Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 1043 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Scarico coattivo

Dispositivo dell'art. 1043 Codice Civile

Le disposizioni contenute negli articoli precedenti per il passaggio delle acque si applicano anche se il passaggio è domandato al fine di scaricare acque sovrabbondanti che il vicino non consente di ricevere nel suo fondo.

Lo scarico può essere anche domandato per acque impure, purché siano adottate le precauzioni atte a evitare qualsiasi pregiudizio o molestia.

Ratio Legis

E' una servitù diversa da quella di acquedotto: si tratta di eliminare acque sovrabbondanti che, dopo essere state utilizzate su un fondo contiguo, necessitano di essere condotte fuori dal fondo per essere scaricate in un luogo che esse possono raggiungere solo attraversando un fondo contiguo.

Spiegazione dell'art. 1043 Codice Civile

Presupposto dello scarico

Nell'acquedotto coattivo l'esigenza, cui si soddisfa, è quella di portare acqua nel fondo dominante. Nello scarico coattivo è l'opposta: liberare il fondo dominante dall'acqua sovrabbondante.

Per comprendere la ragion d'essere della norma che consacra lo scarico coattivo, bisogna tener presente la disposizione contenuta nell' art. 913 del c.c.: secondo questa norma « il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che dal fondo più elevato scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l'opera dell'uomo ». Il presupposto di applicabilità della norma sullo scarico coattivo è che i1 vicino non consente di ricevere nel suo fondo le acque sovrabbondanti. Le due norme si conciliano facilmente considerando che intanto il vicino può rifiutarsi di ricevere le acque in quanto queste non scolano naturalmente.

Ciò accade quando acque sotterranee si fanno sorgere artificialmente, ovvero a mezzo di un acquedotto si conducono nel proprio fondo acque che poi, una volta utilizzate, bisogna scaricare.


Fondo vicino

Il vicino deve, dunque, potersi rifiutare di ricevere le acque: non è necessario che egli si rifiuti di ricevere le acque a mezzo di un'indennità, basta che egli si rifiuti di riceverle gratuitamente.

Chi sia « il vicino » è dubbio. In particolare si pub discutere se, come per l' art. 913 del c.c., il fondo il cui proprietario si rifiuta debba essere inferiore all'altro per cui sorge la necessità dello scarico. La questione si è sollevata per l'art. 606 del vecchio codice, corrispondente all'attuale art. 1043 del c.c., con riguardo all'art. 536 corrispondente all'attuale art. 913 del c.c.. I più, a ragione, hanno pensato che la pendenza dei fondi non fosse necessaria per lo scarico coattivo, presupponendo, questo, il deflusso artificiale.


Acque impure
Nel secondo comma dell'art. 913, con disposizione non contenuta nel codice del 1865, si risolve la questione se lo scarico coattivo possa essere domandato per le acque impure. La soluzione data è positiva, però alla condizione che si pongano in essere le precauzioni atte ad evitare qualsiasi pregiudizio o molestia per il fondo servente.


Disciplina dello scarico coattivo

Lo scarico coattivo è regolato dalle stesse norme poste per l'acquedotto coattivo. In primo luogo, è dovuta un'indennità al proprietario del fondo che deve ricevere l'acqua. La servitù, anche qui, sorge solo per contratto, o, in mancanza, per sentenza. Pure lo scarico coattivo dev'essere, fra l'altro, stabilito in modo da riuscire il più conveniente e il meno pregiudizievole possibile per il fondo servente.

Oltre che il proprietario lo scarico può essere chiesto anche dall'enfiteuta, dall'usufruttuario e dal conduttore (art. 1033 del c.c.).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

494 L'art. 1043 del c.c. riproduce nel primo comma il disposto dell'art. 606 del codice del 1865 e risolve, nel secondo comma di nuova formulazione, la questione se lo scarico coattivo possa essere domandato per le acque impure. Si ammette lo scarico anche per tali acque; ma, com'è ovvio, a condizione che siano adottate le precauzioni atte a evitare qualsiasi pregiudizio o molestia. Si precisa, infine, nell'art. 1034 del c.c. (art. 599 del codice del 1865), con una nuova disposizione, che la facoltà del proprietario del fondo soggetto alla servitù di presa d'acqua d'impedire la costruzione dell'acquedotto, consentendo il passaggio nei propri acquedotti già esistenti, non può farsi valere nei confronti della pubblica amministrazione.

