Legislazione
La disciplina dell'acquedotto coattivo è rinviata alle
leggi speciali, trattandosi di materia soggetta a continua revisione. La legge 7 giugno 1894 n. 232 e il regolamento 25 ottobre 1895 n. 642 disciplinarono la trasmissione a distanza delle correnti elettriche, e quindi le condutture elettriche, e la servitù di elettrodotto.
La materia, però, è stata recentemente regolata
ex novo dalla legge sulle acque pubbliche e sugli impianti elettrici, T. U. 11 dicembre 1933 n. 1775, che al capo II ha per oggetto precisamente la servitù di elettrodotto (art. 119 segg.). Questa legge (con l'art. 234, n. 9), ha espressamente abrogato la legge 7 giugno 1894 n. 232: è rimasto in vigore il regolamento 25 ottobre 1895, salvo abrogazione tacita di talune norme per incompatibilità delle nuove norme con le vecchie.
Contenuto del vincolo
Molte questioni controverse sono state risolte e molti dubbi sono stati eliminati dalla legge del 1933. Una questione fondamentale, rimane, tuttavia, aperta:
la natura del vincolo. Prima di affrontare tale questione, dalla soluzione della quale dipendono molte altre, è bene fissare il contenuto del vincolo.
Mettendosi dalla parte del proprietario del fondo assoggettato, l'onere che per questo importa l'elettrodotto si può ritenere espresso incisivamente nell'art. 119: «
Ogni proprietario è tenuto a dare passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche aeree o sotterranee che esegua chi ne abbia ottenuto permanentemente o temporaneamente l'autorizzazione dall'autorità competente ». Pertanto ben può dirsi che un
pati incombe al proprietario del fondo, che è soggetto all'elettrodotto: questo
pati, nel suo complesso, corrisponde a quello che si ha nell'acquedotto.
Dal punto di vista attivo, le
facoltà spettanti al titolare del diritto sono fissate nell'art. 121:
a) collocare ed usare condutture sotterranee od appoggi per conduttori aerei, far passare conduttori elettrici su terreni privati e su vie e piazze pubbliche, impiantarvi le cabine di trasformazione o di manovra necessarie all'esercizio delle condutture;
b) infiggere supporti o ancoraggi per conduttori aerei all'esterno dei muri o facciate delle case rivolte verso le vie e piazze pubbliche, a condizione che vi si acceda dall'esterno e che i lavori siano eseguiti con tutte le precauzioni necessarie sia per garantire la sicurezza e l'incolumità, sia per arrecare il minimo disturbo agli abitanti;
c) tagliare i rami di alberi, che trovandosi in prossimità dei conduttori aerei, possano, con movimento, con la caduta od altrimenti, causare corti circuiti od arrecare inconvenienti al servizio o danni alle condutture ed agli impianti;
d) far accedere lungo il tracciato delle condutture il personale addetto alla sorveglianza e manutenzione degli impianti e compiere i lavori necessari.
Come chiarisce l'art. 16 del Regolamento 25 ottobre 1895 n. 642, il diritto di passaggio comprende l'impianto e l'uso del massimo numero dei conduttori e delle massime sezioni degli stessi:
non occorre più una formale notifica di questi al proprietario del fondo servente, all'atto di di far riconoscere il diritto di passaggio (giusto l'art. 5 della legge 7 giugno 1894 n. 232), dovendosi ritenere per questa parte abrogata la norma del regolamento insieme con quella della legge, che richiama. Però il rendere noto al proprietario del fondo soggetto «
numero degli appoggi e dei conduttori » è una necessità che si presenta nel momento della stipulazione dell'atto di costituzione della servitù e di fissazione dell'indennità, in quanto la legge stessa prescrive che in detto atto devono essere determinati l'area delle zone soggette a servitù d'elettrodotto e il numero degli appoggi e dei conduttori (art. 123 ult. capov. T. U.).
