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Articolo 323 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Mezzi di impugnazione

Dispositivo dell'art. 323 Codice di procedura civile

I mezzi per impugnare le sentenze, oltre al regolamento di competenza [42 c.p.c. ss.] nei casi previsti dalla legge, sono: l'appello [339 ss.], il ricorso per cassazione [360 ss.], la revocazione [395 ss.] e l'opposizione di terzo [404 ss.] (1).

Note

(1) Nell'elenco tassativo dei rimedi impugnatori non rientrano, in quanto non sono mezzi di impugnazione: il regolamento preventivo di giurisdizione (art. 41 del c.p.c.), che prescinde dall'esistenza di una sentenza; il regolamento di competenza d'ufficio (art. 45 del c.p.c.); il reclamo al collegio contro le ordinanze del giudice istruttore (art. 178 del c.p.c.); il procedimento di correzione della sentenza (artt. 287 e 288 c.p.c.).

Spiegazione dell'art. 323 Codice di procedura civile

L’elencazione dei cinque mezzi di impugnazione contenuta nella presente norma deve considerarsi tassativa.
In generale, va precisato che per mezzo di impugnazione si intende quello strumento processuale attraverso il quale si provoca un controllo sulla validità e sulla giustizia delle sentenze.
L'espressione impugnazione è del tutto generica, ed in quanto tale può essere riferita sia alla fase di giudizio successiva alla prima (nella quale viene messo in discussione il provvedimento impugnato), sia all'atto introduttivo di questa fase.

L'impugnazione, considerata in generale, può riguardare non solo le sentenze, ma qualunque tipo di provvedimento giurisdizionale.
In un ordinamento processuale la ratio dell'esistenza dei mezzi di impugnazione rappresenta il risultato di un compromesso tra due opposte esigenze:
  1. quella di non accontentarsi di un unico giudizio di merito, che potrebbe essere viziato o anche solo ingiusto;
  2. quella di ottenere un risultato definitivo, dunque far conseguire al giudizio di cognizione il suo scopo fondamentale, ossia la certezza.

Questo compromesso nel nostro ordinamento si ritiene che possa ottenersi attraverso la normale previsione di due gradi di giudizio di merito e un grado di giudizio di legittimità, i quali devono essere introdotti ad iniziativa della parte, iniziativa che si definisce appunto impugnazione.

Si parla di necessarietà delle impugnazioni per intendere che il mancato esercizio del potere di impugnazione avverso una sentenza comporta un'implicita accettazione del provvedimento, purché quel mezzo di impugnazione sia l'unico con il quale il provvedimento può essere impugnato.

I mezzi di impugnazione previsti dalla legge contro le sentenze sono tassativi: ciò vuol dire che non sono ammesse impugnazioni di provvedimenti giurisdizionali all'infuori delle ipotesi e delle regole stabilite dalla legge.

Mezzi di impugnazione contro le sentenze sono:
1.l'appello: costituisce il mezzo generale di impugnazione contro le sentenze di primo grado;
2. il ricorso in cassazione: è il mezzo di impugnazione contro le sentenze emesse in secondo o in unico grado;
3.la revocazione;
4. l'opposizione di terzo;
5. il regolamento di competenza, nei casi previsti dalla legge. La specificazione per il regolamento di competenza “nei casi previsti dalla legge” può essere intesa nel senso della volontà del legislatore di escludere dai mezzi di impugnazione l'ipotesi del regolamento di competenza d'ufficio di cui all'art. 45 del c.p.c..

Caratteristiche comuni a ciascun mezzo di impugnazione sono le seguenti:
a) deve essere indirizzato contro un provvedimento del giudice;
b) deve trattarsi di una sentenza;
c) legittimati ad impugnare sono normalmente coloro che hanno assunto la qualità di parte nel precedente grado di giudizio; sono del tutto eccezionali i casi in cui legittimato ad impugnare sia un terzo o il P.M. che non abbia partecipato al giudizio;
d) l'interesse ad impugnare deriva dalla soccombenza.

Per l’individuazione del particolare mezzo di impugnazione esperibile contro una sentenza, deve farsi applicazione del c.d. principio dell'apparenza, nel senso che si deve considerare la qualificazione dell'azione proposta così come è stata compiuta dal giudice a quo nel provvedimento stesso.
E’ compito del giudice dell'impugnazione sindacare la qualificazione compiuta dal giudice del provvedimento impugnato, e tale accertamento, se congruamente e logicamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità.

Per verificare se un provvedimento giurisdizionale sia o meno soggetto ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze occorre avere riguardo non alla sua forma esteriore o alla denominazione data dal giudice che lo ha emesso, ma al suo contenuto sostanziale; ciò porta a ritenere che la natura di un provvedimento giudiziale non debba essere desunta né dalla forma con cui esso è stato emanato né dalla qualificazione attribuita dal giudice, bensì dal suo effettivo contenuto, dagli effetti giuridici che il provvedimento è destinato a produrre.

Diversi sono i criteri utilizzati in dottrina per distinguere i mezzi di impugnazione.
Secondo una autorevole e risalente tesi (Calamandrei), occorre distinguere tra mezzi di impugnazione e mezzi di gravame.
I primi sono preordinati all'eliminazione della sentenza impugnata, mentre i secondi sono diretti ad ottenere dal giudice dell'impugnazione il completo riesame del rapporto giuridico controverso, ossia a provocare un nuovo giudizio sullo stesso.

A loro volta i vizi della sentenza si dividono in errores in iudicando ed in errores in procedendo.
Sono errores in iudicando quelli che consistono in un errore nell'individuazione o nell'interpretazione della norma sotto cui sussumere il diritto fatto valere in giudizio (questio iuris) ovvero in errori commessi nell'accertamento dei fatti controversi (questio facti).
Gli errores in procedendo, invece, consistono in mancanza di requisiti extraformali non sanati o non sanabili (es. difetto di giurisdizione, di competenza, di legittimazione ad agire, di litisconsorzio necessario) ovvero in nullità formali non sanate che si sono riverberate sulla sentenza, o ancora in vizi direttamente attinenti alla sentenza.
Questa distinzione, tuttavia, ha perso ogni pratica rilevanza a seguito di quanto disposto al primo comma dell’art. 161 del c.p.c., il quale prevede la conversione di ogni motivo di nullità in motivo di impugnazione.

Altra distinzione fondamentale, che prende in considerazione il momento del formarsi della cosa giudicata formale (art. 324 del c.p.c.), è quella tra mezzi di impugnazione ordinari e straordinari: la proposizione in termini dei primi non consente il formarsi del giudicato formale, mentre i secondi sono proponibili indipendentemente dal passaggio in giudicato delle sentenze.

Attraverso i mezzi di impugnazione straordinari il legislatore ha ritenuto opportuno consentire di fare valere elementi del giudizio che possono venire in rilievo o essere conosciuti anche a distanza di molto tempo (come quelli che fondano la revocazione straordinaria) oppure situazioni particolari che conseguono a posizioni soggettive diverse da quelle delle parti, come nel caso dell'opposizione di terzo.

Condizione principale dell'impugnazione è l’ interesse ad impugnare, inteso come insoddisfazione che spinge ad ottenere una nuova pronuncia sul medesimo rapporto giuridico che ha già formato oggetto del precedente giudizio, e che coincide normalmente con la soccombenza.
Per soccombenza si intende, almeno secondo l’orientamento tradizionale, quella condizione nella quale si trova, al termine di un giudizio, la parte che non ha visto accogliere la propria domanda o nei confronti della quale è stata accolta una domanda della controparte.
Si parla, invece, di soccombenza virtuale o teorica nel caso in cui questa verta su singole questioni risolte sfavorevolmente per il vincitore pratico della causa; tale diversa forma di soccombenza non legittima all'impugnazione principale, in quanto l'interesse ad impugnare può sorgere dopo l'impugnazione del soccombente ed è volto a fare estendere l'esame del giudice dell'impugnazione anche alle questioni decise sfavorevolmente per la parte vittoriosa nella sentenza impugnata.

Si parla poi di soccombenza parziale o reciproca nell’ipotesi in cui la sentenza contenga più capi ed alcuni sono favorevoli ad una parte mentre altri all'altra, ovvero quando un unico capo di sentenza abbia accolto solo parzialmente la domanda di una parte.
Proprio perché intesa in senso sostanziale e non formale, la soccombenza non deve essere verificata solo avendo riguardo al dispositivo della sentenza, ma anche alle enunciazioni contenute nella motivazione, le quali possono passare in giudicato e quindi arrecare pregiudizio.

In sede di impugnazione non si parlerà più di legittimazione ad agire, ma di legittimazione ad impugnare, la quale sussiste, almeno di regola, solo in capo a quei soggetti che sono stati parti del giudizio che si è concluso con la sentenza impugnanda (tale condizione deve essere realmente esistente ed accertata in via preliminare dal giudice).

