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Articolo 2049 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Responsabilità dei padroni e dei committenti

Dispositivo dell'art. 2049 Codice Civile

I padroni e i committenti(1) sono responsabili per i danni [2056 ss.] arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti [1900](2)(3).

Note

(1) La norma si applica se esiste un rapporto che attribuisce il potere direzionale e decisionale a padroni e committenti, di cui è tipico quello di lavoro subordinato.
È necessario, cioè, che lo svolgimento dell'attività costituisca l'occasione che ha originato l'illecito (c.d. nesso di occasionalità necessaria).
(3) Il danneggiato non ha l'onere di provare dolo o colpa del danneggiante mentre rimane, ovviamente, l'onere di dimostrare gli altri elementi costitutivi dell'illecito. Secondo il dettato della norma, invece, padroni e committenti non hanno la possibilità di fornire la prova contraria. Tuttavia, la giurisprudenza ammette la dimostrazione del caso fortuito a loro discolpa.

Ratio Legis

In passato si riteneva che la colpa di padroni e committenti derivasse da una loro negligenza nella scelta dei sottoposti (c.d. culpa in eligendo) o nella loro sorveglianza (c.d. culpa in vigiliando). Le teorie più recenti, invece, la riconducono al principio cuius commoda et eius incommoda: chi ha il beneficio dell'opera dei sottoposti ne sopporta anche i rischi.

Brocardi

Cuius commoda, eius et incommoda
Culpa in eligendo
Culpa in vigilando
Qui habet commoda, ferre debet onera

Spiegazione dell'art. 2049 Codice Civile

II rapporto institorio o di preposizione. Inammissibilità della prova libe­ratoria

Il rapporto institorio, o di preposizione, importa responsabilità rigorosa da. parte del padrone o committente pel fatto illecita (doloso o col­poso) del dipendente. Responsabilità indiretta, ma senza ammissibilità della prova che non si sia potuto da esso padrone o committente impedire il fatto dannoso. Così pel codice del 1865, così pel nuovo. Secondo gli scrittori fran­cesi il criterio fu quello di rendere attenti i padroni nella scelta dei loro do­mestici, e l'altro di non essere deboli o negligenti nella vigilanza.

Secondo altri il criterio è quello della rappresentanza, che andrebbe qui oltre i limiti del mandato, e sarebbe comprensivo di ogni caso nel quale si compia un fatto nell’adempimento di un' incombenza in nome e nello interesse di altri. La responsabilità del padrone e del committente viene anche fondata da altri scrittori sul criterio dell'arricchimento, concretato nella formula « cuius commoda eius et incommoda » ma sembrò più consono il principio della culpa in eligendo et in vigilando, pure meritando considerazione rilievo che chi si avvantaggia dell'opera altrui deve soffrirne il pregiudizio nella esecuzione. Dalla relazione ministeriale che accompagna il progetto definitivo del libro delle obbligazioni si evince che il nostro legislatore ha mantenuto la norma, fondandola « su una colpa in vigilando oltre che su quella in eligendo ».

La prova di non avere potuto impedire fatto non è consentita. Parte della dottrina (Laurent, Venzi) rilevò che non essendo possibile fare a meno di domestici e di commessi sia iniquo che permanga la responsabilità se nella scelta si sia stati diligentissimi. Il codice civile austriaco (ai §§ 1314 e 1315) ed il tedesco (§ 831) esentano in tali casi da responsabilità il com­mittente: che anzi, nel codice germanico l'obbligo cessa se il committente sia nella scelta del dipendente, sia in quanto debba fornirgli gli apparecchi ed utensili necessari, o, dirigere la esecuzione, abbia usato la cura richiesta nei comuni rapporti, o se il danno, anche supponendo che questa non sia stata adoperata, sarebbe avvenuto egualmente.

Sia però nel progetto del 1927, sia nei successivi, non, si è dubitato della bontà della norma del codice del 1865, che si riporta al codice civile francese ed alla teorica del Pothier. Il Ministro nella accennata relazione manifestò qualche dubbio « in con­siderazione delle regole poste dall'ordinamento fascista per l'assunzione dei lavoratori », pel quale ordinamento, allora in vigore, «appositi uffici regolano il collocamento dei dipendenti presso le aziende» onde il criterio della culpa in eligendo verrebbe per lo meno attenuato, sennonché il Ministro stesso si riportò in definitiva all'altro criterio della culpa in vigilando.


Domestici, e commessi. Esercizio delle incombenze

La norma è di rigore, e pertanto, sia nella determinazione di chi sia « domestico » o « commesso », sia nella precisazione « dell'esercizio della incombenze a cui sono adibiti » occorre procedere con ponderatezza. Agevole la nozione di domestico; qui il significato risponde al filologico. Commesso deriva da committere, è colui cui siano affidate incombenze, in conseguenza del rapporto : si è formata in materia larga letteratura giuridica, giurispru­denza, né sembra il caso indugiarsi su di esse.

Il fatto illecito deve porsi in essere dal dipendente nell'esercizio delle incombenze a lui affidate, deve, cioè, riattaccarsi alla funzione. Esistendo, tale rapporto non pure causativo, ma anche semplicemente occasionale, il padrone risponde. Ogni distinzione tra eccesso ed abuso, a prescindere dal fatto che non è esauriente, si palesa improduttiva di conseguenze giuridiche; dicasi lo stesso della distinzione tra operato colposo e doloso. Se l'operato del dipendente per eccesso o per abuso, per dolo o per colpa, trovi nell'eser­cizio delle incombenze causa, o anche semplice occasione, o, comunque, attinenza, il padrone o committente è tenuto. Bisogna che sussista un nesso logico, il che vale che senza l'affidamento di quelle incombenze il danno non si sarebbe verificato, o, quanto meno, che l'esercizio delle incombenze abbia agevolato la consumazione del fatto. Anche su questo punto vi è larga giurisprudenza.

