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Articolo 2740 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Responsabilità patrimoniale

Dispositivo dell'art. 2740 Codice Civile

Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge [490, 2313; 514 c.p.c., 515 c.p.c., 545 c.p.c.; 46 l. fall.](1)(2).

Note

(1) Le parti possono determinare un certo ordine di priorità nell'aggressione ai beni oggetto della garanzia generica patrimoniale, sempre che, così facendo, non rendano eccessivamente complessa la soddisfazione delle ragioni del creditore.
(2) Nella sostanza tutto il patrimonio del debitore costituisce la cosiddetta garanzia generica del creditore, con l'avvertenza però che, se un determinato bene esce dal suddetto patrimonio (ad esempio, se il debitore lo vende), il creditore non avrà più il diritto di sottoporlo ad azione esecutiva. Di regola, ciascun soggetto ha a disposizione un solo patrimonio, sul quale possono rifarsi tutti ed indistintamente i suoi creditori. Tuttavia, la recente legislazione ha previsto, sempre con maggior larghezza, che taluni cespiti o categorie di cespiti, pur continuando a far capo ad un medesimo soggetto, vengano a costituire un cosiddetto "patrimonio separato", nei confronti del quale potranno perciò agire esecutivamente soltanto ed esclusivamente le categorie di creditori indicate dal legislatore.

Ratio Legis

La norma si pone a tutela del creditore, richiamando la cosiddetta garanzia generica, in forza della quale questi, in caso di inadempimento, potrà soddisfarsi agendo su tutti i beni del debitore. La garanzia in esame si differenzia dai diritti reali di garanzia, come pegno (v. 2784) e ipoteca (v. 2808), poiché questi hanno ad oggetto solo alcuni beni del debitore.

Spiegazione dell'art. 2740 Codice Civile

Carattere generale e fondamentale del principio contenuto nell'art. 2740. Evoluzione storica della responsabilità patrimoniale. La sparizione dell'ultima traccia della responsabilità gravante sulla persona del debitore. L'obiettivazione della responsabilità. Differenziazione fra debito e rispondenza. Critica della dottrina. Concetto unitario dell'obbligazione

Il principio contenuto nell'art. 2740 è fondamentale in tutto il sistema giuridico del diritto privato, giacché senza la responsabilità patrimoniale le obbligazioni risulterebbero un nome vano senza con­tenuto pratico. Un tempo, come nell'antico diritto romano, il debitore rispondeva con la sua persona (nexum); il rapporto obbligazionistico produceva un autopignoramento o un automancipazione. La per­sona del debitore era direttamente tenuta all'adempimento. Il debi­tore, in effetti, aveva dato sè stesso in garanzia e costituito uno stato di assoggettamento fisico di sè stesso verso il creditore, il quale aveva un vero diritto sulla persona di lui. È il periodo dell'intuitus personae. Un lungo processo evolutivo ha man mano sostituito alla persona del debitore i suoi beni e riversato sugli stessi tutte le responsabilità degli obblighi assunti dal titolare. L'ultima traccia dell'antico assoggetta­mento della persona del debitore per effetto dell'obbligazione è stato considerato l'istituto dell'arresto personale, ridotto dalla legge a pochi casi eccezionali.

Si è affermato che in tal modo si è avuto una spiritualizzazione soltanto dell'obbligazione, in quanto il vincolo non considera più direttamente la persona del debitore, ma il rapporto in sè stesso, che si svolge fra debito o credito, come entità a sè stante, fra le quali la persona del debitore entra soltanto per determinare un contatto, con una funzione analoga a quella del medium.8 Si è parlato anche di una oggettivazione dell'obbligazione, la quale, entro certi limiti, si stacca dalle per­sone del debitore e del creditore, i quali possono essere ignoti l'uno all'altro e, per quanto concerne il creditore, consente di mutarne rapi­damente la persona, all'infinito, senza alcuna formalità, come nei titoli al portatore, dei quali la carta « è lo scrigno che contiene il diritto ». È il periodo dell'intuitus paecuniae.

Più recentemente si è sostenuto, ricorrendo anche alla autorità delle fonti, una separazione fra debito e rispondenza, o con la termi­nologia tedesca fra Schuld (debito) e Haftung (rispondenza). Il primo rapporto altro non è che uno stato di pressione psicologica, in cui il debitore si trova pel semplice fatto dell'esistenza di un'obbligazione giuridica, che gli impone di eseguire una data prestazione a favore di una persona ed ha come corrispettivo una legittima aspettativa del creditore di ricevere la detta prestazione per il solo fatto che gli è legit­timamente dovuta. L'altro rapporto è lo stato di assoggettamento di una o più cose o dell'intero patrimonio del debitore ed ha per corrispettivo un diritto del creditore di far valere il detto assoggettamento allo scopo di rendere più probabile l'adempimento della prestazione dovuta e di ottenere l'oggetto o il valore dell'oggetto della prestazione stessa, se essa non venga volontariamente eseguita. Di conseguenza il diritto del creditore è nella rispondenza, che colpisce non il debitore ma ciò che per lui risponde, cioè i suoi beni o quelli di altra persona che si sia obbligata per lui, mentre nel debito il creditore" non ha che un'aspettativa dell'adempimento personale. I due rapporti sarebbero autonomi, pure essendo intimamente connessi. La connessione non esclude però che il debito sia un concetto distinto e diverso da quello dell'obbligazione.

La dottrina ha avuto fautori entusiasti e oppositori convinti. Essa contiene una parte di verità in quanto l'adempimento personale del debitore in molteplici casi e specie nelle obbligazioni di fare è fon­dato sulla fiducia che si ha nel debitore, che senta l'obbligo giuridico di compiere quanto ha promesso. Se egli non vuole adempiere, nep­pure il concorso di tutte le forze di terra, di mare e di cielo, che pos­siede lo Stato, e pone a disposizione del creditore, possono ottenerne l'adempimento. Ma non può elevarsi a dottrina generale delle obbli­gazioni, in quanto anche nelle obbligazioni di fare non trattasi di una semplice aspettativa, giacché il giudice condanna l'inadempiente a cor-. rispondere in danaro il valore dalla prestazione non eseguita. E vero che il valore della prestazione è cosa ben diversa dalla prestazione, ma il conseguirne il valore é l'esercizio di un diritto e non di una sem­plice aspettativa da parte del creditore. In quanto poi alle obbligazioni di dare, consistenti nell'obbligo di consegnare una cosa certa e determinata e in genere per tutte le obbligazioni per le quali è possibile l'esecuzione specifica e il giudice l'ordina, il creditore consegue ciò che gli era dovuto. Trattasi, dunque, di una visione parziale del feno­meno, che si scambia per una manifestazione totalitaria. Praticamente, poi, non giova la scissione del rapporto di debito da quello della rispondenza, giacché complica il regolamento del rapporto di obbligazione e non serve certo ad avvalorare nella coscienza del debitore.


I beni del debitore soggetti alla garanzia

Il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri. La disposizione esprime il principio con la mag­giore ampiezza possibile. Non si distingue fra le varie origini delle obbligazioni ; derivino esse da contratto, da delitto o quasi delitto o dalla legge ; il debitore risponde per l'adempimento con tutti i suoi beni. Neppure è da fare distinzione fra la natura o qualità dei beni ; siano essi mobili o immobili, costituiti da cose corporali o da diritti ; siano già nel patrimonio del debitore al momento in cui si contrasse l'obbligazione o entrati a farne parte successivamente ; vi si trovino al momento in cui il creditore agisce per ottenere l'adempimento o siano acquisiti in futuro, sono sempre la garanzia del creditore, che su di essi può far valere i suoi diritti.

Tale diritto di garanzia è un effetto inevitabile dell'obbligazione assunta. Perché esso sorga non è necessario che il debitore abbia la ca­pacità di alienare : basta che abbia quella di obbligarsi. Anche colui che non ha la capacità di intendere e di volere risponde coi suoi beni del fatto dannoso, se il creditore non ha potuto ottenerne il risarcimento da chi aveva il dovere di sorveglianza e il giudice ritenga equa la con­danna dell'incapace, in considerazione delle condizioni economiche delle parti (art. 2047 del c.c.).


I mezzi a disposizione del creditore per impedire l'evasione del patrimonio del debitore

Per l'esercizio di questo suo diritto, il creditore ha dalla sua parte i mezzi per ottenere che il debitore non sottragga il patrimonio a garanzia dell'adempimento, e faccia permanere in esso i singoli beni sui quali il creditore non abbia un diritto reale, che gli consenta di perseguirli presso i terzi (diritto di seguito). All'uopo egli dispone di due azioni : la revocatoria e la surrogatoria e del sequestro conservativo. La prima fa rientrare nel patrimonio del debitore il bene che ia. stato dolosamente allontanato. Di essa si terrà parola altrove : basti qui ricordare che per essere esercitata dal creditore occorre a) che vi sia mi danno effettivo di costui, nel senso che corra rischio di non potersi più soddisfare integralmente dei suoi crediti sui beni del debitore ; b) che l'alienazione sia compiuta dal debitore con la coscienza che con essa si rendeva economicamente incapace per l'adempimento integrale delle sue obbligazioni ; c) che se l'alienazione è fatta a titolo oneroso, il terzo che ha acquistato, al momento dell'acquisto sia in mala fede ; se, invece, l'acquisto è a titolo gratuito, il terzo è tenuto alla restituzione malgrado la sua buona fede. Quest'azione è detta anche Pauliana (art. 2901 del c.c.).

Anche della surrogatoria si discorrerà altrove (art. 2900 del c.c.) ; possiamo quindi limitarci a dire che mediante la stessa il creditore per assicurare che siano soddisfatte e conservate le sue ragioni, può esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascura. di esercitare, purché i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoni e non si tratti di diritti e di azioni, che per loro natura o per disposizione di legge non possono essere esercitate se non dal titolare.

