con le attività della liquidazione, prevista dall'art. 36 del D.P.R. n. 602 del 1973, trova la sua fonte in un'obbligazione civile propria "ex lege" in relazione agli artt. 1176 e 1218 c.c., sicché, non avendo natura strettamente tributaria, a carico dei predetti non vi è alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese. Inoltre l'azione di responsabilità nei confronti del liquidatore verso i creditori ex art. 2495 c.c. si fonda sulla inosservanza degli obblighi suoi propri attinenti alla fase della liquidazione (ad esempio, rispettando i gradi di privilegio), mentre quella ex art. 36 D.P.R. n. 602 del 1973 è riconducibile agli artt. 1176 e 1218 c.c. ed integra una ipotesi di responsabilità propria ex lege (esercitabile solo se i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e se sia acquisita legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione) in funzione del prioritario soddisfacimento dei crediti tributari, sicché, estinta la società contribuente, non si realizza alcuna forma di successione nei confronti del liquidatore, ma sorgono ipotesi di responsabilità nuove e fondate su differenti presupposti, ancorché implichino l'esistenza della obbligazione tributaria.

Cass. civ. n. 26866/2022

Nel caso di pagamento di una somma in favore di soggetto non legittimato, non concorre ad individuare il livello di diligenza qualificata, esigibile da Poste Italiane ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., la raccomandazione ABI contenuta nella circolare del 7 maggio 2001 (che prescrive l'identificazione del beneficiario del pagamento attraverso due documenti muniti di fotografia), dal momento che alla stessa non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva, né tale regola prudenziale di condotta si rinviene negli "standards" valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall'ordinamento positivo, posto che l'attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d'identità personale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto correttamente osservati, da parte di Poste Italiane, gli obblighi di diligenza finalizzati all'identificazione del destinatario di un bonifico domiciliato, sul presupposto che la clausola delle condizioni generali della convenzione intercorsa col cliente ordinante, che faceva riferimento - al plurale - ai "documenti di riconoscimento" presentati dal beneficiario, dovesse essere interpretata non già nel senso dell'obbligo, per quest'ultimo, di esibire due documenti, bensì in quello di escludere la necessità di presentazione di uno specifico documento d'identificazione).

Cass. civ. n. 26275/2022

Ai fini dell'esonero dalla responsabilità contrattuale derivante da emotrasfusione, la struttura sanitaria inserita nella rete del SSN presso la quale è stato praticato il trattamento con sangue infetto - qualora non abbia provveduto con un proprio autonomo centro trasfusionale ed abbia utilizzato sacche acquisite tramite il servizio pubblico competente - è onerata di provare la propria condotta diligente e, cioè, di essersi concretamente accertata che il sangue trasfuso sia stato sottoposto a controlli preventivi ed effettivi da parte di quel servizio. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che aveva escluso la responsabilità contrattuale di un ospedale in base alla sola considerazione che le sacche di sangue non provenivano da un centro trasfusionale autonomo interno all'ospedale, bensì da un centro ad esso esterno).

Cass. civ. n. 20477/2022

Al fine di valutare la sussistenza della responsabilità colposa della banca negoziatrice nell'identificazione del presentatore del titolo, la diligenza professionale richiesta deve essere individuata ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., che è norma "elastica", da riempire di contenuto in considerazione dei principi dell'ordinamento, come espressi dalla giurisprudenza di legittimità, e dagli "standards" valutativi esistenti nella realtà sociale, tra i quali non rientra l'onere per la banca negoziatrice dell'assegno di traenza di richiedere due documenti d'identità muniti di fotografia al presentatore del titolo, posto che l'attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d'identità personale.

Cass. civ. n. 10050/2022

In tema di responsabilità contrattuale per inadempimento delle obbligazioni professionali (tra le quali si collocano quelle di responsabilità medica, anteriormente alla l. n. 24 del 2017), è onere del creditore-danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), il nesso di causalità, secondo il criterio del "più probabile che non", tra la condotta del professionista e il danno lamentato, mentre spetta al professionista dimostrare, in alternativa all'esatto adempimento, l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile, da intendersi nel senso oggettivo della sua inimputabilità all'agente.

Cass. civ. n. 34993/2021

Nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 1176 c.c., comma 2, e art. 2236 c.c., impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole. A tal fine incombe su di lui l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, insufficiente al riguardo, dovendo ritenersi il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello "jus postulandi", attesa la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio.

Cass. civ. n. 25288/2020

II contratto di ricovero produce, quale effetto naturale ex art. 1374 c.c., l'obbligo della struttura sanitaria di sorvegliare il paziente in modo adeguato rispetto alle sue condizioni, al fine di prevenire che questi possa causare danni a terzi o subirne; la prova liberatoria dell'impossibilità oggettiva non imputabile offerta dal danneggiante, richiesta dall'art. 1218 c.c., va verificata sul piano della non esigibilità di un comportamento diverso da quello in concreto tenuto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva fondato la responsabilità degli operatori sanitari della struttura sul mero fatto dell'autolesione provocatasi da una paziente con problemi psichici che le misure di contenzione adottate avrebbero dovuto scongiurare, senza interrogarsi su quali misure diverse, in considerazione dello stato gestazionale della paziente e dell'impossibilità di praticare trattamenti farmacologici, si sarebbero dovute esigere in concreto). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 11/05/2018).

Cass. civ. n. 9997/2020

Il fatto del terzo esclude la responsabilità contrattuale del ristoratore per i danni alla persona cagionati ad un cliente se integra gli estremi del caso fortuito e, cioè, quando è stato concretamente accertato che, osservando le regole di diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c., tale evento non poteva essere né previsto, né evitato. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione d'appello, la quale aveva escluso la sussistenza del caso fortuito senza in concreto accertare se l'esagitazione di un cliente - che aveva urtato il cameriere e così determinato il rovesciamento di una pizza bollente sul danneggiato - fosse stata improvvisa oppure protratta da tempo e se il gestore del ristorante avesse precedentemente richiamato all'ordine l'avventore e la sua comitiva o, al contrario, tollerato la loro condotta). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 05/07/2017).

Cass. civ. n. 8496/2020

Il perito nominato dal giudice delegato ai fallimenti per la stima degli immobili del fallito risponde, a titolo di responsabilità extracontrattuale, nei confronti dell'aggiudicatario per il danno da questi patito in conseguenza dell'erronea valutazione del bene qualora, nell'esecuzione della prestazione, non osservi la diligenza professionale qualificata richiesta - ex artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. - allo specialista in relazione alla natura dell'attività esercitata ed alle circostanze concrete del caso, incombendo, comunque, sul medesimo professionista di dare la prova della particolare difficoltà della detta prestazione. (Rigetta, CORTE D'APPELLO SEZ.DIST. DI BOLZANO, 17/03/2018).

Cass. civ. n. 30999/2018

In tema di responsabilità del medico chirurgo, la diligenza nell'adempimento della prestazione professionale deve essere valutata assumendo a parametro non la condotta del buon padre di famiglia, ma quella del debitore qualificato, ai sensi dell'art. 1176, comma 2 c.c., con la conseguenza che, in presenza di paziente con sintomi aspecifici, il sanitario è tenuto a prenderne in considerazione tutti i possibili significati ed a segnalare le alternative ipotesi diagnostiche. (Nel caso di specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte d'appello che aveva ritenuto diligente la condotta dei sanitari che, in presenza di sintomi aspecifici, quali svenimento e cefalea, non univocamente riconducibili ad un aneurisma cerebrale, ma nemmeno tali da escluderlo, avevano omesso di prescrivere al paziente tempestivi approfondimenti diagnostici con particolare riguardo alla TAC cranica).

Cass. civ. n. 30169/2018

In tema di responsabilità dell'avvocato verso il cliente, la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità, purché l'inadeguatezza rispetto al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata dal giudice di merito "ex ante", in relazione alla natura e alle caratteristiche della controversia e all'interesse del cliente ad affrontarla con i relativi oneri, dovendosi in ogni caso valutare anche il comportamento successivo tenuto dal professionista nel corso della lite; pertanto, in relazione ad una causa che presenti un'elevata probabilità di soccombenza per il proprio cliente, il difensore che abbia accettato l'incarico non può successivamente disinteressarsene del tutto, incorrendo in responsabilità professionale ove esponga il cliente all'incremento del pregiudizio iniziale, se non altro a causa delle spese processuali cui lo stesso va incontro per la propria difesa e per quella della controparte. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con riferimento a una causa di opposizione a decreto ingiuntivo dal sicuro esito sfavorevole, aveva escluso la responsabilità professionale dell'avvocato il quale, pur avendo sconsigliato il cliente di svolgere l'opposizione, aveva accettato l'incarico in considerazione della sua impossibilità di onorare nell'immediato il debito, adoperandosi successivamente nel corso della lite per addivenire a una transazione, tuttavia non accettata dal cliente).

Cass. civ. n. 26728/2018

In tema di omessa acquisizione del consenso medico informato, qualora risulti accertato, con riferimento alla sottoposizione di uno tra due coniugi ad intervento chirurgico, un peggioramento della salute inerente la sfera sessuale, rientrante nel rischio dell'intervento, sebbene non imputabile a cattiva esecuzione dello stesso, l'altro coniuge che risenta in via immediata o riflessa del danno, in quanto incidente sulla sfera relazionale e sulla vita di coppia, ha diritto al risarcimento del danno che sia conseguenza della condotta di violazione della regola del consenso informato in danno del paziente.

In tema di omessa acquisizione del consenso medico informato, la responsabilità grava non solo sul capo equipe esecutore dell'operazione ma anche sull'aiuto chirurgo, partecipante ad essa, che abbia in precedenza consigliato al paziente l'esecuzione dell'intervento, in quanto responsabile di non aver assicurato l'informazione dovuta nell'eseguire la propria prestazione consistente nel consigliare l'intervento.

Cass. civ. n. 24519/2018

In tema di responsabilità professionale dell'avvocato, viene meno ai propri obblighi di diligenza il legale che, dopo aver trascritto, in favore del cliente, un sequestro conservativo su un immobile, successivamente alienato dal debitore, non provveda agli adempimenti necessari per la conversione del sequestro in pignoramento, al fine di rendere inopponibile al creditore la suddetta alienazione, ai sensi dell'art. 2906, comma 1, c.c..

Cass. civ. n. 19199/2018

In materia di responsabilità sanitaria, l'inadempimento dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se nel primo caso l'omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell'interesse all'autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo l'incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell'atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall'opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l'allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell'onere della prova – che, in applicazione del criterio generale di cui all'art. 2697 c.c., grava sul danneggiato - del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso.

Cass. civ. n. 17022/2018

In tema di responsabilità sanitaria, l'omessa acquisizione del consenso informato preventivo al trattamento sanitario - fuori dai casi in cui lo stesso debba essere praticato in via d'urgenza e il paziente non sia in grado di manifestare la propria volontà - determina la lesione in sé della libera determinazione del paziente, quale valore costituzionalmente protetto dagli artt. 32 e 13 Cost., quest'ultimo ricomprendente la libertà di decidere in ordine alla propria salute ed al proprio corpo, a prescindere quindi dalla presenza di conseguenze negative sul piano della salute, e dà luogo ad un danno non patrimoniale autonomamente risarcibile, ai sensi dell'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c.

Cass. civ. n. 17010/2018

Non sussiste la responsabilità professionale del notaio che abbia omesso di indicare la presenza di iscrizioni ipotecarie su immobili trasferiti mediante atto da lui rogato quando sia provato che il contraente interessato a tale informazione conosceva l'esistenza di quelle formalità. (Nella specie, la S.C. in un giudizio risarcitorio promosso dagli acquirenti di un immobile nei confronti del notaio richiesto della redazione dell'atto pubblico di compravendita, ha ritenuto idoneo ad attestare la conoscenza, da parte dei compratori, dell'ipoteca gravante sul bene il fatto che nel contratto fosse stata inserita una clausola, sia pure seguita da annotazione di annullamento, contenente l'impegno della parte venditrice a provvedere alla cancellazione dell'iscrizione pregiudizievole).

Cass. civ. n. 6688/2018

In tema di attività medico-chirurgica, grava sul sanitario che esegua un esame diagnostico l'obbligo di informare il paziente, in forma completa e con modalità congrue al livello di conoscenze scientifiche dello stesso, sugli esiti dell'accertamento, sul grado di rischio delle patologie riscontrate e sulla necessità ed urgenza di ulteriori approfondimenti diagnostici, dal cui inadempimento può conseguire in capo al paziente un danno da perdita di "chance" di guarigione o di sopravvivenza. Questo danno presuppone che il paziente, benché malato grave o anche gravissimo, abbia tuttavia ancora dinanzi - ove la condotta medica fosse corretta - la possibilità di uscire da tale situazione mediante una guarigione o una sopravvivenza di entità consistente, misurabile in termini di anni (cd. lungo-sopravvivenza), e si distingue dal diverso pregiudizio alla qualità della vita nel tempo conclusivo dell'esistenza, il quale presuppone, invece, che il paziente versi nella condizione di malato terminale, la cui sopravvivenza - sempre nell'ipotesi di condotta medica corretta - sia circoscritta ad un tempo limitato, misurabile in termini di poche settimane o di pochi mesi.

Cass. civ. n. 2369/2018

In tema di responsabilità medica, ove l'atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito "secundum legem artis", non sia stato preceduto dalla preventiva informazione esplicita del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, può essere riconosciuto il risarcimento del danno alla salute per la verificazione di tali conseguenze, solo ove sia allegato e provato, da parte del paziente, anche in via presuntiva, che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e sofferenze). (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, relativamente all'asseverata mancanza di consenso di una paziente rispetto ad un intervento di salpingectomia quale complicanza di un parto cesareo, aveva affermato la responsabilità del medico senza valutare se la paziente, ove adeguatamente informata dell'intervento di sterilizzazione tubarica, avrebbe rifiutato la prestazione).

Cass. civ. n. 2060/2018

L'obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell'equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull'operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, sicché rientra tra gli obblighi di ogni singolo componente di una equipe chirurgica, sia esso in posizione sovra o sotto ordinata, anche quello di prendere visione, prima dell'operazione, della cartella clinica contenente tutti i dati per verificare la necessità di adottare particolari precauzioni imposte dalla specifica condizione del paziente ed eventualmente segnalare, anche senza particolari formalità, il suo motivato dissenso rispetto alle scelte chirurgiche effettuate ed alla scelta stessa di procedere all'operazione, potendo solo in tal caso esimersi dalla concorrente responsabilità dei membri dell'equipe nell'inadempimento della prestazione sanitaria. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto sussistente la concorrente responsabilità del secondo aiuto di una equipe chirurgica il quale, pur avendo correttamente eseguito i compiti di sua stretta competenza, aveva omesso di rilevare che il paziente versava in condizioni fisiche alterate, individuabili attraverso gli esami ematici presenti nella cartella, tali da sconsigliare altamente l'intervento operatorio, peraltro non necessario né urgente).

Cass. civ. n. 25111/2017

Non sussiste la responsabilità professionale del notaio che abbia omesso di indicare la presenza di vincoli limitativi della proprietà su immobili trasferiti mediante atto da lui rogato quando sia provato che il contraente interessato a tale informazione conosceva certamente dell’esistenza di quei vincoli (nella specie per averli costituiti), non ravvisandosi in tale ipotesi né la violazione del dovere di diligenza qualificata previsto dall’art. 1176 c.c., da doversi comunque interpretare alla stregua del canone generale di buona fede, né il nesso di causalità tra l’omessa informazione e la stipulazione dell'atto traslativo.

Cass. civ. n. 22820/2017

Il notaio che, chiamato a stipulare un contratto di compravendita immobiliare, ometta di accertarsi dell'esistenza di iscrizioni ipotecarie e di pignoramenti sull'immobile, può essere condannato al risarcimento per equivalente commisurato, quanto al danno emergente, all’entità delle somme che gli acquirenti devono corrispondere per soddisfare i creditori e liberare l’immobile dalle formalità pregiudizievoli, al fine di conservarne la proprietà.

Cass. civ. n. 12482/2017

Il notaio incaricato della redazione ed autenticazione di un contratto preliminare per la compravendita di un immobile, non può limitarsi a procedere al mero accertamento della volontà delle parti ed a sovraintendere alla compilazione dell’atto, occorrendo anche che egli si interessi delle attività preparatorie e successive necessarie ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto medesimo e del risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti stesse. (Nella specie, in cui le parti avevano pattuito un termine di nove anni per la stipula del definitivo, la S.C. ha ritenuto che rientrava nel cd. “dovere di consiglio”, gravante sul notaio ex art. 42, comma 1, lett. a), del codice di deontologia notarile, avvertire le parti della durata triennale degli effetti della trascrizione del preliminare, ai sensi dell’art. 2645-bis, comma 3, c.c., e, conseguentemente, degli ulteriori adempimenti necessari a garantire la sicurezza dell’operazione).

Cass. civ. n. 11208/2017

In tema di responsabilità per attività medico-chirurgica, in presenza di un intervento operatorio che - sebbene eseguito in conformità alle "leges artis" e non determinativo di alcun peggioramento della condizione patologica del paziente - non abbia prodotto alcun risultato di tipo terapeutico, e ciò in ragione dell’omessa esecuzione degli interventi preparatori necessari al suo buon esito da parte della struttura sanitaria, nonché di quelli successivi di natura riabilitativa occorrenti al medesimo scopo, ricorre un inesatto adempimento della struttura per avere dato luogo ad una ingerenza priva di utilità nella sfera psico-fisica del paziente, alla quale consegue un danno di natura non patrimoniale ravvisabile sia nella limitazione del proprio agire, sofferta dal paziente per il tempo occorso per le fasi preparatorie, di esecuzione e postoperatorie dell’intervento, sia nella sofferenza derivante tanto da tale limitazione, quanto dalla successiva percezione della inutilità del trattamento subìto.

Cass. civ. n. 9251/2017

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, la mancanza della mano sinistra del nascituro non è una malformazione idonea a determinare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, requisito imposto dall'art. 6, lett. b), della l. n. 194 del 1978 per far luogo all'interruzione della gravidanza dopo i primi 90 giorni dal suo inizio, sicché, non potendosi legittimamente ricorrere all'aborto, dall'omessa diagnosi dell'anomalia fetale non può derivare un danno risarcibile.

Cass. civ. n. 5004/2017

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, il ginecologo di fiducia della gestante che riscontri, tramite esame specialistico, un'alterazione cromosomica o altre anomalie del feto, non può limitarsi a comunicare tale dato alla propria paziente, indirizzandola al laboratorio di analisi per ulteriori approfondimenti, atteso che gli obblighi di informazione a suo carico devono estendersi a tutti gli elementi idonei a consentire a quest'ultima una scelta informata e consapevole, sia nel senso della interruzione della gravidanza, che della sua prosecuzione, non sottacendo, in tal caso, l’illustrazione delle problematicità da affrontare; a propria volta, il laboratorio di analisi ed il genetista non possono limitarsi alla verifica della esistenza della anomalia, reindirizzando la paziente al ginecologo di fiducia ma, a specifica richiesta della gestante, devono soddisfare le sue richieste di informazione anche in relazione alle più probabili conseguenze delle anomalie riscontrate

Cass. civ. n. 243/2017

In tema di responsabilità medica, qualora risulti che un ginecologo, al quale una gestante si sia rivolta per accertamenti sull'andamento della gravidanza e sulle condizioni del feto, abbia omesso di prescrivere l’amniocentesi, esame che avrebbe evidenziato la peculiare condizione dello stesso ("sindrome di down"), la mera circostanza che, due mesi dopo quella prestazione, la gestante abbia rifiutato di sottoporsi ad ulteriori accertamenti prenatali non elide l’efficacia causale dell’inadempimento del medico quanto alla perdita della “chance” di conoscere lo stato del feto sin dal momento in cui quell’inadempimento si è verificato; conseguentemente, ove la gestante lamenti di aver subito un danno alla salute psico-fisica, per aver scoperto la condizione del figlio solo al termine della gravidanza, la perdita di quella “chance” deve essere considerata parte del danno ascrivibile all’inadempimento del medico.

Cass. civ. n. 12516/2016

In tema di responsabilità medico-chirurgica, la ricorrenza di un fattore naturale può costituire causa esclusiva dell'evento pregiudizievole ove il danneggiante provi che lo stesso derivi da una circostanza a sé non imputabile. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha annullato la decisione impugnata che, in un caso di amputazione di un dito subita dalla paziente per la complicanza di un intervento chirurgico, non aveva accolto la domanda risarcitoria poiché era emerso che le lesioni erano derivate da una evoluzione fibrocicatriziale più abbondante dell'usuale, senza che, peraltro, il giudice di merito avesse valutato, in base alle risultanze istruttorie, se la reazione fibrocicatriziale o altri fattori naturali fossero stati causa esclusiva dell'evento).

Cass. civ. n. 11906/2016

In tema di responsabilità dell'avvocato verso il cliente, è configurabile imperizia del professionista allorché questi ignori o violi precise disposizioni di legge, ovvero erri nel risolvere questioni giuridiche prive di margine di opinabilità, mentre la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità purché la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata) dal giudice di merito "ex ante" e non "ex post", sulla base dell'esito del giudizio, restando comunque esclusa in caso di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità - in astratto o con riferimento al caso concreto - tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale ancorché il giudizio si sia concluso con la soccombenza del cliente.

Cass. civ. n. 11789/2016

L'affermazione della responsabilità del medico per i danni celebrali da ipossia patiti da un neonato, ed asseritamente causati dalla ritardata esecuzione del parto, esige la prova - che deve essere fornita dal danneggiato - della sussistenza di un valido nesso causale tra l'omissione dei sanitari ed il danno, prova da ritenere sussistente quando, da un lato, non vi sia certezza che il danno cerebrale patito dal neonato sia derivato da cause naturali o genetiche e, dall'altro, appaia più probabile che non che un tempestivo o diverso intervento da parte del medico avrebbe evitato il danno al neonato; una volta fornita tale prova in merito al nesso di causalità, è onere del medico, ai sensi dell'art. 1218 c.c., dimostrare la scusabilità della propria condotta.

Cass. civ. n. 7768/2016

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, anche la struttura presso la quale il paziente risulti ricoverato risponde della condotta colposa dei sanitari, a prescindere dall'esistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze della stessa, atteso che la diretta gestione della struttura sanitaria identifica il soggetto titolare del rapporto con il paziente. (Omissis).

Cass. civ. n. 6209/2016

In tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell'accertamento dell'eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione del giudice di merito, che aveva escluso la responsabilità dei sanitari nonostante non risultassero per sei ore annotazioni sulla cartella clinica di una neonata, nata poi con grave insufficienza mentale causata da asfissia perinatale, così da rendere incomprensibile se poteva essere più appropriata la rilevazione del tracciato cardiotocografico rispetto alla mera auscultazione del battito cardiaco del feto).

Cass. civ. n. 3893/2016

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, ove si individui in un pregresso stato morboso del paziente/danneggiato (o, come nella specie, in una sua peculiare condizione genetica, qual è la "sindrome di Down") un antecedente privo di interdipendenza funzionale con l'accertata condotta colposa del sanitario, ma dotato di efficacia concausale nella determinazione dell'unica e complessiva situazione patologica riscontrata, allo stesso non può attribuirsi rilievo sul piano della ricostruzione del nesso di causalità tra detta condotta e l'evento dannoso, appartenendo ad una serie causale del tutto autonoma rispetto a quella in cui si inserisce il contegno del sanitario, bensì unicamente sul piano della determinazione equitativa del danno, potendosi così pervenire - sulla base di una valutazione da effettuarsi, in difetto di qualsiasi automatismo riduttivo, con ragionevole e prudente apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto - solamente ad una delimitazione del "quantum" del risarcimento.

Cass. civ. n. 2177/2016

In tema di attività medico-chirurgica, il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell'intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo all'uopo idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico, né rilevando, ai fini della completezza ed effettività del consenso, la qualità del paziente, che incide unicamente sulle modalità dell'informazione, da adattarsi al suo livello culturale mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone. (Omissis).

Cass. civ. n. 25767/2015

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno, neppure sotto il profilo dell'interesse ad avere un ambiente familiare preparato ad accoglierlo, giacché l'ordinamento non conosce il "diritto a non nascere se non sano", né la vita del bambino può integrare un danno-conseguenza dell'illecito omissivo del medico.

Cass. civ. n. 21090/2015

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l'osservanza da parte di un nosocomio - pubblico o privato - delle dotazioni ed istruzioni previste dalla normativa vigente per le prestazioni di emergenza non è sufficiente ad escludere la responsabilità per i danni subiti da un paziente in conseguenza della loro esecuzione, essendo comunque necessaria - in forza del concluso contratto di "spedalità" - l'osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza, che impongono a quelle strutture di tenere, in concreto e per il tramite dei propri operatori, condotte comunque adeguate alle condizioni del paziente, adottando di volta in volta le determinazioni più idonee a scongiurare l'esito infausto.

Cass. civ. n. 19883/2015

La diligenza esigibile dalla P.A. nel compimento dei propri atti, ivi compresa l'adozione di provvedimenti amministrativi, va valutata col criterio dettato dagli artt. 1176, comma 2, c.c., applicabile anche alle ipotesi di responsabilità extracontrattuale, che, riferito all'amministrazione pubblica, richiede un comportamento rispettoso della legge, efficiente e tempestivo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione con cui la corte di merito aveva escluso la responsabilità di un'amministrazione comunale per avere, da un lato, adottato provvedimenti di decadenza ed annullamento di una concessione edilizia sul presupposto della loro contrarietà al piano regolatore, in realtà mai entrato in vigore, attendendo, peraltro, più di due anni per pervenire a tale determinazione, nonché, dall'altro, per avere dichiarato la decadenza dalla concessione per l'inerzia del titolare ex art. 4 della l. n.10 del 1977, nonostante la mancata ultimazione dei lavori fosse stata causata dall'amministrazione stessa, in forza dei provvedimenti suddetti, poi annullati dal giudice amministrativo).

Cass. civ. n. 19212/2015

Il consenso libero e informato, che è volto a garantire la libertà dell'individuo e costituisce un mezzo per il migliore perseguimento dei suoi interessi, consentendogli di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico o anche di rifiutare la terapia, salvo che ricorra uno stato di necessità, non può mai essere presunto o tacito, ma dev'essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un'adeguata informazione anch'essa esplicita (nel caso di specie, non si è ritenuto valido il consenso informato prestato verbalmente dalla paziente sotto effetto di narcosi e con scarsa conoscenza della lingua italiana).

Cass. civ. n. 18610/2015

Il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo "latu sensu" alberghieri, obblighi di messa a disposizioni del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche "di fiducia" dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto.

Cass. civ. n. 16990/2015

Il notaio richiesto della redazione di un atto pubblico di trasferimento immobiliare ha l'obbligo di compiere le attività preparatorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, è tenuto ad effettuare le visure catastali e ipotecarie, la cui eventuale omissione è fonte di responsabilità per violazione non già dell'obbligo di diligenza professionale qualificata, ma della clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza, ex art. 1175 c.c., quale criterio determinativo ed integrativo della prestazione contrattuale, che impone il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della controparte. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda risarcitoria nei confronti del notaio, il quale aveva rettificato un atto di compravendita - da lui stesso redatto - inserendovi un appezzamento di giardino, retrostante il fabbricato compravenduto, senza effettuare le visure che avrebbero permesso di accertare la diversa titolarità del terreno).

Cass. civ. n. 12218/2015

In tema di responsabilità professionale sanitaria, l'eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido legame causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione.

Cass. civ. n. 10133/2015

In tema di responsabilità professionale, il notaio, che è obbligato alla verifica dell'esistenza di formalità pregiudizievoli sul bene oggetto di compravendita, ma non è tenuto ad una condotta in concreto eccessivamente onerosa, ha l'onere probatorio di delimitare l'ambito della diligenza da lui esigibile, allegando e dimostrando non solo l'estensione (quantitativa e temporale) degli accertamenti esperiti, ma anche di quelle esperibili, nonché la regolarità o meno delle registrazioni effettuate dalla conservatoria ed altresì l'idoneità della specifica irregolarità contestata a rendere infruttuose eventuali ricerche del titolo reso pubblico. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la condanna, non avendo il notaio offerto la prova né delle visure effettuate né di quelle esperibili, in ragione delle condizioni di lavoro della conservatoria nei giorni immediatamente precedenti la stipula dell'atto).

Cass. civ. n. 6438/2015

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, il primario ospedaliero, in ferie al momento del contatto sociale, del ricovero e dell'intervento, non può essere chiamato a rispondere delle lesioni subite da un paziente della struttura ospedaliera solo per il suo ruolo di dirigente, non essendo configurabile una sua responsabilità oggettiva.

Cass. civ. n. 3390/2015

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l'accertamento del nesso causale - da compiersi secondo il criterio della "preponderanza dell'evidenza" (altrimenti definito anche del "più probabile che non") - implica una valutazione della idoneità della condotta del sanitario a cagionare il danno lamentato dal paziente che deve essere correlata alle condizioni del medesimo, nella loro irripetibile singolarità. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto immune da vizi logici la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la responsabilità di una struttura sanitaria, in relazione alla paralisi degli arti inferiori subita da un paziente sottoposto ad un intervento di trombectomia, per essere stato omesso un trattamento preventivo a base di eparina, sebbene lo stesso non fosse previsto da alcun protocollo, ma solo raccomandato in via precauzionale nella letteratura scientifica perché in astratto idoneo a prevenire tale complicanza, attesa l'oggettiva gravità del rischio, sul piano causale, a carico del paziente per le sue particolari condizioni personali, trattandosi di soggetto fumatore, affetto da diabete e, verosimilmente, da vascolopatia).

Cass. civ. n. 2854/2015

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l'acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l'intervento terapeutico, di talché l'errata esecuzione di quest'ultimo dà luogo ad un danno suscettibile di ulteriore e autonomo risarcimento rispetto a quello dovuto per la violazione dell'obbligo di informazione, anche in ragione della diversità dei diritti - rispettivamente, all'autodeterminazione delle scelte terapeutiche ed all'integrità psicofisica - pregiudicati nelle due differenti ipotesi. (In forza di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione con cui il giudice di merito aveva ritenuto assorbito, nel risarcimento del danno da mancata acquisizione del consenso informato, anche il pregiudizio cagionato da un medico ortopedico per avere imprudentemente sottoposto ad intervento di artroscopia un paziente affetto da gotta, esponendolo al rischio - poi effettivamente concretizzatosi - di riacutizzazione flogistica).

Cass. civ. n. 22338/2014

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, posto che l'esecuzione della prestazione professionale implica una diligenza qualificata ai sensi del secondo comma dell'art. 1176 cod. civ., è in colpa il medico che, in presenza di un paziente che non possa essere adeguatamente curato nella struttura ospedaliera in cui si trova, ometta di attivarsi per tentare di disporne il trasferimento in altra più idonea struttura.

Cass. civ. n. 22225/2014

In tema di responsabilità medico-chirurgica, allorché la consulenza tecnica d'ufficio - che pure di norma presenta in tale ambito natura "percipiente" - formuli una valutazione, sull'efficienza eziologica della condotta della struttura sanitaria rispetto all'evento di danno come "meno probabile che non", tale esito è correttamente ignorato dal giudice, atteso che, in applicazione del criterio della regolarità causale e della certezza probabilistica, l'affermazione della riferibilità causale del danno all'ipotetico responsabile presuppone, all'opposto, una valutazione nei termini di "più probabile che non".

Cass. civ. n. 19731/2014

In tema di attività medico-chirurgica, il consenso informato va acquisito anche qualora la probabilità di verificazione dell'evento sia così scarsa da essere prossima al fortuito o, al contrario, sia così alta da renderne certo il suo accadimento, poiché la valutazione dei rischi appartiene al solo titolare del diritto esposto e il professionista o la struttura sanitaria non possono ometterle in base ad un mero calcolo statistico.

Cass. civ. n. 19658/2014

L'accettazione di un degente presso una struttura ospedaliera comporta l'assunzione di una prestazione strumentale e accessoria - rispetto a quella principale di somministrazione delle cure mediche, necessarie a fronteggiare la patologia del ricoverato - avente ad oggetto la salvaguardia della sua incolumità fisica e patrimoniale, quantomeno dalle forme più gravi di aggressione. (Principio enunciato dalla S.C. con riferimento all'ipotesi di uccisione di una paziente, verificatasi all'interno di una struttura ospedaliera ad opera di un infermiere dipendente che non era stato tempestivamente sospeso dal servizio, nonostante le evidenti manifestazioni di squilibrio mentale dal medesimo rivelate per tutta la notte in cui avvenne l'omicidio, sicché l'evento delittuoso risultava la conseguenza di una palese carenza organizzativa interna alla struttura sanitaria).

Cass. civ. n. 18244/2014

Incorre in responsabilità professionale il notaio che rogiti un contratto di compravendita immobiliare senza compiere le visure dei pubblici registri per verificare la libertà e disponibilità dell'immobile; tuttavia il danno risarcibile derivante da tale condotta non si identifica necessariamente col prezzo pagato dall'acquirente ma con la situazione economica nella quale il medesimo si sarebbe trovato qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. - con riferimento al caso in cui il prezzo di una compravendita immobiliare risultava essere stato corrisposto quasi per intero dall'acquirente in data anteriore alla stipulazione dell'atto notarile - ha identificato il danno risarcibile unicamente nel versamento della parte residua del corrispettivo, ritenendo che il pregiudizio anteriormente subito dal cliente appartenesse ad una serie causale del tutto indipendente dalla condotta del notaio).

Cass. civ. n. 11522/2014

In tema di danno alla persona, conseguente a responsabilità medica, l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, sul quale sia possibile intervenire soltanto con un intervento cosiddetto palliativo, determinando un ritardo della possibilità di esecuzione dello stesso, cagiona al paziente un danno alla persona per il fatto che, nelle more, egli non ha potuto fruire di tale intervento e, quindi, ha dovuto sopportare le conseguenze del processo morboso e particolarmente il dolore, posto che la tempestiva esecuzione dell'intervento palliativo avrebbe potuto, sia pure senza la risoluzione del processo morboso, alleviare le sue sofferenze.

