Cass. civ. n. 4653/2021
L'opposizione del convenuto alla domanda di condanna generica al risarcimento del danno è ammissibile ed impone al giudice di stabilire se il pregiudizio si sia verificato o meno con certezza e non con semplice probabilità, con la conseguenza che l'accertamento negativo di detto danno preclude la prosecuzione della pretesa attorea in una seconda fase o in un successivo giudizio. Tale prosecuzione è, invece, legittima ove siffatto accertamento, pur condotto in termini di certezza e non di probabilità, dia esito positivo, ma sia nondimeno necessario quantificare in concreto il pregiudizio in esame in una separata fase od in un distinto giudizio. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 28/05/2018).
Cass. civ. n. 21258/2020
La sentenza non definitiva che accerti l'esistenza di un inadempimento contrattuale e del conseguente danno preclude allo stesso giudice la possibilità, al momento della relativa liquidazione nella sentenza definitiva, di negare la sussistenza di tale danno per mancanza di prove, trattandosi di affermazione in contrasto con quella, resa in sede di sentenza non definitiva, circa la loro esistenza e tale discrasia può essere rilevata anche d'ufficio in sede di legittimità. Ne consegue che, a fronte della difficoltà di prova del danno, il giudice, non vincolato agli esiti della consulenza tecnica, deve esercitare il proprio potere discrezionale di liquidazione di esso in via equitativa, secondo la cd. equità giudiziale correttiva o integrativa. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CAGLIARI).
Cass. civ. n. 14154/2019
La sentenza con la quale il giudice abbia dichiarato il diritto del ricorrente ad ottenere la pensione di anzianità e abbia condannato l'ente previdenziale al pagamento dei relativi ratei e delle differenze dovute, senza precisare in termini monetari l'ammontare di tali differenze, deve essere definita generica e non costituisce valido titolo esecutivo, in quanto la misura della prestazione spettante all'interessato non è suscettibile di quantificazione mediante semplici operazioni aritmetiche eseguibili sulla base di elementi di fatto, contenuti nella medesima sentenza o mediante il mero richiamo ai criteri di legge, ma necessita dell'ulteriore intervento di un giudice diverso, salva la possibilità di procedere a un'interpretazione extratestuale del titolo esecutivo giudiziale sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui si è formato, purché le relative questioni siano state trattate nel corso dello stesso e possano intendersi come ivi univocamente definite, essendo mancata, piuttosto, la concreta estrinsecazione della soluzione come operata nel dispositivo o perfino nel tenore stesso del titolo.
Cass. civ. n. 21326/2018
Ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 278 c.p.c., non è sufficiente accertare l'illegittimità della condotta, ma occorre anche accertarne, sia pure con modalità sommaria e valutazione probabilistica, la portata dannosa, senza la quale il diritto al risarcimento, di cui si chiede anticipatamente la tutela, non può essere configurato. Nel caso di condanna generica, infatti, ciò che viene rinviato al separato giudizio è soltanto l'accertamento in concreto del danno nella sua determinazione quantitativa, mentre l'esistenza del fatto illecito e della sua potenzialità dannosa devono essere accertati nel giudizio relativo all'"an debeatur" e di essi va data la prova sia pure sommaria e generica, in quanto ne costituiscono il presupposto. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MESSINA, 22/01/2013).
Cass. civ. n. 10498/2018
In caso di condanna generica il danneggiato può, oltre alla domanda di liquidazione del danno accertato, proporne anche una volta all'accertamento ed alla liquidazione di danni ulteriori, riconducibili a fatti diversi da quelli dedotti nel primo giudizio; in tal caso, il passaggio in giudicato della sentenza di condanna generica, mentre preclude che nel giudizio sulla quantificazione possano essere proposte ed esaminate deduzioni di fatti estintivi, modificativi ed impeditivi anteriori alla pronuncia sull'"an", non estende i suoi effetti ai danni ricollegabili a fatti diversi da quelli dedotti nel relativo giudizio. Ne consegue che, ove nel giudizio di liquidazione vengano richiesti danni non collegabili a fatti rientranti nella prima domanda, il giudice deve preliminarmente accertarne la sussistenza ed eventualmente procedere alla loro quantificazione, senza con ciò incorrere nella violazione del giudicato. (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 06/03/2013).