In generale è statuito che l'impianto stesso e l'esercizio delle condutture devono essere eseguiti in modo da rispettare le esigenze e l'estetica delle vie e delle piazze pubbliche e da riuscire il meno pregiudizievole possibile al fondo servente, avuto anche riguardo all'esistenza di altri utenti di analoga servitù sul medesimo fondo, nonché alle condizioni dei fondi vicini e all'importanza del fondo stesso (art. 124 penult. comma del T.U. vedi già art. 13-14 del Regolamento).
Quanto all'esercizio delle
facoltà contenute nel diritto di passaggio, si dispone, così come per le servitù volontarie (
art. 1067 del c.c.), che l'utente non può fare nulla che aggravi la servitù. Il proprietario del fondo gravato, per suo conto, non può in alcun modo diminuire o rendere più incomodo l'uso del passaggio (art. 122 comma 3°
, T.U.).
Inoltre, sia nell'impianto che nell'esercizio delle condutture elettriche l'utente è tenuto ad attuare, sotto la sua responsabilità, tutti i provvedimenti intesi a garantire l'incolumità delle persone e l'uso delle cose che saranno in ogni caso consigliati dalla scienza e dalla pratica, e porre in essere una serie di precauzioni dal legislatore stesso precisate (art. 10, II, 12, Regol. cit.: norme rimaste in vigore).
Sua natura. Atto di costituzione
Come dicevamo, è controversa la natura del rapporto. Un punto fermo si può ricavare da un'espressa disposizione di legge: l'imposizione dell'elettrodotto
non determina alcuna perdita di proprietà o di possesso del fondo servente, ne consegue che le imposte prediali e gli altri pesi inerenti al fondo rimangono in tutto a carico del proprietario di questo (art. 122 comma I e 2
, T. U.). Ciò vuol dire che il fondo assoggettato rimane in tutto e per tutto in proprietà di colui che deve subire l'elettrodotto: l'esercente l'impianto non acquista la proprietà del suolo, nemmeno per quella parte occupata dall'impianto. Naturalmente la proprietà dei pali, delle cabine, etc. spetta all'utente, essa viene a configurarsi come proprietà superficiaria, ossia come proprietà orizzontalmente divisa, con insistenza sul suolo (
art. 952 del c.c.).
La deduzione che è autorizzata da quanto precede è questa: l'imposizione dell'acquedotto è possibile in forza di un diritto su cosa altrui. Nella determinazione della natura di tale diritto sono state sostenute più soluzioni:
servitù prediale; servitù personale; servitù irregolare; limitazione legate della proprietà; limitazione di diritto pubblico.
Appare preferibile la prima soluzione: si tratta di una servitù
prediale coattiva. Ormai tale soluzione può dirsi consacrata legislativamente nel libro della proprietà: l'elettrodotto coattivo è posto fra le serviti prediali, nel capo II «
delle servitù coattive ». Nella Relazione al Re si dichiara che l'elettrodotto coattivo è stato inserito fra le servitù coattive, anziché fra le limitazioni della proprietà «
in conformità del prevalente indirizzo dottrinale e giurisprudenziale che ravvisa in esso tutti gli elementi di una servitù prediale ».
Qualcuno potrebbe dire che questo argomento non è decisivo poiché non è compito del legislatore definire la natura degli istituti. A ciò si può replicare che indubbiamente la struttura di un istituto è una creazione del legislatore e che non può non avere esercitato influenza su tale struttura l'idea che lo stesso legislatore ha avuto circa la natura che era, a suo avviso, da infondere all'istituto. Comunque le obiezioni opposte, fin qui, alla tesi della servitù prediale non sono decisive. È bene prenderle brevemente in esame, perchè offrono l'occasione di chiarire alcuni elementi dell'istituto e di esaminare questioni anche praticamente importanti, questioni connesse con quella centrale sull'indole del rapporto, di cui veniamo discorrendo:
a) se si trattasse di servitù prediale dovrebbe sussistere una relazione oggettiva fra due fondi, accanto al fondo servente dovrebbe esistere un fondo dominante. Ora, si è detto, tale relazione non esiste, ne vi è un fondo dominante;
b) era lecito dubitare già in base alla legge del 1894 che il vincolo dell'elettrodotto trovasse, come le servitù legali e coattive, la sola fonte mediata nella legge e la fonte immediata nella convenzione o nella sentenza. Con la legge del 1933 tale tesi è insostenibile: la necessità di un accertamento dell' esistenza dei presupposti legali del vincolo di elettrodotto viene meno.