Il rapporto di domestico a padrone, di commesso a committente non implica necessariamente che l'opera al primo affidata importi utilità al secondo, onde il committente, qualunque sia il fine dal quale venga mosso, nell'attribuire a terso un incarico o una commissione, deve rispondere del malo operato di costui, nello espletamento di essi. E qui rimane confermato che la responsabilità cosiddetta indiretta non deve riguardarsi come fondata sul criterio assoluto del comodo e dello incomodo, per il quale dovrebbe affermarsi che ove non ricorra utilità pel committente non possa sussistere obbligo d' indennizzo. Il criterio fondamentale è quello della culpa in eligendo ed in vigilando, per il quale anche chi si sia assunto un ufficio a scopo di filantropia deve esaurirlo in modo da non pregiudicare colui che se ne dovrebbe avvan­taggiare, né i terzi, onde occorre che scelga a ministri ed esecutori persone che senza danno altrui sappiano disimpegnarlo.

La responsabilità del preponente sussiste anche se il danno sia arrecato da qualcuno dei commessi ad altro commesso, sempre, s' intende, che vi sia relazione con l’ incombenza.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

656 Nell'articolo 771, il cui testo riproduce l'articolo 80 del progetto del 1936 alla più felice formulazione dell'articolo 1153 cod. civ., ho mantenuto fermo il principio della responsabilità dei padroni e dei committenti per i danni prodotti dai domestici e dai commessi.
Ma, mentre tali regole non concernono, per ora, tutte le categorie di lavoratori, peraltro, mi è parso che, fondandosi la norma su una culpa in vigilando, oltre che su quella in eligendo, la base di una responsabilità del committente del padrone si verrebbe a giustificare anche ammesso che essi non abbiano un diritto di scelta di fronte all'ufficio di collocamento.

Massime relative all'art. 2049 Codice Civile

Cass. civ. n. 22717/2022

La norma di cui all'art. 2049 c.c. è finalizzata a proteggere i terzi danneggiati dalla condotta del dipendente - rispetto alla quale il preponente risponde per il cd. collegamento funzionale - e non è volta a tutelare i terzi che, in cooperazione col dipendente, abbiano cagionato danni al soggetto preponente.

Cass. civ. n. 1786/2022

La responsabilità ex art. 2049 c.c. della compagnia assicuratrice per l'attività illecita posta in essere dal proprio agente è esclusa ove il danneggiato ponga in essere una condotta agevolatrice che presenti connotati di anomalia, vale a dire, se non di collusione, quantomeno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sull'agente.

Cass. civ. n. 29001/2021

In tema di responsabilità medica, nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, la responsabilità della struttura sanitaria, integra, ai sensi dell'art.1228 c.c., una fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio, fondata sull'elemento soggettivo dell'ausiliario, la quale trova fondamento nell'assunzione del rischio per i danni che al creditore possono derivare dall'utilizzazione di terzi nell'adempimento della propria obbligazione contrattuale, e che deve essere distinta dalla responsabilità indiretta per fatto altrui, di natura oggettiva, in base alla quale l'imprenditore risponde, per i fatti dei propri dipendenti, a norma dell'art.2049 c.c.; pertanto, nel rapporto interno tra la struttura e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest'ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., atteso che, diversamente opinando, la concessione di un diritto di regresso integrale ridurrebbe il rischio di impresa, assunto dalla struttura, al solo rischio di insolvibilità del medico convenuto con l'azione di rivalsa, e salvo che, nel relativo giudizio, la struttura dimostri, oltre alla colpa esclusiva del medico rispetto allo specifico evento di danno sofferto dal paziente, da un lato, la derivazione causale di quell'evento da una condotta del sanitario del tutto dissonante rispetto al piano dell'ordinaria prestazione dei servizi di spedalità e, dall'altro, l'evidenza di un difetto di correlate trascuratezze, da parte sua, nell'adempimento del relativo contratto, comprensive di omissioni di controlli atti ad evitare rischi dei propri incaricati.

Cass. civ. n. 28852/2021

Ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2049 c.c., è sufficiente che il fatto illecito sia commesso da un soggetto legato da un rapporto di preposizione con il responsabile, ipotesi che ricorre non solo in caso di lavoro subordinato, ma anche quando, per volontà di un soggetto (committente), un altro (commesso) esplichi un'attività per conto del primo. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 15/06/2015).

Cass. civ. n. 28634/2020

Gli istituti di credito rispondono dei danni arrecati a terzi dai propri incaricati nello svolgimento delle incombenze loro affidate, quando il fatto illecito commesso sia connesso per occasionalità necessaria all'esercizio delle mansioni, ma la responsabilità dell'intermediario per i danni arrecati dai propri promotori finanziari è esclusa ove il danneggiato ponga in essere una condotta agevolatrice che presenti connotati di anomalia, vale a dire, se non di collusione, quantomeno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto l'estraneità della banca rispetto alla condotta illecita posta in essere dal proprio promotore finanziario ai danni del cliente, che aveva sottoscritto in bianco le distinte per le richieste di assegni circolari, poi consegnate al dipendente, consentendogli di apporre sottoscrizioni apocrife sui moduli predisposti per le operazioni di versamento di contanti e di assegni). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 11/11/2015).

Cass. civ. n. 857/2020

In tema di intermediazione finanziaria, la società preponente risponde del danno causato al risparmiatore dai promotori finanziari in tutti i casi in cui sussista un nesso di occasionalità necessaria tra il danno e l'esecuzione delle incombenze affidate al promotore. La condotta del terzo investitore può fare venire meno questa responsabilità solo qualora sia per lui chiaramente percepibile che il preposto, abusando dei suoi poteri, agisca per finalità estranee a quelle del preponente, ovvero quando il medesimo danneggiato sia consapevolmente coinvolto nell'elusione della disciplina legale da parte dell'intermediario od abbia prestato acquiescenza all'irregolare agire dello stesso, palesata da elementi presuntivi, quali il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il loro valore complessivo, l'esperienza acquisita nell'investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso "iter" funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socio-economiche. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 20/04/2018).

Cass. civ. n. 25373/2018

In tema di responsabilità dei padroni e dei committenti ai sensi dell'art. 2049 c.c., il soggetto che, nell'espletamento della propria attività, si avvale dell'opera di terzi assume il rischio connaturato alla loro utilizzazione e, pertanto, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro, ancorché non siano alle proprie dipendenze. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inidoneo ad escludere la responsabilità del custode della linea elettrica per la folgorazione occorsa ad un proprio dipendente durante un intervento di riparazione, il fatto che il materiale - cd. "cavallotto" - all'origine del sinistro fosse stato dimenticato sulla linea elettrica da un appaltatore dello stesso custode). (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO CATANIA, 02/04/2015).

