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Articolo 5 Legge equo canone

(L. 27 luglio 1978, n. 392)

[Aggiornato al 12/11/2014]

Inadempimento del conduttore

Dispositivo dell'art. 5 Legge equo canone

Salvo quanto previsto dall'articolo 55, il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'articolo 1455 del codice civile.

Spiegazione dell'art. 5 Legge equo canone

La norma in commento, con riferimento al mancato pagamento del canone o degli oneri accessori, i quali non devono verificarsi cumulativamente ma alternativamente, richiede una “morosità qualificata”, per tale intendendosi non un qualunque ritardo del conduttore nell’adempimento della propria obbligazione, ma un ritardo appunto “qualificato”, stabilito appunto dalla legge in 20 giorni. Tale lasso temporale è stato inteso dal legislatore come significativo al fine di minare la fiducia del locatore con riguardo ai successivi adempimenti del conduttore, alterando l’equilibrio della dinamica contrattuale. Quest'ultima disposizione va letta in combinato disposto con l’art. 55 della l. equo canone, espressamente richiamato dall’inciso iniziale dell’art. 5.
Tale ultima norma concede quello che è stato definito “termine di graziaper il conduttore, che gli consente di sanare in sede processuale il ritardo nell’adempimento delle proprie obbligazioni.
L’ultimo comma dell’art. 55, in particolare, prevede che “il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto”.
Ciò significa che la disposizione di cui all’art. 5 sarà applicabile solamente nel momento in cui il conduttore non sia stato in grado di sanare le proprie inadempienze in sede processuale.
Anche queste norme rendono palese l’intenzione del legislatore della legge sull’equo canone, sempre volta a tutelare la parte debole del rapporto, agevolandola, per quanto possibile, nell’adempimento delle proprie prestazioni.
Ciò che è particolarmente significativo osservare è che la lettura combinata dell’art. 5 e 55 conduce ad una interpretazione derogatoria dell’art. 1455 del c.c., dettato in tema di risoluzione contrattuale, con particolare riferimento alla gravità dell’inadempimento.
Come noto, il contraente che si determini a domandare la risoluzione del contratto per le vie ordinarie, è tenuto a provare la gravità dell’inadempimento della controparte. Tale gravità non è di facile accertamento in sede giudiziale, essendo legata a fattori eterogenei rimessi in definitiva alla valutazione discrezionale dell’organo giudicante, alla luce dei dati di fatto disponibili e della lettera delle clausole contrattuali.
Il legislatore del 1978 ha per questo previsto la possibilità di determinare ex ante ed in via preventiva la gravità dell’inadempimento del conduttore, connotata da una mora debendi qualificata (di appunto venti giorni) in concomitanza con una mancata sanatoria, che pur gli è concessa, in sede processuale.
In presenza di tali presupposti, il giudice non sarà tenuto a determinare in concreto la risoluzione del contratto, ma potrà concedere automaticamente al locatore la risoluzione dello stesso.
Ciò accade qualora il locatore si determini a chiedere lo scioglimento del contratto per le vie ordinarie. Ricordiamo, infatti, che al locatore è consentito esperire l’apposita azione di sfratto per morosità ex art. 658 del c.p.c..
Si discute sull’applicabilità della norma de quo nel caso di inadempimento soltanto parziale. La dottrina maggioritaria ritiene inapplicabile l’art. 5, ritenendo che la valutazione della gravità dell’inadempimento vada in tal caso accertata in concreto dal giudice.
Altra parte degli interpreti, viceversa, ritiene applicabile l’art. 5, sostenendo che, se il ritardo nell’inadempimento si protrae per un periodo inferiore a venti giorni, non opererebbe la predeterminazione legale della gravità dell’inadempimento, costituendo per definizione, secondo una lettura a contrario della norma, inadempimento di scarsa importanza.
Altro argomento oggetto di ampia discussione in dottrina e giurisprudenza attiene alla possibilità per le parti, per i contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della presente legge, di inserire nel contratto di locazione una clausola risolutiva espressa con la quale i contraenti collegano la risoluzione del contratto a valutazioni diverse da quelle operate in via preventiva e astratta dal legislatore.
Tale discussione attiene alla clausola risolutiva espressa che preveda delle condizioni più sfavorevoli per il conduttore, eliminando, per esempio, la dilazione dei venti giorni, oppure riducendola.
È viceversa pacifica la possibilità di inserire una clausola risolutiva espressa che preveda condizioni più favorevoli per il conduttore; per esempio, collegando la risoluzione al mancato pagamento non di una, ma di due mensilità del canone.
Ebbene, sul punto si sono contrapposti due diversi orientamenti.
Secondo l’orientamento minoritario, tale clausola dovrebbe ritenersi invalida, poiché contrasterebbe apertamente con il regime più favorevole dettato dal legislatore a tutela del conduttore.
In altro senso, la giurisprudenza prevalente opta per una ammissibilità della clausola risolutiva espressa de quo, subordinandone semplicemente l’efficacia alla prima udienza del giudizio volto ad ottenere, da parte del locatore, la risoluzione del contratto.
Tale clausola risolutiva espressa diventerà inefficace allorquando il conduttore abbia provveduto a sanare la propria morosità; viceversa, diventerà operativa.
Infine, è necessario precisare che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse sulla inapplicabilità dell’art. 5 alle locazioni di immobili ad uso non abitativo, affermando che l’art. 5 si applica esclusivamente alle locazioni ad uso abitativo, poiché tale norma non è richiamata nella disciplina delle locazioni non abitative, alle quali saranno applicabili di conseguenza le norme generali, tra le quali in particolare l’art. 1455.
Pare invece, anche se non del tutto pacificamente, che l’art. 55 si possa applicare ad entrambi i tipi di locazione, abitativa e non abitativa.