L'autorizzazione a costruire la linea obbliga senz'altro i proprietari a
consentire il passaggio autorizzato. Una volta emessa l'autorizzazione, per tutti i fondi che, secondo il progetto autorizzato, debbono essere attraversati, il limite legale costituito dall'elettrodotto si trasforma da potenziale in attuale. Non ha più ragione d'essere un consenso del proprietario del fondo asservito, sia pure limitatamente al riconoscimento dell'esistenza dei presupposti legali, una volta che tali presupposti si riassumono nell'ottenimento dell'autorizzazione. A tal consenso nella legge non si accenna: si parla solo di atti aventi per oggetto la fissazione dell'indennità e non la costituzione della servitù.
Si può replicare che:
a) il fondo dominante c'è, ed è l'officina o stabilimento in cui l'energia si produce , ammesso che anche l'utilità industriale può giustificare le servitù, nessun ostacolo può riscontrarsi nella destinazione industriale del fondo dominante. Nè si dica che fondo dominante e quello che con le sole sue risorse naturali non può dar da sé il suo pieno godimento, che deve esservi un bisogno del fondo, che la stazione di trasmissione non è quella a cui l'utilità finale giova. È, infatti, facile rispondere che, a parte il rischio di porsi, per il fondo dominante, sotto punti di vista relativi al fondo servente (risorse naturali: causa perpetua), non può disconoscersi che una centrale elettrica ha bisogno, per la sua destinazione, di smaltire l'energia che produce. Da ciò si desume che è ingiustificato lo sbandamento, per così dire, di taluni di fronte all'obiezione qui criticata: sbandamento che ha portato qualcuno a ritrovare il fondo dominante nei fondi cui la energia è fornita, cadendo, così, in una tesi di fronte a cui ha buon gioco l'obiezione tratta dalla necessità di una relazione tra i due predi.
Invero, è innegabile che fra il fondo assoggettato all'elettrodotto e quelli a cui va l'energia non sorge alcuna relazione, né ha luogo alcun diritto o potere per un verso, nè alcun onere od obbligo per l'altro, fra i rispettivi proprietari. L'identificazione del
soggetto attivo del diritto di elettrodotto è sicura in base alla nuova legge: esso è il distributore dell'energia, autorizzato (art.
916 segg., art.
929 segg.). Tanto meno si giustificano altre deviazioni dovute alla stessa obiezione: si tratterebbe, per alcuni, di servitù personali o irregolari. Perché ciò possa ammettersi, sarebbe necessario che l'utilità andasse ad una persona come tale.
b) Più grave è la
seconda obiezione, ed anche più rilevante, perché investe il modo stesso di costituzione di questo vincolo. Orbene, alla considerazione che nella legge si parla di fissazione dell'indennità e non di costituzione della servitù, va opposto l'art.
932, comma 4, in cui si fa parola di « atto di costituzione della servitù »: vi si prevede anche l' eventualità di « diverse pattuizioni », che presuppongono un contrahere. Un atto di costituzione, dunque, deve pure qui porsi in essere, infatti la servitù scaturisce da questo. D'altronde, basterebbe la necessità dell'accordo circa l'indennità — necessità ammessa ex adverso — per far pensare che prima di esso non può sorgere una servitù: infatti, per l'
art. 933 del c.c., l'indennità dev'essere stata persino corrisposta, perché si inizino i lavori.
Si aggiunga che l'impianto delle condutture, oltre che l'esercizio, deve essere eseguito in modo da riuscire il
meno pregiudizievole possibile al fondo servente (art.
