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Articolo 1455 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Importanza dell'inadempimento

Dispositivo dell'art. 1455 Codice Civile

Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra [1522, 1525, 1564, 1565, 1668, 1819, 1820, 1868, 2286](1).

Note

(1) Dalla formulazione della norma si deduce che la gravità dell'inadempimento si deve determinare considerando la posizione di entrambe le parti, quindi sia l'inadempimento di una che l'interesse all'adempimento dell'altra. Per alcune fattispecie il giudizio di gravità è compiuto in via preventiva dal legislatore, come, ad esempio, in tema di vendita a rate (v. 1525 c.c.). Per quanto attiene all'onere probatorio che grava sulla parte che agisce in giudizio, la giurisprudenza ha chiarito che questa deve provare il titolo costitutivo del rapporto e può limitarsi ad allegare l'inadempimento, gravando sulla controparte l'onere della prova contraria (Cassazione SS. UU., 30 ottobre 2001, n. 13533).

Ratio Legis

Data la gravità del rimedio risolutorio, esso opera solo se l'inadempimento è, parimenti, grave.

Spiegazione dell'art. 1455 Codice Civile

Il concetto di «gravità dell'inadempimento» e sua determinazione

Uno dei presupposti della risoluzione è — come si è visto la gravità dell'inadempimento.

E’ questo un presupposto necessario tanto nella risoluzione per mora, quanto nella risoluzione per inesatto adempimento.

I termini usati nell'art. 1455 sono alquanto vaghi: quand'è che l'importanza dell'inadempimento è scarsa, avuto riguardo all'interesse della controparte?

A me pare che il criterio da seguire a questo proposito debba essere il seguente: la risoluzione non è da ammettersi quando l'inadempienza di una parte, pur provocando un danno al creditore, ,non impedisce la realizzabilità dell'intento perseguito dalle parti con il contratto. Di conseguenza l’interesse di cui parla l’art. 1455 non ha da valutarsi in sè e per sè, cioè astrattamente, bensì, in relazione a ciò che le parti si pro­posero nell'assumersi le rispettive obbligazioni.

Così, trattandosi di mora debendi, la gravità del ritardo si avrà quando, per effetto di esso, è notevolmente scemata l'utilità della prestazione per il creditore, in vista dello scopo che si era proposto stipulando il contratto.

Trattandosi di inesatto adempimento, avranno da tenersi presenti tanto le circostanze anteriori, quanto quelle posteriori alla scadenza del termine di prestazione (es., variazione dei prezzi di mercato) e potrà parlarsi di grave inadempimento quando si è verificata una notevole alterazione, a danno del creditore, di quel rapporto di corrispettività tra gli arricchimenti che costituisce il contenuto della volontà causale delle parti contraenti.

Trattandosi di obbligazioni ad esecuzione continuata o periodica, l'inadempienza, quale presupposto per la risoluzione, dovrà essere tale da menomare la sicurezza di ottenere le successive prestazioni: questo criterio è dato di ricavare dall'art. 1564, in tema di somministrazione.

La norma contenuta nell'art. 1455 si ispira al principio generale, seguito dal nuovo codice, della conservazione dei rapporti contrattuali nei casi in cui questi potrebbero cadere in forza di cause, previste dalla legge, determinanti un pregiudizio attuale o potenziale di una delle parti, quando un tale pregiudizio venga rimosso o evitato, oppure non sia rilevante: un tale principio, che assicura il normale svolgimento dei rapporti contrattuali e che poggia, a sua volta, su di un altro principio (quello della buona fede contrattuale: 1367 e 1375), trova la sua concreta espressione in numerose disposizioni, di cui le più notevoli sono quelle contenute negli articoli 1432, 1450, 1455, 1467-1468, 1525, 1564.


In quali casi non ha da trovare applicazione l'art. 1455

Le parti contraenti possono, peraltro, stabilire che la violazione di un dato obbligo, o anche che una qualunque inesattezza o ritardo nell'adempimento, sia da ritenersi come grave inadempimento, e ciò per evitare ogni discussione sull'importanza o meno dell'inadempimento stesso; il che equivale a stabilire che per la risolubilità del contratto non sia necessario il requisito della gravità dell'inadempimento: patto questo che, a mio avviso, è da ritenersi pienamente valido ex art. 1322, dato il carattere non cogente dell'art. 1455, e data la formulazione dell'art. 1456, da cui si può dedurre con sicurezza che la clausola risolutiva espressa viene ad escludere l'applicabilità, in tale ipotesi, dell'articolo 1455.

Se appunto nel caso di clausola risolutiva espressa è ammesso testualmente dal legislatore che le parti possono esse stesse valutare a priori la gravità dell'inadempimento, tanto che esse possono stabilire che «il contratto abbia a risolversi nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite», qualunque siano queste modalità e quindi anche se si tratti di modalità puramente accidentali, è segno che la legge concede a questo proposito un'ampia autonomia alla volontà delle parti.

Pertanto, deve concludersi che l'art. 1455 ha da trovare applicazione solo nelle seguenti forme di risoluzione:
a) risoluzione giudiziale (1453),
b) risoluzione per volontà privata unilaterale (1454)
c) risoluzione per scadenza del termine essenziale (1457), e sempre che le parti non abbiano disposto diversamente.


Collegamento dell'art. 1455 con l'ultimo comma dell'art. 1453

E’ di per sè evidente che la disposizione contenuta nell'ultimo comma dell'art. 1453 («dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione») non può trovare applicazione nel caso in cui l'inadempimento del debitore abbia scarsa importanza ex art. 1455.

Infatti, se il giudice accertasse che l'inadempimento del debitore ha scarsa importanza, esso dovrà respingere la domanda di risoluzione proposta dal creditore (e se l'attore avesse proposto in via subordinata, anche domanda di adempimento, il giudice condannerà il convenuto all’adempimento stesso).

Ma è chiaro che, in tale caso, nella determinazione del periodo di mora del debitore avrà pure da essere computato tutto il periodo di tempo decorso dalla notifica della domanda giudiziale sino al momento dell'adempimento effettivo con tutti gli effetti relativi [risarcimento dei danni (1223, 1225-1229) e sopportazione del rischio per l'impossibilità sopravvenuta della prestazione (1221)].

Per evitare questo inconveniente, il debitore può, durante tutto il periodo di pendenza del giudizio, offrire al creditore (sia pure con atto non formale) l’adempimento della sua prestazione per l’eventualità in cui la domanda di risoluzione proposta dal creditore abbia ad essere respinta ex art. 1455.

Se il Giudice accoglierà la domanda di risoluzione dell’attore, quell'offerta tardiva del debitore non potrà avere effetto di sorta; se invece il Giudice respingerà la domanda di risoluzione per scarsa importanza dell’inadempimento, quell’offerta verrà a produrre tutti i suoi effetti sin dal momento in cui essa è stata effettuata e la mora debendi s’intenderà cessata dal momento stesso di quella offerta.

Collegando l’art. 1455 con la disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 1453, si può porre il seguente principio: il potere del _debitore inadempiente di adempiere dopo la domanda di risoluzione proposta dall’attore, e per tutta la durata del giudizio, è sottoposto alla condizione sospensiva del rigetto della domanda stessa per scarsa importanza ex art. 1455.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

230 Si riproduce, nell'art. 254, la sostanza dell'art. 47 cpv. del progetto del 1936, secondo il quale la risoluzione del contratto non può pronunciarsi quando l'inadempimento di una delle parti è di scarsa importanza.
Volendo, però, meglio precisare, ho previsto che l'inadempienza dalla quale può scaturire la risoluzione deve riferirsi ad obbligazioni che abbiano rilevanza notevole nell'economia del rapporto, avuto riguardo all'interesse dell'altra parte quale risulta dall'interpretazione del contratto: così ho ricondotto la sanzione dello scioglimento del contratto sotto una regola di proporzionalità, che non considera rilevante la inadempienza ad obbligazioni qualificabili come accessorie. Questa regola, sviluppa e chiarisce l'art. 253, perché vi si prevede la risoluzione del contratto per i soli inadempimenti ad obbligazioni assunte in corrispettivo di una prestazione dell'altro contraente; ed è chiaro che non v'è sinallagma se non tra prestazioni di importanza uguale.