Cass. civ. n. 8940/2014

L'art. 3, comma 1, del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, come modificato dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, nel prevedere che "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve", fermo restando, in tali casi, "l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile", non esprime alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l'irrilevanza della colpa lieve.

Cass. civ. n. 4790/2014

L'avvocato, i cui obblighi professionali sono di mezzi e non di risultato, è tenuto ad operare con diligenza e perizia adeguate alla contingenza, così da assicurare che la scelta professionale cada sulla soluzione che meglio tuteli il cliente. Ne consegue che il professionista, ove una soluzione giuridica, pure opinabile ed, eventualmente, non condivisa e convintamente ritenuta ingiusta ed errata dal medesimo, sia stata tuttavia riaffermata dalle Sezioni Unite della Corte regolatrice (come, nella specie, con riguardo alla validità della notifica della sentenza presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, in mancanza di elezione di domicilio della controparte nel circondario in cui ha sede l'autorità adita, ai fini della decorrenza del termine breve per l'impugnazione del provvedimento), non è esentato dal tenerne conto per porre in essere una linea difensiva volta a scongiurare le conseguenze, sfavorevoli per il proprio assistito, alla prevedibile applicazione dell'orientamento ermeneutico da cui pur dissente.

Cass. civ. n. 27528/2013

Nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno cosiddetto da nascita indesiderata (ricorrente quando, a causa del mancato rilievo da parte del sanitario dell'esistenza di malformazioni congenite del feto, la gestante perda la possibilità di abortire) è onere della parte attrice allegare e dimostrare - con riguardo alla sua concreta situazione - la sussistenza delle condizioni legittimanti l'interruzione della gravidanza ai sensi dell'art. 6, lett. b), della legge 22 maggio 1978, n. 194, ovvero che la conoscibilità, da parte della stessa, dell'esistenza di rilevanti anomalie o malformazioni del feto avrebbe generato uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica.

Cass. civ. n. 20379/2013

La responsabilità del difensore non è attenuata nel caso in cui il cliente abbia tenuto dei comportamenti su consiglio o comunque con l'assistenza del difensore medesimo, ove si tratti di comportamenti la cui illiceità non sia di immediata evidenza per un soggetto non esperto in materie giuridiche: è, infatti, compito del difensore indirizzare le scelte del cliente in senso conforme alla legge, se dal caso astenendosi dalla difesa ove gli siano richiesti comportamenti non ortodossi. (In ossequio a tale principio, la S.C. ha rigettato il ricorso di un avvocato, il quale era stato condannato per i danni subiti da un Comune per essere stato egli nominato arbitro in relazione ad una vertenza per la quale aveva in precedenza svolto attività difensiva in favore del Comune stesso, ritenendo la Corte irrilevante che il Comune fosse a conoscenza di tale circostanza al momento della sua nomina ad arbitro).

Cass. civ. n. 19493/2013

In tema di responsabilità professionale del notaio per tardiva trascrizione dell'atto di compravendita, il mancato guadagno derivante all'acquirente dall'impossibilità di rivendere il bene a terzi, per la presenza del vincolo ipotecario nel frattempo iscritto, non giustifica, di regola, un risarcimento a carico del notaio, non assumendo la mancata vendita carattere di definitività, sì da determinare un corrispondente, definitivo, depauperamento del patrimonio nel suo concreto valore, salvo il concorso di particolari fattori (mancato impiego del numerario in attività vantaggiose, impossibilità di realizzare in futuro lo stesso prezzo per il quale si è ricevuta offerta per effetto del mutamento di valori immobiliari, etc.).

Cass. civ. n. 18612/2013

Le obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall'art. 1176, secondo comma, c.c., che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione. Sotto tale profilo, rientra nella ordinaria diligenza dell'avvocato il compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacità tecnica, salvo che, in relazione alla particolare situazione di fatto, che va liberamente apprezzata dal giudice di merito, si presenti incerto il calcolo del termine. Non ricorre tale ipotesi, con la conseguenza che il professionista può essere chiamato a rispondere anche per semplice negligenza, ex art. 1176, secondo comma, c.c., e non solo per dolo o colpa grave ai sensi dell'art. 2236 c.c., allorché l'incertezza riguardi non già gli elementi di fatto in base ai quali va calcolato il termine, ma il termine stesso, a causa dell'incertezza della norma giuridica da applicare al caso concreto. Parimenti, l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione relativa all'applicabilità del termine di prescrizione in caso di mancata proposizione della querela non esime il professionista dall'obbligo di diligenza richiesto dall'art. 1176 c.c..

Cass. civ. n. 18334/2013

Il medico-chirurgo viene meno all'obbligo a suo carico in ordine all'ottenimento del cosiddetto consenso informato ove non fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili sull'intervento chirurgico che intende eseguire e, soprattutto, sul bilancio rischi/vantaggi dell'intervento stesso, "a fortiori" ove ricorrano fattori di pericolo che sconsiglino l'intervento, neppure cogentemente necessario.

Cass. civ. n. 15305/2013

Il notaio che, chiamato a stipulare un contratto di compravendita immobiliare, ometta di accertarsi dell'esistenza di iscrizioni ipotecarie pregiudizievoli sull'immobile, risponde del danno patito dall'acquirente, essendo comunque tenuto all'esecuzione del contratto di prestazione d'opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all'art. 1176, comma secondo, c.c., a nulla rilevando se sia configurabile anche una responsabilità del venditore che abbia garantito la libertà del bene da ipoteca, vincoli o pesi di altra natura.

Cass. civ. n. 14865/2013

In tema di responsabilità professionale del notaio, qualora egli non adempia correttamente la propria prestazione, compresa quella attinente alle attività preparatorie (tra cui il compimento delle visure catastali ed ipotecarie), la responsabilità contrattuale sussiste nei confronti di tutte le parti dell'atto rogato, se da tale comportamento abbiano subito danni e purché non lo abbiano esonerato da tali attività.

Cass. civ. n. 7269/2013

Nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno cosiddetto da nascita indesiderata (ricorrente quando, a causa del mancato rilievo da parte del sanitario dell'esistenza di malformazioni congenite del feto, la gestante perda la possibilità di abortire) è onere della parte attrice allegare e dimostrare che, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito, avrebbe interrotto la gravidanza; tale prova non può essere desunta dal solo fatto che la gestante abbia chiesto di sottoporsi ad esami volti ad accertare l'esistenza di eventuali anomalie del feto, poiché tale richiesta è solo un indizio privo dei caratteri di gravità ed univocità.

Cass. civ. n. 2638/2013

La responsabilità dell'avvocato - nella specie per omessa proposizione di impugnazione - non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone.

Cass. civ. n. 20995/2012

Il notaio che, dopo avere costituito un fondo patrimoniale, ometta di curare la relativa annotazione in margine all'atto di matrimonio, risponde nei confronti dei proprietari dei beni conferiti nel fondo del danno da essi patito in conseguenza dell'inopponibilità del vincolo di destinazione ai creditori, a nulla rilevando che sia stata comunque eseguita la trascrizione dell'atto, giacché quest'ultima non rende la costituzione del fondo patrimoniale opponibile ai terzi quando sia mancata la suddetta annotazione, nemmeno nel caso in cui i terzi stessi ne avessero conoscenza.

La circostanza che una legge ambigua od una giurisprudenza contrastata rendano incerta l'effettiva sussistenza dell'obbligo per il notaio di eseguire un adempimento teoricamente necessario per la validità o l'opponibilità dell'atto da lui rogato, non esclude la responsabilità dello stesso nel caso in cui, in seguito, quell'adempimento dovesse risultare effettivamente dovuto, avendo questi il preciso obbligo, impostogli dall'art. 1176, comma secondo, c.c., di osservare un principio di precauzione ed adottare la condotta più idonea a salvaguardare gli interessi del cliente.

Cass. civ. n. 20984/2012

Il consenso del paziente all'atto medico non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un'adeguata informazione, anch'essa esplicita; presuntiva, per contro, può essere la prova che un consenso informato sia stato dato effettivamente ed in modo esplicito, ed il relativo onere ricade sul medico.

Cass. civ. n. 17143/2012

La diligenza esigibile dal medico nell'adempimento della sua prestazione professionale, pur essendo quella "rafforzata" di cui al secondo comma dell'art. 1176 c.c., non è sempre la medesima, ma varia col variare del grado di specializzazione di cui sia in possesso il medico, e del grado di efficienza della struttura in cui si trova ad operare. Pertanto dal medico di alta specializzazione ed inserito in una struttura di eccellenza è esigibile una diligenza più elevata di quella esigibile, dinanzi al medesimo caso clinico, da parte del medico con minore specializzazione od inserito in una struttura meno avanzata.

Cass. civ. n. 16754/2012

Nel caso in cui il medico ometta di segnalare alla gestante l'esistenza di più efficaci test diagnostici prenatali rispetto a quello in concreto prescelto, impedendole così di accertare l'esistenza d'una una malformazione congenita del concepito, quest'ultimo, ancorché privo di soggettività giuridica fino al momento della nascita, una volta venuto ad esistenza, ha diritto ad essere risarcito da parte del sanitario con riguardo al danno consistente nell'essere nato non sano, e rappresentato dell'interesse ad alleviare la propria condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità, a nulla rilevando né che la sua patologia fosse congenita, né che la madre, ove fosse stata informata della malformazione, avrebbe verosimilmente scelto di abortire.

Cass. civ. n. 16549/2012

La responsabilità del notaio per non avere rilevato l'esistenza di un'iscrizione ipotecaria pregiudizievole, in occasione di una compravendita immobiliare, deve escludersi quando l'errore sia stato causato da una condotta negligente del conservatore dei registri immobiliari, che abbia reso di fatto impossibile l'individuazione dell'iscrizione ipotecaria con l'uso dell'ordinaria diligenza professionale.

Cass. civ. n. 16254/2012

La diligenza esigibile dal professionista o dall'imprenditore, nell'adempimento delle obbligazioni assunte nell'esercizio delle loro attività, è una diligenza speciale e rafforzata, di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione a loro richiesta. Nella controversia concernente l'inadempimento contrattuale del professionista, pertanto, questi, per andare esente da un giudizio di condanna, ha l'onere di provare che l'insuccesso è dipeso da causa a lui non imputabile anche quando la prestazione richiestagli richiedeva la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, posto che problemi speciali esigono dal professionista una competenza speciale. Né a tale conclusione osta l'art. 2236 c.c., il quale non esonera affatto il professionista-debitore da responsabilità nel caso di insuccesso di prestazioni complesse, ma si limita a dettare un mero criterio per la valutazione della sua diligenza.

Cass. civ. n. 10616/2012

La clinica privata risponde dei danni derivati al paziente dall'insuccesso di un intervento chirurgico, anche quando l'operatore non sia un suo dipendente; allo stesso modo, il medico, che opera in una clinica privata, risponde dei danni derivati dal difetto delle apparecchiature di quest'ultima, dovendo personalmente accertarsi della loro efficienza (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva escluso la responsabilità del chirurgo che, operando in una clinica privata, aveva causato un danno al paziente a causa del difettoso funzionamento di un bisturi elettrico).

Cass. civ. n. 10296/2012

Il notaio incaricato della stipula di un atto di compravendita immobiliare risponde dei danni patiti dall'acquirente a causa dell'assenza nell'immobile dei requisiti per il rilascio del certificato di abitabilità, a nulla rilevando che la mancanza di quei requisiti potesse essere agevolmente accertata dall'acquirente stesso, quando non sia dimostrato che il professionista abbia informato il cliente di tale situazione e delle sue possibili conseguenze. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva escluso l'inadempimento del notaio con riferimento al contratto di prestazione d'opera professionale, ritenendo lo stesso notaio in grado di percepire, in base ai titoli di provenienza, la mancata consonanza dell'immobile compravenduto rispetto ai vincoli imposti in un atto d'obbligo intercorso tra il costruttore ed il Comune, e perciò tenuto a sollecitare l'attenzione delle parti stipulanti su detta situazione).

Cass. civ. n. 443/2012

Al fine di valutare la condotta del debitore di una prestazione professionale in termini di esatto adempimento, è necessario che vi sia certezza in ordine all'oggetto della prestazione, la quale costituisce un "prius" logico rispetto all'analisi della diligenza nell'adempimento. (Nell'enunciare detto principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto dovuto il compenso al professionista, il quale aveva eseguito la progettazione di un edificio in un'area, poi risultata inedificabile ma, nel momento dell'esecuzione dell'incarico, ragionevolmente suscettibile di futura edificazione, per l'allora favorevole prognosi sull'approvazione del piano di lottizzazione).

Cass. civ. n. 16543/2011

Il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza, rinvenuti a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso, e tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona - bene che riceve e si correda di una tutela primaria nella scala dei valori giuridici a fondamento dell'ordine giuridico e del vivere civile -, o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio. Tale consenso è talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza, al fine di escluderlo, il fatto che l'intervento "absque pactis" sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale "deficit" di informazione, il paziente non è posto in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica.

Cass. civ. n. 15386/2011

In tema di responsabilità medica, il sanitario che formuli una diagnosi di normalità morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa, la visualizzazione nella sua interezza, ha l'obbligo d'informare la paziente della possibilità di ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, in vista dell'esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza, ricorrendone i presupposti. Al riguardo la prova, pur se incombente sulla parte attrice, lamentandosi la mancata informazione da parte del medico, non può che essere di natura presuntiva quanto al grave pericolo per la salute psichica della donna che costituisce la condizione richiesta dalla legge per l'interruzione di gravidanza.

Cass. civ. n. 10927/2011

In tema di contratto di appalto, la responsabilità dell'appaltatore per i vizi dell'opera sussiste ancorché essi siano riconducibili ad una condizione posta in essere da un terzo (nella specie la diversa impresa esecutrice dei lavori di sottofondo del pavimento poi completato dall'appaltatore), essendo invero questi tenuto verso il committente, per aver assunto un'obbligazione di risultato e non di mezzi, a realizzare l'opera a regola d'arte e rispondendo anche per le condizioni imputabili allo stesso committente o a terzi se, conoscendole o potendole conoscere con l'ordinaria diligenza, non le abbia segnalate all'altra parte, né abbia adottato gli accorgimenti opportuni per far conseguire il risultato utile, salvo che, in relazione a tale situazione, ottenga un espresso esonero di responsabilità.

Cass. civ. n. 8312/2011

In tema di responsabilità professionale dell'avvocato, la mancata indicazione al giudice delle prove indispensabili per l'accoglimento della domanda costituisce, di per sé, manifestazione di negligenza del difensore, salvo che egli dimostri di non aver potuto adempiere per fatto a lui non imputabile o di avere svolto tutte le attività che, nella particolare contingenza, gli potevano essere ragionevolmente richieste, tenuto conto, in ogni caso, che rientra nei suoi doveri di diligenza professionale non solo la consapevolezza che la mancata prova degli elementi costitutivi della domanda espone il cliente alla soccombenza, ma anche che il cliente, normalmente, non è in grado di valutare regole e tempi del processo, né gli elementi che debbano essere sottoposti alla cognizione del giudice, così da rendere necessario che egli, per l'appunto, sia indirizzato e guidato dal difensore, il quale deve fornirgli tutte le informazioni necessarie, pure al fine di valutare i rischi insiti nell'iniziativa giudiziale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità professionale del difensore - il quale, in un giudizio risarcitorio a seguito di sinistro stradale, aveva chiesto fissarsi l'udienza di precisazione delle conclusioni senza aver dato corso alle prove sulle modalità del fatto, sulla responsabilità e sull'entità dei danni - reputando, erroneamente, che gravasse sul cliente l'onere di provare di aver fornito al difensore la lista testimoniale, là dove, invece, era onere di quest'ultimo dimostrare di aver sollecitato adeguatamente il cliente a siffatta comunicazione).

L'omessa comunicazione al cliente dell'avvenuta notificazione della sentenza di condanna (nella specie, al pagamento delle spese processuali per il rigetto della domanda di risarcimento danni a seguito di sinistro stradale), fino a far decorrere il termine per impugnare, costituisce grave negligenza e fonte di responsabilità professionale. (Nella specie, la S.C. ha cassato, per vizio di motivazione, la sentenza di merito che aveva escluso la sussistenza della responsabilità professionale del difensore in forza dell'apodittica affermazione che non sussistevano ragioni sufficienti "a rendere accoglibile un'impugnazione, sia in fatto sia in diritto").

Cass. civ. n. 6829/2011

In tema di intermediazione mobiliare, la mera allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al promotore finanziario somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest'ultimo sarebbe legittimato a riceverle, non vale, in caso di indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell'attività dello stesso e la consumazione dell'illecito, e non preclude, pertanto, la possibilità di invocare la responsabilità solidale dell'intermediario preponente; né un tal fatto può essere addotto dall'intermediario come concausa del danno subito dall'investitore, in conseguenza dell'illecito consumato dal promotore, al fine di ridurre l'ammontare del risarcimento dovuto. Le disposizioni di legge e regolamentari dettate in ordine alle modalità di corresponsione al promotore finanziario dell'equivalente pecuniario dei titoli acquistati o prenotati, infatti, sono dirette unicamente a porre a suo carico un obbligo di comportamento al fine di tutelare l'interesse del risparmiatore e non possono, quindi, logicamente interpretarsi come fonte di un onere di diligenza a carico di quest'ultimo, tale da comportare un addebito di colpa (concorrente, se non addirittura esclusiva) in capo al soggetto danneggiato dall'altrui atto illecito, e salvo che la condotta del risparmiatore presenti connotati di "anomalia", vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, palesata da elementi presuntivi, quali ad esempio il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle operazioni, l'esperienza acquisita nell'investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso "iter" funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socio-economiche.

La disposizione dell'art. 5, comma quarto, della legge 2 gennaio 1991, n. 1, secondo la quale la società di intermediazione mobiliare è responsabile in solido degli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari, anche se tali danni siano conseguenti a loro responsabilità accertata in sede penale, richiede un rapporto di "necessaria occasionalità" tra incombenze affidate e fatto del promotore, che è ravvisabile in tutte le ipotesi in cui il comportamento del promotore rientri nel quadro delle attività funzionali all'esercizio delle incombenze di cui è investito. Né rileva che il comportamento del promotore abbia esorbitato dal limite fissato dalla società, essendo sufficiente che la sua condotta sia stata agevolata e resa possibile dall'inserimento del promotore stesso nell'attività della società d'intermediazione mobiliare e si sia realizzata nell'ambito e coerentemente alle finalità in vista delle quali l'incarico è stato conferito, in maniera tale da far apparire al terzo in buona fede che l'attività posta in essere, per la consumazione dell'illecito, rientrasse nell'incarico affidato.

Cass. civ. n. 4422/2011

Non è fonte di responsabilità professionale, per il legale che sia stato incaricato della presentazione di una dichiarazione di successione in prossimità della scadenza del relativo termine e in mancanza della documentazione necessaria per il tempestivo adempimento della prestazione, omettere di consigliare al cliente di accettare l'eredità con beneficio di inventario, in modo da farlo beneficiare della proroga prevista per tale ipotesi dalla legge, trattandosi di una deviazione dell'atto dal suo scopo precipuo.

Cass. civ. n. 3847/2011

Il medico che operi all'interno di una clinica privata, ne sia o meno dipendente, ha sempre il dovere di informare il paziente di eventuali carenze o limiti organizzativi o strutturali della clinica stessa (come, nella specie, la mancanza di una adeguata struttura di rianimazione neonatale); ove ciò non faccia, egli risponde in solido con la clinica del danno patito dal paziente in conseguenza di quel "deficit" organizzativo o strutturale, ove possa presumersi che il paziente, se correttamente informato, si sarebbe avvalso di altra struttura sanitaria.

Cass. civ. n. 22837/2010

In tema di responsabilità del medico da nascita indesiderata, ai fini dell'accertamento del nesso di causalità tra l'omessa rilevazione e comunicazione della malformazione del feto e il mancato esercizio, da parte della madre, della facoltà di ricorrere all'interruzione volontaria della gravidanza, è sufficiente che la donna alleghi che si sarebbe avvalsa di quella facoltà se fosse stata informata della grave malformazione del feto, essendo in ciò implicita la ricorrenza delle condizioni di legge per farvi ricorso, tra le quali (dopo il novantesimo giorno di gestazione) v'è il pericolo per la salute fisica o psichica derivante dal trauma connesso all'acquisizione della notizia, a norma dell'art. 6, lett. b), della legge n. 194 del 1978; l'esigenza di prova al riguardo sorge solo quando il fatto sia contestato dalla controparte, nel qual caso si deve stabilire - in base al criterio (integrabile da dati di comune esperienza evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali) del "più probabile che non" e con valutazione correlata all'epoca della gravidanza - se, a seguito dell'informazione che il medico omise di dare per fatto ad esso imputabile, sarebbe insorto uno stato depressivo suscettibile di essere qualificato come grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Cass. civ. n. 18360/2010

In tema di responsabilità professionale, il difensore che, in corso di giudizio, dichiari erroneamente la sussistenza di una causa interruttiva del processo (nella specie, l'avvenuta fusione per incorporazione della società patrocinata), provocandone effettivamente l'interruzione, è responsabile dei danni, da liquidarsi in via equitativa, patiti dal proprio cliente in conseguenza del ritardo nella conclusione della causa (la cui risarcibilità trova conferma anche nella disciplina sulla responsabilità dello Stato per l'eccessiva durata dei processi, di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89), non potendo costituire causa di esenzione da tale responsabilità il solo fatto che sussistano ritardi già accumulati durante il corso del giudizio, giacché il sovrapporsi di nuove dilazioni aggrava le conseguenze dannose dell'illecito.

Cass. civ. n. 17506/2010

La responsabilità professionale dell'avvocato può scaturire anche da una scelta processuale che, pur di per sé non erronea o controproducente, nondimeno ritardi la realizzazione dell'interesse del cliente. E, pertanto, manifestamente infondato, ai sensi del combinato disposto degli arti. 360 bis e 375 c.p.c., il ricorso col quale si censuri la sentenza di merito che abbia fatto applicazione del suddetto principio. (Nella fattispecie la negligenza professionale è consistita nella instaurazione di un giudizio ordinario invece di un ricorso monitorio nonostante l'idonea prova scritta del credito. Principio affermato ex art. 360 bis, n. 1, c.p.c.).

Cass. civ. n. 16905/2010

Sebbene incorra in responsabilità professionale il notaio il quale roghi un contratto di compravendita immobiliare senza accertare l'esistenza di una trascrizione pregiudizievole sull'immobile, il danno risarcibile derivato da tale condotta non si identifica col prezzo pagato dall'acquirente se, al momento della stipula, tale prezzo era già stato interamente pagato. Ricorrendo tale ipotesi, l'unico danno risarcibile ascrivibile al notaio è costituito dalle spese connesse al rogito.

Cass. civ. n. 15726/2010

L'opera professionale di cui richiesto il notaio non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell'atto, ma si estende alle attività preparatorie e successive perché sia assicurata la serietà e la certezza degli effetti tipici dell'atto e del risultato pratico perseguito dalle parti; pertanto, il notaio che abbia la conoscenza o anche il solo sospetto di un'iscrizione pregiudizievole gravante sull'immobile oggetto della compravendita deve informarne le parti, quando anche egli sia stato esonerato dalle visure, essendo tenuto comunque all'esecuzione del contratto di prestazione d'opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all'art. 1176, secondo comma, c.c. e della buona fede.

Cass. civ. n. 15718/2010

Posto che, in generale, la circostanza che l'errore commesso dall'avvocato nel giudizio di primo grado possa essere rimediato attraverso la proposizione dell'appello contro la sentenza sfavorevole non è sufficiente, di per sé, ad escludere che la parte abbia risentito e continui a risentire danno dalla lamentata negligenza, deve ritenersi affetta da vizio di motivazione la sentenza che escluda la responsabilità professionale del difensore allorquando la soccombenza sia dipesa da errori di impostazione attinenti alla sfera processuale o alla corretta evocazione in giudizio dei soggetti legittimati passivi (come nella specie), siccome riconducibili a competenze squisitamente tecniche, senza che risultino esaminati i profili relativi all'ascrivibilità del rigetto della domanda risarcitoria a colpa dell'assistito o all'emergenza di fatti idonei a dimostrare la mancanza di colpa del legale nonché i profili relativi all'imputabilità dell'omessa proposizione dell'appello a colpa del cliente o non, piuttosto, alla responsabilità del professionista.

Cass. civ. n. 15717/2010

L'attività del difensore, anche in caso di controversie di notevole difficoltà e tali da esporre il cliente ad un elevato rischio di soccombenza (c.d. "cause, presumibilmente, perse ab initio"), deve essere svolta con diligenza al fine di limitare od escludere il pregiudizio riconducibile alla posizione del cliente, anche sollevando le eccezioni relative ad eventuali errori di carattere sostanziale o processuale della controparte. Pertanto, il difensore può non accettare una causa per la quale prevede già dall'inizio la soccombenza del suo assistito, ma non può accettarla e, poi, disinteressarsene del tutto, con il pretesto che trattasi di una "causa persa", senza nemmeno attivarsi per trovare una soluzione transattiva, essendo tale comportamento comunque doveroso ove si accetti di difendere una causa rischiosa per il proprio cliente. In caso di assoluta inerzia del difensore viene, conseguentemente, a configurarsi la sua responsabilità professionale, avendo comunque esposto il cliente all'incremento del pregiudizio iniziale, se non altro a causa delle spese processuali a cui lo stesso va incontro, per la propria difesa e per quella della parte avversa.

L'attività del difensore, anche in caso di controversie di notevole difficoltà e tali da esporre il cliente ad un elevato rischio di soccombenza (c.d. essere svolta con diligenza al fine di limitare od escludere il pregiudizio riconducibile alla posizione del cliente, anche sollevando le eccezioni relative ad eventuali errori di carattere sostanziale o processuale della controparte. Pertanto, il difensore può non accettare una causa per la quale prevede già dall'inizio la soccombenza del suo assistito, ma non può accettarla e, poi, disinteressarsene del tutto, con il pretesto che trattasi di una "causa persa", senza nemmeno attivarsi per trovare una soluzione transattiva, essendo tale comportamento comunque doveroso ove si accetti di difendere una causa rischiosa per il proprio cliente. In caso di assoluta inerzia del difensore viene, conseguentemente, a configurarsi la sua responsabilità professionale, avendo comunque esposto il cliente all'incremento del pregiudizio iniziale, se non altro a causa delle spese processuali a cui lo stesso va incontro, per la propria difesa e per quella della parte avversa.

Cass. civ. n. 15698/2010

Il medico-chirurgo viene meno all'obbligo di informare adeguatamente il paziente ed ottenerne il consenso all'atto medico, ove non gli fornisca, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l'intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità.

Cass. civ. n. 3079/2010

In tema di responsabilità professionale, in caso di attività di diritto privato svolta da un Comune, il notaio che roghi un atto in cui detto ente figura come parte, in presenza di una delibera della Giunta municipale che abbia autorizzato la stipulazione, non ha il dovere di controllare i poteri di rappresentanza del sindaco, atteso che questi ultimi derivano non già da un rapporto di mandato, ma da una relazione di immedesimazione organica, sicché non può trovare applicazione il divieto, imposto al notaio dall'art. 54 del r.d. 10 settembre 1914, n. 1326, di rogare atti nei quali intervengano persone non debitamente autorizzate o rappresentate.

Cass. civ. n. 2847/2010

In tema di responsabilità professionale del medico, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell'arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un'adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento, non potendo altrimenti ricondursi all'inadempimento dell'obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute.

In tema di responsabilità professionale del medico, l'inadempimento dell'obbligo di informazione sussistente nei confronti del paziente può assumere rilievo a fini risarcitori - anche in assenza di un danno alla salute o in presenza di un danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto all'informazione - tutte le volte in cui siano configurabili, a carico del paziente, conseguenze pregiudizievoli di carattere non patrimoniale di apprezzabile gravità derivanti dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in se stesso considerato, sempre che tale danno superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale e che non sia futile, ossia consistente in meri disagi o fastidi.

Cass. civ. n. 2354/2010

Il sanitario curante che accerti l'esistenza, a carico della gestante, di una patologia tale da poter determinare l'insorgenza di gravi malformazioni a carico del nascituro, è tenuto ad informare la donna di tale situazione e della possibilità di svolgere indagini prenatali, benché rischiose per la sopravvivenza del feto, onde consentire l'esercizio della facoltà di procedere all'interruzione della gravidanza; ove, peraltro, siano decorsi più di novanta giorni dall'inizio della gravidanza, per ottenere il risarcimento del danno conseguente alla violazione di tale diritto, la donna è tenuta a dimostrare - con riguardo alla sua concreta situazione e secondo la regola causale del "più probabile che non" - che l'accertamento dell'esistenza di rilevanti anomalie o malformazioni del feto avrebbe generato uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica.

Cass. civ. n. 13/2010

L'omessa rilevazione, da parte del medico specialista, della presenza di gravi malformazioni nel feto, e la correlativa mancata comunicazione di tale dato alla gestante, deve ritenersi circostanza idonea a porsi in rapporto di causalità con il mancato esercizio, da parte della donna, della facoltà di interrompere la gravidanza, in quanto deve ritenersi rispondente ad un criterio di regolarità causale che la donna, ove adeguatamente e tempestivamente informata della presenza di una malformazione atta ad incidere sulla estrinsecazione della personalità del nascituro, preferisca non portare a termine la gravidanza.

Cass. civ. n. 24544/2009

L'avvocato, nell'adempimento della propria prestazione professionale, è tenuto ad informare il cliente sulle conseguenze del compimento o del mancato compimento degli atti del processo, e, se del caso, a sollecitarlo nel compimento di essi ovvero, sussistendo le condizioni, a dissuaderlo della loro esecuzione. Pertanto, la circostanza che il cliente abbia omesso di fornire indicazioni al proprio avvocato circa la propria intenzione di proporre o meno impugnazione avverso una sentenza sfavorevole non esclude la responsabilità del professionista per mancata tempestiva proposizione dell'appello, se questi non aveva provveduto ad informare il cliente sulle conseguenze dell'omessa impugnazione.

Cass. civ. n. 21589/2009

La nomina di un nuovo difensore in sostituzione di quello precedente presso il quale la parte aveva eletto domicilio non fa venir meno a carico di quest'ultimo gli obblighi connessi alla ricezione degli atti per i quali sia avvenuta la domiciliazione, ivi compreso l'obbligo di informare il nuovo difensore dell'avvenuta notifica di sentenze emesse nei confronti della parte successivamente alla cessazione dell'incarico. Tale obbligo rientra infatti nel più generale dovere di diligenza professionale cui l'avvocato è tenuto nei confronti del cliente, anche in caso di rinuncia o revoca del mandato o (come nella specie) risoluzione consensuale del rapporto, e dalla relativa responsabilità il domiciliatario non può essere esonerato se non in virtù della prova, posta a suo carico, di avere dato notizia della notifica al nuovo difensore.

Cass. civ. n. 15895/2009

L'avvocato, il quale ometta di depositare il ricorso per cassazione nel termine di cui all'art. 369 c.p.c., è responsabile nei confronti del cliente del danno da questi patito in conseguenza del passaggio in giudicato della sentenza a lui sfavorevole, a nulla rilevando che la tardività del deposito sia ascrivibile a sua colpa esclusiva o se sussista, eventualmente, anche la responsabilità di coloro (collaboratori o terzi) di cui il professionista si sia avvalso per l'espletamento dell'incarico ricevuto.

Cass. civ. n. 12354/2009

In terna di responsabilità civile del professionista, il cliente è tenuto a provare non solo di aver sofferto un danno, ma anche che questo è stato causato dall'insufficiente o inadeguata attività del professionista; pertanto - poiché l'art. 1223 c.c. postula la dimostrazione dell'esistenza concreta di una danno, consistente in una diminuzione patrimoniale - la responsabilità dell'avvocato per la mancata comunicazione al cliente dell'avvenuto deposito di una pronuncia sfavorevole - con conseguente preclusione della possibilità di proporre impugnazione - può essere affermata solo se il cliente dimostri che l'impugnazione, ove proposta, avrebbe avuto concrete possibilità di essere accolta.

Cass. civ. n. 11569/2009

Il notaio, avendo l'obbligo di accertare la capacità legale di contrarre delle parti dell'atto rogando, è responsabile del danno patito dall'acquirente di un immobile venduto da persona già dichiarata fallita al momento della stipula, a meno che non dimostri che nemmeno con l'uso della diligenza professionale da lui esigibile avrebbe potuto accertare l'esistenza della sentenza dichiarativa di fallimento.

Cass. civ. n. 10743/2009

In tema di responsabilità civile per danni derivanti dall'esercizio dell'attività medico-chirurgica, la correttezza del comportamento tenuto dal medico, pur comportando il rigetto della domanda di risarcimento proposta nei suo confronti, non esclude la configurabilità di una responsabilità autonoma e diretta della struttura ospedaliera, ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile all'inadempimento delle obbligazioni ad essa facenti carico, in relazione all'insufficienza delle apparecchiature predisposte per affrontare prevedibili emergenze o complicazioni, ovvero al ritardo nel trasferimento del paziente presso un centro ospedaliero attrezzato. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che, in riferimento ai danni neurologici riportati da un neonato in conseguenza di un parto prematuro, avevo escluso la responsabilità non solo dal ginecologo e dei pediatri, per avere gli stessi praticato tutta l'assistenza possibile con i mezzi a disposizione, ma anche dell'Asl, pur essendo stato accertato che i rischi connessi al parto avrebbero reso opportuno il ricovero della gestante in una struttura meglio attrezzata).

Cass. civ. n. 10741/2009

Nel caso in cui ad una gestante siano stati somministrati senza adeguata informazione farmaci che abbiano provocato malformazioni al concepito, la violazione dell'obbligo d'informazione da parte dei sanitari dà luogo al risarcimento del danno in favore sia della gestante-madre che del concepito, una volta che quest'ultimo sia venuto ad esistenza, ma solo in relazione all'inosservanza del principio del c.d. consenso informato, non potendo invece ravvisarsi a carico dei sanitari una responsabilità nei confronti del concepito perché la madre non è stata posta in condizione di esercitare il diritto all'interruzione volontaria della gravidanza, non essendo configurabile nel nostro ordinamento un diritto "a non nascere se non sano", in quanto le norme che disciplinano l'interruzione della gravidanza la ammettono nei soli casi in cui la prosecuzione della stessa o il parto comportino un grave pericolo per la salute o la vita della donna, legittimando pertanto la sola madre ad agire per il risarcimento dei danni.