Infine, col sequestro conservativo il creditore per garanzia delle sue ragioni può chiedere l'indisponibilità dei beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile (articoli da 670 a 687). Il sequestro può essere chiesto anche nei confronti del terzo acquirente dei beni del debitore, qualora sia stata proposta l'azione per far dichia­rare l'inefficacia dell'alienazione (art. 2905 del c.c.).


Eccezioni al principio della generale responsabilità del debitore coi propri beni. I debitori non tenuti personalmente. L'erede col beneficio di inventario. Il socio accomandatario. Le società per azioni

Il principio della responsabilità patrimoniale in tesi si estende dunque, a tutti i beni del debitore. Ma ogni principio generale soffre delle eccezioni e particolarmente quello in esame. Ne accenniamo le più frequenti :

a) Vi sono debitori che non sono obbligati personalmente verso il creditore, ma soltanto in rapporto ad un determinato bene, da esso posseduto. Cosi, l'acquirente di un bene gravato di ipoteca verso un terzo è tenuto verso costui per l'ammontare dell'iscrizione ipotecaria, ma soltanto col bene, su cui l'ipoteca è iscritta. Ogni altro suo elemento patrimoniale è sottratto all'azione del creditore. Ciò è la conseguenza che il debitore non era obbligato personalmente verso il creditore.

b) Vi sono beni destinati unicamente a vantaggio della famiglia. L'inalienabilità è op­ponibile ai creditori il cui diritto è sorto posteriormente alla trascrizione dell'atto o alla costituzione del vincolo sui titoli di credito. Se la co­stituzione è fatta da un terzo, l'inalienabilità è opponibile ai creditori del coniuge, al quale è attribuibile la proprietà dei beni. I creditori del terzo costituente possono impugnare la costituzione del patrimonio fa­miliare se fatta fin frode delle loro ragioni (art: 169). L'esecuzione sui frutti dei beni costituenti il patrimonio familiare non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Analogamente è disposto pei beni dotali, destinati a sostenere i pesi del matrimonio (art. 177). Se nell'atto di costituzione della dote non è stato espressamente consentito, non si possono durante il matrimonio alienare o obbligare i beni e le ragioni dotali e neppure si possono ridurre o restringere le ragioni medesime se non col consenso del marito o della moglie o con l'autorizzazione per decreto del tribunale, nei soli casi di necessità o utilità evidente (art. 187). L'esecuzione sui frutti dei beni dotali non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti dal marito per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

c) Nelle società semplici, per le obbligazioni sociali, i terzi possono far valere i loro diritti sul patrimonio sociale (art. 2267). Il socio richiesto del pagamento dei debiti sociali, anche se la società é in liquidazione può domandare la preventiva escussione del patrimonio sociale, indicando i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi (art. 2268). Nelle società in accomandita semplice, i soci accomandanti rispondono limitatamente alla quota conferita (art. 2313) ; nelle società per azioni la società soltanto risponde per le obbligazioni sociali col suo patrimonio (art. 2325).

d) L'esempio più tipico dell'obiettivazione del debito e della limitazione della responsabilità è dato dal codice germanico e da quello svizzero per quanto concerne il debito fondiario e la rendita fondiaria. Il mutuatario nel ricevere la somma grava il suo debito su di un determinato immobile, che costituisce l'esclusiva garanzia del mutuo, senza che il restante patrimonio venga vincolato per l'obbligazione. Egli può disporne liberamente. Anche l'immobile vincolato, può trasferirsi col debito, e se il debitore lo trasferisce si libera dal debito.


Eccezioni recate da leggi speciali. Insequestrabilità e impignorabilità di determinati beni

Una larga eccezione al principio generale dell'art. 2740 è data dalla insequestrabilità e dalla impignorabilità di una lunga categoria di beni. La varia natura di detti beni e le cause della relativa impignorabilità non si prestano ad una esposizione sistematica. Se ne sono avuti, tuttavia, lodevoli tentativi. Per amore di brevità non li accenneremo, limitandoci a ricordare che il nuovo codice di procedura civile quanto alle cose mo­bili distingue :
a) le cose mobili assolutamente impignorabili, che sono quelle elencate nei 6 numeri dell'art. 514 ;
b) le cose mobili relativamente impignorabili, che sono quelle indicate all’art. 515 (le cose che il proprietario del fondo vi tiene per il servizio e la coltivazione del medesimo, le quali possono essere pignorate separatamente dall'immobile soltanto in mancanza di altri mobili, ecc.) ;
c) le cose pignorabili in particolari circostanze di tempo indicate nell'art. 516 (i frutti non ancora raccolti o separati dal suolo, non possono essere pignorati, separatamente dal suolo se non nelle ultime sei settimane anteriori al tempo ordinario della loro maturazione, ecc. ; e i bachi da seta, non pignorabili, quando non sono per la maggior parte sui rami per formare i bozzoli, ecc.) ;
d) i crediti non pignorabili, di cui l'art. 545 indica due categorie : i) quelli impignorabili in modo assoluto, come i crediti aventi per oggetto sus­sidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie e funerali da casse di assicurazioni, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza ; 2) quelli impignorabili in modo relativo, giacché possono essere oggetto di pignoramento per determinati crediti.


Divieto di stabilire limitazioni di responsabilità con convenzioni private

Il fenomeno delle limitazioni delle responsabilità diventa di continuo più imponente per ragioni umanitarie, sociali o di tutela di interessi di diversa natura, che la legge ritiene degni di protezione. riservato, però, soltanto al legislatore di stabilire deroghe al principio della prima parte dell'art. 2740. Le private convenzioni non possono stabilire limitazioni al principio e a responsabilità. Questo divieto contenuto nella seconda parte della disposizione in esame fa ritenere che la prima rechi un principio di ordine pubblico.

Trattasi di una disposizione innovatrice di fronte al codice del 1865. È infatti stabilito oggi dal nuovo codice che è nulla ogni disposizione, con cui il testatore proibisca all'erede di di­spone per atto tra vivi o per atto di ultima volontà dei beni ereditari.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

1124 Il principio fondamentale che il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri e che i creditori, salve le cause legittime di prelazione, hanno eguale diritto di soddisfarsi su di essi, riceve enunciazione negli art. 2740 del c.c. e art. 2741 del c.c., rafforzato dalla norma (art. 2740, secondo comma) che, nell'interesse del credito e dell'economia, non consente limitazioni di responsabilità fuori dei casi stabiliti dalla legge.

Massime relative all'art. 2740 Codice Civile

Cass. civ. n. 22915/2016

In tema di revocatoria ordinaria, l'azione pauliana non è strutturalmente destinata alla tutela dell'esecuzione in forma specifica di obbligazioni diverse da quelle pecuniarie, avendo la sola funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore, ex art. 2740 c.c., ove la sua consistenza si riduca, per uno o più atti dispositivi, così pregiudicando la realizzazione coattiva del diritto del creditore, ed è pertanto correlata all'eventuale esercizio, al suo esito, all'azione esecutiva sul bene trasferito, per soddisfare le ragioni pecuniarie del creditore.

Cass. civ. n. 13107/2010

L'iscrizione d'ipoteca giudiziale in base ad un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo può essere fonte di responsabilità processuale aggravata ai sensi del secondo comma dell'art. 96 c.p.c., esclusivamente nell'ipotesi d'inesistenza del credito, ma non quando il valore dei beni assoggettati ad ipoteca sia largamente superiore all'ammontare del credito azionato in via monitoria, atteso che il creditore non incontra alcun limite quantitativo alla sua possibilità d'iscrivere ipoteca su tutti i beni costituenti, ai sensi dell'art. 2740 c.c., il patrimonio con il quale il debitore è tenuto all'adempimento delle sue obbligazioni.

Cass. civ. n. 10299/2007

Il creditore che abbia iscritto ipoteca su beni eccedenti l'importo del credito vantato non può essere chiamato a rispondere, nei confronti del debitore, per danni da illecito aquiliano ex art. 2043 c.c., non consentendolo le disposizioni di cui agli artt. 2740 (circa l'assoggettabilità di tutti i beni del debitore, presenti e futuri, alla responsabilità patrimoniale ), 2828 (che legittima il creditore ad iscrivere ipoteca giudiziale su qualsiasi immobile di proprietà del debitore ) e 2877 stesso codice (con il quale sono poste a carico del debitore richiedente le spese per l'eventuale riduzione, mentre sono a carico del creditore le sole spese derivanti da riduzione dell'ipoteca per eccesso nella determinazione del credito ). Resta, peraltro, salva la possibilità di configurare, a carico del creditore procedente, una ipotesi di responsabilità processuale, a tenore dell'art. 96, primo comma, c.p.c., qualora quest'ultimo, convenuto per la riduzione dell'ipoteca, resista in giudizio con mala fede o colpa grave.

Cass. civ. n. 8090/2004

Le riserve tecniche che figurano nella contabilità delle imprese di assicurazione e sono poste dalla legge in relazione esclusiva con l'adempimento delle obbligazioni assunte dall'impresa coi contratti cui si riferiscono, non costituiscono patrimoni separati, ma semplici poste contabili facenti parte del passivo dell'impresa, mentre la garanzia effettiva dell'adempimento delle obbligazioni è fornita non dalle riserve, ma dalle attività patrimoniali dell'impresa; né è sufficiente, per configurare un patrimonio separato, il riferimento del patrimonio stesso ad uno scopo, essendo anche necessario che intervenga una disciplina particolare, diversa da quella che regola il residuo patrimonio del soggetto, perché la separazione è uno strumento eccezionale, di cui soltanto la legge può disporre, essendo diretto ad interrompere la normale corrispondenza tra soggettività e unicità del patrimonio, per destinare una parte di questo al soddisfacimento di alcuni creditori, determinando in tal modo la insensibilità dei beni separati alla sorte giuridica degli altri, in deroga ai principi fissati dagli artt. 2740 e 2741 c.c.