Cass. civ. n. 28514/2017
Qualora l'attore abbia formulato una domanda di condanna specifica, e successivamente l'abbia limitata all'"an debeatur", il giudice non incorre nel vizio di ultrapetizione se pronuncia una sentenza di condanna generica, rimettendo la liquidazione ad un separato giudizio, ove il convenuto abbia prestato il suo consenso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, nella fase di opposizione di un procedimento monitorio, aveva proceduto alla condanna generica, su richiesta dell'opposto e con il consenso dell'opponente). (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 22/02/2011).
Cass. civ. n. 23463/2016
Alla stregua dell'art. 827, comma 3, c.p.c., è immediatamente impugnabile, perché parzialmente decisorio del merito della controversia, il lodo recante una condanna generica, ex art. 278 c.p.c., o che decida una o alcune domande proposte senza definire l'intero giudizio, ma non quello che decida questioni pregiudiziali (nella specie la validità della convenzione arbitrale) o preliminari.
Cass. civ. n. 20444/2016
La sentenza di condanna generica postula, quale presupposto necessario e sufficiente a legittimarne l'adozione, solo l'accertamento di un fatto ritenuto, alla stregua di un giudizio di probabilità, potenzialmente produttivo di danni, mentre il riscontro dell'esistenza, in concreto, di questi ultimi, benché già ivi possibile, può anche essere differito alla fase della loro effettiva liquidazione, ed in tal caso, se una siffatta pronuncia non sia stata impugnata, il giudicato formatosi non investe la sussistenza dei danni stessi e del loro rapporto di causalità con il fatto illecito, né preclude la successiva dichiarazione di infondatezza della pretesa risarcitoria, ove si verifichi che i pregiudizi lamentati non si siano prodotti o non siano riconducibili al comportamento del responsabile.
Cass. civ. n. 3366/2015
In caso di azione per il risarcimento dei danni, l'attore, ove abbia chiesto, alternativamente, la condanna generica o quella integrale, può limitare la propria pretesa alla sola pronuncia sull'"an debeatur", senza necessità del consenso del convenuto, il quale, peraltro, può chiedere, in via riconvenzionale, che l'accertamento della responsabilità si estenda al "quantum debeatur", onde verificare l'insussistenza del danno.
Cass. civ. n. 15335/2012
La pronuncia di condanna generica al risarcimento presuppone soltanto l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo del danno, rimanendo l'accertamento della concreta esistenza dello stesso riservato alla successiva fase, con la conseguenza che al giudice della liquidazione è consentito di negare la sussistenza del danno, senza che ciò comporti alcuna violazione del giudicato formatosi sull' "an".
Cass. civ. n. 6517/2012
La richiesta di condanna specifica al risarcimento del danno, sia essa formulata in maniera determinata o indeterminata, dà luogo ad un'unica domanda giudiziale, e non a due distinti capi di domanda sull' "an" e sul "quantum" debeatur. Ne consegue che in detta ipotesi non trova applicazione l'art. 277, secondo comma, cod. proc. civ., il quale consente, ove siano state avanzate più domande, la decisione separata di alcune di esse per le quali non sia necessaria ulteriore attività istruttoria, presupponendo la scissione del giudizio sull' "an" da quello sul "quantum", a norma dell'art. 278, primo comma, cod. proc. civ., un'espressa richiesta della parte, la cui volontà in tal senso non può desumersi dalla formulazione di una domanda di risarcimento di danni non determinati, ma determinabili.
Cass. civ. n. 4805/2012
La domanda di condanna al risarcimento di un danno non quantificabile con mere operazioni aritmetiche deve interpretarsi, in difetto di indicazioni contrarie, come domanda di condanna generica. (Nella specie, il lavoratore aveva chiesto la condanna del datore di lavoro a risarcirgli il danno cagionato dalla mancata iscrizione ad un fondo previdenziale di categoria; la S.C., osservando che il danno da omissione contributiva si attualizza soltanto al raggiungimento dell'età pensionabile e non è quantificabile prima di tale evento condizionante, ha cassato la decisione di merito che aveva qualificato la domanda come istanza di condanna specifica e l'aveva respinta per difetto di prova circa l'ammontare del danno).