Cass. civ. n. 2468/2009

Colui il quale venga sottoposto ad analisi tendenti ad accertare l'infezione da HIV ha il diritto riconosciutogli sia dal generale principio di cui all'art. 32 della Costituzione, sia dall'art. 5, comma 3, della legge 5 giugno 1990, n. 135 sia di esserne informato, sia di rifiutare il trattamento. Tale diritto può venir meno solo nel caso in cui vi sia necessità di intervenire ed il paziente non sia in grado di esprimere il proprio consenso, ovvero nel caso di preminenti esigenze di interesse pubblico, quali la necessità di prevenire un contagio. Ne consegue che l'esecuzione delle suddette analisi senza il consenso del paziente, sebbene questi fosse pienamente in grado di esprimerlo, costituisce un fatto illecito ed obbliga il sanitario che l'ha eseguito al risarcimento del danno.

Cass. civ. n. 975/2009

Qualora la produzione di un evento dannoso, quale la morte di un paziente, sia riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla situazione patologica del soggetto deceduto (la quale non sia legata all'anzidetta condotta da un nesso di dipendenza causale), il giudice deve procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause, onde attribuire all'autore della condotta dannosa la parte di responsabilità correlativa, cosa da lasciare a carico del danneggiato il peso del danno alla cui produzione ha concorso a determinare il suo stato personale.

Cass. civ. n. 24791/2008

Il medico viene meno all'obbligo di fornire un valido ed esaustivo consenso informato al paziente non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura cui dovrà sottoporsi, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ritenga di sottoporre (come verificatosi nella specie) al paziente, perché lo sottoscriva, un modulo del tutto generico, dal quale non sia possibile desumere con certezza che il paziente abbia ottenuto in modo esaustivo le suddette informazioni.

Nel caso in cui un paziente sia ricoverato in una struttura sanitaria gestita, in virtù di apposita convenzione, da un soggetto diverso dal proprietario, dei danni causati dai medici ivi operanti è tenuto a rispondere il soggetto che ha la diretta gestione dell'ospedale, e non il proprietario, in quanto è col primo e non col secondo che il paziente stipula, per il solo fatto dell'accettazione nella struttura, il contratto atipico di spedalità. (Nella specie, un degente aveva subito danni alla persona in conseguenza di un intervento chirurgico, eseguito all'interno di una clinica di proprietà di una università privata, ma concessa in uso ad una università pubblica, e nella quale operavano medici dipendenti di quest'ultima. L'università pubblica, condannata a risarcire il danno del paziente, aveva impugnato la sentenza di merito che aveva rigettato la sua domanda di regresso - "ex" art. 2055 cod. civ. - nei confronti dell'ente proprietario dell'ospedale; la S.C. ha confermato la decisione di merito, sulla base del principio di cui in massima).

Cass. civ. n. 7857/2008

Il notaio che abbia rogato la compravendita di un immobile non ancora accatastato, in cui le parti abbiano chiesto di avvalersi delle disposizioni previste dal D.L. 14 marzo 1988, n. 70 (convertito in legge 13 maggio 1988, n. 154), ai fini della valutazione automatica della imposta di registro, qualora all'atto stesso sia allegata specifica istanza per l'attribuzione della rendita catastale, è tenuto a curare la presentazione di tale istanza all'ufficio competente ovvero, ove non voglia provvedervi direttamente, deve rendere edotte di ciò le parti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la responsabilità professionale del notaio che non aveva adempiuto a tale obbligo, per cui l'ufficio del registro aveva provveduto all'accertamento del valore di mercato dell'immobile al fine del pagamento dell'imposta di registro e dell'INVIM).

Cass. civ. n. 24939/2007

In tema di responsabilità del notaio, la condotta colposa consistita nell'aver omesso di accertare che il procuratore non aveva il potere di concedere ipoteca sui beni posti a garanzia di mutuo bancario, integra la responsabilità del professionista e, qualora della procura sia data lettura al momento della stipula del negozio e la stessa sia allegata al contratto, quella concorrente della banca mutuante che ha partecipato all'atto, in ragione sia dei generali obblighi di diligenza, sia della particolare qualifica professionale che un istituto di credito deve avere.

Cass. civ. n. 24759/2007

Il rapporto che s'instaura tra paziente e ente ospedaliero ha fonte in un contratto a prestazioni corrispettive, consistenti, per quanto riguarda l'ente, nell'obbligo di fornire adeguate prestazioni assistenziali attraverso la predisposizione di strutture e risorse umane efficienti. Pertanto, il rigetto della domanda nei confronti del medico, non è sufficiente ad escludere la responsabilità contrattuale del presidio ospedaliero, essendo, invece necessario, nel caso di danno a neonato conseguente a parto podalico avvenuto in emergenza, assolvere all'onere di provare di aver esattamente adempiuto secondo gli standards di professionalità, efficienza e sicurezza esigibili all'epoca del fatto o di aver operato in condizioni di emergenza tali da procurare un danno iatrogeno giustificato dall'intento di salvare la vita al neonato e alla gestante.

Cass. civ. n. 8826/2007

Il risultato «anomalo» o anormale in ragione dello scostamento da una legge di regolarità causale fondata sull'esperienza dell'intervento medico-chirurgico, fonte di responsabilità, è da ravvisarsi non solo in presenza di aggravamento dello stato morboso, o in caso di insorgenza di una nuova patologia, ma anche quando l'esito non abbia prodotto il miglioramento costituente oggetto della prestazione cui il medico-specialista è tenuto, producendo invece, conseguenze di intervento routinario di settorinoplastica effettuato in struttura sanitaria pubblica, nel cassare la sentenza d'appello che, pur dando atto esserne conseguito un esito di «inalterazione» e quindi di sostanziale «insuccesso» sotto il profilo del pieno recupero della funzionalità respiratoria, aveva ciononostante ritenuto la condotta del medico come non integrante ipotesi di responsabilità, la S.C. ha enunziato il principio di cui in massima).

Cass. civ. n. 7707/2007

Poiché il notaio non è un destinatario passivo delle dichiarazioni delle parti, contenuto essenziale della sua prestazione professionale è il c.d. dovere di consiglio, che peraltro ha ad oggetto questioni tecniche, cioè problematiche, che una persona non dotata di competenza specifica non sarebbe in grado di percepire, collegate al possibile rischio, ad es., che una vendita immobiliare possa risultare inefficace a causa della condizione giuridica dell'immobile trasferito; tale contenuto non può essere peraltro dilatato fino al controllo di circostanze di fatto il cui accertamento rientra nella normale prudenza, come la solvibilità del compratore nella vendita con pagamento dilazionato del prezzo, o l'inesistenza di vizi della cosa. Pertanto, qualora in sede di stipula di un atto di compravendita immobiliare, l'alienante abbia dichiarato estinto il debito a garanzia del quale sia stata iscritta un'ipoteca sul bene, deve ritenersi che l'acquirente abbia controllato, secondo la diligenza normale del padre di famiglia, la veridicità di tale circostanza attraverso la richiesta di esibizione della relativa quietanza, senza che sia configurabile a carico del notaio l'obbligo professionale avente ad oggetto il consiglio di effettuare la relativa verifica.

Cass. civ. n. 2485/2007

Non incorre in responsabilità per negligenza professionale il notaio il quale, nell'ipotesi di vendita di terreni dei quali l'alienante assumeva di avere acquistato la proprietà per usucapione senza il relativo accertamento giudiziale, non abbia avvertito l'acquirente che l'acquisto poteva essere a rischio, ove nell'atto venga espressamente inserita una clausola dalla quale possa desumersi che l'acquirente era comunque consapevole di tale rischio.

Cass. civ. n. 23918/2006

In tema di responsabilità del medico per i danni causati al paziente, l'inadempimento del professionista alla propria obbligazione non può essere desunto, ipso facto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività professionale e, in particolare, del dovere della diligenza, per il quale trova applicazione il parametro della diligenza professionale fissato dall'art. 1176, secondo comma, c.c., da commisurarsi alla natura dell'attività esercitata. Ne consegue che il mancato raggiungimento del risultato può soltanto costituire danno consequenziale alla non diligente prestazione o alla colpevole omissione dell'attività sanitaria.

Cass. civ. n. 20832/2006

In caso di intervento sanitario chirurgico (anche solo relativamente) urgente, il consenso consapevole in ordine ai rischi che esso comporta prestato dal paziente che l'ha richiesto si considera implicitamente esteso anche alle operazioni «complementari» (qual è quella di sostegno, durante l'intervento, delle risorse ematiche del paziente) assolutamente necessarie, non sostituibili con tecniche più sicure.

Cass. civ. n. 17306/2006

In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione intellettuale, grava sul professionista la dimostrazione dell'adempimento o dell'esatto adempimento della prestazione, sia sotto il profilo dell'obbligo di diligenza e perizia, sia della conformità quantitativa o qualitativa dei risultati che ne sono derivati, mentre sono a carico del committente l'onere di allegazione dell'inadempimento o dell'inesatto adempimento e la dimostrazione del pregiudizio subito ed il nesso causale tra tale pregiudizio e l'attività del professionista. (Nella specie, relativa a una richiesta di compenso per prestazione odontoiatrica, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, nell'accogliere la domanda del medico, aveva posto a carico del cliente soccombente la omessa dimostrazione dell'esistenza di ineliminabili vizi e difformità della protesi oggetto della prestazione e in particolare la mancata constatazione dei vizi mediante un accertamento peritale, considerando irrilevanti le testimonianze addotte per dimostrare le ulcerazioni e i gonfiori alle gengive causati al paziente dall'impianto della protesi).

Cass. civ. n. 12362/2006

Il ricovero di un paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza sanitaria avviene sulla base di un contratto tra il paziente stesso ed il soggetto gestore della struttura, e l'adempimento di tale contratto, con riguardo alle prestazioni di natura sanitaria, è regolato dalle norme che disciplinano la corrispondente attività del medico nell'ambito del contratto di prestazione d'opera professionale, con la conseguenza che il detto gestore risponde dei danni derivati al paziente da trattamenti sanitari praticatigli con colpa, alla stregua delle norme di cui agli artt. 1176 e 2236 c.c. Il positivo accertamento della responsabilità dell'istituto postula, pertanto, (pur trattandosi di responsabilità contrattuale, con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di onere della prova, che grava, per l'effetto, sull'istituto stesso e non sul paziente), pur sempre la colpa del medico esecutore dell'attività che si assume illecita, non potendo detta responsabilità affermarsi in assenza di tale colpa (fatta salva l'operatività di presunzioni legali in ordine al suo concreto accertamento), poiché sia l'art. 1228 che il successivo art. 2049 c.c. presuppongono, comunque, un illecito colpevole dell'autore immediato del danno, cosicché, in assenza di tale colpa, non è ravvisabile alcuna responsabilità contrattuale del committente per il fatto illecito dei suoi preposti.

Cass. civ. n. 6967/2006

La responsabilità professionale dell'avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, c.c., da commisurare alla natura dell'attività esercitata. Inoltre, non potendo il professionista garantire l'esito comunque favorevole auspicato dal cliente (nella specie, del giudizio di appello), il danno derivante da eventuali sue omissioni (nella specie, redazione e notifica di un atto d'appello privo dell'indispensabile indicazione della data di udienza di comparizione) in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un'indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 5868/2006

Nel caso in cui un notaio sia stato richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare privata autenticata, qualora vi sia stato espresso esonero del notaio, per concorde volontà delle parti, con una clausola inserita nella scrittura, dallo svolgimento delle attività accessorie e successive, necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, dal compimento delle cosiddette «visure catastali» e ipotecarie allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, deve escludersi l'esistenza della responsabilità professionale del notaio, in quanto tale clausola non può essere considerata meramente di stile essendo stata parte integrante del negozio e sempre che appaia giustificata da esigenze concrete delle parti, come, nella specie, ragioni di urgenza di stipula dell'atto da esse addotto, né in tal caso rileva il c.d. «dovere di consiglio» relativo alla portata giuridica della clausola stessa, giacché detta clausola, implicando l'esonero da responsabilità del notaio, esclude la rilevanza di ogni spiegazione da parte del professionista.

Cass. civ. n. 5444/2006

L'obbligo del consenso informato insiste sul sanitario che, una volta richiesto dal paziente dell'esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso, a nulla rilevando che la richiesta del paziente discenda da una prescrizione di altro sanitario.

La responsabilità del sanitario (e di riflesso della struttura per cui egli agisce) per violazione dell'obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell'obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione in conseguenza dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, mentre, ai fini della configurazione di siffatta responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno, svolgendo rilievo la correttezza dell'esecuzione agli effetti della configurazione di una responsabilità sotto un profilo diverso, cioè riconducibile, ancorché nel quadro dell'unitario «rapporto» in forza del quale il trattamento è avvenuto, direttamente alla parte della prestazione del sanitario (e di riflesso della struttura ospedaliera per cui egli agisce) concretatesi nello svolgimento dell'attività di esecuzione del trattamento. La correttezza o meno del trattamento, infatti, non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell'ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni e che, quindi, tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido consenso ed appare eseguito in violazione tanto dell'art. 32 comma secondo della Costituzione, (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), quanto dell'art. 13 della Costituzione, (che garantisce l'inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica), e dall'art. 33 della legge 23 d'accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità; ex art. 54 c.p.), donde la lesione della situazione giuridica del paziente inerente alla salute ed all'integrità fisica. Mentre, sul piano del danno-conseguenza, venendo in considerazione il peggioramento della salute e dell'integrità fisica del paziente, rimane del tutto indifferente che la verificazione di tale peggioramento sia dovuta ad un'esecuzione del trattamento corretta o scorretta.

Cass. civ. n. 264/2006

Per il notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in generale, delle risultanze dei registri immobiliari attraverso la loro visura, costituisce, salvo espressa dispensa per concorde volontà delle parti, obbligo derivante dall'incarico conferitogli dal cliente e, quindi, fa parte dell'oggetto della prestazione d'opera professionale, poiché l'opera di cui è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell'atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell'atto. Conseguentemente, l'inosservanza dei suddetti obblighi accessori da parte del notaio dà luogo a responsabilità ex contractu per inadempimento dell'obbligazione di prestazione d'opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità.

Cass. civ. n. 22894/2005

Con riguardo alla sussistenza del nesso di causalità fra lesione personale e condotta del medico, al fine dell'accertamento di eventuali responsabilità risarcitorie di quest'ultimo, ove il ricorso alle nozioni di patologia medica e medicina legale non possa fornire un grado di certezza assoluta, la ricorrenza del suddetto rapporto di causalità non può essere esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività, a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, specie qualora manchi la prova della preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori determinanti. Ne consegue che la probabilità scientifica deve essere «qualificata» da ulteriori elementi idonei a tradurre in certezze giuridiche le conclusioni astratte svolte in termini probabilistici. (Nella specie la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva respinto la domanda risarcitoria nei confronti dell'ente ospedaliero in relazione al danno asseritamente subito da un neonato per il ritardo del trasferimento nel reparto di pediatria, sul rilievo che il collegio peritale si era espresso in termini di mera possibilità).

Cass. civ. n. 20320/2005

In tema di responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni, che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento del ginecologo all'obbligazione di natura contrattuale gravante su di lui, spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l'ordinamento, si incentrano sul fatto della procreazione, non rilevando, in contrario, che sia consentito solo alla madre (e non al padre ) la scelta in ordine all'interruzione della gravidanza, atteso che, pur sottratta alla madre (e non al padre ) la scelta in ordine all'interruzione della gravidanza, agli effetti negativi del comportamento del medico non può ritenersi estraneo il padre, che deve perciò considerarsi tra i soggetti «protetti » dal contratto col medico e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti.

Cass. civ. n. 16846/2005

L'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente, ai sensi degli artt. 2236 e 1176 c.c., in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in genere, nei casi in cui, per negligenza o imperizia, compromette il buon esito del giudizio, mentre nelle ipotesi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità, a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave. Pertanto, l'inadempimento del suddetto professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell'attività esercitata, ragion per cui l'affermazione della sua responsabilità implica l'indagine positivamente svolta sulla scorta degli elementi di prova che il cliente ha l'onere di fornire circa il sicuro e chiaro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo.

Cass. civ. n. 16164/2005

Non può qualificarsi inadempimento delle obbligazioni nascenti da un determinato rapporto giuridico (e neppure fatto illecito extracontrattuale) la comunicazione alla controparte di avere l'intenzione di interpretare ed applicare in un certo modo, il vincolo nascente dal rapporto stesso, poiché si tratta dell'esercizio di facoltà rientranti nell'ambito del generale e fondamentale diritto di difesa (art. 24 Cost.), restando giuridicamente irrilevante che ciò possa indurre a comportamenti dai quali consegua la perdita di facoltà o diritti. Tale principio è applicabile anche alle motivazioni offerte dall'INPS a sostegno del rifiuto di una motivazione da parte dello stesso istituto attraverso il sistema dei ricorsi amministrativi, esperiti i quali, anche se l'inadempimento si consolidasse in esito alla conclusione negativa dei ricorsi, esso non potrebbe produrre conseguenze diverse da quelle previste dall'art. 1224 c.c., e cioè il risarcimento dei danni ad esso immediatamente e direttamente conseguenti. (La S.C., nell'applicare il principio di cui in massima, ha riformato la decisione di merito che aveva ritenuto che il rigetto della domanda di prestazione non concretasse mero inadempimento dell'obbligo di pagare la pensione di vecchiaia, ma anche violazione di un dovere specifico di esatta interpretazione della legge e che aveva applicato alla fattispecie il principio di diritto secondo il quale rientrava nei compiti istituzionali dell'istituto la corretta informazione inerente ai dati relativi alla posizione contributiva, ricorrendo, invece, nella specie, secondo i giudici di legittimità, la diversa ipotesi della comunicazione di una valutazione, di un giudizio tecnico sulla regula iuris applicabile sicché il comportamento tenuto dal lavoratore, che aveva lasciato il posto di lavoro quale unico mezzo per conseguire subito il pagamento della pensione di vecchiaia, non era suscettibile di essere imputato ad inadempimento dell'INPS, neppure essendo configurabile il danno in discussione come conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento dell'istituto).

Cass. civ. n. 7997/2005

In tema di responsabilità professionale del medico chirurgo, una accurata ricognizione del complesso rapporto intercorrente tra la fattispecie del nesso causale e quella della colpa, con specifico riferimento ai rispettivi, peculiari profili probatori, consente la enunciazione dei seguenti principi: 1 ) il nesso di causalità é elemento strutturale dell'illecito, che corre su di un piano strettamente oggettivo e secondo una ricostruzione logica di tipo sillogistico tra un comportamento (dell'autore del fatto ) astrattamente considerato (e non ancora utilmente qualificabile in termini di damnum iniuria datum ) e l'evento; 2 ) nell'individuazione di tale relazione primaria tra condotta ed evento, si prescinde, in prima istanza, da ogni valutazione di prevedibilità, tanto soggettiva quanto “oggettivata”, da parte dell'autore del fatto, essendo il concetto logico di “previsione” insito nella categoria giuridica della colpa (elemento qualificativo dell'aspetto soggettivo del torto, la cui analisi si colloca in una dimensione temporale successiva in seno alla ricostruzione della complessa fattispecie dell'illecito ) ; 3 ) il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento é quello per cui ogni comportamento antecedente (prossimo, intermedio, remoto ) che abbia generato, o anche solo contribuito a generare, tale obbiettiva relazione col fatto deve considerarsi “causa” dell'evento stesso ; 4 ) il nesso di causalità giuridica é, per converso, relazione eziologica per cui i fatti sopravvenuti, di per sé soli idonei a determinare l'evento, interrompono il nesso con il fatto di tutti gli antecedenti causali precedenti ; 5 ) la valutazione del nesso di causalità giuridica, tanto sotto il profilo della dipendenza dell'evento dai suoi antecedenti fattuali, quanto sotto l'aspetto della individuazione del novus actus interveniens, va compiuta secondo criteri a ) di probabilità scientifica, ove questi risultino esaustivi ; b ) di logica, se appare non praticabile (o insufficientemente praticabile ) il ricorso a leggi scientifiche di copertura ; con l'ulteriore precisazione che, nell'illecito omissivo, l'analisi morfologica della fattispecie segue un percorso affatto speculare quanto al profilo probabilistico rispetto a quello commissivo, dovendosi, in altri termini, accertare il collegamento evento/comportamento omissivo in termini di probabilità inversa, onde inferire che l'incidenza del comportamento omesso si pone in relazione non/probabilistica con l'evento (che, dunque, si sarebbe probabilmente avverato anche se il comportamento fosse stato posto in essere ), a prescindere, ancora, dall'esame di ogni profilo di colpa intesa nel senso di mancata previsione dell'evento e di inosservanza di precauzioni doverose da parte dell'agente. Di talché, a titolo esemplificativo: 1 ) la morte caratterizzata da sintomatologia da avvelenamento e l'ingestione di diossina da parte del defunto sono vicende legate da un nesso causale predicabile sulla sola base di leggi di tipo chimico-scientifico ; 2 ) la morte da infezione tetanica di un paziente operato per discopatia sarà, viceversa, casualmente collegata all'erronea diagnosi dell'infezione stessa e all'omesso intervento terapeutico/farmacologico sol che, al momento dell'insorgere della patologia, risulti probabile, ancora secondo regole scientifiche, che diagnosi e cure tempestive avrebbero potuto scongiurare l'esito letale se risulti, cioè, specularmente improbabile, anche se solo possibile, che l'omissione sia stata causa dell'evento, sicché la risposta negativa a tale quesito si pone come ostativa ad ogni ulteriore valutazione degli aspetti soggettivi del comportamento, quantunque predicabili in termini di gravissima negligenza, non essendo lecito procedere ad una sorta di compensatio culpae cum causa ; 3 ) la mancata, opportuna sorveglianza di un paziente ricoverato per un night-hospital perché soggetto a crisi di epilessia ricovero funzionale a prevenire tali crisi ovvero ad impedirne più gravi conseguenze sarà, secondo un criterio logico (in assenza di una legge scientifica di copertura ) la causa probabile di eventuali lesioni che il soggetto si procuri se assalito da una crisi improvvisa ; 6 ) il positivo accertamento del nesso di causalità, che deve formare oggetto di prova da parte del danneggiato, consente il passaggio, logicamente e cronologicamente conseguente, alla valutazione dell'elemento soggettivo dell'illecito, e cioè della sussistenza, o meno, della colpa dell'agente, che, pur in presenza di un comprovato nesso causale, potrebbe essere autonomamente esclusa secondo criteri (storicamente elastici ) di prevedibilità ed evitabilità ; 7 ) criteri funzionali all'accertamento della colpa medica la prova della cui assenza grava, nelle fattispecie di responsabilità contrattuale, sul professionista/debitore risultano quelli a ) della natura, facile o non facile, dell'intervento del medico ; b ) del peggioramento o meno delle condizioni del paziente ; c ) della valutazione del grado di colpa di volta in volta richiesto (lieve, nonché presunta, in presenza di operazione routinarie ; grave, se relativa ad interventi che trascendono la preparazione media ovvero non risultino sufficientemente studiati o sperimentati, con l'ulteriore limite della particolare diligenza e dell'elevato tasso di specializzazione richiesti in tal caso ) ; d ) del corretto adempimento dell'onere di informazione e dell'esistenza del conseguente consenso del paziente.

In tema di responsabilità professionale del medico chirurgo, una accurata ricognizione del complesso rapporto intercorrente tra la fattispecie del nesso causale e quella della colpa, con specifico riferimento ai rispettivi, peculiari profili probatori, consente la enunciazione dei seguenti principi: 1 ) il nesso di causalità é elemento strutturale dell'illecito, che corre su di un piano strettamente oggettivo e secondo una ricostruzione logica di tipo sillogistico tra un comportamento (dell'autore del fatto ) astrattamente considerato (e non ancora utilmente qualificabile in termini di damnum iniuria datum ) e l'evento; 2 ) nell'individuazione di tale relazione primaria tra condotta ed evento, si prescinde, in prima istanza, da ogni valutazione di prevedibilità, tanto soggettiva quanto "oggettivata", da parte dell'autore del fatto, essendo il concetto logico di "previsione" insito nella categoria giuridica della colpa (elemento qualificativo dell'aspetto soggettivo del torto, la cui analisi si colloca in una dimensione temporale successiva in seno alla ricostruzione della complessa fattispecie dell'illecito ) ; 3 ) il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento é quello per cui ogni comportamento antecedente (prossimo, intermedio, remoto ) che abbia generato, o anche solo contribuito a generare, tale obbiettiva relazione col fatto deve considerarsi "causa" dell'evento stesso ; 4 ) il nesso di causalità giuridica é, per converso, relazione eziologica per cui i fatti sopravvenuti, di per sé soli idonei a determinare l'evento, interrompono il nesso con il fatto di tutti gli antecedenti causali precedenti ; 5 ) la valutazione del nesso di causalità giuridica, tanto sotto il profilo della dipendenza dell'evento dai suoi antecedenti fattuali, quanto sotto l'aspetto della individuazione del novus actus interveniens, va compiuta secondo criteri a ) di probabilità scientifica, ove questi risultino esaustivi ; b ) di logica, se appare non praticabile (o insufficientemente praticabile ) il ricorso a leggi scientifiche di copertura ; con l'ulteriore precisazione che, nell'illecito omissivo, l'analisi morfologica della fattispecie segue un percorso affatto speculare quanto al profilo probabilistico rispetto a quello commissivo, dovendosi, in altri termini, accertare il collegamento evento/comportamento omissivo in termini di probabilità inversa, onde inferire che l'incidenza del comportamento omesso si pone in relazione non/probabilistica con l'evento (che, dunque, si sarebbe probabilmente avverato anche se il comportamento fosse stato posto in essere ), a prescindere, ancora, dall'esame di ogni profilo di colpa intesa nel senso di mancata previsione dell'evento e di inosservanza di precauzioni doverose da parte dell'agente. Di talché, a titolo esemplificativo: 1 ) la morte caratterizzata da sintomatologia da avvelenamento e l'ingestione di diossina da parte del defunto sono vicende legate da un nesso causale predicabile sulla sola base di leggi di tipo chimico-scientifico ; 2 ) la morte da infezione tetanica di un paziente operato per discopatia sarà, viceversa, casualmente collegata all'erronea diagnosi dell'infezione stessa e all'omesso intervento terapeutico/farmacologico sol che, al momento dell'insorgere della patologia, risulti probabile, ancora secondo regole scientifiche, che diagnosi e cure tempestive avrebbero potuto scongiurare l'esito letale se risulti, cioè, specularmente improbabile, anche se solo possibile, che l'omissione sia stata causa dell'evento, sicché la risposta negativa a tale quesito si pone come ostativa ad ogni ulteriore valutazione degli aspetti soggettivi del comportamento, quantunque predicabili in termini di gravissima negligenza, non essendo lecito procedere ad una sorta di compensatio culpae cum causa ; 3 ) la mancata, opportuna sorveglianza di un paziente ricoverato per un night-hospital perché soggetto a crisi di epilessia ricovero funzionale a prevenire tali crisi ovvero ad impedirne più gravi conseguenze sarà, secondo un criterio logico (in assenza di una legge scientifica di copertura ) la causa probabile di eventuali lesioni che il soggetto si procuri se assalito da una crisi improvvisa ; 6 ) il positivo accertamento del nesso di causalità, che deve formare oggetto di prova da parte del danneggiato, consente il passaggio, logicamente e cronologicamente conseguente, alla valutazione dell'elemento soggettivo dell'illecito, e cioè della sussistenza, o meno, della colpa dell'agente, che, pur in presenza di un comprovato nesso causale, potrebbe essere autonomamente esclusa secondo criteri (storicamente elastici ) di prevedibilità ed evitabilità ; 7 ) criteri funzionali all'accertamento della colpa medica la prova della cui assenza grava, nelle fattispecie di responsabilità contrattuale, sul professionista/debitore risultano quelli a ) della natura, facile o non facile, dell'intervento del medico ; b ) del peggioramento o meno delle condizioni del paziente ; c ) della valutazione del grado di colpa di volta in volta richiesto (lieve, nonché presunta, in presenza di operazione routinarie ; grave, se relativa ad interventi che trascendono la preparazione media ovvero non risultino sufficientemente studiati o sperimentati, con l'ulteriore limite della particolare diligenza e dell'elevato tasso di specializzazione richiesti in tal caso ) ; d ) del corretto adempimento dell'onere di informazione e dell'esistenza del conseguente consenso del paziente.

Cass. civ. n. 2538/2005

L'attività espletata dai componenti del collegio sindacale di una società di capitali ha carattere professionale e, pertanto, anche anteriormente alla modifiche introdotte dal D.L.vo n. 6 del 2003, doveva essere svolta con la diligenza richiesta dalla natura dell'attività (art. 1176, secondo comma, c.c.), da valutare in rapporto alle specifiche caratteristiche di quella esercitata dalla società e dell'oggetto sociale della medesima, sicché è configurabile, ex art. 2407 c.c., la responsabilità dei sindaci di una società d'assicurazioni, i quali abbiano omesso di rilevare l'illegittima formazione ed iscrizione in bilancio di determinate poste del passivo (nella specie, della riserva premi e della riserva sinistri), essendo irrilevante che il relativo controllo possa richiedere la soluzione di questioni di speciale difficoltà.

Cass. civ. n. 21110/2004

In tema di prestazione di opera intellettuale, il professionista, dovendo adempiere l'incarico con la diligenza del buon padre di famiglia, risponde anche per colpa lieve, qualora non assolva l'onere probatorio della necessità della soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (in tale ipotesi risponde solo per dolo o colpa grave); d'altra parte, nel caso in cui l'opera non sia stata eseguita a regola d'arte e in conformità ai patti, l'accettazione da parte del cliente senza rilevarne le manchevolezze non elide né riduce la responsabilità del professionista, che deve sempre rapportarsi ad errori determinati da ignoranza di cognizioni tecniche o da inesperienza professionale sia quando il medesimo risponde per dolo o colpa grave, essendo necessaria la soluzione di problemi di particolari difficoltà, sia quando risponde anche per colpa lieve.

Cass. civ. n. 20869/2004

La responsabilità professionale dell'avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza media esigibile ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, c.c.; tale violazione, ove consista nell'adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, non è né esclusa né ridotta per la circostanza che l'adozione di tali mezzi sia stata sollecitata dal cliente stesso, essendo compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell'attività professionale. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva accertato la responsabilità professionale dell'avvocato per avere questi proposto una domanda di risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., dinanzi ad un giudice diverso da quello che aveva deciso la causa di merito, cosa esponendo il cliente alla soccombenza nelle spese).

Cass. civ. n. 18376/2004

In caso di omessa verifica, da parte di un notaio rogante una compravendita, in ordine all'eventuale sussistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli, e di omessa segnalazione all'acquirente di un vincolo ipotecario gravante sull'immobile, la sola esistenza in sé del vincolo non costituisce un concreto pregiudizio atto a sorreggere da solo la domanda risarcitoria per l'acquirente dell'immobile.

Cass. civ. n. 14597/2004

Nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 2236 c.c. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole. A al fine incombe su di lui l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, insufficiente al riguardo peraltro essendo il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello jus postulandi, stante la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio.

Cass. civ. n. 14488/2004

In tema di responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata, l'inadempimento del medico rileva in quanto impedisce alla donna di compiere la scelta di interrompere la gravidanza. Infatti la legge, in presenza di determinati presupposti, consente alla donna di evitare il pregiudizio che da quella condizione del figlio deriverebbe al proprio stato di salute e rende corrispondente a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata di gravi malformazioni del feto. Ne consegue che la possibilità per la madre di esercitare il suo diritto ad una procreazione cosciente e responsabile interrompendo la gravidanza assume rilievo sotto il profilo del nesso di causalità, e non anche come criterio di selezione dei (tipi di) danni risarcibili; e che non sono danni che derivano dall'inadempimento del medico quelli che il suo adempimento non avrebbe evitato: una nascita che la madre non avrebbe potuto scegliere di rifiutare; una nascita che non avrebbe in concreto rifiutato; la presenza nel figlio di menomazioni o malformazioni al cui consolidarsi non avrebbe potuto porsi riparo durante la gravidanza in modo che il figlio nascesse sano.