Cass. civ. n. 10771/1999

Il creditore che abbia iscritto ipoteca su beni eccedenti l'importo del credito vantato non può mai essere chiamato a rispondere, nei confronti del debitore, per danno da illecito aquiliano ex art. 2043 c.c., non consentendolo le disposizioni di cui agli artt. 2740 (circa l'assoggettabilità di tutti i beni del debitore, presenti e futuri, alla responsabilità patrimoniale), 2828 (che legittima il creditore ad iscrivere ipoteca giudiziale su qualsiasi immobile di proprietà del debitore) e 2877 stesso codice (con il quale sono poste a carico del debitore richiedente le spese per l'eventuale riduzione, mentre sono a carico del creditore le sole spese derivanti da riduzione dell'ipoteca per eccesso nella determinazione del credito). Resta, peraltro, salva la possibilità di configurare, a carico del creditore procedente, una ipotesi di responsabilità processuale, a tenore dell'art. 96, primo comma c.p.c., qualora quest'ultimo, convenuto perla riduzione dell'ipoteca, resista in giudizio con mala fede o colpa grave.

Cass. civ. n. 576/1991

L'impignorabilità di un bene di un comune in ragione della sua appartenenza al patrimonio, indisponibile dell'ente, concretando una limitazione della responsabilità patrimoniale ai sensi dell'art. 2740, secondo comma, c.c., può essere fatta valere dal comune soltanto come motivo di opposizione all'esecuzione forzata contro il creditore pignorante ai sensi dell'art. 615 secondo comma c.p.c., ma non può essere opposta all'aggiudicatario come motivo di nullità della vendita forzata da far valere con azione autonoma di accertamento.

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Anonimo chiede
martedì 29/10/2024
“Da più di dieci anni ho un credito di denaro con un parente, non contrattuale ma bonario (conservo la distinta di bonifico bancario a suo favore, con causale "prestito"). Il parente, anche recentemente, ha riconosciuto per iscritto in chat di riconoscere questo debito (circa 10000 euro). Il debito quindi non sembra prescritto.
Nonostante le mie ripetute richieste, il parente non ha mai restituito il denaro, nè in passato quando aveva ampia potenzialità di farlo, nè oggi in quanto non più in possesso di beni immobili, conti correnti attivi, e con proventi di lavoro solo saltuari. Vive però in una famiglia con patrimonio molto alto.
La domanda è:
può avere senso un decreto ingiuntivo fatto sul debitore che si basi: o sui suoi beni in eredità futura (certi), o sull'attuale patrimonio familiare (madre, fratello, etc)?
In particolare, ha senso fare un decreto sic et simpliciter, ritenendo che possa essere il giudice, una volta accertata l'insolvibilità, a poter prendere la decisione autonoma di attribuire suo debito al patrimonio familiare?
Inoltre: questo credito è trasferibile in eredità a mia moglie e i miei figli?
Saluti”
Consulenza legale i 13/11/2024
Prima di affrontare il tema centrale del quesito, ovvero quello relativo alla possibilità o meno di aggredire beni non ancora entrati nel patrimonio del debitore o beni appartenenti alla cerchia familiare più stretta dello stesso debitore, si ritiene possa essere utile fornire qualche informazione in merito al riconoscimento di debito risultante da mezzi informatici di scambio di messaggistica, argomento peraltro di grande attualità.

Costituisce ius recpetum, anche nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti, contenuti in mezzi informatici di scambio di messaggistica, come possono essere le mail, gli SMS o i messaggi whatsapp, costituisce prova documentale ex art. 2712 del c.c..
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione Sez. II civile con ordinanza n. 5141 del 21.02.2019, nel corpo della quale si legge quanto segue:
“…lo short message service (“SMS”) contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell’ambito dell’art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime”.
Conforme anche Cass. civ. Sez. I ordinanza n. 19155 del 17.07.2019, così massimata:
Nel processo civile, e così anche nei procedimenti della crisi familiare o da questi derivanti, gli sms., le e-mail e i contemporanei sistemi di messaggistica hanno l'efficacia di "piena prova" che l'art. 2712 c.c. attribuisce alle riproduzioni informatiche. Per il disconoscimento di queste comunicazioni colui contro cui sono prodotte deve tempestivamente dimostrare, con elementi concreti e in maniera circostanziata ed esplicita, la non rispondenza della realtà riprodotta con quella fattuale.”
nonché Cass. civ. Sez. VI-2 ordinanza n. 11606 del 14.05.2018 così massimata:
In tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

Da quanto fin qui riportato ne consegue che, potendosi attribuire efficacia di riconoscimento del debito anche alla dichiarazione contenuta in un messaggio whatsapp, troverà applicazione anche il disposto di cui all’art. 2944 del c.c., norma che sancisce l’interruzione della prescrizione allorchè il soggetto passivo effettui il riconoscimento dell’altrui diritto, anche se continui comunque l’inattività del titolare di quel diritto.
Si tenga peraltro presente che l'orientamento giurisprudenziale maggioritario ritiene che il riconoscimento dettato dal citato art. 2944 c.c. non debba per forza coincidere con il riconoscimento del debito ex art. 1988 del c.c. (ossia con la dichiarazione unilaterale mediante la quale un soggetto riconosce di essere debitore nei confronti di un altro soggetto), ma che possa anche realizzarsi mediante qualsivoglia comportamento che produca l'ammissione dell'esistenza del diritto.

Per quanto concerne, invece, la seconda questione, ovvero quella relativa ai beni da poter aggredire, va detto che, una volta ottenuto il decreto ingiuntivo contro il debitore, tale provvedimento potrà essere fatto valere, anche esecutivamente, nei confronti del solo soggetto che assume la veste di debitore, non potendo il giudice, a cui ci si dovrà necessariamente rivolgere, estendere l’efficacia di quel provvedimento anche in danno dei familiari dello stesso debitore, in considerazione della situazione di insolvenza di quest’ultimo.

Quanto appena detto trova esplicito fondamento nel disposto di cui all’art. 2740 c.c., secondo cui “Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”, il che deve intendersi nel senso che tutti i beni del debitore, di cui lo stesso risulti titolare al momento dell’inizio dell’esecuzione ed anche se acquistati successivamente al sorgere dell’obbligazione, possono essere espropriati dal creditore.
Pertanto, nel momento in cui si otterrà il decreto ingiuntivo, lo stesso potrà essere azionato contro il debitore anche per aggredire beni che successivamente entreranno nel suo patrimonio per successione ereditaria, ma solo dal momento in cui tali beni saranno definitivamente acquisiti al patrimonio dello stesso debitore (in altre parole, non è possibile aggredire quei beni sin da subito, anche se non entrati nel patrimonio del debitore, ma solo come oggetto di futura successione).
Stesso discorso vale per i beni appartenenti a soggetti diversi dal debitore, anche se facenti parte della sua più stretta cerchia familiare, e ciò per il principio di carattere generale espresso dal sopra richiamato art. 2740 c.c.

Infine, rispondendo all’ultima domanda, va detto che ogni credito vantato da un soggetto potrà essere fatto valere dai suoi successori nell’ipotesi in cui chi ne è titolare dovesse decedere prima del soddisfacimento dello stesso.
Si tratta, infatti, di un diritto che, al pari degli altri beni, entrerà a far parte del patrimonio ereditario del de cuius e di cui i suoi successori diventeranno pieni titolari.


G.C. chiede
venerdì 12/11/2021 - Lazio
“In risposta al vostro messaggio riformulo la domanda SUPERBONUS 110 %: Moglie casalinga incapiente (nel 2020 ha avuto solamente un reddito di 1.500 euro (rimasto nella cassa condominiale) per affitto di locali condominiali denunciato con dichiarazione Reddito Persone Fisiche) proprietaria dell’appartamento in separazione dei beni. Secondo sentenza Cassazione SS.UU. n. 5035 del 08/04/2002 il condominio non può soddisfarsi sul marito. Domanda: posso stare tranquillo che il condominio non possa far pignorare l’abitazione di mia moglie per le spese non detraibili e non rimborsabili con il Superbonus, non essendo obbligata a partecipare ai benefici del Superbonus (inesistenti per il nostro stabile) per incapienza?”
Consulenza legale i 18/11/2021
In realtà nella vicenda descritta il superbonus 110% ci entra ben poco, in quanto qui si tratta di capire quali margini di manovra abbia l’amministratore di condominio nel caso in cui vi sia una insolvenza nel pagamento degli oneri condominiali.
Con il termine “superbonus 110%” non si fa altro che riferirsi ad una normativa fiscale, la quale prevede, tra le altre cose, una articolata procedura che permette in caso di esito positivo di non sopportare i costi degli interventi straordinari che si realizzeranno sui nostri edifici e che si vogliono appunto agevolare. E’ ovvio che se, per un qualsiasi motivo quando i lavori sono già iniziati vi è un “intoppo” in questa procedura, chi ha prestato la sua opera nella realizzazione degli interventi (per esempio: geometri, ingegneri, impresa appaltatrice ecc. ecc.) dovrà comunque essere pagato per l’opera che ha prestato e, ovviamente, saranno i condomini-proprietari a far fronte alla spesa, spesa che dovrà poi essere ripartita nel bilancio condominiale e contribuirà ad aumentare la rata degli oneri condominiali dell’appartamento.

Se queste rate non verranno onorate è chiaro che l’amministratore di condominio in adempimento delle sue prerogative previste dall’art. 1130 del c.c. dovrà attivare per mezzo di un legale le procedure di recupero dell’insoluto, procedura che, al netto di tutte le opposizioni del caso da parte del condomino destinatario del provvedimento, parte con l’ottenimento di un decreto ingiuntivo e può terminare con l’esecuzione forzata su determinati cespiti di proprietà del condomino esecutato.
Nel caso specifico par di capire che i condomini insolventi presentino come unico cespite aggredibile proprio l’appartamento in cui essi abitano e di cui sono comproprietari in ragione di una metà ciascuna.

