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Articolo 2056 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Valutazione dei danni

Dispositivo dell'art. 2056 Codice Civile

Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223(1), 1226(2) e 1227(3)(4).

Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso [1226].

Note

(1) Tale norma specifica che il danno patrimoniale consta del c.d. danno emergente (cioè le perdite economiche che il soggetto subisce) e del c.d. lucro cessante (che indica il mancato guadagno) che siano conseguenza immediata e diretta dell'illecito.
(2) L'articolo richiamato ammette una valutazione equitativa del pregiudizio ogni volta che non sia possibile stabilirne la misura precisa.
(3) Tale norma disciplina al primo comma il concorso di colpa del danneggiato, stabilendo che quando questo incide sulla causazione dell'evento il risarcimento deve essere diminuito; al secondo comma, invece, tratta l'ipotesi in cui la condotta aggravi i danni e sancisce che non sono risarcibili quelli evitabili con la diligenza ordinaria.
(4) Si noti che la norma non richiama l'art. 1225 del c.c., che stabilisce che, salvo il caso di dolo, sono risarcibili solo i danni prevedibili. Pertanto, l'illecito aquiliano ammette la risarcibilità tanto del pregiudizio prevedibile che di quello non prevedibile.

Ratio Legis

La volontà legislativa è quella di applicare all'illecito aquiliano, in tema di valutazione del danno, la medesima disciplina dettata per l'illecito contrattuale ma in modo più blando, stante il mancato richiamo dell'art. 1225 c.c., e ciò in quanto mentre l'illecito extracontrattuale esige l'assenza di un precedente contatto tra le parti, quello contrattuale lo presuppone, cosicché sono rilevanti anche i danni colposi non prevedibili.

Brocardi

Restitutio in pristinum

Spiegazione dell'art. 2056 Codice Civile

Richiamo alle norme generali. Danno emergente e lucro cessante

Col primo comma di quest'articolo il legislatore colma una la­cuna del precedente sistema, per quanto nella pratica, per la misura del risarcimento del danno, sotto l'imperio del codice del 1865, si facesse ricorso alla norma dell'art. 1227 che consacrava il principio romano del « quantum mihi abest quantumque lucrari potui ». Negli articoli 1223, 1226, e 1227, cui il presente si richiama, si afferma che il risarcimento del danno deve compren­dere cosi la perdita subita come il mancato guadagno, e si aggiunge, in quanto siano conseguenza « immediata e diretta », evitandosi le discussioni se anche l'art. 1229 del cessato codice fosse applicabile nei casi di responsabilità per colpa aquiliana, secondo si è già sopra accennato. La soluzione ora adottata è la più favorevole al danneggiante.

Danno emergente è la spesa occorsa per le cure alle persone (medici, medicine, più dispendioso nutrimento etc.), per la riparazione alla cosa, o, per la reintegra del suo valore, se perduta. Lucro cessante è la mancata o diminuita produttività delle persone o delle cose, in conseguenza delle le­sioni, o del guasto etc.

Se il danno non può essere precisato nel suo ammontare, è valutato dal giudice con criteri equitativi (art. 1226 del c.c.), principio anche questo entrato nella prassi, sotto l'imperio del codice del '65. Se ricorre concorso di colpe (debi­tore e creditore, il che vale qui danneggiante e danneggiato) il «risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate », mentre « il risarcimento non è dovuto pei danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza» (art. 1227 del c.c.). Due massime, queste, riguardanti il concorso di colpe, che si traduce, come si è visto nel commento all'art. precedente, in una parziale compensazione di danni, ed in totale esonero dei maggiori danni dipendenti da colpa del danneggiato. Regole tutte rispondenti a criteri di ragione, fissate per le obbligazioni in generale, e richiamate espressamente per quelle derivanti da fatto illecito. Nel capoverso dell'articolo in esame si aggiunge che la valutazione del lucro cessante deve farsi dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.