Sono parti del giudizio di primo grado non solo le parti originarie, ma anche le parti nei confronti delle quali sia stata ordinata l'integrazione del contraddittorio ovvero i terzi che siano divenuti parti a seguito di intervento volontario o coatto.

Fanno eccezione alla regola appena enunciata:
  1. la posizione particolare di chi è legittimato a proporre opposizione di terzo (mezzo di impugnazione per definizione destinato a chi non è stato parte del giudizio conclusosi con la sentenza impugnanda);
  2. le ipotesi eccezionali in cui la legittimazione ad impugnare è attribuita al P.M.;
  3. quando una parte viene meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito, ex art. 110 del c.p.c. dal successore universale o in suo confronto, il che comporta che la sentenza validamente emessa da una parte che sia venuta a mancare può essere impugnata dal successore universale;
  4. in caso di successione a titolo particolare, sia mortis causa che inter vivos, la sentenza è impugnabile anche da parte del successore, dal momento che essa spiega i suoi effetti anche nei suoi confronti ex art. 111 del c.p.c..

Massime relative all'art. 323 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 38587/2021

Ai fini dell'individuazione del mezzo di impugnazione di un provvedimento, deve contemperarsi il principio secondo il quale il giudice non ha il potere di sottrarlo al gravame rivestendolo di una forma diversa da quella prevista dalla legge con quello che impone di non consentire alla parte di esperire un mezzo vietato, sicché il principio dell'apparenza deve prevalere sul contrario principio cd. "sostanzialistico" nelle ipotesi in cui la forma e la qualificazione del provvedimento, sebbene non corrette, risultino determinate da consapevole scelta del giudice, ancorché non esplicitata con motivazione espressa, così ingenerando un affidamento incolpevole della parte in ordine al regime di impugnazione. (Fattispecie relativa a declaratoria di inammissibilità di regolamento di competenza proposto avverso un provvedimento attinente alla questione di rito concernente la ripartizione degli affari tra sezione ordinaria e sezione fallimentare del medesimo tribunale, il quale, al di là dell'atecnico ed erroneo riferimento all' "incompetenza", non conteneva indici che inducessero, in maniera univoca, a ritenere che il giudice avesse qualificato, sia pure non correttamente, la questione sottopostagli in termini di "questione di competenza"). (Dichiara inammissibile, TRIBUNALE SIRACUSA, 03/09/2020).

Cass. civ. n. 15395/2020

Il principio secondo il quale la proposizione del gravame ad un giudice incompetente impedisce la decadenza dall'impugnazione non trova applicazione quando sia stato esperito un rimedio diverso da quello concesso dalla legge, quale il ricorso per Cassazione invece dell'appello. (Nella specie la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto direttamente avverso la decisione del tribunale di diniego della protezione internazionale, trattandosi di domanda "ratione temporis" regolata dal d.lgs. n. 150 del 2011 e dunque ancora soggetta ad appello). (conforme Cass. n. 1666 del 1984). (Dichiara inammissibile, TRIBUNALE ROMA, 15/12/2018).

Cass. civ. n. 5712/2020

Qualora l'appello (nella specie, avanzato avverso una sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 617 c.p.c.) sia inammissibile in quanto strumento processuale radicalmente diverso da quello corretto, non può operare la "translatio iudicii" perché l'impugnazione proposta è inidonea, anche solo in astratto, a configurare l'instaurazione di un regolare rapporto processuale, né l'appello può convertirsi in ricorso per cassazione, giacché difetta dei requisiti di validità dell'atto nel quale dev'essere convertito, essendo il ricorso di legittimità, mezzo di impugnazione a critica vincolata (a maggior ragione, se proposto in via straordinaria ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost.), strutturalmente diverso. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO MILANO, 12/06/2017).

Cass. civ. n. 33422/2019

Il terzo chiamato in garanzia impropria, come è legittimato a svolgere le sue difese per contrastare non solo la domanda di manleva, ma anche quella proposta dall'attore principale, così può autonomamente impugnare le statuizioni della sentenza di primo grado relative al rapporto principale, sia pure al solo fine di sottrarsi agli effetti riflessi che la decisione spiega sul rapporto di garanzia.

Cass. civ. n. 32345/2019

L'impugnazione con un unico atto di una pluralità di decisioni è ammissibile, a condizione che le decisioni stesse siano state pronunciate tra le stesse parti ed abbiano risolto le medesime questioni.

Cass. civ. n. 16590/2019

Il terzo chiamato in garanzia impropria può proporre appello avverso la sentenza di primo grado che non sia stata impugnata dal chiamante, a condizione che non si limiti a contestare le statuizioni relative alla domanda di manleva, ma censuri anche quelle riguardanti l'esistenza, la validità e l'efficacia del rapporto principale, quale antefatto e presupposto della garanzia azionata, ricorrendo in tal caso una situazione di pregiudizialità-dipendenza tra cause che dà luogo a litisconsorzio processuale in fase di impugnazione. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza dichiarativa dell'inammissibilità dell'appello proposto da una compagnia di assicurazione chiamata in manleva in un giudizio risarcitorio avverso la sentenza di primo grado non impugnata dalla chiamante, ancorché il gravame avesse ad oggetto tanto le statuizioni relative al rapporto di garanzia, quanto quelle riguardanti l'esistenza del danno lamentato dalla parte attrice).

Cass. civ. n. 11292/2019

La parte che, dopo la sentenza di secondo grado e prima della notificazione del ricorso per cassazione, sia stata dichiarata interdetta, difetta di legittimazione processuale a proporre il ricorso medesimo, spettando detta legittimazione al tutore, a pena di inammissibilita dell'impugnazione.

Cass. civ. n. 24984/2017

È ammissibile l'impugnazione proposta nei confronti dell'Ente Ferrovie dello Stato dopo la sua trasformazione in società per azioni, con atto notificato presso l'Avvocatura dello Stato, quale procuratore costituito presso il giudice "a quo", atteso che detta trasformazione ha determinato non l'estinzione di un ente e la successione ad esso di un nuovo soggetto, ma solo una modificazione della forma e dell'organizzazione dello stesso soggetto giuridico che ha mantenuto la sua identità.

Cass. civ. n. 13584/2017

La legittimazione a proporre l’impugnazione, o a resistere ad essa, spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito, secondo quanto risulta dalla decisione impugnata, tenendo conto sia della motivazione che del dispositivo, a prescindere dalla sua correttezza e corrispondenza alle risultanze processuali nonché alla titolarità del rapporto sostanziale, purché sia quella ritenuta dal giudice nella sentenza della cui impugnazione si tratta. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il corrispondente motivo di ricorso ritenendo che l’Agenzia delle entrate, pur non avendo partecipato al giudizio di primo grado, era comunque legittimata a proporre appello in ragione della sua qualificazione come parte desumibile dalla sentenza impugnata e che, peraltro, dato l’oggetto della controversia - riguardante non soltanto vizi della procedura di riscossione ma anche la pretesa tributaria considerata nella sua sussistenza e fondatezza sostanziale - la stessa era anche litisconsorte necessario).

Cass. civ. n. 13516/2017

In sede di gravame, il difensore distrattario delle spese processuali assume la qualità di parte, sia attivamente che passivamente, solo quando l’impugnazione riguarda la pronuncia di distrazione in sé considerata, con esclusione delle contestazioni relative al loro ammontare, giacchè l’erroneità della liquidazione non pregiudica i diritti del difensore, che può rivalersi nei confronti del proprio cliente in virtù del rapporto di prestazione d’opera professionale, bensì quelli della parte vittoriosa, che, a sua volta, è tenuta al pagamento della differenza al proprio difensore e che è legittimata, pertanto, ad impugnare il capo della sentenza di primo grado relativo alle spese, pur in presenza di un provvedimento di distrazione, in caso di loro insufficiente quantificazione, avendo interesse a che la liquidazione giudiziale sia il più possibile esaustiva delle legittime pretese del professionista.

Cass. civ. n. 16177/2016

In tema d'impugnazione, la legittimazione spetta solo alle parti tra le quali la sentenza è stata pronunciata e non anche a colui che è rimasto estraneo al relativo giudizio, il quale, anche se effettivo titolare del rapporto sostanziale dedotto nel processo, è solo terzo rispetto alla pronuncia resa "inter alios", sicché, mentre può far valere il suo diritto o con l'intervento in appello, ai sensi dell'art. 344 c.p.c., o con l'opposizione di cui all'art. 404 c.p.c., l'impugnazione della sentenza va dichiarata inammissibile.

Cass. civ. n. 24640/2015

Il terzo chiamato in garanzia impropria può autonomamente impugnare anche le statuizioni della sentenza di primo grado relative al rapporto principale, sia pure al solo fine di sottrarsi agli effetti riflessi che la decisione spiega sul rapporto di garanzia, ma l'efficacia della contestazione su tali statuizioni presuppone che il garante abbia preliminarmente impugnato la propria condanna in garanzia.