L'ordinamento positivo tutela il concepito e l'evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita, e non anche verso la «non nascita », essendo pertanto (al più) configurabile un «diritto a nascere » e a «nascere sani », suscettibile di essere inteso esclusivamente nella sua positiva accezione: sotto il profilo privatistico della responsabilità contrattuale o extracontrattuale o da «contatto sociale », nel senso che nessuno può procurare al nascituro lesioni o malattie (con comportamento omissivo o commissivo colposo o doloso) ; sotto il profilo altamente pubblicistico, nel senso che debbono venire ad essere predisposti tutti gli istituti normativi e tutte le strutture di tutela cura e assistenza della maternità idonei a garantire (nell'ambito delle umane possibilità) al concepito di nascere sano. Non è invece in capo a quest'ultimo configurabile un «diritto a non nascere » o a «non nascere se non sano », come si desume dal combinato disposto di cui agli artt. 4 e 6 della legge n. 194 del 1978, in base al quale si evince che: a) l'interruzione volontaria della gravidanza è finalizzata solo ad evitare un pericolo per la salute della gestante, serio (entro i primi 90 giorni di gravidanza ) o grave (successivamente a tale termine ) ; b ) trattasi di un diritto il cui esercizio compete esclusivamente alla madre ; c ) le eventuali malformazioni o anomalie del feto rilevano esclusivamente nella misura in cui possano cagionare un danno alla salute della gestante, e non già in sé e per sé considerate (con riferimento cioè al nascituro ). E come emerge ulteriormente: a ) dalla considerazione che il diritto di «non nascere » sarebbe un diritto adespota (in quanto ai sensi dell'art. 1 c.c. la capacità giuridica si acquista solamente al momento della nascita e i diritti che la legge riconosce a favore del concepito artt. 462, 687, 715 c.c. sono subordinati all'evento della nascita, ma appunto esistenti dopo la nascita ), sicché il cosiddetto diritto di «non nascere » non avrebbe alcun titolare appunto fino al momento della nascita, in costanza della quale proprio esso risulterebbe peraltro non esistere più; b ) dalla circostanza che ipotizzare un diritto del concepito a «non nascere » significherebbe configurare una posizione giuridica con titolare solamente (ed in via postuma ) in caso di sua violazione, in difetto della quale (per cui non si fa nascere il malformato per rispettare il suo «diritto di non nascere » ) essa risulterebbe pertanto sempre priva di titolare, rimanendone conseguentemente l'esercizio definitivamente precluso. Ne consegue che è pertanto da escludersi la configurabilità e l'ammissibilità nell'ordinamento del c.d. aborto «eugenetico », prescindente dal pericolo derivante dalle malformazioni fetali alla salute della madre, atteso che l'interruzione della gravidanza al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 4 e 6 legge n. 194 del 1978 (accertate nei termini di cui agli artt. 5 ed 8 ), oltre a risultare in ogni caso in contrasto con i principi di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. e di indisponibilità del proprio corpo ex art. 5 c.c., costituisce reato anche a carico della stessa gestante (art. 19 legge n. 194 del 1978 ), essendo per converso il diritto del concepito a nascere, pur se con malformazioni o patologie, ad essere propriamente anche mediante sanzioni penali tutelato dall'ordinamento. Ne consegue ulteriormente che, verificatasi la nascita, non può dal minore essere fatto valere come proprio danno da inadempimento contrattuale l'essere egli affetto da malformazioni congenite per non essere stata la madre, per difetto d'informazione, messa nella condizione di tutelare il di lei diritto alla salute facendo ricorso all'aborto ovvero di altrimenti avvalersi della peculiare e tipicizzata forma di scriminante dello stato di necessità (assimilabile, quanto alla sua natura, a quella prevista dall'art. 54 c.p. ) prevista dall'art. 4 legge n. 194 del 1978, risultando in tale ipotesi comunque esattamente assolto il dovere di protezione in favore di esso minore, così come configurabile e tutelato (in termini prevalenti rispetto anche ad eventuali contrarie clausole contrattuali: art. 1419, secondo comma, c.c. ) alla stregua della vigente disciplina.

Cass. civ. n. 13825/2004

Rientra tra gli obblighi del notaio, che sia richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare, lo svolgimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, il compimento delle cosiddette «visure» catastali e ipotecarie allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, salvo espresso esonero del notaio da tale attività per concorde volontà delle parti, dettata da motivi di urgenza o da altre ragioni. Tale obbligo, che trova fonte (anche) nell'art. 4 (in base al quale alle domande di voltura debbono essere acquisiti i certificati catastali) e 14 (che fa obbligo al notaio di chiedere la voltura) D.P.R. n. 640 del 1972, si sostanzia nell'attività di verifica catastale ed ipotecaria volta ad accertare la condizione giuridica ed il valore di un immobile e richiede che il notaio acceda ai registri pubblici per esaminarne tutti i dati relativi, attività la quale deve tenersi distinta dalla normale indagine giuridica occorrente per la stipulazione dell'atto. Né si rende possibile, al fine di escludere l'autonomo diritto al compenso per tale attività ricondurre quest'ultima nell'ambito di una mera attività, di «aggiornamento» dell'originaria acquisizione dei dati catastali e ipotecari, contemplando l'art. 30 D.M. 27 novembre 2001 (recante la tabella degli onorari, dei diritti, delle indennità e dei compensi spettanti ai notai), la letterale e specifica indicazione per la quale in tema di prestazioni professionali in materia civile, commerciale, amministrativa e tributaria spetta al notaio un compenso, ragguagliato al valore della pratica, per l'esame di «titoli, registri pubblici e documentazione particolarmente complessa» da cui si desume trattarsi di attività in aggiunta alla normale indagine giuridica.

Cass. civ. n. 12273/2004

In tema di responsabilità del medico dipendente di una struttura ospedaliera per i danni subiti da un paziente ricoverato d'urgenza presso il pronto soccorso, pure se la difficoltà dell'intervento e la diligenza del professionista vanno valutate in concreto, rapportandole al livello della sua specializzazione ed alle strutture tecniche a sua disposizione, egli deve valutare con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale, ricorrendo anche all'ausilio di un consulto se la situazione non è cosi urgente da sconsigliarlo; deve adottare inoltre, tutte le misure volte ad ovviare alle carenze strutturali ed organizzative incidenti sugli accertamenti diagnostici e sui risultati dell'intervento, ovvero, ove ciò non sia possibile, deve informare il paziente, consigliandogli, se manca l'urgenza di intervenire, il ricovero in una struttura più idonea. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della Corte di merito che aveva escluso la responsabilità dei medici del pronto soccorso che avevano proceduto, eseguendola scorrettamente, alla suturazione del nervo ulnare di un ragazzo ricoverato per ferita da taglio al terzo inferiore del braccio destro con lesione muscolo - nervosa, senza interpellare il dirigente chirurgo, malgrado la loro inesperienza per tale tipo di intervento e la mancanza di strutture di ausilio per sopperire ad essa).

Cass. civ. n. 10966/2004

La responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell'attività del difensore, l'affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita.

Cass. civ. n. 4400/2004

L'ente ospedaliero, gestore di un servizio pubblico sanitario, risponde a titolo contrattuale per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un proprio dipendente; l'inadempimento del professionista in relazione alla propria obbligazione, che costituisce pur sempre obbligazione di mezzi e non di risultato, e la conseguente responsabilità dell'ente ove questi presti la propria opera deve essere valutato alla stregua del dovere di diligenza particolarmente qualificato inerente lo svolgimento della sua attività professionale; ne consegue che è configurabile un nesso causale tra il suo comportamento, anche omissivo, e il pregiudizio subito da un paziente, qualora, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l'opera del professionista, se correttamente e prontamente svolta, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi.

Cass. civ. n. 4013/2004

In tema di responsabilità medico-chirurgica, la distribuzione dei compiti tra medico in posizione apicale e medico in posizione intermedia quale si desume dagli artt. 7 del D.P.R. n. 128 del 1969 e 63 del D.P.R. n. 761 del 1979 non esclude che il secondo sia tenuto ad un comportamento improntato a perizia e diligenza, sicché, di fronte a scelte del primario che debbono apparirgli improprie, egli è tenuto a manifestare le proprie diverse valutazioni e, se necessario, il proprio motivato dissenso.

Cass. civ. n. 1330/2004

Per il notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, fa parte dell'oggetto della prestazione professionale la preventiva verifica, attraverso le visure, anche delle risultanze del registro generale, ove il registro particolare non sia aggiornato, salvo il caso che, per il numero elevato di formalità da consultare, ciò costituirebbe un'attività eccessivamente onerosa; nel qual caso, tuttavia, il notaio non può senz'altro ritenersi esentato dalla consultazione del registro generale, ma è tenuto ad avvertire il cliente che le visure effettuate non sono aggiornate, in adempimento dell'obbligo di correttezza che presiede all'esecuzione del contratto e che si traduce nell'obbligo di informazione del professionista nei confronti del cliente.

Cass. civ. n. 17871/2003

In materia di esercizio di attività professionale, il professionista è responsabile anche per colpa lieve (art. 1176, secondo comma, c.c.), salvo che la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, in quanto in quest'ultimo caso egli è tenuto al risarcimento dei danni unicamente per dolo o per colpa grave (art. 2236, c.c.); inoltre, qualora il professionista abbia eseguito la propria prestazione, grava sul committente l'onere di provare l'erroneità o l'inadeguatezza della prestazione professionale ricevuta, il danno ed il nesso di causalità tra la prima ed il secondo, incombendo al professionista l'onere di dimostrare l'adeguatezza, ovvero che l'imperfetta esecuzione della prestazione è dovuta a caso fortuito o forza maggiore. (Nella specie, un imprenditore agricolo aveva chiesto il risarcimento dei danni derivanti da negligente svolgimento dell'attività professionale nei confronti di un veterinario che, nel quadro di un contratto di «monta», aveva accertato che una cavalla era gravida, escludendo tale stato dopo poche settimane; la S.C., in applicazione del succitato principio di diritto, ha ritenuto che, avendo il committente dimostrato la discordanza delle due diagnosi, incombeva sul professionista l'onere di dimostrare l'esattezza della prima e la sopravvenuta cessazione della gestazione).

Cass. civ. n. 11316/2003

In tema di responsabilità del medico dipendente di una struttura ospedaliera per i danni subiti da un neonato, partorito da donna della quale costui era medico di fiducia, per difetto di assistenza nelle varie fasi del parto, per quanto non possano essere a lui addebitate le carenze della struttura stessa, né la condotta colposa di altri dipendenti dell'ospedale, a lui incombe, tuttavia, l'obbligo, derivante dal rapporto privatistico che lo lega alla paziente, di informarla della eventuale, anche solo contingente, inadeguatezza della struttura, tanto più se la scelta della stessa sia effettuata proprio in ragione dell'inserimento di quel medico in quella struttura, nonché di prestare alla paziente ogni attenzione e cura che non siano assolutamente incompatibili con lo svolgimento delle proprie mansioni di pubblico dipendente. Ne consegue la persistenza del dovere del medico che abbia partecipato all'intervento in ragione di un rapporto professionale diretto con il paziente, di adoperarsi comunque per il raggiungimento del risultato al di là della sua estraneità alle insufficienze della struttura in cui abbia operato, ed anzi tenendone conto al fine di conformare la propria condotta al raggiungimento dell'obiettivo costituito dall'esito favorevole dell'intervento.

Cass. civ. n. 7261/2003

Per il notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, fa parte dell'oggetto della prestazione professionale la preventiva verifica, attraverso le visure, anche delle risultanze del registro immobiliare generale, in caso di mancato aggiornamento del registro particolare, purché tale mancato aggiornamento riguardi un periodo di tempo limitato. Inoltre, la indagine cui è tenuto il notaio non va estesa oltre l'esame del registro particolare, attraverso il riferimento alla tavola alfabetica ed indagine nominativa, che consentono solo di reperire formalità già inserite nello stesso registro.

Cass. civ. n. 1228/2003

Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività di notaio, il professionista è tenuto ad una prestazione che, pur rivestendo i caratteri dell'obbligazione di mezzi e non di risultato, non può ritenersi circoscritta al compito di mero accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell'atto, estendendosi, per converso, a tutte quelle ulteriori attività, preparatorie e successive, funzionali ad assicurare la serietà e la certezza del rogito e, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico (non meno che del risultato pratico) del negozio divisato dalle parti, con la conseguenza che l'inosservanza di tali obblighi accessori dà luogo a responsabilità ex contractu per inadempimento dell'obbligazione di prestazione d'opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale, peculiare forma di responsabilità. Incorre, pertanto, nella predetta responsabilità professionale il notaio che, con riferimento alla procura speciale presentatagli dal sedicente rappresentante della parte venditrice, non ne accerti con cura l'autenticità, senza che, in relazione a tale omissione, egli possa legittimamente invocare la limitazione di responsabilità di cui all'art. 2236 c.c., non essendo il suo comportamento riconducibile alla fattispecie dell'imperizia, bensì a negligenza ed imprudenza, alla violazione, cioè, del dovere di normale diligenza professionale, rispetto alla quale (Corte cost. n. 166 del 1973) rileva anche la colpa lieve, ai sensi del secondo comma dell'art. 1176 stesso codice (nell'affermare il principio di diritto che precede, la Suprema Corte ha così confermato la sentenza del giudice di merito che aveva ravvisato gli estremi della colpa professionale a carico di un notaio che, nel ricevere una procura speciale dell'apparente rappresentante della parte venditrice di un immobile, non ne aveva rilevato le numerose ed evidenti alterazioni lettere e parole scritte con macchina da scrivere diversa ed al di sotto del rigo; mancanza di spazi tra le parole; interpolazioni e correzioni o ricalcature a penna o con diverso mezzo meccanico di lettere e numeri; cancellature neanche menzionate in postilla, considerato, oltretutto, la circostanza per la quale, dallo stesso soggetto, il professionista aveva precedentemente rifiutato di ricevere altra procura ritenendola manifestamente irregolare).

Cass. civ. n. 309/2003

La funzione del notaio non si esaurisce nella mera registrazione delle dichiarazioni delle parti, ma si estende all'attività di consulenza, anche fiscale, nei limiti delle conoscenze che devono far parte del normale bagaglio di un professionista che svolge la sua attività principale nel campo della contrattazione immobiliare. Ne consegue che si rende responsabile della violazione dell'obbligo di cui all'art. 1176, secondo comma c.c. il notaio che non svolga una adeguata ricerca legislativa (ed una successiva consulenza) al fine di far conseguire alle parti il regime fiscale più favorevole. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza della Corte di Appello che aveva ritenuto la responsabilità professionale del notaio che, per negligenza, non aveva consentito alla parte alienante, coltivatore diretto, la richiesta di esenzione fiscale dall'INVIM contestuale alla stipula dell'atto di donazione).

Cass. civ. n. 14934/2002

La responsabilità professionale del notaio nei confronti del cliente per inadempimento della prestazione professionale è di natura contrattuale, sicché legittimato a farla valere è esclusivamente la parte che ha richiesto detta prestazione, concludendo il contratto d'opera professionale. (Nel fare applicazione del suindicato principio, la S.U. ha escluso la configurabilità della responsabilità del notaio, avendo il giudice del merito rilevato, nell'impugnata sentenza, che in sede di stipula di contratto di permuta immobiliare l'incarico al notaio di provvedere alla cancellazione delle ipoteche era stato conferito da soggetti diversi dai ricorrenti per cassazione, ritenuti pertanto privi della legittimazione attiva a far valere la responsabilità contrattuale del notaio. La S.C. ha altresì escluso la possibilità di considerare nel caso comunque configurabile a carico del notaio una responsabilità da "contatto sociale" nei confronti dei detti ricorrenti per cassazione, tale tipo di responsabilità presupponendo l'effettuazione di una prestazione inesatta da parte dell'esercente la professione "protetta" che, nel caso, alla stregua di quanto sopra esposto, era risultato viceversa non essere stata prestata in loro favore, bensì di coloro gli originari attori che erano divenuti proprietari del bene ipotecato).

Cass. civ. n. 11382/2002

Compete all'esercente l'attività professionale della cui prestazione lo stesso sia richiesto, apprezzare il rischio del servizio domandatogli, informarne il committente ed eseguire la prestazione che questi comunque richieda con l'adozione delle cautele necessarie, la cui adeguatezza va valutata alla stregua del criterio della diligenza qualificata posto dall'art. 1176, secondo comma, c.c., costituente regola di valutazione del comportamento del debitore e, dunque, di apprezzamento dell'esattezza della prestazione dovuta ai fini di cui all'art. 1218 c.c. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza d'appello confermativa di quella pretorile che aveva escluso la responsabilità della titolare di una stazione di servizio per l'incendio nel vano motore di un'autovettura sviluppatosi a seguito di un'operazione di lavaggio eseguita nella predetta stazione).

Cass. civ. n. 9556/2002

Il complesso ed atipico rapporto che si instaura tra la casa di cura e il paziente (nella specie: una partoriente), anche nell'ipotesi in cui quest'ultimo scelga al di fuori della struttura sanitaria di medico curante, non si esaurisce nella mera fornitura di prestazioni di natura alberghiera (somministrazione di vitto e alloggio), ma consiste nella messa a disposizione del personale medico ausiliario e di quello paramedico nonché nell'apprestamento dei medicinali e di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicanze; è perciò configurabile una responsabilità autonoma e diretta della casa di cura ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile ad una inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico, a nulla rilevando che l'eventuale responsabilità concorrente del medico di fiducia del paziente medesimo sia ancora sub iudice in altro separato processo. (Nella specie l'inadempienza della casa di cura era consistita nell'insufficienza delle apparecchiature e disposizione per affrontare l'emergenza - sindrome asfittica del neonato - e nel ritardo, ad opera del personale ausiliario, nel trasferimento del neonato in un centro ospedaliero attrezzato).

Cass. civ. n. 5928/2002

II professionista, nella prestazione dell'attività professionale, sia questa configurabile come adempimento di un'obbligazione di risultato o di mezzi, è obbligato, a norma dell'art. 1176 c.c., ad usare la diligenza del buon padre di famiglia; la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale, del quale il professionista è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve (salvo che nel caso in cui, a norma dell'art. 2236 c.c., la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà), e, in applicazione del principio di cui all'art. 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva accertato la responsabilità professionale di un difensore nella gestione di una causa di opposizione a decreto ingiuntivo, per avere omesso di indicare la data dell'udienza di comparizione nella copia notificata dell'atto di opposizione e per avere omesso di citare un testo in una prova delegata, e aveva conseguentemente escluso che al professionista spettasse il compenso per la propria prestazione professionale).

Cass. civ. n. 3492/2002

In tema di risarcimento del danno, il medico chirurgo, nell'adempimento delle obbligazioni contrattuali inerenti alla propria attività professionale, è tenuto ad una diligenza che non è solo quella del buon padre di famiglia ex art. 1176, primo comma, c.c., ma è quella specifica del debitore qualificato, come prescritto all'art. 1176, secondo comma, cod. cit., la quale comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica, ivi compreso l'obbligo di sorveglianza sulla salute del soggetto operato anche nella fase postoperatoria.

Cass. civ. n. 2836/2002

Le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzo e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna alla prestazione della propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non al suo conseguimento. Ne deriva che l'inadempimento del professionista (nella specie: avvocato) alla propria obbligazione non può essere desunto, ipso facto, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell'attività professionale e, in particolare, del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del tradizionale criterio della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall'art. 1176, secondo comma, c.c. parametro da commisurarsi alla natura dell'attività esercitata , sicché, non potendo il professionista garantire l'esito comunque favorevole auspicato dal cliente (nella specie, del giudizio di appello), il danno derivante da eventuali sue omissioni (nella specie, tardiva proposizione dell'impugnazione) intanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri (necessariamente) probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito (nella specie, il gravame, se tempestivamente proposto, sarebbe stato giudicato fondato), secondo un'indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, e non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 12198/2001

Il contratto di prestazione professionale avente ad oggetto la prestazione medica (nel caso di specie assistenza al parto) impone al sanitario dipendente della struttura ospedaliera gli obblighi di diagnosi, cura e assistenza e gli altri obblighi di protezione proprie della prestazione medica e non anche quantomeno nella sua configurazione tipica l'obbligo ad una generica tutela della relazione tra la madre e la figlia (sulla base di questo principio la Corte ha escluso che potesse qualificarsi come contrattuale la prospettata responsabilità dell'ente ospedaliero nei confronti di una bambina nata sana per le lesioni subite dalla madre in occasione del parto; che avrebbero determinato una lesione della tutela relazionale madre-figlia).

Cass. civ. n. 6822/2001

Il primario ospedaliero, ai sensi dell'art. 7 D.P.R. 27 marzo 1969 n. 128, ha la responsabilità dei malati della divisione, per i quali ha l'obbligo di definire i criteri diagnostici e terapeutici che gli aiuti e gli assistenti devono seguire e di vigilare, com'è desumibile anche dall'art. 63 D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, sull'esatta esecuzione da parte dei medesimi. Pertanto sussiste la negligenza del primario del reparto che omette, violando gli schemi della normale pratica ostetrica, di impostare un programma di monitoraggio assiduo del travaglio di una partoriente per venti minuti all'inizio del medesimo, poi ogni trenta minuti per una durata di cinque minuti, e nell'ultimo periodo del travaglio ogni cinque minuti al fine di poter intervenire tempestivamente, con un taglio cesareo, all'insorgere di sofferenza fetale; di impartire direttive precise di controllo cardiotocografico al suo assistente in caso di sua assenza dal reparto; di vigilare sull'esatta esecuzione delle medesime ed è, quindi, colpevole per i danni riportati da un neonato in seguito a sofferenza anossica cerebrale, evitabile con un tempestivo parto cesareo.

Cass. civ. n. 5158/2001

L'opera professionale di cui è richiesto il notaio non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell'atto, ma si estende alle attività preparatorie e successive perché sia assicurata la serietà e la certezza degli effetti tipici dell'atto e del risultato pratico perseguito dalle parti; pertanto, il notaio che abbia la conoscenza o anche il solo sospetto di un'iscrizione pregiudizievole gravante sull'immobile oggetto della compravendita deve informarne le parti, quando anche egli sia stato esonerato dalle visure, essendo tenuto comunque all'esecuzione del contratto di prestazione d'opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all'art. 1176, secondo comma, c.c. e della buona fede.

Cass. civ. n. 4609/2001

Nel giudizio avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità del medico chirurgo per non aver eseguito un intervento operatorio (nella specie, tracheotomia o laringofissurazione senza intubazione di un neonato affetto da gravissime difficoltà respiratorie) ed avere, in ipotesi, cosa causato il decesso del paziente, al giudice di merito è demandato il compito di operare una rigorosa e motivata comparazione, ai fini della valutazione della condotta del medico stesso, tra le due possibili ipotesi da formulare da parte di quest'ultimo, della certezza di un esito inevitabile in assenza dell'intervento di emergenza e della possibilità che l'evento letale comunque si verifichi a causa dell'intervento, posto che in tal caso l'intervento di emergenza, anche se ad altissimo rischio, è pur tuttavia doveroso.

Cass. civ. n. 499/2001

In tema di responsabilità professionale la relazione tra gli artt. 1176 e 2236 c.c. è di integrazione per complementarietà e non già per specialità, cosicché vale come regola generale quella della diligenza del buon professionista (art. 1176, comma secondo) con riguardo alla natura dell'attività prestata, mentre quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà opera la successiva norma dell'art. 2236 c.c., delimitando la responsabilità professionale al dolo o alla colpa grave.

Cass. civ. n. 9877/2000

In tema di responsabilità professionale, la valutazione dell'inadempimento del professionista (tenuto all'adempimento di obbligazioni di mezzi e non di risultato) va fatta esclusivamente con riferimento alla violazione dei doveri inerenti all'esercizio della professione svolta ed in particolare, ove gli si imputi una condotta omissiva, del dovere di diligenza ex art. 1176, secondo comma, c.c., cioè della diligenza che un professionista di preparazione ed attenzione media pone nell'esercizio della propria attività; ne consegue che l'affermazione di responsabilità professionale presuppone la preliminare individuazione degli specifici obblighi che la legge o il contratto pongono a carico del professionista. La legge regionale campana n. 9 del 1983 attribuisce al collaudatore in corso d'opera una specifica responsabilità per l'inosservanza delle norme sismiche di cui alla legge n. 64 del 1974, distinguendo i compiti di sua spettanza da quelli del direttore dei lavori, ed istituendo, attraverso l'attribuzione di specifici doveri di controllo e vigilanza «in concomitanza al processo costruttivo delle opere, una figura professionale di collaudatore, in parte diversa da quella di cui alla legge n. 1086 del 1971.

Cass. civ. n. 6514/2000

Il notaio, in occasione della stipula del contratto «definitivo», ha l'obbligo, ai sensi degli artt. 1176 e 1375 c.c., di informare gli acquirenti ove questi ultimi non ne siano già a conoscenza aliunde della eventuale circostanza per cui, trattandosi di compravendita di appartamento condominiale, lo stato giuridico di una cosa comune (nella specie il cortile dell'edificio di cui faccia parte l'appartamento oggetto della compravendita), sia mutato e la cosa in difformità rispetto a quanto originariamente previsto nel contratto «preliminare», ed in deroga rispetto all'art. 1117 c.c. sia divenuta, in forza di un altro suo rogito, di proprietà esclusiva di un singolo soggetto (nella specie, la società venditrice). Sotto un tal profilo, i riflessi di responsabilità conseguenti all'inadempimento di un tale obbligo non vengono superati dalla semplice circostanza per cui, in sede di contratto «definitivo», gli acquirenti dichiarino di accettare le tabelle millesimali allegate al predetto altro rogito in questione.

Cass. civ. n. 6318/2000

In tema di responsabilità del primario ospedaliero per i danni derivanti a neonato da difettosa assistenza nelle varie fasi del parti, se è vero che costui non può essere chiamato a rispondere di ogni evento dannoso che si verifichi in sua assenza nel reparto affidato alla sua responsabilità, non essendo esigibile un controllo continuo ed analitico di tutte le attività terapeutiche che vi si compiono, tuttavia, la «responsabilità del malato» che gli attribuisce l'art. 7 del D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, e, in particolare, la pratica sui degenti, prevista dalla stessa norma, degli «interventi diagnostici e terapeutici che ritenga di non affidare ai suoi collaboratori» gli impongono la puntuale conoscenza delle situazioni cliniche che riguardano i degenti, a prescindere dalle modalità della acquisizione di tale conoscenza (con visita diretta o interpello degli altri medici ed operatori sanitari), e la «vigilanza sull'attività del personale sanitario» implica quantomeno che il primario si procuri informazioni precise sulle iniziative intraprese dagli altri medici (o che questi intendono intraprendere) cui il paziente sia stato affidato, ed indipendentemente dalla responsabilità degli stessi, con riguardo a possibili, e non del tutto imprevedibili, eventi che possono intervenire durante la degenza del paziente in relazione alle sue condizioni, allo scopo di adottare i provvedimenti richiesti da eventuali esigenze terapeutiche. In tale quadro, anche la contingente mancanza di un'apparecchiatura necessaria, per quanto non imputabile al primario, non lo esime dal dovere di adottare, o controllare che siano adottati, i possibili accorgimenti sostitutivi, e di informare la paziente del maggior rischio connesso ad un parto che si svolga senza l'ausilio di detto strumento, e ciò anche in assenza, nella legislazione nazionale, di uno standard di riferimento degli strumenti di cui una struttura sanitaria pubblica deve necessariamente disporre. (Nella specie, i giudici di merito, con valutazione ritenuta corretta dalla S.C., avevano posto a carico di un primario della divisione di ostetricia di un ospedale le irreversibili menomazioni a carico del sistema nervoso centrale cagionate ad un neonato a seguito di grave asfissia al momento della nascita, addebitandogli la carenza di controlli, ed in particolare di un monitoraggio continuo dovuta anche alla indisponibilità di un cardiotografo durante il ricovero della partoriente e durante le varie fasi del parto, colposamente non accelerate in relazione alle particolarità del caso, determinate dalla immaturità del feto ed alla rottura anticipata della membrana).

Cass. civ. n. 5232/2000

Qualora le parti si rivolgano ad un notaio per ottenere la sua consulenza quale tecnico del diritto in relazione ad un contratto preliminare da redigere a cura del professionista, mirano ad assicurarsi che il contratto stesso sia non solo formalmente perfetto, ma anche idoneo a produrre il risultato pratico perseguito. Pertanto, versa in colpa professionale il notaio che non prospetti all'acquirente l'opportunità di effettuare le visure ipotecarie al fine di accertare la libertà dell'immobile oggetto della promessa di trasferimento da trascrizioni o iscrizioni pregiudizievoli, ovvero non prospetti la necessità di compiere nuove visure per accertare l'esistenza di altre ipoteche oltre quella dichiarata dal promittente-venditore.

Cass. civ. n. 566/2000

L'azione di responsabilità contrattuale nei confronti del notaio che abbia violato i propri obblighi professionali ovvero tenuto una condotta negligente (eseguendo con ritardo le iscrizioni ipotecarie) in relazione agli incarichi direttamente ricevuti dai clienti (di effettuare l'iscrizione il più presto possibile) presuppone la produzione del danno. Ai fini dell'accertamento di tale danno è necessario valutare se i clienti avrebbero potuto con ragionevole certezza conseguire una situazione economicamente più vantaggiosa qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione.

Qualora per esplicita richiesta delle parti ovvero per legge, il notaio che ha ricevuto un atto soggetto ad iscrizione o a trascrizione debba procurare che questa venga eseguita nel più breve tempo possibile ovvero immediatamente, spetta al prudente apprezzamento del giudice del merito e alla sua libera valutazione, tenendo conto delle determinanti del caso concreto attinenti sia ai tempi e ai mezzi di normale impiego per l'esecuzione dell'iscrizione, sia alle evenienze non imputabili al notaio, individuare di volta in volta il termine nel quale quell'adempimento deve essere eseguito e stabilire se l'indugio frapposto dal professionista giustifichi l'affermazione della sua responsabilità verso il cliente, tenendo presente che tale responsabilità ha natura contrattuale e che il notaio è tenuto ad espletare l'incarico che le parti gli affidano con la diligenza media di un professionista sufficientemente preparato e avveduto, secondo quanto dispone l'art. 1176 secondo comma c.c.

Cass. civ. n. 4852/1999

La responsabilità del medico in ordine al danno subito dal paziente presuppone la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento della professione, tra cui il dovere di diligenza da valutarsi in riferimento alla natura della specifica attività esercitata; tale diligenza non è quella del buon padre di famiglia ma quella del debitore qualificato ai sensi dell'art. 1176, secondo comma c.c. che comporta il rispetto degli accorgimenti e delle regole tecniche obbiettivamente connesse all'esercizio della professione e ricomprende pertanto anche la perizia; la limitazione di responsabilità alle ipotesi di dolo e colpa grave di cui all'art. 2236, secondo comma c.c. non ricorre con riferimento ai danni causati per negligenza o imperizia ma soltanto per i casi implicanti risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà che trascendono la preparazione media o non ancora sufficientemente studiati dalla scienza medica; quanto all'onere probatorio, spetta al medico provare che il caso era di particolare difficoltà e al paziente quali siano state le modalità di esecuzione inidonee ovvero a questi spetta provare che l'intervento era di facile esecuzione e al medico che l'insuccesso non è dipeso da suo difetto di diligenza. (Nella specie la S.C. ha ritenuto immune da vizi la sentenza di merito che, in un caso di "grave sofferenza perinatale con danno cerebrale", facendo applicazione di tali principi, aveva escluso l'applicabilità dell'art. 2236, secondo comma e affermato la responsabilità concorrente del medico ginecologo-ostetrico che, per aver omesso di praticare tempestivamente il taglio cesareo e per aver indugiato nel disporre perfusioni ossitociche in presenza di una dilatazione anomala, aveva colposamente condotto la partoriente ad una complicanza finale che imponeva la scelta tecnica di particolare difficoltà dell'applicazione della ventosa, che implicava ulteriore ritardo per reperire altro chirurgo e un anestesista, e e della casa di cura per essere stata dotata di attrezzature non funzionanti, non aver predisposto terapie di rianimazione adeguate e a aver tardato il trasferimento in struttura pubblica).

Cass. civ. n. 722/1999

Il cliente che chieda al proprio difensore il ristoro dei darmi che egli assume subiti a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado non può limitarsi a dedurre l'astratta possibilità della riforma in appello di tale pronuncia in senso a lui favorevole, ma deve dimostrare l'erroneità della pronuncia in questione oppure produrre nuovi documenti o altri mezzi di prova idonei a fornire la ragionevole certezza che il gravame, se proposto, sarebbe stato accolto.

Cass. civ. n. 12195/1998

Dopo il novantesimo giorno di gravidanza, la gestante può esercitare il diritto all'aborto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 7 comma terzo legge 22 maggio 1978 n. 194, solo in presenza di due condizioni positive e di una negativa, e cioè: a) sussista un processo patologico (fisico o psichico, anche indotto da accertate malformazioni del feto) in atto per la madre; b) sussista il pericolo (da accertare con valutazione ex ante) che tale processo patologico degeneri recando un danno grave alla salute della madre; c) non sussista possibilità di vita autonoma per il feto. Ne consegue che il medico, il quale per negligenza od imperizia ometta di avvertire la madre dell'esistenza di gravi malformazioni del feto, viola il diritto della madre all'aborto, così ponendo in essere una condotta illecita fonte di responsabilità, soltanto ove sussistano tutti e tre i requisiti sopra descritti. Ne consegue altresì che il giudice, chiamato ad accertare la responsabilità del medico, deve stabilire (con valutazione da compiersi ex ante, cioè con riferimento al momento in cui il medico omise la corretta informazione) se la conoscenza del reale stato delle cose avrebbe ingenerato nella madre un processo patologico fisico o psichico, con pericolo grave per la salute della donna.

Cass. civ. n. 1560/1998

L'art. 1176 c.c. non è norma invocabile per identificare il contenuto di un'obbligazione, determinato invece dalla fonte che la costituisce, bensì per individuare gli accorgimenti e i mezzi nell'adempimento di essa.

Cass. civ. n. 7618/1997

Le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato ma non a conseguirlo. Avuto riguardo, più in particolare all'attività professionale dell'avvocato, l'inadempimento del professionista non può essere desunto, senz'altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività professionale, ed in particolare, al dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall'art. 1176, secondo comma, c.c., il quale deve essere commisurato alla natura dell'attività esercitata, sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, cioè la diligenza posta nell'esercizio della propria attività, dal professionista di preparazione professionale e di attenzione medie. La responsabilità dell'avvocato, pertanto, può trovare fondamento in una gamma di atteggiamenti subiettivi, che vanno dalla semplice colpa lieve, al dolo, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità è attenuata, configurandosi, secondo l'espresso disposto dell'art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave. L'accertamento relativo al se la prestazione professionale in concreto eseguita implichi o meno la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, è rimesso al giudice di merito ed il relativo giudizio è incensurabile in sede di legittimità, sempre che sia sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto.