Rel. ministeriale L. 392/1978

(Relazione ministeriale L. 392/1978)

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L’articolo dispone che il mancato pagamento del canone entro venti giorni dalla scadenza, ovvero degli oneri accessori per un importo superiore a due mensilità del canone, entro il termine previsto, costituisce motivo di risoluzione ai sensi dell’art. 1455 del codice civile.
È stato generalmente ritenuto che la morosità nei limiti indicati nell’art. 5 integri di per sè un’ipotesi di grave inadempimento, sufficiente quindi a determinare la risoluzione del contratto.
Con la disposizione in esame il legislatore ha inteso individuare le ipotesi più frequenti d’inadempimento del conduttore per dettare per queste un criterio rigido di valutazione della misura della gravità, eliminando così ogni difficoltà sorta in sede interpretativa, nell’applicazione dell’art. 1455 del codice civile.
Le morosità previste nell’articolo configurano, quindi, alcune ipotesi tipiche d’inadempimento grave in grado di giustificare la risoluzione del contratto, come può dedursi agevolmente dal raffronto tra l’espressione usata nella disposizione in esame («il mancato pagamento costituisce motivo di risoluzione») e quella dell’art. 3 della L. 22 dicembre 1973, n. 841, che disponeva che «la morosità può costituire causa di risoluzione quando...».
In connessione con tale disciplina del particolare inadempimento costituito dalla morosità, l’art. 55 prevede una più ampia sanatoria della stessa morosità, che può avvenire anche più volte nel quadriennio di operatività del contratto fino ad un massimo di tre volte o di quattro volte, se il conduttore versa in precarie condizioni economiche.

Massime relative all'art. 5 Legge equo canone

Cass. civ. n. 3001/2012

In tema di locazione di immobili urbani disciplinata dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, avuto riguardo alle norme che attribuiscono rilevanza alle risultanze catastali ai fini della determinazione del canone, è facoltà delle parti contestare la corrispondenza di tali dati all’effettiva situazione di fatto dell’immobile per modificazioni sopravvenute non ancora registrate in catasto, con la conseguenza che il giudice ordinario, qualora accerti incidentalmente l’illegittimità dell’atto amministrativo di attribuzione della categoria catastale dell’unità immobiliare, può disapplicarlo, con effetto dal momento della sussistenza delle nuove condizioni dell’immobile.

Cass. civ. n. 8418/2006

A seguito dell’entrata in vigore della legge 27 luglio 1978, n. 392, la valutazione, quanto al pagamento del canone, della gravità e dell’importanza dell’inadempimento del conduttore in relazione all’interesse del locatore insoddisfatto, non è più rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice, ma è predeterminata legalmente mediante previsione di un parametro ancorato - ai sensi degli artt. 5 e 55 della stessa legge (non abrogati dalla successiva legge 9 dicembre 1998, n. 431) - a due elementi: l’uno di ordine quantitativo afferente al mancato pagamento di una sola rata del canone o all’omesso pagamento degli oneri accessori per un importo superiore a due mensilità del canone; l’altro di ordine temporale relativo al ritardo consentito o tollerato, fermo restando, tuttavia, ai fini della declaratoria di risoluzione del contratto, il concorso dell’elemento soggettivo dell’inadempimento costituito dall’imputabilità della mora debendi a dolo o colpa grave del debitore. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata esclusa la sussistenza del dolo o della colpa a carico del conduttore, ravvisandosi nel comportamento di quest’ultimo un’offerta non formale della prestazione, avendo provveduto al pagamento del canone con vaglia postale secondo gli accordi, rilevando la correttezza della motivazione con la quale il giudice di merito - con un congruo accertamento di fatto - aveva valutato, ai fini della mancanza del dolo e della colpa, le dichiarazioni dell’ufficiale postale prodotte agli atti, per cui la presunzione di colpa risultava stata superata dalla prova contraria).