Cass. civ. n. 24002/2011
Ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni, ai sensi dell'art. 278 c.p.c., qualora venga accertato un fatto potenzialmente produttivo di danno, il giudice può e deve accertare altresì se esso sia conseguenza di diverse azioni di più soggetti responsabili, anche tra loro indipendenti ed anche ove costituiscano violazione di norme diverse, ai fini della responsabilità solidale di cui all'art. 2055 c.c., fermo restando che nel successivo giudizio instaurato per la liquidazione possa essere poi negato il fondamento della domanda risarcitoria e della responsabilità solidale dei più coaturi, previo accertamento del fatto che il danno non si sia in concreto verificato.
Cass. civ. n. 4051/2011
Se l'attore ha chiesto la condanna del convenuto al pagamento di una somma di denaro determinata o determinabile (c.d. condanna specifica) il giudice non può, in assenza dell'accordo delle parti o quanto meno della opposizione del convenuto alla relativa richiesta dell'attore, rinviare a separato giudizio la liquidazione della somma dovuta limitandosi alla condanna all'"an debeatur" (c.d. condanna generica), ma deve decidere anche in ordine al "quantum debeatur" accogliendo la domanda, ovvero respingendola in caso contrario, fermo restando che non può considerarsi generica la condanna al pagamento di una somma denaro che, anche se non indicata nel suo preciso ammontare, sia facilmente determinabile con semplici operazioni di calcolo aritmetico sulla base degli elementi forniti dalla sentenza stessa.
Cass. civ. n. 3357/2009
La sentenza di condanna generica pronunciata nel corso di un giudizio di risarcimento del danno aquiliano di norma presuppone il positivo accertamento del nesso di causalità cosiddetta "materiale" ("ex" art. 40 c.p.) tra la condotta e l'evento produttivo di danno, sicché nel successivo giudizio sul "quantum" resta da accertare soltanto il nesso di causalità cosiddetta "giuridica" ("ex" art. 1223 cod. civ.) tra l'evento di danno ed i pregiudizi che ne sono derivati.
Cass. civ. n. 1701/2009
Con la sentenza di condanna generica il giudice può non solo limitarsi ad accertare l'esistenza di un fatto potenzialmente idoneo a produrre un danno, ma anche accertare l'effettivo avveramento del danno, demandando ad un successivo giudizio soltanto la sua liquidazione.
Cass. civ. n. 19453/2008
Allorché la vittima di un illecito aquiliano chieda l'accertamento dell'"an debeatur" separatamente da quello del "quantum debeatur", occorre distinguere due ipotesi: a) se nel medesimo processo viene dapprima pronunciata condanna al risarcimento, e quindi viene disposta la prosecuzione del giudizio per l'accertamento del "quantum" ai sensi dell'art. 278, primo comma, c.p.c., il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva sull'"an" preclude la possibilità di contestare, nel prosieguo del giudizio, i presupposti del risarcimento, quali l'esistenza del credito o la proponibilità della domanda; b) se, invece, il giudizio si è limitato all'accertamento dell'"an", rinviando ad un nuovo e separato giudizio l'accertamento del "quantum", quest'ultimo sarà del tutto autonomo rispetto al primo, con la conseguenza che il passaggio in giudicato della sentenza di condanna generica al risarcimento non genera effetti vincolanti, per il giudice del "quantum", né sull'esistenza del credito né sulla proponibilità della domanda.
Cass. civ. n. 23328/2006
La condanna generica al risarcimento dei danni, avendo come contenuto una mera declaratoria di riconoscimento del relativo diritto, postula — quale presupposto per il suo accoglimento — l'accertamento di un fatto da ritenersi, alla stregua di un giudizio di probabilità, anche solo potenzialmente produttivo di conseguenze dannose. Tuttavia, in tale ipotesi, sulla parte interessata incombe comunque l'onere di indicare specificamente i mezzi di prova dei quali intende avvalersi per la determinazione del quantum dovendosi pervenire, in difetto di tale deduzione, al rigetto della domanda di condanna generica.