È ben possibile, quindi, nel caso in cui il condominio nella persona dell’amministratore dovesse incardinare una procedura esecutiva nei confronti dei proprietari insolventi (marito e moglie) che sia proprio tale bene l’unico aggredibile, soprattutto se essi non sono titolari di ulteriori beni liquidi o più facilmente liquidabili (si pensi al classico conto corrente bancario), e se l’importo del debito è particolarmente elevato.

A nulla rileva, infatti, la pronuncia delle Sezioni Unite citata nel quesito. Con tale risalente pronuncia le Sezioni Unite hanno chiarito che in caso di insolvenza nel pagamento dei contributi condominiali, l’unico soggetto che risponde del pagamento è l’effettivo proprietario della unità immobiliare in condominio e non chi con comportamenti concludenti appare essere condomino. Questa affermazione può apparire piuttosto ovvia per il non addetto ai lavori, ma all’epoca quanto precisato dalla Sezioni Unite non era un concetto assolutamente scontato. Vi è da dire, inoltre, che la problematica risolta da tale pronuncia, oggi, con la riforma del condominio del 2012 e l’introduzione dell’anagrafe condominiale è del tutto superata, e, ad ogni modo, la sentenza in esame non troverebbe comunque applicazione nel caso specifico poiché i condomini insolventi, per quanto ci è dato capire, sono gli effettivi proprietari dell’appartamento come risulta dai rogiti di acquisto.

DARIO M. chiede
lunedì 31/08/2020 - Veneto
“buongiorno,
un genitore conferisce delega bancaria al proprio figlio per operare sul c/c bancario e deposito titolo collegato, intestati al genitore stesso.
nel caso in cui il figlio contraesse debiti personali di qualsiasi natura, il fatto di figurare come delegato sul conto del padre può determinare il pignoramento di quest'ultimo da parte dei creditori?
grazie”
Consulenza legale i 31/08/2020
La risposta al quesito richiede il richiamo all’art. 2740 del c.c., alla cui lettura si rimanda.

In forza della predetta disposizione, il debitore risponde con il proprio patrimonio dei debiti personali contratti.

Nel caso di specie, la circostanza che il figlio avesse una delega ad operare sul conto corrente del proprio genitore non comporta che un suo eventuale creditore possa andare a pignorare somme depositate sul conto corrente del predetto genitore, in quanto i due patrimoni (del figlio e del genitore) sono e restano distinti. Il patrimonio dell’uno e quello dell’altro sono posti a garanzia dei soli debiti personali contratti da ciascuno dei due soggetti.

Renato F. chiede
venerdì 22/11/2019 - Toscana
“Gentile redazione,
Vi scrivo in quanto , insieme a mio fratello, necessito di un Vostro autorevole parere tecnico in merito ad un ipotetico progetto di atti di donazione dei beni immobili di attuale proprietà dei nostri genitori.
Mio Padre e mia Madre (sposati in comunione dei beni) desidererebbero donare a mio fratello e a me, unici futuri legittimi eredi, parte dei loro beni immobili.
La suddetta volontà nasce principalmente dal fatto che mio Padre è purtroppo attualmente coinvolto ed attaccato in una serie di procedimenti civili da suo fratello ed altri attori i cui esiti appaiono , purtroppo, ad oggi del tutto incerti. Ci auguriamo che se non tutti , buona parte dei procedimenti possa volgere a nostro favore ma la situazione dalla quale ricerchiamo la massima tutela, riguarda l’ipotetico realizzarsi della potenziale peggiore delle ipotesi , quella nella quale alcuni (o magari buona parte) di questi procedimenti ci diano torto e un domani, non sappiamo quanto remoto, noi figli e/o moglie del condannato potremmo trovarci coinvolti in ipotetiche condanne, pagamento di spese processuali e/o richieste affini.
Ritengo importante precisare ad oggi non risulta pendente alcun debito o condanna insaldata a carico di mio padre.
Quella che vorremmo esplorare, anche con il Vostro contributo, è un’ipotesi e preciso progetto di trasferimenti di proprietà nella piena legalità, nel rispetto della possibilità di un risparmio in termini fiscali e con il fine di tutelarsi al massimo possibile da un possibile futuro infausto che potrebbe concretizzarsi come no ma che non possiamo certo permetterci il rischio di non saperne gestire l’esito.
Il patrimonio immobiliare dei nostri genitori è attualmente così composto : :
Toscana: Casa di famiglia con pertinenza c2 (in cui abita mia madre) acquistata al 50% in comunione dei beni dai miei genitori, con mutuo estinto ed attualmente in regime di prima casa per entrambi i nostri genitori.
Sicilia : Casa rurale con pertinenza c2 e terreno annesso (in cui senza aver preso residenza, abita ad oggi la maggior parte dell’anno mio padre), ereditata per successione ed al 100% di proprietà di mio padre.
Sicilia: Due piccoli appartamenti (al momento sfitti e posti in stato di vendita) acquisiti per donazione da più di 10 anni al 100% di proprietà di mio padre.
Nel nostro progetto di tutela avremmo, sommariamente, quanto segue:
Mio Padre e mia madre donano la nuda proprietà a me ed a mio fratello al 50% della casa di famiglia in Toscana .Mia madre mantiene il diritto di abitazione (o alternativamente l’ usufrutto) esclusivo di tale proprietà.
Mio Padre dona la nuda proprietà a me ed a mio fratello al 50% della casa rurale. Mio padre mantiene il diritto di abitazione (o alternativamente usufrutto) esclusivo di tale proprietà.
Mio padre rimarrebbe proprietario al 100 % dei soli appartamenti attualmente in vendita, in attesa di trovare un promittente acquirente.
Riassumendo ulteriormente e , ponendolo sotto forma di schema esplicativo della situazione reale ed ipotizzata :
Abitazione Toscana
Stato proprietà attuale : 50% Padre e 50% Madre
Stato proprietà desiderato : 50% nuda proprietà 1 figlio e 50% nuda proprietà secondo figlio con 100% usufrutto della madre
Abitazione Sicilia con terreni
Stato proprietà attuale: 100% Padre
Stato proprietà desiderato : 50% nuda proprietà 1 figlio e 50% nuda proprietà secondo figlio con 100% usufrutto del padre
Da valutare in merito agli attuali titoli urbanistici che, a differenza dei sovraesposti beni , in questi casi sono da accertare e verificare più approfonditamente :
Magazzino di pertinenza Abitazione Toscana sottoposto a vincolo culturale
Stato proprietà attuale : 50% Padre e 50% Madre con mutuo in corso.
Stato proprietà desiderato : 50% nuda proprietà 1 figlio e 50% nuda proprietà secondo figlio con 100% usufrutto della madre
Magazzino di pertinenza Abitazione Sicilia
Stato proprietà attuale: 100% Padre
Stato proprietà desiderato : 50% nuda proprietà 1 figlio e 50% nuda proprietà secondo figlio con 100% usufrutto del padre
Di seguito passiamo ad elencare alcuni punti fondamentali per i quali nutriamo alcuni dubbi ed incertezze derivanti dalla gestione del sopraesposto ipotetico disegno di passaggi di proprietà in una situazione attuale di “liti legali” che coinvolgono a più stati di giudizio , da svariati anni , nostro padre , nostro zio ad altre parti. Gradiremmo mettere il luce, con la