Massime relative all'art. 1043 Codice Civile

Cass. civ. n. 11840/2021

La servitù coattiva di scarico può essere domandata per liberare il proprio immobile sia da acque sovrabbondanti potabili o non potabili, provenienti da acquedotto o da sorgente esistente nel fondo o dallo scarico di acque piovane, sia dalle acque impure, risultanti dal funzionamento degli impianti agricoli od industriali o degli impianti e servizi igienico-sanitari degli edifici; l'art.1043 c.c., infatti, non autorizza alcuna distinzione tra acque impure ed acque luride o "nere", intese quest'ultime come acque di scarico delle latrine, dovendosi, piuttosto, intendere il riferimento alle acque impure, contenuto nel secondo comma, come volto unicamente a stabilire che, in questo caso, la servitù coattiva è subordinata all'adozione di opportune precauzioni per evitare inconvenienti al fondo servente. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 27/06/2019).

Cass. civ. n. 22990/2013

La servitù coattiva di scarico può essere domandata per liberare il proprio immobile sia da acque sovrabbondanti potabili o non potabili, provenienti da acquedotto o da sorgente esistente nel fondo o dallo scarico di acque piovane, sia dalle acque impure, risultanti dal funzionamento degli impianti agricoli od industriali o degli impianti e servizi igienico-sanitari degli edifici. L'art.1043 cod. civ., infatti, non autorizza alcuna distinzione tra acque impure ed acque luride o "nere", intese quest'ultime come acque di scarico delle latrine, dovendosi, piuttosto, intendere il riferimento alle acque impure, contenuto nel secondo comma, come volto unicamente a stabilire che, in questo caso, la servitù coattiva è subordinata all'adozione di opportune precauzioni per evitare inconvenienti al fondo servente.

Cass. civ. n. 4620/2007

L'articolo 1043 del codice civile non consente una distinzione fra acque chiare e luride ai fini della costituibilità in via coattiva della servitù di smaltimento delle acque reflue. Ai fini della costituzione di tale servitù non è infatti il grado o il tipo di impurità delle acque ad assumere rilevanza ma, invece, la possibilità di adottare o meno le precauzioni necessarie per impedire pregiudizi o molestie al fondo servente. (Rigetta, App. Torino, 13 Giugno 2002).

Cass. civ. n. 3750/2007

La servitù coattiva di scarico può essere domandata per liberare il proprio immobile sia da acque sovrabbondanti potabili o non potabili, provenienti da acquedotto o da sorgente esistente nel fondo o dallo scarico di acque piovane, sia dalle acque impure, risultanti dal funzionamento degli impianti agricoli od industriali o degli impianti e servizi igienico - sanitari degli edifici. L'art.1043 cod. civ., infatti, non autorizza alcuna distinzione tra acque impure ed acque luride, intese quest'ultime come acque di scarico delle latrine, poiché anche queste sono impure, né fornisce alcun criterio di distinzione tra le une e le altre, trattandosi pur sempre di acque, mentre il riferimento alle acque impure contenuto nel secondo comma è fatto unicamente per stabilire che, in questo caso, la servitù coattiva è subordinata all'adozione di particolari precauzioni. (Cassa con rinvio, App. Sassari, 15 Ottobre 2002).

Cass. civ. n. 9891/1996

La servitù di fognatura — che va equiparata al generico scarico coattivo di cui all'art. 1043 c.c. — attribuisce al proprietario del fondo dominante il diritto di provvedere all'installazione delle opere idonee allo scarico e di accedere al fondo servente per la periodica manutenzione di dette opere, salvo che il titolo preveda più ampi poteri. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che ha escluso dalla servitù in questione la facoltà di ottenere in consegna permanente una copia delle chiavi del cancello di accesso al fondo servente, stante il carattere saltuario e non quotidiano dell'accesso al fondo servente rientrante fra gli adminicula della predetta servitù).