Cass. civ. n. 8576/2004
Anche nel rito del lavoro è ammissibile una sentenza di condanna generica (non limitata alle ipotesi di sentenza non definitiva con rinvio della liquidazione del quantum alla prosecuzione del giudizio, previste dagli artt. 278 e 279 n. 4 c.p.c.), in quanto anche in detto rito la domanda può essere limitata fin dall'inizio all'accertamento dell'an con conseguente pronuncia di condanna generica, che definisce il giudizio, e connesso onere della parte interessata di introdurre, ex art. 414 c.p.c., autonomo giudizio per la liquidazione del quantum.
Cass. civ. n. 7637/2003
La condanna generica al risarcimento del danno, anche se contenuta in una sentenza penale, consiste in una mera declaratoria iuris e richiede il semplice accertamento della potenziale idoneità del fatto illecito a produrre conseguenze dannose o pregiudizievoli, a prescindere dalla esistenza e dalla misura del danno, il cui accertamento è riservato al giudice della liquidazione. Pertanto, ogni affermazione della sentenza penale che non sia funzionale alla condanna generica è insuscettibile di acquistare autorità di giudicato e non impedisce che nel giudizio di liquidazione sia riconosciuta l'infondatezza della pretesa risarcitoria, ove si accerti che in realtà nessun danno, anche per profili diversi da quelli contemplati nel giudicato penale e da questo non esclusi, si sia verificato o che quello esistente non sia eziologicamente ricollegabile al fatto illecito accertato in sede penale.
Cass. civ. n. 11651/2002
In tema di condanna generica al risarcimento del danno, che integra soltanto un accertamento della potenziale idoneità a produrre conseguenze pregiudizievoli, nel giudizio di liquidazione devono essere accertati non solo la misura ma anche l'effettiva esistenza del danno, sicché — al di fuori dell'ipotesi in cui il giudice non si sia limitato ad accertare la potenzialità del danno ma ne abbia in concreto accertato l'esistenza — il giudicato formatosi sull'an debeatur non preclude in sede di determinazione del risarcimento il rigetto della domanda, ove il giudice accerti l'inesistenza del danno. (Nella specie, in tema di inadempimento all'obbligo di stipulare l'atto pubblico di trasferimento del fondo ceduto o del conseguente danno prospettato dall'acquirente, con riferimento all'impossibilità di realizzare l'intervento edificatorio per il sopravvenire nel frattempo di strumenti urbanistici più restrittivi, la Suprema Corte, nell'escludere che la condanna generica al risarcimento potesse avere efficacia di giudicato in ordine all'effettiva esistenza del danno, ha confermato la decisione dei giudici di appello che, in sede di liquidazione, avevano rigettato la domanda, avendo accertato che l'intervento edificatorio richiesto dall'acquirente costituiva una lottizzazione abusiva e perciò non poteva comunque essere realizzato.
Cass. civ. n. 10453/2001
Ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 278 c.p.c., non è sufficiente accertare l'illegittimità della condotta, ma occorre anche accertarne, sia pure con modalità sommaria e valutazione-probabilistica, la portata dannosa, senza la quale il diritto al risarcimento, di cui si chiede anticipatamente la tutela, non può essere configurato; nel caso di condanna generica, infatti, ciò che viene rinviato al separato giudizio è soltanto l'accertamento in concreto del danno nella sua determinazione quantitativa, mentre l'esistenza del fatto illecito e della sua potenzialità dannosa devono essere accertati nel giudizio relativo all'an debeatur e di essi va data la prova sia pure sommaria e generica, in quanto costituiscono il presupposto per la pronuncia di condanna generica.