Cass. civ. n. 12321/2005

Anche all’esito dell’introduzione della nuova disciplina delle locazioni abitative ad opera della legge n. 431 del 1998, la disposizione contenuta nell’art. 5 della legge n. 392 del 1978, che ha predeterminato la gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto di locazione, trova applicazione esclusivamente per le locazioni ad uso di abitazione, e non è estensibile al tipo contrattuale della locazione per uso diverso dall’abitazione.

Corte app. Potenza n. 39/2003

Anche nell’ipotesi di dissimulazione di un contratto di locazione di un immobile ad uso abitativo, con un’apparente finalità «ad uso studio», fino all’accertamento giudiziale dell’illegittimità della pattuita misura del canone il conduttore non può sospendere - e per più mensilità - il relativo pagamento senza incorrere in colpevole inadempienza, alterativa del sinallagma contrattuale e, come tale, legittimante la proposizione da parte del locatore di domanda risolutoria del vincolo negoziale.

Cass. civ. n. 10239/2000

La disposizione contenuta nell’art. 5 della legge n. 392 del 1978, che ha predeterminato la gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto di locazione, è dettata per il tipo contrattuale della locazione ad uso abitativo e non è estensibile al tipo contrattuale della locazione per uso diverso dall’abitazione, rispetto al quale resta operante il criterio della non scarsa importanza dell’inadempimento stabilito dall’art. 1455 c.c. In siffatto tipo di locazioni nulla impedisce, poi, che il mancato pagamento del canone, pur ponendosi in contrasto con una delle obbligazioni principali del conduttore, possa, per il concorso di determinate circostanze, da apprezzare discrezionalmente dal giudice di merito, essere valutato ai sensi dell’art. 1455 c.c., come un inadempimento di scarsa importanza, come tale non idoneo a provocare la risoluzione.

Cass. civ. n. 7269/2000

L’autoriduzione del canone di locazione costituisce una forma di autotutela riconosciuta al conduttore nell’ambito del giudizio di determinazione dell’equo canone, ma al di fuori di questo ambito concreta inadempimento che, in relazione alla sua qualificazione in termini d'importanza, è idoneo a produrre effetti risolutori (il principio è stato affermato dalla suprema Corte con riferimento ad un contratto di locazione di locale commerciale).

Cass. civ. n. 369/2000

Non hanno carattere vessatorio le clausole riproduttive del contenuto di norme di legge; pertanto, non può considerarsi vessatoria la clausola risolutiva espressa inserita nel contratto di locazione di immobili urbani per uso non abitativo e riferita all’ipotesi di inosservanza del termine di pagamento dei canoni, in quanto riproduce il disposto dell’art. 5 della legge 27 luglio 1978 n. 392.

Cass. civ. n. 4688/1999

In tema di risoluzione per inadempimento di locazione ad uso non abitativo, per la quale non trova applicazione l’art. 5 della legge n. 392 del 1978 sulla predeterminazione legale della gravità dell’inadempimento, nel caso di morosità nel pagamento del canone (e degli oneri accessori), non può reputarsi automaticamente sussistente la gravità sol perché l’inadempimento incide su una delle obbligazioni primarie scaturenti dal contratto, dovendosi invece accertare la gravità in concreto, cioè l’inidoneità a ledere in modo rilevante l’interesse contrattuale del locatore, a sconvolgere l’intera economia del rapporto e a determinare un notevole ostacolo alla prosecuzione del medesimo.