I due stadi del giudizio: accertamento del danno e liquidazione

Nella pratica il giudizio si suole dividere in due stadi, di accerta­mento e di liquidazione. L'accertamento, per quanto rivolto a stabilire l’esistenza del fatto, non può fare astrazione dall’esistenza pure di un danno oggettivo, che, se non contraddetto, si presuppone, essendo, nella maggior parte dei casi, ogni fatto violatore di una norma, o di una condotta ad essa conforme, produttivo anche di un pregiudizio. La determinazione del quantum richiede, più delle volte, complessità di prova, e viene demandato ad un secondo giudizio, onde le divisione in due stadi è necessità processuale. Parte della dottrina (Chironi) opinò che non bisogna confondere la causa (fatto illecito) con l'oggetto (risarcimento), onde ner primo stadio occorre tener presente solo l’esistenza di un illecito. Per altro, se si consideri, ed il nuovo sistema lo ha anche meglio determinato, che fatto « illecito » è quello che produce danno, giusta quanto si trova enunciato nell'art. 2043; se si considera altresì che la dottrina rilevò che, eccependosi nel primo stadio dì giudizio la mancanza del danno, viene meno la possibilità e la ra­gione di proseguirlo, appare chiaro che della presenza di esso estremo non si possa assolutamente fare astrazione.

Sulle somme dovute al danneggiato a titolo di risarcimento sono dovuti anche gl'interessi. Interessi compensativi, secondo la locuzione entrata in uso, o integrativi, rivolti, cioè, ad integrare l'indennizzo, il ripristino, del patrimonio del danneggiato, quale al momento dell'evento dannoso. Essi pertanto si calcolano dal momento in cui il danno venne prodotto, non dalla data della domanda giudiziale, e tanto meno dal giorno dell'avvenuta li­quidazione, tranne che nell'atto della liquidazione si sia già tenuto conto degli interessi del capitale sottratto al patrimonio del danneggiato sin dal momento della sottrazione. Si, osservato, in tema di danni alla persona, che gli interessi compensativi, pure derivando dalla data dell'evento dannoso, per le singole partite derivano dalla maturazione dei singoli titoli di danno: così, tra l'altro, per le spese di cura che una malattia abbia necessitato, gli interessi devono decorrere dai singoli esborsi. Calcolo, questo, indubbia­mente complesso e difficile, per il quale può soccorrere l' art. 1226 del c.c. che detta che se il danno non può provarsi nel suo preciso ammontare è liquidato dal giudice con criterio equitativo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

801 L'art. 2056 del c.c. regola la valutazione dei danni con gli stessi criteri stabiliti nel caso di inadempimento di un'obbligazione preesistente. Il mancato richiamo dell'art. 1225 del c.c. crea però una differenza ed è questa: se l'inadempimento è colposo, non debbono essere risarciti i danni non prevedibili; invece, se il fatto illecito extracontrattuale è doloso o colposo, il danno, prevedibile o no, deve essere risarcito per intero, sempre che tra fatto o danno corra il nesso di causalità. Non si è accolto cosi il principio di commisurare il risarcimento al grado della colpa. Non si è ritenuto necessario dichiarare che sulle somme dovute a titolo di risarcimento decorrono gli interessi dalla data del fatto illecito, anche prima della loro liquidazione, perché tale decorrenza è legittimata dal principio che gli interessi concorrono a completare il risarcimento dovuto. Si è lasciata alla dottrina e alla giurisprudenza la determinazione del momento a cui devesi aver riguardo per la stima del danno; tale determinazione si deduce dal principio acquisito che si deve risarcire il danno certo, presente o futuro, e che le sopravvenienze sono rilevanti solo se integrano una causa di danno non considerata neppure genericamente nel primo accertamento, salve le disposizioni particolari, come in materia di infortuni sul lavoro.

Massime relative all'art. 2056 Codice Civile

Cass. civ. n. 9744/2023

La liquidazione in via equitativa del danno postula, in primo luogo, il concreto accertamento dell'ontologica esistenza di un pregiudizio risarcibile, il cui onere probatorio ricade sul danneggiato e non può essere assolto dimostrando semplicemente che l'illecito ha soppresso una cosa determinata, se non si provi, altresì, che essa fosse suscettibile di sfruttamento economico, e, in secondo luogo, il preventivo accertamento che l'impossibilità o l'estrema difficoltà di una stima esatta del danno stesso dipenda da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l'entità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la liquidazione in via equitativa del danno patito dal conduttore di un locale cantinato, ove erano allocati articoli da regalo deteriorati in conseguenza di un allagamento ascrivibile al condominio, in assenza di prova di tale pregiudizio).