931 penult. comma), perciò altra eventuale difficoltà che può superarsi solo col consenso del proprietario del fondo assoggettato, sia pure che la mancanza di tale consenso debba, anzitutto, farsi valere da lui sotto forma di opposizione alla domanda di autorizzazione, opposizione da presentare all'Ufficio del Genio Civile.
Si aggiunga, ancora, che per l'art.
933, ult. comma, nell'atto col quale si fissa l'indennità debbono essere determinati l'area delle zone soggette a servitù d'elettrodotto e il numero degli appoggi e dei conduttori. Ciò vuol dire che, in concreto, il contenuto della servitù per quanto riguarda l'area delle zone e il numero degli appoggi e dei conduttori — nonostante che sia stata presentata la domanda di autorizzazione corredata dal piano tecnico delle opere da costruire (art. III), che siano, magari, mancate osservazioni e opposizioni (
art. 922 del c.c.), che l'autorizzazione sia stata concessa — deve essere
stabilito d'accordo fra proprietario del fondo assoggettato e utente, e, in mancanza, dall'autorità giudiziaria.
Da quanto precede si desume una
conseguenza importante: perché si abbia una servitù di elettrodotto è
essenziale l'atto di costituzione, che deve essere rivestito della forma scritta (art.
1350 n. 4; art. 1314 n. 2 cod. 1865) e deve essere trascritto per essere opponibile ai successivi acquirenti del fondo assoggettato (art.
2643, n. 4; art. 1932 n. 2 cod. 1865). Quanto all'elettrodotto su beni demaniali bisogna, però, tenere conto di quello che si dirà fra breve. Se c'è stata la trascrizione, si ha solo il diritto alla costituzione della servitù verso l'acquirente.
Oggetto. Beni demaniali, modo di costituzione rispetto a questi
La servitù di elettrodotto può costituirsi a carico di
tutti i fondi: sono
esenti le case, salvo che per le facciate verso le vie e le piazze pubbliche, i cortili, i giardini e le aie alle case attinenti. Le aree fabbricabili non sono esenti dalla servitù, ma della fabbricabilità deve tenersi conto nella fissazione dell'indennità.
I
beni da assoggettare possono appartenere a privati o allo Stato, alle Provincie, ai Comuni o ad altri Enti. Se appartengono ad enti, è indifferente che siano demaniali o patrimoniali: la costruzione della linea può aver luogo pur in zone militarmente importanti (art.
923, comma 2), le condutture possono attraversare zone militarmente importanti, fiumi, miniere, strade pubbliche, ferrovie, ecc. (
art. 930 del c.c.), comunque, possono costituirsi su beni d'uso pubblico o destinati ad un pubblico servizio (
art. 935 del c.c.).
La
natura demaniale del bene o la sua appartenenza ad un ente può avere la sua importanza per le modalità della costituzione e il criterio di determinazione dell'indennità: così, chi intende fare studi per la compilazione di un progetto di impianto di condutture elettriche ed entrare, perciò, nel fondo altrui, deve, per introdursi nel recinto di una ferrovia o tramvia, osservare le prescrizioni stabilite dalle amministrazioni esercenti, per introdursi negli immobili militari o che siano in consegna alle autorità militari, deve ottenere apposita autorizzazione dalle Autorità medesime, e osservare, nell'accesso, le loro prescrizioni (art.
919, comma 3). Per le condutture da costituire su zone militarmente importanti, fiumi, strade pubbliche, ecc., le autorità interessate devono comunicare all'ufficio del Genio Civile le loro eventuali osservazioni e opposizioni sul piano tecnico delle opere da costruire, e specificare le condizioni a cui intendono che l'autorizzazione sia vincolata (
art. 922 del c.c.). Inoltre, l'autorizzazione provvisoria, in caso di urgenza, dell'inizio delle costruzioni delle linee di trasmissione, per le parti riguardanti opere pubbliche e zone militarmente importanti, deve essere subordinata al consenso di massima delle autorità interessate (art.