Cass. civ. n. 2948/1994

I presupposti della costituzione di una servitù di scarico coattivo ex art. 1043 c.c. non differiscono, compatibilmente con il diverso contenuto della servitù, da quelli contemplati dall'art. 1037 c.c. per la costituzione della servitù di acquedotto coattivo, applicabili in virtù del richiamo operato dalla prima di dette norme alle disposizioni degli articoli precedenti per il passaggio delle acque, occorrendo, pertanto, come per l'acquedotto coattivo, che il passaggio richiesto — sempre che il proprietario del fondo non abbia altre alternative per liberarsi dalle acque di scarico, anche con la creazione di una servitù volontaria — sia il più conveniente ed il meno pregiudizievole per il fondo servente, avuto riguardo alle condizioni dei tondi vicini, al pendio ed alle altre condizioni per la condotta, per il corso e lo sbocco delle acque (art. 1037 c.c.) e riferendosi il criterio del minor pregiudizio esclusivamente al fondo servente e quello della maggior convenienza anche al fondo dominante, il quale non deve essere assoggettato ad eccessivo disagio o dispendio.

Cass. civ. n. 4015/1978

Non è configurabile, per illiceità dell'oggetto, un diritto di servitù di scarico di acque impure, con deflusso in solchi aperti che provochino ristagni maleodoranti ed infetti nel fondo del vicino, in violazione delle norme imperative dettate a salvaguardia dell'igiene e della sanità pubblica. Ne consegue che l'esercizio di fatto di quello scarico non può costituire possesso utile all'acquisto per usucapione di un corrispondente diritto di servitù.

Cass. civ. n. 1398/1976

La servitù coattiva di scarico, di cui all'art. 1043 c.c., può essere domandata per liberare il proprio immobile sia dalle acque sovrabbondanti potabili o non potabili, provenienti da acquedotto o da sorgente esistente nel fondo o dallo scarico di acque piovane, sia dalle acque impure, risultanti dal funzionamento degli impianti agricoli o industriali o degli impianti e servizi igienico-sanitari di edifici; il testo legislativo, infatti, non impone una distinzione tra acque impure e acque luride, intese queste ultime come le acque di scarico delle latrine, poiché anche queste sono impure, né è dato alcun criterio di distinzione tra le une e le altre, trattandosi pur sempre di acque; il riferimento alle acque impure contenuto nel secondo comma dell'art. 1043 c.c. è fatto perciò unicamente per stabilire che, in questo caso, la servitù coattiva va subordinata all'adozione di idonee cautele per impedire pregiudizi e molestie al fondo servente; e ne consegue che, ai fini della costituzione della servitù, non è il grado o il tipo di impurità delle acque ad assumere rilevanza, sebbene, piuttosto, la possibilità o meno di adottare le precauzioni anzidette, e pertanto non è giustificata, nemmeno sotto questo profilo, un'interpretazione restrittiva della norma in questione, dal momento che il livello della moderna tecnologia consente sicuramente di realizzare ogni opportuna cautela, nel senso voluto dalla legge, anche per gli scarichi di acque luride.

Cass. civ. n. 860/1976

La possibilità di domandare lo scarico coattivo per acque impure, prevista dall'art. 1043 secondo comma c.c., a condizione che vengano adottate le precauzioni idonee ad evitare qualsiasi pregiudizio o molestia, prescinde dal grado di impurità delle acque, e riguarda anche quelle luride per la presenza di rifiuti (ad esempio, provenienti da scarichi di latrine), purché questi ultimi non siano di entità tale da far escludere che si tratti di scarico di acqua.

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!