Massime relative all'art. 1455 Codice Civile

Cass. civ. n. 40325/2021

L'art. 1455 c.c. trova applicazione anche nel caso di previa diffida ad adempiere, ex art. 1454 c.c..

Cass. civ. n. 19579/2021

Nella valutazione della gravità dell'inadempimento di un contratto, vanno preliminarmente distinte le violazioni delle obbligazioni costitutive del sinallagma contrattuale, che possono essere apprezzate ai fini della valutazione della gravità di cui all'art. 1455 c.c., rispetto a quelle che incidono sulle obbligazioni di carattere accessorio, che non sono idonee, in sé sole, a fondare un giudizio di gravità dell'inadempimento, potendosi darsi rilievo alla violazione degli obblighi generali di informativa ed avviso imposti dalla cd. buona fede integrativa soltanto in presenza di un inadempimento grave incidente sul nucleo essenziale del rapporto giuridico, ovvero di una ipotesi di abuso del diritto da parte di uno dei paciscenti.

Cass. civ. n. 12182/2020

In materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell'inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell'art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito.

Cass. civ. n. 6675/2018

Non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorché il giudice, qualificando giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti da questa posti a fondamento della domanda, le attribuisca un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello richiesto, sicché, proposte reciproche domande di risoluzione per inadempimento contrattuale, non pronunzia "ultra petita" il giudice che dichiari risolto il contratto per impossibilità sopravvenuta di esecuzione derivante dalle scelte risolutorie di entrambe le parti ex art. 1453, comma 2, c.c., ancorché le due contrapposte manifestazioni di volontà non configurino un mutuo consenso negoziale risolutorio. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BARI, 16/03/2015).

Cass. civ. n. 4022/2018

La gravità dell'inadempimento ai sensi dell'art. 1455 c.c. va commisurata all'interesse che la parte adempiente aveva o avrebbe potuto avere alla regolare esecuzione del contratto e non alla convenienza, per detta parte, della domanda di risoluzione rispetto a quella di condanna all'adempimento. (Nella fattispecie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale - sul presupposto che la richiesta pronuncia, annullando gli sforzi compiuti per comporre la lite, non corrispondesse all'interesse della parte istante - aveva respinto la domanda di risoluzione di una transazione).

Cass. civ. n. 14011/2017

L'adempimento successivo alla proposizione della domanda di risoluzione del contratto non ne arresta gli effetti, ma deve essere preso in esame dal giudice nella valutazione dell'importanza dell'inadempimento, potendo condurre ad escluderne la gravità e, quindi, a rigettare la suddetta domanda.

Cass. civ. n. 6401/2015

In materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell'inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell'art. 1455 cod. civ., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. (Omissis).

Cass. civ. n. 22346/2014

In tema di risoluzione per inadempimento, il giudice, per valutarne la gravità, deve tener conto di un criterio oggettivo, avuto riguardo all'interesse del creditore all'adempimento della prestazione attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, nonché di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell'una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell'altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuarne l'intensità. (Omissis).

Cass. civ. n. 20182/2013

Ai fini della pronuncia di risoluzione del contratto, nella valutazione della gravità dell'inadempimento ai sensi dell'art. 1455 c.c. il giudice deve tenere conto, ai sensi dell'art. 1227, comma primo, c.c., delle circostanze che avrebbero ridotto le conseguenze dell'inadempimento e che la parte non inadempiente conosceva o avrebbe potuto conoscere con l'ordinaria diligenza. (Nel caso di specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la risoluzione del contratto di viaggio turistico per la non gravità dell'inadempimento del tour operator, in quanto pur se egli non aveva adeguatamente informato il genitore circa la necessità per il figlio undicenne del passaporto per potersi recare in Marocco, tale necessità poteva evincersi agevolmente dal certificato di nascita in possesso del minore, dal quale il Marocco non risultava tra i Paesi verso i quali tale documento autorizzava l'espatrio).

Cass. civ. n. 14649/2013

La gravità dell'inadempimento, ai sensi dell'art. 1455 c.c., è condizione dell'azione di risoluzione e, in quanto tale, deve esistere al momento della decisione e non necessariamente al momento della proposizione della domanda.

Cass. civ. n. 18500/2012

La circostanza che il conduttore in mora di un immobile ad uso non abitativo adempia la propria obbligazione dopo che il locatore abbia domandato la risoluzione del contratto, non può essere tenuta in considerazione al fine di stabilire se l'inadempimento il requisito della "gravità", di cui all'art. 1455 c.c.; al contrario, la circostanza che l'inadempimento del conduttore, non grave al momento della domanda di risoluzione proposta dal locatore, si aggravi in corso di causa, è rilevante ai fini dell'accoglimento della suddetta domanda di risoluzione.

Cass. civ. n. 22521/2011

In tema di risoluzione contrattuale per inadempimento, la valutazione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1455 c.c., della non scarsa importanza dell'inadempimento deve ritenersi implicita, ove l'inadempimento stesso si sia verificato con riguardo alle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto, ovvero quando, dal complesso della motivazione, emerga che il giudice lo abbia considerato tale da incidere in modo rilevante sull'equilibrio negoziale.

Cass. civ. n. 17328/2011

L'obbligo del giudice di merito di accertare il presupposto dell'importanza dell'inadempimento, richiesto dall'art. 1455 c.c., al fine della pronunzia di risoluzione del contratto, deve ritenersi osservato, anche in difetto di un'espressa indagine diretta all'individuazione di tale presupposto, allorquando dal complesso della motivazione emerga che il giudice abbia comunque considerato gli elementi che incidevano in maniera rilevante sull'equilibrio contrattuale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto grave l'inadempimento del promissario acquirente di un immobile, il quale, nonostante fossero decorsi sette anni dal termine fissato dalle parti per la stipula del contratto definitivo e fosse già immesso nel possesso del bene compromesso, non aveva ancora corrisposto il prezzo complessivo, provvedendo al pattuito accollo del mutuo acceso sull'immobile).

L'obbligo del giudice di merito di accertare il presupposto dell'importanza dell'inadempimento, richiesto dall'art. 1455 c.c., al fine della pronunzia di risoluzione del contratto, deve ritenersi osservato, anche in difetto di un'espressa indagine diretta all'individuazione di tale presupposto, allorquando dal complesso della motivazione emerga che il giudice abbia comunque considerato gli elementi che incidevano in maniera rilevante sull'equilibrio contrattuale. (Omissis).

