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Articolo 2702 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Efficacia della scrittura privata

Dispositivo dell'art. 2702 Codice Civile

La scrittura privata [1967, 2701, 2715, 2821, 2835] fa piena prova(1), fino a querela di falso [221 c.p.c.], della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione(2), ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta [2652 n. 3; 214 c.p.c. 215 c.p.c.](3)(4).

Note

(1) Viene qui in rilievo la fondamentale regola generale secondo cui nessuno può addurre elementi probatori a favore di sé stesso: di conseguenza, in ordine al contenuto delle dichiarazioni, la scrittura privata avrà efficacia probatoria soltanto per quanto affermato dalla parte sottoscrivente contro il suo interesse.
(2) L'accertamento dell'autenticità delle firme, principalmente in relazione al riconoscimento espresso o tacito (v. 215 c.p.c.) di colui contro il quale il documento è prodotto, fa piena prova della paternità dell'atto. Tuttavia, anche nel caso in cui questi disconosca la propria dichiarazione o la propria sottoscrizione, la parte che voglia sfruttarla può proporre il procedimento di verificazione della scrittura privata (v. 216 ss. c.p.c.) per ottenerne l'accertamento giudiziale.
(3) Valore di scrittura privata riconosciuta è stato attribuito anche al documento informatico sottoscritto con firma elettronica nel rispetto delle regole tecniche che garantiscano l'identificabilità dell'autore, l'integrità e l'immodificabilità del documento. L'art. 15, comma 2, della L. 59/97 (Bassanini) ha conferito infatti al documento informatico la medesima validità e rilevanza giuridica degli atti redatti su supporto cartaceo, e, successivamente, il D. P. R. 28 dicembre 2000, n. 445 ha confermato tale principio decisamente innovativo per il nostro ordinamento, sancendone la validità a tutti gli effetti di legge, sia sotto il profilo della validità, sia sotto il profilo dell'efficacia probatoria. L'unica condizione richiesta è l'osservanza delle disposizioni del decreto, le quali hanno prescritto la necessità della firma digitale e di una serie di complessi requisiti tecnici, in grado di garantire in maniera univoca provenienza e integrità del documento informatico. L'art. 10 dello stesso decreto stabilisce poi l'estensione delle disposizioni dell'art. 2712 al documento informatico, attribuendogli quindi la possibilità di formare piena prova in ordine alle cose e ai fatti in esso rappresentate, sempre che la parte contro cui sono prodotte non le disconosca.
(4) Inoltre, è legalmente riconosciuta la sottoscrizione autenticata da un notaio o altro pubblico ufficiale competente, previo accertamento dell'autenticità della parte sottoscrivente (v. 2703).

Ratio Legis

La norma definisce la seconda prova documentale principale, ossia la scrittura privata. Come l'atto pubblico (v. 2699), essa fa "piena prova" della paternità del documento, purché sia accertata l'autenticità delle firme.

Brocardi

Fiunt scripturae, ut quod actum est, per eas facilius probari possit
Subscribens consentire subscriptis censetur

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

1106 L'efficacia probatoria della scrittura privata riconosciuta o da considerarsi legalmente come riconosciuta è determinata dall'art. 2702 del c.c. con una formula radicalmente diversa da quella dell'art. 1320 del codice del 1865, il quale confondeva o almeno fondeva insieme, in una proposizione pregnante ma oscura e tecnicamente non esatta, l'efficacia probatoria delle dichiarazioni con quella del documento e forse anche l'efficacia negoziale con quella probatoria. E da questo era derivata la limitazione soggettiva, contenuta nell'art. 1320, della « fede » che si attribuiva alla scrittura tra quelli che l'avessero sottoscritta e tra i loro eredi ed aventi causa; da questo era derivata anche la disposizione successiva, ed ora soppressa, dall'art. 1324. In realtà, la scrittura come documento, in concorso col successivo riconoscimento della sottoscrizione o col fatto che essa debba legalmente considerarsi come riconosciuta, non fa prova se non di ciò: che le dichiarazioni che essa contiene sono (o valgono come se fossero) dichiarazioni provenienti da chi le ha sottoscritte (o legalmente si ritiene le abbia sottoscritte). E questo per l'appunto dispone l'art. 2702, Quali siano poi le conseguenze giuridiche che derivano dalla dichiarazione, in quanto ne sia così accertata la provenienza, è problema che va risolto secondo i principi generali sulle dichiarazioni negoziali o confessarle od enunciative e non riguarda l'efficacia probatoria del documento. Non ho riprodotto gli articoli 1321 e 1322 del codice anteriore relativi al disconoscimento della scrittura privata e alla verificazione di essa, poiché il loro contenuto è trasfuso negli articoli 214 e 216 del codice di procedura civile. Cosi pure, come ho detto dianzi, non ho riprodotto il disposto dell'art. 1324, perché, rettificata la formula dell'art. 1320 del codice precedente, è troppo ovvio che il riconoscimento della scrittura non può precludere a colui contro il quale si produce di opporre le sue ragioni contro il contenuto dell'atto. E' eliminata dal testo del nuovo codice la disposizione dell'art. 1325 del codice anteriore, il quale, per le scritture che contenessero l'obbligazione unilaterale di pagare una somma di danaro o di dare altra cosa valutata in quantità, esigeva, ove non fossero scritte per intero da chi si obbligava, che questi alla propria sottoscrizione aggiungesse un buono o approvato.Indicante in lettere per disteso la somma o la quantità ricevuta. Soppressa ogni distinzione tra materia civile e commerciale, non sarebbe stato possibile mantenere ancora in vita la disposizione anzidetta, circoscritta dal codice precedente alle materie civili, se non estendendola, con evidente regresso, a una massa di rapporti a cui per l'innanzi non si applicava. La rilevata soppressione della distinzione tra materia civile e materia commerciale non consentiva altresì che l'opponibilità della data delle scritture private ai terzi fosse regolata da un duplice sistema: non rimaneva pertanto che o adottare il sistema sancito dall'art. 1327 del precedente codice civile, per il quale la data non è computabile rispetto al terzi se non dal momento in cui si sono avverati determinati fatti che le conferiscono assoluta certezza, ovvero ammettere la libertà di prova consentita dall'art. 55, secondo comma, dal codice di commercio del 1882 Ho preferito adottare il primo sistema, come quello che offre al terzi una più efficace tutela, e ho riprodotto (art. 2704 del c.c., primo comma), con alcuni ritocchi, l'articolo 1327 del codice civile anteriore. Temperando l'assolutezza della norma, ho però disposto che la data delle scritture private non recettizie si possa accertare con ogni mezzo e che, tenuto conto delle circostanze, qualsiasi mezzo di prova possa il giudice ammettere per l'accertamento della data delle quietanze (art. 2704, secondo e terzo comma).

Massime relative all'art. 2702 Codice Civile

Cass. civ. n. 8718/2023

In caso di documento prodotto in copia, è ammissibile la querela di falso proposta direttamente contro quest'ultima senza previo disconoscimento della sua conformità all'originale, dal momento che l'efficacia probatoria (piena) della copia fotostatica della scrittura privata conforme all'originale alterato o contraffatto si presta ad essere rimossa con il giudizio di falso.

Cass. civ. n. 7242/2023

La scrittura privata non autenticata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da colui che l'ha sottoscritta se la sottoscrizione è considerata riconosciuta dalla legge processuale. Peraltro, il giudice, davanti al quale sia proposta istanza di verificazione di scrittura privata non autenticata e tempestivamente disconosciuta dalla parte contro cui è prodotta, ha l'obbligo di pronunciarsi sulla stessa, purché la prova relativa all'autenticità della sottoscrizione sia rilevante ai fini della decisione del merito della controversia.

Cass. civ. n. 27362/2022

Qualora una scrittura privata sia prodotta in giudizio dalla medesima parte che deduce la non autenticità della propria apparente sottoscrizione non trovano applicazione gli articoli 214 e 215 c.p.c., i quali postulano, al pari dell'art. 2702 c.c., che il documento del quale si alleghi la falsità della firma sia stato prodotto in giudizio dall'altra parte, e non dall'apparente sottoscrittore.

Cass. civ. n. 24835/2022

La domanda giudiziale di nullità del testamento olografo per difetto di autografia configura un'azione di accertamento negativo della provenienza della scrittura, con la conseguenza che l'onere della prova grava sulla parte che l'ha proposta, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo.

Cass. civ. n. 3086/2022

La mancata proposizione dell'istanza di verificazione, al pari della successiva rinuncia alla stessa, privando il documento disconosciuto di ogni inferenza probatoria, ne preclude al giudice la valutazione ai fini della formazione del proprio convincimento, senza che gli sia consentito maturare altrimenti il giudizio sulla sua autenticità in base ad elementi estrinseci alla scrittura o ad argomenti logici, divenendo perciò il documento irrilevante, e non utilizzabile, nei riguardi non solo della parte che lo disconosce, ma anche, e segnatamente, della parte che lo ha prodotto.

Cass. civ. n. 32061/2021

Una volta che sia stata dedotta in giudizio dal creditore la falsità materiale di una quietanza, sul presupposto che il debitore, successivamente alla sottoscrizione da parte del creditore, non disconosciuta, abbia apposto la dicitura "a saldo di ogni avere", è onere del sottoscrittore proporre querela di falso per fornire la prova dell'avvenuta contraffazione del documento ed interrompere il collegamento, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione. Ne consegue che, a fronte della produzione della quietanza da parte del debitore, il creditore, che non disconosca la sottoscrizione ivi apposta, ma si limiti ad affermare che il documento era stato manomesso nel contenuto con l'aggiunta della parola "saldo" previa cancellazione della parola "acconto" senza che fosse stata convenuta dalle parti una simile correzione, ha l'onere di proporre querela di falso per fornire la prova dell'avvenuta contraffazione del documento.

Cass. civ. n. 31243/2021

La querela di falso relativa a una scrittura privata postula che quest'ultima sia stata riconosciuta volontariamente dal suo autore o si consideri legalmente tale ai sensi dell'art. 2702 c.c. e che il querelante intenda eliminare l'efficacia probatoria attribuitale dalla suddetta disposizione o contestarne la genuinità, dimostrando l'avvenuta contraffazione e interrompendo così il collegamento esistente, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione, sicché la relativa proposizione presuppone che la scrittura rechi la sottoscrizione, quale suo elemento essenziale, oltre alla originalità del documento. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 15/10/2015).