Cass. civ. n. 9003/2023

La "compensatio lucri cum damno" opera nel solo caso in cui il vantaggio da compensare con il danno dipenda dal medesimo atto che ha provocato quest'ultimo e sia ad esso collegato da un identico nesso causale.

Cass. civ. n. 6444/2023

In tema di danno non patrimoniale discendente da lesione della salute, se è vero che all'accertamento di un danno biologico non può conseguire in via automatica il riconoscimento del danno morale (trattandosi di distinte voci di pregiudizio della cui effettiva compresenza nel caso concreto il danneggiato è tenuto a fornire rigorosa prova), la lesione dell'integrità psico-fisica può rilevare, sul piano presuntivo, ai fini della dimostrazione di un coesistente danno morale, alla stregua di un ragionamento inferenziale cui deve, peraltro, riconoscersi efficacia tanto più limitata quanto più basso sia il grado percentuale di invalidità permanente, dovendo ritenersi normalmente assorbito nel danno biologico di lieve entità (salvo prova contraria) tutte le conseguenze riscontrabili sul piano psicologico, ivi comprese quelle misurabili sotto il profilo del danno morale.

Cass. civ. n. 1752/2023

In tema di risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale, non sussiste alcun limite normativo che determini l'irrisarcibilità del pregiudizio nelle ipotesi in cui gli effetti lesivi della salute del prossimo congiunto non siano particolarmente gravi; perciò, secondo i principi generali, il predetto danno è risarcibile se il parente prova, anche in via presuntiva, di aver subito lesioni in conseguenza della condizione del congiunto.

Cass. civ. n. 26440/2022

In tema di danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, se la liquidazione avviene in base ad un criterio "a forbice", che prevede un importo variabile tra un minimo ed un massimo, è consentito al giudice di merito liquidare un risarcimento inferiore al minimo solo in presenza di circostanze eccezionali e peculiari al caso di specie, tra le quali non si annoverano né l'età della vittima, né quella del superstite, né l'assenza di convivenza tra l'una e l'altro, trattandosi di circostanze che possono solo giustificare la quantificazione del risarcimento entro la fascia di oscillazione della tabella.

Cass. civ. n. 31358/2021

La liquidazione in via equitativa del danno morale soggettivo - quale autonoma voce di pregiudizio non patrimoniale - è suscettibile di rilievi in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, solo se difetti totalmente di giustificazione o si discosti sensibilmente dai dati di comune esperienza, o sia fondata su criteri incongrui rispetto al caso concreto o radicalmente contraddittori, ovvero se l'esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto.

Cass. civ. n. 18284/2021

In tema di danno non patrimoniale risarcibile derivante da morte causata da un illecito, il pregiudizio risarcibile conseguente alla perdita del rapporto parentale che spetta "iure proprio" ai prossimi congiunti riguarda la lesione della relazione che legava i parenti al defunto e, ove sia provata l'effettività e la consistenza di tale relazione, la mancanza del rapporto di convivenza non è rilevante, non costituendo il connotato minimo ed indispensabile per il riconoscimento del danno.

Cass. civ. n. 10579/2021

In tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda, oltre all'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella.

Cass. civ. n. 7126/2021

Ai fini della liquidazione del danno biologico, che consegue alla lesione dell'integrità psico-fisica della persona, devono formare oggetto di autonoma valutazione il pregiudizio da invalidità permanente (con decorrenza dal momento della cessazione della malattia e della relativa stabilizzazione dei postumi) e quello da invalidità temporanea (da riconoscersi come danno da inabilità temporanea totale o parziale ove il danneggiato si sia sottoposto a periodi di cure necessarie per conservare o ridurre il grado di invalidità residuato al fatto lesivo o impedirne l'aumento, inteso come privazione della capacità psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilità sofferto), mentre, ai fini della liquidazione complessiva del danno non patrimoniale, deve tenersi conto altresì delle sofferenze morali soggettive, eventualmente patite dal soggetto in ciascuno degli indicati periodi.