Cass. civ. n. 15363/2010

In tema di contratti, il principio, sancito dall'art. 1455 c.c., secondo cui il contratto non può essere risolto se l'inadempimento ha scarsa importanza in relazione all'interesse dell'altra parte, va adeguato anche ad un criterio di proporzione fondato sulla buona fede contrattuale. Pertanto, la gravità dell'inadempimento di una delle parti contraenti non va commisurata all'entità del danno, che potrebbe anche mancare, ma alla rilevanza della violazione del contratto con riferimento alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura e alla finalità del rapporto, nonché al concreto interesse dell'altra parte all'esatta e tempestiva prestazione. (In applicazione, di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva dichiarato la risoluzione di un contratto di locazione per grave inadempimento del conduttore, che non aveva corrisposto nel termine pattuito i canoni, valutando non solo l'aspetto economico del dedotto inadempimento ma anche il comportamento complessivo del predetto in relazione all'interesse concreto del locatore al puntuale pagamento dei canoni, e ritenendo che tale comportamento avesse inciso in modo decisivo sull'economia complessiva del rapporto, tanto da determinare uno squilibrio nel sinallagma funzionale).

Cass. civ. n. 13208/2010

In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase; pertanto, l'apprezzamento della slealtà del comportamento della parte che invochi la risoluzione del contratto per inadempimento si ripercuote sulla valutazione della gravità dell'inadempimento stesso, nel caso in cui tale soggetto abusi del suo diritto potendo comunque realizzare il suo interesse senza ricorrere al mezzo estremo dell'ablazione del vincolo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva dichiarato risolto per morosità un contratto di locazione, senza tener conto che il locatore avrebbe potuto compensare il suo credito con il maggior debito esistente nei confronti del conduttore).

Cass. civ. n. 9314/2007

L'intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere di cui all'articolo 1454 c.c. e l'inutile decorso del termine fissato per l'adempimento non eliminano la necessità ai sensi dell'articolo 1455 c.c. dell'accertamento giudiziale della gravità dell'inadempimento in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine, secondo un criterio che tenga conto, sia dell'elemento oggettivo della mancata prestazione nel quadro dell'economia generale del contratto, sia degli aspetti soggettivi rilevabili tramite un'indagine unitaria sul comportamento del debitore e sull'interesse del creditore all'esatto e tempestivo adempimento. (Nella specie la S.C. ha escluso la gravità dell'inadempimento in relazione alla circostanza dell'offerta da parte della compratrice del prezzo alcuni giorni dopo la scadenza del termine e della mancanza di elementi da cui desumere che il decorso del termine fissato nella diffida comportasse la perdita dell'utilità economica perseguita con il contratto).

Cass. civ. n. 10127/2006

L'inosservanza di un termine non essenziale previsto dalle parti per la esecuzione di un'obbligazione contrattuale, pur impedendo la configurabilità della risoluzione di diritto, ai sensi dell'art. 1457 c.c. in mancanza di una diffida ad adempiere, non esclude la risolubilità del contratto, a norma dell'art. 1453 c.c., se si traduce in un inadempimento di non scarsa importanza e cioè se il ritardo, imputabile al debitore anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo, superi ogni ragionevole limite di tolleranza. Accertare quando il ritardo ecceda qualsivoglia limite di tollerabilità costituisce apprezzamento discrezionale del giudice del merito, che deve essere condotto in relazione all'oggetto e alla natura del contratto, al comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto e all'interesse dell'altro contraente; in particolare, con riferimento a tale ultimo elemento, il giudice deve accertare se il creditore abbia ancora interesse alla prestazione dopo un certo tempo, ovvero se egli sia danneggiato in modo irreparabile o rilevante dal ritardo della controparte, parzialmente o totalmente inadempiente.

Cass. civ. n. 7083/2006

Lo scioglimento del contratto per inadempimento salvo che la risoluzione operi di diritto consegue ad una pronuncia costitutiva, che presuppone da parte del giudice la valutazione della non scarsa importanza dell'inadempimento stesso, avuto riguardo all'interesse dell'altra parte. Tale valutazione viene operata alla stregua di un duplice criterio, applicandosi in primo luogo un parametro oggettivo, attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente ), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale ; l'indagine va poi completata mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell'una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell'altra ), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità, nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata.

Cass. civ. n. 5407/2006

Anche ai fini dell'accertamento della risoluzione di diritto, conseguente a diffida ad adempiere senza esito, intimata dalla parte adempiente, il giudice è tenuto comunque a valutare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell'inadempimento; in particolare, dovrà verificare sotto il profilo oggettivo che l'inadempimento sia non di scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall'art. 1455 c.c., e, sotto il profilo soggettivo, l'operatività della presunzione di responsabilità del debitore inadempiente fissata dall'art. 1218 c.c., la quale, pur dettata in riferimento alla responsabilità per il risarcimento del danno, rappresenta un principio di carattere generale.

Cass. civ. n. 3742/2006

Anche nel caso di inadempimento parziale, il giudizio sulla non scarsa importanza dell'inadempimento non può essere affidato solo alla rilevata entità della prestazione inadempiuta, rispetto al valore complessivo della prestazione, costituendo questa soltanto uno degli elementi di valutazione.

Cass. civ. n. 14034/2005

Il principio sancito dall'art. 1455 c.c., secondo cui il contratto non può essere risolto se l'inadempimento ha scarsa importanza in relazione all'interesse dell'altra parte, va adeguato anche ad un criterio di proporzione fondato sulla buona fede contrattuale. Pertanto, la gravità dell'inadempimento di una delle parti contraenti non va commisurata all'entità del danno, che potrebbe anche mancare, ma alla rilevanza della violazione del contratto con riferimento alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura e alla finalità del rapporto, nonché al concreto interesse dell'altra parte all'esatta e tempestiva prestazione (In applicazione del suindicato principio la S.C. ha rigettato il ricorso affermando che, con riferimento a contratto di appalto per la realizzazione e messa in opera di serramenti in base al quale la società appaltatrice si era obbligata, oltre che alla realizzazione e fornitura di serramenti, anche ad organizzare il collegamento col lavoro dell'impresa posatrice — da individuarsi a cura di essa appaltatrice, e a che la messa in opera dei serramenti seguisse alla consegna senza soluzioni di continuità — tale ulteriore prestazione essendo configurabile come servizio di mediazione offerto al cliente, correttamente il giudice di prime cure, indipendentemente dal valore oggettivo della prestazione non adempiuta dall'appaltatrice, aveva valutato come grave l'inadempimento di quest'ultima obbligazione, in quanto deludeva l'aspettativa della committente al conseguimento di un risultato completo, che la esonerasse dalla ricerca di un'impresa cui affidare il compito di porre in opera i serramenti, rimanendo a tale stregua valorizzata la volontà di entrambi i contraenti in relazione allo stipulato regolamento contrattuale, nonché l'interesse oggettivo della committente all'adempimento del complesso delle obbligazioni assunte dall'appaltatrice ).

Cass. civ. n. 24003/2004

Ai fini della risoluzione del contratto nel caso di parziale o inesatto adempimento della prestazione, l'indagine circa la gravità della inadempienza deve tener conto del valore complessivo del corrispettivo pattuito in contratto, determinabile mediante il criterio di proporzionalità che la parte dell'obbligazione non adempiuta ha rispetto ad esso, e non rispetto alla sola caparra. (Nella specie, relativa a compravendita immobiliare, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva considerato di non scarsa importanza il mancato pagamento di un terzo della caparra corrispondente all'importo di cinque milioni di lire).