Vostra consulenza, i punti fondamentali sul quale definire il progetto.
Possibile richiesta di annullamento della donazione da parte di un ipotetico creditore.
Ad avvenute sopra ipotizzate donazioni, potremmo aspettarci una possibile reazione di un possibile creditore (lo zio?) che potesse valutare di procedere con una causa di richiesta di annullamento, motivata magari da un presunto fine fraudolento volto a sottrarre quanto a lui dovuto in veste di “possibile” e futuro creditore ?
Importante sottolineare che, nella nostra ipotesi, nostro padre non sarebbe “nullatenente” in quanto oltre al percepire la sua buona pensione, resterebbe legittimo proprietario esclusivo di due appartamenti che crediamo andrebbero abbondantemente a coprire eventuali pagamenti di spese legali. Questa ipotetica situazione “bilanciata” , se ritenuto maggiormente tutelante, potrebbe restare tale anche fino alla scadenza dei 5 anni, periodo nel quale (se non ci sbagliamo) un “presunto creditore” potrebbe impugnare un atto di donazione per quanto sopra. Ci chiediamo però quanta fondatezza potrebbero trovare le ragioni di una ipotetica causa di questa natura. Ci sono altre motivazioni che a noi sfuggono per richiedere l’annullamento delle donazioni? Quali sarebbero i vantaggi di tutela legale da parte di questo presunto creditore, se invece che attraverso un atto di donazione i beni fossero trasferiti di proprietà attraverso un formale atto di compra-vendita che vorremmo però evitare per ovvie ragioni economiche ? Infine ci chiedevamo quale sarebbe l’ipotetico tribunale competente relativamente ad una causa di annullamento della donazione: se quello Siciliano o quello Toscano …
Usufrutto o diritto di abitazione: aspetti fiscali.
Come anticipato, non ci è del tutto chiaro se nel nostro caso, risulti conveniente da parte dei nostri genitori il mantenimento del diritto di usufrutto o del diritto di abitazione.
I dubbi sono di differente natura:
Legale: l’usufrutto ci risulta pignorabile, mentre il diritto di abitazione no. In caso di eventuale pignoramento, dunque , (anche se economicamente sicuramente poco appetibile), colui che acquista questo diritto lo perderebbe solo in seguito alla morte dell’originario proprietario del diritto, è corretto? Può essere pignorato l’usufrutto sulla prima casa di residenza? Se quanto detto è corretto, il diritto di abitazione, sotto l’aspetto legale, risulta quindi da preferire ? Che cosa ci consigliereste di valutare al riguardo ?
Fiscale: Nel caso di usufrutto e residenza nella prima casa è prevista l’esenzione IMU. Sarebbe equivalente anche in caso di diritto di abitazione? Medesima domanda ce la poniamo per quando riguarda le detrazioni da rendita immobiliare in 730.
Coinvolgimento dei familiari e/o eredi in eventuali debiti insoluti.
Il progetto di donazione, come fino ad adesso descritto, vorrebbe avere come fine primario la tutela mia, di mio fratello e di mia madre, da eventuali possibili futuri debiti riguardanti le cause civili di nostro padre.
Ci chiedevamo se potesse essere tutelante che i nostri genitori compiano tra loro un atto di separazione dei beni e in quale casi nostra madre potrebbe comunque essere coinvolta.
Non sapendo la durata di queste battaglie legali, tutti noi potremmo prevedere dunque, nel caso la peggiore delle ipotesi dovesse verificarsi, di rinunciare all’eredità di nostro padre. Da ciò nascono spontanei alcuni quesiti:
Quali sarebbero le azioni da compiere (o da non compiere) per rinunciare formalmente all’eredità escludendo ogni tipo di coinvolgimento ? (pagamento delle spese funerarie , utilizzo dei cc, pagamento assicurazione o bollo macchina di nostro padre ecc? )
Avendo ipoteticamente ricevuto in donazione parte dei beni dei nostri genitori in vita , esiste una qualche situazione per la quale potremmo essere considerati comunque eredi?
Una volta cessato l’eventuale diritto di abitazione ( o l’usufrutto ) e divenuti automaticamente e senza alcun altro atto, pieni proprietari dei beni, potremmo essere considerati comunque eredi?
Come dovremmo comportarci riguardo ad eventuali beni mobili non oggetto di una successione (auto, conti correnti personali o cointestati ecc) ?
Gestione eventuali condanne al termine dei passaggi di proprietà
In caso avvenisse la malaugurata ipotesi nella quale nostro padre dovesse in futuro essere condannato al pagamento di importanti cifre nei confronti di nostro zio o di terzi, quali sarebbero le azioni da intraprendere precedentemente per ridurre la possibilità di ipotetico pignoramento dei beni ancora di sua proprietà,magari non immobili come Conto corrente personale o cointestato, auto, diritto di abitazione o usufrutto, pensione ?
Gradiremmo conoscere le corrette tutele per far sì che eventuali condanne a nostro padre, non possano andare a colpire o coinvolgere noi figli e/o futuri eredi (compresa nostra madre). Se nostro padre facesse un bonifico su uno dei nostri cc personali, potrebbe essere richiesta un‘azione revocatoria anche per questo ? Sarebbe possibile considerarla una donazione indiretta? Cosa succederebbe se il conto fosse cointestato con uno di noi figli, ed una volta nato il debito il figlio cointestatario prelevasse i soldi presenti sul conto corrente?
Consapevoli delle molteplici e speriamo non troppo confusionarie domande esposte ci auguriamo di aver comunque reso chiara la situazione di partenza e quella “di arrivo” che vorremmo poter raggiungere “al meglio possibile” sicuramente anche grazie alla Vostra consulenza tecnico legale e fiscale.
Ringraziandovi anticipatamente restiamo a disposizione per ogni richiesta di chiarimento o integrazione in merito .
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 09/12/2019
Ai nostri giorni diverse sono le ragioni che possono indurre chiunque a tentare di blindare il proprio patrimonio e diversi sono gli strumenti giuridici di cui potersi avvalere, a seconda della particolare situazione economica in cui ci si trova.
Quelli a cui maggiormente si ricorre in Italia sono: fondo patrimoniale, trust, atto di destinazione, polizza assicurativa, pegno, ipoteca, intestazione fittizia di beni a nome altrui, donazione, finte separazioni con assegnazioni di tutti i beni ad uno dei coniugi, contratto fiduciario, e così via.

Si tratta di vedere, tra i vari strumenti disponibili, quale meglio può adattarsi alle proprie esigenze, sia in termini di garanzia futura sia in termini di costi per lo spostamento patrimoniale che si andrebbe a realizzare, dovendosi tener conto del fatto che un’azione preventiva è quella che può meglio garantire il risultato sperato, in quanto, stando agli ultimi orientamenti giurisprudenziali, non vi è escamotage giuridico che possa riuscire a tutelare il proprio patrimonio in presenza di situazioni debitorie gravi e già esistenti o quando lo stesso è già in procinto di essere aggredito.

Per fortuna non è questo lo scenario che si presenta nel caso di specie, in quanto l’intento che ci si prefigge di conseguire è di mettere al riparo il patrimonio da ipotetiche azioni future e per debiti che ancora non sono venuti ad esistenza o, addirittura, è possibile che neppure verranno ad esistenza.
Quest’ultimo presupposto costituisce già un elemento a favore della possibilità di far uscire quasi tutti i beni immobili dal patrimonio dei genitori avvalendosi del negozio di donazione con riserva di usufrutto e/o abitazione, senza che tale donazione possa essere in qualche modo revocata.
E’ corretta l’idea che il trasferimento a titolo gratuito debba interessare quasi tutti gli immobili, in quanto il padre ha la titolarità esclusiva di tutti, tranne la casa in Toscana con magazzino di pertinenza, per la quale ne è comproprietario in regime di comunione legale con la moglie.

Si suppone che sia già noto a chi pone il quesito, infatti, che anche gli immobili in regime di comunione legale possano essere aggrediti esecutivamente e per l’intero (dandone avviso all’altro comproprietario), con la sola particolarità che nel momento in cui si giungerà alla vendita, il coniuge non debitore avrà diritto al 50% del ricavato della vendita (si vedano in tal senso Cass., Sez. III civile, sent. N. 6230/2016; Cass. Sez. III civ. n. 6575/2013; Trib. di Enna ordinanza 15.05.2015).

Per quanto riguarda la scelta tra costituzione di un diritto di usufrutto o di un diritto di abitazione, corretto è il rilievo contenuto nel quesito in ordine al loro diverso regime di pignorabilità.
Infatti, sebbene sia il diritto di usufrutto che quello di abitazione (così come quello di uso) siano dei diritti reali limitati, volti a comprimere e limitare le facoltà essenziali di godimento del diritto di proprietà, soltanto i diritti di abitazione e di uso sono diritti di natura personalissima, con funzione in particolare alimentare, al contrario di quanto può dirsi per l’usufrutto (il carattere personalissimo del diritto di abitazione ne vieta la possibilità di cessione sotto qualunque forma).

Da tale differenza strutturale e di natura ne consegue che l’usufrutto è un diritto pignorabile e aggredibile dai creditori di chi ne è titolare, malgrado la nuda proprietà faccia capo ad un soggetto diverso dal debitore; l’unica particolarità rispetto all’ordinario pignoramento (che colpisce il diritto di piena proprietà) sta nel fatto che permane la temporaneità del diritto, il che comporta che la sua durata resterà sempre legata alla vita dell’originario titolare sottoposto a procedura esecutiva e non a quella di chi potrà divenirne aggiudicatario al termine di quella procedura (il quale, in caso di età avanzata del debitore, potrà, dopo brevissimo tempo, vedere estinto il diritto conseguito a soddisfacimento del credito).

Diversa è la situazione per il diritto di abitazione, il quale, almeno secondo l’attuale prevalente giurisprudenza, non può essere pignorato, e ciò in considerazione della sua funzione di assolvere ad esigenze di natura familiare e del suo carattere personalissimo, ma soprattutto per il fatto, già prima rilevato, che esso non è autonomamente trasferibile.
Di tale sua impignorabilità se ne trova conferma anche nel dato positivo, ed in particolare all’art. 2810 del c.c. (norma che stabilisce quali sono i beni e diritti suscettibili di ipoteca, non contemplando tra questi il diritto di abitazione), nonché agli artt. 2814, 2815 e 2816 c.c. (che disciplinano appunto l’ipoteca).

In considerazione di quanto sopra detto, dunque, il primo consiglio che si ritiene di poter dare è quello di procedere alla stipula di un atto di donazione con il quale entrambi i genitori, ciascuno per le proprie quote di appartenenza, andrebbero a donare ai figli la nuda proprietà della casa in Toscana e della casa rurale in Sicilia (con relative pertinenze), riservandosi il diritto di abitazione e di uso dei mobili che li arredano (anziché il diritto di usufrutto, che gli altri parenti sicuramente non esiterebbero a pignorare pur di arrecare un danno, piuttosto che trarne un effettivo guadagno).

Per quanto concerne il dubbio sulla revocabilità o meno della donazione da parte di colui o coloro che al momento dell’atto non potevano ancora vantare un titolo di credito, la risposta purtroppo è positiva. Infatti, è vero che l’art. 2901 c.c., che disciplina, appunto, le condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria, richiede testualmente in colui che intende esercitare tale azione la qualità di creditore, ma è anche vero che il n. 1 della medesima norma prevede la revocabilità di un atto posto in essere in data anteriore al sorgere del credito, specificando che in questo caso è posto in capo al creditore l’onere di provare che quell’atto sia stato dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito futuro.
Unico limite che può insorgere, a questo punto, è quello temporale, in quanto, come appare noto a chi pone il quesito, l’azione revocatoria può esercitarsi (e, dunque, deve essere trascritta) entro un termine massimo di cinque anni dalla data dell’atto (si dovrebbe, a questo punto, confidare nella lunghezza dei tempi processuali).

Quanto detto per la donazione vale anche per un eventuale atto di compravendita impostato secondo lo stesso schema della donazione (ossia vendita della sola nuda proprietà e riserva dell’abitazione), e ciò perché in entrambi i casi l’interesse che il legislatore ha inteso tutelare è quello del creditore di veder soddisfatte le proprie pretese creditorie a fronte di atti di disposizione del debitore che incidano in modo pregiudizievole sulla consistenza del suo patrimonio.
Gratuità ed onerosità dell’atto, infatti, possono assumere rilevanza solo sul piano dei limiti soggettivi entro cui l’accertamento dell’elemento psicologico dell’atto deve essere condotto.
Infatti, mentre nell’ipotesi di atti a titolo gratuito il c.d. consilium fraudis deve sussistere soltanto in capo al debitore (ed il conflitto tra il creditore che tende ad evitare un danno ed il terzo che consegue comunque un vantaggio senza un corrispondente sacrificio si risolve in favore del primo), nell’ipotesi di atti a titolo oneroso, i quali si caratterizzano anche per un sacrificio da parte del terzo, l’intensità dell’elemento soggettivo è graduata a seconda che l’atto impugnato sia anteriore o successivo al sorgere del credito.
Nel primo caso (atto anteriore al sorgere del credito) è richiesto che il terzo sia a conoscenza della dolosa preordinazione del debitore (c.d. scientia fraudis), ma non è richiesta una sua specifica conoscenza del debito storicamente gravante sull'alienante; nel secondo caso (atto successivo al sorgere del credito) occorre che il terzo sia consapevole al pari del debitore delle conseguenze pregiudizievoli dell’atto stesso.