923, comma 2). Ancora più importante è la disposizione contenuta nell'
art. 930 del c.c.: le condutture elettriche che devono attraversare zone dichiarate militarmente importanti, fiumi, strade pubbliche ecc., non possono essere autorizzate, in nessun caso, se non si siano pronunciate in merito le autorità interessate: così è statuito nei riguardi della stessa costituzione della servitù. Quanto alle modalità di esecuzione e di esercizio delle linee e degli impianti autorizzati, l'interessato deve stipulare appositi atti di sottomissione con le competenti autorità (art.
930 ult. comma).
Altra differenza riguarda l'indennità: questa è sostituita da un canone annuo per gli oneri costituiti su tutti i beni dello Stato, delle Provincie e dei Comuni, che siano d'uso pubblico o destinati ad un pubblico servizio. Quanto ai beni patrimoniali di diritto comune, è in facoltà dell'Amministrazione dello Stato, delle Provincie e dei Comuni di chiedere il canone annuo, anziché l'indennità (art.
935 comma 1 e 2).
Pur nella fissazione della misura dell'indennità e dei canoni, vi è una
particolarità: per le Amministrazioni dello Stato, delle Provincie e dei Comuni essa e determinata con decreto reale, da emanarsi su proposta del Ministro dei lavori pubblici, sentiti le Amministrazioni interessate ed il Consiglio Superiore dei lavori pubblici (art.
935, comma 3).
In generale, può dirsi che per i beni demaniali, di un contratto fra utente e amministrazione, non può parlarsi: il consenso vero e proprio, non può dirsi dato se non a mezzo della pronuncia in merito di cui all'
art. 930 del c.c., almeno per i beni demaniali ivi indicati. Del resto, neppure per la fissazione dell'indennità è concepibile un incontro di volontà, nel senso dell' in idem placitum consensus, tipico del contratto di diritto privato, in quanto la misura dell'indennità e dei canoni dovuti in ogni caso alle amministrazioni dello Stato, delle Province e dei Comuni e determinata con Decreto Reale (
art. 935 del c.c.). Si noti alla fine che, per i beni demaniali, menzionati nell'
art. 930 del c.c., anche le modalità di esecuzione e di esercizio non sono oggetto di libera contrattazione, su piede di parità, fra interessato e amministrazione, dovendo il primo stipulare, al riguardo, con le competenti autorità appositi atti di sottomissione (art.
930 ult. Comma).
Centrale elettrica
Dal lato attivo, accolta la tesi che l'elettrodotto è una servitù coattiva e che il fondo dominante e l'officina centrale produttrice di energia, è una soluzione innegabile: il titolare del diritto di elettrodotto è il proprietario dell'officina (inerenza attiva), ma l'autorizzazione e l'acquisto possono ottenersi da chiunque eserciti la gestione. Ciò vengono ad ammettere, almeno in parte, e a significare quegli scrittori che, pur negando all'onere dell'elettrodotto la natura di servitù prediale, parlano di accessorietà dell'elettrodotto, nel senso che esso non può immaginarsi se non collegato ad una centrale.
Nessuna limitazione esiste nella nuova legge rispetto ai fini per cui si chiede il passaggio: mentre l'art. 1 della legge del 1894 poneva l'onere a vantaggio delle linee esercitate «
per usi industriali », nella nuova legge si ammette, in genere, il passaggio per tutte le linee elettriche aeree o sotterranee (art. i19 T. U.). è da avvertire pure che non è necessario che l'elettricità trasportata sia destinata all'uso del produttore.
Linee di pubblica utilità
Un'importante distinzione delle linee in due diverse categorie va posta nel debito rilievo: linee le cui opere sono dichiarate di pubblica utilità (art.
842 e
926), linee autorizzate, ma non dichiarate di pubblica utilità. La distinzione è importante nei riguardi delle modalità e del criterio di determinazione dell'indennità: alle opere dichiarate di pubblica utilità si applica, in parte, la legge del 1865 sull'espropriazione per pubblica utilità.
Indennità
La servitù dell'elettrodotto è costituita solo verso l'obbligo di un' indennità. L' indennità deve essere corrisposta prima che siano intrapresi i lavori d'imposizione della servitù (art.