Cass. civ. n. 9200/2004

Nei contratti a prestazioni corrispettive le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 di cui all'art. 1453 c.c. sono simmetriche, giacché, come non è consentito all'attore che abbia proposto domanda di risoluzione pretendere la prestazione avendo dimostrato di non avere più interesse al relativo adempimento anche per la parte di prestazione non ancora scaduta, così è vietato al convenuto di eseguire la prestazione dopo la proposizione della domanda di risoluzione e fino alla pronuncia giudiziale. Ne consegue che il perdurare dell'inadempimento nel corso del giudizio non può riflettersi negativamente sulla valutazione della gravità del comportamento pregresso, trasformando un inadempimento inizialmente «non grave» in un inadempimento «grave» e, perciò, tale da legittimare l'accoglimento della domanda di risoluzione. (La decisione impugnata, nel pronunciare la risoluzione del contratto preliminare di vendita chiesta dal promittente venditore, aveva ritenuto la gravità dell'inadempimento del promissario acquirente in considerazione delle rate di mutuo non pagate maturate nel corso del giudizio; la Corte ha cassato la sentenza, rilevando che la valutazione della gravità dell'inadempimento doveva essere compiuta con riferimento al comportamento tenuto dall'obbligato al momento della proposizione della domanda di risoluzione).

Cass. civ. n. 16579/2002

In materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell'inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive ai sensi dell'art. 1455 c.c. costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 15553/2002

In tema di risoluzione contrattuale, la valutazione della non scarsa importanza dell'inadempimento ai sensi e per gli effetti dell'art. 1455 c.c. — valutazione di puro merito, incensurabile, come tale, in sede di giudizio di legittimità se adeguatamente e correttamente motivata — deve ritenersi in re ipsa ove l'inadempimento stesso venga accertato con riguardo alle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto.

Cass. civ. n. 14527/2002

La purgazione della mora, successiva alla domanda di risoluzione insita nell'intimazione di sfratto, non è ostativa, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1453 c.c., all'accertamento della gravità del pregresso inadempimento nell'ambito del giudizio ordinario che a tal fine prosegua dopo il pagamento dei canoni scaduti da parte dell'intimato.

Cass. civ. n. 1773/2001

Lo scioglimento del contratto per inadempimento — salvo che la risoluzione operi di diritto — consegue ad una pronuncia costitutiva, che presuppone da parte del giudice la valutazione della non scarsa importanza dell'inadempimento stesso, avuto riguardo all'interesse dell'altra parte. Tale valutazione viene operata alla stregua di un duplice criterio, applicandosi in primo luogo un parametro oggettivo, attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in modo apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma negoziale; completandosi, poi, l'indagine mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell'una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dall'altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità, nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata.

Cass. civ. n. 9800/2000

Ai fini della risoluzione del contratto, la gravità dell'inadempimento deve essere valutata in relazione sia alla parte inadempiuta dell'obbligazione rispetto a questa nel suo complesso, sia alla sensibile alterazione dell'equilibrio contrattuale, ed il giudizio sulla importanza dell'inadempimento deve fondarsi su di un criterio idoneo a coordinare l'elemento obiettivo, rappresentato dalla mancata o inesatta prestazione nel quadro della esecuzione generale del contratto, con l'elemento soggettivo, consistente nell'interesse concreto della controparte alla esatta e tempestiva prestazione.

Cass. civ. n. 10844/1997

La risoluzione del contratto, anche se pronunciata nella ipotesi di integrale inadempimento dell'unica obbligazione oggetto del negozio, non può, comunque, prescindere dalla valutazione concreta dell'importanza dell'inadempimento dell'obbligato.

Cass. civ. n. 97/1997

Ai fini della risoluzione di un contratto non è di scarsa importanza l'inadempimento ad un'obbligazione che benché ulteriore rispetto a quelle tipiche di esso è, per volontà delle parti, collegata alle stesse con vincolo di corrispettività (nella specie obbligo di non rivendere la merce in determinati mercati).

Cass. civ. n. 3669/1995

La non scarsa importanza dell'inadempimento, che, nel giudizio di risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, deve essere verificata anche di ufficio dal giudice, trattandosi di elemento che attiene al fondamento stesso della domanda, deve essere accertata non solo in relazione alla entità oggettiva dell'inadempimento, ma anche con riguardo all'interesse che l'altra parte intende realizzare e sulla base di un criterio, quindi, che consenta di coordinare il giudizio sull'elemento oggettivo della mancata prestazione, nel quadro dell'economia generale del contratto, con gli elementi soggettivi e che, conseguentemente, investa, specie nei casi di inadempimento parziale, anche le modalità e le circostanze del concreto svolgimento del rapporto, per valutare se l'inadempimento in concreto accertato abbia comportato una notevole alterazione dell'equilibrio e della complessiva economia del contratto, e l'interesse dell'altra parte, quale è desumibile anche dal comportamento di questa, all'esatto adempimento nel termine stabilito. Ne consegue che, nel caso di inadempimento parziale, il giudizio della non scarsa importanza dell'inadempimento non può essere affidato solo alla rilevata entità della prestazione inadempiuta, rispetto al valore complessivo della prestazione, costituendo questa soltanto uno degli elementi di valutazione.

Cass. civ. n. 7937/1994

Ai fini della risoluzione del contratto, nell'ipotesi di solo ritardo nell'adempimento, l'importanza di esso, a norma dell'art. 1455 c.c., va stabilita, con riferimento al tempo del ritardo, non solo con riguardo alle oggettive finalità funzionali del negozio ma anche con riferimento all'interesse del creditore a ricevere la prestazione dopo un certo tempo ed al danno irreparabile o rilevante dallo stesso subito a causa del ritardo della controparte, parzialmente o totalmente inadempiente.

Cass. civ. n. 4630/1994

La parte contraente che di fronte all'inadempienza dell'altra, anziché ricorrere alla domanda di risoluzione (o all'eccezione di inadempimento), preferisce comunque dare esecuzione al contratto, dimostra con tale comportamento di attribuire scarsa importanza, nell'economia del negozio, all'inadempimento della controparte, con la conseguenza che non sussiste per la risoluzione del contratto il presupposto costituito dall'inadempimento di non scarsa importanza secondo il disposto dell'art. 1455 c.c.

Cass. civ. n. 1460/1994

La proposizione della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento comporta, a termini dell'art. 1453 c.c., la cristallizzazione, fino alla pronuncia giudiziale definitiva, delle posizioni delle parti contraenti, nel senso che come è vietato al convenuto di eseguire la sua prestazione (art. 1453 c.c.), così non è consentito all'attore di pretenderla, avendo dimostrato con la richiesta di risoluzione del contratto il proprio disinteresse all'adempimento anche per i pagamenti non ancora scaduti al momento della domanda. Con la conseguenza che il giudice potrà accertare se vi sia stato inadempimento imputabile al debitore soltanto con riguardo alle prestazioni già scadute, e non anche con riferimento a quelle ancora da scadere, rispetto alle quali il comportamento del debitore non è ancora suscettibile di valutazione in termini di adempimento-inadempimento.

Cass. civ. n. 6121/1993

Dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale di risoluzione del contratto per inadempimento dell'altra parte, e fino a quando non si sia formato il giudicato su questa domanda, il convenuto, sia nel caso che la predetta domanda debba considerarsi fondata sia in quello opposto, non può più adempiere efficacemente la propria obbligazione perché l'adempimento è espressamente «vietato» dall'art. 1453 c.c., senza distinzione e limiti di sorta; conseguentemente il giudice, nella valutazione della gravità dell'inadempimento, non può tenere conto del ritardo ulteriore dovuto alla durata del processo, ma deve decidere valutando la situazione cristallizzata al momento e per effetto della domanda di risoluzione.

Cass. civ. n. 9358/1991

Ai fini della determinazione della gravità dell'inadempimento, il giudice del merito può tenere conto anche del comportamento dell'inadempiente posteriore alla domanda di risoluzione del contratto, in considerazione del fatto che l'unità del rapporto obbligatorio, cui tutte le prestazioni inadempiute si riferiscono, non consente una valutazione frammentaria della condotta della parte inadempiente, per cui, quando nel corso del giudizio siano scadute le residue obbligazioni gravanti sull'inadempiente, occorre tener conto dell'integrale condotta di quest'ultimo ed operare una valutazione globale.