Consulenze legali
relative all'articolo 1043 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

N. chiede
giovedì 17/02/2022 - Sicilia
“Salve
Il lotto di terreno del mio villino è limitrofo, con pari quota, ad un lotto viciniore diviso da un muro di cemento che forma la base di una recinzione divisoria realizzata al 50% delle spese con il precedente proprietario, oggi defunto.
Nella parte inferiore del terreno limitrofo è stata realizzata una incisione/ canaletta che convoglia gran parte delle sue acque piovane nella canaletta parallela
in cemento realizzata nel mio terreno attraverso un foro realizzato, a mia insaputa, nel muretto di cemento divisorio.
A causa di questo scolo la mia canaletta si intasa frequentemente di terriccio e di foglie, provoca lo sversamento delle acque piovane nel mio terreno che diviene un acquitrino e causa la morte dei miei alberi da frutta.
Inoltre, sempre a mia insaputa, è stato realizzato un altro foro da cui fuoriesce un tubo in plastica in corrispondenza di un corpo di fabbrica (presumibilmente un servizio igienico) costruito quasi addossato al citato muretto di cemento divisorio.
Mi sono accorto di recente di questa situazione quando ho fatto pulire da un operaio agricolo la recinzione che nel tempo era stata ricoperta da rampicanti rigogliosi piantati dagli eredi del proprietario e che avevano invaso anche il mio terreno impedendomi di fatto di accorgermi dell'accaduto.
Non ho idea del periodo di realizzazione dei fori.
Non ho reperito i contatti degli attuali proprietari che, abitando in città, pare che frequentino di rado il loro villino (notizia ricevuta da un operaio che vi stava effettuando dei lavori agricoli.)
Il medesimo operaio invitato a non continuare nel suddetto convogliamento delle acque, ha risposto che aveva operato da tempo in quel modo e che poteva operare diversamente solamente su ordine del proprietario invitandomi a contattarlo.
Premetto che vorrei mantenere rapporti non conflittuali con il vicino
ma, considerati infruttuosi i tentativi di un contatto operati attraverso alcuni suoi parenti, chiedo di conoscere l'iter da seguire per ottenere il pristino dei luoghi originari.
Nella convinzione che l' esecuzione di queste opere abbiano alterato in modo sensibile lo scolo naturale delle acque del vicino, il sottoscritto, proprietario del fondo confinante ma non inferiore, come può esercitare il diritto ad agire per il ripristino dello stato naturale dei luoghi?
In caso di eventuale lungaggine giudiziaria chiedo di sapere se posso fare turare i fori da parte di un edile per non aggravare ulteriormente le condizioni del mio frutteto.”
Consulenza legale i 03/03/2022
Occorre premettere il vicino, per legittimare la propria condotta, non potrebbe invocare l’art. 913 c.c., nella parte in cui prevede che “il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che dal fondo più elevato scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l'opera dell'uomo”: dunque, tale norma presuppone non solo che i fondi confinanti siano posti a livelli diversi, ma, soprattutto, che il deflusso delle acque sia naturale, condizioni entrambe non verificate nel caso in esame.
Per scrupolo, si osserva che, in base al terzo comma dell’articolo in commento, se per opere di sistemazione agraria dell'uno o dell'altro fondo si rende necessaria una modificazione del deflusso naturale delle acque, è dovuta un'indennità al proprietario del fondo a cui la modificazione stessa ha recato pregiudizio: naturalmente la necessità della modifica del deflusso naturale delle acque dovrebbe essere dimostrata dal proprietario del fondo confinante.
Secondo la giurisprudenza (Cass. civ., Sez. II, 26/04/2000, n. 5333), comunque, “la norma di cui all'ultimo comma dell'art. 913 c.c. ammette solo eccezionalmente, in relazione ad opere di sistemazione o trasformazione agraria, la possibilità di modificare il deflusso delle acque previa corresponsione di una mera indennità al proprietario del fondo finitimo (derogando all'ipotesi generale che obbliga l'autore delle modifiche alla riduzione in pristino o alla esecuzione di opere eliminative), ma non presuppone che, ogni qualvolta dette opere debbano essere compiute, la modificazione dello scolo possa venir realizzata senza alcun limite, poiché l'interesse del fondo superiore a potenziare la propria produttività va conciliato con il contrapposto interesse del fondo inferiore a non veder ridotta la