Ora, è evidente che, se un debitore o futuro tale dispone del suo patrimonio mediante la contestuale vendita di una pluralità di beni, l’esistenza e la consapevolezza, sia del debitore che del terzo acquirente, del pregiudizio patrimoniale che si può arrecare con tale atto alle ragioni di un creditore sono in re ipsa (così Cass. 3113/1997; Cass. 6248/1999); così come, del resto, sarà molto facile per il creditore dare prova del danno che con il suo atto il debitore gli ha arrecato quando, spogliandosi di tutti i propri beni, non lascia nel suo patrimonio altre garanzie per soddisfare le pretese dei creditori.
Infatti, il totale svuotamento del patrimonio del debitore sarà la piena dimostrazione che lo stesso non poteva non sapere che ciò avrebbe pregiudicato i creditori.

Sulla scorta di queste ultime considerazioni, dunque, si vuole qui proporre di adottare un diverso schema giuridico, ossia: anziché stipulare una donazione o una compravendita, procedere alla stipula di una cessione onerosa, in cui l’onere si farebbe consistere nell’obbligo di mantenimento che i figli assumono nei confronti dei genitori.
Oggetto della cessione dovrebbe sempre essere la sola nuda proprietà, con riserva del diritto di abitazione su tutti gli immobili in favore dei cedenti stessi.
In questo modo i figli acquirenti non pagano un prezzo (e, dunque, non vi è alcuno spostamento di somme facilmente tracciabile), ma si obbligano ad eseguire a titolo di corrispettivo delle prestazioni di mantenimento che si sostanziano in “obblighi di dare” ed “obblighi di fare”.
Laddove fosse possibile rinunciare al diritto di abitazione, tale forma di contratto darebbe la possibilità per i cessionari (i figli) di fruire delle agevolazioni prima casa, sempre che gli stessi non siano titolari di altri immobili destinati ad abitazione principale (nel qual caso la cessione dovrebbe riguardare la piena proprietà degli immobili, con attribuzione ad uno dei figli della casa in Toscana e all’altro della casa rurale in Sicilia).

Sotto il profilo di una successiva azione revocatoria, un atto di tale tipo presenta indubbiamente dei vantaggi rispetto alla comune compravendita o alla donazione, in quanto intanto si tratta pur sempre di un atto a titolo oneroso (per il quale l’onere probatorio posto in capo al creditore è più forte), e poi perché si caratterizza per una causa giustificativa molto più pregnante e aderente alla realtà, con la conseguenza che, in caso di esercizio di una eventuale azione revocatoria, si potrà chiedere al giudice di tener conto dei servizi resi e delle spese nel frattempo sostenute in favore dei propri genitori.

Corretta è la scelta di mantenere qualche bene aggredibile nel patrimonio del padre, quali saranno gli appartamenti in Sicilia e la pensione di cui il medesimo è titolare, il che non può che rafforzare l’intento che si manifesta di voler porre alla base dell’atto di cessione onerosa.
Per gli appartamenti, comunque, si potrà continuare a dare mandato ad una agenzia per la loro vendita, la quale avverrebbe in favore di terzi del tutto estranei alla cerchia familiare (ciò che allontana in qualche modo il sospetto di un intento fraudolento).

Non si consiglia di procedere ad una separazione dei beni con assegnazione degli stessi in favore di uno solo dei coniugi, in quanto si tratta di uno schema negoziale molto “di moda” ai nostri tempi e messo frequentemente in atto da debitori-imprenditori per sfuggire ai debiti che si potrebbero contrarre nello svolgimento della propria attività (fattispecie, dunque, ben conosciuta ai giudici e che non ha una vera e forte causa giustificativa).

Alla domanda se è possibile rinunciare all’eredità pur avendo accettato una donazione in vita o se si viene ugualmente considerati come eredi, va data risposta negativa, nel senso che l’aver ricevuto in vita donazioni non costituisce forma di accettazione tacita dell’eredità.
Probabilmente nel porre tale domanda ci si intende riferire al disposto dell’art. 524 del c.c., ma la norma fa riferimento al caso di impugnazione della rinuncia da parte dei creditori dell’erede e non del de cuius ( come sarebbe in questo caso), impugnazione che in ogni caso non fa acquistare la qualità di erede nel rinunciante.
Neppure si viene ad acquistare la qualità di erede in seguito alla riunione dell’usufrutto alla nuda proprietà, in quanto si tratta di un effetto espansivo del diritto di proprietà, che si realizza ipso iure e non iure successionis.

Ultimo aspetto da considerare, almeno sotto il profilo prettamente giuridico, è quello relativo alla sorte del denaro e dei beni mobili.
Per quanto concerne le somme di denaro deve rispondersi positivamente alla domanda se un eventuale bonifico dal conto del padre a quello del figlio possa essere revocato, in quanto si tratta di un trasferimento a titolo gratuito.
Le soluzioni che si propongono sono, a questo punto, le seguenti:
  1. estendere la titolarità del conto ad altri soggetti (moglie e figli): un conto cointestato, infatti, può formare oggetto di pignoramento, ma la somma in esso contenuta può essere pignorata solo in misura pari alla quota di cui è contitolare il debitore.
  2. utilizzare buona parte delle somme giacenti sul conto corrente per contrarre una o più polizze vita, designando quali beneficiari i propri figli.
A tal fine conviene affidarsi ad istituti bancari e/o assicurativi che diano una certa garanzia di solidità, i quali sapranno consigliare quale prodotto si adatta meglio alle proprie esigenze.
Si tenga conto, comunque, che le somme che vengono riversate in una polizza vita godono del beneficio della impignorabilità ed insequestrabilità.

Per i beni mobili registrati (auto e moto) si può pensare sin d’ora ad un trasferimento di proprietà sempre in favore dei propri figli; difficilmente, infatti, un creditore decide di avventurarsi in un’azione revocatoria per tale tipo di bene, in quanto i costi che dovrebbe sostenere per esperire questa azione sicuramente non andrebbero a compensare il guadano che se ne ricaverebbe dal pignoramento e successiva rivendita di questo tipo di beni.

Sotto il profilo fiscale, ferme le considerazioni prima espresse in tema di agevolazione prima casa, si evidenzia che, al di fuori di tale ipotesi, la soluzione prospettata sarebbe ordinariamente assoggettabile all’aliquota proporzionale del 3%, ex art. 9 del T.U.R., tariffa, parte I.
Il negozio giuridico proposto (cessione onerosa) viene, infatti, ricondotto nella categoria dei contratti atipici di mantenimento che, per orientamento giurisprudenziale abbastanza recente (Ctp di Firenze, sentenza n. 103 del 31 gennaio 2019), sono assimilati alla permuta, con la conseguenza che il valore del contratto, ai fini della determinazione della base imponibile, non può che essere quello del bene scambiato.
Il contratto di mantenimento è un contratto a titolo oneroso, a prestazioni corrispettive, in cui il sinallagma è costituito dall’assunzione di un obbligo di fare (in genere, comprensivo di vitto, alloggio, assistenza medica, cura della persona, acquisto di vestiario e simili, a beneficio del mantenuto) in cambio della cessione di un bene, spesso di natura immobiliare, in favore del mantenente.
Si tratta, pertanto, di un contratto in cui un’obbligazione di fare viene scambiata con un’obbligazione di dare.
Sebbene l’assunzione di un obbligo di fare come quello descritto abbia i caratteri dell’aleatorietà, il sinallagma descritto presenta certamente tutti gli elementi propri della permuta, per come cristallizzata nel codice civile.
L’art. 1552 del c.c., infatti, descrive la permuta come il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose, o di altri diritti, da un contraente all’altro.
Dall’assimilazione del negozio alla permuta deriva che il valore del contratto, ai fini della determinazione della base imponibile, non può che essere quello del bene scambiato, in conformità alle disposizioni di cui al comma 1 lett. c) dell’ art. 43 del T.U.I.R., per il quale la base imponibile dell’imposta di registro è, come cennato, costituita “per i contratti che comportano l’assunzione di una obbligazione di fare in corrispettivo della cessione di un bene o dell’assunzione di altra obbligazione di fare, dal valore del bene ceduto o della prestazione che dà luogo all’applicazione della maggiore imposta, salvo il disposto del comma secondo dell’art. 40, ossia salvo il caso di operazioni permutative assoggettabili ad IVA per le quali non troverebbe comunque applicazione l’imposta di registro.

Con Risoluzione n. 113/E del 25 agosto 2017, l’Amministrazione finanziaria ha comunque precisato che, anche al contratto atipico di mantenimento si può applicare il sistema del prezzo-valore, sempreché lo stesso realizzi una cessione avente ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, a favore di una persona fisica che non agisca nell’esercizio di attività impresa o di lavoro autonomo (come nel caso di specie). In questo caso, però, le parti devono altresì dichiarare nell'atto il valore della controprestazione assunta dal cessionario.
Per l'applicabilità della regola del prezzo-valore le parti, infatti, sono tenute ad indicare nell'atto il corrispettivo pattuito.
Nei contratti atipici di mantenimento le parti sono tenute a dichiarare nell'atto il valore della controprestazione assunta dal cessionario, determinata in via presuntiva.