Cass. civ. n. 12709/1998

In tema di locazione, il mancato pagamento del canone anche per una sola mensilità giustifica la risoluzione del contratto, giusta disposto dell’art. 5 della legge 392/78, senza che tale norma possa considerarsi incostituzionale (per contrasto con l’art. 3 della Carta fondamentale) alla luce di una pretesa disparità di trattamento sancita dal legislatore con riferimento all’ipotesi di mancato pagamento degli oneri accessori, ipotesi equiparata, agli effetti della risoluzione, al mancato pagamento del canone, ma differentemente disciplinata quanto all’importo (che deve risultare superiore a quello di due canoni). Il canone di locazione, difatti, ponendosi in rapporto di corrispettività con la prestazione del locatore, integra, con quest’ultima, la causa (onerosa) del contratto, mentre gli oneri accessori (che costituiscono un mero rimborso spese anticipate dal locatore) sono del tutto fuori dal sinallagma contrattuale (cui appaiono, per vero, solo indirettamente riferibili), così che il mancato pagamento degli stessi determina un vizio funzionale della causa negotii soltanto quando l’importo non pagato sia talmente elevato da alterare apprezzabilmente l’equilibrio delle reciproche prestazioni, sopprimendo l’interesse oggettivo del locatore alla prosecuzione del rapporto.

Cass. civ. n. 12253/1998

In tema di contratto di locazione di immobili urbani, la cosiddetta autoriduzione del canone in relazione alla sua pretesa esorbitanza rispetto all’importo inderogabilmente fissato per legge costituisce fatto arbitrario che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico convenzionale, restando nei poteri del giudice la valutazione dell’importanza dello squilibrio a fini risolutori. Peraltro, il deposito dei canoni locativi su un libretto bancario o postale, non consegnato né messo a disposizione del locatore, non integra offerta non formale idonea ad escludere l’inadempimento del conduttore.

Trib. civ. Milano n. 8397/1998

La circostanza che il ritardo nel pagamento del canone e degli oneri accessori abbia acquistato rilevanza (ai fini della risoluzione del contratto), per il decorso del termine di cui all’art. 5 L. n. 392/1978, in giorni di fine settimana in cui le banche sono chiuse, non può avere la conseguenza di prolungare detto termine di tolleranza, posto che la previsione di cui al citato art. 5 costituisce un’eccezione alla regola dettata dall’art. 1455 c.c. secondo cui l’inadempimento può dare causa alla risoluzione del contratto solo quando esso sia di non scarsa importanza.

Cass. civ. n. 9955/1997

In tema di locazione di immobili urbani per uso diverso da quello abitativo, la cosiddetta autoriduzione del canone (e, cioè, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita per effetto di una unilateralmente asserita esorbitanza di tale ultima misura rispetto all’importo inderogabilmente fissato per legge) costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del negozio, essendo, poi, devoluta ai poteri del giudice, ai fini dell’accertamento della gravità dell’inadempimento così realizzatosi, la valutazione dell’importanza dello squilibrio tra le prestazioni con riguardo all’interesse del locatore in relazione al suo diritto di ricevere il canone in misura legale.

Cass. civ. n. 1870/1997

È illegittima l'autoriduzione del canone di locazione prima della instaurazione del giudizio per la sua determinazione, ferma la necessità di valutare con particolare riguardo all'interesse del locatore a riceverlo mensilmente, fino alla moratoria ex lege, nella misura pattuita la gravità di tale inadempimento, da parte del giudice del merito, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1455 c.c.

Cass. civ. n. 6023/1995

L’art. 5 della L. 27 luglio 1978, n. 392 sulla «predeterminazione» della gravità dell’inadempimento, ai fini della risoluzione del rapporto, correlandosi alle peculiari regole sulla determinazione del canone dettate per le locazioni ad uso abitativo, non può essere applicato alle locazioni non abitative, la cui disciplina non richiama la disposizione del citato art. 5; alle predette locazioni non abitative è, invece applicabile l’art. 55 della stessa legge, relativo alla possibilità di sanare la mora, che, benché inserito nel complesso di norme dettate per le locazioni abitative, prevede una disciplina limitatrice della risoluzione del contratto che, per la ratio che la ispira, è di carattere generale e rientra, per di più, tra le disposizioni processuali richiamate in tema di locazioni non abitative dagli artt. 42 e 74 della L. n. 392 del 1978.

Cass. civ. n. 6247/1992

Sono valide le clausole di pagamento anticipato del canone annuo di locazione degli immobili urbani per uso non abitativo, soggetti al regime della legge sull’equo canone, non essendo applicabile il divieto dell’art. 11 di tale legge, che si riferisce esclusivamente al deposito cauzionale, né la disposizione dell’art. 2 ter, della L. 12 agosto 1974, n. 351 (che commina la nullità delle clausole di pagamento anticipato del canone per periodi superiori a tre mesi) che è stata implicitamente abrogata non essendo compatibile con la libertà di determinazione del canone locativo degli immobili per uso non abitativo consentita alle parti dalla legge sull’equo canone.