Cass. civ. n. 6890/2021

Il disconoscimento preventivo della firma apposta su una scrittura privata, non ancora depositata in giudizio, è idoneo ad impedire il riconoscimento tacito, ai fini degli artt. 214 e 215 c.p.c., quando vi sia certezza del riferimento ad una scrittura determinata e conosciuta dalle parti e la stessa rappresenti un elemento probatorio rilevante nell'economia della controversia. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 19/02/2016).

Cass. civ. n. 24841/2020

Il riconoscimento tacito della scrittura privata, ai sensi dell'art. 215 c.p.c., e la verificazione ex art. 216 c.p.c., attribuiscono ad essa il valore di piena prova fino a querela di falso, secondo quanto dispone l'art. 2702 c.c., della sola provenienza da chi ne appare sottoscrittore, ma non anche della veridicità del contenuto, sicché quest'ultimo può essere contestato con ogni mezzo di prova, entro i rispettivi limiti di ammissibilità; ne consegue che la querela di falso sarà esperibile nel caso di falsità materiale, al fine di scindere il collegamento, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione, ma non in quello di falsità ideologica, per impugnare la veridicità di quanto dichiarato, al qual fine può invece farsi ricorso alle normali azioni volte a rilevare il contrasto tra volontà e dichiarazione. (Principio enunciato in una fattispecie, relativa al processo tributario, nella quale la S.C. ha ritenuto che l'Agenzia delle entrate, pur non avendo disconosciuto tempestivamente la copia di un atto di scioglimento societario ed essendosi quindi verificato il riconoscimento tacito, non avesse alcun onere di proporre, nel corso del giudizio di merito, la querela di falso della scrittura riconosciuta, potendo contrastarne il contenuto probatorio in ogni modo). (Rigetta, COMM.TRIB.REG. NAPOLI, 07/01/2015).

Cass. civ. n. 21554/2020

Le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente contestate dalle parti, non applicandosi alle stesse né la disciplina sostanziale di cui all'art. 2702 c.c., né quella processuale di cui all'art. 214 c.p.c., atteso che esse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MILANO, 17/06/2015).

Cass. civ. n. 18919/2020

L'onere del disconoscimento della scrittura privata e, correlativamente, l'eventuale verificarsi del riconoscimento tacito, ai sensi dell'art. 215 c.p.c., presuppongono che il documento prodotto contro una parte provenga dalla stessa, oppure da un soggetto che la rappresenti, in quanto munito di procura, ovvero, trattandosi di persona giuridica, in ragione del rapporto organico in base al quale può impegnare la responsabilità dell'ente; ne consegue che in presenza di un documento firmato da due diversi soggetti, entrambi parti del processo, il disconoscimento operato da uno di essi spiega effetti limitatamente alla sua posizione processuale, mentre nei confronti dell'altro firmatario il documento spiega piena efficacia probatoria. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 02/02/2017).

Cass. civ. n. 15823/2020

Alla parte cui sia riferita una scrittura privata è sempre consentito non solo di disconoscerla, così facendo carico alla controparte della verificazione, ma anche di proporre alternativamente la querela di falso, al fine di negare definitivamente la genuinità del documento, poiché in difetto di limitazioni di legge non può negarsi la facoltà di optare per uno strumento più gravoso ma rivolto al perseguimento di un risultato più ampio e definitivo, qual è quello della completa rimozione del valore dell'atto con effetti "erga omnes". (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza d'appello che aveva reputato non proponibile la querela di falso, se non dopo l'esito sfavorevole dell'eventuale verificazione, in relazione alla sottoscrizione di alcune distinte bancarie di versamento e prelevamento). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 16/01/2018).

Cass. civ. n. 12118/2020

Il soggetto che proponga querela di falso può valersi di ogni mezzo ordinario di prova e quindi anche delle presunzioni, utilizzabili in particolare quando il disconoscimento dell'autenticità non si estenda alla sottoscrizione e sia lamentato il riempimento di documento "absque pactis", con conseguente contestazione del nesso fra il testo ed il suo autore.

Cass. civ. n. 7681/2019

In ipotesi di dichiarazione sottoscritta, pur se contenuta in più fogli dei quali solo l'ultimo firmato, poiché la sottoscrizione, ai sensi dell'art. 2702 c.c., si riferisce all'intera dichiarazione e non al solo foglio che la contiene, la scrittura privata deve ritenersi valida ed efficace nel suo complesso, rimanendo irrilevante la mancata firma dei fogli precedenti, con la conseguenza che, al fine di impedire che l'intero contenuto della scrittura faccia stato nei confronti del sottoscrittore, quest'ultimo ha l'onere di proporre querela di falso. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 16/03/2015).

Cass. civ. n. 30948/2018

La produzione in giudizio di una scrittura privata non firmata da parte di chi avrebbe dovuto sottoscriverla equivale a sottoscrizione, ma non può determinare identico effetto nei confronti della controparte, neppure quando quest'ultima non ne abbia impugnato la provenienza, poiché le scritture non firmate non rientrano nel novero di quelle aventi valore giuridico formale e non producono, quindi, effetti sostanziali e probatori. Ne consegue che la parte, contro la quale esse siano state prodotte, non ha l'onere di disconoscerne l'autenticità ex art. 215 c.p.c., norma che si riferisce al solo riconoscimento della sottoscrizione, questa essendo, ai sensi dell'art. 2702 c.c., l'unico elemento grafico in virtù del quale - salvi i casi diversamente regolati (artt. 2705, 2707, 2708 e 2709 c.c.) - la scrittura diviene riferibile al soggetto da cui proviene e può produrre effetti a suo carico.

Cass. civ. n. 11606/2018

In tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime.

Cass. civ. n. 8766/2018

Il valore di prova legale della scrittura privata riconosciuta o da considerarsi tale, è limitato alla provenienza della dichiarazione del sottoscrittore e non si estende al contenuto della medesima, sicché la querela di falso è esperibile unicamente nei casi di falsità materiale per rompere il collegamento, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione e non in quella di falsità ideologica per impugnare la veridicità di quanto dichiarato, al qual fine può farsi invece ricorso alle normali azioni atte a rilevare il contrasto tra volontà e dichiarazione.

Cass. civ. n. 5523/2018

In tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) privo di firma elettronica non ha l'efficacia della scrittura privata prevista dall'art. 2702 c.c. quanto alla riferibilità al suo autore apparente, attribuita dall'art. 21 del d.l.vo n. 82 del 2005 solo al documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, sicché esso è liberamente valutabile dal giudice, ai sensi dell'art. 20 del medesimo decreto, in ordine all'idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità.

Cass. civ. n. 899/2018

Nel caso di sottoscrizione di documento in bianco, il riempimento “absque pactis” consiste in una falsità materiale realizzata trasformando il documento in qualcosa di diverso da quel che era in precedenza, mentre il riempimento “contra pacta” (o abuso di biancosegno) consiste in un inadempimento derivante dalla violazione del “mandatum ad scribendum”, il quale può avere un contenuto sia positivo che negativo; ne deriva che anche la violazione di un accordo sul riempimento avente contenuto negativo (quale è quello che prevede, a carico di chi riceve il documento, l’obbligo di non completarlo) integra un abuso di biancosegno, la cui dimostrazione non onera la parte che lo deduca alla proposizione di querela di falso.

Cass. civ. n. 27915/2017

Le disposizioni degli artt. 2702 c.c., 214 e 215 c.p.c., in tema di efficacia probatoria della scrittura privata che sia stata riconosciuta o che debba considerarsi come riconosciuta, si riferiscono al caso in cui il documento sia prodotto nei confronti del sottoscrittore, ovvero di un suo erede od avente causa; esse non riguardano, pertanto, la diversa ipotesi di produzione nei confronti del curatore dell'eredità giacente del sottoscrittore, il quale non soggiace all'onere di disconoscimento, non essendo la disciplina normativa sopra richiamata estensibile per analogia a chiunque possa trarre un vantaggio dalla caducazione della scrittura.

Cass. civ. n. 22460/2017

Il riconoscimento della scrittura privata può essere anche implicito ed essere efficacemente compiuto in sede extragiudiziale, non essendo necessaria in tale sede la produzione del documento ad opera della controparte, atteso che il riconoscimento, espresso o tacito, ove effettuato fuori dal processo, si inquadra nella fattispecie della dichiarazione confessoria stragiudiziale di cui all'art. 2735 c.c. ovvero della condotta concludente incompatibile con l'esercizio del disconoscimento in giudizio. Ne consegue che il sottoscrittore, che abbia, anche implicitamente, compiuto il riconoscimento in sede extragiudiziale, non può disconoscere la scrittura privata prodotta nel successivo giudizio e fatta valere contro di lui, ostando a ciò limiti, di cui all'art. 2732 c.c., alla revoca della confessione.

Cass. civ. n. 13321/2015

Il riconoscimento tacito della scrittura privata ai sensi dell'art. 215 cod. proc. civ. e la verificazione della stessa ex art. 216 stesso codice, attribuiscono alla scrittura il valore di piena prova fino a querela di falso, secondo quanto dispone l'art. 2702 cod. civ., della sola provenienza della stessa da chi ne appare come sottoscrittore e non anche della veridicità delle dichiarazioni in essa rappresentate, sicché il contenuto di queste ultime può essere contestato dal sottoscrittore con ogni mezzo di prova, entro i limiti di ammissibilità propri di ciascuno di essi. (Omissis).

Cass. civ. n. 16256/2013

La sottoscrizione apposta non in calce al documento, bensì a margine dello stesso fa presumere, in mancanza di prova contraria, l'espressione di una volontà di adesione della parte, che il giudice dovrà, se occorre, interpretare per stabilirne la portata ed i limiti in relazione alla fattispecie concreta.

Cass. civ. n. 18664/2012

La scrittura privata, una volta intervenuto il riconoscimento o un equipollente legale di questo, è assistita da una presunzione di veridicità per quanto attiene alla riferibilità di essa al suo sottoscrittore, sicché la difformità tra l'imputabilità formale del documento e l'effettiva titolarità della volontà che esso esprime, quando non attenga ad un'intrinseca divergenza del contenuto, ma all'estrinseco collegamento dell'espressione apparente, non è accertabile con i normali mezzi di contestazione e prova, ma soltanto con lo speciale procedimento previsto dalla legge per infirmare il collegamento fra dichiarazione e sottoscrizione, cioè con la querela di falso.