Cass. civ. n. 17004/2015

Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si sia spogliato della "potestas iudicandi" sul merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l'onere né l'interesse ad impugnare tale statuizione, sicché è ammissibile l'impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale, mentre è inammissibile, per difetto di interesse, l'impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta "ad abundantiam" nella sentenza gravata.

Cass. civ. n. 16562/2015

Nel giudizio di impugnazione della delibera dell'assemblea di condominio, il singolo condomino è legittimato ad impugnare la sentenza emessa nei confronti dell'amministratore e da questi non impugnata, anche qualora la delibera controversa persegua finalità di gestione di un servizio comune ed incida sull'interesse esclusivo del condomino soltanto in via mediata.

Cass. civ. n. 6894/2015

La parte risultata totalmente vittoriosa non può impugnare la sentenza a sé favorevole per far valere motivi attinenti alla motivazione della stessa, neppure lamentando un ipotetico pregiudizio derivante dal formarsi del giudicato su di essa, trattandosi di evenienza non idonea ad integrare l'interesse ad impugnare. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice d'appello aveva dichiarato inammissibile il gravame esperito dalla parte convenuta in giudizio - conduttrice di un immobile - avverso la sentenza che aveva rigettato la domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di locazione e di rilascio del bene locato, escludendo che l'interesse ad impugnare potesse ravvisarsi nella sua pretesa all'accertamento della validità di un compromesso di compravendita, relativo a quello stesso bene, concluso dal proprio coniuge).

Cass. civ. n. 6063/2015

È ammissibile l'impugnativa cumulativa proposta con unico atto avverso diverse sentenze allorché i relativi procedimenti, pur riguardando situazioni giuridiche formalmente distinte, dipendano per intero dalla soluzione tra le stesse parti di un'identica questione di diritto, quale, nella specie, una ripetuta condotta di omessa comunicazione dei dati personali e della patente del conducente ai sensi dell'art. 126 bis, cod. strada, potendo la decisione di una delle due cause produrre l'effetto di giudicato rispetto all'altra.

Cass. civ. n. 1671/2015

L'interveniente volontario, avendo assunto formalmente la qualità di parte primaria nel processo, è legittimato a proporre appello contro la decisione che abbia concluso il primo grado del giudizio non solo quando le sue istanze siano state respinte nel merito, ma anche quando sia stata negata l'ammissibilità dell'intervento ovvero sia stata omessa ogni pronuncia sulla domanda formulata con l'intervento stesso.

Cass. civ. n. 24655/2014

Colui che ha acquistato un bene, oggetto di azione revocatoria (fallimentare, nella specie), dal subacquirente del medesimo bene, non è legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia accolto la domanda, atteso che egli non assume le condizioni di successore a titolo particolare ex art. 111 cod. proc. civ., ma quella di ulteriore terzo subacquirente, poiché non ha ricevuto il diritto controverso - come sarebbe se gli fosse stato ceduto il contratto di (sub)acquisto - ma l'immobile oggetto dei plurimi negozi avvenuti in successione.

Cass. civ. n. 19470/2014

L'impugnazione di una pluralità di sentenze con un unico atto è consentita solo quando queste siano tutte pronunciate fra le medesime parti e nell'ambito di un unico procedimento, ancorché in diverse fasi o gradi (come nel caso della sentenza non definitiva oggetto di riserva di impugnazione e della successiva sentenza definitiva; della sentenza revocanda e di quella conclusiva del giudizio di revocazione; della sentenza di rinvio e di quella di rigetto della istanza di revocazione, allorché le due impugnazioni siano rivolte contro capi identici o almeno connessi delle due pronunzie, ovvero di sentenze di grado diverso pronunciate nella medesima causa, che investano l'una il merito e l'altra una questione pregiudiziale), mentre è inammissibile il ricorso per cassazione proposto, contestualmente e con un unico atto, contro sentenze diverse, pronunciate dal giudice del merito in procedimenti formalmente e sostanzialmente distinti, che concernano soggetti anch'essi parzialmente diversi. (Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, primo comma, n. 1, cod. proc. civ.).

Cass. civ. n. 5637/2014

La soppressione delle USL non ne ha determinato l'estinzione della soggettività per i rapporti pregressi, in quanto la relativa legittimazione non viene trasferita alle neocostituite ASL, ma permane in capo alla gestione liquidatoria attuata dalla Regione, con la conseguenza che la proposizione dell'appello nei confronti di una USL, parte del giudizio di primo grado, essendo riferibile a tale gestione liquidatoria, impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

Cass. civ. n. 1638/2014

Il socio accomandatario di una società in accomandita semplice è legittimato in proprio, pur in mancanza di impugnazione da parte della società e sebbene egli non sia parte del contratto, a proporre appello nei confronti della sentenza che abbia pronunciato la risoluzione del contratto concluso fra la società ed un terzo e condannato in solido la società e il socio alle conseguenti restituzioni, in quanto l'accertamento dell'inadempimento del contratto stipulato dalla società è il presupposto della condanna del socio illimitatamente responsabile, personalmente convenuto in giudizio, alla restituzione delle somme versate alla controparte.

Cass. civ. n. 27762/2013

In ipotesi di fusione per incorporazione, la società incorporata non si estingue ai sensi del vigente art. 2504 bis c.c., con la conseguenza che, ove quest'ultima fosse già mandataria per la gestione di un credito e delle relative controversie in forza di mandato conferito dal creditore originario, l'incorporante subentra nel mandato quale mandataria ed ha, perciò, il potere di proporre l'impugnazione di una sentenza pronunciata nella controversia relativa al credito compreso nel mandato stesso.

Cass. civ. n. 22918/2013

Il trasferimento di azienda attribuisce al cessionario autonoma legittimazione all'impugnazione della sentenza sfavorevole al cedente, stante l'opponibilità del giudicato nei suoi confronti, quale successore a titolo particolare; a ciò si aggiunge un'autonoma ragione di legittimazione processuale all'impugnazione, nel caso in cui la sentenza risulti emessa nei confronti del cessionario, che non abbia partecipato al giudizio e sia stato erroneamente identificato con il cedente.

Cass. civ. n. 17470/2013

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso è legittimato ad impugnare la sentenza resa nei confronti del proprio dante causa provando il titolo che gli consenta di sostituire quest'ultimo, essendo a tal fine sufficiente la specifica indicazione di tale atto nell'intestazione dell'impugnazione, laddove il titolo sia di natura pubblica e di contenuto, quindi, accertabile ed esso sia rimasto incontestato. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha riconosciuto alla cessionaria del ramo di azienda, comprensivo del rapporto oggetto di giudizio, la legittimazione a ricorrere per cassazione avverso la sentenza di appello resa nei confronti della sua dante causa).

Cass. civ. n. 16930/2013

L'interventore adesivo non ha un'autonoma legittimazione ad impugnare (salvo che l'impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell'intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico), sicché la sua impugnazione è inammissibile. (Nella specie, un dirigente scolastico aveva impugnato, in tale sua qualità, la sentenza di primo grado che dichiarava l'antisindacalità del suo comportamento e, in appello, aveva altresì proposto, in proprio, intervento adesivo all'impugnazione; la S.C., premesso che lo stesso intervento adesivo in appello non poteva ritenersi consentito attesa, tra l'altro, l'irrilevanza di un parallelo contenzioso personale tra le parti in quanto insuscettibile di subire effetti giuridici dall'esito del processo per comportamento antisindacale, in applicazione dell'anzidetto principio, ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione).

Cass. civ. n. 13276/2013

Quando successivamente alla pubblicazione di una sentenza di merito (e quindi nel periodo intercorrente tra la fase processuale del relativo giudizio e quella dell'eventuale giudizio di impugnazione), si verifica la morte (o la perdita della capacità di agire) della persona fisica oppure l'estinzione della persona giuridica, l'evento potenzialmente interruttivo incide non più sul processo (determinandone l'interruzione), ma sul termine per la proposizione dell'impugnazione. Quest'ultima va proposta nei confronti del successore e, se rivolta alla parte originaria, è affetta da nullità rilevabile d'ufficio a norma dell'art. 164, comma primo, c.p.c. (errata identificazione del soggetto passivo della "vocatio in ius"), suscettibile di sanatoria in conseguenza della costituzione in giudizio del successore universale (o del soggetto comunque legittimato), con effetti "ex nunc" (cioè con salvezza dei diritti quesiti dalla controparte), a norma dell'art. 164 vecchio testo, per i procedimenti pendenti alla data del 30 aprile 1995, e con efficacia sanante piena, sul piano sostanziale e processuale, per le controversie iniziate successivamente, a norma del nuovo testo del medesimo articolo, come sostituito dall'art. 9 della legge n. 353 del 1990.