Cass. civ. n. 10384/2001
La pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno integra un accertamento di potenziale idoneità a produrre conseguenze pregiudizievoli a prescindere dalla misura ma anche dalla stessa concreta esistenza del danno, con la conseguenza che il giudicato formatosi su detta pronuncia non osta a che sul giudizio instaurato per la liquidazione venga negato il fondamento della domanda risarcitoria, alla stregua della contestazione che il danno non si sia in effetti verificato.
Cass. civ. n. 2332/2001
Le statuizioni contenute nella sentenza non definitiva non possono essere modificate o revocate con la sentenza definitiva, in quanto i singoli punti della prima possono essere sottoposti a riesame solo con le impugnazioni, mentre la non definitività concerne soltanto la non integralità della decisione della controversia, ma non anche la mutabilità, da parte dello stesso giudice, di ciò che è stato deciso.
Cass. civ. n. 240/2001
Il primo comma dell'art. 1227 c.c. concerne il concorso colposo del danneggiato nella produzione dell'evento che configura l'inadempimento, quindi la sua cooperazione attiva, mentre nel secondo comma il danno è eziologicamente imputabile al danneggiante, ma le conseguenze dannose dello stesso avrebbero potuto essere impedite o attenuate da un comportamento diligente del danneggiato. Consegue che in tema di risarcimento del danno, nel caso di giudizio sull'an separato da quello sul quantum le circostanze imputabili al danneggiato ed idonee a determinare un suo concorso di colpa vanno dedotte ed esaminate in sede di accertamento generico per quanto attiene sia alla loro esistenza sia al grado della loro efficienza causale, con la conseguenza che, qualora in detto giudizio sia stato escluso il concorso di colpa del danneggiato, ogni questione sul punto non è più proponibile nel successivo giudizio.
Cass. civ. n. 15066/2000
La condanna generica al risarcimento del danno postula, quale presupposto necessario e sufficiente della pronuncia, l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, restando impregiudicato quello, riservato al giudice della liquidazione, dell'esistenza e dell'entità del danno, senza che ciò comporti alcuna violazione del giudicato sull'an debeatur. Tale principio trova applicazione non solo nella ipotesi — specificamente prevista dall'art. 278 c.p.c. — in cui, risultando accertata la sussistenza di un diritto, ma essendo controversa la quantità della prestazione dovuta, il giudice, su istanza di parte, si limiti a pronunciare, con sentenza, non definitiva, la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione; ma altresì nel caso in cui l'attore proponga “a origine” domanda limitata alla sola condanna generica, riservando a separato giudizio la richiesta di determinazione della prestazione dovuta. Né la proponibilità di siffatta domanda è subordinata alla condizione che essa si fondi su di un accordo con il convenuto, ravvisabile, peraltro, anche tacitamente nell'assenza di opposizione, costituendo la domanda stessa espressione del principio di autonoma disponibilità delle forme di tutela offerte dall'ordinamento, ed essendo configurabile un interesse giuridicamente rilevante dell'attore, che costituisce indefettibile condizione dell'azione, consistente nel conseguimento di forme di tutela cautelare o speciale. Rispetto a tale domanda, peraltro, è possibile individuare un interesse del convenuto alla negazione dell'esistenza attuale del danno. In tal caso, costui contrappone al proposto accertamento probabilistico della sussistenza del danno l'accertamento negativo sulla base di certezza. Solo un siffatto accertamento è idoneo ad impedire la prosecuzione della pretesa attorea in una seconda fase o in un successivo giudizio. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione della Corte territoriale che, in parziale riforma della sentenza del giudice di primo grado, aveva pronunciato la condanna generica di un istituto di credito al risarcimento del danno cagionato ad una società, che aveva intrattenuto con lo stesso un rapporto di apertura di credito in conto corrente, assistito da fideiussione, dalla emissione di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, con conseguente iscrizione di ipoteche giudiziali sui beni dei fideiussori, ottenuto dall'istituto, receduto dal rapporto, senza che venisse rispettato il relativo termine di preavviso per il rientro delle esposizioni debitorie. Nell'occasione, la S.C. ha rilevato che, nel giudizio di appello, la banca si era limitata a chiedere la reiezione del gravame, e la conferma della sentenza di primo grado, e che tale comportamento non poteva ritenersi sufficiente a configurare una opposizione alla domanda attorea — originariamente limitata all'“an” — suscettibile di esigere dal giudice un ampliamento del tema di indagine, ossia un accertamento in termini di certezza in ordine alla sussistenza del danno).