Cass. civ. n. 7934/1991

In tema di risoluzione per morosità del contratto di locazione di immobile urbano, la mancata corresponsione, da parte del conduttore, dell’aggiornamento Istat del canone, in difetto dell’accertamento giudiziale di illegittimità della clausola contrattuale che lo prevede, ove protratta per lungo tempo con conseguente alterazione dell’equilibrio sinallagmatico, configura un inadempimento idoneo a giustificare la risoluzione del contratto a nulla rilevando il mero convincimento del conduttore di non dovere detta maggiorazione.

Cass. civ. n. 9873/1990

L’ultimo comma dell’art. 45 della L. 27 luglio 1978 n. 392, nel disporre che, ove penda giudizio sulla determinazione dell’«equo canone», il conduttore «è obbligato a corrispondere, salvo conguaglio, l’importo non contestato», gli attribuisce espressamente la facoltà di limitare il versamento del corrispettivo, per tutta la durata del giudizio stesso, alla misura che reputa dovuta, anche se - al fine di evitare la sanzione risolutoria per inadempienza da morosità - ragionevole, non temeraria e, comunque, congrua.

Cass. civ. n. 1835/1989

Gli artt. 5 e 55 della L. n. 392 del 1978 (cosiddetta dell'equo canone) hanno introdotto relativamente alla gravità dell'inadempimento predeterminata ex lege, alla possibilità della sanatoria ed alla concessione del termine di grazia, un'equiparazione fra canone di locazione ed oneri accessori con la conseguenza che anche la morosità per soli oneri accessori può essere dedotta in giudizio con lo speciale procedimento di convalida ex art. 658 c.p.c.

Cass. civ. n. 8605/1987

Il disposto dell’art. 5 della legge n. 392 del 1978, per il quale il mancato pagamento del canone costituisce motivo di risoluzione del contratto di locazione, ai sensi dell’art. 1455 c.c., soltanto se siano decorsi venti giorni dalla scadenza prevista - operando cosi una predeterminazione legale della gravità od importanza dell’inadempimento sottratta alla valutazione discrezionale del giudice - trova applicazione anche con riguardo alle locazioni di immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, stante il richiamo anche operativo della disciplina dell’art. 55 della citata legge per l’istituto della sanatoria della morosità applicabile ad ambedue le categorie di locazioni.

Cass. civ. n. 3791/1987

Il mancato pagamento del canone di locazione, decorsi venti giorni dalla prevista scadenza, costituisce, ai sensi dell’art. 5 della L. n. 392 del 1978, motivo di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1455 c.c., senza che il giudice possa compiere una valutazione discrezionale dell’importanza dell’inadempimento, che è operata ex lege; tuttavia a norma dell’art. 55 della citata legge è consentito al conduttore, in deroga al disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 1453 c.c., di evitare la risoluzione versando alla prima udienza, o nel termine assegnatogli dal giudice, l’importo dei canoni scaduti, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate.

Cass. civ. n. 4598/1986

Con l’art. 5 della legge n. 392 del 1978 cosiddetta dell’«equo canone» il legislatore ha effettuato una valutazione dell’importanza dell’inadempimento del conduttore nel pagamento del canone locatizio (o degli oneri accessori) ai fini della risoluzione del contratto, escludendo il potere discrezionale del giudice di cui all’art. 1455 c.c., con la conseguenza che, ove il ritardo nel pagamento si protragga per un periodo inferiore a venti giorni dalla scadenza prevista - ovvero la somma dovuta per onersi accessori non superi l’importo di due mensilità del canone - l’inadempimento, pur sussistente, è di scarsa importanza per una valutazione operata dal legislatore e non comporta, ai sensi dell’art. 1455 c.c. richiamato dallo stesso art. 5, la risoluzione del contratto.

Cass. civ. n. 4474/1985

L’art. 5 della legge n. 392 del 1978 - per il quale il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla prevista scadenza, ovvero il mancato pagamento degli oneri accessori nel termine previsto, quando l’importo di essi superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1455 c.c. - non consente al giudice una valutazione dell’importanza dell’inadempimento che è effettuata in via automatica dalla stessa norma, anche nel caso di inadempienza parziale, senza che incida l’eventuale fondatezza dell’eccezione relativa alla misura del canone, qualora il conduttore abbia omesso di versare l’importo del canone non contestato.