Cass. civ. n. 3046/1997

In tema di responsabilità professionale del medico il contenuto dell'obbligo di informazione gravante sul professionista chiamato ad un'operazione di chirurgia plastica, ha consistenza diversa a seconda che l'intervento miri al miglioramento estetico del paziente ovvero alla ricostituzione delle normali caratteristiche fisiche, negativamente alterate dallo stesso paziente mediante interventi consapevolmente praticati sulla propria persona, dei cui esiti egli intenda comunque liberarsi, ritenendoli non più accettabili. Infatti dal momento che mentre nel primo caso, a parte i possibili rischi del trattamento per la vita o l'incolumità personale, il professionista deve prospettare realisticamente le possibilità di ottenimento del risultato perseguito, nel secondo caso (in cui trattasi propriamente di chirurgia plastica cosiddetta ricostitutiva) ferma la necessaria informazione sui rischi anzidetti, egli assolve ai propri obblighi ove renda edotto il paziente di quegli eventuali esiti che potrebbero rendere vana l'operazione non comportando in sostanza un effettivo miglioramento rispetto alla situazione preesistente (Nella specie la sentenza di merito annullata per difetto di motivazione dalla S.C. aveva affermato la responsabilità di un medico per gli esiti cicatriziali conseguenti ad una operazione, correttamente eseguita sotto il profilo tecnico e non imprevedibili anche in tal caso di asportazione di numerosi tatuaggi, dal contenuto osceno e ripugnante, che il paziente aveva deciso di far rimuovere dato l'insopportabile disagio psicologico derivantegli dalla loro presenza una volta abbandonato lo stile di vita del periodo al quale essi risalivano).

Cass. civ. n. 2661/1997

In tema di esercizio della professione forense, l'asserita mora del cliente nel corrispondere il compenso può giustificare il recesso del professionista dal rapporto di prestazione d'opera recesso che deve comunque avvenire senza pregiudizio del cliente stesso, ai sensi dell'art. 2237 c.c. ma non giustifica in alcun modo lo svolgimento della prestazione senza la dovuta diligenza (art. 2236).

Cass. civ. n. 5617/1996

L'obbligazione assunta dal difensore nei confronti del cliente è una obbligazione di mezzi o di comportamento e non di risultato, sicché l'inadempimento del professionista è costituito dalla violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività professionale e presuppone la violazione del dovere di quella diligenza media esigibile ai sensi del secondo comma dell'art. 1176 c.c., mentre ricorre l'ipotesi di responsabilità ex art. 2236 c.c. solo nel caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Pertanto, al di fuori di quest'ultimo caso, la responsabilità del professionista va configurata ove questi non abbia svolto l'attività inerente al mandato o l'abbia svolta parzialmente, ovvero anche per non avere informato il cliente della impossibilità di espletarla.

Cass. civ. n. 2699/1994

L'obbligo di procedere al preventivo accertamento della libertà del bene con le visure ipotecarie e catastali sussiste unicamente quando al notaio venga conferito l'incarico di preparare e redigere un atto pubblico di vendita, cioè nei casi, in cui egli dirige personalmente la compilazione integrale dell'atto previa indagine della volontà delle parti in modo da tradurre la volontà stessa in uno strumento negoziale idoneo a conseguire i risultati voluti, e non anche quando salvo che al notaio sia stato conferito quello specifico incarico egli si limiti all'autentica delle firme delle parti contraenti poste in calce ad una scrittura privata, già predisposta dagli stessi contraenti.

Cass. civ. n. 6/1994

L'inadempimento dell'obbligazione assunta dal notaio rogante di verifica delle iscrizioni ipotecarie relative all'immobile compravenduto, garantito come libero dal venditore e risultato poi gravato da ipoteca e sottoposto a procedura esecutiva, comporta l'obbligo per il notaio del risarcimento del danno, che può essere disposto anche in forma specifica, mediante la condanna alla cancellazione del vincolo taciuto, con il pagamento della somma necessaria a tal fine e il compimento delle relative formalità. Per contro, per il caso che l'immobile non venga espropriato in danno dell'acquirente, il mancato guadagno derivante a questo ultimo dall'impossibilità di realizzarne la vendita per la presenza del vincolo ipotecario, non giustifica di regola un risarcimento integrativo, non assumendo la mancata vendita carattere di definitività, sì da determinare un corrispondente, definitivo depauperamento del patrimonio nel suo concreto valore, salvo il concorso di particolari fattori, quali ad es. il mancato impiego del numerario in attività vantaggiose, l'impossibilità di realizzare in futuro lo stesso prezzo per il quale si è ricevuta offerta per effetto del mutamento di valori immobiliari etc., dei quali incombe al danneggiato l'onere della prova.

Cass. civ. n. 8799/1993

Nel caso in cui viene meno la fiducia alla quale è ispirato il rapporto di opera professionale tra cliente e professionista, a causa dell'imperfetto adempimento della prestazione del professionista, il cliente non è obbligato ad accettare dal professionista l'offerta di altra prestazione in sostituzione di quella difettosa, ma può senz'altro chiedere la risoluzione del rapporto e rivolgersi, così, ad altro professionista.

Cass. civ. n. 5325/1993

Il difensore che, per una diligente prestazione della propria opera intellettuale, ha l'obbligo di svolgere tempestivamente l'attività nell'ambito del processo, ove cessi dal proprio incarico, per rinuncia o revoca della procura, anteriormente alla scadenza del termine ultimo per il compimento di quell'attività, ha il dovere di evitare pregiudizio al cliente ed è quindi tenuto a compiere l'atto o a rappresentare alla parte che gli revochi la procura la necessità del compimento dell'atto non ancora posto in essere, assumendo, in mancanza, la responsabilità dei danni conseguenti anche quando, essendo stato sostituito da altro difensore, il danno avrebbe potuto essere da questo evitato con il compimento, ancora consentito dallo stato del processo, dell'attività processuale omessa dal primo difensore, dovendosi negare che la negligenza del successivo difensore sia causa sufficiente ed unica del danno e sia perciò idonea ad interrompere il nesso che lega alla causa antecedente tale danno, ove questo sia ricollegabile alla negligenza del primo difensore.

Cass. civ. n. 11652/1990

Ai sensi degli artt. 1176 e 1218 c.c., nelle obbligazioni di mezzi, quando la prestazione del debitore non è mancata, grava sul creditore l'onere di allegare (e provare), mediante eccezione in senso proprio soggetta alla preclusione di cui all'art. 416 c.p.c. e non proponibile per la prima volta in appello, la condotta colposa del debitore per violazione dell'obbligo di diligenza, con la specificazione di quei profili d'inadeguatezza della prestazione resa, in cui si concreta il fatto dell'inadempimento, salva per il debitore la possibilità di fornire la prova della non imputabilità della violazione predetta.

Cass. civ. n. 8218/1990

La responsabilità del prestatore di opera intellettuale è normalmente regolata dall'art. 1176 c.c., che fa obbligo al professionista di usare, nell'adempimento delle obbligazioni inerenti la sua attività professionale, la diligenza del buon padre di famiglia, con la conseguenza che egli risponde anche per colpa lieve; nella sola ipotesi che la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà la norma dell'art. 2236 c.c. prevede una attenuazione della normale responsabilità, nel senso che il professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per dolo o colpa grave; la prova dell'esistenza di tale presupposto, che comporta deroga alle norme generali sulla responsabilità per colpa, incombe al professionista.

Cass. civ. n. 1561/1973

L'art. 1176 c.c. non impone al contraente un ulteriore e non qualificato dovere di diligenza, ma, con riferimento alla figura media del buon padre di famiglia, offre all'interprete un criterio generale per valutare la condotta dell'obbligato nell'adempiere o nel non adempiere le obbligazioni da lui assunte.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1176 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. P. chiede
mercoledì 03/07/2024
“Mio padre aveva un fondo pensione e non aveva designato beneficiari. Purtroppo il 29 aprile 2024 è deceduto all' improvviso senza soffrire di alcuna patologia aveva 58 anni ed io vivevo con lui.Siamo venuti a conoscenza che 15 giorni prima del suo decesso aveva designato tramite app la sua compagna non coinvivente. Mi chiedo se è impugnabile tale designazione visto che può averla fatta chiunque avesse in uso il telefono cellulare di mio padre. Grazie”
Consulenza legale i 09/07/2024
L’art. 14 comma 3 del D.lgs. n. 252/2005 e l’art. 12 comma 3 dello schema di Statuto dei Fondi pensione dispongono esplicitamente che in caso di decesso dell’iscritto al fondo pensionistico durante la fase di accumulo, l’intera posizione maturata è riscattabile dai seguenti soggetti:
  1. i beneficiari designati dall’iscritto (persone fisiche o giuridiche), i quali prevalgono sugli eredi, ferma restando la facoltà di designare quali beneficiari anche soggetti aventi la qualifica di eredi;
  2. in assenza di soggetti designati, dagli eredi legittimi o testamentari.

Per ciò che concerne la designazione dei beneficiari, in genere è l’istituto di credito depositario del fondo a stabilirne regole e modalità, richiedendo, qualora si abbia possibilità di avvalersi dei servizi di home banking, di accedere all’area riservata del sito internet di riferimento e caricare i dati nell’apposita sezione “Soggetti designati”.
Trattasi di operazione che, al giorno d’oggi, può in tutta comodità essere effettuata dal PC di casa o ancora più semplicemente da smartphone, avvalendosi dei particolari e ormai abbastanza sicuri metodi di autenticazione adottatti dai diversi istituti di credito, quale può essere il codice OTP per la sottoscrizione digitale ovvero i sistemi di autenticazione mediante impronta digitale, face ID o credenziali di accesso riservate.

Nel caso di specie il soggetto iscritto al fondo si è avvalso del c.d. codice OTP (one time password), uno dei metodi più diffusi nei processi di registrazione e autenticazione che, attraverso l’utilizzo di una password usa e getta, garantisce elevati standard di sicurezza e risolve i problemi legati all’utilizzo della tradizionale password.
Un codice OTP, infatti, a differenza di una password statica, non è vulnerabile ai replay-attack (attacchi con replica), ossia quelle azioni compiute da singoli individui o organizzazione ai danni di sistemi informatici, infrastrutture, reti di calcolatori e/o dispositivi elettronici allo scopo di impossessarsi di una credenziale di autenticazione, comunicata da un host ad un altro, per utilizzarla successivamente simulando l’identità dell’utente.
Ciò significa che se un potenziale intruso riesce ad intercettare una password usa e getta (già utilizzata per accedere a un servizio o per eseguire una transazione) non potrà riutilizzarla perché la stessa non sarà più valida.
A ciò si aggiunga che il codice OTP molto spesso viene utilizzato come fattore di autenticazione associato ad altri elementi (ad esempio: password dell’utente o PIN della carta di credito), in caso di autenticazione a due fattori, conosciuta anche con il nome di Two Factor Authentication (2FA), un protocollo di sicurezza che si basa sull’utilizzo congiunto di due metodi di autenticazione al fine di prevenire la violazione dei dati sensibili.

Ebbene, trattandosi di un sistema più che collaudato e con un elevato grado di sicurezza, la cui utilizzazione nel caso di specie risulta riconducibile al soggetto che ne era l’effettivo titolare, in stato di piena capacità di intendere e di volere, risulta difficile poter contestare la paternità dell’operazione, posta in essere secondo uno schema negoziale in relazione al quale il sottoscrittore del fondo aveva prestato il suo consenso al momento della stipula del contratto.

Né si può pensare di addebitare all’istituto di credito la non riconducibilità alla volontà del cliente dell’operazione effettuata con strumenti elettronici, per non aver impiegato la diligenza dell’ ”accorto banchiere” (art. 1176 comma 2 c.c.).
In tal senso può qui richiamarsi l’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. VI, n. 9158 del 12.04.2018, nella quale la S.C. afferma che, seppure l’eventuale uso dei codici di accesso al sistema da parte dei terzi debba farsi rientrare nel rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento (prevedibile ed evitabile con appropriate misure tecniche, volte a verificare la riferibilità delle operazioni suddette alla volontà del correntista), la banca non può essere chiamata a rispondere del danno patito dal cliente allorché sia in grado di dimostrare che il fatto sia attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo.

In altre parole, la giurisprudenza (cfr. Corte Cass. 3 febbraio 2017 n. 2950.) ritiene che “la sottrazione dei codici del correntista, attraverso tecniche fraudolente, rientra nell'area del rischio di impresa, destinato ad essere fronteggiato attraverso l'adozione di misure che consentano di verificare, prima di dare corso all'operazione, se essa sia effettivamente attribuibile al cliente”.
Una delle modalità di sicurezza più diffuse nei servizi di home banking consiste proprio nella doppia autenticazione e nella conferma dell’operazione con un pin inviato tramite sms al titolare del conto (a tal proposito si parla di One Time Password),
Se poi tale codice OTP dovesse essere, all’insaputa del cliente, utilizzato da un suo familiare o da persona della casa, a quel punto nessuna responsabilità può addebitarsi all’impresa gestore del servizio, potendosi soltanto configurare un incauto comportamento dello stesso titolare nel lasciare a disposizione di chiunque il dispositivo utilizzato per operazioni così delicate.


S. D. chiede
venerdì 24/11/2023
“Nel 2005 ho presentato DIAE per il rifacimento delle coperture di due capannoni industriali.
Le coperture originali erano in cemento amianto.
E' stata incaricata del lavori di bonifica con rimozione e rifacimento del manto di copertura una ditta iscritta all’ Albo Nazionale dei Gestori dei rifiuti per le imprese che ha presentato il PIANO DI LAVORO allo SPISAL, con indicato il proprio responsabile di cantiere (la normativa attuale prevede sia un tecnico abilitato con corso specifico ed esame finale)
I lavori si sono svolti regolarmente ed il materiale è stato smaltito secondo legge.
Il piano di lavoro prevedeva che le attività fossero svolte con linee vita e passerelle in copertura, ed accesso mediante colonna di risalita; inoltre l'area di lavoro e stoccaggio era interdetta a tutto le persone che non facessero parte dell'organico della ditta esecutrice;
Su richiesta del committente ho seguito l'andamento del cantiere in quanto l'attività di bonifica era contemporanea allo svolgimento di quella produttiva, e di conseguenza andava riorganizzata in funzione delle attività di cantiere ed operando quindi come D.L.
A fine 2022 nella demolizione di uno due capannoni sono stati rinvenuti frammenti di cemento amianto. La ditta di allora contattata dal Committente non ha ritenuto di intervenire, ed è stata avviata una causa per vizi occulti contro la ditta, e lo scrivente professionista in quanto D.L. responsabile solidale, con l'accusa di non aver sorvegliato e fornito indicazioni adeguate.
E' lecito ritenere che non fossi implicato nella bonifica non avendo autorizzazione ad assistere alla stessa visto il P.L. e nell'impossibilità fisica di accedere e visionare le aree di copertura date le modalità operative adottate dalla ditta? Vi sono prescrizioni per il vizio lamentato essendo trscorsi 18 anni dalla consegna ed accettazione delle opere?”
Consulenza legale i 19/12/2023
In linea generale, l’obbligazione del Direttore dei Lavori è un’obbligazione di mezzi e si esplica nel controllo e nella vigilanza sullo svolgimento dei lavori in conformità al progetto, sulle modalità di esecuzione che rispettino le regole tecniche e che garantiscano la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi.
Questo principio è stato ribadito anche dalla Cassazione in una recente pronuncia (Cass. civ. n. 14456/2023) che ha anche affermato come il ruolo del D.L. si esplichi anche nell’obbligo di visite periodiche e contatti diretti con l’impresa al fine di verificare che siano state osservate le regole dell’arte.
Nel caso di specie, il Direttore dei Lavori afferma di non aver potuto entrare in cantiere perché il Piano di Lavoro non prevedeva che potesse entrarci nessuno oltre agli addetti dell’impresa incaricata di svolgere le opere di bonifica e rimozione dell’amianto.

Non è presente giurisprudenza specifica sul punto ma si ritiene che si possa predisporre una difesa per il professionista affidandosi ai principi generali.
Infatti, sempre facendo riferimento alla sentenza della Corte Suprema suindicata che richiama numerosi precedenti conformi, la diligenza che deve avere il professionista ai sensi dell’art. 1176 c. 2 c.c. deve essere in concreto.
Il che significa che se da una parte l’incaricato avrebbe dovuto ispezionare il cantiere fisicamente per verificare che le opere venissero svolte nel modo corretto, dall’altra la specificità dei lavori non avrebbe potuto consentirgli di visionare passo passo l’esecuzione degli stessi.
Infatti la rimozione dell’amianto è un’attività che deve essere eseguita da operai altamente specializzati che rispettino delle rigide disposizioni per la sicurezza propria e degli altri.
È comprensibile, quindi, che il Direttore dei Lavori non potesse fare visite frequenti in cantiere, oltre al fatto che non era previsto dal Piano di Lavoro.
L’art. 2236 del c.c. stabilisce che in caso di prestazione che implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore risponde solo per dolo ocolpa grave.
Nel caso in esame il professionista dovrebbe dimostrare, per i motivi suddetti, che non c’è stata colpa grave nell’esecuzione della propria attività professionale.

Per quanto riguarda invece la prescrizione del diritto e la decadenza dell’azione per il committente, si ritiene che la responsabilità del D.L., derivando da un rapporto di natura contrattuale per una prestazione d’opera intellettuale ai sensi dell’art. 2229 del c.c., sia soggetto alla prescrizione ordinaria di dieci anni.
In questo senso si è espressa la giurisprudenza di merito (Tr. Novara n. 380/2022) basandosi sulle pronunce della Cassazione n. 12879/2011 e n. 15781/2005.
Il regime di prescrizione e decadenza, quindi, sarebbe diverso rispetto a quello dell’appaltatore soggetto all’art. 1667 del c.c..

Il termine per la prescrizione inizia a decorrere dall’esecuzione della prestazione ovvero dal giorno della cessazione del rapporto contrattuale.

In conclusione, quindi, si ritiene che la questione possa risolversi per l’ex Direttore dei lavori facendo valere l’avvenuta prescrizione del diritto da parte del committente essendo trascorsi, si suppone, più di 10 anni dall’esecuzione della propria prestazione.

S. S. chiede
martedì 16/05/2023
“Buona sera.
Ho perso una causa perchè il mio difensore non avrebbe ridepositato ( o come sembra neanche depositato in seguito all'atto di citazione la documentazione citata) il fascicolo di causa dopo averlo preso.
Il mio difensore stranamente non ha voluto ricorrere in appello, ma ha scritto al giudice che ha emesso la sentenza dicendo di aver regolarmente depositato in cancelleria il fascicolo dopo averlo preso. In riscontro, il funzionario assistente del giudice ha scritto al mio avvocato che il fascicolo non è stato riconsegnato, e comunque neanche ricerche in cancelleria hanno reperito i fascicolo, che il mio avvocato giura di averlo consegnato.
Domando se posso chiedere i danni al mio avvocato, che suppongo sia assicurato.
Allego la motivazione della sentenza.

“Orbene nell’esaminare la domanda attorea deve rilevarsi che parte attrice non ha depositato il proprio fascicolo di parte.
Al riguardo deve rilevarsi che costituiscono specifico onere gravante sulle parti- ai sensi degli artt. 72 e 74 disp. Att.c.p.c.- depositare in giudizio il proprio fascicolo con gli atti e i documenti di causa che ritiene debbano essere valutati a supporto della propria domanda.
Inoltre, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, in fase di decisione, risulterebbe precluso al giudice rimettere la causa sul ruolo per concedere il deposito del fascicolo di parte qualora sia mancante (Cass. civ. sez. 1, 24.1.86, n. 459; cfr anche Cass. civ., sez.II, 28.1.87 n. 791).
Ciò discende dal principio della disponibilità delle prove- di cui all’art. 115 c.p.c.- per cui si è detto che l’atteggiamento della parte che omette il deposito della documentazione, precedentemente ritirata, paleserebbe esclusivamente la scelta strategica di non servirsi più di essi ai fini della difesa.
Il codice di rito, inoltre, non prevede alcuna norma che autorizzerebbe e o comunque legittimamente il Giudice ad obbligare una parte a ridepositare la documentazione prodotta in precedenza e poi ritirata.
Preso atto di ciò, ritiene il giudicante, che nel caso di specie, la domanda attorea, poiché priva del necessario riscontro documentale, come detto solo richiamato in atto di citazione ma non depositato, risulti non provata e di conseguenza non possa trovare accoglimento”.

Trattasi di una cuasa di 30.000 €. e condanna alle spese pure di oltre 7.000,00=

Distinti saluti”
Consulenza legale i 22/05/2023
La responsabilità professionale dell’avvocato si fonda sul contratto che lo lega al cliente e gli impone di prestare in favore di quest’ultimo una determinata prestazione professionale; essa trova la sua fonte negli artt. 1176, 1218 e 2236 del c.c..

Quella dell’avvocato è un’obbligazione di mezzi e non di risultato, pertanto una sua eventuale responsabilità professionale presuppone la violazione del dovere di diligenza di cui all’art. 1176 del c.c., da commisurare alla natura dell’attività esercitata (Cass. 1.10.2018 n. 23740); si tratta della diligenza media del professionista, che viene violata allorquando questi "tenga una condotta diversa da quella che, nelle medesime circostanze, avrebbe tenuto il c.d. homo eiusdem generis et condicionis, vale a dire il professionista "medio". Il professionista "medio", ossia la figura ideale che costituisce il parametro di valutazione della condotta che si assume colposa, non corrisponde ad un professionista "mediocre", ma ad un professionista "bravo", ovvero sufficientemente preparato, zelante e solerte" (ex multis, Cass. 13777/2018; Cass. 24213/2015, Cass. 10289/2015).

Ai sensi dell’art. 1218 del c.c., se il debitore (nel caso di specie l’avvocato) non esegue esattamente la prestazione dovuta, allora è tenuto al risarcimento del danno, salvo che non provi che l'inadempimento o il ritardo sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

L’art. 2236 del c.c. esclude la responsabilità per colpa lieve nelle circostanze in cui la prestazione da svolgersi implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, limitando l’addebito di responsabilità soltanto nei casi di dolo e colpa grave.

Si deve segnalare, tuttavia, che il professionista non può garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente, pertanto il danno derivante da eventuali omissioni è ravvisabile solo se, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito (Cass. Civ., 27 marzo 2006, n. 6967; Cass. Civ., 14 ottobre 2019, n. 25778).
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la responsabilità dell’avvocato, non insorge automaticamente quale conseguenza di qualsivoglia inadempimento del professionista, ma sussiste solo nel caso in cui l’inadempienza dello stesso sia causalmente rilevante sull’esito della controversia (da ultimo, Cass. Civ., 16 maggio 2017, n. 12038; Cass. Civ., 15 dicembre 2016, n. 25894; Cass. Civ., 13 novembre 2015, n. 23209).

In relazione alla specifica circostanza inerente ai mezzi istruttori, dedotta nel quesito, la mancata o carente deduzione dei suddetti non determina la responsabilità professionale dell’avvocato qualora non venga provato che la regolare e tempestiva deduzione del mezzo istruttorio avrebbe potuto incidere positivamente, secondo il criterio del “più probabile che non” sull’esito della controversia; la prova del nesso di causalità non deve essere raggiunta in termini di certezza e neppure di alta probabilità, ma è sufficiente che l’esito favorevole della controversia, nell’ipotesi di condotta adempiente dell’avvocato, risulti “più probabile che non”, essendo necessario ai fini di una condanna al risarcimento del danno un pregiudizio concreto arrecato al cliente (Cass. Civ., 18 luglio 2016, n. 14644).

Nel caso di specie, sulla scorta delle informazioni fornite può affermarsi sussistente una responsabilità professionale dell’avvocato, che ha omesso un’attività della quale era onerato (quella della produzione dei mezzi istruttori).

Per quanto concerne il danno da ciò derivante, è necessario valutare se, in base a criteri probabilistici, senza l’omissione l’esito del giudizio sarebbe stato favorevole; valutazione da compiere mediante un’analisi approfondita degli atti di causa e dei relativi mezzi istruttori.

B. C. chiede
mercoledì 22/03/2023 - Lazio
“Ci è stato concesso un mutuo fondiario per il quale si è dato in garanzia un immobile gravato da uso civico e sul quale è stata iscritta ipoteca. All'atto della stipula il notaio non ha rilevato l'esistenza degli usi civici pur avendo preso visione del certificato di destinazione urbanistica. Si richiede se possiamo rivalerci sul notaio o sulla banca che non ha voluto, poi, rinegoziare il mutuo.”
Consulenza legale i 28/03/2023
Prima di procedere alla stipula di un contratto di mutuo ed alla contestuale iscrizione ipotecaria, il notaio ha l’obbligo di accertare che l’immobile sul quale deve essere iscritta l’ipoteca a garanzia del mutuo sia libero da iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli, nonché da pesi o vincoli (inclusi eventuali usi civici) valevoli a compromettere la garanzia ipotecaria stessa.
Egli, infatti, è tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale utilizzando la diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, del c.c., nel cui alveo rientra senza dubbio anche l’indagine sull’eventuale esistenza degli usi civici sull’immobile in discussione.

Si rileva sul punto una giurisprudenza costante; ci limitiamo a citare una recente sentenza della Suprema Corte, la quale ha statuito che “Il notaio incaricato della stipula di un contratto avente ad oggetto diritti reali su beni immobili non può limitarsi ad accertare la volontà delle parti e a sovrintendere alla compilazione dell'atto, essendo tenuto a compiere l'attività necessaria ad assicurare la serietà e certezza dei relativi effetti tipici, e il risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti stesse, dal momento che contenuto essenziale della sua prestazione professionale è l'obbligo di informazione e consiglio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato la responsabilità professionale di un notaio il quale, in sede di stipulazione di un contratto di mutuo ipotecario, aveva omesso di accertare che l'immobile ipotecato era incommerciabile, in quanto gravato da usi civici non affrancati).” (Cass. Civ., sez. III, 15 febbraio 2022, n. 4911)

La circostanza, tuttavia, compromette in misura maggiore la posizione dell’istituto bancario, il quale si vede così svilita la garanzia ipotecaria pretesa per la concessione del mutuo, posto che gli immobili gravati da usi civici sono, in linea di massima, impignorabili.

Al contempo, se l’errore commesso dal notaio ha arrecato un danno altresì al mutuatario (che in ogni caso dal quesito non emergono), anche egli potrà agire per il risarcimento dei danni subiti.

Dalle informazioni fornite, invece, non si rilevano ragioni per agire nei confronti dell’istituto bancario, la quale non è obbligato a rinegoziare il mutuo concesso, né, tantomeno, ad accordare la cancellazione dell’ipoteca, ancora iscritta a garanzia (inservibile) del mutuo stesso.
L’unica via per la cancellazione dell’ipoteca è il pagamento integrale del mutuo da essa garantito o un accordo con l’istituto bancario a tal fine indirizzato.

DR. M. S. chiede
venerdì 11/03/2022 - Lombardia
“buongiorno,

Quale coerede in una successione ho avuto modo di verificare l’operato del commercialista che seguiva fiscalmente la de_cujus occupandosi delle sue denunce dei redditi, Imu, Tari e tutte le incombenze relative.

Da un mio controllo è emerso che il commercialista ha sbagliato ripetutamente i versamenti IMU facendo pagare all’ignaro Cliente circa 30.000 Euro di imposte in più nell’arco degli ultimi dieci anni.

Abbiamo immediatamente allertato il Comune interessato che ha riconosciuto il maggior versamento e predisposto, nei limiti della legislazione vigente, un rimborso per soli 5 anni precedenti ( dal 2020 al 2016 ).
L’errore del commercialista è stato reiterato anche per gli anni dal 2015 al 2010 per un importo di Euro 18.000 circa versati in più.

Dato che la legge prevede di risalire alle verifiche sino a 10 anni dal decesso della de_cujus ( avvenuto il 31.10.2020 ), ho scritto al commercialista una mail nella quale lo invitavo al rimborso delle somme fatte versare in più, per errore palese e provato, o in proprio o ricorrendo a denunciare l’errore stesso alla Compagnia di Assicurazione alla quale, mi consta, ogni commercialista debba essere iscritto per legge.

Per tutta risposta il commercialista precisò di non ritenersi responsabile in quanto aveva continuato l’iter consulenziale con i dati rilevati dal collega precedente ( !? ).

Circa un mese fa, dopo aver ricevuto il rimborso parziale dal Comune interessato, ho inviato una PEC al Commercialista invitandolo formalmente a chiudere in bonomia il tutto versando la somma di quanto versato erroneamente in più per gli anni 2011 - 2015 ( il 2010 è irricuperabile in quanto eccedente i 10 anni dalla morte della de_cujus ) per un importo di Euro 15.000,00 ( ovviamente poi da dividere con gli altri coeredi ).
Ad oggi nessuna risposta alla mia PEC.

Chiedo se ci sono i termini per adire la via giudiziaria eventualmente citando come corresponsabile in solido anche la persona che ha materialmente curato gli interessi in vita della de_cujus senza effettuare un seppur minimo banale controllo quale una semplice telefonata al comune interessato ( come ho fatto io ).

Grazie in anticipo.”
Consulenza legale i 17/03/2022
Il quesito posto ipotizza la sussistenza di una responsabilità professionale del commercialista nello svolgimento delle proprie prestazioni.

In tema di responsabilità del commercialista, il cliente ha l’onere di dimostrare la sussistenza del mandato professionale, del danno patito e che questo sia riconducibile al negligente comportamento del professionista (Cass. Civ., Sez. III, n. 9917/2010, in base alla quale la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente).
Al contempo, è onere del professionista convenuto in giudizio dimostrare di avere adempiuto alle prestazioni oggetto del contratto, ovvero che l’inadempimento non è dipeso da propria colpa (Cass. Civ., Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533).

Il dovere di diligenza richiesto al professionista è ricostruito in relazione all’art. 1176 del c.c., comma 2, (Cass. Civ., Sez. III, n. 13007/2016) e pertanto in tema di responsabilità professionale, il dottore commercialista incaricato di una consulenza ha l’obbligo, ai sensi della norma citata, non solo di fornire tutte le informazioni che siano di utilità per il cliente e che rientrino nell’ambito della sua competenza, ma anche, tenuto conto della portata dell’incarico conferito, di individuare le questioni che esulino dalla stessa, informando il cliente dei limiti della propria competenza e fornendogli gli elementi necessari per assumere le proprie autonome determinazioni, eventualmente rivolgendosi ad altro professionista indicato come competente (Tribunale di Milano, sez. I, 20 febbraio 2020, n. 1645/2020).
Vieppiù, rientra tra i doveri di diligenza del professionista quello di acquisire i dati necessari per adempiere all’obbligazione e consentire al cliente, ove possibile, di raggiungere il risultato auspicato, “eseguendo personalmente le verifiche necessarie anche a riscontrare informazioni eventualmente ricevute dal cliente, soggetto evidentemente privo delle necessarie competenze tecniche” (Tribunale di Milano, sez. I, n. 4108/2018).

Ciò posto, il professionista è tenuto ad espletare il proprio mandato in conformità al parametro di diligenza fissato dall’art. 1176 del c.c., comma 2, che è quello del professionista di media attenzione e preparazione, qualificato dalla perizia e dall’impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di prestazione dovuta, salva l’applicazione dell’art. 2236 del c.c. nel caso di prestazioni implicanti la risoluzione di problematiche tecniche di particolare difficoltà (Tribunale di Milano, sez. I, n. 11515/2016).

È poi principio acquisito che il professionista debba considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente ai sensi dell'art. 2236 del c.c. e dell'art. 1176 del c.c. in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge e, in genere, nei casi in cui, per negligenza, imprudenza o imperizia, comprometta la posizione del proprio assistito nei confronti dell’Erario (Tribunale di Milano, sez. I, n. 4976/2016).

Accertata la negligenza professionale del commercialista, il medesimo dovrà essere tenuto a risarcire il danno subito dal cliente.
Per principio ormai costante nella giurisprudenza di merito, in caso di inadempimento del professionista a cui il contribuente attribuisca il compito di curare gli adempimenti fiscali, il danno risarcibile è rappresentato di norma “dai maggiori oneri che il contribuente è costretto a sostenere nei confronti dell’erario per effetto dell’errore commesso dal tributarista” (Tribunale di Milano, sez. I, n. 9051/2019; nello stesso senso: Tribunale di Milano, sez. I, 03 novembre 2020, n. 6867/2020; Tribunale di Milano, sez. I, n. 2484/2020).

In base alle informazioni fornite, considerate la normativa e la giurisprudenza citate, può ragionevolmente affermarsi che il commercialista che ha eseguito la prestazione professionale debba essere ritenuto responsabile per i maggiori versamenti effettuati e non più recuperabili mediante rimborso da parte del Comune.
La circostanza per la quale il commercialista si riterrebbe esente da responsabilità per aver proseguito l’iter già intrapreso dal collega precedentemente incaricato è sostanzialmente irrilevante; si rammenti, infatti, che il professionista è tenuto ad acquisire i dati necessari per adempiere all’obbligazione, eseguendo personalmente le verifiche necessarie anche a riscontrare informazioni eventualmente ricevute dal cliente, pertanto anche dal precedente consulente.

Il diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale si estingue per decorso del periodo di prescrizione di 10 anni, così come stabilito in via generale dall’art. 2946 del c.c..

Tanto premesso, si potrà agire per il risarcimento del danno da responsabilità professionale per danni prodotti fino a 10 anni indietro da oggi, ovvero dall’ultimo atto interruttivo della prescrizione, il quale potrebbe coincidere con la prima richiesta di rimborso da Lei inviata al commercialista.
A tal fine si consiglia di rivolgersi ad un legale, il quale potrà visionare le comunicazioni da Lei inviate e tutta la documentazione attestante il danno; in seguito potrà inviare una diffida al professionista chiedendo il risarcimento del danno subito.
In assenza di riscontro positivo, si potrà intraprendere la via giudiziale.


Rosalba A. chiede
venerdì 12/03/2021 - Piemonte
“Buongiorno, il mio quesito è il seguente:

- in un atto notarile ove il titolare dello studio notarile è coniuge del legale dell'acquirente l'immobile con il quale il venditore ha anche una causa legale per altri motivi; visionata la bozza e giudicata dal venditore ricca di clausole vessatorie e difforme da quanto pattuito nel contratto di compravendita iniziale, si può ravvisare un conflitto di interessi tra queste persone? È possibile fare un esposto sia al consiglio notarile sia all'ordine degli avvocati per questo comportamento?