933 princ.). In questa disposizione si ha un'applicazione di principi, consacrati, in generale, per tutte le servitù coattive, nell'
art. 1032 del c.c..
I
criteri per la determinazione dell'indennità sono i seguenti: si deve tener conto della diminuzione di valore che per la servitù subiscono il suolo e il fabbricato in tutto o in parte (art.
933 princ.). Per fissare tale diminuzione di valore, è, naturalmente, da calcolare anzitutto il valore dell'immobile prima della servitù: orbene, a tal fine, bisogna tener conto dello stato in cui 1' immobile si trova all'atto dell'occupazione senza detrazione per qualsiasi carico che lo colpisca, e col soprappiù del quinto. In tal modo si ha riguardo ad un valore maggiore di quello effettivo. Ma vi è di più. Si stabilisce pure un limite minimo al disotto del quale non può scendere l'indennizzo: in ogni caso per l'area su cui si proiettano i conduttori deve corrispondersi un quarto del valore della parte strettamente necessaria al transito per il servizio delle condutture, per le aree occupate dai basamenti dei sostegni delle condutture aeree o da cabine o costruzioni di qualsiasi genere, aumentate, ove occorra, da un'adeguata zona di rispetto, deve essere corrisposto il valore totale (art.
933 comma 2 e 3).
Il
valore dell'immobile è anche in rapporto alla sua utilizzabilità: quindi un'area fabbricabile vale di più di una che non sia tale. In generale, non sono da tenere in conto, però, future ed incerte destinazioni.
Quanto alla
determinazione dell'altro termine, l'aggravio causato dalla servitù — è da prendere in considerazione una eventualità: l'impianto può essere sviluppato. Perciò, l'aggravio va considerato nelle condizioni di massimo sviluppo previsto per l'impianto (art.
933 princ.).
Per gli
oneri su beni demaniali si è visto che, invece dell'indennità, si deve un canone annuo. Per gli altri beni degli enti pubblici, questi possono chiedere il canone annuo anziché l'indennità. La legge non doveva porre alcun criterio per la determinazione del canone, in quanto essa, come quella dell'indennità, è in tutti questi casi sottratta ad una contrattazione con l'utente e fissata, unilateralmente, dalla stessa Amministrazione con decreto reale.
Grave questione è se i criteri per la determinazione dell'indennità fissati nell'
art. 933 del c.c. valgano anche per le
linee dichiarate di pubblica utilità, ovvero se per queste sono da applicare, così come le modalità, anche i criteri fissati per il calcolo dell'indennità dalla legge di espropriazione (pura diminuzione di valore del fondo, per Napoli i criteri della legge del 1885). A nostro avviso è preferibile la seconda soluzione.
Oltre l'indennità, sono dovuti i
danni prodotti durante la costruzione della linea, anche per le necessarie occupazioni temporanee. Inoltre devono essere risarciti i danni prodotti con il servizio della conduttura elettrica, esclusi quelli derivanti dal normale e regolare esercizio della conduttura stessa. Tali danni si devono risarcire, di regola, alla fine della servitù (art.
933, comma 5 e 6).
Quanto alle
concessioni temporanee, la legge le equipara alle definitive se hanno durata da nove anni in su. Se invece hanno durata minore di nove anni, viene fatto un trattamento particolare, che ricorda quello per la costituzione temporanea dell'acquedotto (
art. 1039 del c.c.): l'indennità è ridotta alla metà, se la servitù d'elettrodotto si trasforma in perpetua prima della scadenza del termine, basta pagare l'altra meta con gli interessi dal giorno in cui sorse la servitù (
art. 934 del c.c.).
Alla fine, un punto delicato con riguardo ad ogni servitù di elettrodotto è stato oggetto di discussione: fra i danni da risarcire sono compresi pur quelli derivanti dall'intersecazione del fondo? La risposta affermativa appare da preferire, conformemente a quanto ha luogo per l'acquedotto.
Mutamenti
Durante la vita della servitù, l'utente non può fare nulla che aggravi la servitù (art.