Cass. civ. n. 22058/2017

In tema di fatto illecito, la responsabilità dei padroni e committenti per il fatto del dipendente ex art. 2049 c.c. non richiede che tra le mansioni affidate all'autore dell'illecito e l'evento sussista un nesso di causalità, essendo sufficiente che ricorra un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che le incombenze assegnate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo. (Nella specie, la S.C. ha ravvisato responsabilità dell'azienda ospedaliera per i danni provocati da un medico autore di violenza sessuale in danno di paziente, perpetrata in ospedale e in orario di lavoro, nell'adempimento di mansioni di anestesista, narcotizzando la vittima in vista di un intervento chirurgico).

Cass. civ. n. 12283/2016

Ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2049 c.c., è sufficiente che il fatto illecito sia commesso da un soggetto legato da un rapporto di preposizione con il responsabile, ipotesi che ricorre non solo in caso di lavoro subordinato ma anche quando per volontà di un soggetto (committente) un altro (commesso) esplichi un'attività per suo conto.

Cass. civ. n. 10757/2016

In tema di responsabilità dei preposti, il fatto dannoso deve essere illecito sotto il profilo oggettivo e soggettivo, e in particolare, sotto il primo aspetto, può essere sia doloso che colposo, senza che sia necessario identificare l'autore del fatto, perché è sufficiente accertare che quest'ultimo, anche se rimasto ignoto, sia legato da rapporto di preposizione con il preponente, ravvisabile tutte le volte in cui un soggetto utilizzi e disponga dell'attività altrui.

Cass. civ. n. 6528/2011

In tema di responsabilità civile derivante da fatto illecito, la norma dell'art. 2049 c.c. - che pone a carico dei padroni e committenti la responsabilità per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi, nell'esercizio delle incombenze cui sono adibiti - trova applicazione limitatamente al danno cagionato ad un terzo dal fatto illecito del domestico o commesso, ma non è invocabile al fine di ottenere il risarcimento del danno che quest'ultimo abbia procurato al committente oppure a se stesso

Cass. civ. n. 215/2010

In caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, il datore di lavoro distaccante, in capo al quale permane la titolarità del rapporto di lavoro, è responsabile, ai sensi dell'art. 2049 c.c., dei fatti illeciti commessi dal dipendente distaccato, atteso che il distacco presuppone uno specifico interesse del datore di lavoro all'esecuzione della prestazione presso il terzo, con conseguente permanenza della responsabilità, secondo il principio del rischio di impresa, per i fatti illeciti derivati dallo svolgimento della prestazione stessa.

Cass. civ. n. 17836/2007

La responsabilità indiretta ex art. 2049 c.c. del datore di lavoro per il fatto dannoso commesso dal dipendente non richiede che tra le mansioni affidate all'autore dell'illecito e l'evento sussista un nesso di causalità, essendo sufficiente che ricorra un rapporto di occasionalità necessaria tale per cui le funzioni esercitate abbiano determinato o anche soltanto agevolato la realizzazione del fatto lesivo. E irrilevante, pertanto, che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli, od abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto la correttezza della sentenza impugnata con cui era stata riconosciuta la responsabilità del Ministero della Difesa per le violenze subite da un militare di leva da parte di soldati e graduati in quanto realizzate proprio in virtù del vincolo di sovraordinazione gerarchica esercitato sul danneggiato).

Cass. civ. n. 21685/2005

Per la sussistenza della responsabilità dell'imprenditore ai sensi dell'art. 2049 c.c. non è necessario che le persone che si sono rese responsabili dell'illecito siano legate all'imprenditore da uno stabile rapporto di lavoro subordinato, ma è sufficiente che le stesse siano inserite, anche se temporaneamente od occasionalmente, nell'organizzazione aziendale, ed abbiano agito, in questo contesto, per conto e sotto la vigilanza dell'imprenditore. (Nella specie, la S.C., enunciando il riportato principio, ha rigettato il motivo di ricorso proposto da una società di gestione di un impianto di risalita di una pista da sci, affermando, anche sulla scorta dell'interpretazione della specifica legislazione della Provincia autonoma di Trento, la correttezza della motivazione dell'impugnata sentenza di appello, con la quale era stata affermata la responsabilità della predetta società in ordine ai danni conseguenti ad un infortunio occorso ad una sciatrice che, nel mentre trovavasi ferma sulla pista, era stata urtata dal toboga condotto da un addetto volontario al soccorso, sul presupposto che quest'ultimo svolgesse un servizio di assistenza per conto della medesima società, sulla quale incombeva l'obbligo di organizzare l'impresa in modo da assicurare il servizio stesso nel rispetto delle specifiche disposizioni regolamentari contemplate in materia e ricadeva, pertanto, il derivante obbligo di vigilanza e la responsabilità per l'operato dell'addetto, ancorché espletato a titolo di volontariato).

Cass. civ. n. 14096/2001

Per l'affermazione della responsabilità indiretta del committente per il danno arrecato dal fatto illecito del commesso ai sensi dell'art. 2049 c.c. è sufficiente che sussista un nesso di occasionalità necessaria tra l'illecito stesso ed il rapporto che lega i due soggetti, nel senso che le mansioni o le incombenze affidate al secondo abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno; non può, pertanto, farsi carico al committente delle conseguenze di un fatto posto in essere dal preposto non durante l'espletamento delle incombenze demandategli e non a fine di adempiere ad esse ma al di fuori di esse e per soddisfare un bisogno estraneo alle stesse, venendo meno in tal caso il vincolo di occasionalità tra le incombenze e il fatto generatore del danno. (Sulla base di tale principio la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito di esclusione della responsabilità del committente in un caso in cui il preposto, incaricato di impiantare cavi elettrici presso un privato, aveva acceduto alla richiesta di questi di fissare al soffitto di una stanza una plafoniera, dalla cui caduta erano derivati danni).