Cass. civ. n. 24689/2020

Il danno non patrimoniale da lesione o perdita del rapporto parentale non è rigorosamente circoscritto ai familiari conviventi, poiché il rapporto di convivenza, pur costituendo elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità, non assurge a connotato minimo di esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà, escludendoli automaticamente in caso di sua mancanza. In particolare, nessun rilievo può essere attribuito, al fine di negare il riconoscimento di tale danno, all'unilateralità del rapporto di fratellanza ed all'assenza di vincolo di sangue, non incidendo essi negativamente sull'intimità della relazione, sul reciproco legame affettivo e sulla pratica della solidarietà.

Cass. civ. n. 9194/2020

Nell'obbligazione di risarcimento del danno determinato da un fatto illecito (nella specie, da responsabilità riconducibile alla circolazione di veicoli) gli interessi compensativi vanno determinati con riferimento al periodo che decorre dalla data del sinistro a quella della pubblicazione della sentenza che ha provveduto ad accertare l'"an" e a liquidare il "quantum debeatur", con la conseguenza che, ove la sentenza d'appello riformi quella di primo grado rideterminando l'importo dovuto, la quantificazione va ricondotta, relativamente al termine finale, al momento della pubblicazione della decisione che definisce il gravame. (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO ROMA, 11/12/2017).

Cass. civ. n. 8137/2020

In tema di responsabilità aquiliana, anche quando il fatto illecito è fonte di arricchimento per il danneggiante, il risarcimento del danno va commisurato al pregiudizio subito dal danneggiato, salvo che l'arricchimento derivi dallo sfruttamento di beni o risorse dello stesso danneggiato.

Cass. civ. n. 28988/2019

In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura "standard" del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna "personalizzazione" in aumento.

Cass. civ. n. 27482/2018

In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, il danno biologico, rappresentato dall'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, è pregiudizio ontologicamente diverso dal cd. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute; esso, ordinariamente liquidato con il metodo c.d. tabellare in relazione a un "barème" medico legale che esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione presumibilmente riverbera sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona, può essere incrementato in via di "personalizzazione" in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate e provate dal danneggiato, le quali rendano il danno subito più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti da lesioni personali dello stesso grado sofferte da persone della stessa età e condizione di salute.

Cass. civ. n. 22272/2018

La liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. "pura", consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell'esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento. Nel consegue che, allorché non siano indicate le ragioni dell'operato apprezzamento e non siano richiamati gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre sia nel vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente ridotta al disotto del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost.) sia nel vizio di violazione dell'art. 1226 c.c. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che aveva operato una drastica riduzione dell'importo dovuto ai danneggiati a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a reato di violenza sessuale sulla base del rilievo, puramente assertivo, secondo cui il maggiore importo liquidato dal primo giudice era "sproporzionato" rispetto ai fatti e la riduzione dello stesso appariva "conforme a giustizia").

Cass. civ. n. 2311/2007

In tema di risarcimento del danno alla persona, il danno da riduzione della capacità lavorativa generica (per la permanente riduzione della resistenza fisica al lavoro esercitato od alle chances lavorative), costituendo una lesione di un'attitudine o di un modo di essere del soggetto, si sostanzia in una menomazione dell'integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico. Ne consegue che il giudice è tenuto a «personalizzare» il danno biologico tenendo conto anche di tale sua componente essenziale.

Cass. civ. n. 2309/2007

In tema di risarcimento del danno da invalidità permanente conseguente a sinistro stradale, il criterio tabellare di capitalizzazione anticipata previsto ai sensi del R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403, non è tassativo e inderogabile, ma può essere sostituito o integrato dal criterio equitativo di cui agli articoli 2056 e 1223 c.c., essendo fondato su situazioni future ed ipotetiche, conoscibili soltanto come probabili o possibili. È ammissibile, altresì, che il criterio equitativo venga contemperato con quello legale di capitalizzazione e che la norma di cui all'art. 4 del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857 (convertito, con modif., nella legge 26 febbraio 1977, n. 39) - secondo la quale il reddito che occorre considerare agli effetti del risarcimento non può, comunque, essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale - può trovare applicazione anche nell'ambito di tale valutazione equitativa.

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