Corte app. Brescia n. 178/1983

La clausola risolutiva espressa per il caso di mancato pagamento del canone determina l’effetto risolutivo stabilito dall’art. 1456 c.c. indipendentemente dalla gravità dell’inadempimento, la quale dunque non deve essere accertata dal giudice.

Cass. civ. n. 4490/1982

In seguito all’entrata in vigore della legge 392/78, la valutazione dell’importanza o gravità dell’inadempimento in relazione all’interesse del locatore insoddisfatto, non è più rimessa - ai fini della risoluzione del rapporto - all’apprezzamento discrezionale del giudice, bensì predeterminata legalmente e cioè mediante previsione di un parametro legale ancorato a due elementi rigidi: l’uno d’ordine quantitativo, afferente al mancato pagamento di una sola rata del canone o, trattandosi di oneri accessori, superiore a due mensilità del canone; l’altro d’ordine temporale, relativo al ritardo consentito o tollerato. Quanto al mancato pagamento degli oneri accessori non può essere più seguito l’indirizzo giurisprudenziale formatosi sotto la previgente normativa vincolistica ed in base alla quale l’omesso pagamento degli oneri accessori giustificava la risoluzione del rapporto locatizio soltanto in caso di rilevante e reiterata gravità dell’inadempimento, cioè in casi eccezionali ed anormali, fermo restando per il conduttore il potere di paralizzare la domanda di risoluzione del locatore con l’eccezione di inadempimento per non avere ottenuto dal locatore medesimo l’indicazione specifica delle spese condominiali e non aver potuto esercitare la facoltà di prendere visione dei relativi documenti giustificativi.

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Consulenze legali
relative all'articolo 5 Legge equo canone

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

P. D. chiede
sabato 01/07/2023
“Buongiorno, il conduttore del mio negozio è moroso da 3 mensilità.
Nel contratto vi è la seguente clausola dì risoluzione espressa:

“ART. 1- Clausola risolutiva espressa
lI mancato adempimento dei patti stabiliti agli articoli 2 (puntuale pagamento dei canoni) comporterà la risoluzione immediata del contratto senza bisogno di costituzione in mora e con obbligo di risarcimento del danno.
Onesto diritto potrà essere esercitato mediante l'invio di lettera raccomandata a.r. al conduttore con la quale il locatore dichiara che intende avvalersi di detta clausola.”

Vorrei sapere le differenze tra il far agire il mio avvocato in termini di “sfratto per morosità” o appunto risoluzione espressa.
So che fino alla pronuncia della sentenza di sfratto dovrei pagare le imposte anche sui canoni non percepiti, mentre ( forse) se optassi per la risoluzione espressa non dovrei attendere la sentenza. Ma in seguito, per rientrare in possesso del locale, come dovremmo agire? Grazie”
Consulenza legale i 03/07/2023
Va premesso che la clausola risolutiva espressa, prevista dall’art. 1456 del c.c., è quella pattuizione, contenuta in un contratto, con cui le parti stabiliscono che l’inadempimento di una o più specifiche obbligazioni derivanti dal contratto comporterà "di diritto" la risoluzione, cioè lo scioglimento, dello stesso vincolo contrattuale.

In altri termini, con la clausola risolutiva espressa sono le parti contraenti a stabilire che l’inadempimento è grave, ovvero “di non scarsa importanza” ai sensi dell’art. 1455 del c.c., e che quindi può determinare la risoluzione del contratto.
La clausola risolutiva espressa deve individuare specificamente le obbligazioni il cui inadempimento comporta la risoluzione di diritto del contratto; altrimenti - se cioè, ad esempio, si limita a fare generico riferimento alle “obbligazioni nascenti dal contratto” - si considera “clausola di stile” e non può produrre l’effetto risolutivo previsto dall’art. 1456 c.c.

La clausola risolutiva espressa presenta il vantaggio di non dover fare accertare dal giudice la gravità dell’inadempimento: tuttavia, se l’altra parte contesta in qualunque modo l’operatività della clausola o, comunque, non dà corso alla preannunciata risoluzione di diritto - quindi, nel nostro caso, se il conduttore non libera l’immobile -, sarà comunque necessario rivolgersi a un giudice per far accertare l’intervenuta risoluzione di diritto e per adottare i provvedimenti conseguenti.

Peraltro, una clausola come quella riportata nel quesito riproduce, di fatto, quanto previsto dall’art. 5 della legge 392/1978, secondo il quale “il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'articolo 1455 del codice civile” (quindi è di non scarsa importanza ai fini della risoluzione del contratto di locazione).