Cass. civ. n. 2979/1991

L'intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere di cui all'art. 1454 c.c. e l'inutile decorso del termine fissato per l'adempimento non eliminano la necessità dell'accertamento giudiziale della gravità dell'inadempimento ai sensi dell'art. 1455 c.c., che va effettuato con riguardo esclusivo alla situazione verificatasi alla scadenza del termine, e, nel caso di più e successive diffide, in riferimento a quella situazione determinatasi, anche in ragione delle relative motivazioni, alla scadenza del termine fissato con l'ultima di esse ed all'interesse della parte all'esatto e tempestivo adempimento.

Cass. civ. n. 1046/1990

Con riguardo alla disciplina della risoluzione per inadempimento dei contratti a prestazioni corrispettive, il disposto dell'art. 1455 c.c. pone una regola di proporzionalità in virtù della quale la risoluzione del vincolo contrattuale è collegata unicamente all'inadempimento delle obbligazioni che abbiano una notevole rilevanza nell'economia del rapporto, per la cui valutazione — che costituisce apprezzamento di fatto demandato istituzionalmente al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione esauriente ed immune da vizi logici — occorre tener conto dell'esigenza di mantenere l'equilibrio tra prestazioni di eguale peso, talché l'importanza dell'inadempimento non deve essere intesa in senso subiettivo, in relazione alla stima che la parte creditrice abbia potuto fare del proprio interesse violato, ma in senso obiettivo in relazione all'attitudine dell'inadempimento a turbare l'equilibrio contrattuale ed a reagire sulla causa del contratto e sul comune intento negoziale.

Cass. civ. n. 2879/1989

Ai fini della determinazione della gravità dell'inadempimento, quale presupposto essenziale per la risoluzione del contratto a norma dell'art. 1455 c.c., deve effettuarsi un'indagine unitaria coinvolgente tutto il comportamento del debitore, desumibile dalla durata della mora e dal suo eventuale protrarsi, nonché una valutazione oggettiva della ritardata o mancata prestazione con riferimento all'interesse dell'altra parte all'esatto adempimento. Ne consegue che, in caso di unica vendita di un lotto di più appartamenti (cinque), senza distinzione o imputazione di prezzo alle singole unità immobiliari, l'inadempimento, di non scarsa importanza, da parte dell'acquirente dell'obbligazione di pagare il prezzo (nella specie, attraverso l'estinzione del mutuo accollato) comporta la risoluzione del contratto, senza che dalla circostanza che quell'inadempimento sia costituito dal pagamento parziale del prezzo possa derivare l'efficacia della vendita per alcune singole porzioni immobiliari.

Cass. civ. n. 6643/1987

Poiché la gravità dell'inadempimento, in base al combinato disposto degli artt. 1453, primo comma, e 1455 c.c., costituisce la premessa necessaria della pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto, la legittimità o illegittimità del rifiuto, opposto alla offerta di adempimento tardivo dal contraente che in quel momento, nella sua libera determinazione, non abbia ancora proposto la domanda di risoluzione, deve essere accertata nel giudizio di risoluzione instaurato da detto contraente successivamente al rifiuto stesso. Pertanto, il giudice, al fine di stabilire, ai sensi dell'art. 1455 c.c., se sussistono oppure no gli estremi dell'inadempimento di non scarsa importanza, ossia grave, non può omettere di valutare l'offerta di adempimento intervenuta anteriormente alla proposizione della domanda di risoluzione.

Cass. civ. n. 4526/1987

L'adempimento effettuato dopo la domanda di risoluzione del contratto, pur non arrestando gli effetti di tale domanda, deve essere, tuttavia preso in esame dal giudice al fine della valutazione dell'importanza dell'inadempimento, potendo esso costituire circostanza decisiva a rendere l'inadempimento di scarsa importanza con diretta influenza sulla risolubilità del contratto, ai sensi dell'art. 1455 c.c.

Cass. civ. n. 3353/1986

Il giudice chiamato a pronunciarsi sulla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento deve proporsi d'ufficio il problema della gravità dell'inadempimento ed è tenuto ad indicare, qualora accolga la domanda, il motivo per cui, nel caso concreto, ritiene che l'inadempimento non sia di scarsa importanza in relazione all'interesse della controparte, tenendo conto che anche l'inadempimento totale dell'unica prestazione dedotta nel contratto non può considerarsi in senso assoluto ed automatico come determinante della risoluzione del contratto stesso.

Cass. civ. n. 3438/1985

La proposizione della domanda di risoluzione di un contratto ad esecuzione continuata o periodica — quale il contratto di affittanza agraria — non esonera il conduttore o l'affittuario dal regolare pagamento del corrispettivo nel corso del giudizio, con la conseguenza che, al fine di determinare la sussistenza e la gravità dell'inadempimento, il giudice non deve aver riguardo solo alla situazione esistente al momento dell'introduzione della lite, ma può trarre elementi di convincimento anche da successivi omessi pagamenti dei canoni maturati nel corso del giudizio stesso.

Cass. civ. n. 4014/1983

Ai fini della determinazione della gravità o meno dell'inadempimento, il giudice del merito può tenere conto anche del comportamento dell'inadempiente posteriore alla domanda di risoluzione del contratto, ma l'unità del rapporto obbligatorio, cui tutte le prestazioni inadempiute si riferiscono (sia la loro esecuzione avvenuta prima ovvero dopo l'indicata domanda), non consente una valutazione frammentaria della condotta della parte inadempiente, per cui, quando nel corso del giudizio siano scadute tutte le residue obbligazioni gravanti sull'inadempiente, occorre tener conto dell'integrale condotta di quest'ultimo ed operare una valutazione globale.

Cass. civ. n. 3969/1983

Ai fini della risoluzione del contratto, nel caso di parziale o inesatto adempimento di una prestazione, l'indagine circa la gravità dell'inadempienza deve tener conto del valore — determinabile mediante il criterio di proporzionalità — che la parte dell'obbligazione non adempiuta ha rispetto al tutto, nonché considerare se per effetto dell'inadempimento si sia verificata ai danni della controparte una sensibile alterazione dell'equilibrio contrattuale, estendendosi altresì, in ipotesi di deduzione di inadempimenti reciproci, ad una valutazione comparativa del comportamento dei contraenti, con riferimento ai rapporti di proporzionalità e causalità delle rispettive inadempienze, allo scopo di individuare la parte responsabile dell'esito non regolare del contratto, senza rilievo per le situazioni meramente psicologiche delle parti.

Cass. civ. n. 4014/1978

L'atto di diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. consente al contraente adempiente di conseguire lo stesso risultato della risoluzione di diritto, mediante la sua notificazione all'altro contraente. Tale atto unilaterale e recettizio ha la funzione di fissare immediatamente le reciproche posizioni contrattuali e non impone al giudice il potere-dovere di stabilire se, nell'ambito oggettivo della norma contenuta nell'art. 1455 del c.c., l'inadempimento del diffidato sia di scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse del diffidante, ma, unicamente, di esaminare se le prestazioni rimaste inadempiute siano imputabili — a titolo di colpa contrattuale — alla parte diffidata.

Cass. civ. n. 635/1978

Qualora un pagamento non sia stato effettuato nel termine previsto nel contratto, ben può il giudice del merito pronunciare la risoluzione per inadempimento, dopo avere valutato la gravità dello stesso, anche se la parte adempiente non abbia effettuato la costituzione in mora né la diffida ad adempiere.