Cass. civ. n. 14752/2000
Pronunziata a norma dell'art. 278 c.p.c. sentenza di condanna generica al risarcimento del danno non può nella successiva fase dichiararsi che il pregiudizio derivato dal fatto accertato con la prima sentenza non è risarcibile perché non è ingiusto.
Cass. civ. n. 6690/2000
Ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni è sufficiente l'esistenza potenziale del danno, che dovrà poi essere determinato o anche escluso dal giudice della liquidazione. Pertanto, la risoluzione del contratto per inadempimento di una delle parti giustifica la condanna generica di questa al risarcimento del danno, indipendentemente dal concreto accertamento di uno specifico pregiudizio patrimoniale, posto che l'anticipato scioglimento del rapporto è di per sé un evento potenzialmente generatore di danno, avendo turbato e compromesso le aspettative economiche della parte adempiente, anche se fatti specifici di violazione contrattuale non abbiano, in ipotesi, prodotto direttamente alcun pregiudizio patrimoniale al contraente incolpevole.
Cass. civ. n. 7847/1998
Non è consentita la proposizione, oltre che di una domanda principale estesa sia all'an che al quantum, di una domanda subordinata limitata alla condanna generica (cioè con riserva di determinazione del quantum in un separato giudizio), in quanto il giudice, in base al principio di corrispondenza tra domanda e pronuncia giudiziale e a quello sulla ripartizione degli oneri probatori, ove sia carente la prova anche solo relativamente al quantum, deve rigettare la domanda principale, con la conseguenza che non può poi prendere in considerazione anche la domanda subordinata, che deve ritenersi improponibile, anche perché, per il principio del ne bis in idem, non può ammettersi che in un successivo giudizio possa essere ripetuto il già effettuato giudizio sul quantum.
Cass. civ. n. 3800/1998
Dal testuale dettato dell'art. 278 c.p.c. si evince che l'istituto della provvisionale, diversamente da quello della condanna generica, dà luogo ad un provvedimento di condanna vera e propria, che presuppone la valutazione positiva del giudice di merito circa il raggiungimento della prova su una certa quantità del danno, nei cui limiti essa costituisce titolo esecutivo, nonché titolo per iscrivere ipoteca giudiziale. Tale sentenza è irrevocabile da parte del giudice che l'ha emanata ed è modificabile soltanto mediante l'esperimento dei normali mezzi di impugnazione, all'esito dei quali essa, qualora trovi conferma, è suscettibile di passare in cosa giudicata.
Cass. civ. n. 4511/1997
La condanna generica al risarcimento del danno, avendo come contenuto una mera declaratoria iuris postula quale presupposto necessario e sufficiente a legittimarla, l'accertamento di un fatto ritenuto dal giudice, alla stregua di un giudizio di probabilità, potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, restando impregiudicato l'accertamento, riservato al giudice della liquidazione, dell'esistenza e dell'indennità del danno, nonché del nesso di causalità tra questo ed il fatto illecito. Ricorrendo il detto presupposto, essa può essere negata solo quando risulti in concreto provato che ogni danno astrattamente possibile è mancato o che non può configurarsi un rapporto di causalità tra il fatto illecito e i dedotti effetti dannosi.