Cass. civ. n. 5957/2000

La responsabilità (diretta) dei genitori, ai sensi dell'art. 2048 c.c., per il fatto illecito dei figli minori imputabili può concorrere con quella dei precettori, essendo esse rispettivamente fondate sulla colpa in educando e su quella in vigilando. La presenza di questi astratti titoli di responsabilità, fra loro concorrenti, non impedisce che - trattandosi di illecito commesso da minore nell'esercizio della sua attività di apprendista - possa essere accertata la responsabilità esclusiva, ex art. 2049 c.c., del datore di lavoro. Tale responsabilità, essendo fondata sul presupposto dell'esistenza di un rapporto di subordinazione fra l'autore dell'illecito ed il proprio datore di lavoro, e sul collegamento dell'illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, prescinde del tutto dalla colpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro, è quindi insensibile all'eventuale dimostrazione dell'assenza di colpa dello stesso, e può ricorrere anche in caso di dolo del commesso.

Cass. civ. n. 6233/1999

La responsabilità del preponente ex art. 2049 c.c. si fonda sulla mera circostanza dell'inserimento dell'agente nell'impresa, senza che assuma, all'uopo, rilievo, il carattere della continuità, o meno, dell'incarico affidatogli — essendo sufficiente, per converso, che il comportamento illecito del preposto sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze a lui demandate dall'imprenditore — e senza che, ancora, risulti necessaria la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l'agente ed il preponente.

Cass. civ. n. 10034/1998

La presunzione di responsabilità stabilita dall'art. 2049 c.c. postula l'esistenza di un incarico di esecuzione di opere che importi un vincolo di dipendenza, vigilanza e sorveglianza, anche solo temporaneo, ed un collegamento, anche solo di occasionalità necessaria, fra tale incarico e colui che nell'interesse del committente lo esegue, anche se l'esecutore è persona normalmente alle dipendenze di altri.

Cass. civ. n. 6691/1998

Il preponente o committente non può essere chiamato a rispondere, ai sensi dell'art. 2049 c.c., del fatto illecito commesso dal preposto o commesso dopo la cessazione del rapporto di preposizione.

Cass. civ. n. 9984/1996

Il dolo del commesso nel compiere il fatto dannoso non esclude il rapporto di occasionalità necessaria con le mansioni affidategli, da intendersi nel senso che l'illecito è stato reso possibile o comunque agevolato dal rapporto di lavoro con il committente, che pertanto ne risponde ai sensi dell'art. 2049 c.c.

Cass. civ. n. 11807/1995

L'art. 2049 c.c., pur disciplinando la responsabilità del committente per danni arrecati dai commessi ai terzi, trova la sua ratio nel principio di carattere più generale per cui l'azione compiuta dal commesso nell'esercizio delle sue incombenze è sempre riferibile al committente, il quale di conseguenza ove sia stato danneggiato dal commesso deve, nei rapporti con qualsiasi terzo, imputare il danno a sè stesso, salva la responsabilità del commesso nei suoi confronti.

Cass. civ. n. 9100/1995

La responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2049 c.c., essendo fondata sul presupposto della sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l'autore dell'illecito e il proprio datore di lavoro e sul collegamento dell'illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, prescinde del tutto da una culpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro ed è quindi insensibile all'eventuale dimostrazione dell'assenza di colpa, con la conseguenza che l'accertamento della non colpevolezza del datore di lavoro compiuto dal giudice penale non vale ad escluderla.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2049 Codice Civile

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A. C. chiede
mercoledì 11/01/2023 - Lombardia
“La notte tra il 21 e il 22 dicembre scorso si è verificato un furto con scasso nella portineria condominiale e sono stati rubati diversi pacchi tra i quali c’erano tre buste contenenti capi di abbigliamento che avevo acquistato dal sito online XXX, del valore complessivo di 808 euro, che erano stati consegnati il giorno precedente.
Premetto che la portineria da anni riceve numerosi pacchi consegnati da corrieri di vario genere visto che il complesso è composto da diversi palazzi e molti condomini. Inoltre, i corrieri arrivano sempre in orario di portineria, per cui il portinaio ricevi i pacchi senza nemmeno avvisarmi che sono arrivati, se non dietro mia richiesta o dopo qualche giorno dal ricevimento degli stessi.
La portineria non è dotata di impianto di sorveglianza e solo l’anno scorso per alcuni mesi c’è stata una vigilanza notturna perché credo si fossero verificati furti nel giardino condominiale.
L’amministratore del condominio, dietro mia richiesta, mi ha comunicato che la portineria è assicurata solo per i muri e gli infissi, e non per quanto contenuto nella portineria.
Infine, è stata fatta regolare denuncia da parte del portinaio alla polizia con l’indicazione dei condomini che hanno subito il furto.

La mia domanda è la seguente: posto che non posso evitare il servizio di portineria (i corrieri devono necessariamente lasciare i pacchi in portineria), che l’amministratore (o chi per esso) non ha avuto il buonsenso di stipulare un’assicurazione, e che la portineria custodisce (mio malgrado) anche beni di un certo valore, CHI È IL RESPONSABILE DI QUANTO AVVENUTO? In altri termini, posso chiedere il risarcimento del danno subito? In caso affermativo, a chi? Devo fare una denuncia a mia volta?

Grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 13/01/2023
Innanzitutto è giusto premettere che da un punto di vista civilistico il primo responsabile di quanto accaduto e colui che sarà quindi chiamato in prima battuta a risarcire il danno causato dalle sue azioni è l’ignoto che ha commesso il furto: per tale motivo è necessario sporgere denuncia alla autorità giudiziaria la quale sarà chiamata ad individuare l’autore del misfatto, denuncia che comunque è già stata presentata dal personale di portineria del condominio e non deve quindi essere ripetuta personalmente dal singolo condomino danneggiato. Se il reo sarà individuato si instaurerà nei suoi confronti un processo penale e in quella sede tutti coloro che hanno subito un danno dalle azioni criminose che gli verranno contestate potranno costituirsi parte civile e chiedere a lui il risarcimento del danno subito.
Posto quindi che ai sensi dell' art. 2043 del c.c. per il nostro ordinamento è l’autore del reato colui che è chiamato a rispondere dei danni che ha causato con la sua condotta criminosa, bisogna chiedersi se nella vicenda descritta è possibile individuare altri soggetti che a causa del loro comportamento negligente possano essere chiamati a rispondere civilisticamente dei danni arrecati alla vittima del furto.