Qualora durante lo svolgimento del contratto emerga che il valore effettivo della controprestazione sia diverso dall’importo indicato in atto, e, tale modifica possa condurre ad una diversa applicazione dell’imposta, il contribuente deve denunciare il valore definitivo del corrispettivo.
Ciò in coerenza con i principi dettati dalla giurisprudenza che sottolinea la valenza agevolativa del regime del “prezzo-valore” la cui applicazione, pertanto, deve essere garantita per le fattispecie caratterizzate da una sostanziale omogeneità, a prescindere dal contesto acquisitivo del bene (Corte costituzionale, sentenza n. 6 del 15 gennaio 2014).

Riguardo all’IMU, in genere, nel caso di cessione della nuda proprietà di un immobile con mantenimento del diritto di abitazione da parte del cedente, l’onere di assolvere al pagamento del tributo ricade sul titolare del diritto di abitazione.
Per effetto dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 23 del 14 marzo 2011 recante “Disposizioni in materia di federalismo municipale”, costituisce soggetto passivo dell’IMU:
  • il proprietario, ossia colui che, in base all’art. 832 del c.c., ha il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico;
  • l’usufruttuario, cioè colui che ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica. Secondo l’art. 981 del c.c., inoltre, l’usufruttuario può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare, fermi i limiti stabiliti dalle disposizioni relative all’usufrutto. Con riferimento all’usufrutto, si ricorda che esso può essere costituito:
    • per legge, ai sensi dell’art. 324 del c.c., come per il caso di diritto costituito in favore dei genitori sui beni dei figli minori. In tali casi, soggetto passivo potrà essere il figlio minore, con l’adempimento eseguito dal genitore in nome e per conto del figlio minore se l’immobile ad esempio sia stato acquistato dal figlio con i proventi del suo lavoro, ovvero nei casi di beni che non rientrano nell’usufrutto (si consultino le fattispecie fissate dall’art. 324 c.c.). In tutti gli altri casi il genitore del minore è soggetto passivo dell’IMU e, in nome e per conto proprio, deve effettuare tutti gli adempimenti richiesti dalla normativa sull’IMU;
    • per volontà del proprietario: in tal caso, mediante atto stipulato tra vivi, il proprietario restringe il suo diritto sul bene in favore di un altro soggetto. Pertanto il primo diviene nudo proprietario, mentre il secondo diviene usufruttuario;
  • l’usuario, cioè colui che, ai sensi dell’art. 2021 del c.c., ha il diritto di servirsi di una cosa e, se fruttifera, di raccogliere i frutti per quanto occorre ai propri bisogni e a quelli della propria famiglia;
  • il titolare del diritto di abitazione, cioè colui che, ai sensi dell’art. 1022 del c.c., ha diritto di godere di una casa limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia;
  • l’enfiteuta rappresenta il soggetto che, secondo quanto disposto dall’art. 957 e segg. c.c., ha i medesimi diritti che avrebbe il proprietario sui frutti del fondo dietro l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare al concedente un canone periodico;
  • il titolare del diritto di superficie, ossia colui che ha il diritto di fare, mantenere al di sopra del suolo altrui, una costruzione che rimane di proprietà del medesimo. In altri termini, nel diritto di superficie, la proprietà del suolo rimane al concedente, mente quella del fabbricato rimane in capo al concessionario.

Nei casi innanzi descritti, il nudo proprietario non è tenuto al pagamento del tributo che di conseguenza grava sul titolare del diritto reale di godimento. Ne consegue che, in generale, i soggetti privi di diritti reali non sono soggetti passivi del tributo.
Si ricorda che la prova del diritto di proprietà o più in generale della titolarità dell’immobile non è data dalle iscrizioni catastali ma dalle risultanze dei registri immobiliari e in presenza di difformità il soggetto passivo è il colui che risulta titolare in base agli stessi.


Anonimo chiede
martedì 21/05/2019 - Lazio
“Egregi Avvocati, Vi rappresento la mia situazione per avere un Vostro parere.
Ad oggi ho i seguenti debiti: euro 3500 con il condominio, in quanto soccombente ad opposizione decreto ingiuntivo per oneri condominiali impagati; in breve, sono coerede insieme a tre fratelli di un immobile ereditario valevole 90 mila euro (pro quota 22500 euro) ed ho perso una causa con i coeredi per aver affittato a terzi l'immobile ereditario per pagare spese condominiali, manutenzioni e tasse, il tutto ex articoli 460-486 c.c. (Amministrazione temporanea), situazione per la quale in solido con l'ex inquilino sono soccombente (vi è stata una causa dei coeredi) e devo per sentenza 12000 euro in solido agli stessi.
Inoltre ho debiti di 4000 euro con Agenzia Entrate Riscossione ed attendo esiti ad una definizione rateale richiesta.
Infine, attendo una sentenza imminente per una causa di ricorso/sequestro immobile ex art 670 e scioglimento comunione ereditaria, il sequestro ex art 670 c.c. situazione di cui temo un enorme addebito spese legali/giudiziarie che non saprei quantificare, dopo una causa di 5 anni con giudizio definitivo imminente, anzi in tal senso vi chiedo un parere su quanto possa essere addebitato e se l'addebito sia solo a me o anche agli altri coeredi.
Chiedo: sono un operaio a 1200 euro mensili ed il coniuge operaio part time a 300 euro mensili, voglio aderire alla legge 3/2012-piano del consumatore; ho un solo dubbio: possiedo soltanto un'immobile di residenza-prima casa con mutuo fondiario in corso che pago regolarmente: mutuo da 105000 euro, residuo 58000 euro, 11 anni di scadenza, rata mensile 445,00 fino alla fine, cointestato
Pertanto domando: corro il rischio attuando la legge 3/2012 piano del consumatore che l'immobile possa essere inserito nel piano e nella procedura liquidativa o in situazioni simili? In tal senso avrei dei rischi (quali?) o dei vantaggi? Ed infine nell'aderire a tale legge, vista la mia situazione mi consigliate di aderire alla legge 3/2012 da subito oppure soltanto in caso che il creditore operasse un pignoramento dell'immobile, poiché come avrete capito mi interessa difendere questo unico bene che possiedo. Ciò anche considerando che gli stessi potrebbero soddisfarsi con la quota parte ereditaria del sottoscritto o gran parte di essa.
Chiedo Vostro parere per procedere o meno. Al momento non ho documentazioni specifiche al riguardo.
Chiedo un Vostro parere tecnico. Grazie. Cordiali saluti”
Consulenza legale i 31/05/2019
I debiti che allo stato attuale risultano certi, liquidi ed esigibili ammontano a circa euro 20.000, e sono quelli dovuti nei confronti del condominio, dell’Agenzia delle entrate e quelli derivanti da sentenza, per i quali ultimi ci si trova nella posizione di coobbligato.
A questi deve necessariamente aggiungersi l’importo del mutuo residuo, pari ad euro 58.000 per il quale, trattandosi di mutuo fondiario, la Banca mutuante vanta un credito privilegiato (è titolare del diritto di ipoteca sull’immobile).
Non è possibile mettere nel conto, invece, i debiti di cui ancora non si ha alcuna certezza in ordine al loro esatto ammontare, e sono quelli che deriveranno dalla causa per scioglimento della comunione ereditaria, nel corso della quale sembra che sia stato anche disposto un sequestro giudiziario.

Risulta più che evidente, dunque, che la situazione che si presenta deve, per forza di cose, suscitare una certa preoccupazione per un soggetto (persona fisica) che ha al suo attivo, in termini di liquidità, soltanto una busta paga mensile di circa euro 1.200, a cui vanno aggiunti altri 300,00 euro quale reddito mensile del coniuge.
Pertanto, ciò che si consiglia, al fine di evitare di rischiare di perdere tutto, continuando ugualmente a restare gravati di debiti, è di cercare in qualche modo di prendere immediatamente in mano la situazione e far fronte nel migliore dei modi a tale esposizione debitoria.

Indubbiamente la Legge 3/2012, a cui si fa riferimento nel quesito, può costituire un utile strumento per evitare, almeno temporaneamente, l’instaurazione di procedure esecutive sul proprio patrimonio.
Trattasi, infatti, di un testo normativo introdotto proprio al preciso scopo di porre rimedio ad una situazione di “sovraindebitamento”, per tale intendendosi la situazione di coloro che non riescono a pagare i propri debiti a causa di uno squilibrio tra le disponibilità economiche e gli stessi debiti, non disponendo di patrimonio prontamente liquidabile.
Con tale legge si intende, dunque, offrire la possibilità a chi ha troppi debiti di pagare ciò che gli è possibile in relazione alla propria situazione di reddito, patrimonio e carico familiare, cercando di contemperare nel migliore dei modi il diritto del debitore a continuare a godere di una vita dignitosa ed il contrapposto interesse dei creditori di riuscire ad ottenere almeno una parte di quanto a loro dovuto.

I vantaggi del ricorso a tale procedura, dunque, consisterebbero nel tentare di evitare indiscriminate azioni esecutive da parte dei creditori, volte a colpire esecutivamente il proprio patrimonio immobiliare, con la grande probabilità di ricavare, al termine della o delle procedure esecutive, un prezzo incapace di soddisfare tutti i creditori (con grave danno sia per gli stessi creditori che per il debitore che ha subito l’esecuzione); è alquanto notorio, infatti, che i beni messi all’asta subiscono un notevole deprezzamento rispetto a quello che può essere il loro reale valore di mercato.

Sotto il profilo dei presupposti, non sembra che possano frapporsi ostacoli all’applicazione di tale normativa, essendo richiesto che il debitore sia in stato di sovraindebitamento, che sia un soggetto non fallibile e che non abbia posto in essere atti in frode ai creditori (esempio con la sottrazione volontaria di beni o denaro), tutti requisiti che sembrano pienamente sussistere nel caso in esame.
E’ possibile accedere a tale legge in ogni fase della crisi del debito, ma, come prima accennato, la soluzione più vantaggiosa è quella di cercare di raggiungere un accordo con i creditori quando cominciano ad insorgere i primi problemi di pagamento, anziché aspettare che siano gli stessi creditori, per primi, ad aggredire il patrimonio del debitore.