Cass. civ. n. 12528/2011

La proposizione della querela di falso, comportando la contestazione della corrispondenza al vero della scrittura ed implicando un accertamento incidentale circa l'autenticità medesima, rende superfluo il disconoscimento dell'autenticità della sottoscrizione.

Cass. civ. n. 1929/2009

Le disposizioni degli artt. 2702 c.c., 214 e 215 c.p.c., in tema di efficacia probatoria della scrittura privata che sia stata riconosciuta o che debba considerarsi come riconosciuta, si riferiscono al caso in cui il documento sia prodotto nei confronti del sottoscrittore, ovvero di un suo erede od avente causa, e non riguardano, pertanto, la diversa ipotesi di produzione nei confronti del curatore dell'eredità giacente del sottoscrittore. (Nel caso di specie la parte convenuta in un'azione di rilascio immobiliare aveva prodotto un contratto preliminare di compravendita stipulato, in qualità di promissario acquirente, dal proprio coniuge, deceduto, e dal proprietario dell'asse ereditario assoggettato a curatela, in qualità di promissario alienante).

Cass. civ. n. 974/2008

Con riguardo ad una scrittura privata, che non sia stata riconosciuta e che non debba ritenersi legalmente riconosciuta, e per la quale, pertanto, non sia necessario esperire la querela di falso, al fine di contestarne la piena efficacia probatoria (art. 2702 c.c.), la parte, che sostenga la non autenticità della propria apparente sottoscrizione, non è tenuta ad attendere di essere evocata in giudizio da chi affermi una pretesa sulla base del documento, per poi operare il disconoscimento ai sensi ed agli effetti degli art. 214 e segg. c.p.c., ma può assumere l'iniziativa del processo, per sentire accertare, secondo le ordinarie regole probatorie, la non autenticità di detta sottoscrizione, nonché per sentir accogliere quelle domande che postulino tale accertamento (nella specie si trattava della domanda volta a ricostituire la provvista di certificati di deposito a custodia, che erano stati oggetto di costituzione a garanzia con la firma avente carattere apocrifo).

Cass. civ. n. 18323/2007

La querela di falso postula — nell'ipotesi di sua proposizione relativa a scrittura privata — che quest'ultima sia stata riconosciuta (volontariamente dal suo autore o che debba considerarsi legalmente come tale) e che il querelante intenda eliminare la sua efficacia probatoria attribuitale dall'art. 2702 c.c. o, almeno, voglia contestare la genuinità dell'inerente documento, ragion per cui la proponibilità della suddetta querela presuppone, in ogni caso, che la scrittura alla quale si rivolge sia stata sottoscritta, costituendo, invero, la sottoscrizione un suo elemento essenziale.
(Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata correttamente esclusa l'ammissibilità della querela di falso sul presupposto che le fatture impugnate con tale rimedio non risultavano sottoscritte).

Cass. civ. n. 15219/2007

Se la parte contro la quale la scrittura privata sia stata prodotta ne riconosce la sottoscrizione, la scrittura fa piena prova della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta e ciò indipendentemente dal fatto che la dichiarazione non sia stata vergata o redatta dal sottoscrittore. (Nella specie la S.C. con riferimento ad un giudizio riguardante un'ingiunzione di pagamento fondata su una fideiussione omnibus, ha rilevato l'inammissibilità della censura fondata sull'assunto del mancato insorgere del rapporto obbligatorio per essere stato il documento firmato in bianco, in quanto la prova di tale assunto era mancata non essendo stata fornita neppure in via presuntiva).

Cass. civ. n. 4886/2007

In ipotesi di dichiarazione sottoscritta, pur se contenuta in più fogli dei quali solo l'ultimo firmato, poiché la sottoscrizione, ai sensi dell'art. 2702 c.c., si riferisce all'intera dichiarazione e non al solo foglio che la contiene, la scrittura privata deve ritenersi valida ed efficace nel suo complesso, rimanendo irrilevante la mancata sottoscrizione dei fogli precedenti, con la conseguenza che, al fine di impedire che l'intero contenuto della scrittura faccia stato nei confronti del sottoscrittore, quest'ultimo ha l'onere di proporre querela di falso. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che, con riguardo ad un'azione proposta ai sensi dell'art. 2932 c.c. in conseguenza dell'inadempimento della promittente venditrice di un immobile che si era rifiutata di stipulare il contratto definitivo, l'aveva rigettata sul presupposto erroneo dell'insussistenza del fatto costitutivo della pretesa attorea in virtù della circostanza che il contratto preliminare era stato sottoscritto dalla suddetta parte solo nel foglio finale, così ritenendolo invalido ed inefficace).

Cass. civ. n. 3810/2004

La produzione in giudizio di una scrittura privata priva di firma da parte di chi avrebbe dovuto sottoscriverla equivale a sottoscrizione a condizione che tale produzione avvenga ad opera della parte stessa, e non anche (come nella specie) del suo erede, atteso che la manifestazione di volontà contrattuale, propria del soggetto contraente, non può essere espressa da altri.

Cass. civ. n. 16007/2003

La sottoscrizione di un documento integrante gli estremi della scrittura privata vale, ex se, ai sensi dell'art. 2702 c.c., a ingenerare una presunzione iuris tantum di consenso del sottoscrittore al contenuto dell'atto e di assunzione della paternità dello scritto, indipendentemente dal fatto che la dichiarazione non sia stata vergata o redatta dal sottoscrittore. Ne consegue che, se la parte contro la quale la scrittura sia stata prodotta ne riconosce la sottoscrizione (ovvero se quest'ultima debba aversi per riconosciuta), la scrittura fa piena prova della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, mentre il sottoscrittore che assuma, con querela di falso, che la sottoscrizione era stata apposta su foglio firmato in bianco ed abusivamente riempito, ha l'onere di provare sia che la firma era stata apposta su foglio non ancora riempito, sia che il riempimento era avvenuto absque pactis, sicché, se la dichiarazione in contestazione integra gli estremi della promessa di pagamento (ovvero della ricognizione di debito) spetta al sottoscrittore, in ossequio alla regola di cui all'art. 1988 c.c., provare l'inesistenza del rapporto fondamentale, e non a colui a favore del quale la dichiarazione risulti rivolta provarne l'esistenza.

Cass. civ. n. 11437/2002

L'avvenuto disconoscimento della scrittura privata non preclude alla parte interessata di provare diversamente l'esistenza del diritto fatto valere, e, quindi, anche attraverso prova testimoniale, salvo che la legge richieda la forma scritta, ad substantiam o ad probationem, del fatto costitutivo.

Cass. civ. n. 9289/2001

Elemento essenziale per la validità di una scrittura privata è la sottoscrizione della stessa da parte del suo autore, che non trova equipollenti né nella conclamata autografia del testo, né nel segno di croce apposto dal soggetto da cui il documento proviene.

Cass. civ. n. 2473/1999

L'efficacia probatoria della scrittura privata riconosciuta ex art. 2702 c.c. concerne la provenienza della medesima da colui che ne risulta sottoscrittore, ma non il suo contenuto, che il giudice è libero di valutare secondo il suo prudente apprezzamento in concorso con gli altri elementi. probatori acquisiti al processo.

Cass. civ. n. 5958/1996

Il riconoscimento tacito della scrittura privata ai sensi dell'art. 215 c.p.c. e la verificazione della stessa ex art. 216 stesso codice, attribuiscono alla scrittura il valore di piena prova fino a querela di falso, secondo quanto dispone l'art. 2702 c.c., della sola provenienza della stessa da chi ne appare come sottoscrittore e non anche della veridicità delle dichiarazioni in essa rappresentate, il cui contenuto può essere contestato dal sottoscrittore con ogni mezzo di prova, entro i limiti di ammissibilità propri di ciascuno di essi, e perciò anche (come nella specie) deferendo alla controparte giuramento decisorio sulla circostanza contraria a quella rappresentata in una dichiarazione di quietanza, al fine di contestare l'importo dalla stessa risultante.

Cass. civ. n. 9820/1995

Il principio per cui la scrittura privata fa piena prova sino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni che vi sono contenute da colui che la ha sottoscritta, non soffre eccezioni nell'ipotesi in cui la dichiarazione sia contenuta in due o pia fogli, dei quali l'ultimo solo rechi la sottoscrizione della parte contro cui la scrittura è prodotta, sempreché in quest'ultimo caso le dichiarazioni contenute nei vari fogli costituiscano sul piano logico e lessicale un unico ed inscindibile corpo, giacché la sottoscrizione a norma dell'art. 2702 c.c. si riferisce all'intera dichiarazione e non al solo foglio nel quale essa è apposta, con la conseguenza che per impedire che l'intero contenuto della scrittura faccia stato nei suoi confronti la parte ha l'onere di proporre querela di falso.

Cass. civ. n. 1259/1995

La denunzia di abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco con sottoscrizione riconosciuta o autenticata richiede l'esperimento della querela di falso, ai sensi dell'art. 2702 c.c., nel caso in cui il riempimento stesso sia avvenuto absque pactis e cioè senza che il suo sottoscrittore sia stato autorizzato con preventivo patto. La predetta querela non occorre invece nel caso in cui il riempimento sia avvenuto contra pacta, cioè in modo difforme da quello consentito dall'accordo precedentemente intervenuto, in quanto nella prima ipotesi l'abuso incide sulla provenienza e sulla riferibilità della dichiarazione al sottoscrittore, mentre nella seconda ipotesi si traduce in una mera disfunzione interna del procedimento di formazione della dichiarazione medesima, in relazione allo strumento adottato (mandato ad scribendum), la quale implica solo la non corrispondenza tra ciò che risulta dichiarato e ciò che si intendeva dichiarare.