In attesa di risposta, porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 16/03/2021
I principi di deontologia professionale dei notai (deliberazione del Consiglio Nazionale del Notariato n. 2/56 del 5 aprile 2008) elencano una serie di disposizioni a tutela della posizione di imparzialità del notaio.
In particolare, il primo articolo dispone: “il notaio deve conformare la propria condotta professionale ai principi della indipendenza e della imparzialità evitando ogni influenza di carattere personale sul suo operare ed ogni interferenza tra professione ed affari. Ugualmente egli deve nella vita privata evitare situazioni che possano pregiudicare il rispetto dei suddetti principi.”
L’art. 41 del medesimo codice deontologico prevede altresì che “ nella esecuzione della prestazione il notaio deve tenere un comportamento imparziale, mantenendosi in posizione di equidistanza rispetto ai diversi interessi delle parti e ricercandone una regolamentazione equilibrata e non equivoca, che persegua la finalità della comune sicurezza delle parti stesse.“
A questi principi deontologici, si aggiunge quanto previsto dall’art. 28 della Legge Notarile (L.89/1913 e successive modifiche) secondo cui il notaio non può ricevere o autenticare atti “se v'intervengano come parti la sua moglie, i suoi parenti od affini in linea retta, in qualunque grado, ed in linea collaterale, fino al terzo grado inclusivamente, ancorché v'intervengano come procuratori, tutori od amministratori; se contengano disposizioni che interessino lui stesso, la moglie sua, o alcuno de' suoi parenti od affini nei gradi anzidetti”.
La sanzione per il mancato rispetto di tale obbligo di astensione va da sanzioni pecuniarie alla sospensione fino alla destituzione dell’incarico.

La Corte di Cassazione con la sentenza n.26369/2016, in merito all’art. 147 della legge notarile aveva evidenziato altresì che tale norma “punisce il notaio che "compromette, in qualunque modo, con la propria condotta, nella vita pubblica o privata, la sua dignità e reputazione o il decoro e prestigio della classe notarile". Essa configura come illecito condotte che, seppur non tipizzate, siano comunque idonee a ledere la dignità e la reputazione del notaio, nonché il decoro ed il prestigio della classe notarile, la cui individuazione in concreto è rimessa agli organi di disciplina (Sez. 2, Sentenza n. 17266 del 28/08/2015 Rv. 636221). Si tratta di fattispecie disciplinare a condotta libera, all'interno della quale è punibile ogni comportamento, posto in essere sia nella vita pubblica che nella vita privata, idoneo a compromettere l'interesse tutelato, il che si verifica ogni qual volta si ponga in essere una violazione dei principi di deontologia enucleabili dal comune sentire in un determinato momento storico”.

Ciò premesso, nella presente vicenda leggiamo che il notaio sarebbe coniuge del legale di una delle parti contrattuali. La norma della legge notarile sopra citata fa riferimento anche ai procuratori delle parti.
Tuttavia, nel quesito non è specificato se il legale intervenga come procuratore alla stipula del contratto. Se così non fosse ma si trattasse di un mero consulente legale della parte acquirente, non ravvisiamo una situazione di obbligo di astensione da parte del notaio (semmai di opportunità di astensione).
Leggiamo inoltre che sarebbero state introdotte svariate cause vessatorie in danno del venditore e difformi rispetto al testo iniziale del contratto di compravendita. Tale circostanza potrebbe forse essere in contrasto con quanto previsto dall’art. 41 del codice deontologico sopra richiamato, ma non abbiamo elementi a sufficienza per poter dire con certezza che sia stata effettivamente posta in essere una condotta imparziale da parte del notaio.
Alla luce di questi fatti rappresentati, per quanto riguarda la posizione di quest’ultimo riteniamo che sia preferibile prima chiedere un parere informale al consiglio notarile territorialmente competente anziché presentare direttamente un esposto dal momento che, come sopra evidenziato, non appaiono appunto esservi elementi tale da richiedere l’obbligo di astensione del notaio.
In ogni caso, laddove voglia essere presentato un esposto ci si dovrà limitare alla narrazione oggettiva dei fatti senza alcuna valutazione in merito onde evitare che il notaio possa sporgere una eventuale denuncia per diffamazione.

Con riguardo invece la posizione dell’avvocato, non ravvisiamo alcun elemento che faccia supporre una violazione del codice deontologico forense, considerato anche che l’avvocato non riveste una posizione di pubblico ufficiale come il notaio.

Alessia M. chiede
lunedì 08/03/2021 - Friuli-Venezia
“Buon pomeriggio.
Nel febbraio 2007 acquisto una casa singola con giardino.
Da atto notarile il giardino è in comproprietà indivisa con i miei due vicini e in uso esclusivo ognuno per la propria parte.
Subito dopo l'acquisto inizio per tramite di geometra, pratica edilizia per ampliamento dell'immobile sul giardino. Il comune, in virtù della comproprietà, chiede autorizzazione all'ampliamento ai miei due vicini, uno dei quali nega l'autorizzazione. Devo arrivare fino al Tar per ottenere la concessione edilizia, con conseguenti parcelle di geometra e avvocato molto alte.
Due mesi fa, per tramite di nuovo geometra, presento pratica di aggiornamento catastale e il catasto contesta che due tettoie condonate nel 1996 e costruite nel 1970 sul giardino classificato come bene, non sono rappresentate graficamente in maniera corretta.
Il nuovo geometra fa degli approfondimenti e scopre, oltre al fatto che il condono tombale delle due tettoie del 1996 è stato recepito dal catasto senza eccepire nulla a livello grafico, che nel 1967 era stato fatto un atto notarile di frazionamento del terreno, recepito dal catasto che però non ha mai aggiornato le mappe catastali.
Così tutti gli atti notarili a partire dal 1967 sono errati in quanto riportano un terreno in comproprietà, quando non lo è.
Chiedo se posso ottenere dal catasto che sistemi l'errore del terreno senza alcun onere economico in capo a me e ai miei due vicini (vorrei evitare atti notarili di rettifica e pratiche di frazionamento da far fare al geometra visto l'errore iniziale del catasto )
Chiedo anche se posso rivalermi sul vecchio geometra, che secondo me non ha agito con precisione e che, pur essendo stato pagato, non ha verificato in via preliminare i documenti correlati all'immobile.
Grazie”
Consulenza legale i 16/03/2021
Innanzitutto, va notato che i dati catastali in genere hanno una funzione prettamente fiscale e non sono decisivi per quanto riguarda l’aspetto della prova circa i diritti reali esistenti sugli immobili, assumendo a tal fine una mera funzione sussidiaria e di presunzione (Cassazione civile, sez. II, 06 settembre 2019, n. 22339).
Questo significa che gli eventuali errori contenuti nei dati catastali non rilevano ai fini della sussistenza e dell’accertamento della proprietà nei confronti dei soggetti che abbiano acquisito il relativo diritto secondo uno dei modi previsti dalla legge.
In breve, il proprietario che non sia indicato in catasto come tale, ma che possa vantare un valido titolo, non vede in alcun modo pregiudicato il proprio diritto a causa del mancato aggiornamento del catasto.
In tema di beni immobili, infatti, ciò che conta è soprattutto la trascrizione presso la Conservatoria dei registri immobiliari (e non al Catasto) dei vari atti di trasferimento della proprietà o di altri diritti reali.

Nel nostro caso, il quesito menziona un “atto notarile di frazionamento”, salvo poi specificare nella successiva integrazione che gli atti notarili del 67 riportano un frazionamento ai soli fini dell'uso esclusivo.
Ne consegue che è fondamentale anzitutto verificare presso i Registri Immobiliari se tale frazionamento configuri una vera e propria divisione del giardino in comproprietà attuata ai sensi dell’art. 1111 c.c., atto soggetto a trascrizione ex art. 2646 c.c., oppure un semplice frazionamento a fini catastali (che come scritto non ha effetti sul regime dei diritti di proprietà).
Solo nel primo caso, infatti, si avrebbe lo scioglimento della comunione e sarebbe possibile vantare la piena proprietà del giardino e non soltanto l’uso esclusivo.

Lo scrivente non è in possesso dei dati necessari a risolvere la questione, ma rileva che solitamente i Notai compiono verifiche approfondite presso i Registri Immobiliari prima di redigere gli atti di compravendita (in mancanza incorrono in responsabilità professionale), prestando particolare attenzione alla continuità delle trascrizioni di cui all’art. 2650 c.c.; invece, non è infrequente la presenza di errori e imprecisioni nelle risultanze catastali, che spesso non sono accurate o aggiornate.
Pertanto, se nella compravendita del 2007 il giardino è indicato quale proprietà indivisa, è molto probabile che tale dato sia corretto e che l’errore sia solo da attribuire al Catasto.
In caso contrario, la situazione sarebbe molto più complicata e costosa da risolvere, posto che andrebbe ad incidere sugli assetti proprietari e sulle trascrizioni degli atti di trasferimento di proprietà compiuti dal 1967 ad oggi, richiedendo il necessario intervento di un Notaio.
In ogni caso, non pare possibile chiedere che l’errore venga risolto dal Catasto gratuitamente, dato che il proprietario ha l'onere di curare la conformità catastale dell’immobile allo stato di fatto, sostenendo le relative spese.
A seconda del tipo di errore riscontrabile nel caso di specie (che come detto non può essere individuato con precisione sulla base delle sole informazioni fornite nel quesito), potrebbe essere in astratto configurabile una responsabilità professionale o del notaio che ha redatto la compravendita o del geometra precedentemente incaricato.



Nicola M. chiede
venerdì 09/08/2019 - Sicilia
“Illustrissimi.
Il 27-06-2016, io e altri due, abbiamo incaricato un avvocato amministrativista su un ricorso per l'impugnazione di una concessione edilizia rilasciata dal nostro Comune. Abbiamo pagato la parcella e tutte le spese che ci sono state richieste, con l'impegno che il saldo sarà concordato in funzione del risultato raggiunto.
Il 31-05-2019 abbiamo sollecitato il nostro avvocato con la PEC a chiedere convocazione dell'udienza di merito.
Il 24-06-2019 abbiamo ottenuto un incontro dove l'avvocato riteneva inopportuno presentare la richiesta per l'udienza di merito ma, se noi lo chiedevamo avrebbe proceduto la stessa sera.
Il 28-07-2019 ho inviato PEC comunicando che avevamo deciso di presentare la richiesta di convocazione dell'udienza di merito.
Il 30-07-2019 l'avvocato risponde con la PEC, dove ritiene che l'uso della PEC è inutilmente formale ed insinua che, nell'incontro precedente, non avevamo concordato che avremmo deciso noi quando presentare la richiesta per l'udienza. Inoltre ci accusa di una ''scelta di interfacciarvi direttamente con i difensori di controparte'' che neanche conosciamo.
Dato che abbiamo pagato tutto quanto ci ha chiesto e dopo tre anni non ha sollecitato la richiesta per l'udienza di merito, può rimettere il suo mandato senza concluderlo e senza restituire quanto ci ha fatto pagare? O ha fatto scadere i termini per presentare la richiesta? O si interfacciato lui con i difensori di controparte?
Eventuale istanza all'ordine degli avvocati cosa cambierebbe, quali effetti avrebbe?
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 20/08/2019
Ai sensi dell’art. 71 del Codice del processo amministrativo “la fissazione dell'udienza di discussione deve essere chiesta da una delle parti con apposita istanza, non revocabile, da presentare entro il termine massimo di un anno dal deposito del ricorso o dalla cancellazione della causa dal ruolo.”
Viste le date della presente vicenda (la mail di richiesta della parcella inviata dallo studio legale risale al giugno 2016) e con i soli scarni dati in nostro possesso possiamo dedurre che probabilmente il termine per la richiesta di fissazione udienza sia ormai scaduto.

Ad ogni modo, a prescindere da quanto precede (sia che il termine sia scaduto sia che non lo sia) occorre tenere presente che l’avvocato può rinunciare al mandato professionale in qualsiasi momento (anche senza averlo concluso) con gli unici limiti di cui all’art. 1176 del codice civile, art. 85 c.p.c. nonché dell’art. 32 del codice deontologico forense il quale, tra l’altro, stabilisce che: “l’avvocato ha la facoltà di recedere dal mandato, con le cautele necessarie per evitare pregiudizi alla parte assistita. In caso di rinuncia al mandato l’avvocato deve dare alla parte assistita un congruo preavviso e deve informarla di quanto necessario per non pregiudicarne la difesa”.

Quanto all’art. 1176 c.c., al secondo comma prevede che nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale (come quella forense) la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata. Sul punto, la Cassazione ha più volte statuito che “la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone". (Cass. 1984/2016).
Più recentemente, con l’ordinanza n. 16342 del 2018 la Suprema Corte ha sottolineato che “nell’ipotesi in cui un’azione giudiziale svolta nell’interesse del cliente non abbia potuto conseguire alcun risultato utile, anche a causa della negligenza o di omissioni del professionista, non è solo per questo ravvisabile un’automatica perdita del diritto al compenso da parte del professionista, ove non sia dimostrata la sussistenza di una condotta negligente causativa di un effettivo danno, corrispondente al mancato riconoscimento di una pretesa con tutta probabilità fondata”.

In merito poi alla responsabilità dell’avvocato che abbia fatto scadere dei termini processuali (come potrebbe forse essere il caso in esame) la Corte d’Appello di Roma con sentenza n.5454 del 2016 richiamando la costante giurisprudenza di legittimità ha ribadito che: “ in caso di omesso svolgimento di un’attività professionale, va provato non solo il danno subito ma anche il nesso eziologico tra esso e la condotta del professionista, in quanto non sussiste alcuna essenziale diversità tra inesatto adempimento del professionista e adempimento mancato. Al criterio della ragionevole certezza è tuttavia da rilevare che di recente la Suprema Corte ha sostituito quello della mera probabilità che una corretta attività del legale avrebbe comportato l’esito vittorioso del processo, parificando in tal modo la responsabilità per perdita del processo alla responsabilità per la perdita della chance di vincere il processo (Cass. 6 febbraio 1998, n. 1286; Cass.n. 10966/2O04: Cass. n. 2638/2013)”.
Insomma, non è sufficiente che l’avvocato non abbia agito. Bisogna che il cliente dimostri che una attività diligente del professionista avrebbe portato a vincere la causa.

Sulla base di tali premesse, in risposta alle domande contenute nel quesito possiamo affermare quanto segue.

Come già sopra specificato, la risposta alla prima domanda può intendersi senz’altro affermativa e cioè: sì, l’avvocato può rimettere il suo mandato senza concluderlo.
Quanto all’aspetto della restituzione di quanto pagato, occorrerebbe agire in giudizio per far accertare la responsabilità del professionista (nei termini sopra indicati dalla giurisprudenza relativa all’art. 1176 c.c.) e fornire adeguata prova.

Circa la domanda “ha fatto scadere i termini per presentare la richiesta?”, come sopra evidenziato, sulla base dei soli dati in nostro possesso (senza avere le carte processuali) e quindi non in termini di certezza, la risposta deve intendersi affermativa.

Quanto alla domanda se il professionista si sia interfacciato con i difensori di controparte non siamo in grado - ovviamente - di fornire una risposta.

Da ultimo, un esposto all’Ordine per presunta violazione dell’art.32 del codice deontologico forense (sempre che ve ne siano i presupposti) comporterebbe per il professionista l’eventuale applicazione della sanzione disciplinare della censura.

Stefano N. chiede
martedì 30/04/2019 - Campania
“Con la presene richiesta il sottoscritto N. S., in qualità di coerede e consulente tecnico (CTP), dopo tempo per quella causa di divisione ereditaria su cui mi avete istruito per il passato con tante direttive, il collegio dei giudici ha emesso una sentenza di cui ve ne spedirò la copia. Su questo modo di comportarsi dei giudici, vorrei che voi mi deste un consiglio su come comportarmi di conseguenza e sempre dell'opinione che voi possiate farmi un preventivo di assistenza legale stragiudiziale.

Da un attento esame noto che l'avvocato dell'attore ad inizio processo non ha depositato certificato della conservatoria necessari per avviare, come dice la sentenza, il processo (lo potrete leggere nella copia), arrecandomi un enorme danno patrimoniale. Vi elenco alcune fasi, come per esempio non ha ritenuto la valutazione, poiché mancava il certificato della conservatoria annullando l'intero processo che dura ormai da 15 anni, ed ha ignorato un'ingente somma di denaro certificata che ho trascritto nelle perizie consegnate personalmente da me come tutte le competenze tecniche. Oltre a una somma pari a 100.000.00 euro se non più pagati per conto di mia madre, l'accaparramento di due attività commerciali intestate a mia madre e non scritte nella valutazione dell'asse ereditario, considero di essere stato colui che ha ricevuto maggior danno. Inoltre, come ha prodotto un decreto per la liquidazione del CTU in forma ridotte, lo stesso vale anche per gli avvocati? Dovrei rivolgermi al Tribunale per essere in possesso di tale richiesta (decreto agli avvocati)? Poiché, questi avvocati mi hanno solamente prodotto un danno, quindi, vorrei richiedere un risarcimento anche da loro.”
Consulenza legale i 29/05/2019
Esaminata la documentazione trasmessa (i rispetti atti introduttivi e la sentenza) si osserva quanto segue.

Quanto alla sentenza, il provvedimento appare ampiamente motivato ed in linea con la prevalente giurisprudenza in materia (peraltro citata all’interno della medesima pronuncia).
Ad esempio, in tema di azione di riduzione, la Cassazione con sentenza n.9192/2017 ha sottolineato che “le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda di riduzione non possono, per quanto finora ribadito, essere limitate alla generica prospettazione dell'avvenuta lesione della quota di legittima, ma devono includere l'individuazione delle porzioni di riserva e di disponibile, nonché degli atti di disposizione compiuti dal defunto, in modo che il convenuto ed il giudice siano messi in condizione di conoscere in quali termini sia chiesta la reintegrazione, a prescindere dal successivo assolvimento dell'onere probatorio al riguardo.”
Ad ogni modo, per valutare se vi siano o meno i presupposti per una eventuale impugnazione della sentenza, bisognerebbe esaminare tutti gli atti processuali (e quindi, oltre gli atti introduttivi, anche le memorie ex art.183 c.p.c., le memorie conclusive ed i verbali di causa).
A tal proposito, ricordiamo che i termini per l’appello sono di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza oppure di trenta giorni in caso quest’ultima sia stata notificata dalla controparte (art. 325 c.p.c.).

Fermo quanto precede, con riguardo alle omesse produzioni documentali e/o altre omissioni si osserva quanto segue.
In primo luogo, nessuna azione di responsabilità potrebbe essere da Lei azionata nei confronti degli avvocati di controparte non avendo alcuna legittimazione in tal senso.
Infatti, il rapporto obbligatorio è tra l’avvocato ed il proprio cliente e soltanto quest’ultimo può eventualmente lamentare una violazione della diligenza nell’adempimento della prestazione professionale (art. 1176 c.c.). Sul punto, la Cassazione con sentenza n. 11906/2016 ha sottolineato che: “in tema di responsabilità dell'avvocato verso il cliente, è configurabile imperizia del professionista allorché questi ignori o violi precise disposizioni di legge, ovvero erri nel risolvere questioni giuridiche prive di margine di opinabilità, mentre la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità purché la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata) dal giudice di merito "ex ante" e non "ex post", sulla base dell'esito del giudizio, restando comunque esclusa in caso di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità - in astratto o con riferimento al caso concreto - tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale ancorché il giudizio si sia concluso con la soccombenza del cliente.”
Ciò posto, non si ravvisa una responsabilità a carico dei Suoi avvocati dal momento che nella comparsa di costituzione non viene azionata una domanda riconvenzionale.
Pertanto, l’onere della prova resta principalmente a carico dell’attore (circostanza sottolineata anche nella sentenza dove a pag. 5 si riporta il noto brocardo latino “onus probandi incumbit ei qui dicit”).

Da ultimo, quanto agli onorari degli avvocati non vi è alcun “decreto” come per i CTU.
Quando vi è una condanna alle spese processuali, l’importo è menzionato nel dispositivo della sentenza.
Nella presente vicenda, vi è stata una compensazione delle spese e, pertanto, ciascuno provvederà a pagare il proprio legale secondo quanto pattuito al momento del conferimento dell’incarico.


Renato G. chiede
mercoledì 03/04/2019 - Marche
“Nel 1973 viene accatastato l'edificio dei miei avi.
Le mie proprietà vengono evidenziate su n. 3 schede catastali:
- una scheda per un negozio
- un'altra scheda per un secondo negozio
- la terza scheda con tre appartamenti e tre locali accessori
Tutte le unità sono distinte, separate, posizionate in piani e posizione diverse.
Potrebbero essere considerate 8 unità immobiliari.
Sino ad oggi gli accessori venivano assegnati agli inquilini che ne facevano richiesta.
Nel 1997, con l'evento sisma, il tecnico incaricato della ricostruzione non ha verificato la consistenza catastale con l'effettivo stato dei luoghi.
Non ha aggiornato o notificato ai proprietari l'anomalia.
Ha effettuato i lavori considerando 3 unità anziché 5 con abbinati accessori, generando una perdita di 125 milioni di Lire.
Sto cercando di evidenziare che il Catasto non genera le U.I. bensì formalizza, quale registro, quello che viene a lui riportato.
Nel caso specifico le U.I. vengono definite dalle caratteristiche e consistenza dei luoghi, non dal catasto.
Potete Aiutarmi?

Consulenza legale i 10/04/2019
Di solito il catasto per prassi si limita a recepire i dati trasmessi dalla conservatoria oppure quelli dichiarati dalla parti o dai loro intermediari senza operare alcuna verifica immediata sulla correttezza degli stessi. Ciò che rileva è solo la presenza di un atto legittimante (atto pubblico, scrittura privata autentica, sentenza e simili) che ne giustifichi la richiesta di iscrizione catastale.
Tuttavia, la normativa in materia (art. 20 e 57 bis R.D. 8 ottobre 1931, n. 1572) stabilisce sia doveri di controllo in capo ai competenti uffici del catasto sia obblighi di dichiarazione della conformità tra quanto dichiarato e rappresentato nelle planimetrie depositate e lo stato reale dei luoghi in capo ai proprietari degli immobili; condotta omissiva, quest'ultima, che può essere anche sanzionata.
Ulteriormente, in caso di difformità tra i dati catastali e i dati reali è previsto l'obbligo, anche esso sanzionato, in capo ai proprietari degli immobili di segnalazione dell'errore, mediante presentazione della dichiarazione di variazione dello stato dei beni, con allegazione delle planimetrie catastali (art. 19, comma 14, del decreto legge n. 78 del 2010 e art. 29 Legge 52/1985).
Pertanto era onere suo e/o del tecnico da lei incarico svolgere le necessarie verifiche catastali e, rilevata l'anomalia, procedere alla richiesta di variazione catastale.
Inoltre, si precisa che le iscrizioni catastali hanno ad oggetto le unità immobiliari e non le unità negoziali, come accade invece per la trascrizione in conservatoria.
Il catasto infatti è un registro a base provinciale, suddiviso nella sezione fabbricati e terreni, nel quale vengono censiti tutti gli immobili presenti sul territorio e non gli atti di trasferimento degli stessi, pur se essi compaiono in nota nelle visure.
A ciò si aggiunga che unità negoziale e unità immobiliare non sempre coincidono.
Mentre l'unità negoziale fa riferimento al singolo atto traslativo o di acquisto del diritto di proprietà e può aver ad oggetto più unità immobiliari, l'unità immobiliare è rappresentata da un fabbricato o porzione di fabbricato, stabilmente collegata alla terra ferma, che presenti autonomia funzionale e autonoma capacità reddituale. Caratteristiche che sono desunte dalla analisi dell'immobile non catastale, ma reale.
Pertanto, analizzando il caso concreto, per quanto è dato conoscere allo scrivente avvocato, le unità immobiliari, se riportanti i caratteri di autonomia di cui sopra, sono cinque e non tre. Diversamente se le tre unità abitative non possiedono i detti requisiti è corretta la considerazione svolta dal tecnico.
Ad ogni buon conto, per completezza, si ritiene di poter affermare la sussistenza di una chiara forma di responsabilità professional del tecnico incaricato della ricostruzione dell'edificio interessato dal sisma.
Il tecnico, infatti, in virtù del dovere di diligenza professionale, avrebbe dovuto procedere alla verifica dei luoghi, all'analisi dei dati catastali, alla valutazione della conformità dei dati catastali rispetto alla realtà degli immobili e pertanto alla verifica di eventuali anomalie nelle precedenti iscrizioni.
Se il tecnico avesse usato la diligenza richiesta dal suo incarico avrebbe dovuto, oltre che procedere a comunicare agli intestatari l'esistenza dell'anomalia, anche richiedere la correzione dell'errore riportato nella precedente voltura mediante regolarizzazione della voltura o della planimetria allegata.
Il primo passo è pertanto quello di valutare con un altro tecnico competente e di maggiore fiducia l'erroneità delle ultime iscrizioni catastali per poi procedere alla richiesta di correzione mediante dichiarazione di variazione dello stato dei beni, con allegazione delle planimetrie catastali e con pagamento di eventuali sanzioni applicate al momento stesso delle richiesta di iscrizione della variazione.
Successivamente, si potrà agire giudizialmente avverso il tecnico incaricato dei lavori di ricostruzione dell'edificio post sisma facendo valere il suo inadempimento contrattuale e richiedere il risarcimento del danno patito, che, a stando a quanto riportato nel quesito, può essere quantificato in 125 milioni delle vecchie lire, oltre le spese successivamente da lei sopportate per la variazione catastale (onorari di un altro tecnico, sanzione pagata per erronea dichiarazione).
In tal caso è opportuno procurarsi delle prove sia dell'inadempimento sia del danno (progetti, fotografie, perizia tecnica ect.).
In alternativa a ciò, si consiglia di provare a trovare un accordo bonario col tecnico, il quale potrebbe farsi carico di tutta la procedura di variazione catastale comprensiva del pagamento di eventuali sanzioni, oltre che di risarcire stragiudizialmente il danno arrecato.

EMILIO F. chiede
martedì 18/09/2018 - Puglia
“Il commercialista ha predisposto e presentato 3 ricorsi avverso avvisi di accertamento alla Commissione Tributaria con identico oggetto ed uguali parti (mia moglie e Agenzia delle Entrate) per gli anni 2006/2007/2008 conseguenziali ad una verifica della guardia di finanza. Orbene il ricorso per l'anno 2008 è stato pienamente accolto sia nel merito che in diritto; mentre i ricorsi per l'anno 2006 e 2007 sono stati dichiarati inammissibili nella stessa sentenza (in allegato) dai giudici della CTP per violazione dell'art. 22 dlgs 546/92, poiché il commercialista gli ha depositati in Cancelleria oltre i canonici 30gg. Di conseguenza gli avvisi di accertamento relativi al 2006/2007 sono diventati definitivi con tutte le conseguenze del caso ed patito un danno patrimoniale di €**52.974,19** per l'anno 2006 ed €**50.362,16** per l'anno 2007 oltre a ricevere gli avvisi di addebito da parte dell'INPS per gli stessi anni e con un danno patrimoniale di €*15.383,59* per l'anno 2006 e di €*16.993,15* per l'anno 2007 (come riportato dagli avvisi di addebito ricevuti). Nel 2015 il commercialista propone appello avverso la sentenza per rimessione in termini, adducendo che i ricorsi sono stati depositati in ritardo per suoi gravi motivi di salute. Dopo il deposito dell'appello si decise di revocare il mandato al commercialista, visto il comportamento negligente avuto coi ricorsi ed il motivo labile su cui si fondava l'appello, al fine di evitare ulteriori danni economici per la famiglia. In data 07/03/17 il commercialista ha ritirato raccomandata di messa in mora e richiesta danni, senza sortire alcun effetto.
Orbene, sulla base di quanto prospettato posso iniziare una causa di richiesta danni nei suoi confronti basandosi su quali motivi di diritto (artt. 1176/2236 cc ed altro..).
Se avete bisogno di altri chiarimenti resto in attesa.
grazie
Emilio

Consulenza legale i 24/09/2018
La prima considerazione che occorre fare quando si decide di far valere la responsabilità di un professionista è quella di cercare di stabilire se ne sussistono tutti quei presupposti che dottrina e giurisprudenza hanno nel corso degli anni individuato, e precisamente:
1. il danno;
2. la prova dell’esistenza del rapporto professionale;
3. l'errore del professionista;
4. il nesso causale tra l’attività (erronea) del professionista e il danno;
5. le probabilità di successo del ricorso, qualora fosse stato esperito tempestivamente e correttamente.

Analizziamoli singolarmente con riferimento al caso di specie.

Sull’esistenza del danno sembra che non possa sussistere alcun dubbio, in quanto risulta più che evidente che dal rigetto dei ricorsi ne è derivata la definitività degli avvisi di accertamento per gli anni 2006 e 2007, con conseguente obbligo di pagare le somme portate da quegli avvisi.

Anche sul secondo elemento, quello dell’esistenza del rapporto professionale, non sembra che possano esservi dei dubbi, in quanto risulterebbe sussistente un regolare contratto d’opera professionale e mandato fra cliente e commercialista, sulla base del quale quest’ultimo ha presentato i ricorsi, contratto che si dice sia stato formalmente revocato solo dopo il deposito dell’appello.
Nel caso di specie, infatti, il rapporto professionale deve intendersi regolato non soltanto dalle norme sul contratto d’opera intellettuale (artt. 2229-2238 c.c.), ma anche da quelle sul mandato, in quanto all’assistenza in giudizio, comprensiva della consulenza tecnica e dello studio della causa (prestazione d’opera intellettuale) si sarebbe dovuta accompagnare l’attività di rappresentanza processuale, fondata sulla procura alla lite (mandato, regolato dagli artt. 1703 e ss. c.c.).

Un po’ più complesso risulta l’esame del terzo requisito, ossia quello dell’errore del professionista, il quale intende giustificarsi adducendo di non aver potuto depositare nei termini i ricorsi per suoi gravi motivi di salute.
Ebbene, il c.d. legittimo impedimento del difensore (commercialista nel nostro caso) per motivi di salute è stato preso in esame dalla giurisprudenza e dalla stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite in diverse occasioni, ma solo con riferimento all’ipotesi in cui si verifichi nel corso di un giudizio già instaurato, legittimando lo stesso difensore a chiedere un differimento dell’’udienza, pena la lesione del suo diritto di difesa.
Anche nel sistema processuale introdotto dal D.lgs. n. 546/1992, la richiesta di rinvio ad altra data dell’udienza pubblica già fissata, dovuta al momentaneo impedimento del difensore della parte, si ritiene ammissibile se provata mediante produzione di idonea documentazione, con la conseguenza che, qualora non si provveda tempestivamente a depositare quest’ultima, il processo potrà legittimamente proseguire anche in assenza del difensore stesso.

Come può notarsi, i gravi e documentati motivi di salute devono intanto essere rappresentati prima dello svolgimento dell’attività a cui occorre partecipare e poi possono valere ad ottenere un rinvio di quell’attività solo in pendenza di giudizio.
E’ impensabile che una tale prassi giurisprudenziale possa estendersi al compimento di una attività che possiamo qualificare come di tipo materiale, consistente nel mero deposito dei ricorsi in Commissione Tributaria, e per la quale il professionista mandatario può indubbiamente avvalersi non di suoi sostituti, ma di semplici ausiliari.
Infatti, è vero che la natura fiduciaria del rapporto scaturente dal mandato concluso con il professionista implica che, di regola, l’incarico conferito dal mandante debba essere svolto dal mandatario di persona, ma non si può per questo escludere che il mandatario si possa avvalere di altri soggetti ausiliari per portare avanti quanto gli è stato affidato, ciò che può ritenersi espressamente consentito anche ex art. 1228 del c.c..
Peraltro, si ribadisce, l’attività che doveva essere svolta (deposito dei ricorsi) richiedeva con tutta evidenza delle mansioni di carattere meramente esecutivo e materiale, per le quali non vi può che essere piena interfungibilità tra il mandante ed i suoi ausiliari.

Anche le norme dettate in materia di contratto d’opera intellettuale non escludono la possibilità per il professionista di avvalersi, come espressamente previsto dal secondo comma dell’art. 2232 del c.c. di “ausiliari” (ovvero di persone che aiutano il professionista cooperando allo svolgimento della sua attività) e di “sostituti” (intesi come soggetti che agiscono al posto del professionista, compiendo un’attività in sua vece).

Anche in ordine all’ulteriore elemento della sussistenza di un nesso causale tra l’attività (erronea) del professionista e il danno ci si può esprimere positivamente, argomentando dalla considerazione che con il suo comportamento il professionista non si è reso inadempiente ad una obbligazione di risultato (ciò che generalmente si ritiene non possa pretendersi da nessun professionista), ma ad una semplice obbligazione di mezzi, non avendo la sua prestazione rispettato i requisiti minimi di diligenza, esattezza, puntualità di tempo e di luogo che la stessa richiedeva.
In particolare, in questo caso il nesso causale non discenderebbe da un inadempimento assoluto del professionista (la prestazione non è mancata del tutto), ma da un suo inadempimento relativo, in quanto la prestazione vi è stata, ma è stata posta in essere in maniera difforme da quella dovuta perché resa in ritardo.

Rimanendo dunque nel solco dell’obbligazione di mezzi, risulta oltremodo palese che vi sia stata una violazione della diligenza richiesta nell’espletamento dell’incarico, dalla quale non può che discendere un inadempimento contrattuale, del quale il professionista è chiamato a rispondere nei confronti del cliente per i danni arrecatigli, in base al combinato disposto di cui al secondo comma dell’art. 1176 c.c. e dell’art. 1218 del c.c..
E’ vero che, oltre alla disciplina generale prevista dalle norme summenzionate, il legislatore ha posto anche una disposizione specifica per il contratto d’opera intellettuale, ossia la norma di cui all’art. 2236 del c.c., che, a tutela della libertà del professionista, pone un’attenuazione della sua responsabilità (cercando in tal modo di garantirne la libertà e l’autonomia di iniziativa).
E’ anche vero, però, che la relazione che intercorre tra l’art. 1176 e l’art. 2236 c.c. deve intendersi di integrazione per complementarietà e non per specialità, nel senso che vale come regola generale quella del buon professionista di cui all’art. 1176 comma 2 c.c., con la conseguenza che egli risponde, nei casi ordinari, anche per “colpa lieve”, mentre, nella sola ipotesi in cui la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, opera la successiva norma di cui all’art. 2236 c.c., in base alla quale il professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per le azioni a lui imputabili per dolo o colpa grave.
Per quanto concerne il significato da attribuire alla locuzione “problemi tecnici di speciale difficoltà" di cui all’art. 2236 c.c., la giurisprudenza di legittimità ha specificato che “essa è riscontrabile in prestazioni coinvolgenti problemi tecnici nuovi, di speciale complessità, per i quali è richiesto un impegno intellettuale superiore a quello professionale medio, con conseguente presupposizione di preparazione e dispendio di attività anch’esse superiori alla media, oppure non ancora adeguatamente studiati dalla scienza”.
Indubbiamente il deposito del ricorso nei termini universalmente conosciuti di 30 gg. non richiede delle speciali cognizioni tecniche, con la conseguenza che la relativa responsabilità potrà farsi valere anche per colpa lieve ex artt. 1176 e 1218 c.c., con esclusione del più rigoroso criterio di cui all’art. 2236 c.c.