Cass. civ. n. 76/1976

Il principio stabilito dall'art. 1181 c.c. (facoltà del creditore di rifiutare un adempimento parziale) e la regola dettata dall'art. 1455 c.c. (importanza dell'inadempimento, ai fini della risoluzione), operano in due sfere autonome, attenendo il primo al potere del creditore di rifiutare la prestazione parziale e di agire, quindi, per il conseguimento dell'intero, e la seconda al potere del contraente di ottenere la risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive, nel caso di inadempienza di non lieve entità dell'altra parte. Pertanto, il legittimo rifiuto dell'adempimento parziale, non può costituire elemento giustificativo della risoluzione del contratto, se l'inadempimento sia di scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra parte.

Cass. civ. n. 887/1975

Non è necessaria l'indagine sull'importanza dell'inadempimento, richiesta dall'art. 1455 c.c. ai fini della risoluzione del contratto, quando l'inadempimento sia totale.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1455 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. L. M. chiede
mercoledì 08/02/2023 - Toscana
“Acquisto auto 4 febbraio 2022 oggi (7 febbraio 2023) il concessionario mi invia le foto tramite whatsapp che la macchina è in concessionaria. Io non voglio più ritirare la macchina, perché è trascorso più di un anno. Posso non ritirarla senza incorrere in pagamento di penali? Come devo muovermi? Io telefonicamente avevo riferito al venditore che se non fosse arrivata entro il 1 ottobre 2022, dopo diversi rinvii, non l'avrei più ritirata.
Allego ordine di acquisto.”
Consulenza legale i 27/03/2023
Dalla lettura delle condizioni generali di vendita è emerso quanto segue:
  1. il contratto di compravendita dell’auto è stato effettivamente concluso in data 04/02/2022;
  2. l’art. 6.1 delle condizioni generali di vendita stabilisce che “il termine di consegna è quello indicato dal venditore nell’ordine di acquisto e nel caso in cui tale termine non fosse stato indicato quello di 365 giorni dall’accettazione dell’ordine da parte del venditore” (che risulta anch’essa in data 04/02/2022);
  3. ai sensi dell’art. 3.2 delle medesime condizioni generali di vendita, “l’acquirente ha facoltà di recedere dal contratto nel caso che il ritardo nella consegna del veicolo sia superiore a 60 giorni dal termine di consegna previsto dal contratto, inviando comunicazione scritta del recesso al Venditore entro il termine di 7 giorni successivi al 60° giorno di ritardo. La comunicazione di recesso deve essere spedita con lettera raccomandata a/r a [...] oppure tramite PEC [...]. È consentita la comunicazione di recesso con telegramma Fax o altro mezzo scritto nel predetto termine di 7 giorni, purché confermata con raccomandata a/r nelle 48ore successive. La data di spedizione è quella di consegna all’ufficio postale accettante e deve risultare dal timbro apposto dal medesimo. Il recesso del cliente una volta esercitato nel rispetto dei termini e delle condizioni che precedono, comporta la risoluzione del contratto per entrambi le parti. Il venditore è obbligato a restituire all’acquirente nei 30 giorni successivi al ricevimento della comunicazione di recesso, tutte le somme versate, inclusa la caparra confirmatoria”.
Pertanto, non vi sarebbero i presupposti per l’esercizio di tale particolare ipotesi di recesso, espressamente prevista nel contratto.


Poiché siamo di fronte a un contratto tra consumatore e professionista, corre l’obbligo di esaminare anche il disposto dell’art. 61 del codice consumo. Tale norma impone al professionista di “consegnare i beni al consumatore senza ritardo ingiustificato e al più tardi entro trenta giorni dalla data di conclusione del contratto”, facendo però espressamente salva l’eventuale “diversa pattuizione delle parti del contratto di vendita”.

Sarebbe teoricamente prospettabile una ordinaria azione di risoluzione del contratto per inadempimento, in cui però l’acquirente avrebbe l’onere di provare la “non scarsa importanza” dell’inadempimento medesimo, ex art. 1455 del c.c.; il che potrebbe non essere agevole, soprattutto considerando il fatto che l’ampio termine annuale previsto in contratto è stato superato solo di pochi giorni.

Va anche rilevato che, sempre ai sensi del cit. art. 6.1 delle condizioni generali di contratto, “entro 8 (otto) giorni dall’avviso del venditore, dato in qualsiasi forma, che l’autoveicolo (identificato con il numero di telaio) è disponibile presso il venditore, l’acquirente deve provvedere al ritiro previa effettuazione del pagamento del prezzo. Decorsi otto giorni, il mancato ritiro del veicolo comporterà la risoluzione di diritto del contratto per inadempimento dell’acquirente e la somma versata di cui al precedente articolo 2 resterà acquisita dal venditore a titolo di penale, salvo il diritto al risarcimento al maggior danno”.


Alla luce di quanto sopra evidenziato, si consiglia di prendere contatto con un legale al fine di concordare i passi da compiere (ivi compresa la ricerca di un eventuale accordo transattivo con il venditore).

LUIGI O. chiede
lunedì 20/04/2020 - Lazio
“Avvocato, un locale è affittato per la vendita di abbigliamento.
Il gestore non paga da diversi mesi il canone.
Da prima del coronavirus.
Con la situazione attuale i tempi si allungano.
Come poter recuperare il dovuto quanto possibile?
Grazie”
Consulenza legale i 23/04/2020
In materia di locazione ad uso abitativo, la valutazione in merito alla gravità dell’inadempimento è predeterminata dal legislatore negli artt. 5 e 55 della legge n.392/78.
Invece, in ipotesi di locazione commerciale (come nella presente vicenda) in caso di mancato pagamento dei canoni occorre valutare la gravità dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c.
Tale impostazione è costante nella giurisprudenza sia di legittimità che di merito.
Ad esempio, già nella risalente sentenza della Corte di Cassazione n.8076/2002 si era statuito che “la risoluzione del contratto di locazione a uso commerciale per mancato pagamento di canoni e/o oneri accessori, può aversi solo con riferimento ad inadempimenti tali da rompere l’equilibrio contrattuale, tenuto conto del complessivo comportamento osservato dal conduttore” .
Più recentemente, con la sentenza n. 3966 del 2019 la Suprema Corte ha ribadito che: “per il tipo contrattuale della locazione per uso diverso dall'abitazione resta operante il criterio della non scarsa importanza dell'inadempimento stabilito dall'art. 1455 c.c., nulla peraltro impedendo che il mancato pagamento del canone, pur ponendosi in contrasto con una delle obbligazioni principali del conduttore, possa, per il concorso di determinate circostanze, da apprezzare discrezionalmente dal giudice di merito, essere valutato ai sensi dell'art. 1455 c.c., come un inadempimento di scarsa importanza, come tale non idoneo a provocare la risoluzione” .

Ciò posto, la procedura speciale per intimare lo sfratto per morosità è quella prevista dagli articoli 658 e seguenti del codice di procedura civile.
Ai sensi dell’art. 664 c.p.c. al giudice adito può essere richiesta contestualmente anche l’emissione di decreto ingiuntivo per l'ammontare dei canoni scaduti e da scadere fino all'esecuzione dello sfratto, e per le spese relative all'intimazione.
Per quanto riguarda le tempistiche, occorre tenere presente che tra la data di notifica dell’intimazione e quella della prima udienza devono intercorrere non meno di venti giorni liberi (art. 660 c.p.c.).
Il conduttore potrà comunque fare opposizione ai sensi dell’art. 665 c.p.c.
In tal caso, si aprirà quindi una nuova fase del procedimento cui potranno seguire svariate udienze.
Teniamo presente che se l’opposizione non è comunque fondata su prova scritta, “il giudice, su istanza del locatore, se non sussistono gravi motivi in contrario, pronuncia ordinanza non impugnabile di rilascio, con riserva delle eccezioni del convenuto.” In tal caso però non verrà concesso il decreto ingiuntivo e bisognerà quindi aspettare l’esito del giudizio per avere un titolo di condanna al pagamento del dovuto.