Invece il procedimento di sfratto per morosità consente al locatore di giungere alla risoluzione del contratto in maniera più celere rispetto a un giudizio ordinario, e di ottenere anche un decreto ingiuntivo per i canoni scaduti.
Naturalmente, in questa sede non si intendono fornire indicazioni o preferenze circa la scelta della strategia difensiva da seguire nel caso concreto, che deve essere necessariamente concordata con il legale che già segue la vicenda.

Luigi O. chiede
giovedì 03/10/2019 - Lazio
“Avvocato, un atto notarile, affitto con riscatto, dice:
1. “Le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria straordinaria de l’immobile (e relative parti condominiali) sono a carico della parte conduttrice”.

2. “In caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di almeno due canoni mensili il presente contratto si risolverà di diritto”.

Canone mensile euro 800;

La parte conduttrice non ha pagato una mensilità e non ha pagato, all’amministratore del palazzo per lavori straordinari all’intero fabbricato, euro 3.660. Più quote mensili per euro 500. Superando di gran lunga le due mensilità.
Pagamento che ha dovuto fare la parte concedente.

E’ possibile la risoluzione del contratto?
No? Come recuperare le somme anzidette?

Grazie”
Consulenza legale i 09/10/2019
La risoluzione del contratto è senz’altro possibile, dal momento che siamo di fronte ad un inadempimento contrattuale, e più precisamente di un inadempimento all’obbligo di pagamento del canone di affitto.

Indipendentemente dal contenuto del singolo contratto, infatti, e quindi dalle specifiche obbligazioni in esso contenute, in generale all’inadempimento di un obbligo contrattuale consegue il diritto della controparte diligente a chiedere la risoluzione del contratto.

Occorre, tuttavia, distinguere il diritto a chiedere la risoluzione dall’effetto risolutivo automatico che consegue ad una specifica clausola dell’accordo.
Nel caso di specie, infatti, pare essere stata inserita in contratto quella che si chiama “clausola risolutiva espressa”, ovvero una clausola in base alla quale, nell’eventualità in cui una delle parti sia inadempiente ad una o più determinate obbligazioni, il contratto si risolve “di diritto”, ovvero automaticamente, senza bisogno che ciò venga statuito da un Giudice con una sentenza di accertamento.

Ebbene, nel contratto in esame è previsto che al mancato pagamento di due mensilità del canone di affitto la risoluzione consegua in automatico: poiché il mancato versamento, però, riguarda in questo caso una sola mensilità del canone e non due, la clausola risolutiva non si applica. E nessun rilievo può avere la morosità con riferimento alle spese condominiali ordinarie e straordinarie scadute: queste non sono contemplate, infatti, come causa di risoluzione.
E’ però altrettanto vero che il contratto prevede comunque l’obbligo di pagamento mensile del canone di affitto e che, di conseguenza, anche il mancato pagamento di una sola mensilità attribuisce all’altra parte il diritto di chiedere la risoluzione del contratto.

Nel quesito non è specificato se si tratti di locazione abitativa o commerciale; nel caso si trattasse di locazione di immobile ad uso abitativo, si aggiunge un’ulteriore tutela per il locatore: l’art. 5, L. 27 luglio 1978, n. 392, infatti, stabilisce che il mancato pagamento del canone della locazione, decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, costituisce motivo di risoluzione ai sensi dell'articolo 1455 cod. civ., fissando così un criterio di predeterminazione legale della gravità dell'inadempimento.
Nel caso di locazioni ad uso commerciale, invece, l’inadempimento deve essere importante e va valutato di volta in volta dal giudice in base al ritardo, all’importo del canone di locazione e al numero di rate insolute.

Per il recupero delle somme non corrisposte è possibile intentare una procedura di sfratto per morosità.
Il locatore può intimare lo sfratto non solo per il mancato pagamento del canone ma altresì quando il conduttore non abbia pagato gli oneri accessori, vale a dire le spese di gestione ordinaria e straordinaria dell’immobile consistenti negli esborsi sostenuti per le attività di manutenzione e di funzionamento nonché quelle per la fornitura di servizi, anche comuni in caso di immobili in condominio. Ciò a condizione che:
  • per le locazioni ad uso abitativo, l’ammontare dovuto superi l’importo corrispondente a due mensilità di canone;
  • per le locazioni ad uso commerciale, l’ammontare dovuto risulti di non scarsa importanza secondo le regole generali.

Nell’atto di intimazione di sfratto andrà richiesta la convalida dello sfratto e, contemporaneamente con lo stesso atto, si potrà richiedere un’ingiunzione di pagamento per i canoni e le somme scadute.