Cass. civ. n. 6192/1994

La scrittura privata, la cui sottoscrizione non sia autenticata, ove prodotta in giudizio nei confronti di parte diversa dall'autore apparente, o dagli eredi e aventi causa di quest'ultimo, se contestata, può essere accertata con qualsiasi mezzo e rimane affidata al libero apprezzamento del giudice, non rilevando come prova legale.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2702 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Ergon S. chiede
venerdì 02/06/2017 - Abruzzo
“Secondo il Vostro parere una comunicazione di impugnazione di contratto inviata a mezza raccomandata AR con indicati in modo inequivocabile tutti i dati del lavoratore ma priva di firma autografa ha validità ? Chiedo questo in quanto il giudice di primo grado ha ammesso l'impugnazione vista l'inequivocabile volontà del lavoratore di impugnare il contratto " Per quanto riguarda la validità della lettera di impugnativa stragiudiziale, in quanto priva di sottoscrizione, è noto che la stessa, quale atto recettizio, impone che il destinatario di tale comunicazione deve essere messo in condizioni di non avere dubbi circa la provenienza dell’atto. Nel caso di specie non può ritenersi che la Provincia di Teramo non sia stata messa nella condizione di comprendere la provenienza della impugnativa, atteso che nella suddetta missiva erano perfettamente evincibili tutti i dati identificativi del ricorrente"
L’eccezione preliminare sollevata da parte resistente va dunque rigettata.
La corte di appello invece ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso in quanto secondo la Cass. ord. 3730 del 14 02 13 "le scritture prive di sottoscrizione non possono rientrare nel novero delle scritture private avente valore giuridico e formale e produrre quindi effetti sostanziali e probatori...." Da tener presente che la lettera non sottoscritta è stata prodotta dalla controparte nel giudizio di primo grado.
Stiamo riflettendo sull'opportunità di ricorrere in cassazione e vorremmo un parere in merito.”
Consulenza legale i 06/06/2017
La questione giuridica da lei posta concerne l'efficacia probatoria delle manifestazioni negoziali prive di sottoscrizione autografa.

Sul punto si ritiene di dover aderire a quanto evidenziato dal Giudice di primo grado, il quale ha rilevato come la mancanza di sottoscrizione non faccia venir meno la validità della scrittura in questione, laddove sia ugualmente evincibile in modo chiaro l'identità e le intenzioni del soggetto che ha inviato la missiva stessa.

Sul punto, può essere utile richiamare quanto statuito dalla giurisprudenza di merito in un caso di disdetta del contratto di locazione (assimilabile, comunque, al caso di specie), inviata a mezzo raccomandata a.r. ma priva di sottoscrizione autografa.

La Corte d'appello di Salerno, in particolare, con una sentenza del 17 gennaio 2005, ha precisato che "la disdetta del contratto di locazione priva di sottoscrizione non è inesistente, potendo essere ratificata dalla parte interessata anche con l'atto introduttivo del giudizio di rilascio, qualora risulti provato che essa, quale che sia il mezzo di comunicazione adoperato, abbia raggiunto lo scopo di rivelare al conduttore l'intenzione inequivocabile del locatore di far cessare il contratto".
In senso conforme si era espressa, nel 2002, anche la Corte d'appello di Napoli, la quale ha precisato che "la mancanza di sottoscrizione della disdetta non ne comporta l'inesistenza, essendo sufficiente che sia individuabile la provenienza dal locatore, provenienza che può evincersi dall'indicazione del mittente, obbligatoria, sul plico raccomandato".

Per gli stessi principi, si ritiene che anche la lettera di impugnativa stragiudiziale del contratto possa essere considerata un elemento probatorio valido ed efficace anche in mancanza di sottoscrizione, se si considera, peraltro, che:
a) la raccomandata consente comunque di individuare chiaramente il mittente della comunicazione;
b) la raccomandata è stata prodotta proprio dalla controparte, la quale, pertanto, non può certamente addurre di non averla ricevuta e di non aver avuto conoscenza della stessa e del suo contenuto.

Si ritiene, pertanto, che - previo attento esame di tutti gli atti di causa - possa essere concretamente valutata la possibilità di proporre ricorso dinanzi la Corte di Cassazione.

Francesco A. chiede
giovedì 24/11/2016 - Puglia
“Nel corso di una visita ispettiva ministeriale, in ordine ad un fatto accaduto in un determinato giorno tra due pubblici ufficiali, l’ispettore generale sente le due parti, le quali forniscono versioni contrastanti su elementi essenziali.
Una delle due parti oltre, a rispondere alle domande dell’Ispettore, consegna anche uno scritto a propria firma, sottoscritto su ogni foglio, che comincia con la seguente dicitura:
“Il sottoscritto X Y, Ispettore Capo della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di F., dà atto di quanto segue:………(e di seguito narra l’accaduto al quale ha assistito dal quale emergono responsabilità penali –con ipotesi non esplicitate di ingiuria, calunnia ed abuso d’ufficio- e disciplinari per l’altra parte)”
XY, inoltre, sporge poi anche denuncia-querela per gli stessi fatti, riferendo che vi era stata una ispezione e che egli, nella sua qualità di ufficiale di polizia giudiziaria, aveva consegnato all’ispettore generale (anch’egli ufficiale di polizia giudiziaria) un atto a propria firma attestante l’andamento dei fatti…..”
Quesito (rilevante per l’esito del procedimento ispettivo):
L’atto consegnato all’ispettore generale nei termini di cui sopra fa fede fino a querela di falso? Ha comunque una qualche fede privilegiata, atteso che la parte lo ha sottoscritto e consegnato di propria iniziativa e non si tratta di dichiarazioni rese su domanda dell’ispettore generale che, potendo avere natura difensiva, potevano anche essere legittimamente NON corrispondenti al vero?
Grazie.”
Consulenza legale i 30/11/2016
Per riuscire a dare una risposta al quesito che si propone si ritiene indispensabile trattare della natura del procedimento ispettivo e dei suoi caratteri.

Secondo la tesi dottrinale e giurisprudenziale più recente, l’ispezione va configurata come sub-procedimento istruttorio, avente funzione "servente" rispetto ad un più ampio procedimento di controllo destinato, di regola, a sfociare in un provvedimento di amministrazione attiva avente rilevanza esterna.
Le indagini ispettive, infatti, si inseriscono nella fase istruttoria di un più vasto procedimento "principale" e sono di regola preordinate ad acquisire elementi conoscitivi necessari per lo svolgimento dell’azione amministrativa e per l’adozione del provvedimento finale esterno (a titolo meramente esemplificativo, le risultanze di un accertamento ispettivo possono costituire il presupposto per l’attivazione di un procedimento disciplinare, o l’ispezione può inserirsi in tale procedimento come momento istruttorio di verifica di fatti, c.d. inchiesta disciplinare).

Risulta così superata la tradizionale visione dell’ispezione intesa come mero atto amministrativo in quanto, considerando le modalità con cui l’attività ispettiva oggi viene concretamente espletata, è incontestabile che la stessa sia la risultante di una pluralità di atti ed operazioni poste in essere dall’organo procedente secondo un ben definito iter logico-giuridico.
Peraltro, in un sistema amministrativo quale il nostro, ormai decisamente caratterizzato dalla c.d. procedimentalizzazione dell’agire della p.a., la quale vede come suo momento centrale non più il provvedimento conclusivo, ma la fase istruttoria, l’attività ispettiva assume un ruolo essenziale proprio nella delicata fase istruttoria (art. 6, lett. b, I. n. 241 del 1990) di molti procedimenti amministrativi, divenendo il momento decisivo (sub-procedimentale e, nel contempo, infraprocedimentale) di supporto logico-fattuale per la successiva adozione di provvedimenti di amministrazione attiva nei confronti dell’ispezionato.
In tale sviluppo procedimentale viene espressa non solo la funzione amministrativa, ma nel contempo garantita la partecipazione e la collaborazione del cittadino ispezionato in attuazione dei principi di imparzialità, trasparenza ed obiettività dell’azione pubblica.

La considerazione del procedimento ispettivo secondo i tratti appena delineati, rende applicabile, nei limiti della compatibilità, la disciplina generale sul procedimento amministrativo codificata nella legge 7 agosto 1990 n. 241, trattandosi di normativa avente portata generale e capace, dunque, di trovare applicazione per qualsiasi procedimento amministrativo, salvo espresse esclusioni, totali o parziali (es. art. 7, co. 1 e 2, art. 13, art. 24, co. 4, 1. n. 241 cit.).
Certo non potrà riconoscersi una trasposizione de piano dell’intera normativa procedimentale (L. n. 241 cit.) all’accertamento ispettivo, in quanto sussistono diverse testuali ipotesi di inapplicabilità di alcuni istituti della legge n. 241 ad alcuni procedimenti, tra i quali è talvolta ricompreso anche il procedimento ispettivo.
Così, a titolo meramente esemplificativo, si ritiene che siano intrinsecamente inapplicabili al procedimento ispettivo, caratterizzato da una unilaterale potestà acquisitiva di fatti e documenti, le norme della legge n.241 del 1990 che regolano gli accordi procedimentali e sostitutivi (art. 11), vertendosi in materia che esclude qualsiasi accordo con l’ispezionato per la determinazione concordata del contenuto della relazione ispettiva o, addirittura, per sostituire quest’ultima con un pactum.

Per quanto concerne la comunicazione, si ritiene che essa debba essere comunque effettuata nei confronti dell’ispezionato quando le esigenze istruttorie correlate all’accertamento in corso lo consentano, o quando si tratti di ispezioni non caratterizzate da "effetto sorpresa".
Non va difatti dimenticato che la comunicazione di avvio di procedimento è correlata alla successiva partecipazione istruttoria del cittadino (ispezionato), che può fornire un utile apporto collaborativo attraverso audizioni, presentazione di memorie scritte e documenti, che l’amministrazione deve doverosamente valutare (art. 10, 1. n. 241), anche al fine di prevenire un eventuale contenzioso giudiziale ove le osservazioni dell’ispezionato contribuiscano a chiarire i fatti e ad evitare l’attivazione di inutili successivi procedimenti sanzionatori, o comunque restrittivi, da parte dell’amministrazione.

Va così evidenziato che i soggetti coinvolti nel procedimento ispettivo, quali destinatari dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, possono in fase istruttoria esercitare i diritti partecipativi prescritti dall’art. 10 della 1. n. 241 del 1990.
In particolare si ritiene che possano fare inserire proprie dichiarazioni nel verbale ispettivo, possano prendere visione degli atti del procedimento e possano presentare memorie scritte e documenti che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento.
L’omessa valutazione di tali osservazioni si può tradurre in una violazione di legge, o, quanto meno, un eccesso di potere, azionabile in giudizio.