Nella attuale situazione di epidemia da Corona virus non è ancora dato sapere quale sarà la posizione della giurisprudenza in caso di mancato pagamento dei canoni a fronte di negozi chiusi per disposizioni governative.
A titolo di esempio, alcune delle possibili interpretazioni potrebbero essere:
1) impossibilità parziale sopravvenuta, prevista dall'art. 1464 c.c.;
2) eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell'art. 1467 c.c.;
3) impossibilità temporanea di adempiere alla propria obbligazione di cui all'art. 1256 c.c.

Ciò posto, in risposta al quesito possiamo affermare quanto segue.

Leggiamo che la morosità era iniziata vari mesi prima della situazione di epidemia da Coronavirus.
Dunque il conduttore, se non altro per la pregressa morosità, non potrà argomentare di non aver pagato il canone a causa della chiusura forzata del negozio.
Se si tratta quindi di morosità per svariati canoni è molto probabile che l’inadempimento venga considerato grave dal giudice che quindi convaliderà lo sfratto o, per lo meno (in caso di opposizione), darà una ordinanza provvisoria di rilascio.
Pertanto, se la finalità è quella di riottenere anche l'immobile (oltre la condanna al pagamento dei canoni) potrà essere azionata la procedura di sfratto sopra descritta ed essere richiesto il decreto ingiuntivo per i canoni scaduti e non pagati oltre a quelli in scadenza fino all’effettivo rilascio.
Teniamo comunque presente che riguardo i canoni scaduti a partire dalla chiusura forzosa del negozio a seguito dell’epidemia, il conduttore potrà sostenere una (o altre) delle sopra indicate argomentazioni al fine di ottenere una riduzione e/o sospensione del pagamento del canone fino a che perduri l’emergenza sanitaria.

VINCENZO B. chiede
domenica 04/08/2019 - Lazio
“OGGETTO : Sospensione mensilità del canone di locazione del conduttore, per motivi di forza maggiore che esulano dalla sua diretta responsabilità-

PREMESSO:
- che il contratto di locazione è per uso diverso, attività commerciale di affittacamere, regolarmente autorizzato dalle autorità competenti.
- che nel contratto viene menzionato, che non potrà essere sospeso per nessun motivo il canone di locazione.
- che il locatore è in possesso di fideiussione a garanzia di 6 mesi di canone di locazione

ENTRANDO NEL MERITO DELLA QUESTIONE:
- per dei canoni condominiali erroneamente contabilizzati dall’amministratore e di cui ho sempre contestato la legittimità della spesa, il locatore ha pagato gli oneri e fatto emettere ingiunzione dal giudice di cui poi ho proposto ricorso.
- il locatore ha poi presentato l’ingiunzione alla banca, determinando così il blocco del conto corrente.
- il blocco del conto ha annullato la gestione dell’attività commerciale, i pagamenti fiscali e anche il pagamento della locazione.

L’ingiunzione prevedeva il pagamento di 5000 € + il 50% previsto dall’ingiunzione = un blocco del conto per 7500 €
( hanno trovato sul conto corrente solo 2500 € quindi devo versare 5000 € per superare la soglia dell’ingiunzione e richiedere lo sblocco del conto )

CONSIDERAZIONE:
- non posso pagare il canone di locazione perché il locatore con la sua azione ha bloccato la possibilità di adempiere al pagamento.
- non posso versare contante 5000 € sul conto corrente, perché dovrei motivare all’Agenzia delle Entrate, con il rischio di trovarmi multato per denaro in nero.

CONCLUSIONE:
- per coprire l’ammontare della fideiussione e sbloccare il conto, devo procedere con la sola attività di affittacamere ( pagamento pos )

DOMANDA A LEI AVVOCATO:

1 POSSO SOSPENDERE 1 o 2 MENSILITA’ DI CANONE DI LOCAZIONE PER MOTIVI DI FORZA MAGGIORE E POSTICIPARE IL PAGAMENTO SOLO DOPO AVER SBLOCCATO IL CONTO ?
2 OPPURE SEGNALARE AL LOCATORE DI UTILIZZARE LA FIDEJUSSIONE IN SUO POSSESSO ?
3 IN ENTRAMBI I CASI POSSO ESSERE SOGGETTO AD ESECUZIONE DI SFRATTO ?

Si rimane in attesa di riscontro
Distinti saluti”
Consulenza legale i 09/08/2019
Una risposta precisa e perfettamente aderente al caso di specie richiederebbe la conoscenza dell’esatto contenuto sia del contratto di locazione che del contratto di fideiussione stipulato a garanzia del primo.
Unici elementi a disposizione, desumibili dal testo del quesito, sono:
  1. la presenza di una clausola del contratto di locazione che vieta la sospensione del canone per qualunque ragione;
  2. l’esistenza di una garanzia fideiussoria in grado di coprire fino a sei mesi di canone non pagato.

La Corte di Cassazione in diverse occasioni si è occupata di casi in cui il conduttore decide unilateralmente di sospendere il pagamento del canone ovvero di ridurne la misura, affermando il principio secondo cui la sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore può considerarsi legittima soltanto qualora venga a mancare del tutto la controprestazione da parte del locatore, ossia l’utilizzabilità integrale dell’immobile dato in locazione (così, tra le altre, Cass. 24799/2008; Cass. n. 18987 del 27/09/2016; Cass. n. 11783 del 12 maggio 2017 e nella giurisprudenza di merito Tribunale di Milano sentenza n. 10739/2016; Tribunale di Pisa sentenza n. 1340 del 2 novembre 2016).

Tale tesi, peraltro, è perfettamente aderente alla causa del contratto in oggetto, consistente nel pagamento di un corrispettivo a fronte dell’uso di un determinato bene, mobile o immobile, con la conseguenza che, finquando il locatore adempie alla sua obbligazione di tenere il bene locato a disposizione del locatario, quest’ultimo sarà obbligato ad adempiere alla prestazione che gli compete.
Si potrebbe, in effetti, discutere della piena legittimità di una clausola del tipo di quella contenuta nel contratto di specie, in quanto la stessa di certo non potrebbe essere invocata, come afferma la giurisprudenza, nel caso in cui l’immobile locato sia del tutto inutilizzabile.

D’altro canto, è anche certo che le difficoltà economiche temporanee del conduttore, da qualunque causa esse derivino, non possono costituire giusta causa per sospendere unilateralmente e temporaneamente la sua controprestazione, a meno che le parti (conduttore e locatore) non raggiungano un espresso accordo in tal senso, accompagnato da un concreto piano di rientro e risultante da una formale scrittura privata.
Potrebbe prospettarsi al locatore che una pattuizione di tale tipo non lo danneggerebbe, ma anzi potrebbe anche essere rivolta a suo vantaggio, in quanto dallo stesso utilizzabile in giudizio per dimostrare più agevolmente la morosità del conduttore e così ottenere in tempi più brevi un provvedimento di rilascio, unitamente ad una ingiunzione al pagamento dei canoni non versati.