propria con la conseguenza che, ove la modifica dello scolo abbia provocato un assoggettamento ben più gravoso del fondo inferiore, rispetto a quello preesistente (dovuto all'originario dislivello tra i fondi e al naturale deflusso delle acque), le modifiche (quantunque necessarie per lavori di sistemazione o trasformazione agraria) assumono indubitabili connotati di illiceità (ponendosi contro il generale divieto dell'art. 913 c.c. di rendere più gravoso lo scolo) e non consentono all'autore la semplice corresponsione dell'indennizzo, obbligandolo, per converso a restituire l'acqua al suo naturale deflusso mediante l'esecuzione di opere che neutralizzino l'aggravamento ripristinando nella originaria quantità ed intensità lo scolo naturale”.
Nel nostro caso, peraltro, è quanto meno dubbio che il vicino possa richiamare anche il terzo comma della norma, in assenza di un dislivello e, dunque, di un preesistente scolo naturale delle acque piovane.
Ad avviso di chi scrive, la fattispecie descritta nel quesito deve essere analizzata alla luce di quanto previsto dall’art. 1043 c.c., in materia di scarico coattivo di acque.
Infatti, per costante giurisprudenza, “la servitù coattiva di scarico può essere domandata per liberare il proprio immobile sia da acque sovrabbondanti potabili o non potabili, provenienti da acquedotto o da sorgente esistente nel fondo o dallo scarico di acque piovane, sia dalle acque impure, risultanti dal funzionamento degli impianti agricoli od industriali o degli impianti e servizi igienico-sanitari degli edifici” (Cass. Civ., Sez. VI - 2, ordinanza 06/05/2021, n. 11840; conf. Cass. Civ., Sez. II, sentenza 09/10/2013, n. 22990; Cass. Civ., Sez. II, 19/02/2007, n. 3750).
Occorrerà dunque verificare se sussistano i presupposti per la costituzione della servitù coattiva di scarico; come precisato da Cass. Civ., Sez. II, 14/05/2003, n. 7410, “i presupposti per la costituzione di una servitù di scarico coattivo ex art. 1043 c.c. non differiscono, compatibilmente con il diverso contenuto della servitù, da quelli contemplati dall'art. 1037 c.c. per la costituzione della servitù di acquedotto coattivo, applicabili in virtù del richiamo operato dalla prima di dette norme alle disposizioni degli articoli precedenti per il passaggio delle acque, occorrendo, pertanto, come per l'acquedotto coattivo che il passaggio richiesto - sempre che il proprietario del fondo non abbia altre alternative per liberarsi dalle acque di scarico, anche con la creazione di una servitù volontaria - sia il più conveniente ed il meno pregiudizievole per il fondo servente, avuto riguardo alle condizioni dei fondi vicini, al pendio e alle altre condizioni per la condotta, per il corso e lo sbocco delle acque e riferendosi il criterio del minor pregiudizio esclusivamente al fondo servente e quello della maggior convenienza anche al fondo dominante il quale non deve essere assoggettato ed eccessivo disagio o dispendio”.
Nel quesito non viene chiarito da quanto tempo siano state realizzate la canaletta e le altre opere descritte, chiarimento necessario al fine di poter valutare l’eventuale acquisto per usucapione della servitù.
In ogni caso, per ottenere il ripristino della situazione naturale dei luoghi, o, anche in via subordinata, di una situazione meno pregiudizievole per il fondo inferiore, qualora falliscano i tentativi di risoluzione bonaria della controversia, sarà inevitabile il ricorso al giudice, ad esempio con l’actio negatoria servitutis di cui all’art. 949 c.c., della quale naturalmente andranno vagliati attentamente i presupposti.
Rimane da valutare la possibilità di utilizzare un procedimento sommario come l’azione di manutenzione (art. 1170 c.c.), che però deve essere esercitata, a pena di decadenza, entro un anno dalla turbativa.
Si sconsiglia, invece, di ricorrere a soluzioni “fai da te”, come la prospettata chiusura dei fori, per evitare che proprio il vicino possa a sua volta proporre l’azione di reintegrazione o di spoglio prevista dall’art. 1168 c.c., in quanto il nostro ordinamento non vede di buon occhio i tentativi di farsi giustizia da sé (il codice penale prevede, all'art. 392, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni).
Si ricorda, infine, che i diritti reali rientrano tra le materie per cui è prevista la c.d. mediazione obbligatoria (art. 5 D. Lgs. n. 28/2010), che potrebbe rivelarsi utile per prevenire il successivo contenzioso.