Ultimo requisito di cui dar prova è quello delle “probabilità di successo del ricorso, qualora fosse stato esperito tempestivamente e correttamente”, ciò che si ritiene alquanto agevole dimostrare sulla scorta dell’esito positivo del ricorso relativo all’anno 2008, a meno che per gli anni 2006 e 2007 non fossero già intervenuti termini di prescrizioni di tipo diverso ancor prima della presentazione del ricorso.
Qualora fosse così, comunque, sarebbe ravvisabile nel professionista la violazione di un’ulteriore esplicazione del suo dovere di diligenza, rappresentato dall’obbligo di fornire al cliente una corretta informativa, che magari lo avrebbe indotto a rinunciare al ricorso e chiedere nei termini una rateizzazione delle somme dovute o altra soluzione più conveniente per far fronte a quel debito.

Amedeo B. chiede
sabato 16/06/2018 - Piemonte
“Buongiorno, nel mese di dicembre 2017 sono venuto a conoscenza di un accertamento esecutivo di agenzia delle entrate per omessa dichiarazione dei redditi. La notifica di tale atto mi è stata fatta nel gennaio 2016 ma per motivi di cambi di residenza purtroppo non ne ebbi conoscenza fino a fine dicembre 2017, a seguito di un estratto conto presso agenzia entrate. Dopo una rapida indagine scoprii che si trattava di omessa dichiarazione dei redditi. Premetto che la cartella ha un importo molto elevato per via di sanzioni di oltre 40.000 euro. Ho chiesto spiegazioni al mio commercialista il quale mi mostrò le ricevute di invio e ricezione, fermo restando che della dichiarazione non ci sono tracce presso l'agenzia. Sono venuto a conoscenza che l'unico modo per abbattere le sanzioni è necessario denunciare il commercialista. Quello che vorrei sapere è se esiste un tempo utile per fare la denuncia, visto che si tratta di un atto del 2016. Nel senso se sono ancora in tempo per procedere con la querela.”
Consulenza legale i 20/06/2018
Anche se nel quesito si utilizza il termine tecnico di “querela”, si presume che ci si riferisca, in realtà, ad una denuncia civile per danno da negligenza professionale. Anche perché, sotto il profilo penale, non si ravvisa nel caso in esame alcuna fattispecie di reato.

La responsabilità del professionista per l’omesso invio della dichiarazione dei redditi sarebbe finalizzata, in questa ipotesi, ad una richiesta evidentemente risarcitoria, ed in particolare la domanda sarebbe quella di condanna del professionista al pagamento – in luogo del contribuente incolpevole – di interessi e sanzioni derivanti dall’omessa dichiarazione.
In effetti, non è propriamente corretto parlare di “abbattimento” delle sanzioni, ma più semplicemente, poiché queste ultime nonché gli interessi sono stati addebitati per colpa del commercialista e non del contribuente, quest’ultimo potrà rivalersi sul primo dell’esborso che è costretto ad affrontare.
In buona sostanza, purtroppo tali somme vanno comunque pagate, solo che si potrà poi tentare di recuperarle dal professionista.

L’azione per il risarcimento del danno si prescrive nel termine di cinque anni (art. 2947 c.c.), decorrenti dal giorno in cui si è verificato il fatto che ha causato il danno (nel caso in esame, dal giorno della scoperta del danno, ovvero quando si è avuta conoscenza della posizione di debito, nel dicembre 2017).

Pertanto, per rispondere al quesito, c’è ancora ampio margine temporale per presentare la denuncia di danno al commercialista.

Per completezza va ricordato, tuttavia, che l’omessa dichiarazione dei redditi potrebbe configurare, invece, un reato vero e proprio in capo al contribuente, ai sensi della normativa tributaria.
Infatti, l’art. 5 del D.Lgs n. 74/2000, intitolato “Omessa dichiarazione”, stabilisce: “1. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila.
Pertanto, superata una certa soglia di evasione, il contribuente rischia la condanna penale.

E, si noti bene, la Cassazione penale ha statuito in proposito che “L'affidamento ad un professionista dell'incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere” (Cass. pen. Sez. III, 09/06/2017, n. 38648)

La giurisprudenza, infatti, ritiene che sul contribuente incomba un preciso dovere di “vigilare” sull’operato del professionista, vale a dire che il primo non può disinteressarsi degli adempimenti fiscali, pur se delegati ad un commercialista, ma deve sempre vigilare sul mandato conferito a quest’ultimo ed informarsi che le scadenze e gli adempimenti fiscali siano rispettati.

Solo se il professionista delegato ha agito in maniera fraudolenta e/o comunque tenendo una condotta illecita, allora si potrà invocare l’art. 1 della legge n. 423/1995, in forza della quale “è sospesa la riscossione delle pene pecuniarie previste dalle leggi d’imposta in caso di omesso, ritardato o insufficiente versamento nei confronti del contribuente, qualora la violazione consegua “alla condotta illecita, penalmente rilevante, di dottori commercialisti, ragionieri, consulenti del lavoro, avvocati, notai e altri professionisti, iscritti nei rispettivi albi, in dipendenza del loro mandato professionale”, sempre che, tuttavia, “il contribuente dimostri di aver provvisto il professionista delle somme necessarie al versamento omesso, ritardato o insufficiente”.

Riassumendo:
  • il contribuente non assolve agli obblighi tributari con il “mero” affidamento ad un commercialista del mandato a trasmettere in via telematica la dichiarazione alla competente Agenzia delle Entrate, essendo tenuto a “vigilare” affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto, sicché la sua responsabilità è esclusa solo in caso di comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento (Cassazione, ordinanza 11832/2016);
  • la prova dell’assenza di colpa, grava sul contribuente, il quale risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato della relativa trasmissione telematica ove “non” dimostri di aver vigilato su quest’ultimo (Cassazione, sentenza n. 6930/2017).

Si consiglia vivamente, qualora si dovesse rientrare nella soglia di punibilità del reato sopra descritto, di rivolgersi ad un bravo penalista/tributarista per gli approfondimenti necessari.

ALFREDO C. chiede
domenica 01/04/2018 - Lazio
“In una Concessionaria mentre scrivevo e consegnavo al Venditore un assegno di Euro 5.000,00 per la prenotazione di una vettura, non so come mi è stato sottratto un assegno che è stato mal compilato e con firma assolutamente artefatta e versato subito dopo presso una Banca per lo stesso importo di Euro 5.000,00.
Nel controllare l'estratto conto mi sono accorto dell'anomalia dell'addebito e ho chiesto subito alla mia Banca copia dell'assegno che mi consegnava dopo circa venti giorni.
La domanda, la Banca è responsabile del pagamento dell'assegno non avendo controllato nemmeno la firma che era assolutamente diversa da quella depositata presso l'Istituto?
Grazie”
Consulenza legale i 09/04/2018
Il problema rientra nell’ambito della responsabilità della Banca e/o del cliente nello svolgimento del rapporto contrattuale sottostante alla convenzione di assegno.

Infatti nello svolgimento del rapporto contrattuale sia la Banca che il Cliente devono ottemperare alle obbligazioni assunte; ogni qual volta la prestazione non venga eseguita, in maniera rilevante, nel tempo, nel luogo e secondo le modalità stabilite, si configura una responsabilità dell’obbligato che sarà tenuto al risarcimento dei danni subìti dal creditore.

L’inadempimento rilevante, però, deve dipendere da colpa, dalla mancanza di diligenza del debitore il quale non abbia potuto evitarlo (imputabilità dell’inadempimento).

La norma di riferimento è l’art. 1218 c.c. il quale sancisce che “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Quella richiesta alla Banca, peraltro, è una diligenza qualificata dalla professionalità della prestazione e dalla specificità dell’attività esercitata.

L’Istituto bancario nello svolgimento delle operazioni legate al pagamento degli assegni deve sempre verificare la corrispondenza della firma del traente con lo specimen (l’originale) depositato, sì che la falsificazione palese di un assegno con apposizione di firma apocrifa grafo logicamente differente da quella depositata, può far configurare una responsabilità della Banca che abbia comunque effettuato il pagamento, per l’inadempimento delle obbligazioni sorte da contratto (Cass. 19565/2004 e Cass. civ. n. 18950/2017).

La Cassazione, di recente tornata sul tema, ha chiarito esattamente che “Nel caso di falsificazione o alterazione di assegno bancario o circolare non trasferibile, trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 1176, comma 2 ed art. 1992 c.c., comma 2, c.c., in virtù delle quali il pagamento eseguito in favore di un soggetto diverso dal beneficiario dell’assegno, ma apparentemente legittimato in base alle indicazioni risultanti dal titolo, non comporta automaticamente l’affermazione della responsabilità della banca, a tal fine occorrendo invece una valutazione in concreto del comportamento della stessa, da condursi secondo il parametro della diligenza professionale, con la conseguenza che la banca può essere ritenuta responsabile soltanto nel caso in cui l’alterazione sia rilevabile ictu oculi, in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, nè è tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo”(Cass. n. 12806/ 2016).
Dunque deve valutarsi caso per caso la colpa della Banca, il grado di diligenza prestato nello svolgimento delle operazioni e l’evitabilità del danno, senza che si possa richiedere all’Istituto conoscenze grafologiche avanzate o che debba ricorrere all’ausilio di particolari attrezzature strumentali o chimiche per attestare la veridicità della firma.

Nel caso specifico, la sostanziale differenza tra l'originale depositato e la firma apposta sull'assegno farebbero propendere per la configurabilità della responsabilità contrattuale, per l'assenza di quel grado minimo di diligenza richiesta nello svolgimento di un'attività professionale.

Per concludere però, sembra utile sottolineare che anche il Cliente è tenuto ad adempiere puntualmente alle obbligazioni assunte con il rapporto contrattuale, il quale sicuramente prevede anche il dovere di custodire con diligenza il carnet di assegni e di denunziarne senza ritardo alla Banca il furto o lo smarrimento.

Giuseppe R. chiede
sabato 02/12/2017 - Campania
“L' avvocato incaricato di seguire una procedura fallimentare per un appartamento acquistato con preliminare tra le parti, nel dicembre scorso e dopo anni di silenzio, mi comunica - con racc. a. r. - che La curatela fall., in sede di riparto finale, gli aveva trasmesso ass. circolare di € 2.500,00 con invito a recarmi nel suo studio per il ritiro e il pagamento del saldo delle sue competenze. Non ho riscontrato la racc., né mi è pervenuta richiesta di erogazione del saldo.
Il mio silenzio di ritorsione è dovuto al fatto che questo personaggio sarebbe passibile di applicazione dell'art. 380 c.p. perché non mi ha avvertito dell'asta del sett. 2002 allorché l'appartamento fu aggiudicato, ha altresì sottaciuto che x la 1^ volta nell'avviso l'appartamento risultava " nella libera disponibilità del fallimento " mentre negli avvisi precedenti risultava *occupato* dall'acquirente, mia parente, e, cosa ancora più grave non mi ha avvertito dell'avvenuta aggiudicazione ( lavoravo in altra Regione e lo sapeva ) perché potessimo valutare l'opportunità di presentare offerta di miglioramento; ha altresì sottaciuto che era stata rigettata la richiesta di recupero dal venditore di circa 17.000,00 €, non ammessi al passivo, per eventualmente adire gli ulteriori gradi di giudizio. In sintesi questo signore, di concerto con la curatela e non solo, credo volesse costringere alla consegna di sostanziosa busta; questa voce circolava insistentemente tra gli altri condomini, alla quale mi rifiutavo di dare credito, ma i fatti mi hanno fatto ricredere, di certo ho "pagato" con la perdita dell'appartamento.
QUESITI
- che fine avrà fatto l'assegno circolare, è sempre in suo possesso ed è ancora passibile di riscossione o è scaduto;
- conviene riscontrare la citata racc. per chiedere la spedizione dell'assegno ( i Comuni delle rispettive residenze distano circa 70 km ed io e parente acquirente abbiamo di gran lunga superato i 70 e gli 80 anni!), contestare i riferiti comportamenti di " silenzio ", e chiedere ( o tacere del tutto ) contestualmente l'ammontare del saldo delle competenze con precisazione che non trattasi di acquiescenza; di fatto la richiesta non verrebbe mai evasa, e ritengo, che non sarebbe passibile di azione legale per non rendere di pubblica ragione la " sporca vicenda " c/o altro Tribunale del convenuto;- l'eventuale azione dolosa dell'incaricato è prescritta o sarebbe ancora passibile di azione legale in quanto reato permanente? Ogni altro suggerimento ritenuto opportuno.”
Consulenza legale i 14/12/2017
Senza entrare nel merito della procedura fallimentare (nella quale, peraltro, non è ben chiaro quale sia stato il ruolo del cliente né quindi in cosa sia consistito l’oggetto dell’incarico professionale conferito), da quanto riportato nel quesito si potrebbe forse ipotizzare una condotta negligente dell’avvocato.
Il professionista, nell’espletamento del suo mandato, è obbligato infatti a svolgere con diligenza la propria professione, come previsto dagli articoli 1176 e 2236 del codice civile.
L’obbligo di diligenza comprende anche quello di tenere aggiornato il cliente sull’andamento della causa.
Nel caso in esame, parrebbe che l’avvocato abbia omesso di effettuare alcune importanti comunicazioni al proprio assistito. Tuttavia, per poter affermare questo con certezza occorrerebbe sapere quale sia stato di preciso l’oggetto del mandato conferito. Infatti, va precisato che – ad esempio- gli avvisi d’asta sono pubblici (art. 490 c.p.c.) e sarebbe quindi arduo dimostrare -in mancanza di diversi accordi tra le parti- una negligenza del professionista non essendovi un obbligo di comunicazione personale in tal senso.
A ciò si aggiunga la circostanza che l’avvocato ha tempestivamente avvisato dell’assegno circolare emesso dalla curatela fallimentare in sede di riparto finale.
Va infatti tenuto presente che in una ipotetica causa civile di risarcimento danni contro il proprio legale, il cliente non deve provare solo l’inadempimento ma anche il rapporto di causa-effetto tra la negligenza dell’avvocato ed il danno (nel nostro caso, la perdita dell’appartamento) conseguente.
Sul punto, la Corte di Cassazione, sez. II Civile, con la sentenza 2 febbraio 2016, n. 1984, ha ribadito che: «qualora un soggetto intenda ottenere il risarcimento per un danno che ritiene derivante da negligenza del professionista, graverà su di esso l’onere di provare lo stringente nesso di causalità tra il danno in concreto verificatosi e la condotta del danneggiante».

Ciò precisato, il reato ipotizzato nel quesito appare quanto mai improbabile.
Infatti, perché possa aversi il delitto previsto dall’art. 380 c.p., oltre gli altri elementi previsti nella norma, occorre la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo: l’avvocato dovrebbe cioè aver agito con volontà consapevole della inosservanza dei doveri professionali di diligenza, lealtà e correttezza.
Tra l’altro, occorre tenere presente che se si sporge una querela non fondata su elementi concreti si rischia di essere esposti ad una querela per calunnia (art. 368 c.p.): i sospetti e le dicerie (tipo la ipotizzata collusione con la curatela fallimentare) non sono sufficienti se non suffragati da prove.

Tutto ciò premesso, in risposta alle domande formulate nel quesito possiamo affermare quanto segue.
L’assegno circolare è verosimile che sia ancora nel possesso dell’avvocato. Se non è stato revocato dall’emittente è possibile comunque incassarlo. In ogni caso, l’assegno circolare è pagabile a vista entro tre anni dalla data di emissione.
Quanto al riscontro della lettera dell’avvocato, si consiglia di mandare una raccomandata a/r con cui si richiede la trasmissione dell’assegno circolare. Quanto ai compensi, si può specificare nella lettera che a prescindere dall’importo si ritengono non dovuti e che ci si riserva di valutarli visto l’esito della procedura fallimentare. Tuttavia, occorre tenere presente che anche in caso di contestazione da parte del cliente, l’avvocato potrebbe comunque azionare una causa civile per il recupero degli onorari ad esso spettanti.

Maurizio D. B. chiede
giovedì 23/11/2017 - Veneto
“il 31 dicembre 2016 ho chiuso l'attività di negozio alimentare e restituito la licenza al Comune. 2 mesi fa per caso ho visto su internet la "ROTTAMAZIONE LICENZE COMMERCIALI". Io non lo sapevo che bisognava fare domanda all'INPS per avere una indennità mensile di € 502,34 fino al raggiungimento della pensione, nel mio caso giugno 2019 e la scadenza di tale domanda era entro il 31 gennaio 2017. Il mio commercialista non mi ha mai avvertito di questa tale opportunità e quindi in totale ho perso circa € 15.000. Posso portare in Tribunale il mio commercialista e rivalermi su di lui e chiedergli i danni per non avermi avvertito? Se gli faccio causa civile posso vincerla? Può rientrare nel caso " dovere di diligenza impone ,tra gli altri, l'OBBLIGO di dare tutte le informazioni che siano di utilità per il cliente e che rientrino nell'ambito della competenza del professionista, ma anche,tenuto conto della portata dell'incarico conferito, di individuare le questioni che esulino da detto ambito?" Sentenza cass.23 giugno 2016 n°13007: grazie. Invio bonifico bancario”
Consulenza legale i 01/12/2017
Nel caso in esame il cliente lamenta di non essere stato avvertito dal proprio commercialista della opportunità di poter percepire l’indennità mensile prevista per la “rottamazione delle licenze commerciali”.
Viene in rilievo, pertanto, una condotta “omissiva” del professionista.

La normativa di riferimento prevede che, nell’ambito dei rapporti di consulenza, l’oggetto dell’obbligazione di mezzi sia una prestazione conforme al criterio della diligenza sancito dall’art. 1176 c.c., a prescindere dal raggiungimento di un determinato risultato.
La responsabilità del commercialista configura, difatti, un’obbligazione di mezzi e non di risultato.
Il professionista è pertanto responsabile quando ha violato il dovere di diligenza per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile ai sensi dell’art. 1176, 2° comma, c.c., da commisurare alla natura dell’attività esercitata.
Pertanto, la responsabilità del professionista non potrebbe affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, ma è necessaria la verifica se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla sua condotta professionale, se un danno vi sia stato effettivamente e, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del professionista ed il risultato derivatone.

Occorre, dunque, sviluppare un ragionamento “controfattuale”, cioè chiedersi: sostituendo mentalmente l’attività doverosa a quella omessa, il risultato favorevole al cliente sarebbe stato raggiunto?
Nel caso in esame, alla luce di quanto indicato nel quesito, a parere di chi scrive la risposta è senz'altro positiva.
Pare, infatti, che il cliente avesse tutti i requisiti per ottenere l’accesso al contributo agevolativo in argomento.

Il bonus commercianti 2017 è, difatti, un'agevolazione prevista dalla cd. rottamazione delle licenze commerciali (ripristinato dalla Legge di Stabilità 147/2013), ossia una procedura che consente a coloro che cessano la propria attività commerciale 3 anni prima della pensione, di ottenere un indennizzo da parte dell'INPS pari ad Euro 500,00 al mese fino all'inizio del pensionamento, e comunque per un massimo di 5 anni.

I requisiti sono i seguenti:
- il soggetto, che è stato operatore commerciale o agente di commercio, cessi l'attività entro il 31 dicembre 2016, nei tre anni precedenti al pensionamento;
- abbia più di 62 anni se uomo e più di 57 se donna;
- possa vantare un'iscrizione al momento della cessazione dell'attività di almeno 5 anni nella gestione esercenti attività commerciali dell'Inps.

Dunque, si ripete, dal quesito emerge che i requisiti della cessazione dell'attività e dell'età raggiunta rientrano in quelli richiesti dalla legge e si presume che vi sia anche l'ultimo requisito, ossia l'iscrizione da almeno 5 anni nella gestione esercenti attività commerciali dell'Inps.

Ciò posto, ben potrebbe essere promossa un’azione di responsabilità nei confronti del commercialista.
Con la mancata informazione al cliente sul comportamento da tenere, il commercialista ha posto in essere una condotta omissiva che avrebbe sicuramente portato un vantaggio, ossia godere della indennità mensili di Euro 502,34 fino alla pensione.
Il commercialista, non informando il cliente della possibilità di poter presentare istanza all’Inps, gli ha fatto perdere la possibilità di esercitare un proprio diritto, cioè quello ad ottenere l’indennizzo derivante dalla anticipata cessazione della sua attività.

Trovandoci nell’ipotesi di “causalità omissiva, ipotetica e normativa”, il cliente dovrà dimostrare:
1) che il danno deriva dalla mancata informazione, oppure dall’inosservanza degli obblighi positivi di comportamento;
2) la possibilità di esito favorevole se quegli obblighi fossero stati diligentemente osservati.

Nei casi di responsabilità professionale per condotta omissiva, il giudice, accertata l’omissione di un’attività invece dovuta in base alle regole della professione praticata, nonché l’esistenza di un danno che probabilmente ne è la conseguenza, può ritenere che tale omissione abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno.

In tal caso il danno, essendo di natura patrimoniale, sarebbe da qualificare come lucro cessante ai sensi dell’ art. 1223 c.c. il quale, espressamente, dispone: "Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta"
Con l'espressione “lucro cessante” si intende il mancato guadagno che scaturisce dall'inadempimento posto in essere dall'obbligato ad eseguire la prestazione.

Ai fini di una eventuale azione civile, sarebbe certamente utile poter preliminarmente indagare più da vicino sul tipo di rapporto professionista-cliente. Verificando modalità, condizioni, tempi, consuetudini, esistenza o meno di incarichi scritti o mail o altro, etc.

R. S. chiede
lunedì 22/05/2017 - Lombardia
“Buongiorno, sono legale rappresentante di una società s.a.s..
Il mio ex commercialista mi fa fatto trovare nelle seguenti situazioni:
1) mi è stata negata l'apertura di un conto corrente bancario perché, con mia totale sorpresa, è emersa un'ipoteca da ben 7 anni, sulla casa di mia proprietà, in quanto legale rappresentante della s.a.s.. Il commercialista aveva la delega sia per il cassetto fiscale che previdenziale. Per il piccolo importo che Equitalia chiedeva la casa non è mai arrivata all'asta. A oggi ho fatto cancellare tale ipoteca.
2) Gli utili della sas sono stati utilizzati, in parte, per l'acquisto della sede societaria, il commercialista non ha mai contabilizzato tale ripartizione, pertanto oggi ci troviamo a bilancio iscritti centinaia di migliaia di euro di dividendi ancora da distribuire, con grave danno fiscale se volessi trasformare la s.a.s. in s.r.l..
3) Ho anche partita iva personale, per una società fallita di Roma sono sia creditore in quanto persona che debitore in quanto s.a.s.. Ho chiesto, sempre verbalmente, prima del fallimento, al commercialista di provvedere a istruire la cessione del credito dalla persona alla s.a.s. in modo da compensare almeno una parte. A oggi i miei crediti non valgono nulla, il curatore potrebbe richiedere il rientro del mio debito.
Cosa è possibile fare legalmente verso il mio ex commercialista, quali eventuali danni poter richiedere?
Grazie”
Consulenza legale i 28/05/2017
Le norme che vanno prese in esame nel caso di specie sono principalmente quelle di cui agli artt. 1218 c.c. (sulla responsabilità del debitore in generale), 1176 comma 2° c.c. (sulle obbligazioni inerenti l’esercizio di una attività professionale) e 2236 c.c. (sulla responsabilità del prestatore d’opera).

In linea generale può dirsi che il professionista ha l'obbligo di espletare l'incarico affidatogli con diligenza e secondo le regole della professione; in particolare, l'attività del professionista fiscale deve essere conforme sia alle disposizioni normative in materia tributaria che ai principi di deontologia professionale.
Ne consegue che soltanto il comportamento del commercialista che abbia agito in sintonia con le norme tributarie e posto in essere un'attività professionale corretta e precisa, sia sotto il profilo deontologico sia sotto l'aspetto del rispetto e del puntuale adempimento delle disposizioni tributarie, non genera a carico del professionista stesso alcun tipo di responsabilità, a vantaggio dell'interesse del cliente e dell'immagine professionale della categoria.

In assenza di tali elementi, al contrario, possono ravvisarsi profili di responsabilità del professionista nei confronti del cliente, il quale ultimo, prima di ogni cosa, dovrà dar prova della esistenza del rapporto d’opera professionale nonché dell’ampiezza e del contenuto di tale rapporto.
Infatti, per essere risarciti di eventuali danni procurati dal commercialista nell’esercizio della sua attività, occorre che sussistano i seguenti elementi:
  1. il danno;
  2. la prova dell’esistenza del rapporto professionale;
  3. l'errore del professionista;
  4. il nesso causale tra l’erronea attività del professionista e il danno;
  5. le probabilità di successo di un eventuale ricorso, qualora fosse necessario esperirlo e ciò non sia stato fatto tempestivamente e correttamente.

Nel caso di specie sembra che non possa adombrarsi alcun dubbio circa l’esistenza del rapporto professionale, avendo il cliente conferito delega al commercialista sia per il cassetto fiscale che previdenziale.
Entrando però nel dettaglio della situazione descritta, va detto che, per quanto concerne l’ipoteca scaturente dalla piccola somma a debito non corrisposta nei termini, occorre verificare se l’iscrizione ipotecaria sia soltanto conseguenza di errore imputabile alla gestione contabile tenuta dal professionista o meno; in particolare, occorrerebbe riuscire a fornire prova della circostanza che di tale debito il cliente non sia stato messo a conoscenza e di non essere stato pertanto posto nella condizione di provvedere alla sua estinzione nei termini richiesti dal fisco (o da chiunque possa esserne il creditore) per evitare l’iscrizione ipotecaria ed i danni da questa conseguenti.

Nell’ipotesi in cui, invece, dovesse trattarsi di somma indebitamente richiesta dal fisco, occorrerebbe dar prova:
  1. della illegittimità della pretesa creditoria;
  2. della circostanza che un eventuale ricorso avverso l’avviso di accertamento che ha condotto all’iscrizione ipotecaria avrebbe avuto esito positivo;
  3. di aver conferito al commercialista mandato ah hoc per proporre ricorso, ovvero di esser stato posto nella condizione di conferirgli tale mandato per aver avuto conoscenza del debito.

E’ indubbio che si tratta di prove alquanto ardue, ma non ci si può esimere dal fornirle in considerazione degli elementi sopra delineati, che valgono a fondare la responsabilità del commercialista.

Per quanto concerne la seconda situazione prospettata, ossia la mancata iscrizione al passivo del bilancio di quella parte di utili utilizzati per l’acquisto dell’immobile da destinare a sede sociale (con tutti gli aggravi fiscali che ne potranno derivare in sede di trasformazione della s.a.s. in s.r.l.), va detto che in tale comportamento deve senza alcun dubbio ravvisarsi “colpa professionale” del commercialista, la quale, in base alle più recenti elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali, si può manifestare nelle ipotesi di:
- “disattenzione o mancanza di dovuta attenzione o sollecitudine” (negligenza omissiva o commissiva);
- “superficialità o leggerezza di comportamento” (imprudenza);
- ignoranza o mancata applicazione in concreto delle regole tecniche che la natura della professione esercitata richiede (imperizia);
- “inosservanza di leggi o altre disposizioni normative, nonché di inottemperanza alle disposizioni impartite dal cliente” (in quest’ultimo caso il professionista potrebbe essere chiamato a rispondere anche nell’ipotesi in cui non rilevi errori contenuti nelle disposizioni del cliente, in quanto grava su di lui l’onere del controllo, cosiddetta “culpa in vigilando”).

Tra tutti di cui la diligenza professionale si compone, in misura determinante spicca "la perizia". Essa presenta un contenuto variabile, da accertare in relazione ad ogni singola fattispecie, e deve rapportarsi alla condotta effettivamente tenuta dal professionista, alla natura e alla tipologia dell’incarico, nonché alle circostanze concrete in cui la prestazione si svolge.
Vale la pena, comunque, sottolineare che per far valere una responsabilità del professionista in tal senso, occorre che
  • i soci della s.a.s. abbiano preventivamente deliberato di destinare a riserva una parte degli utili d’esercizio e
  • che al commercialista siano state date disposizioni ben precise circa la volontà di destinare quella riserva ad acquisto della sede sociale.

Ad ogni buon conto, considerato che l’accantonamento alla riserva si rileva in “Avere” del conto economico di patrimonio e che, essendo la riserva costituita con utili non distribuiti, consente alla società di autofinanziarsi (ossia di conservare investita nei suoi processi produttivi la parte di utile che non viene erogata ai soci), ben avrebbe potuto il consulente consigliare autonomamente di utilizzare quella riserva per la finalità di cui si discute, potendosi da questo punto di vista rimproverare allo stesso una scarsa perizia.

Sotto il profilo prettamente fiscale, comunque, si ritiene utile evidenziare che, per effetto della disposizione di cui all'art. 170 del TUIR, la trasformazione della società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e al valore di avviamento. Inoltre, con specifico riferimento alle riserve, per effetto del comma 3 del citato articolo, nel caso di trasformazione di una società non soggetta all'imposta di cui al Titolo II (società di persone) in società soggetta a tale imposta (società di capitale), le riserve costituite prima della trasformazione con utili imputati ai soci a norma dell'articolo 5, se dopo la trasformazione sono state iscritte in bilancio con indicazione della loro origine, non concorrono a formare il reddito dei soci per il caso di successiva distribuzione e l'imputazione delle stesse a capitale non comporta l'applicazione del comma 6 dell'articolo 47 TUIR.

Per quanto concerne infine l’ultima delle critiche mosse nel quesito al commercialista, ossia la manifestata volontà di compensare un credito personale dell’amministratore della s.a.s. verso una società nel frattempo fallita ed a sua volta creditrice della stessa s.a.s., volontà mai portata a compimento dal consulente, si ritiene che non possano in ciò ravvisarsi profili di responsabilità.
Infatti, sulla scorta di quanto detto prima, incombe sul commercialista anche la c.d. “culpa in vigilando”, essendo il medesimo tenuto a rilevare anche gli errori contenuti nelle disposizioni dei clienti.

Ora, sotto tale profilo, bene ha fatto il consulente a non dar seguito a tale ultima volontà del cliente, avendo probabilmente tenuto correttamente conto di quanto disposto dall’art. 2271 c.c., norma che esclude espressamente la compensazione fra il debito che un terzo ha verso la società e il credito che egli ha verso un socio.
Trattasi di norma applicabile per analogia alla s.a.s. in virtù dell’espresso richiamo che l’art. 2315 c.c. fa alle norme sulla s.n.c., a cui , a sua volta, sono applicabili le norme dettate per la società semplice.

Il principio stabilito dall’art. 2271 c.c. opera anche nel caso inverso di un terzo che sia creditore dell’impresa e debitore del singolo suo componente (Cass. Civ. Sez. III, 7 febbraio 1991 n. 1274) e costituisce norma inderogabile, poiché corollario della separazione formale ed effettiva del patrimonio sociale (e delle relative obbligazioni esterne) dal patrimonio dei singoli soci (Cass. Civ. Sez. I del 12.03.1973 n. 676; Corte appello Firenze 25 febbraio 1980; Tribunale Milano 11 luglio 1994).

Infine, e per concludere, si ritiene utile segnalare che per quanto concerne i profili di responsabilità che paiono contestabili, si dovrà tener conto che, trattandosi di responsabilità ex contractu, il termine di prescrizione sarà quello lungo, ossia quello ordinario decennale (ex art. 2946 c.c.).

Anonimo chiede
sabato 29/04/2017 - Toscana
“Buonasera
Mi sono iscritta ad una Associazione professionale agricola, attivando i tutti i servizi di consulenze tecnico, burocratico e fiscali. Ho dato loro mandato come associazione professionale di formulare e presentare la domanda ad un bando pubblico per attingere dei finanziamenti europei in agricoltura nel PSR della mia regione costituendo una nuova azienda agricola condotta da una donna con meno di 40 anni di età rientrando quindi nel progetto giovanisì. A seguito della domanda, alla scadenza del bando, la Regione Toscana tramite (omissis) ha emesso una graduatoria pubblica nella quale risultavo assegnataria di (omissis) mila euro a fondo perduto che mi sarebbero serviti a dar vita al mio business plan. Purtroppo, nella fase della verifica finale, un funzionario della regione toscana si è accorto che alcuni dei terreni inseriti nel piano di sviluppo aziendale non avevano i requisiti di coltivazione agricola in quanto ricadenti in zona di protezione speciale. Faccio presente, che l'organizzazione agricola alla quale mi sono rivolta ha predisposto il business plan inserendo tra le altre, alcune particelle catastali di mia proprietà dopo che aveva ricevuto una risposta da parte di (omissis) ad un ticket posto dall'associazione in cui si scriveva che in tali particelle si potevano effettuare coltivazioni agricole. Purtroppo, nonostante che un ente della stessa regione avesse formalmente scritto la possibilità di coltivazione, un funzionario della stessa regione, applicando le normative non ha ammesso queste particelle al business plan, facendo, di fatto, mancare uno dei requisiti fondamentali per accedere al contributo a fondo perduto in quanto la mancanza di questi terreni non avrebbero permesso di garantire un reddito minimo all'azienda. Niente è servito di presentare dopo la scadenza del bando un integrazione d'ulteriori terreni presi successivamente in affitto da includere alla domanda precedentemente presentata. Tale situazione ha gravato sulla mia situazione finanziaria, in quanto avevo preso impegni con dei fornitori e professionisti oltre a non far decollare la mia azienda che doveva nascere con l'essenziale contributo pubblico come previsto alla stesura della graduatoria per i nuovi insediamenti di giovani donne in agricoltura. La mancanza del contributo mi ha, di fatto privato di un reddito per il quale avevo predisposto con la nascita della mia nuova azienda. Il quesito che vi pongo è:
Posso richiedere i danni a coloro i quali hanno sbagliato, ovvero l'organizzazione professionale agricola che ha predisposto e seguito l'iter della domanda e la (omissis) che ha formalmente fornito per scritto una risposta errata e fuorviante al quesito posto dall'associazione?
Grazie”
Consulenza legale i 10/05/2017
Con il conferimento del mandato si è costituito un vero e proprio rapporto contrattuale con l'associazione, la quale aveva il compito di adempiere con perizia e diligenza agli impegni assunti, favorendo la sua partecipazione alla gara e l’ottenimento del finanziamento pubblico.