Dall’altro lato, anche il conduttore potrebbe beneficiare del fatto di aver indirizzato al locatore una proposta di dilazione avente il contenuto sopra detto, e ciò per il caso in cui il locatore si decidesse a non prestare il suo consenso, attivando senza alcuna esitazione la procedura di rilascio per morosità.
Infatti, a differenza delle locazioni aventi ad oggetto immobili di tipo abitativo, per la locazione di immobile adibito ad uso commerciale la valutazione dell’importanza dell’inadempimento del conduttore non può prescindere da quelli che sono i comuni criteri sanciti dall’art. 1455 c.c., con la conseguenza che la risoluzione del contratto di locazione a uso commerciale per mancato pagamento di canoni può aversi solo con riferimento a inadempimenti tali da rompere l'equilibrio contrattuale instauratosi tra le parti, tenuto conto del complessivo comportamento osservato dal conduttore, nonché della durata contrattuale (in tal senso Cassazione civ. n. 8076/2002; Corte di Appello di Napoli n. 1727 del 6 maggio 2015).

Il mancato pagamento di pochi canoni di locazione, a fronte del corretto adempimento contrattuale pregresso del conduttore non può, pertanto, determinare la risoluzione contrattuale e l’intimazione del conseguente sfratto per morosità, dovendosi qualificare come lieve (e non grave) inadempimento contrattuale.
A supportare tale carattere lieve si aggiungerebbe, come detto prima, la volontà manifestata dallo stesso conduttore di non voler sfuggire al pagamento di ciò che gli compete, volontà che può farsi desumere dall’accordo che si suggerisce di concludere con il locatore, nonché dalla sussistenza di una garanzia fideiussoria in grado di coprire fino a sei mesi di canone non pagato.

Trattasi di elementi che, considerati nel loro insieme, dovrebbero essere valutati da un giudice quale manifestazione di buona fede contrattuale, inducendolo a non pronunciare un provvedimento di sfratto per morosità, in considerazione anche del fatto che intimare uno sfratto per morosità a fronte di un lieve inadempimento, potrebbe avere l’effetto riflesso di produrre gravi danni economici all’intimato, il quale si troverebbe costretto a dover lasciare l’immobile commerciale locato subendo gravi perdite economiche (aspetto questo che, se necessario, si suggerisce di evidenziare in un eventuale giudizio).

Per quanto concerne l’idea di invitare il locatore ad avvalersi della garanzia fideiussoria per il tempo occorrente ad ottenere lo sblocco del conto bancario, va detto che, per poter rispondere a tale domanda, è necessario verificare se nel contratto di fideiussione è presente quella clausola che prevede la c.d.escussione a prima richiesta (trattasi di clausola normalmente presente nelle assicurazioni bancarie).
Infatti, se tale clausola è presente nel contratto, il fideiussore sarà obbligato a pagare il canone di locazione non appena il locatore ne fa richiesta scritta (in tal caso, dunque, quell’idea potrebbe trovare attuazione); se, al contrario, non è presente una clausola di tale tipo, il terzo fideiussore non sarà tenuto a risarcire il locatore prima dell’avvio di un procedimento di rilascio forzato nei confronti del conduttore (al quale, dunque, non può sfuggirsi).

Un’ultima considerazione si vuole a questo punto fare: considerato che si ha intenzione di estinguere il debito per il quale è stato eseguito un pignoramento presso terzi, con blocco del conto corrente (sul quale è stata però rinvenuta una somma inferiore a quella che si aveva richiesto di pignorare) e considerato che chi pone il quesito sembra avere intenzione di soddisfare il debito, forse la soluzione migliore per godere in breve tempo della disponibilità economica del conto corrente sarebbe quella di estinguere transattivamente il debito per il quale si è proceduto a pegno, eseguendo il pagamento mediante remissione al creditore di un assegno circolare dell’importo di 5000 euro.
A quel punto il creditore potrebbe rinunciare al pignoramento, notificando tale rinuncia alla banca, la quale potrà così provvedere allo sblocco del conto corrente.


Simone chiede
mercoledì 01/08/2012 - Sicilia
“Gentili Signori,
nel contratto di locazione che ho firmato c'è la seguente clausola: IL SOLO FATTO DEL MANCATO PAGAMENTO TOTALE O PARZIALE DEL CANONE DI LOCAZIONE MENSILE OLTRE IL TERMINE DI GIORNI DIECI DALLA CONVENUTA SCADENZA, COME SOPRA SPECIFICATA (il cinque del mese corrente), IMPORTA LA RISOLUZIONE DI FATTO E DI DIRITTO DEL CONTRATTO A DANNO E SPESE DEL CONDUTTORE SENZA BISOGNO ALCUNO DI DIFFIDA O MESSA IN MORA ED IL CONSEGUENTE OBBLIGO DELL'IMMEDIATO RILASCIO IN FAVORE DEL PROPRIETARIO DEI BENI LOCATI. Al Locatore serve l'appartamento per motivi personali, ma io ho sempre pagato il canone con due mesi di ritardo, se regolarizzo adesso il pagamento dei canoni insoluti possono avvalersi dei ritardi precedenti e considerare il contratto risolto?
Non hanno ancora agito per vie legali, ma intendono farlo.
Grazie”
Consulenza legale i 01/08/2012

Se il pagamento dei canoni viene immediatamente regolarizzato, in sede di procedimento per convalida di sfratto per morosità, eventualmente esperito dal locatore ai fini di ottenere un titolo esecutivo per il rilascio dell'immobile, a questi sarà preclusa la possibilità di confermare in udienza la persistenza della morosità come richiesto dall'art. 663 del c.c. comma terzo, e quindi il giudice non potrà convalidare lo sfratto intimato.

Il locatore potrebbe tuttavia tentare un'azione ordinaria per ottenere la dichiarazione giudiziale della presunta risoluzione del contratto, avvalendosi della clausola risolutiva espressa inserita nel contratto (art. 1453 del c.c.). In tal caso, il conduttore potrebbe tentare di difendersi eccependo la decadenza del locatore dalla facoltà di risolvere il contratto, per aver egli posto in essere nel corso del rapporto comportamenti incompatibili con la volontà di avvalersi della clausola, quali ad esempio la persistente tolleranza nel ricevere il pagamento dei canoni con un costante ritardo: così facendo, infatti, egli avrebbe ingenerato nel conduttore l'affidamento sul fatto di poter eseguire la propria obbligazione con le modalità instauratesi ex facto. Non tutta la giurisprudenza accoglie, tuttavia, questa posizione interpretativa.
Si tenga comunque in considerazione che i lunghi tempi della giustizia civile ordinaria potrebbero indurre il locatore, non particolarmente motivato ad ottenere il rilascio dell'immobile, a non perseguire questa via legale e ad attendere piuttosto la naturale conclusione del contratto.


Massimo chiede
lunedì 04/10/2010

“In un contratto di locazione si può ricorrere alla risoluzione ex art. 1457 c.c. in caso di mancato pagamento del canone, anche se la norma non è espressamente citata sul contratto?”

Consulenza legale i 28/12/2010

Nel contratto di locazione, il pagamento del canone costituisce l'obbligazione principale del conduttore.
Circa l'applicabilità del rimedio della risoluzione in caso di morosità o di mancato pagamento del canone, va ritenuta prevalente l'opinione dottrinale che richiede l'indagine sulla gravità dell'inadempimento ex art. 1455 del c.c..

Quanto alle locazioni di immobili urbani ad uso abitativo, la disciplina della risoluzione è contenuta nell'art. 5 della legge 27 luglio 1978, n. 392, il quale stabilisce che "Salvo quanto previsto dall'articolo 55, il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'articolo 1455 del codice civile".
Quindi, il richiamo alla risoluzione per la scadenza di termine essenziale ex art. 1457 del c.c. appare inutile oltre che non corretta per mancanza di presupposti.


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