Anonimo chiede
martedì 18/04/2017 - Lazio
“buongiorno spett.le redazione giuridica Brocardi.it,
per formulare il mio quesito legale ho bisogno di fare un breve riassunto dei fatti dall'anno 2011.
Nell' anno 2011, la mia ex moglie in qualità di titolare di ditta individuale per il commercio di autoveicoli, era la proprietaria di numero 6 particelle di terreno raggruppate e site nel comune di (omissis). Di queste 6 particelle 2 sono confinanti con un'altra particella più grande dove dagli anni ottanta circa sorge una stazione di servizio carburanti.
Questa particella ha una proprietà fondiaria di un privato del posto e ha una proprietà superficiaria(quindi la stazione di servizio e le opere di urbanizzazione che furono fatte negli anni ottanta circa) di proprietà della società fornitrice di carburanti. Quindi nell' anno 2011 in seguito a dei lavori che la mia ex moglie stava facendo progettare come la recinzione e l'urbanizzazione di questi terreni, si rese conto che l'unico tratto fognario a cui ci si poteva collegare in quanto presente sul posto, era un tratto privato di proprietà della stazione di servizio. Preciso anche che per un piccolo tratto la fognatura di cui sopra taglia una particella all'epoca di proprietà della mia ex moglie e da quanto ne so ne da lei ne dai proprietari precedenti dei terreni non si sia mai percepito nessun beneficio ne economico ne di eventuali allacci. Quindi la mia ex moglie sempre nell'anno 2011 ha fatto richiesta alla società all'epoca proprietaria della stazione di servizio di un contratto di servitù permanente di allaccio a tale fognatura privata che poi si va ad immettere nel collettore comunale. LA SOCIETÀ DI ALLORA HA CONCESSO TALE SERVITÙ TRAMITE CONTRATTO SCRITTO CHE AUTORIZZA L'ALLACCIO A DETTA FOGNATURA IN MANIERA PERMANENTE ANCHE QUALORA I TERRENI DELLA MIA EX MOGLIE VENGANO VENDUTI O VENGA INTRAPRESA ALTRO TIPO DI ATTIVITÀ MA LIMITANDO SOLO LO SCARICO AI SERVIZI IGIENICI PAGANDO LA SOMMA DI EURO 2500 PIU' IVA AI SENSI DELL'ART 1038 C.C.
Poiché in base ad una separazione legale i terreni allora della mia ex moglie sono divenuti di mia esclusiva proprietà, e poiché alla data odierna la società proprietaria del distributore è cambiata, avrei un' eventuale intenzione di aprire su questi terreni non ancora edificati un attività che per funzionare oltre ai sevizi igienici ha bisogno di scaricare in fogna anche reflui industriali. Ho fatto richiesta via mail alla nuova società per integrare il contratto anche per scaricare reflui industriali ma non ho ricevuto risposta.
Il mio questo è legato all'art 1045 C.C. chiedendo per non incorrere in qualche problema legale se ho diritto a effettuare scarichi diversi da quello dei servizi igienici come da contratto di servitù e qualora sia possibile chiedo come vada gestita a livello legale la procedura verso la nuova gestione del distributore.”
Consulenza legale i 26/04/2017
Anzitutto si sottolinea che non tutti i reflui industriali possono confluire negli scarichi fognari.
L'art. 23 del regolamento per l’immissione delle acque reflue nelle reti fognarie del Consorzio prevede dei requisiti specifici per l'accettabilità degli effluenti industriali:
- gli scarichi non devono costituire pericolo per la sicurezza e la salute del personale addetto all'esercizio ed alla manutenzione della fognatura e dell'impianto di depurazione (incendi, scoppi, esalazioni tossiche, ecc.);
- non devono compromettere la buona conservazione dei manufatti e delle opere (rovina degli intonaci, aggressività per i materiali lapidei, corrosione di parti metalliche ecc.);
- non devono compromettere il buon funzionamento della rete e dell'impianto (depositi, intasamenti, fenomeni di settizzazione, interferenze nei processi depurativi, ecc.);
- infine non devono comportare una gestione onerosa dell'impianto terminale (eccessivo consumo di reattivi, di aria, di energia elettrica, quei materiali che possano causare ostruzioni o comunque danni al funzionamento idraulico della fogna o ai manufatti e all'impianto di depurazione finale).
Ammesso che vi siano tutte le condizioni, imposte dai regolamenti locali in materia, per far defluire nella fognatura gli scarichi industriali, il contratto con il quale la società E. aveva concesso il diritto di allacciare la tubazione di scarico alla propria tubazione fognaria, prevedeva espressamente alla premessa n. 4 il diritto di allaccio "purché detti reflui derivino dai soli servizi igienici provenienti dall'attività esercitata".
Posto dunque che il contratto espressamente limitava la possibilità di far defluire gli scarichi ai soli reflui dei servizi igienici, deve escludersi che dal titolo ne possa discendere anche un diritto di scarico di reflui industriali, ed all’uopo occorrerà munirsi di un nuovo titolo: una costituzione volontaria o coattiva di servitù di scarico di acque industriali.
La servitù è un peso imposto ad un fondo (servente) per l’utilità di un altro fondo (dominante).
Caratteristica peculiare dell’istituto è l’inerenza- la predialità, trattandosi di un rapporto che lega i due beni e non i soggetti che ne sono proprietari. Ragion per cui la sua ex moglie nel trasferirle il bene le ha trasferito altresì il diritto di servitù per lo scarico dei reflui derivanti da servizi igienici.