Sulla base di quanto descritto dal quesito in effetti potrebbe ravvisarsi una responsabilità della portineria nella gestione delle cose assegnate alla sua custodia, valorizzando in un ipotetico contenzioso il fatto che il personale di portineria non ha avvisato prontamente il condomino dell’arrivo di pacchi a lui destinati, e che tali importanti oggetti venivano poi lasciati incustoditi in locali privi di adeguati mezzi di protezione contro intrusioni malevole. Ai sensi dell’art. 2049 del c.c. la negligenza degli addetti alla portineria si riverberebbe direttamente sulla intera compagine condominiale: il portiere infatti ai sensi di tale articolo non è altro che un addetto assunto dal condominio per l’espletamento di diverse mansioni attinenti alla gestione della portineria del condominio tra le quali rientra sicuramente la custodia dei pacchi consegnati dal corriere.

Tuttavia è giusto porre all’attenzione di chi legge la circostanza che ormai tutte le ditte di logistica adottano delle procedure di consegna le quali prevedono l’invio al destinatario del pacco di un messaggio con il quale lo si avvisa dell’avvenuta consegna presso l’indirizzo di destinazione indicato. Sempre, quindi, ipotizzando un eventuale contenzioso, la difesa del condominio e del personale di portineria potrebbe valorizzare tale circostanza, sostenendo ad esempio, che a fronte della comunicazione del corriere il destinatario del pacco avrebbe ben potuto recarsi prontamente presso la portineria e ritirare la merce a lui destinata, evitando quindi che la stessa rimanesse in giacenza presso locali non idonei alla custodia.

Ad ogni modo, basandosi solo su quanto descritto nel quesito, vi sarebbero quantomeno i presupposti per incaricare un legale affinché rediga una raccomandata da inviare al condominio nella persona del suo amministratore e per conoscenza anche alla persona (o alle persone) addette alla portineria. Con tale missiva si dovrebbe contestare direttamente alla compagine condominiale, nei termini che si sono descritti in precedenza, i danni provocati all’autore del quesito dalla negligenza degli addetti alla portineria nella custodia dei pacchi a loro affidati dai vari corrieri.

Simone R. chiede
domenica 28/03/2021 - Lombardia
“Buonasera,
chiedo un parere legale su una cosa successa nel mio appartamento.

Premessa:

Abito in un condominio.
Nel mio appartamento c'erano dei lavori di ristrutturazione in corso da una ditta da me incaricata, la quale aveva le chiavi di casa mia. Io non abitavo in casa a causa dei lavori.
Non è stato fatto un contratto ma solo un preventivo. Ho delle conversazioni WhatsApp sul cellulare che dimostrano che la ditta stava già lavorando nel mio appartamento da prima dell'evento. E ho delle fatture posteriori all'evento spiegato di seguito.
Il condominio è stato avvisato dei lavori in corso e che avrei dovuto effettuare dei lavori su dei caloriferi.


Fatti:

Ho chiesto al condominio un intervento da parte dei tecnici dell'impianto di riscaldamento centralizzato per la sistemazione di un tubo condominiale marcio e quindi da sostituire.
Il condominio mi ha risposto, dopo vari solleciti durati un paio di mesi, di mettersi d'accordo direttamente con la ditta per organizzare un incontro per la sistemazione, così da avere anche l'impianto vuoto.
Mi sono quindi sentito telefonicamente con la ditta condominiale e abbiamo concordato il giorno dell'intervento.

Nello stesso momento ho anche sentito la ditta da me incaricata per la ristrutturazione per fare dei lavori su un altro calorifero della casa (concordati anche su preventivo).
Le due aziende si sono quindi trovate a lavorare nello stesso giorno in casa mia su due caloriferi diversi.
E' stato fatto nello stesso giorno perché l'impianto di riscaldamento sarebbe stato vuoto di acqua.

Da quel giorno nessuna delle due ditte mi ha più fatto sapere l'esito dei lavori sui caloriferi.

Circa quattro giorni dopo la ditta condominiale apre il rubinetto dell'acqua condominiale per riempire l'impianto di riscaldamento di un'altra scala rispetto alla mia, ma, si scopre in quel momento, che le saracinesche dell'acqua non funzionano a dovere e l'acqua riempie anche i tubi condominiali della mia scala.
Nessuno era presente in casa mia in quel momento (io ero al lavoro) e dal calorifero su cui ha lavorato la ditta da me incaricata per i lavori di ristrutturazione l'idraulico non aveva messo il tappo, quindi si è allagato il mio appartamento e quello del vicino di sotto.
Il calorifero su cui lavorava la ditta da me incaricata non c'era perché doveva essere spostato in un altro punto della casa. Quindi sono rimasti i tubi aperti senza i tappi.

Mentre dal calorifero su cui ha lavorato la ditta condominiale non è uscita acqua però il muro non era stato chiuso, quindi penso mancasse la verifica a impianto pieno d'acqua che il lavoro svolto fosse andato a buon fine.
Purtroppo non dimostrabile chiaramente.

Ho chiamato l'amministratore per attivare l'assicurazione condominiale che non ha rimborsato in quanto non era presente una rottura accidentale di nessun tubo.

La ditta da me incaricata non ha attivato la sua assicurazione in quanto non ritiene abbia sbagliato lei ma quella del condominio e il vicino di sotto mi ha citato in tribunale per danni.

Il condominio non si prende nessuna responsabilità e dice che a sbagliare è stata la ditta da me incaricata perché non ha messo i tappi e che la ditta condominiale aveva già chiuso il muro sul calorifero su cui stava lavorando (cosa non vera).


Considerazioni:

Io come prove ho le fatture pagate alla ditta da me incaricata (con diciture di lavori idraulici generici), con data posteriore all'evento e conversazione WhatsApp in cui dico quando l'impianto è vuoto e quando può fare il lavoro sul calorifero.

La ditta da me incaricata risulta registrata con codice Ateco primario e secondario 43.21.01, quindi lavori elettrici.

Adesso il vicino mi ha citato in tribunale e io citerò la ditta da me incaricata.