932 comma 3). Del pari il proprietario del fondo non può in alcun modo diminuire l'uso della servitù o renderlo più incomodo (art.
932 comma 3). Però — salvo diversa pattuizione — egli ha facoltà di eseguire sul suo fondo qualunque innovazione, costruzione o impianto, ancorché essi obblighino l'esercente dell'elettrodotto a rimuovere o collocare diversamente le condutture e gli appoggi (art.
932 comma 4). Combinando le due disposizioni, si ricava facilmente che è proibito per il proprietario del fondo rendere più incomodo l'esercizio della servitù; ma ciò gli è dato, se è conseguenza di innovazione, costruzione o impianto che egli voglia fare sul fondo. In altri termini, l'esistenza della servitù non limita la sua facoltà di godimento del fondo rispetto alla libertà di innovarlo, costruirvi o crearvi impianti. La servitù è sacrificata: essa viene mutata o spostata e, come diremo nel numero seguente, può persino essere, per tale causa, soppressa.
Si discute se le
spese delle variazioni sono a carico dell'utente o del proprietario del fondo, che, facendo sul fondo innovazioni, impianti e costruzioni, le rende necessarie. Esse sono a carico dell'utente: la potestà accordata al proprietario del fondo non viene limitata in alcun modo. Del resto espressamente, in questo punto, la legge dispone che il proprietario non è tenuto per ciò ad alcun indennizzo o rimborso a favore dell'esercente (art.
932, comma 4).
Se la norma esaminata si applica, comunque, anche alle linee di pubblica utilità si vedrà tra breve.
Estinzione
La servitù d'elettrodotto può estinguersi per varie cause. Se fu costituita a termine, cessa con lo scadere del termine, salvo che non si ottenga altra autorizzazione e si paghi al proprietario, nel caso della durata della prima servitù inferiore ai nove anni, l'altra metà dell'indennità (arg.
ex art.
917 e
934).
Se nessun è stato pattuito un termine (finale), la servitù deve ritenersi illimitata nel tempo, cioè perpetua. Naturalmente, la
perpetuità non esclude l'influenza di cause di estinzione sopravvenienti, dalle quali non è dato argomentare contro la perpetuità.
Inoltre la servitù si estingue per la
cessazione dell'uso per il quale fu imposta (art.
933 comma 4). In tal caso le aree occupate ritornano in piena disponibilità del proprietario, senza che questi sia tenuto a restituire alcuna parte dell'indennità. «
Cessazione dell'uso » si ha quando viene meno l'esercizio dell'impianto elettrico.
Altra causa di estinzione per il singolo fondo è il
mutamento del tracciato della linea: se questa viene per volontà dell'utente od anche del proprietario del fondo (come ora vedremo) — spostata su altri fondi, quello su cui non grava più l'onere viene liberato dalla servitù, che risulta estinta rispetto ad esso. Perché rinasca la servitù, sono necessari di nuovo l' autorizzazione, la pronuncia in merito dell'autorità (per i beni demaniali) o contratto (per i beni privati), e l' indennità.
Un'ultima causa di estinzione, singolare, è una conseguenza della facoltà riconosciuta al proprietario del fondo servente di eseguire sul suo fondo
qualunque innovazione, costruzione o impianto, e così obbligare l'esercente a rimuovere le condutture. Infatti, è vero che il proprietario deve offrire altro luogo adatto all'esercizio della servitù, ma solo in quanto ciò sia possibile (art.
932, commi 4 e 5). Quindi se ciò è impossibile, la rimozione è seguita dall' estinzione della servitù per quel fondo. Una questione grave è se tutto ciò possa ammettersi pure per le servitù di pubblica utilità. Prevalente, almeno in giurisprudenza, è la tesi positiva, ma sembra da preferire la negativa. Al diritto del proprietario del fondo servente di chiedere, a mezzo di innovazioni ecc. eseguite sul fondo, la rimozione e lo spostamento delle condutture elettriche, si può rinunciare, anche tacitamente. Nella legge stessa, infatti, si prevede l'eventualità di « diverse pattuizioni » (
art. 932 del c.c.).