Cass. civ. n. 8194/2013

Qualora uno degli eventi idonei a determinare l'interruzione del processo (nella specie, il raggiungimento della maggiore età da parte di minore costituitosi in giudizio a mezzo dei suoi legali rappresentanti) si verifichi nel corso del giudizio di primo grado, prima della chiusura della discussione (ovvero prima della scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi del nuovo testo dell'art. 190 c.p.c.), e tale evento non venga dichiarato né notificato dal procuratore della parte cui esso si riferisce a norma dell'art. 300 c.p.c., il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati: e ciò alla luce dell'art. 328 c.p.c., dal quale si desume la volontà del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che dell'impugnazione, con piena parificazione, a tali effetti, tra l'evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato né notificato. Un'esigenza di tutela della parte incolpevole non si pone, in ogni caso, rispetto all'ipotesi del raggiungimento della maggiore età nel corso del processo, che non costituisce un evento imprevedibile, ma, al contrario, un accadimento inevitabile nell'"an" - essendo lo stato di incapacità per minore età "naturaliter" temporaneo - ed agevolmente riscontrabile nel "quando".

Cass. civ. n. 4011/2013

L'impugnazione di una sentenza deve essere rivolta nei confronti del soggetto che in essa è stato individuato come parte costituita in giudizio, prescindendosi dalla correttezza e dalla corrispondenza di una siffatta individuazione alle risultanze processuali, nonché dalla titolarità del rapporto sostanziale, purchè sia quella ritenuta dal giudice della sentenza impugnata.

Cass. civ. n. 14106/2012

Qualora nel corso del giudizio di primo grado si verifichi la morte della parte costituita, il difensore di questa, come non ha il potere di proporre impugnazione avvalendosi della procura ormai estinta, a nulla rilevando la maggiore o minore estensione di essa, così neppure può comparire nel giudizio d'appello, instaurato da altra parte, al fine di dichiarare detto evento, rimanendo lo stesso privo dell'originaria idoneità interruttiva.

Cass. civ. n. 9298/2012

Il principio secondo cui l'interventore "ad adiuvandum", ex art. 105 c.p.c., è privo di un'autonoma legittimazione ad impugnare in assenza di impugnazione della parte principale, non trova applicazione quando l'intervento in questione sia stato compiuto dal successore a titolo particolare nel diritto controverso (nella specie, cessionario di ramo d'azienda): questi, infatti, è sempre legittimato ad impugnare la sentenza sfavorevole al suo dante causa ai sensi dell'art. 111 c.p.c., senza che occorra che il medesimo successore a titolo particolare proponga autonoma pretesa nei confronti dell'altra parte.

Cass. civ. n. 7676/2012

Il liquidatore di una società estinta per cancellazione dal registro delle imprese può ben essere destinatario di una autonoma azione risarcitoria, ma non della pretesa attinente al debito sociale, onde è inammissibile l'impugnazione proposta nei confronti del medesimo con riguardo alla sentenza relativa a quel debito, atteso che la posizione del liquidatore non è quella di successore processuale dell'ente estinto.

Cass. civ. n. 5992/2012

L'interventore adesivo non ha un'autonoma legittimazione ad impugnare (salvo che l'impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell'intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico), sicché la sua impugnazione è inammissibile, laddove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole; inoltre, esso non vanta un interesse concreto ed attuale all'impugnazione di affermazioni pregiudizievoli contenute nella sentenza favorevole, qualora svolte in via incidentale e sprovviste della forza vincolante del giudicato (fattispecie relativa a sentenza del Tribunale Superiore delle Acque che, rigettando il ricorso avverso il divieto di navigazione a motore, aveva ritenuto la propria giurisdizione sul presupposto della natura pubblica del lago, avversata invece dagli interventori "ad adiuvandum" dei ricorrenti che lo ritenevano privato).

Cass. civ. n. 3672/2012

In materia di impugnazioni, il principio cosiddetto di apparenza e affidabilità comporta necessariamente un'indagine sugli atti, al fine di accertare se l'adozione da parte del giudice di merito di quella determinata forma del provvedimento decisorio sia stata o meno il risultato di una consapevole scelta, ancorché non esplicitata con motivazione "ad hoc", nel qual caso decisiva rilevanza va attribuita alle concrete modalità con le quali si è svolto il procedimento; pertanto, è ammissibile il ricorso diretto per cassazione avverso la "sentenza" che decide all'esito di un procedimento azionato con ricorso per opposizione allo stato passivo, svoltosi con modalità corrispondenti al procedimento ex art. 99 legge fall., qualora la forma del provvedimento non sembri frutto di una meditata valutazione del decidente.

Cass. civ. n. 3338/2012

L'identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta in base al principio dell'apparenza, vale a dire con riferimento esclusivo alla qualificazione dell'azione effettuata dal giudice nello stesso provvedimento, indipendentemente dall'esattezza di essa, nonché da quella operata dalla parte, potendo, in ogni caso, il giudice "ad quem" esercitare il potere di qualificazione, che non sia stato esercitato dal giudice "a quo", non solo ai fini del merito, ma anche dell'ammissibilità stessa dell'impugnazione. (Nella specie, la S.C. ha qualificato l'impugnato provvedimento di sospensione, mancando in esso un espresso richiamo normativo, come adottato ai sensi dell'art. 279, quarto comma, cod. proc. civ., e non ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civ., essendo stato pronunciato in seguito alla proposizione dell'appello avverso la sentenza non definitiva, sull'istanza del difensore della parte appellante e, dunque, con riferimento ad una vicenda interna alla medesima causa).

Cass. civ. n. 520/2012

La qualità di parte legittimata a proporre appello o ricorso per cassazione, come a resistervi, spetta ai soggetti che abbiano formalmente assunto la veste di parte nel previo giudizio di merito, con la conseguenza che va dichiarata inammissibile l'impugnazione proposta contro soggetti diversi da quelli che sono stati parti nel suddetto giudizio. (Nella specie, la parte destinataria della notificazione dell'atto di appello, sebbene non avesse partecipato al giudizio di primo grado, si era poi costituita in secondo grado e la S.C., nel confermare la decisione impugnata - che aveva dichiarato inammissibile il gravame nei confronti di detta parte per non esser stata evocata in primo grado, con condanna alle spese dell'appellante - ha rilevato che né l'omessa indicazione, nella citazione in appello, del requisito di cui all'art. 163, primo comma, n. 2), c.p.c., da correlarsi al seguente art. 164, né la mancata specificazione del titolo per il quale si era inteso estendere il contraddittorio, potevano escludere la volontà di coinvolgere nel relativo giudizio la parte stessa, la cui costituzione sanante aveva determinato un eccesso e non un difetto di contraddittorio, con conseguente mancanza delle condizioni per rilevare la pretesa nullità del giudizio di appello, così da giustificare l'anzidetta condanna alle spese del grado).

Cass. civ. n. 26245/2011

La sentenza pronunciata nei confronti di una società in nome collettivo - la quale, ancorché priva di personalità giuridica, costituisce, in ragione della propria autonomia patrimoniale, un centro di imputazione di rapporti distinto da quello riferibile a ciascun socio e fonte di una propria capacità processuale - non fa stato nei confronti dei soci che non siano stati parte del relativo giudizio e che, pertanto, non sono legittimati ad impugnare la sentenza stessa.

Cass. civ. n. 5744/2011

L'interventore adesivo in primo grado non ha autonoma facoltà di proporre appello nell'ipotesi in cui la parte adiuvata non si sia avvalsa del diritto a proporre impugnazione o abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole, salvo che l'impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell'intervento. (Nella specie, nel giudizio volto ad ottenere la simulazione di una compravendita immobiliare, il conduttore, intervenuto "ad adiuvandum" in primo grado aveva proposto appello nonostante la contumacia degli acquirenti, rimasti soccombenti).

Cass. civ. n. 21252/2010

Il terzo datore di pegno, che abbia concesso garanzia (nella specie, sulla partecipazione sociale di s.r.l.) al creditore per l'adempimento delle obbligazioni del mutuatario, è privo della legittimazione ad impugnare la sentenza pronunciata in ordine alla validità ed all'esecuzione del contratto di mutuo, dal momento che egli partecipa al giudizio soltanto come terzo datore di pegno, come tale destinato a subire gli effetti della pronuncia tra le parti del contratto dal quale discende l'obbligo presidiato dalla garanzia reale.

Cass. civ. n. 18331/2010

L'amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia all'Assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell'art. 1131, secondo e terzo comma, c.c., può costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell'assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione.