Ho letto vari articoli su internet sulla "culpa in vigilando" e "culpa in eligendo" ma vorrei capire se concretamente potrei perdere l'eventuale causa contro la ditta da me incaricata e quindi risarcire i danni del vicino.
Potrei essere responsabile insieme alla ditta o potrei essere ritenuto responsabile solo io?

Quali prove posso presentare per esonerarmi dall'essere responsabile solo per il fatto di essere custode del bene e committente dei lavori di ristrutturazione?
I giorni dei lavori sul calorifero non ero presente in cantiere.”
Consulenza legale i 29/03/2021
Di regola in caso di danni causati a terzi in occasione di lavori eseguiti in forza di un appalto (applicabile anche al caso in esame) la responsabilità è di chi ha eseguito i lavori.
Come ha osservato la Suprema Corte con varie sentenze tra cui la n.23442 del 2018: “è consolidato l'indirizzo di questa Corte in base al quale, in caso di danni arrecati a terzi nel corso di esecuzione di un appalto di lavori edili:
a) di regola risponde nei confronti dei terzi esclusivamente l'appaltatore, in quanto questi svolge in piena autonomia la sua attività;
b) se però il danneggiato dimostra che il committente si è ingerito con specifiche direttive che hanno limitato, sebbene non del tutto escluso, l'autonomia dell'appaltatore, rispondono in concorso sia l'appaltatore che il committente;
c) se le direttive e l'ingerenza del committente sono così specifiche da rendere l'appaltatore un nudus minister, risponde esclusivamente il committente;
d) il committente risponde infine anche per culpa in eligendo, laddove si sia avvalso di impresa palesemente inadeguata a svolgere l'attività affidata”.


Nella presente vicenda, basandoci su quanto descritto nel quesito e su quanto indicato nella lettera raccomandata, laddove dovesse risultare che i danni sono stati causati da quanto compiuto dalla ditta da Lei incaricata, appare difficile escludere con certezza una qualche Sua responsabilità.
Infatti, se da un lato appare potersi escludere da parte Sua una ingerenza tale da rendere l’esecutore un mero “nudus minister” (anche perché non era nemmeno presente durante i lavori), dall’altro non si può escludere la cd. culpa in eligendo, in quanto per eseguire dei lavori idraulici è stato dato incarico a una ditta che si occupa invece di lavori elettrici (V. codice ateco).
Laddove quindi dove essere dimostrato il nesso di causalità nel verificarsi dei danni, potrebbe essere accertata una corresponsabilità tra ditta e committente in quanto appunto quest’ultimo avrebbe scelto dei soggetti cui affidare il lavori senza le necessarie competenze tecniche.
Sul punto, la Corte di Cassazione già con la sentenza n.7356/2009 aveva infatti evidenziato che può configurarsi eccezionalmente “una corresponsabilità del committente nel caso di specifica violazione da parte sua di regole di cautela nascenti ex art. 2043 cod. civ. ovvero quando l'evento dannoso gli sia addebitabile a titolo di "culpa in eligendo", per avere affidato l'opera ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche ed organizzative”.

Quindi rispondendo al primo quesito, Lei potrebbe essere ritenuto responsabile insieme alla ditta per le ragioni testè evidenziate.

Circa il secondo quesito (“Quali prove posso presentare per esonerarmi dall'essere responsabile solo per il fatto di essere custode del bene e committente dei lavori di ristrutturazione?”), come specificato, una eventuale Sua co-responsabilità non sarebbe dovuta alla circostanza di essere custode del bene ma semplicemente al fatto di aver scelto una ditta non adeguata (sempre che, lo si ripete, venga accertato nel giudizio che la causa dei danni sia riconducibile a quanto fatto – o omesso- dalla ditta da Lei incaricata).
Le fatture pagate alla ditta con data posteriore all'evento non appaiono così rilevanti (lo sono solo per giustificare la chiamata in causa); forse più utile produrre la conversazione whatsapp in cui dice quando l'impianto è vuoto e quando può essere fatto il lavoro sul calorifero in quanto sarebbe un indizio della responsabilità a carico del condominio (ma comunque non certamente una prova).

Ciò posto, per come si sono svolti i fatti, sarà fondamentale nel giudizio in corso l’espletamento di ctu tecnica che vada ad accertare la causa che ha determinato i danni e se ciò sia imputabile alla Sua ditta o a quella condominiale.
Immaginiamo che oltre alla ditta da Lei incaricata sia stato chiamato in garanzia anche il condominio (che a sua volta potrebbe chiamare in causa la ditta che aveva fatto i lavori).

Giulia S. chiede
venerdì 17/04/2020 - Toscana
“Buongiorno,
Lavoro come apprendista presso un'organizzazione di volontariato e mi occupo dei rendiconti finanziari dei progetti oggetto di contributo di enti pubblici e privati.
Preciso che il mio ruolo è puramente "amministrativo", non gestisco fisicamente le attività progettuali e non mi occupo di gestire gli importi.
Preciso inoltre che la documentazione relativa ai rendiconti viene vidimata con firma e timbro dal legale rappresentate, anche se spesso è un atto "meramente formale" e non un controllo vero e proprio.
Detto ciò, avrei bisogno di sapere se in caso di scorrettezza, errore nel rendiconto o qualsiasi altro genere di problematica l' eventuale responsabilità amministrativa/civile/penale sarà della sottoscritta?
Grazie infinite
Saluti”
Consulenza legale i 26/04/2020
Per quanto riguarda gli aspetti civilistici bisogna distinguere tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale.

In particolare, la responsabilità contrattuale (disciplinata dall’art. 1218 del c.c.) rileverà in tutte quelle ipotesi configurabili come “inadempimento contrattuale”, ovvero in tutte quelle ipotesi in cui tra l’ente ed i terzi fosse già stato stipulato un accordo che definiva rispettivamente diritti ed obblighi delle parti.
Nel rapporto tra organizzazione di volontariato e dipendente, viene in rilievo l’art. 1228 c.c. secondo il quale “salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro”.
Pertanto, per gli inadempimenti contrattuali causati dall’apprendista risponderà l’organizzazione e/o chi la rappresenta.