Si parla di servitù volontaria - anche - nei casi in cui i proprietari dei fondi vicini trovano un accordo per l'esercizio del diritto stesso.
Tuttavia la mancata risposta del nuovo proprietario dell'impianto di rifornimento alla sua esplicita richiesta di scarico, lascia intendere una mancanza di volontà in tal senso.
La servitù coattiva invece è quella che può essere costituita a prescindere dal consenso del proprietario del fondo servente, tramite un provvedimento del Tribunale.
L'art. 1043 c.c disciplina lo scolo artificiale delle acque, che il vicino rifiuta di ricevere.
La norma attribuisce al proprietario del fondo dominante il diritto di provvedere alla installazione delle opere idonee allo scarico coattivamente .
I presupposti per la costituzione di una servitù di scarico coattivo sono i medesimi contemplati dall'art. 1037 c.c. (sul punto si veda tra le altre Cass. Civ. sez. II, n. 7410/2003) per la costituzione della servitù di acquedotto coattivo, applicabili in virtù del richiamo espresso dall'art. 1043 c.c., ovverosia :
  1. la non configurabilità di vie alternative per il passaggio degli scarichi; nel senso che il proprietario del fondo dominante non deve avere altre possibilità più comode di allaccio (ad esempio attraverso il passaggio nel proprio o in altri fondi attigui);
  2. l’adozione di precauzioni e cautele tali da causare il minor pregiudizio e/o molestie possibili al fondo servente.
Nel suo caso sussistono entrambe le due condizioni di applicabilità della norma, sicuramente lo scarico nella tubazione esistente è la via più comoda per far defluire gli scarichi della sua attività, ma è anche la soluzione che reca il minor disagio possibile ai proprietari del fondo servente, in quanto non dovranno tollerare altri lavori od interventi.
Al proprietario del fondo servente spetta comunque la corresponsione di un’indennità ex art. 1038 c.c., pari al "valore, secondo la stima, dei terreni da occupare".

Atteso, dunque, che sussistono le condizioni per ottenere una sentenza costitutiva della servitù di scarico industriale, sarebbe opportuno inviare una lettera raccomandata a/r in cui si chiede formalmente di poter fruire della tubazione esistente per far defluire anche gli scarichi industriali della nuova attività, assegnando alla parte un termine per rispondere e facendo presente che in assenza di riscontro sarà costretto a rivolgersi all’autorità giudiziaria.
Ed effettivamente, se non sarà possibile definire in via bonaria la questione, non le resterà che rivolgersi al Tribunale competente.