Cass. civ. n. 12253/2010

In tema di servizi pubblici locali, la scissione di un'azienda speciale con la destinazione di un ramo aziendale ad una società di capitali di nuova costituzione, disposta da un consorzio nell'esercizio della facoltà prevista dall'art. 115 del d.l.vo 18 agosto 2000, n. 267 (ed estesa ai consorzi dal comma 7 bis dell'art. 115 cit., introdotto dall'art. 35, dodicesimo comma, della legge 28 dicembre 2001, n. 448), si differenzia dalla trasformazione dell'azienda speciale in società di capitali, consentita dalla medesima disposizione, in quanto non comporta la semplice modificazione della struttura e dell'organizzazione societaria, ma la costituzione di un nuovo soggetto, distinto da quello originario, con la conseguenza che, pur essendo la società nata dalla scissione legittimata ad impugnare la sentenza emessa nei confronti del consorzio, in qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, la procura alle liti conferita in primo grado dall'ente che ha operato la scissione non abilita il difensore a rappresentare il nuovo soggetto nel giudizio di appello.

Cass. civ. n. 3900/2010

Configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l'esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l'amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa degli interessi, esclusivi e comuni, inerenti all'edificio condominiale, con la conseguenza che essi sono legittimati ad impugnare personalmente, anche in cassazione, la sentenza sfavorevole emessa nei confronti della collettività condominiale ove non vi provveda l'amministratore; in tali casi, tuttavia, il gravame deve essere notificato anche all'amministratore, persistendo la legittimazione del condominio a stare in giudizio nella medesima veste assunta nei pregressi gradi, in rappresentanza di quei partecipanti che non hanno assunto individualmente l'iniziativa di ricorrere in cassazione.

Cass. civ. n. 9319/2009

Poiché la rappresentanza, negoziale o processuale, non attribuisce nel giudizio al rappresentante la qualità di parte sostanziale, non è nulla l'impugnazione - nella specie, ricorso per cassazione - proposta nei confronti del rappresentato, invece che solo, od anche, del suo rappresentante, che pure era stato, nel precedente grado, parte formale del procedimento in quanto fornito di procura generale notarile.

Cass. civ. n. 67/2009

Non è estraneo al processo di merito il soggetto che, pur non essendo stato citato né essendo, comunque, intervenuto in causa, sia stato, tuttavia, coinvolto nella decisione della lite, mediante una statuizione di accertamento o di condanna a suo carico, poiché questa pronunzia, anche se non gli è stata notificata, è, di per sé, idonea ad attribuirgli la qualità di parte, ai fini della proponibilità dei gravami consentiti alle parti soccombenti. Ne consegue che, al fine di eliminare gli effetti a lui pregiudizievoli della sentenza, il soggetto rimasto estraneo al giudizio può avvalersi, oltre che dell'opposizione di terzo, dell'ordinaria impugnazione proponibile contro la sentenza. (Nella specie, convenuta in giudizio l'Unione provinciale CISAL da alcuni lavoratori dalla stessa dipendenti, la sentenza di primo grado aveva condannato la CISAL, soggetto estraneo al giudizio; a seguito dell'impugnazione proposta da quest'ultima, il giudice di appello aveva ritenuto che la Unione provinciale fosse centro di interessi autonomo e, conseguentemente, aveva dichiarato la nullità del giudizio di primo grado e della sentenza; la S.C. ha confermato tale pronuncia, affermando il principio su esteso).

Cass. civ. n. 2434/2008

L'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va fatta in base alla qualificazione data dal giudice all'azione proposta, alla controversia e alla sua decisione, con il provvedimento impugnato, a prescindere dalla sua esattezza, restando irrilevante il tipo di procedimento adottato. (Nella specie, relativa a opposizione a ordinanza ingiunzione avverso la sospensione dalla qualità di associato di una riserva alpina di caccia, la S.C. aveva rilevato che il giudice dell'opposizione pur trattando la causa con il rito previsto dalla legge n. 689 del 1981, pur avendo affermato che la predetta sanzione non aveva natura amministrativa, non costituendo espressione del potere di organizzazione e gestione del territorio, ma, stante la natura di associazioni non riconosciute delle riserve alpine di caccia, afferiva a posizioni di diritto soggettivo dell'associato — ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto ai sensi dell'art. 23, della legge n. 689 del 1981, in luogo dell'appello avverso la sentenza del tribunale).

Cass. civ. n. 12692/2007

Qualora una sentenza sia stata emessa nei confronti di diversi soggetti, essa può essere impugnata congiuntamente da parte di tutti i suoi destinatari, richiedendosi soltanto che ciascuno di essi abbia un proprio interesse a proporre l'impugnazione. (Nella specie, la S.C. ha rigettato l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall'Amministrazione in una controversia in tema di opposizione ad ordinanza ingiunzione, in quanto il ricorso stesso era stato proposto con unico atto sia dai soccombenti nel giudizio di opposizione sia da quelli la cui opposizione era stata accolta, con declaratoria di compensazione delle spese, limitatamente, quanto a questi ultimi, alla pronuncia sulle spese).

Cass. civ. n. 10876/2007

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso non è terzo, bensì l'effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da poter essere destinatario dell'impugnazione proposta dall'avversario del cedente e da poter resistere alla medesima senza che tale suo diritto possa essere condizionato dal suo mancato intervento nelle fasi pregresse del giudizio, così com'è legittimato a proporre impugnazione avverso la sentenza, anche pronunciata nei confronti del dante causa non estromesso, assumendo la stessa posizione di quest'ultimo, mentre è esclusa l'esperibilità da parte sua dell'opposizione ordinaria di terzo ex art. 404, primo comma c.p.c.

Cass. civ. n. 3840/2007

È valido, benché tardivo, l'appello proposto dal litisconsorte necessario pretermesso, equivalendo il relativo atto ad una anticipata e spontanea integrazione del contraddittorio. (Nella specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza del giudice di merito che aveva dichiarato inammissibile, perché tardivo, l'appello di una delle parti soccombenti in ordine alla identica opposizione alla dichiarazione dello stato di insolvenza e condannate solidalmente al pagamento delle spese, ricorrendo un'ipotesi di litisconsorzio necessario processuale).

Cass. civ. n. 1199/2007

È ammissibile l'impugnazione con la quale l'appellante si limiti a dedurre soltanto i vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, la rimessione al primo giudice; nelle ipotesi in cui, invece, il vizio denunciato non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c., è necessario che l'appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l'appello fondato esclusivamente su vizi di rito, inammissibile, oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione. (Fattispecie, in controversia disciplinata dal rito speciale locatizio, relativa alla denuncia del vizio di nullità della sentenza per omessa lettura del dispositivo in udienza).

Cass. civ. n. 26893/2006

In tema di impugnazione della sentenza pronunciata nei confronti del dante causa, la parte che assuma di avere la qualità di erede assolve l'onere probatorio in ordine alla propria legittimazione processuale attraverso la produzione documentale della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà rilasciata all'estero e conferita a mezzo di notaio in Paese aderente alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, resa esecutiva in Italia con legge n. 1253 del 1966, rientrando, il relativo atto, di natura sostanziale, tra quelli per i quali detta Convenzione ha abolito l'obbligo della legalizzazione da parte di autorità consolare italiana, ex art. 15 della legge n. 15 del 1958. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva erroneamente ritenuto che la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, resa in lingua slava dinanzi a notaio pubblico croato — ove la coniuge della parte deceduta si dichiarava unica erede —, non rendesse possibile, in difetto di legalizzazione, la verifica della qualità di erede nell'appellante, così escludendo la legittimazione a proporre appello).

Cass. civ. n. 19062/2006

Il principio secondo cui la legittimazione all'impugnazione spetta soltanto a colui che abbia assunto la qualità di parte nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata non trova applicazione nell'ipotesi in cui il giudice nonostante la mancata (o nulla) notifica dell'atto introduttivo della controversia, abbia ritenuto presente in giudizio il litisconsorte necessario non (o non ritualmente) evocato e abbia emesso pronuncia nei suoi confronti, poiché in tal caso, quel soggetto assume la qualità solo formale di parte del giudizio e della sentenza impugnata.

Cass. civ. n. 13685/2006

Il soggetto che proponga appello — non diversamente da chi proponga ricorso per cassazione — nell'asserita qualità di erede di colui che ha partecipato al precedente grado del giudizio deve allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore e fornirne, quindi, tramite le opportune produzioni documentali, la necessaria dimostrazione, provando sia il decesso della parte originaria, sia l'asserita qualità di erede. La mancanza di tale prova è circostanza rilevabile d'ufficio, al di là della contestazione della controparte, in quanto attinente alla titolarità del diritto processuale di adire il giudice dell'impugnazione e, come tale, alla regolare instaurazione del contraddittorio. Ai fini del convincimento probatorio, il giudice può utilizzare come argomento di prova, ex art. 116 c.p.c., il comportamento tenuto dalle parti, ed in particolare il fatto che la controparte consideri l'intervenuta successione come verificata e riconosca la qualità di erede, ovvero imposti una linea difensiva incompatibile con la mancanza di quella qualità (Enunciando il principio di cui in massima, la Corte di cassazione ha confermato la sentenza impugnata, che aveva dichiarato l'appello inammissibile, essendosi l'appellante limitata, per un verso, a qualificarsi erede della parte del grado precedente, senza neppure allegare i fatti costitutivi di detta qualità, e, per l'altro, a produrre — a seguito dell'invito da parte del collegio a rendere chiarimenti, in un caso nel quale la qualità di erede dell'impugnante non poteva considerarsi un fatto pacifico — soltanto un atto di donazione a proprio favore stipulato anteriormente all'instaurazione della lite, dal quale risultava che l'immobile oggetto di causa era stato trasferito dal padre — parte nel giudizio di primo grado — alla figlia appellante).