Invece, la responsabilità extracontrattuale (disciplinata dagli artt. 2043 e seguenti del c.c.) rileverà tutte le volte in cui si sarà in presenza di un fatto illecito, ovvero qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto.
Anche in questo caso l’art. 2049 c.c. per il caso di danni cagionati a terzi, dispone che “i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”.
Tale previsione sarà applicabile all’organizzazione di volontariato nei confronti dei terzi per il danno causato dal proprio dipendente.

L’accertamento delle tipologie di responsabilità sopra descritte determinerà l’obbligo al risarcimento del danno e, quindi, l’obbligo di sostenere dei costi al fine di risarcire materialmente il soggetto danneggiato.
Ove si tratti di associazioni riconosciute, sarà solo l’associazione ad essere chiamata a rispondere del risarcimento con il patrimonio sociale. Per gli enti non riconosciuti, al contrario, in caso di insufficienza del patrimonio sociale, gli organi sociali (in particolare coloro che hanno deliberato in nome e per conto dell’ente di agire in quella direzione) potranno essere chiamati a rispondere personalmente con il proprio patrimonio.

In entrambi i casi, si configurerà una responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. secondo cui “se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali”.
Per questo motivo, il danneggiato potrà rivolgersi per l’intero risarcimento nei confronti dell’organizzazione di volontariato - o degli organi sociali nei casi citati in precedenza - la quale avrà poi diritto di regresso nei confronti del dipendente.
Se uno solo è l’autore del danno, non si verifica l’ipotesi di concorso nella produzione del fatto dannoso, e la conseguente ripartizione dell’onere risarcitorio, secondo i criteri di cui all’art. 2055.

Nel caso di specie, la dipendente, peraltro apprendista, verrà chiamata in causa per rispondere di danni, solo se alla stessa è ascrivibile una colpa. È quindi necessario che il dipendente sia colpevole per la violazione delle più basilari regole di prudenza e attenzione richieste a un uomo medio. Se l’apprendista si limita a strutturare i rendiconti sulla base di documenti da altri vidimati e autorizzati, difficilmente la predetta apprendista potrebbe avere responsabilità in quanto mera esecutrice materiale di un compito che non presuppone alcun controllo di merito dei flussi di cassa, salvo che non vi sia dolo o una colpa grave. Peraltro, l’operato dell’apprendista è soggetto a controllo da parte di responsabili che, apponendo la propria firma, si assumono la responsabilità di quanto approvato.

Tale ragionamento può essere fatto anche in tema di responsabilità amministrativa-tributaria, tenendo sempre in considerazione la differenza tra ente riconosciuto ed ente non riconosciuto.
In particolare, nel caso dell’organizzazione di volontariato non riconosciuta, verrà in rilievo il principio della “personalizzazione della sanzione” in base al quale “nel caso di violazione correlata alla determinazione o al pagamento del tributo, commessa da dipendente, rappresentante o amministratore di un’associazione non riconosciuta, sovverrà una responsabilità in solido in capo alla stessa associazione e alla persona fisica autrice materiale della violazione”.
L’amministrazione finanziaria potrà quindi agire contestualmente verso le due figure (ente e persona fisica autrice della violazione), pretendendo da entrambe il pagamento integrale della sanzione, salvo il diritto di regresso esercitabile dall’ente beneficiario della violazione verso la persona fisica responsabile.
Anche nel caso di associazione riconosciuta, l’amministrazione finanziaria potrà agire solo nei confronti dell’organizzazione di volontariato, ma quest’ultima avrà diritto di regresso nei confronti dei responsabili, amministratori o dipendenti.
In ogni caso, valgono le considerazioni fatte in ambito civilistico, ovvero, salvo il caso di dolo o colpa grave, alla dipendente che si limita ad eseguire un compito materiale ed il cui operato è comunque oggetto di un controllo da parte di altri, difficilmente potrà essere addossata una colpa.
Nel caso di specie, la responsabilità sarà oltretutto attenuata ulteriormente dal fatto che la dipendente in questione è un’apprendista, che dovrebbe essere, almeno teoricamente, affiancata da un tutor che ne controlli l’attività.

Sul fronte penale la risposta al quesito è particolarmente complessa.

Partendo, appunto, dal presupposto che l’impiegata amministrativa si occupi soltanto di strutturare tali rendiconti e, dunque, di registrare i flussi di cassa in entrata e uscita afferenti all’organizzazione di volontariato, eseguendo in tal modo un’operazione meramente meccanica e materiale, allora si dovrebbe giungere alla conclusione che l’impiegata predetta non corre alcun rischio penale.

In un caso come quello prospettato, invero, in cui i rendiconti predetti servono, in buona sostanza, a dimostrare che il denaro pubblico ottenuto dall’organizzazione è stato da quest’ultima utilizzata per lo scopo per il quale era stato erogato (e, dunque, per il perseguimento dell’oggetto sociale dell’organizzazione) l’area di sensibilità penale andrebbe individuata nella condotta di chi, attraverso la cosciente falsificazione dei rendiconti in questione, si prefigga di dimostrare il corretto utilizzo del denaro, che magari è stato invece intascato da soggetti terzi e/o appartenenti alla stessa organizzazione.

Tale comportamento potrebbe integrare il reato di malversazione a danno dello stato, previsto dall’art. 316 bis del codice penale, che ha proprio lo scopo di punire tutte quelle condotte attraverso le quali il denaro ottenuto da qualsivoglia ente pubblico non viene utilizzato per gli scopi per i quali era stato erogato.

Ora, come precedentemente detto, se l’impiegata amministrativa si limita a strutturare i rendiconti sulla base di documenti da altri vidimati e autorizzati, allora è evidente che l’impiegata predetta non potrebbe avere alcuna responsabilità penale in quanto mera esecutrice materiale di un compito che non presuppone alcun controllo di merito dei flussi di cassa.

In un caso del genere, ipotizzando che vi sia una condotta di malversazione, l’impiegata potrebbe essere responsabile solo allorché la stessa fosse direttamente a conoscenza degli artifici contabili e avesse agevolato, proprio attraverso gli artifici predetti, la commissione del reato.