Vediamo adesso come occorre procedere sotto un profilo prettamente pratico, potendosi già anticipare che la situazione in realtà non è così drammatica come può apparire a chi è costretto a viverla dall’interno.
Infatti, se si analizzano criticamente le principali voci di debito, ci si può rendere conto che in realtà i debiti di maggior consistenza si hanno nei confronti dei propri fratelli coeredi (sia per crediti maturati che maturandi) e nei confronti della Banca.
Passando, poi, all’analisi della propria situazione patrimoniale, si può constatare che, a fronte del debito della Banca, questa gode di ampia garanzia ipotecaria sull’immobile per il quale è stato concesso il mutuo (rivestendo la qualità di creditore privilegiato) e, pertanto, nulla può avere da temere per l’ipotesi di inadempimento da parte del proprio debitore.

Gli altri creditori, invece, sono i propri fratelli, i quali, come correttamente prospettato nello stesso quesito, potrebbero avere un certo interesse ad acquisire in soddisfacimento di ogni loro credito (anche quello che deriverà dalla chiusura della causa di scioglimento della comunione ereditaria) la quota di immobile caduto in successione e di cui è titolare il fratello debitore, il cui valore sembra anche superare l’importo complessivo del proprio debito (la differenza, infatti, potrebbe servire a ripianare il debito con il fisco e con il condominio).

Il primo passo da compiere, dunque, sarà quello di rivolgersi ad un OCC (Organismo di composizione della crisi), al quale sottoporre la propria situazione economica e patrimoniale, al fine di elaborare con lo stesso una proposta da presentare ai proprio creditori.
La proposta così elaborata ed attestata dall’OCC verrà poi presentata al Giudice competente presso il Tribunale del proprio luogo di residenza, al quale spetterà il compito di approvare quel piano.

Si tenga conto del fatto che il consumatore (si intende come tale qualunque persona fisica che abbia contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale) ha a sua disposizione un strumento in più rispetto all’imprenditore, in quanto, mentre quest’ultimo può avvalersi del c.d. “accordo di ristrutturazione” (il quale presuppone pur sempre l’acquisizione del consenso dei creditori), al consumatore è consentito anche predisporre un vero e proprio “piano” di soddisfacimento dei propri creditori, il quale necessità soltanto dell’omologazione da parte del Tribunale.

Tra i documenti da depositare unitamente all’istanza, vi sono:
  • elenco di tutti i creditori, con indicazione delle somme dovute;
  • elenco di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni;
  • dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni;
  • attestazione sulla fattibilità del piano, di competenza della OCC a cui ci si dovrà necessariamente rivolgere;
  • elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e della sua famiglia, con indicazione della composizione del nucleo familiare, corredata dal certificato dello stato di famiglia (art. 9 comma 2 Legge 3/2012)
  • relazione particolareggiata dell’OCC (art. 9 comma 3 bis).

Su tale istanza il Giudice si pronuncerà con decreto, con il quale verrà anche disposto il divieto di inizio o prosecuzione di azioni esecutive individuali, nonché l’inibizione di sequestri conservativi o l’acquisto di diritti di prelazione sul patrimonio del debitore.

Al fine di rendere il piano fattibile, si propone di strutturarlo nei seguenti termini (che poi sono quelli che dovrebbero risultare dalla relazione dell’OCC):
  1. il debitore si obbliga a cedere agli altri fratelli, a soddisfacimento di ogni loro credito, anche derivante dalle cause che si andranno a definire, la quota di cui è titolare sull’immobile caduto in successione;
  2. gli altri fratelli gli riconosceranno un conguaglio in denaro pari alla somma dovuta al Fisco
  3. il debitore si impegnerà altresì ad agire in regresso per il recupero di quanto dovuto dai coobbligati solidali (i terzi affittuari dell’immobile ereditario) ed a riversare immediatamente le somme a tale titolo riscosse agli altri fratelli.
  4. le rate di mutuo con la Banca continueranno regolarmente ad essere soddisfatte con il proprio stipendio, tenendosi sempre presente che la Banca ha garanzia ipotecaria sull’immobile.

Quest’ultimo elemento non potrà in alcun modo essere sottovalutato, in quanto i creditori chirografari (cioè quelli diversi dalla Banca) dovrebbero tenere ben presente che se il piano dovesse fallire, rischierebbero di non prendere nulla, poiché sull’abitazione si andrebbe a soddisfare la Banca, mentre lo stipendio non sarebbe ulteriormente pignorabile poiché lo stesso è già decurtato dalla rata di mutuo.

Pertanto, sul piano concreto, ciò che potrebbero concretamente attaccare è di fatto quella quota di comproprietà, che se pignorata e messa all’asta, sicuramente consentirebbe loro di soddisfare solo in minima parte il credito di cui sono titolari.


Anna R. S. chiede
giovedì 14/06/2018 - Veneto
“Avevo un negozio affittato e per recuperare gli affitti non pagati dall'inquilino gli è stato intimato un decreto ingiuntivo, un'esecuzione di sfratto, un atto di precetto e per finire l'atto di pignoramento verso terzi. Avendo acceso un'ipoteca su un appartamento che ha in comproprietà con la moglie ed avendo lui ad oggi un debito di 11.300 euro di affitti più 4.275 euro di spese liquidate dal Giudice che io ho anticipato e che lui che deve rimborsare, affrontando il recupero coatto ci può essere un motivo per cui io non riesca poi a recuperare il tutto?
Resto in attesa di una vostra cortese e sollecita risposta.”
Consulenza legale i 19/06/2018
In base all’art. 2740 del codice civile il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Si tratta di una regola avente carattere generale.
Secondo poi quanto previsto dal successivo art. 2741 c.c. "I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione. Sono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche.”
Laddove una ipoteca sia iscritta su un immobile in comproprietà tra i coniugi (di cui uno solo è debitore) l’unica condizione è che la metà del ricavato dalla vendita all’asta andrà restituita al coniuge non debitore. Tale principio è stato ribadito anche in una recente sentenza della Cassazione (n.6230/2016): “per il debito di uno dei coniugi correttamente è sottoposto a pignoramento per l’intero il bene, pure se in parte compreso nella comunione legale con l’altro coniuge, con conseguente esclusione di ogni irritualità o illegittimità degli atti tutti della procedura, fino all’aggiudicazione ed al trasferimento di quello in favore di terzi compresi, nonché con esclusione della fondatezza della pretesa del debitore esecutato e dell’opponente originaria non solo di caducare tali atti, ma pure di separare di quel bene parti o quote o di conseguire dalla procedura esiti diversi dalla vendita per l’intero, salva la corresponsione al coniuge non debitore, in sede di distribuzione, della metà del ricavato lordo di essa”.

Ciò posto, nel caso in esame si chiede se in un recupero forzoso del credito ci possa essere un motivo per cui non si possa recuperare l’intero importo. A tal proposito, va premesso che non è possibile fare previsioni certe circa la fruttuosità di una esecuzione, in quanto ciò dipende da numerosi fattori tra i quali l'esistenza di crediti privilegiati o la compresenza di più esecuzioni forzate.

Fermo quanto precede, nel quesito non è specificato CHI abbia effettivamente iscritto l’ipoteca.
Se è stato altro creditore, questi sarà privilegiato nella ripartizione del patrimonio del debitore (fermo il limite sopra specificato della restituzione di metà dell’importo al coniuge non debitore).
Infatti, l’ipoteca da diritto di soddisfarsi sul prezzo ricavato dalla vendita dell’immobile con precedenza (cosiddetto diritto di prelazione) rispetto agli altri eventuali creditori del medesimo debitore.
Pertanto, se non si è creditori privilegiati, il rischio di non riuscire a recuperare il credito per intero sussiste.
Occorre ovviamente però verificare in concreto quale sia effettivamente il patrimonio del debitore: potrebbe anche verificarsi che possano essere soddisfatti sia i creditori privilegiati che quelli chirografari.

In ipotesi, poi, che venga effettuato un pignoramento presso terzi, quale quello dello stipendio, del conto corrente o della pensione del debitore (nel quesito, leggiamo che un pignoramento presso terzi peraltro è già stato esperito) vanno tenuti presenti i crediti impignorabili e i limiti di impignorabilità previsti dal novellato art. 545 c.p.c.
Anche in tal caso occorrerebbe però conoscere l’effettiva situazione patrimoniale del debitore per potere affermare se in concreto vi siano o meno rischi nel recupero forzoso del credito.

Alessandro P. chiede
domenica 21/05/2017 - Sicilia
“Salve

Gradirei sapere se è possibile procedere al pignoramento di un conto corrente bancario aziendale (ditta individuale commercio all'ingrosso) per debiti pregressi a costituzione ditta e comunque di natura privata..”
Consulenza legale i 22/05/2017

Il suo quesito ha risposta positiva. L' impresa, infatti, non ha una soggettività giuridica diversa rispetto a quella dell' imprenditore che ne è titolare, con la conseguenza che il patrimonio dell'impresa e quello dell'imprenditore finiscono per confondersi tra loro.

Sul punto si è espressa anche la Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 977/2007, ha precisato che "la ditta individuale coincide con la persona fisica titolare di essa e, perciò, non costituisce un soggetto giuridico autonomo, sia sotto l'aspetto sostanziale che sotto quello processuale".
Trova, pertanto, applicazione il disposto di cui all'art. 2740 c.c., dettato in tema di responsabilità patrimoniale del debitore e ai sensi del quale "il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri".

Poiché, dunque, il patrimonio dell'imprenditore individuale coincide con quello dell'impresa individuale di cui questi è titolare, il creditore personale dell'imprenditore potrà agire in via esecutiva anche sui beni dell'impresa, compreso il conto corrente bancario.


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