Cass. civ. n. 17564/2005

L'evocazione in appello di un soggetto che non abbia partecipato al giudizio di primo grado, ma che si sia qualificato erede di una delle parti, la cui morte non era stata dichiarata nel corso del giudizio, non integra un vizio relativo alla instaurazione del contraddittorio, anche nell'ipotesi in cui, nell'atto di impugnazione, non sia indicato il rapporto successorio, derivando la legittimazione processuale dell'erede direttamente dalla legge. Resta, peraltro, onere dell'appellante provare la legittimazione passiva del soggetto evocato, e il giudice deve rilevare di ufficio il mancato soddisfacimento di tale onere nel caso in cui l'interessato non riconosca la propria legittimazione (nel caso di specie la Corte, cassando la sentenza impugnata, ha riconosciuto l'ammissibilità dell'atto di impugnazione proposto, senza ulteriori indicazioni, nei confronti di persona che, qualificandosi erede della parte vittoriosa in primo grado, aveva provveduto a notificare la sentenza di primo grado ed il precetto, limitandosi a rilevare la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi).

Cass. civ. n. 10130/2005

L'allegazione da parte dell'interventore in appello della qualità di litisconsorte necessario pretermesso, con la richiesta di dichiarazione di nullità della sentenza pronunciata in primo grado senza la sua partecipazione al processo, basta a determinare l'ammissibilità dell'intervento, senza che si richieda anche la denuncia dell'ingiustizia, nel merito, della sentenza conclusiva di quel procedimento, essendo il pregiudizio di cui all'art. 404, primo comma, c.p.c. insito in detta mancata partecipazione.

Cass. civ. n. 16500/2004

L'impugnazione avverso una sentenza pronunciata nei confronti di una società in accomandita semplice posta in liquidazione e cancellata dal registro delle imprese — ma ancora munita di soggettività e connessa capacità processuale, estinguendosi la società solo a seguito della definizione dei rapporti giuridici pendenti — non può essere proposta da un ex socio accomandatario (in tale qualità), ma, trattandosi di società posta in liquidazione, deve essere proposta dai liquidatori, cui spetta la rappresentanza della società, per il combinato disposto degli artt. 2315 e 2310 c.c.

Cass. civ. n. 17014/2003

L'impugnazione di una decisione giurisdizionale, intesa come “mezzo”, consiste in una domanda, con la quale una delle parti litiganti rimette in discussione, nei confronti dell'altra, l'oggetto del provvedimento impugnato, e non può quindi indirizzarsi contro l'organo giudicante, che è soggetto terzo rispetto alle parti del processo e non può pertanto essere coinvolto dalle domande in esso proposte. (Enunciando il principio di cui in massima, le S.U. hanno dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione — proposto per far valere il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in relazione ad una sentenza dalla stessa emessa — rivolto contro la Corte dei conti in sede giurisdizionale).

Cass. civ. n. 11454/2003

Qualora all'interno di un unico giudizio siano dedotti un rapporto principale ed un rapporto di garanzia impropria, le due cause relative ai diversi titoli conservano la loro autonomia, tanto che la sentenza che definisce il processo è solo formalmente unica, ma in realtà consta di due diverse pronunce, ed il sistema delle impugnazioni è regolato separatamente nei confronti di ciascuna di esse; in particolare, il chiamato in garanzia impropria, non potendo formulare domande autonome che amplino l'oggetto della lite tra le parti principali o lo modifichino, non è legittimato a proporre impugnazione autonoma all'interno della quale non si limiti a sostenere le ragioni della parte principale contro il capo della sentenza sfavorevole alla medesima; ne consegue che se la causa principale non è oggetto di impugnazione da parte dell'attore o del chiamante, il chiamato può proporre impugnazione solo limitatamente al rapporto di garanzia.

Cass. civ. n. 10134/2003

In tema di impugnazioni civili, la legittimazione all'impugnazione presuppone che la parte sia stata convenuta nel giudizio conclusosi con una pronuncia nei suoi confronti, mentre l'interesse processuale ad impugnare presuppone che vi sia stata una sentenza di condanna nei confronti della stessa e, quindi, a tal fine rileva la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della sentenza e della sua idoneità a formare il giudicato. Ne consegue che non integra interesse processuale ad impugnare una sentenza la circostanza che la parte ricorrente deduca di essersi costituita per errore nel giudizio di primo grado.

Cass. civ. n. 8079/2003

In applicazione del principio secondo cui, nel caso di sentenza resa nei confronti di una società di persone, l'appello proposto dal singolo socio, in proprio e senza alcun riferimento alla società stessa, è inammissibile (in quanto quest'ultima, pur sprovvista di personalità giuridica, costituisce, comunque, un autonomo centro di interessi dotato di propria capacità processuale), deve ritenersi parimenti inammissibile l'appello proposto dal legale rappresentante dell'ente qualora questo sia stato posto in liquidazione, spettando in tal caso ai (soli) liquidatori la relativa rappresentanza, ex artt. 2315, 2310 c.c.

Cass. civ. n. 7827/2003

In tema di condominio, il principio della «rappresentanza reciproca», in forza del quale ciascun condomino può agire, anche in sede di impugnazione, a tutela dei diritti comuni nei confronti dei terzi, in quanto l'interesse per il quale agisce è comune a tutti i condomini, comporta che colui che sia subentrato in corso di causa nella posizione di un condomino che non ha partecipato al giudizio di primo grado, può impugnare la sentenza che abbia pronunziato su diritti comuni, dovendosi tale sentenza considerare emessa anche nei suoi confronti.

Cass. civ. n. 11882/2002

Configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l'esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l'amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, inerenti all'edificio condominiale. Ne consegue che ciascun condomino è legittimato ad impugnare personalmente, anche per cassazione, la sentenza sfavorevole emessa nei confronti della collettività condominiale ove (come nella specie) non vi provveda l'amministratore.

Cass. civ. n. 10208/2002

In applicazione del principio per il quale è legittimato a ricorrere in appello soltanto colui che sia stato parte del giudizio di primo grado, nel caso di sentenza resa nei confronti di una società di persone è inammissibile il ricorso in appello proposto da una persona fisica in proprio e non quale legale rappresentante della società. In tale ipotesi la inammissibilità è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, e, ove pronunciata in sede di legittimità, configurando una ipotesi in cui il giudizio non poteva essere proseguito, comporta la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, ex art. 382 c.p.c.

Cass. civ. n. 26/2002

La trasformazione di una società commerciale in società di tipo diverso comporta soltanto il mutamento formale di un'organizzazione societaria già esistente, senza la creazione di un nuovo soggetto distinto da quello originario; ma la diversità di tipo e di denominazione sociale comportano per la società risultante dalla trasformazione l'onere di provare, in caso di contestazione di controparte, la propria legittimazione ad impugnare.

Cass. civ. n. 6949/2001

Nel caso in cui l'estinzione di una società per incorporazione in un'altra, verificatasi nel corso del giudizio di primo grado non sia stata dichiarata ai sensi dell'art. 300 c.p.c. dal difensore munito di procura anche per il giudizio di appello, legittimamente questi in forza dell'ultrattività della procura conferitagli da colui che è stato il legale rappresentante della società incorporata, può proporre l'atto di impugnazione in nome della stessa società.

Cass. civ. n. 9452/2000

È inammissibile l'impugnazione del rappresentante legale di un soggetto divenuto capace alla data della notifica di detto atto, ancorché il difensore di tale parte non abbia dichiarato o notificato l'evento, perché, a differenza del caso in cui sia la controparte che, ignorando incolpevolmente la cessazione della altrui causa di incapacità, abbia notificato l'impugnazione presso il difensore del rappresentante processuale costituito, non vi è alcuna esigenza di tutelare la buona fede del rappresentante che invece è a diretta conoscenza della sopravvenuta capacità del rappresentato, con conseguente cessazione della propria rappresentanza “ex lege”.

Cass. civ. n. 6503/2000

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso ha un'autonoma legittimazione ad impugnare la sentenza che determina la soccombenza del cedente, indipendentemente dall'eventuale acquiescenza che il suo dante causa abbia prestato alla sentenza pronunciata contro di lui.