Tanasi C. chiede
venerdì 21/12/2018 - Sicilia
“La mia inquilina ha un morosità di circa 4500 euro nei confronti dell'amministrazione condominiale e nonostante un piano di rientro accordato, ella paga in modo discontinuo e resta il debito quasi costante per quell'importo. Mia domanda è: nelle spese condominiali la parte più rilevante è il consumo di acqua chiaramente consumata dall'inquilina (ho stipulato con Lei un contratto registrato 4+4). In questo caso è sempre il proprietario dell'immobile che dovrebbe pagare? Grazie”
Consulenza legale i 28/12/2018
Il pagamento degli oneri condominiali è uno dei principali motivi di scontro e di lite tra il proprietario di casa e il suo inquilino. Per capire chi è tenuto a sostenere tali spese nei confronti del condominio è opportuno tenere distinto il rapporto che lega il proprietario dalla compagine condominiale, con quello che lega il locatore dal suo affittuario.
Le spese condominiali devono considerarsi delle obligatio propter rem od obbligazioni reali, il cui adempimento è intrinsecamente connesso alla proprietà della singola unità abitativa. In conseguenza di questo, nei confronti del condominio, l’unico soggetto tenuto a sopportarne il pagamento è il proprietario dell’appartamento, indipendentemente dalla causa che ha generato la singola spesa condominiale, sia essa: la fornitura di acqua, il riscaldamento centralizzato, le spese scale\ ascensore ecc. ecc.
L’inquilino, in forza del contratto di locazione che lo lega al suo locatore, è tenuto a pagare a quest’ultimo, e non al condominio, le spese condominiali di sua competenza (sovente definite nei contratti di locazione come oneri accessori).

Il legislatore ha provveduto espressamente ad indicare quali sono le spese condominiali di competenza del proprietario e dell’inquilino, sia con l’art.9 della L. 392 del 27.07.1978, sia, in particolare, con l’allegato G al Decreto Interministeriale Ministero dei Trasporti e Ministero dell’Economia e Finanza del 30.12.2002, a cui solitamente tutti i contratti di locazione fanno direttamente rinvio.
E‘ prassi degli amministratori, su specifica richiesta del proprietario, suddividere nel bilancio condominiale le spese condominiali di competenza del proprietario da quelle di competenza dell’inquilino, applicando proprio il documento sopra citato. In forza di tale suddivisione l’inquilino provvede a pagare direttamente al condominio gli oneri a lui attribuiti.

Questa frequentissima prassi non comporta però che l’inquilino diventi direttamente obbligato nei confronti del condominio al versamento degli oneri condominiali a lui attribuiti; i pagamenti da lui effettuati sono fatti in adempimento del contratto di locazione che lo lega al suo proprietario, e non per adempiere ad un obbligo nei confronti del condominio.
Questo comporta che qualora l’inquilino ometta di pagare le spese condominiali, l’amministratore, per ottemperare ai suoi doveri previsti dall’art. 1130 del c.c., dovrà richiederne il pagamento direttamente al proprietario.

Per dare una risposta all’autore del quesito, dal punto di vista del condominio, la morosità maturata in bilancio non può essere attribuita all’inquilino, ma unicamente al proprietario dell’appartamento: è quindi opportuno che quest’ultimo versi al condominio le spese condominiali rimaste insolute, in quanto è un debito che è tenuto a soddisfare.

Ora, ponendo che l’inquilino paghi regolarmente i canoni di affitto, come può tutelarsi il proprietario nel caso in cui quest'ultimo, in violazione del contratto di locazione, ometta invece di far fronte alle spese condominiali?
Il pagamento degli oneri accessori dell’appartamento è un obbligo che, al pari del pagamento del canone di affitto, non può essere posticipato o rinviato dall’inquilino.
Secondo quanto prevede l’art. 5 della L. n.392/1978, il mancato pagamento degli oneri accessori, quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1455 del c.c.: pertanto si potrà adire l’autorità giudiziaria richiedendo lo sfratto per morosità dell’inquilino dall’immobile occupato, e domandando al giudice l’emissione di un decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento degli oneri accessori non corrisposti.
Qualora il mancato pagamento degli oneri accessori sia inferiore alle due mensilità di canone (caso piuttosto raro nella pratica a dire il vero), non si potrà chiedere al giudice lo sfratto per morosità dell’ inquilino, ma si potrà richiedere solo l’emissione di un decreto ingiuntivo per il recupero delle spese condominiali rimaste insolute.