Quanto sopra detto, dunque, porta a configurare il documento sottoscritto e presentato all’ispettore come memoria ex art. 10 Legge 241/1990, per cui a questo punto si tratta di vedere se esso sia in grado di far fede fino a querela di falso.
A tal proposito va osservato che la memoria in esame altro non è che una scrittura privata la quale, a differenza dell’atto pubblico (formato da una persona terza), è formata dal suo autore e per acquisire efficacia probatoria deve essere munita di sottoscrizione autenticata, verificata o riconosciuta (requisito quest’ultimo implicitamente acquisito per essere stata presentata nel corso del subprocedimento ispettivo).

Solo in questi casi la scrittura prodotta in giudizio farà piena prova fino a querela di falso della paternità del documento da parte di chi l'ha sottoscritto (art. 2702 c.c.), mentre in caso contrario sarà priva di ogni efficacia.
Anche per la scrittura privata, come per il documento, l'efficacia di prova piena riguarda l'estrinseco delle dichiarazioni, siano esse di volontà o di scienza, contenute nell'atto.
Per quanto concerne l'intrinseco delle dichiarazioni valgono le medesime considerazioni che possono farsi per l'atto pubblico, ossia potrà essere soltanto il giudice a valutarlo liberamente, servendosi di ogni mezzo probatorio ammissibile nella fattispecie e ricorrendo anche alle massime di esperienza.
Nel campo della scrittura privata ricorre la distinzione fondamentale tra efficacia privilegiata e non privilegiata.

L’efficacia della scrittura privata ex art. 2702 c.c. è sicuramente privilegiata in riferimento sia al corpo, sia alla sottoscrizione che al testo della scrittura medesima, con la forza della prova legale, mentre al di fuori della previsione di cui all’art. 2702 c.c., la scrittura in sé considerata non è né prova legale, né prova liberamente valutabile.

Alfredo A. chiede
sabato 20/06/2015 - Emilia-Romagna
“Nel 1998 abbiamo avuto problemi per un terreno di mia moglie con un confinante che, senza avvisarci, fece dei lavori di sbancamento abbattendo degli ulivi e sconfinando di un bel po' di metri. Dopo vari battibecchi, abbiamo stilato una scrittura privata in cui, da una parte e dall'altra, sono state fatte delle concessioni, tra cui: "le parti riconoscono ed approvano i confini tra i propri fondi (omissis) così come effettuata dai rispettivi tecnici di parte, secondo le risultanze catastali". Avendo, qualche anno dopo, donato il terreno ad un nostro figlioccio con regolare atto notarile, e questi, per motivi di salute, lo ha messo in vendita (dopo aver contattato il suddetto confinante che ha rifiutato), volevo sapere se la vecchia scrittura privata ha ancora qualche valore giuridico, oppure, non essendo più mia moglie proprietaria, ha perso la sua efficacia? Faccio presente che il nuovo proprietario ha contattato un geometra per ridefinire i confini e il confinante non vorrebbe facendosi forte di quella scrittura privata. Molte grazie.”
Consulenza legale i 25/06/2015
La moglie e il confinante hanno concluso tra loro una transazione, cioè un contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già insorta o prevengono una lite che può sorgere tra loro.

Un contratto mantenuto privato tra le parti esplica la propria efficacia, parificata alla legge, tra le parti che lo hanno sottoscritto, ma esso non produce effetto rispetto ai terzi, salvi i casi previsti dalla legge (art. 1373 del c.c.).
La scrittura privata con cui le parti stabiliscono che i confini tra le loro proprietà sono quelli che emergono dalle risultanze catastali avrà efficacia solo tra le parti che l'hanno firmata. In altre parole, il proprietario successivo (nel nostro caso, l'avente causa del figlioccio, donatario) ha tutto il diritto di rimettere in discussione i confini tra le proprietà, se sussistono ragioni per farlo, agendo in giudizio, ad esempio, con una azione di regolamento di confini ai sensi dell'art. 950 del c.c. Il confinante non può opporgli un contratto che lui non ha firmato o accettato in qualche modo (ad esempio, nell'atto di acquisto del terreno).

Peraltro, la transazione non ha previsto altro che di rifarsi ai confini catastalmente previsti. Quindi, è chiaro che se nella donazione quelli furono i confini menzionati nel rogito notarile, a tali confini dovrebbero attenersi le parti (compreso il successivo acquirente), ma solo fino a che non emerga un motivo per poterli ridefinire.

Ci si può chiedere se il confinante potrebbe opporre alla moglie l'inadempimento della transazione, per il fatto che - senza alcun suo intervento o volontà - il nuovo proprietario voglia ridefinire i confini del terreno. Ci sembra un'ipotesi priva di valido fondamento.

In un contratto, infatti, la parte assume il vincolo di rispettare gli accordi per sé, salvo che si sia assunta l'obbligazione del fatto di un terzo, cioè, ci si sia impegnati a far rispettare quel contratto anche da parte di altre persone, come nuovi proprietari del terreno.
In tal caso, l'art. 1381 del c.c., stabilisce che "Colui che ha promesso l'obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto a indennizzare l'altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso".

Quindi, la parte contrattuale non è tenuta a rispondere anche del fatto che altri, estranei al contratto, decidano di mettere in discussione gli accordi raggiunti.

Per queste ragioni, si ritiene che il nuovo proprietario possa liberamente agire per far rideterminare i confini del terreno; inoltre, non si ravvisa una responsabilità della moglie nei confronti del confinante, a meno che nella scrittura privata ella si fosse espressamente assunta l'obbligo di far rispettare quel contratto anche dai nuovi futuri proprietari. In quest'ultimo caso, salva sempre la possibilità per il nuovo proprietario di far ridefinire i confini da un giudice, la moglie dovrebbe indennizzare il confinante dei danni da questo subiti.

Emilio B. chiede
martedì 22/07/2014 - Emilia-Romagna
“Ho fatto una scrittura privata firmata non autenticata per compravendita beni immobili per avere efficacia scrittura come devo fare.”
Consulenza legale i 29/07/2014
Il codice civile prevede le seguenti forme scritte per i contratti (nel Titolo II del libro VI sulle prove):
- Atto pubblico (artt. 2699 ss.): è la forma più solenne prevista dall'ordinamento, e consiste nel documento, redatto con le richieste formalità, da un notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato. L'atto pubblico fa piena fede, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale e delle dichiarazioni e dei fatti avvenuti in sua presenza.
- Scrittura privata (artt. 2702 ss.): è la forma più semplice, che richiede solo la sottoscrizione autografa (di proprio pugno) della parti, che fa prova fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da parte di chi l'ha firmata se la sottoscrizione è autenticata. L'autenticazione della firma può avvenire: per riconoscimento in giudizio della stessa da parte di colui contro il quale la scrittura privata è stata prodotta (es. l'attore produce un contratto scritto contro il convenuto, e questo ammette che lo ha firmato); davanti a un notaio o a un altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (nel caso della compravendita immobiliare, non può autenticare il segretario comunale), mediante attestazione che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza (art. 2703 del c.c.).
Ciò detto, vanno precisati alcuni aspetti formali della compravendita avente ad oggetto beni immobili.
Questo tipo di contratto, ai sensi dell'art. 1350 del c.c., n. 1, deve rivestire necessariamente la forma scritta (atto pubblico o scrittura privata), altrimenti è nullo. In particolare, poi, ai fini della trascrizione obbligatoria nei pubblici registri immobiliari ex art. 2643 del c.c., n. 1, dovrà essere stipulato in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata (che si ottiene nei modi sopra descritti).
Il preliminare di acquisto di immobile è, invece, il contratto con il quale le parti si obbligano a stipulare un futuro contratto (detto definitivo). E' un contratto con efficacia obbligatoria per le parti (non si trasferisce il diritto di proprietà), che assumono l'obbligazione di prestare un futuro consenso. Il codice civile non dà una definizione di "contratto preliminare", ma lo menziona in vari ambiti, principalmente in tema di forma: in particolare, l'art. 1351 del c.c. stabilisce che il preliminare è nullo se non fatto nella stessa forma del definitivo. Il contratto preliminare di compravendita di un immobile, quindi, deve essere redatto in forma scritta.
Esso può essere trascritto (art. 2645 bis del c.c.): non è obbligatorio farlo, ma è semplicemente opportuno al fine di anticipare l'opponibilità ai terzi del preliminare concluso tra le parti. Infatti, se il contratto preliminare risulta trascritto, il terzo avente causa da colui che si è già impegnato a vendere ad un altro soggetto è avvisato che esiste un vincolo sul bene.
Poiché, come spiegato, la trascrizione non è affatto obbligatoria (nella prassi è spesso omessa), anche il contratto preliminare stipulato con semplice scrittura privata è vincolante per le parti, nel senso che sulla base di una siffatta scrittura è possibile chiedere ad un giudice che la controparte sia obbligata a rispettare gli accordi presi (ad esempio, se il promittente venditore non vuole più vendere, il compratore lo può convenire in giudizio per ottenere una sentenza che tenga luogo del contratto definitivo di vendita, ex art. 2932 del c.c., cioè che produca il vero e proprio trasferimento immobiliare).
Questo aspetto è importante da sottolineare, perché chi firma un preliminare, anche se non davanti ad un notaio, prende un impegno preciso e vincolante, dal quale non può facilmente sciogliersi.

Andrea chiede
venerdì 23/05/2014 - Marche
“Buongiorno,

mia moglie ha una quota societaria del 25% su una s.r.l., la banca per una concessione di un mutuo per l'azienda gli ha fatto prestare una fideiussione omnibus con tetto 260.000 a lei e ad un altro socio che ha il 25% al momento attuale la società per cui mia moglie è garante non è in difficoltà economiche ma considerando l'andamento del mercato abbiamo paura che la banca escuta la fideiussione.