Anonimo chiede
venerdì 21/10/2022 - Piemonte
“Buongiorno,

vorrei chiedere un Vostro parere in merito alla possibilità di intraprendere un'azione legale nei confronti di una società sportiva della mia città.
L'illecito è avvenuto ai primi di Ottobre del 2013 (9 anni fa circa) in una palestra di una società sportiva pubblica quando al tempo ero un'atleta (maggiorenne).
Una sera, alla fine di una sessione di allenamento, un istruttore (in pratica un allenatore) della società sportiva - senza ragione alcuna - dinnanzi ai miei colleghi atleti/e (quindi in un contesto di pubblica collettività in un locale aperto al pubblico) si tirò giù i pantaloni e mi mise il deretano (sedere) in faccia, permanendo nella posizione per qualche minuto, facendolo orgogliosamente vedere a tutti i presenti.

Questo gesto mi ha causato seri problemi psicologici e psichiatrici, tant'è vero che incominciai a fare uso di sostanze stupefacenti illecite per cercare di dimenticare l'accaduto. L'utilizzo delle sostanze stupefacenti assieme al trauma psicologico causatomi, mi ha portato all'insorgenza di una malattia psichiatrica fortemente invalidante tant'è vero che sono in cura da Settembre 2017 presso specialisti medici privati e pubblici. Oltretutto, essendo il sottoscritto uno studente universitario, tutto ciò che ho descritto ha fortemente impattato in modo negativo nella mia carriera universitaria, andando a ledere il rendimento nello studio.

Per quanto riguarda l'aspetto giuridico, il comportamento sopra descritto credo sia ascrivibile al reato di Violenza Privata, con la possibilità di valutare delle aggravanti; credo, altresì, che ci sia anche una responsabilità civile contrattuale da parte del soggetto citato e della società, in quanto quest'ultima non ha mai denunciato alle forze dell'ordine l'accaduto ne tantomeno preso - a mio avviso - provvedimenti nei confronti dell'allenatore.

Sono consapevole che sto cercando di prendere provvedimenti in modo tardivo, essendo passati circa 9 anni, e mi piacerebbe sapere se esiste la possibilità di intraprendere azione civile o penale o entrambe nei confronti sia dell'allenatore che della società sportiva.

Aspetto Vostra cortese risposta”
Consulenza legale i 02/11/2022
Cominciamo prima dagli aspetti penali.

In primo luogo occorre capire se, pur in presenza di un fatto costituente reato, l’ azione penale potrebbe essere proseguita stante i profili attinenti alla procedibilità e alla prescrizione.

Cominciando dal reato di violenza privata, va detto che, pur ritenendolo sussistente, l’eventuale azione penale sarebbe improcedibile a causa della maturazione dei tempi di prescrizione.
La fattispecie in questione, invero, è punita con un massimo di 4 anni e, stante il disposto dell’ art. 157 del c.p., il tempo necessario per la maturazione della prescrizione è di 6 anni dal momento in cui il fatto è stato commesso.
Tale termine non cambia pur volendo ritenere sussistente la circostanza aggravante prevista dall’ultimo comma dell’ art. 610 del c.p. che richiama l’ art. 339 del c.p.. Si tratterebbe, infatti, di una circostanza ordinaria e, in quanto tale, da non tenere in considerazione per il decorso dei termini di prescrizione, come esplicitamente affermato dal secondo comma dell’art. 157 c.p.

Se venisse depositata una querela, dunque, il Pubblico Ministero nulla potrebbe fare a causa della maturazione dei termini di prescrizione.

Il medesimo problema di procedibilità sussisterebbe anche volendo immaginare che la condotta posta in essere possa essere inquadrata nell’alveo del reato di violenza sessuale ( ex art. 609 bis del c.p. ), anche aggravata ai sensi dell’ art. 609 ter del c.p..

In questi casi, invero, si tratterebbe di una fattispecie procedibile a querela di parte, da proporre entro un anno dai fatti, come espressamente affermato dall’ art. 609 septies del c.p..
Essendo, dunque, nel caso di specie la querela tardiva, la stessa verrebbe immediatamente archiviata dal Pubblico Ministero procedente.

Sul fronte penale, dunque, non sussistono i presupposti per un’azione concreta.

Passiamo ora al fronte civile.

A grandi linee va prima di tutto affermato che esistono due tipi di responsabilità, quella contrattuale e quella extracontrattuale.

La differenza tra le due è netta e tale diversità di riverbera anche sotto il profilo della prescrizione della relativa azione che, in caso di responsabilità contrattuale è di 10 anni, 5 anni se ci spostiamo sul fronte extracontrattuale.

Ora, per quanto attiene al caso di specie, francamente sembrano scarsamente sussistenti i profili di una responsabilità contrattuale, anche sulla base degli elementi a disposizione.
Tale responsabilità, invero, si ha solo nel caso in cui vi sia la non corretta esecuzione del programma contrattuale, escludendo che a tal riguardo possano rilevare fatti illeciti che esuberano del tutto l’ambito parametrato dall’esecuzione del contratto.

In tale ultimo caso, infatti, a rilevare è la responsabilità extracontrattuale, che copre qualsiasi tipo di condotta illecita che abbia, da un lato, offeso un diritto altrui e, dall’altro, cagionato un danno suscettibile poi di una valutazione economica ( art. 2043 del c.c. ).
Nel caso di specie, pertanto, è la responsabilità extracontrattuale a rilevare e, tuttavia, l’eventuale azione sarebbe comunque tardiva in considerazione del fatto che sono ampiamente decorsi i 5 anni dal momento in cui si è verificato il fatto.

Lo stesso discorso può farsi in relazione alla società sportiva.
Anche in questo caso, invero, non si ravvedono profili di responsabilità contrattuale e, pertanto, a rilevare potrebbe essere solo una responsabilità ex art. 2049 del c.c. che, tuttavia, resta di matrice extracontrattuale e, dunque, assoggettata al termine di prescrizione di 5 anni dal momento in cui il fatto si è verificato.

Sul fronte civile, quindi, l’unica speranza residua potrebbe essere quella di incardinare un’azione per responsabilità contrattuale la cui sussistenza, tuttavia, deve essere attentamente valutata a seguito di una profonda conoscenza del fatto e dei rapporti tra l’atleta, l’allenatore e la società sportiva.

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