Cass. civ. n. 5541/1999

È inammissibile l'appello proposto dal curatore del fallimento di una società in accomandita semplice (e non dal curatore del fallimento personale del socio accomandatario, anch'egli dichiarato fallito in estensione) avverso la sentenza di primo grado resa in un giudizio instaurato dal socio accomandatario in epoca anteriore al suo fallimento (dichiarato nelle more tra la pubblicazione della detta sentenza e l'atto di impugnazione della curatela).

Cass. civ. n. 249/1999

In tema di opposizione avverso atti irrogativi di sanzioni amministrative, la riunione di giudizi distinti, ancorché riferibili ad identiche condotte tenute contestualmente da ciascuno dei soggetti destinatari, si fonda esclusivamente su ragioni di opportunità, restando distinta ed autonoma, sul piano sostanziale e processuale, la posizione di ciascuno degli opponenti, con la conseguenza che la sentenza emessa nei giudizi così riuniti contiene tante pronunce quante sono le cause decise, e ciascuna parte è legittimata (ed ha interesse) ad impugnarla soltanto limitatamente alla statuizione che la riguardi, mentre l'eventuale, omessa pronuncia nei confronti di uno dei contravventori non assume alcun rilievo nel giudizio d'impugnazione instaurato da ciascuno degli altri.

Cass. civ. n. 10237/1998

Il soggetto che abbia, in primo grado, svolto un intervento adesivo dipendente non è legittimato ad impugnare autonomamente la sentenza che ha statuito in senso sfavorevole alla parte da lui adiuvata.

Cass. civ. n. 4865/1998

È ammissibile l'impugnazione della sentenza da parte del fallito, emessa prima del fallimento, perché egli conserva la capacità di agire, anche processuale, per i diritti patrimoniali non curati dagli organi fallimentari, e in ogni caso l'eccezione di difetto di capacità può essere sollevata soltanto dal curatore nell'interesse della massa dei creditori, ma non d'ufficio o dalla controparte.

Cass. civ. n. 3558/1998

Nel caso in cui, nel corpo di una stessa sentenza, siano contenute autonome statuizioni, ciascuna delle quali sottoposta ad un proprio, peculiare e diverso regime di impugnazione, ognuna di esse può formare oggetto di impugnazione esclusivamente secondo i mezzi di gravame suoi propri, non esistendo, in materia civile, una disposizione analoga a quella prevista, nel rito penale, dall'art. 580 c.p.p., in forza della quale, proposti contro una stessa sentenza mezzi di impugnazione diversi, il ricorso per cassazione si converte, ex lege, in appello (nella specie, il tribunale ordinario, con unica sentenza, aveva statuito tanto sull'appello proposto da un notaio avverso la sanzione disciplinare della censura inflittagli dal competente consiglio notarile, quanto sulla richiesta di applicazione della sanzione disciplinare avanzata dal P.M. per violazione dell'art. 80 della legge notarile. Proposto ricorso per cassazione — anziché appello — avverso questo secondo capo della sentenza da parte del notaio, la S.C., nel dichiarare inammissibile l'impugnazione, ha enunciato il principio di diritto di cui in massima).

Cass. civ. n. 6201/1997

È titolare di un interesse giuridicamente tutelabile il socio di una società di capitali, convenuta in giudizio per accertare la simulazione di un contratto di acquisto con essa stipulato, perché l'accoglimento di tale domanda, depauperando il patrimonio sociale, diminuisce il valore dei suoi diritti di partecipazione alla società ed incide quindi sulla quota ad esso spettante; pertanto il socio è legittimato ad esperire intervento adesivo dipendente in detto giudizio (art. 105, secondo comma, c.p.c.) per sostenere le ragioni della società, e ad impugnare, in via autonoma, la sentenza che invece escluda tale suo interesse.

Cass. civ. n. 5798/1997

Poiché la trasformazione di una società — nella specie mutando la denominazione, ma mantenendo il tipo sociale — configura una modifica dello statuto non condizionata, per la sua efficacia, all'omologazione e ai successivi adempimenti, — fino all'iscrizione nell'apposito registro — i cui effetti perciò sono soltanto dichiarativi, la società che produce la delibera comprovante la modificata denominazione è legittimata ad impugnare la sentenza emessa nei confronti di quella con la denominazione precedente, senza dover dimostrare l'avvenuto compimento delle predette formalità.

Cass. civ. n. 4355/1997

Le sedi secondarie di un'impresa (anche se organizzate in forma societaria) non rilevano come centri autonomi di imputazione giuridica e la loro iscrizione nel registro delle imprese non è preordinata ad evidenziare una separazione rispetto alla sede centrale, bensì a rendere manifesto il vincolo organico tra l'impresa e le sue ramificazioni; pertanto, l'attività svolta dalla persona preposta all'esercizio della sede secondaria, sia sul piano sostanziale che su quello processuale, fa capo all'impresa nella sua globalità. Ne consegue che, qualora l'iniziativa processuale sia assunta, nell'ambito delle sue competenze, dal rappresentante preposto all'esercizio della sede secondaria, gli effetti si producono direttamente nei confronti dell'impresa e quest'ultima è legittimata ad impugnare direttamente la decisione emessa a conclusione del giudizio.

Cass. civ. n. 3193/1997

Una sentenza non può essere impugnata al solo fine di ottenere la correzione o l'integrazione della motivazione, fondata su ragioni non coincidenti con quelle fatte valere dal vincitore, a meno che il contenuto della motivazione, contenga enunciazioni suscettibili di passare in giudicato e potenzialmente idonee a pregiudicare la parte vittoriosa.

Cass. civ. n. 1339/1996

Nel giudizio di riscatto promosso dal conduttore di un immobile urbano nei confronti dell'acquirente, quest'ultimo ove richieda al venditore di essere garantito nell'eventualità della pronuncia di riscatto, propone una domanda di garanzia per evizione avente natura di garanzia propria, cosicché il venditore è legittimato a proporre impugnazione autonoma efficace ad ogni effetto nei confronti di tutte le parti, anche contro la decisione emessa nella causa principale con riguardo alla domanda di riscatto.

Cass. civ. n. 4581/1995

La garanzia del doppio grado di giudizio è rispettata ogni qualvolta il giudice di primo grado sia stato posto nella condizione di esaminare la domanda in tutta la sua estensione, anche se il medesimo giudice, risolvendo una questione pregiudiziale, non sia entrato nel merito della controversia e non abbia esaminato gli altri punti della causa, ed il giudice di secondo grado abbia statuito nel merito superando la questione pregiudiziale. Pertanto, qualora il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo abbia dichiarato l'inammissibilità dell'opposizione correttamente, il giudice di appello, che ritenga insussistente tale inammissibilità, procede all'esame delle questioni di competenza e di merito, senza necessità di rimettere la controversia al primo giudice.

Cass. civ. n. 4975/1993

La qualità di procuratore della parte nei cui confronti è stata pronunziata la sentenza impugnata non abilita il suo titolare alla proposizione dell'impugnazione in proprio, neanche quando si controverta unicamente in punto di spese processuali, salvo che lo stesso procuratore non se ne sia dichiarato antistatario ed i motivi delle proposte censure attengano alla concessione della distrazione.

Cass. civ. n. 13265/1992

Il chiamato in causa per garanzia impropria non è legittimato ad impugnare le statuizioni sfavorevoli al chiamante, aventi per oggetto il rapporto principale, in mancanza di impugnazione della parte rimasta soccombente nell'ambito di tale rapporto, ma può soltanto far valere, nei limiti della causa di garanzia, autonoma e scindibile, le eccezioni e le difese volte a dimostrare l'inesistenza, l'invalidità e l'inefficacia del rapporto principale, in quanto presupposto del rapporto subordinato di garanzia. (Nella specie, un comune, convenuto in un giudizio di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione, aveva chiamato in causa una cooperativa edilizia, con la quale aveva stipulato una convenzione di cessione del terreno espropriato. La Suprema Corte, enunciando i suddetti principi, ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla cooperativa edilizia contro la determinazione dell'indennità di espropriazione, non impugnata dal comune).

Cass. civ. n. 6158/1992

Il socio di una società, il quale, evocato in giudizio esclusivamente in veste di legale rappresentante della società stessa, venga condannato anche in proprio, assume la qualità di parte soccombente, e, come tale, deve ritenersi interessato e legittimato ad avvalersi degli ordinari mezzi d'impugnazione contro la relativa sentenza, ove di questa abbia acquisito conoscenza legale (nella specie, per effetto di notificazione).

Cass. civ. n. 2989/1986

La prova del non passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado per effetto della proposizione contro di essa del ricorso per cassazione non è data dalla sola produzione della copia del ricorso notificato, essendo a detto fine necessario dimostrare altresì la pendenza del relativo giudizio, mediante certificazione della cancelleria.