Siamo in separazione dei beni e mia moglie è proprietaria di 2 appartamenti 1 dove abitiamo piena proprietà, nel secondo ha la nuda proprietà in quanto i genitori hanno il diritto di abitazione

Per tutelarci abbiamo costituito un fondo patrimoniale dove abbiamo inserito l'appartamento libero ora pero' abbiamo il dubbio che siccome il fondo è successivo alla prestazione della fideiussione può essere facilmente revocato

se lei facesse anche la cessione del diritto di abitazione della casa libera al marito renderemo l'appartamento meno appetibile per un eventuale asta (i diritti reali sono pignorabili?)

cosa mi consigliate di fare nella mia situazione per tutelare l'appartamento libero di mia moglie

grazie saluti”
Consulenza legale i 29/05/2014
Una volta assunta una obbligazione, tutte le azioni compiute dal debitore successivamente, al fine di occultare, celare o rendere indisponibili i suoi beni, sono potenzialmente revocabili ai sensi dell'art. 2901 del c.c. Ciò vale anche per l'obbligazione assunta dal fideiussore ("L’azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità. Pertanto, prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse ad un'apertura di credito, gli atti dispositivi del fideiussore successivi all'apertura di credito ed alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'art. 2901, n. 1, prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni) e al solo fattore oggettivo dell'avvenuto accreditamento; l'insorgenza del credito va infatti apprezzata con riferimento al momento dell'accreditamento e non a quello, eventualmente successivo, dell'effettivo prelievo da parte del debitore principale della somma messa a sua disposizione", Cass. civ., Sez. III, sent. 22 marzo 2013, n. 7250. Vedi per il caso del fondo patrimoniale quale atto a titolo gratuito revocabile anche Cass. civ., Sez. I, 4 dicembre 2013, n. 27117).

Presupposti dell'azione revocatoria sono, oltre all'esistenza di un credito: il pregiudizio che dall'atto revocando può derivare al creditore (eventus damni); l'intento frodatorio del debitore (consilium fraudis), considerato come l'effettiva consapevolezza del carattere pregiudiziale del proprio comportamento; la mala fede del terzo a cui sia alienato il diritto del debitore (partecipatio fraudis) quanto si tratti di atto a titolo oneroso (se l'atto è a titolo gratuito, l'azione revocatoria può essere esercitata anche contro il terzo in buona fede).

Tutti questi presupposti sembrano sussistere nell'eventuale costituzione di un diritto di abitazione a favore del coniuge (che sarebbe un atto a titolo gratuito), pertanto anche questo non è un rimedio del tutto affidabile nel caso di specie.

Purtroppo non è possibile suggerire un metodo "sicuro" per tutelare l'appartamento della moglie dall'eventuale esperimento di un'esecuzione forzata, in quanto qualsiasi azione intrapresa in questo momento sarebbe successiva alla nascita dell'obbligazione assunta dalla signora, che ne risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri ai sensi dell'art. 2740 del c.c.
Addirittura, si considerano revocabili gli accordi con i quali i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, stabiliscano il trasferimento di beni immobili o la costituzione di diritti reali minori sui medesimi.

L'unico atto non revocabile (sulla base dell'applicazione dei principi generali) è la vendita a giusto prezzo del bene immobile ad un terzo che sia in buona fede, in quanto in tale caso il Legislatore ha preferito tutelare il terzo rispetto al creditore.

Si consideri tuttavia che se la società in relazione alla quale è stata concessa la fideiussione naviga oggi in buone acque, è possibile che dalla data di creazione del fondo patrimoniale trascorrano i cinque anni previsti per la prescrizione dell’azione revocatoria ai sensi dell'art. 2903 del c.c., senza che il creditore eserciti l'azione, perdendo così per il tempo successivo il diritto di revocare l'atto. E' difatti irrilevante, ai fini del decorso del termine, che il creditore sia a conoscenza dell'atto posto in essere dal debitore, in quanto i 5 anni decorrono sempre dal compimento dello stesso.

Silvio D. chiede
giovedì 15/05/2014 - Puglia
“Con ricorso ex art. 1129 c.c. depositato c/o il Tribunale di Bari in cui si lamentavano gravi responsabilità dell'amministratore si richiedeva la revoca dello stesso; all'udienza del 11-04-2014 si costituiva in giudizio l'amministratore impugnando e contestando ogni avverso dedotto, eccepito o concluso chiedendo il rigetto dell'avversa domanda; l'udienza successiva è fissata per il 13-06-2014; con scrittura privata tra il ricorrente istante e l'amministratore, sottoscritta in data 08-05-2014 alla presenza e con la redazione della scrittura privata da parte dei legali di entrambe le parti, veniva inserita, tra le altre parti dell'accordo transattivo, dal legale rappresentante la parte istante per espressa richiesta di controparte la clausola di rinuncia agli atti ed all'azione di cui al suddetto giudizio dinanzi al tribunale di Bari per la revoca dell'amministratore. Alla luce di quanto premesso si chiede: è legittima tale rinuncia agli atti e all'azione nel procedimento di volontaria giurisdizione ex art. 1129, comma 3, c.c.? Si può impugnare tale scrittura privata per illiceità di tale clausola? Il procedimento in data 13-06-2014 il G.I. delegato può continuare l'istruttoria se l'istante con altro difensore, avendo revocato il mandato alla precedente difesa, richiede la prosecuzione del procedimento? Dopo la sottoscrizione della scrittura privata l'istante ha scoperto un ulteriore motivo di revoca ai sensi dell'art. 1130 c.c. e cioè la mancanza del registro di anagrafe del condominio oltre alla persistente mancata esibizione degli altri registri e alla consegna di documentazione del condominio richiesta con tre A/R , inserita in verbale assembleare e mai ottenuta dallo scrivente istante. Grazie per l' attenzione.”
Consulenza legale i 20/05/2014
Il procedimento di revoca dell'amministratore di cui all'art. 1129 del c.c. ha senza dubbio natura di volontaria giurisdizione, essendo diretto non a risolvere controversie, bensì a gestire un negozio o un affare, con la collaborazione tra il giudice e le parti.
Va da sé, quindi, che il provvedimento emesso all'esito di tale procedimento non assume il carattere della definitività, essendo modificabile o revocabile in ogni tempo, non solo con effetto ex nunc, in virtù di nuovi elementi sopravvenuti, bensì anche ex tunc per un riesame di merito e di legittimità delle originarie risultanze. Ciò è stato confermato dalla giurisprudenza, in particolare dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite, con sentenza del 29.10.2004 n. 20957 (la Corte ha sancito che "il decreto della Corte d'appello di cui all'art. 1129 c.c., che decide, in sede di reclamo, sulla revoca dell'amministratore di condominio ha natura di provvedimento sostanzialmente amministrativo che, pur se incidentalmente statuisce su posizioni giuridiche soggettive nascenti dal rapporto di mandato costituitosi tra condominio ed amministratore, è privo del carattere della decisorietà, perché diretto a tutelare solo l'interesse obiettivo dell'amministrazione della cosa comune, nonché di quello della definitività").

È corretto, quindi, "rinunciare agli atti" in relazione a questo procedimento di volontaria giurisdizione?
Premesso che la questione è di notevole interesse e complessità e che in questa sede non è possibile fornire una esaustiva disamina dei principi processuali e sostanziali sottesi alla materia, sulla base dei principi generali del processo civile, non sembra corretto parlare di "rinuncia agli atti", o meglio: la rinuncia agli atti da parte del ricorrente può valere propriamente e in senso pieno solo come rinuncia all'eventuale rimborso delle spese di lite, cui potrebbe essere condannato l'amministratore convenuto in giudizio. Difatti, appare in corso di superamento un certo orientamento giurisprudenziale per il quale le spese del ricorso ex art. 1129, terzo comma, c.c. rimanevano sempre e comunque a carico del ricorrente, non potendo il giudice fare applicazione dell'art. 91 del c.p.c. sulla ripartizione delle spese secondo la soccombenza: si deve accordare preferenza oggi, a nostro giudizio, alle decisioni (vedi ad esempio Cassazione Civile, Sez. VI, ordinanza 09.05.2012, n. 7029) che giustificano la condanna alle spese indipendentemente dalle caratteristiche del provvedimento impugnato. La statuizione relativa alle spese, infatti, inerendo a posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo rispetto a quello in esito al cui esame è stata adottata, ha i connotati della decisione giurisdizionale e l'attitudine al passaggio in giudicato indipendentemente dalle caratteristiche del provvedimento cui accede. Conseguentemente la soccombenza e la condanna alle spese sono configurabili anche in un procedimento di volontaria giurisdizione come quello previsto dall'art. 1129 c.c. (v. ordinanza Cass. civ. citata).

Quindi, la rinuncia agli atti ex art. 306 del c.p.c., che comporta estinzione del giudizio quando è accettata dalle parti costituite, è vera e propria rinuncia solo in relazione alla condanna alle spese di lite e solo tra quel singolo condomino e l'amministratore.
Diversamente, quanto alla domanda di revoca dell'amministratore, non è concepibile una vera e propria rinuncia al processo (va ricordato che il provvedimento camerale relativo alla istanza di revoca dell’amministratore di condominio si risolve in un intervento del giudice di tipo sostanzialmente amministrativo privo della attitudine a produrre gli effetti del giudicato su posizioni soggettive in contrasto, essendo finalizzato soltanto alla tutela dell’interesse generale e collettivo del condominio ad una sua corretta amministrazione), bensì, casomai, una pronuncia del giudice nel senso della cessazione della materia del contendere, stante il raggiunto accordo transattivo tra le parti.
La rinuncia agli atti potrebbe comunque risultare un rimedio sensato, in relazione all'elevato grado di contraddittorietà dei giudizi ex art. 1129, terzo comma, che non possono essere pienamente paragonati ad altri procedimenti di volontaria giurisdizione come quelli per la dichiarazione di interdizione o inabilitazione, ove la rinuncia agli atti del processo è decisamente esclusa in vista del fine altamente pubblicistico di quei procedimenti.

Priva di senso risulta, invece, una rinuncia all'azione contro l'amministratore, né a questi potrebbe giovare, posto che nulla vieterebbe che un altro condomino adisca l'autorità giudiziaria per ottenere, sulla base degli stessi presupposti del primo processo, la revoca di quello stesso amministratore.
Tale rinuncia può operare, al limite, solo per le ragioni di revoca sottese al ricorso ex art. 1129 originario, che il condomino ha rinunciato a far valere, ma la medesima domanda di revoca ben potrebbe essere riproposta per altre valide motivazioni: sarà però necessario instaurare un nuovo giudizio, in quanto il primo dovrà essere concluso con una pronuncia di cessazione della materia del contendere, vista l'intervenuta transazione.

