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Grave inadempimento e risoluzione del contratto: le precisazioni della Corte di Cassazione

Grave inadempimento e risoluzione del contratto: le precisazioni della Corte di Cassazione
Un inadempimento grave fa presumere leso l'interesse della controparte e comporta, pertanto, la risoluzione del contratto.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4022 del 20 febbraio 2018, ha avuto modo di fornire alcune interessanti precisazioni in tema di risoluzione del contratto per grave inadempimento di una delle parti.

Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonisti due soggetti, che avevano agito in giudizio nei confronti di altri due soggetti, con i quali avevano stipulato un contratto di transazione, volto a “porre fine a varie liti tra loro pendenti, aventi ad oggetto rapporti di vicinato e questioni di proprietà fondiaria”.

La transazione, in particolare, poneva a carico dei convenuti diversi obblighi, che questi, tuttavia, non avevano adempiuto; nello specifico, gli obblighi rimasti inadempiuti riguardavano la “permuta di un proprio fondo con uno delle controparti”, e “l'obbligo di conceder loro una servitù di passaggio”.

Di conseguenza, i contraenti interessati si erano rivolti al Tribunale, al fine di ottenere la pronuncia di una sentenza che “tenesse luogo del consenso dei convenuti all'adempimento degli obblighi assunti con la suddetta transazione”.

I convenuti, nel costituirsi in giudizio, avevano chiesto, oltre al rigetto della domanda formulata nei loro confronti, altresì la risoluzione del contratto di transazione, per un asserito “inadempimento degli attori”.

Osservavano i convenuti, infatti, che erano stati proprio gli attori i primi a non adempiere agli obblighi previsti dal contratto di transazione, il quale, dunque, doveva intendersi risolto.

Il Tribunale di Vicenza, pronunciatosi in primo grado, aveva rigettato sia la domanda degli attori che quella risolutoria dei convenuti.

La sentenza era stata confermata anche dalla Corte d’appello di Venezia, secondo la quale il Tribunale avrebbe “saggiamente ritenuto” che i “pur gravi inadempimenti” degli attori non avessero comportato la risoluzione del contratto di transazione.

La risoluzione del contratto di transazione, infatti, secondo la Corte d’appello, avrebbe sostanzialmente vanificato tutti gli sforzi fatti dalle parti per giungere ad una soluzione bonaria delle controversie tra loro insorte.

I convenuti in primo grado avevano, dunque, deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza che aveva rigettato la loro domanda di risoluzione del contratto.

La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle considerazioni svolte dai contraenti in questione, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.

Osservava la Cassazione, in proposito, che, ai fini dell’accoglimento di una domanda di risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive (come la transazione) - ai sensi degli artt. 14531455 c.c., il giudice deve accertare “se esista il contratto, se esista l'inadempimento, se l'inadempimento sia grave avuto riguardo all'interesse della controparte”.

Precisava la Cassazione, inoltre, che il concetto di “interesse”, di cui all’art. 1455 c.c., “non si identifica con l'interesse alla risoluzione, ma consiste nell'interesse all'adempimento”, che deve presumersi leso “tutte le volte che l'inadempimento sia stato di rilevante entità, ovvero abbia riguardato obbligazioni principali e non secondarie”.

Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione rilevava come la Corte d’appello avesse errato, in quanto la stessa, pur ritenendo “grave” l’inadempimento degli attori in primo grado, aveva irragionevolmente escluso l’avvenuta risoluzione della transazione.

Secondo la Cassazione, infatti, la Corte d’appello, così giudicando, aveva violato l’art. 1455 c.c., dal momento che “un inadempimento grave fa presumere leso l'interesse della controparte, salvo che la parte inadempiente fornisca la prova del contrario”.

Del resto, proseguiva la Corte, se il giudice d’appello avesse avuto intenzione “di non mandare sprecati i tentativi di composizione bonaria della lite”, egli avrebbe dovuto limitarsi a convocare le parti e a tentare di conciliarle, ai sensi degli artt. 117 e 185 c.p.c. e non avrebbe certo dovuto imporre alle parti “di restare vincolate ad un contratto cui non avevano più interesse”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dai contraenti, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima procedesse ad un nuovo esame della questione.


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