Cass. civ. n. 5836/1985

Qualora l'impugnazione sia stata proposta da uno soltanto dei coobbligati soccombenti a tutela di propri interessi, l'esercizio del potere di impugnazione non può essere riferito anche agli altri suoi litisconsorti in primo grado, che, notificati del gravame, siano rimasti contumaci nel giudizio d'appello senza che possa rilevare che il comune difensore fosse munito di procura anche per il grado di appello e che lo stesso, in sede di conclusioni definitive per tale grado, abbia richiesto la riforma della sentenza impugnata anche in nome degli altri coobbligati.

Cass. civ. n. 1880/1984

Il principio del doppio grado di giurisdizione non implica necessariamente che entrambi i giudici, di primo e di secondo grado, si debbano pronunciare nel merito delle domande ed eccezioni proposte dalle parti, essendo sufficiente che ciascuno di essi pervenga ad una decisione (definitiva o non definitiva del giudizio) attraverso la delibazione delle questioni controverse, anche se concernenti la giurisdizione o la competenza ovvero di natura (altrimenti) pregiudiziale o preliminare al merito.

Cass. civ. n. 1628/1983

Il chiamato in garanzia propria come parte soggetta alla decisione emessa in ordine al rapporto principale, ben può, al pari del chiamante e nonostante l'acquiescenza di lui, impugnare la sentenza di accoglimento della domanda principale e di quella di garanzia, anche in ordine al rapporto oggetto del giudizio principale.

Cass. civ. n. 969/1981

Sia nel caso in cui l'omissione di pronuncia si risolva in un vizio della pronuncia stessa, sia nel caso in cui sia giustificata dalla soluzione data dal primo giudice a una questione logicamente assorbente, il giudice dell'appello che riscontri il vizio denunciatogli, ovvero superi, considerandola infondata, la questione ritenuta in primo grado assorbente, deve procedere all'esame della domanda già portata all'esame del primo giudice, poiché la proposizione della domanda nel giudizio di primo grado esaurisce e soddisfa il principio del doppio grado di giurisdizione, il quale richiede soltanto la sottoposizione della domanda medesima all'esame di due giudici del merito e non anche l'esame della domanda da parte di entrambi i giudici del merito.

Cass. civ. n. 5768/1979

Più cause, tra loro distinte per oggetto e per titolo e riunite nello stesso processo, non perdono la loro autonomia, e, pertanto, autonome, ancorché contestuali, restano le relative decisioni, onde una parte non è legittimata ad impugnare la decisione che non la riguarda.

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Consulenze legali
relative all'articolo 323 Codice di procedura civile

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M. D. chiede
sabato 13/07/2024
“Salve.
Vorrei sottoporre alla vostra attenzione il mio caso.

È uscita la sentenza di divorzio emessa dal Tribunale di Roma, dove ho evidenziato degli errori di calcolo contabili.

Situazione:
In data 5 luglio 2024 è stata pubblicata la sentenza di divorzio dal Tribunale di Roma.
A conti fatti (dal sottoscritto), sembra che fare appello non conviene economicamente visto i costi eventualmente da sostenere (costo ipotizzato di 5000,00 euro).

Nella sentenza c'è un errore di calcolo contabile:
Al mio reddito lordo (anno 2022, 730/2023 di 43807,00 euro) è stata applicata una imposizione fiscale del 23% invece del 35% (errore di calcolo gravissimo e inaccettabile/ingiusto). Quindi, ovviamente risulta che il mio reddito netto mensile da lavoratore dipendente (stipendio, unica fonte di reddito) non è corretto, risultando superiore (circa 400,00 euro) dell'effettivo percepito.
Agli atti il Tribunale di Roma ha ovviamente i miei 730 e buste paghe.
La sentenza delibera un assegno di mantenimento ai figli (due maggiorenni) di 900,00 euro mensili e spese straordinarie al 50% da concordare.

Volevo capire se è possibile intraprendere altre strade oltre l’appello (non conveniente economicamente):
- Dispositivo dell'art. 287 Codice di procedura civile
- Dispositivo dell'art. 288 Codice di procedura civile
- Dispositivo dell'art. 395 Codice di procedura civile
- Dispositivo dell'art. 415 Codice di procedura civile
- Eventuali altri procedimenti


Rimango in attesa di un Vostro gentile risconto e quindi come potrei procedere per avere giustizia.

Grazie ancora.


Distinti saluti”
Consulenza legale i 16/07/2024
Occorre premettere che ogni valutazione riguardante sia l'ammissibilità, sia l’opportunità di un determinato mezzo di impugnazione va discussa confrontandosi personalmente con il proprio legale di fiducia, il quale ha la possibilità di esaminare gli atti, oltre a una conoscenza sicuramente più completa della vicenda processuale.
Ciò premesso, in questo caso ci è possibile, comunque, fornire delle indicazioni di carattere generale rispetto alle opzioni ipotizzate nel quesito come alternative.

Il procedimento di correzione dell’errore materiale (artt. 287 e ss. c.p.c.) può essere proposto quando il giudice sia incorso in “in omissioni o in errori materiali o di calcolo”.
L’errore di calcolo, in particolare, come ha chiarito Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza n. 2486 del 29 gennaio 2019, “consiste in un'erronea utilizzazione delle regole matematiche sulla base di presupposti numerici, individuazione ed ordine delle operazioni da compiere esattamente determinati e non contestati”.
Nel nostro caso, invece, stando a quanto riferito, si tratterebbe non di un mero errore di conteggio, ma di un vero e proprio errore di giudizio; anche perché la quantificazione dell’assegno di mantenimento non è il risultato di un’operazione matematica, bensì di una valutazione discrezionale da parte del giudice, che tiene conto di una serie di fattori.

Quanto all’art. 395 c.p.c., si tratta della c.d. revocazione ordinaria, ovvero di un mezzo di impugnazione che può essere proposto solo in presenza di specifici presupposti. Innanzitutto, deve trattarsi di sentenze pronunciate in grado d'appello o in un unico grado.
Inoltre, i motivi di impugnazione sono solo quelli tassativamente indicati dalla legge:
1) dolo di una delle parti in danno dell'altra;
2) prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza;
3) ritrovamento, dopo la sentenza, di uno o più documenti decisivi, che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario;
4) errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa (quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare);
5) contrasto con altra precedente sentenza, avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione;
6) dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

Infine, non si comprende il riferimento all’art. 415 c.p.c., che disciplina il c.d. rito del lavoro.
Ad ogni modo, così come l’appello ha un costo in termini di spese legali, nessuna delle altre opzioni è gratuita ed è comunque richiesta l’assistenza di un avvocato.

ALFREDO C. chiede
domenica 13/11/2016 - Lazio
“un soggetto che ha avuto soccombenza in una causa tributaria di primo grado, si appella, tramite un avvocato, e notifica l'appello firmandolo solamente sulll'ultima pagina del ricorso, mentre la delega apposta a lato dell primo foglio risulta non in originale ma in copia. E' legittima tale procedura?”
Consulenza legale i 16/11/2016
Stando alle scarne informazioni contenute nel Suo quesito, parrebbe che il legale che ha appellato la sentenza che vedeva il proprio cliente soccombente abbia firmato l’atto di appello solo nell’ultima pagina; inoltre, la procura speciale (apposta a margine dell’atto) risulta essere in copia e non in originale.

Innanzitutto occorre precisare che la Commissione Tributaria competente per la Sua causa si trova in una delle (poche) regioni in cui non è ancora attivo il Processo Tributario Telematico: con questo, infatti, si evitano le notifiche cartacee in favore di notifiche e depositi di atti a mezzo PEC firmati digitalmente.

Orbene, fatta questa necessaria premessa, non sembrerebbero esserci profili di illegittimità. Non è obbligatoria la firma dell’atto di appello su ogni singola pagina (non esiste norma in tal senso nel c.d. codice del processo tributario, D.lgs. 31/12/1992 n. 546). L’art. 53, comma 1, che riguarda la forma dell’appello, infatti recita: “il ricorso in appello contiene l'indicazione della commissione tributaria a cui è diretto, dell'appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l'esposizione sommaria dei fatti, l'oggetto della domanda ed i motivi specifici dell'impugnazione. Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto a norma dell'art. 18, comma 3”, che richiede la sola sottoscrizione da parte del difensore, senza nulla aggiungere circa la firma su ogni pagina dell’atto.
Lo stesso dicasi per la procura speciale: la Sua infatti è una copia di notifica, mentre l’originale è depositato nella segreteria della Commissione regionale competente.
Anzi, a onor del vero e per completezza narrativa, se la procura speciale conferita dalla parte in primo grado fosse stata già fornita della delega a proporre impugnazione, addirittura la sua ripetizione non sarebbe stata necessaria.