Quanto all'accordo transattivo, esso appare valido, con i limiti e le precisazioni già fatte circa la possibilità di riproporre la domanda di revoca dell'amministratore per diverse ed ulteriori ragioni: trattandosi di materia in continuo divenire, non è possibile che la situazione venga cristallizzata in un dato momento, ma si deve guardare anche ai fatti sopravvenuti (es. non è possibile stabilire che quell'amministratore non possa mai più essere revocato, se egli ha posto in essere condotte contrarie ai propri doveri).

Domenico D. chiede
venerdì 09/05/2014 - Lombardia
“Buongiorno, scrivo per avere chiarimenti per una scrittura privata sottoscritta da me con la mia vicina di casa in occasione della ristrutturazione di un mio immobile con corte interna di pertinenza anche di questa signora. In data 20/09/2008 ci siamo accordati di procedere alla cancellazione di qualsiasi mio diritto sulla corte identificata dal mappale 1 del foglio 12, la cancellazione del diritto viene di comune accordo fra la sig.ra x e il sottoscritto stabilita in € 5.000, cifra che la sig.ra si impegna a versare il giorno dell'atto notarile da eseguirsi entro e non oltre il 29/11/2008 (non effettuato e mai ricevuto nessun euro). Si precisa come accordato che la cifra da corrispondere da parte della sig.ra x per la cancellazione del diritto corrisponde alla quota di partecipazione per il rifacimento del tetto al mappale n.5 fg.12 (x una parte del mio immobile sottostante alla proprietà della sig.ra x) che io dovevo versare ad essa.
Il tutto per evitare che suddetta sig.ra interferisse o si lamentasse troppo per i lavori cui mi accingevo a svolgere (in pratica per tenerla tranquilla); in questo senso, dall'impresa atta ad eseguire i miei lavori ho fatto sistemare un comignolo rotto sul tetto della sig.ra, così come gli ho completamente rifatto e tinteggiato le facciate della casa (cosa non ancora conteggiata dal mio geometra e da me non ancora richiesta contropartita monetaria alla sig.ra).
Ora visti i momenti poco propizi delle mie finanze ed avendo quasi ultimato i lavori per uno dei tre appartamenti che sto ristrutturando di questa mia casa, ho avuto richiesta da un terza parte per l'acquisto di questo appartamento, ma questo signore intende far valere dopo il rogito i diritti legati all'uso di questa corte in comune con la sig.ra.
Posso ritenere non valida questa scrittura privata anche per il fatto che non è stata seguita da nessun atto notarile come invece avevamo tassativamente stabilito entro e non oltre il 29/11/2008? ed ancora, visto che alla sig.ra debbo la parte mia per il tetto cui ella ha sistemato, ma di controparte ella mi dovrebbe il rifacimento delle facciate della sua casa da me rifatte, posso calcolarne per differenza sui lavori da contabilizzare? Grazie”
Consulenza legale i 18/05/2014
Nella vicenda proposta vanno distinti due diversi aspetti: (1) quello della validità della scrittura privata e (2) quello relativo alle spese sostenute per riparazioni in favore della vicina di casa, mai rimborsate.

Sotto il primo profilo, la scrittura privata sottoscritta tra i due vicini di casi si configura a tutti gli effetti come contratto preliminare avente ad oggetto l'impegno di stipulare il contratto definitivo davanti ad un notaio (art. 1351 del c.c.).
Il contratto contiene la rinuncia di una parte al diritto su di un immobile (corte interna dell'edificio) e pertanto è valido se riveste la forma della scrittura privata (o dell'atto pubblico) ai sensi dell'art. 1350, n. 5, c.c.
Solo per rispettare il principio della pubblicità immobiliare (e non ai fini della sua validità), il contratto avrebbe poi dovuto stipularsi anche nella forma dell'atto pubblico ex art. 2643 del c.c., per poter trascrivere la rinuncia al diritto.
Il contratto preliminare, quindi, è perfettamente valido tra le parti, anche prima della stipulazione del definitivo.

Tuttavia, essendo trascorso ampiamente il termine per il rogito notarile, ci si può porre il problema di chi possa essere ritenuto inadempiente tra le due parti. L'inadempimento di una parte, infatti, autorizza l'altra a chiedere la risoluzione del contratto ex art. 1453 del c.c., che viene così a sciogliersi definitivamente.
Nel caso di specie, non è possibile desumere a chi sia addebitabile l'inadempimento e pertanto non si può affermare con certezza che la colpa stia in capo alla vicina di casa. Solo qualora fosse possibile dimostrare la responsabilità della vicina, sarebbe possibile domandare al Giudice di dichiarare la risoluzione del contratto preliminare.

Non è configurabile in ogni caso una risoluzione consensuale (cioè un accordo di entrambe le parti di "abbandonare" l'esecuzione del preliminare), in quanto manca una scrittura privata che risolva espressamente il contratto concluso tra i due vicini.
La Cassazione sul punto si è espressa a Sezioni Unite, sancendo che "la risoluzione consensuale di un contratto riguardante il trasferimento, la costituzione o l’estinzione di diritti reali immobiliari, è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam non soltanto quando il contratto da risolvere sia definitivo e, quindi, il contratto risolutorio rientri nell’espressa previsione dell’art. 1350 codice civile, ma anche quando detto contratto da risolvere sia preliminare, tenuto conto che la ragione giustificativa dell’assoggettamento del preliminare all’indicata forma, ai sensi dell’art. 1351 c.c., da ravvisare nell’incidenza che il preliminare spiega su diritti reali immobiliari, sia pure in via mediata, tramite l’assunzione di obbligazioni, si pone in termini identici per il contratto risolutorio del preliminare stesso, con la conseguenza che, anche rispetto ad esso, non è ammissibile la prova testimoniale” (Cass. civ., SS.UU., 28 agosto 1990, n. 8878; successivamente si è formato un indirizzo consolidato, v. ad esempio Cass. civ., 9341/04).

Quanto al secondo aspetto, non è possibile dal punto di vista strettamente giuridico opporre in compensazione a delle spese per la sistemazione del tetto (riconosciute e quantificate dalle parti), le spese per il rifacimento delle facciate, al fine di annullarle reciprocamente. Si tratta, infatti, per le seconde, di importi che non sono né liquidi (cioè determinati nel loro ammontare) né esigibili, in quanto non reciprocamente riconosciuti dalle parti né attestati come dovuti da un giudice. Ai sensi dell'art. 1243 del c.c., primo comma, la compensazione opera solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono egualmente liquidi ed esigibili.
La compensazione potrebbe solo essere richiesta dinnanzi al Giudice adito per l'esecuzione del contratto preliminare, in quanto in quella sede l'autorità giudicante potrebbe sancire l'ammontare delle spese e il fatto che siano o meno dovute.

Le spese sostenute a favore della vicina, però, possono costituire un argomento per convincerla a sciogliere consensualmente il contratto preliminare, su un piano esclusivamente transattivo e quindi conciliativo.

Se questa, però, non intende sciogliere il contratto ed anzi, vuole agire per dargli esecuzione, può farlo, in quanto il suo diritto non è ancora prescritto, non essendo trascorsi più di dieci anni dalla conclusione del preliminare. Il vicino può sempre tentare di provare che la mancata stipulazione del contratto definitivo sia stata a lei addebitabile, potendo così chiedere, come sopra già precisato, la risoluzione per inadempimento del preliminare.

Gaetano chiede
martedì 24/12/2013 - Umbria
“Le firme di sottoscrizione di una scrittura privata che conferisce il diritto di abitazione possono essere autenticate nel comune? Nella mia città al comune affermano di non poterle autenticare.”
Consulenza legale i 10/01/2014
Il diritto di abitazione (art. 1022 del c.c.) è un diritto reale su un bene immobile, che pertanto può essere validamento costituito solo mediante atto scritto (art. 1350 del c.c.).
L'art. 2643, primo comma, n. 4, c.c., assoggetta questo tipo di atto anche alla trascrizione nei registri immobiliari, ai fini della quale è richiesto che l'atto rivesta la forma di scrittura privata autenticata o quella di atto pubblico.

L'autenticazione della scrittura privata è di regola demandata al notaio.
Esiste però una norma che potrebbe indurre a ritenere che anche il comune (nella persona del segretario comunale) potrebbe detenere lo stesso potere.
L’art. 17, comma 68, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (legge Bassanini) prevede espressamente che il segretario comunale “può rogare tutti i contratti nei quali l’ente è parte ed autenticare scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente”.
Sebbene il tenore della norma sembri conferire al segretario comunale il potere di autentica, la corretta interpretazione della disposizione è nel senso di negare un potere illimitato, che va invece circoscritto alle sole ipotesi in cui il Comune è parte dell'atto o vi è un interesse del Comune all'atto. Se si trattasse di scritture private di contenuto negoziale, ove tutte le parti siano estranee all’amministrazione comunale, sarebbe difficile giustificare la competenza del segretario, il quale è preposto a ricevere atti che coinvolgono l’ente locale cui egli appartiene.

Anche la Corte Suprema di Cassazione ha sostenuto questa interpretazione, dichiarando che il segretario comunale (o altro funzionario incaricato dal sindaco) non è competente ad autenticare scritture private quando queste hanno natura negoziale (il caso trattato dalla Suprema corte riguardava una cessione di credito), perché egli può autenticare solo le firme apposte su istanze rivolte alla pubblica amministrazione e non agli atti di natura negoziale tra soggetti diversi dalla pubblica amministrazione.

Recentemente, nel caso di una persona che chiedeva al comune di autenticare una procura speciale, la Cassazione ha stabilito: "Non potendosi ricavare dal sistema normativo un potere dell'incaricato comunale di autenticare la firma di atti negoziali, è nulla la procura speciale alle liti conferita mediante scrittura privata con firma autenticata dall'ufficiale dell'anagrafe del Comune" (Cass. civ., 30.8.2013 n. 19966).

Si ritiene quindi che il comune non possa autenticare la scrittura privata con la quale viene creato a favore di un un soggetto un diritto reale di abitazione.