Ogni volta che la prestazione dovuta non è eseguita nel tempo, nel luogo o secondo le modalità stabilite, si parla di inadempimento, in questo caso di responsabilità contrattuale.

In particolare si parla dell’inadempimento di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, se l'incarico consiste nello svolgere un’attività, idonea di per se a soddisfare l’interesse del mandante.
Il raggiungimento del risultato non è essenziale per l'interesse del mandante, poiché il rapporto ha ad oggetto proprio e solo il compimento di una determinata attività.
Al contrario, nelle obbligazioni di risultato, l’obbligato deve realizzare un certo risultato (ad esempio la costruzione di una casa). Il raggiungimento del risultato è parte essenziale del contratto. Non basta che l'incaricato ci provi, deve proprio conseguire il risultato. Se non lo raggiunge - salvo causa di forza maggiore da provare - sarà responsabile.
Nelle obbligazioni di mezzi, l’obbligato è adempiente quando ha svolto l’attività richiesta con la dovuta diligenza, la diligenza è parte essenziale ed oggetto principale del contratto. Se, in ipotesi, non si raggiungesse poi il risultato concreto sperato dal committente, non vi sarebbe alcuna conseguenza per chi ha svolto l'incarico. Tipico esempio è quello dell'incarico all'avvocato. Se anche la causa si perde ... l'avvocato ha diritto di essere pagato, e nessun addebito di responsabilità potrà essergli mosso contro qualora abbia svolto il proprio incarico con normale diligenza (che non vuol dire eccellenza).

Per questo tipo di obbligazioni, svolte da un professionista, l’art. 1176 c.c. al 2° comma prevede che “nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata”.
La norma richiede, cioè, non una diligenza qualsiasi, ma una perizia qualificata nell’esecuzione della prestazione professionale, perizia intesa come conoscenza ed applicazione di quel complesso di regole tecniche proprie della categoria professionale di appartenenza.

Se invece l’incarico affidato comporta una professionalità di tipo intellettuale (cosiddetta prestazione d’opera intellettuale), la responsabilità del professionista è circoscritta ai soli casi di dolo, ovverosia di errore commesso volontariamente, e colpa grave, in quanto a mente dell’art. 2236 c.c. “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”.
Egli risponderà, chiaramente, anche per colpa lieve, laddove il caso non presenti le difficoltà suddette.

In base al quadro normativo sopra ricostruito, la Suprema Corte ha sempre riconosciuto la responsabilità contrattuale del patronato, ente per molti aspetti analogo alle associazioni professionali, che nell’esercizio della propria attività avesse commesso errori; e ciò anche nel caso in cui l’attività fosse stata svolta gratuitamente (Cass. sent. n. 1911/1973. e Corte d’Appello Roma n. 1849/2011).

Pertanto, è possibile affermare che Ella potrà agire in giudizio per il risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento contrattuale dell’associazione alla quale si è rivolta ed ha conferito mandato per la consulenza e partecipazione alla gara.

Qualora l’associazione venisse ritenuta responsabile sarebbe tenuta a risarcire i danni, intesi, in questo caso, come tutti i pregiudizi economici conseguenza dell’errore commesso e che, peraltro, sarebbe facile provare, in quanto Ella risultava già assegnataria del finanziamento a fondo perduto nella graduatoria provvisoria.

Tali valutazioni valgono in linea generale, salvo nello specifico valutare, concretamente, l’oggetto del mandato.
Occorrerà vagliare, infatti, se il mandato è stato conferito all’associazione o piuttosto ad un professionista esterno con il quale l’ente collabora.
Ed occorrerà, altresì, individuare precisamente l’oggetto del mandato.

Avendo l’associazione redatto anche il business plan, è altamente probabile (ma non certo) che nel mandato vi rientrasse altresì l’incarico di fare una valutazione sulla coltivabilità di detti terreni ed informare l’associato di eventuali vincoli che avrebbero impedito lo sviluppo e la crescita aziendale.
Se invece questa valutazione non rientrava nell’oggetto dell’incarico, che aveva ad oggetto solamente la compilazione della domanda di partecipazione al bando per il finanziamento e la consulenza mirata esclusivamente alla compilazione della stessa, nessuna responsabilità potrebbe essere imputata all’associazione.

Gianfranco M. chiede
lunedì 23/05/2016 - Campania
“Lavori in appalto - Carenza del progetto a base di gara emersa nel corso dei lavori - Responsabilità dell'impresa - Come si configura la normale diligenza ?”
Consulenza legale i 02/06/2016
Il quesito sottoposto alla nostra attenzione concerne i limiti della responsabilità per cui potrebbe essere chiamato a rispondere l'appaltatore relativamente all'esecuzione di un'opera.
Al fine di circoscrivere la responsabilità dell'appaltatore, occorre necessariamente fare riferimento alle numerose pronunce della Giurisprudenza sul punto.
In tema di contratto di appalto, la diligenza qualificata ex art. art. 1176 del c.c., comma 2, c.c., "che impone all'appaltatore (sia egli professionista o imprenditore) di realizzare l'opera a regola d'arte, impiegando le energie ed i mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell'attività esercitata, onde soddisfare l'interesse creditorio ed evitare possibili eventi dannosi, rileva anche se egli si attenga alle previsioni di un progetto altrui, sicché, ove sia il committente a predisporre il progetto e a fornire indicazioni per la sua realizzazione, l'appaltatore risponde dei vizi dell'opera se, fedelmente eseguendo il progetto e le indicazioni ricevute, non ne segnali eventuali carenze ed errori, il cui controllo e correzione rientra nella sua prestazione, mentre è esente da responsabilità ove il committente, edotto di tali carenze ed errori, richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o ribadisca le indicazioni, riducendo così l'appaltatore a proprio mero "nudus minister", direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità di iniziativa o vaglio critico" (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 2 febbraio 2016, n. 1981).
Al fine di comprendere al meglio i confini del dovere di diligenza imposto all'appaltatore, si ritiene utile richiamare una pronuncia in cui si evidenzia, in concreto, cosa comporti tale dovere di diligenza: "Trattandosi di opere edilizie da eseguirsi su strutture o basamenti preesistenti o preparati dal committente o da terzi, l'appaltatore viola il dovere di diligenza stabilito dall'art. 1176 c.c. se non verifica, nei limiti delle comuni regole dell'arte, l'idoneità delle anzidette strutture a reggere l'ulteriore opera commessagli, e ad assicurare la buona riuscita della medesima, ovvero se, accertata l'inidoneità di tali strutture, procede egualmente all'esecuzione dell'opera. Anche l'ipotesi della imprevedibilità di difficoltà di esecuzione dell'opera manifestatesi in corso d'opera derivanti da cause geologiche, idriche e simili, specificamente presa in considerazione in tema di appalto dall'art. 1664 comma 2 c.c. e legittimante se del caso il diritto ad un equo compenso in ragione della maggiore onerosità della prestazione, deve essere valutata sulla base della diligenza media in relazione al tipo di attività esercitata. E laddove l'appaltatore svolga anche i compiti di ingegnere progettista e di direttore dei lavori, l'obbligo di diligenza è ancora più rigoroso, essendo egli tenuto, in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, ad eseguire gli opportuni interventi per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi. La maggiore specificazione del contenuto dell'obbligazione non esclude infatti la rilevanza della diligenza come criterio determinativo della prestazione per quanto attiene agli aspetti dell'adempimento, sicché gli specifici criteri posti da particolari norme di settore (es. il riferimento ai c.d. "coefficienti di sicurezza" previsti dalla l. 5 novembre 1971 n. 1086 ed il relativo regolamento di attuazione d.m. 16 giugno 1976) non solo non valgono a ridurre o limitare la responsabilità dell'appaltatore ma sono per converso da intendersi nel senso che la relativa inosservanza viene a ridondare in termini di colpa grave dell'appaltatore" (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 31 maggio 2006, n. 12995).
Per concludere, con specifico riferimento ad eventuali carenze del progetto (posto a base di gara) emerse nel corso della realizzazione dell'opera "In materia di appalto, rientra tra gli obblighi di diligenza dell'appaltatore esercitare il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, di cui costituisce parte integrante - ai sensi del d.m. 11 marzo 1988, che disciplina i progetti relativi a gallerie e manufatti sotterranei - la relazione contenente i risultati delle indagini geologiche fondanti la scelta dell'ubicazione e del tracciato dell'opera e la previsione dei metodi di scavo, sicché permane in sede esecutiva l'obbligo dell'appaltatore di segnalare al committente le inesattezze delle informazioni risultanti dalla relazione geologica, al fine di promuovere le modifiche progettuali necessarie per la buona riuscita dell'opera" (cfr. Cassazione Civile, Sez. I, 31 dicembre 2013, n. 28812).

Daniele G. chiede
lunedì 11/04/2016 - Veneto
“Gent.mi Sig.ri,

La vicenda di cui sono stato coinvolto è la seguente e vi espongo il Fatto :

Ho lavorato come progettista per una immobiliare nel 1991, questa mi ha anticipato degli acconti e non ha mai versato il saldo.

Iniziata la causa, la sentenza di 1° su Treviso del 2005 mi da ragione, recupero il capitale, ma il Giudice si dimentica di inserire

nella sentenza gli interessi, il CAP e l'IVA. Quindi una sentenza monca.

Controparte fa ricorso in Appello su Venezia, la Corte d'Appello conferma che gli interessi sono dovuti per legge

ma non lo riporta dopo il PQM, mancando il fatto dispositivo. Questo accade nel 2009.

Il mio Legale di Treviso invia di sua iniziativa senza interpellarmi il precetto a controparte per il recupero degli interessi,

questi fanno opposizione, il Giudice mi da ragione e incasso anche gli interessi legali sul capitale nel 2011.

La causa continua, lo stesso Giudice in corso di causa cambia idea e vengo condannato dallo stesso alla restituzione degli interessi in

quanto non avevo titolo per chiederli, condannandomi alla rifusione delle spese di giudizio e legali. Questo accade nel 2014.

Oggi i miei clienti mi stanno inseguendo con una sentenza a loro favorevole.

Nel frattempo controparte fa ricorso in Cassazione e nel 2014 la causa viene cassata e ritorna alla Corte d'Appello di Venezia

ed è tutt'ora in corso dove dovranno valutare, confermare o variare capitale e interessi.

Domanda:

l'avv.to che mi ha seguito e che ha agito sapendo che non esisteva il titolo esecutivo in ordine

agli interessi legali non essendovi stata una condanna specifica nè con la sentenza di 1° nè con quella di 2°

che ha peraltro confermato la pronuncia del Tribunale di Treviso, risponde per i danni causati al sottoscritto ?

Il fatto che controparte risulti vittoriosa dimostra che l'avv.......... ha evidentemente commesso degli errori e

dovrebbe rispondere dei danni da me patiti.

Se l'avv.......... mi avesse prospettato i rischi non avrei assolutamente acconsentito all'invio del precetto.”
Consulenza legale i 18/04/2016
1. L'avv.to che mi ha seguito e che ha agito sapendo che non esisteva il titolo esecutivo in ordine agli interessi legali - non essendovi stata una condanna specifica né con la sentenza di 1° né con quella di 2°, che ha peraltro confermato la pronuncia del Tribunale di Treviso - risponde per i danni causati al sottoscritto ?
Nonostante l'iter giudiziale protrattosi per anni, si ritiene che difficilmente potrebbe ascriversi un profilo di responsabilità professionale in capo al Legale che ha notificato l'atto di precetto in relazione alla sentenza della Corte di Appello, nel quale veniva altresì richiesta la corresponsione, oltre che della somma capitale, degli interessi per il mancato pagamento dei compensi professionali nonostante non vi fosse una espressa pronuncia in tal senso da parte del Giudice.
Infatti, alla luce del dettato di cui all'art. 9, ultimo comma, della Legge 2 marzo 1949, n. 143, Approvazione della tariffa professionale degli ingegneri ed architetti (il quale stabilisce che "il pagamento a saldo della specifica deve farsi non oltre i sessanta giorni dalla consegna della stessa; dopo di che sulle somme dovute e non pagate decorrono a favore del professionista ed a carico del committente gli interessi legali ragguagliati al tasso ufficiale di sconto stabilito dalla Banca d'Italia"), si ritiene che si possa sostenere che la decorrenza degli interessi legali derivi da tale disposizione, più precisamente dal verificarsi del presupposto inserito in tale disposizione, ovvero decorsi i sessanta giorni dalla specifica.
In tale senso, la Giurisprudenza più risalente ha infatti chiarito che "l'art. 9 della tariffa professionale degli ingegneri e degli architetti, allegata alla legge n. 143 del 1949, pone un saggio "legale" degli interessi (ragguagliato al tasso ufficiale di sconto della Banca d'Italia) e, pertanto, deve trovare applicazione qualora uno degli indicati professionisti, nel domandare la liquidazione del compenso in conformità della tariffa professionale, faccia istanza degli interessi legali, senza che si renda necessaria la specifica invocazione di tale norma" (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 29 novembre 1995, n. 12349).
Nello stesso senso, la Giurisprudenza più recente: "L'art. 9, ultimo comma, l. 2 marzo 1949 n. 143, nello stabilire che il pagamento dei compensi dovuti agli ingegneri o agli architetti deve essere eseguito entro sessanta giorni dalla consegna della specifica, collega alla scadenza di tale termine la decorrenza degli interessi legali ragguagliati al tasso ufficiale di sconto" (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 4 giugno 2010, n. 13646).
Tale interpretazione, infatti, sembra essere stata confermata dal Collegio della Corte di Appello, laddove, secondo quanto sintetizzato nella formulazione del quesito, pure non avendo inserito nel dispositivo una statuizione in tale senso, ha confermato in motivazione che la corresponsione degli interessi deriva ex lege.
D'altro canto, al fine di inquadrare in maniera completa la questione, occorre comunque richiamare altro filone della Suprema Corte, dal quale sembrerebbe derivare che occorra una pronuncia espressa del Giudice con riferimento al verificarsi dei presupposti richiamati per potere richiedere, oltre alla somma capitale, anche gli interessi.
"In tema di obbligazioni pecuniarie, costituiscono "interessi legali" non soltanto quelli stabiliti dall'art. 1284 c.c., ma anche qualsiasi interesse che, ancorché in misura diversa, sia previsto dalla legge. Ne consegue che, in ipotesi di domanda di liquidazione del compenso proposta da un ingegnere o da un architetto, prevedendo l'art. 9 della tariffa professionale, approvata con l. 2 marzo 1949 n. 143, che gli interessi moratori sulle somme dovute a titolo di onorari sono ragguagliati al tasso ufficiale di sconto e maturano dopo il decorso di sessanta giorni dalla consegna della specifica da parte del professionista, ai fini della doverosità del saggio e della decorrenza degli accessori, il giudice deve verificare unicamente la sussistenza dei presupposti indicati dalla citata norma" (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 4 luglio 2012, n. 11187).
Nel caso di specie, comunque, non sembra essere in dubbio che la relativa domanda - volta ad ottenere gli interessi - sia stata tempestivamente proposta nel giudizio introduttivo: "fuori dell'ipotesi di interessi su una somma dovuta a titolo di risarcimento del danno, i quali ne integrano una componente nascente dal medesimo fatto generatore, gli interessi stessi, siano moratori, corrispettivi o compensativi, hanno un fondamento autonomo rispetto all'obbligazione pecuniaria cui accedono, e, pertanto, possono essere attribuiti solo su espressa domanda della parte, che ne indichi la fonte e la misura" (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 24 novembre 2010, n. 23843).
Pertanto, alla luce della norma richiamata e della interpretazione fornita dalla Suprema Corte, la notifica del precetto nel quale veniva richiesto altresì il pagamento degli interessi legali non sembra configurare profili di responsabilità professionale in capo al difensore, poiché, si ripete, sembra sostenibile la richiesta di liquidazione degli interessi pure in assenza di una espressa pronuncia del Giudice.
2. Il fatto che controparte risulti vittoriosa dimostra che l'avv. Y ha evidentemente commesso degli errori e dovrebbe rispondere dei danni da me patiti?
Si ritiene che si debba rispondere negativamente a tale secondo quesito poiché, oltre ad avere dimostrato che, nel caso di specie, il Legale non sembra essere incorso in un difetto di diligenza, in ogni caso, se si applicasse quanto suggerito, si giungerebbe al paradosso secondo il quale, ogni qual volta una parte risultasse soccombente in giudizio, potrebbe richiedere il risarcimento dei danni al Legale.
Al contrario è pacifico che "l'inadempimento dell'avvocato non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua della violazione dei doveri inerenti lo svolgimento dell'attività professionale e, in particolare, al dovere di diligenza. Tale dovere - trovando applicazione in subiecta materia il parametro della diligenza professionale ex art. 1176, comma 2, c.c., in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia deve essere commisurato alla natura dell'attività esercitata, sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento dell'attività professionale in favore del cliente è quella media, cioè la diligenza posta nell'esercizio della propria attività dal professionista di preparazione professionale e di attenzione media" (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 16 febbraio 2016, n. 2954).
Nel nostro ordinamento "la verifica della diligenza dell'avvocato nell'espletamento dell'obbligazione - che è di regola di mezzi e non di risultato - va compiuta attraverso un giudizio prognostico circa l'attività astrattamente esigibile dal legale tenendo conto della adozione di quei mezzi difensivi che, al momento del conferimento dell'incarico professionale e, quindi, dell'instaurazione del giudizio, dovevano apparire funzionali alla migliore tutela dell'interesse della parte dal medesimo difesa (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 8 settembre 2015, n. 17758).
Si ripete che sia la sentenza della Corte di Appello del 2009, sia la sentenza del 2011, ha condiviso la lettura dell'art. 9, ultimo comma, della Legge n. 143/1949 fornita da una parte della Giurisprudenza e dal Legale, secondo il quale, la corresponsione degli interessi deriva automaticamente dalla applicazione della norma.

Flavio C. chiede
lunedì 07/03/2016 - Lombardia
“Buongiorno. Per cortesia desidero chiarimenti sulla diligenza del buon padre di famiglia per:
a) amministratore di condominio: che obbligo ha nel controllare che le parti del condominio , anche se private come i parapetti dei balconi, sono rovinate e necessitano di manutenzione ? Nel mio caso
trattasi di manutenzione di parapetti di balconi in ferro che non hanno manutenzione da oltre 30 anni e di conseguenza la ruggine trasportata dall'acqua piovana ha rovinato un serramento sottostante
b) ma i parapetti dei balconi di un condominio sono parti comuni o parti private del proprietario dell'appartamento ?
c) sempre chiarimenti della diligenza del buon padre di famiglia per:
c1) proprietario di appartamento che non cura minimamente il suo serramento a vetri esterno
c2) proprietario del balcone soprastante l'appartamento di cui al c1
che non mantiene il proprio balcone
Inoltre ancora:
il balcone è condominiale o privato per la sua manutenzione ?

Grazie della risposta riportando anche gli articoli del codice civile inerenti.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 14/03/2016
A) In via generale i balconi di un edificio rappresentano beni privati, poiché l'ordinamento non li menziona nell'elenco delle parti comuni di cui all'art. 1117 c.c., non essendo destinati all'uso o al servizio dell'edificio stesso.
Dottrina e giurisprudenza ormai considerano i balconi di proprietà esclusiva per quanto attiene la possibilità di affaccio e di utilizzazione, in quanto essi rappresentano la proiezione esterna della proprietà individuale; mentre tendono a considerarli come parti di proprietà comune per la parte relativa alla facciata, della quale costituiscono un elemento essenziale.
In certi casi è pertanto previsto che all'amministratore spetti il potere di imporre al proprietario del balcone l'esecuzione delle opere necessarie ad eliminare gli eventuali danni che potrebbero essere lesivi di un interesse comune (il caso tipico sono le infiltrazioni che vanno ad interessare la parte sottostante il balcone, cagionandone il deterioramento), e da cui derivi anche un danno al decoro dell'edificio. Proprio il rivestimento del parapetto di un balcone rientra in tale ultima previsione, poiché adempie appunto ad una funzione decorativa dell'intero edificio, contribuendo a formare l'estetica della costruzione e decorandone la facciata.

B) I balconi rappresentano una proiezione verso l'esterno del singolo appartamento: di conseguenza, le parti di cui sono composti (tra cui appunto anche i parapetti) costituiscono una pertinenza, cioè un accessorio, del medesimo balcone. In tal senso depone anche una lettura analogica dell'art. 1125 c.c., in base al quale il solaio tra due piani (interpiano) è di proprietà dei due appartamenti e le spese di riparazione vanno divise tra questi ultimi: pertanto, se il balcone rappresenta la proiezione verso l'esterno del solaio (interpiano) tra due unità immobiliari, l'intero balcone, e quindi anche i suoi elementi costitutivi, hanno natura privata. L'unica eccezione, ai sensi dell'art. 1117 c.c., si ha quando i parapetti dei balconi presentano elementi di carattere tale da abbellire l'edificio (ad esempio se vi sono particolari ornamenti, come fregi o balaustre). In tale ultimo caso, possedendo il balcone elementi che contribuiscono a migliorare il decoro architettonico dell'edificio, esso diventa di proprietà comune.

Nel caso di specie, quindi, si deve ritenere che in via generale il parapetto svolga la funzione di mero strumento di protezione, e pertanto sarà di proprietà esclusiva del condomino, al quale spetta la sua manutenzione, salvo il caso in cui presenti particolari elementi decorativi nella parte inferiore e frontale, nel qual caso invece avrà natura comune (in tal senso, anche Cass. civ., 5 gennaio 2011, n. 218; Cass., 24 dicembre 1994, n. 11155).

C1) Con riferimento ai serramenti esterni in vetro, il codice civile non ne detta una disciplina espressa: la giurisprudenza (da ultima Cass., 5 febbraio 2015, n. 2109) vi ha allora esteso i principi dettati in tema di balconi delineati al punto A), cui si rinvia.

C2) La responsabilità verso terzi si distingue in base alla conformazione del balcone: pertanto occorre distinguere tra due diverse situazioni.
Quanto al balcone incassato (quello che non fuoriesce dalla facciata dell'edificio), la giurisprudenza applica una interpretazione estensiva e li considera alla stregua dei solai, che ai sensi dell'art. 1125 c.c. appartengono ai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastante e le cui spese sono sostenute per metà da ciascuno di essi. In altre parole, i balconi incassati, nella parte relativa al piano di calpestio, sono in proprietà comune tra il proprietario del piano superiore e quello del piano inferiore. In tal caso, in presenza di un danno proveniente dal piano superiore che reca pregiudizio al piano inferiore, il proprietario di quest'ultimo è legittimato a chiedere l'eliminazione della causa del danno e il risarcimento dello stesso.
Diverso il caso del balcone aggettante (quello che sporge dalla facciata dell'edificio), il quale, come anzidetto, è di proprietà esclusiva, pertanto se da esso provengono danni il suo proprietario è tenuto a risarcirli, oltre a dover eliminare la causa dannosa (Cass. 27 luglio 2012,n. 13509).

D) Quanto alle spese per la manutenzione dei balconi, ricollegandosi alla risposta di cui al punto B), occorre distinguere. In via generale, se si tratta di balconi aggettanti, le spese per la manutenzione del balcone saranno a carico del proprietario dell'appartamento di cui il balcone rappresenta il prolungamento (Cass. 23 settembre 2003, n. 14076).
Per i balconi incassati, invece, la soletta sarà di proprietà comune del condomino dell'appartamento del piano superiore e di quello del piano inferiore, cui serve rispettivamente da piano di calpestio e da copertura (in tal senso Cass. 17 luglio 2007, n. 15913; Cass. 30 luglio 2004, n. 14576). Ciò significa, ai sensi dell'art. 1125 c.c., che le spese per la manutenzione vanno sostenute in parti uguali dai proprietari dei due piano l'uno all'altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.
Infine, se i balconi presentano elementi decorativi tali da abbellire l'edificio, essendo appunto elementi architettonici della facciata e quindi beni comuni ai sensi dell'art. 1117, n. 3, c.c., le spese saranno a carico di tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà (così Cass. 5 gennaio 2011, n. 218).

Anna G. chiede
giovedì 29/10/2015 - Emilia-Romagna
“Buongiorno, sono la titolare di una casa vacanza a B. e alcuni giorni fa mi sono trovata in overbooking per colpa di un ospite, in realtà tre, di cui la ditta non aveva segnalato adeguatamente l’arrivo. Contemporaneamente ho avuto un’ulteriore prenotazione tramite motore web da un altro ospite. Poiché la sua carta di credito non era valida e quindi la prenotazione non poteva essere accettata, ci siamo sentiti telefonicamente e questi, non io, ha deciso di cancellarsi on line da booking, affermando che avrebbe saldato di persona la sua prenotazione all’arrivo presso la struttura. Accettata verbalmente la proposta ed inviatigli i codici per l’accesso, nel contempo mi accorgo che l’appartamento è già stato occupato nottetempo dagli altri ospiti di cui sopra, che essendo abituali, sono in possesso del codice per l’ingresso autonomo. A questo punto, per seguire correttamente la normativa in materia di turismo, e come già fatto altre volte con piena soddisfazione dei miei mancati ospiti, prenoto l’albergo tre stelle “Hotel D.B.“ a poche centinaia di metri dalla mia casa vacanza.
Questo per dare una sistemazione addirittura migliore della mia residenza e ad un prezzo da me concordato con l’albergatore, inferiore del 20% a quanto richiesto dalla mia struttura.
Avvertito telefonicamente l’ospite del cambio ho sentito un, a mio parere, ingiustificato malumore, con minacce di future ritorsioni.
Pochi giorni fa ricevo una mail in cui mi vengono chiesti 300 euro di risarcimento danni, perché la mia condotta avrebbe "disatteso in toto i principi di correttezza e diligenza sanciti dagli artt. 1175 - 1176 c.c. essendo venuto meno alle obbligazioni sorte in virtù della prenotazione effettuata".
Ora porrei queste domande:
1) Era già in essere un contratto tra le parti anche senza scambio di denaro né di contratti scritti per cui, a prescindere da tutto, ero obbligata nei suoi confronti?
2) E’ possibile che il cliente abbia ragione nel chiedere un risarcimento pur avendo potuto godere di una sistemazione più vantaggiosa, sia per prezzo che per location?
3) Sostenere che “non ha trovato una sistemazione analoga e soddisfacente” per cui avrebbe dovuto anticipare il ritorno a L. può essere sostenuto, tenendo conto che questi non è mai stato nel mio appartamento, e quindi sembrerebbe impossibile una comparazione?
4) Mi conviene rispondere argomentando le mie ragioni, o lasciare perdere considerandolo solo uno che ci ha provato?
5) Potrebbe da L. essere interessato ad una causa a B.? Ci sarebbero i presupposti?

In attesa di risposta invio i più cordiali saluti.”
Consulenza legale i 30/10/2015
1) Ai sensi dell'art. 1 della legge 431/1998, comma quarto, "A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta".
L'articolo 1 esclude l'applicazione di alcune norme (articoli 2, 3, 4, 4-bis, 7, 8 e 13) agli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche, ma non vi ricomprende lo stesso art. 1, quindi normalmente si interpreta la norma nel senso che tutti i contratti di locazione vadano conclusi in forma scritta, anche quelli turistici.

Il contratto con cui una parte mette a favore dell'altra un appartamento a scopo turistico è un vero e proprio contratto di locazione, quindi dovrebbe essere concluso per iscritto.

Per forma scritta si intende che lo scambio di consenso delle parti deve essere avvenuto per iscritto, anche se non è stato formalmente firmato un "contratto" con tutte le relative clausole.

Nel caso di specie, il contratto potrebbe dirsi perfezionato in base all'inequivocabile scambio di email avvenuto tra le parti, da cui si evince che senza dubbio i soggetti hanno inteso concludere un accordo per la locazione dell'immobile. Il pagamento del prezzo potrebbe costituire la fase "esecutiva" dell'accordo, che, per intesa tra le parti, può certamente avvenire in un momento successivo al mero scambio del consenso mediante l'incontro di offerta e accettazione (art. 1326 del c.c.).

Il contratto, quindi, si potrebbe ritenere validamente sorto.
Tuttavia, l'idoneità di una email a costituire la "forma scritta" di un contratto non è ancora del tutto pacifica in giurisprudenza, quindi il perfezionamento del negozio giuridico potrebbe essere ragionevolmente contestato in tribunale.

2-3) Questo è il punto nodale della vicenda. Atteso che certamente la parte che ha offerto l'appartamento è risultata inadempiente alla sua obbligazione principale (mettere a disposizione il bene promesso), deve comprendersi se il fatto di aver reperito diversa struttura per il pernottamento possa in qualche modo "sanare" l'inadempimento.

Vediamo la normativa.
Ci troviamo in presenza di una c.d. casa-vacanza, cioè un immobile arredato per l'affitto ai turisti.
Il d.lgs. 79/2011 (Codice della normativa statale in tema di turismo), all'art. 12, prevede che ai fini del medesimo decreto legislativo, "sono considerate strutture ricettive extralberghiere [...] d) le unità abitative ammobiliate ad uso turistico", che sono "case o appartamenti, arredati e dotati di servizi igienici e di cucina autonomi, dati in locazione ai turisti, nel corso di una o più stagioni, con contratti aventi validità non inferiore a sette giorni e non superiore a sei mesi consecutivi senza la prestazione di alcun servizio di tipo alberghiero".
Le unità abitative ammobiliate a uso turistico possono essere gestite in forma imprenditoriale (come nel caso di specie, in base alla documentazione esaminata); in forma non imprenditoriale, da coloro che hanno la disponibilità fino ad un massimo di quattro unità abitative, senza organizzazione in forma di impresa; con gestione non diretta, da parte di agenzie immobiliari e società di gestione immobiliare turistica.

Il codice del turismo disciplina i contratti aventi ad oggetto i pacchetti turistici, ma nel nostro caso non si è avuta la vendita di un pacchetto, bensì la sola locazione di un alloggio turistico. L'art. 53 del d.lgs. 79/2011 dice, allora, che gli alloggi locali esclusivamente per finalità turistiche, in qualsiasi luogo ubicati, sono regolati dalle disposizioni del codice civile in tema di locazione.

La vicenda va pertanto inquadrata nello schema generale della responsabilità per inadempimento disciplinata dal codice civile agli artt. 1218 e seguenti, nonché dalle norme in materia di obbligazioni.

In particolare, è opportuno richiamare l'art. 1197 del c.c., il quale prevede che il debitore (nel nostro caso, il locatore dell'immobile) non possa liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta: solo in questo caso l'obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita.
Nella fattispecie in esame, il debitore ha offerto una prestazione diversa, non potendo eseguire quella promessa, ma il creditore non l'ha accettata. Di conseguenza, egli non può dirsi liberato dal suo obbligo solo per aver offerto una diversa sistemazione e risulta inadempiente nei confronti del creditore, che appare legittimato a chiedere l'eventuale restituzione del prezzo (nel nostro caso, mai pagato) e il risarcimento del danno.

Circa l'entità del risarcimento, tuttavia, c'è qualcosa da precisare. Difatti, non ogni conseguenza derivante dall'inadempimento diventa un "danno" che il debitore deve risarcire, bensì solo la perdita subita dal creditore e/o il mancato guadagno, in quanto siano conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento (art. 1223 del c.c.). Inoltre, ai sensi dell'art. 225 del c.c., se l'inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore (e qui il locatore ha dovuto cancellare la prenotazione non per sua colpa), il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione

Nel caso di specie, la scelta del cliente di ripartire subito per L. - con tutti gli aggiuntivi costi di viaggio - e di non usufruire della diversa sistemazione offerta dal debitore ci sembra non riconducibile ad una conseguenza diretta o prevedibile del fatto di non aver potuto pernottare nell'appartamento. Le circostanze del caso (es. il fatto che egli dovesse trascorrere una sola notte) inducono a ritenere che egli avrebbe potuto chiedere quale risarcimento del danno, al più, il prezzo della sistemazione in altro albergo.

Inoltre, ci sembra che il comportamento del locatore sia stato rispettoso dei principi di diligenza e buona fede nell'esecuzione del contratto, poiché il cliente è stato tempestivamente avvisato dell'indisponibilità dell'appartamento e gli è stata offerta una soluzione alternativa assolutamente accettabile.

4) Poiché si ravvisa la parziale fondatezza delle ragioni avversarie, è consigliabile dare riscontro alla missiva, ma solo una volta che essa sarà spedita in forma di raccomandata a.r. (in giudizio, infatti, una richiesta di risarcimento intimata con email non fa fede circa l'avvenuto ricevimento della stessa da parte del destinatario). Qualora la raccomandata dovesse arrivare, si consiglia di proporre in via conciliativa la rifusione di una somma pari al pernottamento di una notte. Ogni altro danno e circostanza dovrebbe essere provato in giudizio dal cliente.

5) Una eventuale causa dinnanzi al Giudice di pace potrebbe essere instaurata anche a L., luogo di residenza del cliente, in base alla normativa del codice del consumo che prevede, per i contratti conclusi a distanza (ad esempio, in via telematica), la competenza territoriale inderogabile del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore (art. 63 Cod. cons.).
La qualifica di "consumatore" in capo al locatario e di "professionista" in capo al locatore sembra giustificata dall'imprenditorialità che caratterizza l'attività di quest'ultimo.

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