Nicola F. chiede
sabato 02/11/2013 - Marche
“Alla luce del fatto che il codice civile recita: "La data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di coloro che l'hanno sottoscritta o /dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici/ ecc. ecc." Qual è l'interpretazione corretta da dare al citato articolo del codice civile? L'ufficio anziché limitarsi a non considerarla, non avrebbe dovuto chiedere la verificazione della scrittura privata? Come posso avvalorare la mia tesi?
Grazie anticipatamente per la risposta.”
Consulenza legale i 12/11/2013
La norma indicata nel quesito, contenuta nell'art. 2704 del c.c., è molto chiara nello stabilire il momento dal quale è giuridicamente certa la data di una scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione. Uno dei momenti individuati dalla norma è la riproduzione della scrittura in un atto pubblico.
Affinché ricorra questa fattispecie è necessario che il pubblico ufficiale abbia preso visione della scrittura ed attesti nel documento pubblico quanto ha personalmente appreso. In genere, nel silenzio della legge, si ritiene che nel documento pubblico debbano essere riprodotti gli elementi essenziali della scrittura.

Si faccia attenzione che ciò che va reso certo non è tanto il contenuto del documento, quanto la sua preesistenza al momento di formazione dell'atto pubblico. Pertanto, l'effetto che consegue alla riproduzione in un documento pubblico di una scrittura privata è solo quello di individuare una data opponibile ai terzi (ad es., se l'atto pubblico è datato 1.1.2013, e riproduce una scrittura del 1.1.2012, agli occhi dei terzi la data certa e computabile è il 1.1.2013).
La certezza della data non rende "autenticata" la scrittura privata che non sia tale: e la scrittura non autenticata non fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta (art. 2702 del c.c.).

La verificazione della scrittura privata è istituto processuale del tutto diverso. Gli artt. 216 ss. c.p.c. che la disciplinano prevedono che la parte che intenda valersi della scrittura disconosciuta ai sensi dell'art. 214 del c.p.c. ("colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla, è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione") deve chiederne la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire di comparazione. Si dice espressamente che la verificazione ha ad oggetto una scrittura disconosciuta da colui contro il quale viene prodotta, che l'abbia sottoscritta (o i suoi eredi o aventi causa). La ratio dell'istituto è quindi quella di fornire alla parte che ha prodotto in giudizio la scrittura disconosciuta uno strumento per accertarne la reale autenticità e provenienza. Nel caso di specie, la scrittura prodotta in giudizio non è stata sottoscritta dalla controparte (Agenzia delle Entrate) e pertanto la disciplina della verificazione non può operare.

In riferimento al caso proposto, in conclusione, si ritiene che, se tutti gli elementi essenziali della scrittura privata sono stati riprodotti nell'atto pubblico, dalla data di quest'ultimo sia certa anche la data del documento privato, in modo opponibile ai terzi.
Quanto alla scrittura in sé, mancando i requisiti di cui agli artt. 2702 e 2703 c.c., essa non fa comunque piena prova della provenienza delle sottoscrizioni.

Luca chiede
domenica 25/11/2012 - Lazio
“Salve. Una scrittura privata, non registrata e non autenticata, costituisce il diritto di abitazione su un immobile. Tale scrittura è consegnata in Comune per richiedere l'applicazione dell'agevolazione IMU "abitazione principale" e il Comune non risponde, facendo scadere il termine ex L. 241/90 di 60 gg e pertanto si deve considerare "silenzio assenso". Tale silenzio può far sì che venga meno il principio secondo cui una scrittura privata debba avere data certa (e quindi essere registrata) per essere opponibile a terzi, visto che il Comune ha passivamente riconosciuto la validità della stessa? Grazie per la risposta che darete.”
Consulenza legale i 26/11/2012

La fattispecie del riconoscimento tacito della scrittura privata opera solamente nei confronti della parte contro la quale la scrittura è prodotta in sede giudiziale. La parte interessata infatti ha l'onere di disconoscere la scrittura privata altrimenti verrà considerata come riconosciuta (art. 2702 del c.c., artt. 214-215 c.p.c.). E' bene precisare che per parte la legge intende la persona che ha sottoscritto la scrittura privata, pertanto restano esclusi i terzi.

L'unico modo affinché la scrittura privata produca effetti nei confronti dei terzi è quello di procedere alla sua registrazione, che le attribuisce data certa.


Federica chiede
giovedì 01/03/2012 - Lombardia
“Buona sera, vorrei sapere se una scrittura privata è valida se , non essendo stata registrata e senza autentica di firme, una delle due parti muore.grazie”
Consulenza legale i 05/03/2012

Per scrittura privata o per atto scritto si intende il documento firmato dall'autore o dagli autori dell'atto. Di regola non è necessaria l'autografia della dichiarazione, che può essere scritta da un terzo o a macchina. Ciò che importa è invece che sia autografa la firma con la quale il soggetto sottoscrive il testo. Ciò che conta è il significato obiettivo della firma quale segno autografo mediante il quale il soggetto fa proprio il contenuto di un testo.
Gli eredi, morto il dante causa stipulante, non possono essere ritenuti terzi rispetto al negozio, assumendo infatti la medesima veste del de cuius, e acquistano quindi tutti i diritti e gli obblighi inerenti al negozio medesimo; tutto ciò anche in conformità con l'orientamento giurisprudenziale della S.C. secondo cui "l'erede, continuando la personalità de "de cuius", diviene parte del contratto concluso dallo stesso, per cui egli resta vincolato al contenuto del contratto medesimo, ancorché questo non sia stato trascritto” (Cass. n. 4282 del 15/05/1997).

Maria P. D. S. chiede
martedì 19/04/2011 - Emilia-Romagna
“Chi é preposto all'autenticazione di una scrittura privata? Spero non mi diciate che può farlo solo un notaio. Grazie.”
Consulenza legale i 20/04/2011

L’accertamento dell’autenticità delle firme, può avvenire in 3 modi:

a) con un previo accertamento dell’identità dei sottoscrittori, fatto da notaio, o altro pubblico ufficiale autorizzato, che autentichi la firma nel momento della sottoscrizione (art. 2703 del c.c.);

b) con il riconoscimento di colui contro il quale si invoca la scrittura (art. 2702 del c.c.). Il riconoscimento può essere anche tacito ex art. 215 del c.p.c.;

c) con l’accertamento giudiziale: c.d. procedimento di verificazione della scrittura disciplinato dall’art. 216 del c.p.c. e ss.

Con riferimento al punto sub a) il pubblico ufficiale che è autorizzato ad attestare l'autenticità della sottoscrizione oltre al notaio, può essere il cancelliere, il segretario comunale o altro dipendente dell’Amministrazione comunale incaricato dal sindaco o di un ente di rilievo pubblico o gestore di pubblici servizi.


Luigi chiede
martedì 01/02/2011

“Che validità può avere una scrittura privata riportante una dichiarazione di debito per contanti, non autenticata e senza data certa?”

Consulenza legale i 02/02/2011

Per scrittura privata in senso stretto si intende il documento munito della sottoscrizione autografa di chi ne fa proprio il contenuto giuridicamente rilevante.
Gli elementi essenziali della scrittura privata sono tre: la cosa destinata a recepire i segni grafici che formano la scrittura, il testo e la sottoscrizione. Di contro, le indicazioni volte a individuare il tempo e il luogo in cui è stata formata la scrittura privata, non ne rappresentano elementi essenziali. Da tale assunto deriva che la mancanza della data non impedisce alla scrittura privata di avere efficacia di piena prova, nel concorrere degli altri elementi previsti dalla norma in commento.

La sottoscrizione della scrittura privata consiste nell'apposizione della firma in calce al documento che contiene il testo.
Solo la scrittura privata autenticata fa piena prova, sino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni documentate nel testo da colui o da coloro che l'hanno sottoscritta.
La mancanza di autenticazione fa sì che la scrittura privata abbia valore solo tra le parti, in quanto l'autentica di firma non è requisito di validità della scrittura, che resta valida ed efficace anche quando la sua sottoscrizione non sia autenticata. In mancanza di autenticazione, la certezza sull'autenticità della sottoscrizione si ha quando questa sia stata espressamente riconosciuta in giudizio. Qualora invece la scrittura venisse disconosciuta, si renderà necessaria la domanda di verificazione ai sensi dell'art. 216 del c.p.c.


L.O. chiede
giovedì 15/07/2021 - Lazio
“C’è un atto notarile con precise condizioni.
Le due parti, privatamente, hanno apportato una modifica.
Legalmente è valida o resta la validità dell’atto notarile?
La scrittura privata dovrebbe essere registrata per renderla valida?”
Consulenza legale i 22/07/2021
Va premesso che, quando la legge prescrive, per un determinato atto, la forma scritta, l’atto stesso può farsi - di regola - sia per atto pubblico che per scrittura privata: si veda in proposito l’art. 1350 c.c.
Vi sono dei casi in cui viene richiesta espressamente, a pena di nullità, la forma dell’atto pubblico: così è, ad esempio, per la donazione, ex art. 782 c.c.
Nel nostro caso, l’atto notarile non è stato allegato integralmente; ad ogni modo, dalla lettura dello stralcio prodotto, sembra trattarsi di contratto di locazione, con il quale viene altresì attribuito al conduttore un “diritto all’acquisto” (non è chiaro se si tratti di un diritto di opzione o di un diritto di prelazione).
Non siamo, comunque, di fronte a un atto per il quale è richiesta la forma dell’atto pubblico; per cui la differenza tra atto pubblico e scrittura privata rileva essenzialmente sul piano della “forza” probatoria.
Infatti, ai sensi dell’art. 2700 c.c., l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
Invece la scrittura privata, ex art. 2702 c.c., fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, “se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”. Il riconoscimento della sottoscrizione non è invece richiesto nel caso dell’atto pubblico, proprio per le maggiori garanzie di forma che questo presenta (redazione ad opera di un terzo che riveste la qualità di pubblico ufficiale, presenza di testimoni).
In ogni caso, se, appunto, la legge non richiede la forma dell’atto pubblico, gli accordi contenuti nel rogito notarile possono essere modificati con scrittura privata, che sarà valida ed efficace tra le parti.
Altra questione, diversa, è quella dell’opponibilità ai terzi, per cui rileva la trascrizione dell’atto (artt. 2643 e ss. c.c.). La trascrizione ha la funzione di risolvere eventuali conflitti tra più acquirenti dello stesso bene: in altri termini, prevale non chi ha acquistato per primo ma chi per primo ha trascritto.
Invece la registrazione non spiega alcun effetto sulla validità dell’atto; semmai, oltre naturalmente ad avere effetti fiscali, può servire ad attribuire alla scrittura privata una data certa, come previsto dall’art. 2704 c.c.

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