Cass. civ. n. 1324/1997
Nel giudizio di risarcimento del danno, solo in presenza dell'accordo delle parti o, quanto meno, della mancata opposizione del convenuto, il giudice può scindere il giudizio medesimo, che è di norma unitario, e limitare la pronuncia all'an debeatur; in mancanza di una delle due condizioni, egli deve decidere anche la domanda di quantificazione del danno, per accoglierla (ricorrendo, se del caso alla forma di cui all'art. 279, n. 4, c.p.c., e, per il merito, al disposto dell'art. 1226 c.c.), o per respingerla (quando non sia determinabile l'entità del danno), restando sempre esclusa la possibilità di pronunciare una condanna generica di risarcimento con rinvio della liquidazione ad altro giudizio. Ne consegue che, ove la limitazione dell'originaria domanda di pronuncia piena al semplice accertamento del diritto al risarcimento non possa operare a causa dell'opposizione di controparte, riprende vigore l'istanza di liquidazione del danno secondo la normale struttura del giudizio risarcitorio, fermo restando l'onere a carico dell'istante di provare il danno in tutti i suoi elementi e salva l'eventuale applicazione dei citati artt. 279, n. 4, c.p.c. e 1226 c.c.
Cass. civ. n. 303/1996
La domanda di condanna generica al risarcimento del danno da inadempimento contrattuale è accoglibile anche in presenza di una clausola penale limitativa del risarcimento, che può essere utilmente fatta valere dal convenuto nella fase dedicata alla liquidazione del danno. Ne consegue l'inammissibilità per difetto di interesse, del ricorso per cassazione con il quale si censuri, per violazione dell'art. 1382 c.c., la decisione di merito che, senza tener conto della clausola anzidetta, abbia accolto la domanda risarcitoria proposta in forma generica.
Cass. civ. n. 12103/1995
Con riguardo alle azioni di risarcimento del danno (sia in materia contrattuale che extracontrattuale), è ammissibile la domanda dell'attore originariamente rivolta unicamente ad una condanna generica, senza che sia necessario il consenso (espresso o tacito) del convenuto, costituendo essa espressione del principio di autonoma disponibilità delle forme di tutela offerte dall'ordinamento ed essendo configurabile un interesse giuridicamente rilevante dell'attore a forme di tutela cautelare o speciale (quali l'iscrizione d'ipoteca giudiziale ex art. 2818 c.c. o l'azione risarcitoria in materia di concorrenza sleale di cui all'art. 2600 c.c.). Rispetto a siffatta domanda, l'opposizione del convenuto si configura come richiesta (anche implicita) di accertamento dell'insussistenza del danno, attraverso un giudizio di certezza e non di semplice probabilità, ed è ricollegabile all'interesse del convenuto medesimo ad ottenere una tutela preventiva contrapposta a quella richiesta dall'attore; con la conseguenza che, una volta proposta detta opposizione, l'attore, al fine dell'accoglimento della propria domanda, è tenuto a dare la dimostrazione della sussistenza del danno (non della sua mera probabilità), anche se indipendentemente dall'individuazione attuale dell'entità dello stesso.
Cass. civ. n. 4212/1995
A differenza dell'azione di mero accertamento, il cui presupposto è costituito non già dalla violazione di un diritto ma dalla contestazione della sua esistenza, l'azione di condanna generica — la quale è volta ad ottenere una sentenza che, se non può dar luogo all'esecuzione forzata fino a quando non sarà integrata dalla sentenza di condanna concernente il quantum, costituisce tuttavia una pronunzia di condanna ad altri effetti, tra i quali quello di costituire un titolo per iscrivere ipoteca (art. 2118 c.c.) — presuppone una esigenza di tutela determinata dalla violazione di un diritto, ancorché sia sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di danno e non già di un danno effettivo. Ne consegue che, una volta esperita un'azione di condanna, ancorché generica, l'accertamento del diritto è meramente strumentale alla pronunzia, cosicché, qualora non sussistano i presupposti per emanarla, non è configurabile un autonomo interesse al mero accertamento del suddetto diritto.
Cass. civ. n. 8545/1993
La pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno per fatto illecito (extracontrattuale) integra un accertamento di potenziale idoneità di tale fatto a produrre conseguenze pregiudizievoli, a prescindere dalla misura, ma anche dalla stessa concreta esistenza del danno, con la conseguenza che il giudicato formatosi su detta pronuncia non osta a che, nel giudizio instauratosi per la liquidazione, venga negato il fondamento della domanda risarcitoria, alla stregua della constatazione che il danno non si sia in effetti verificato.
Cass. civ. n. 3062/1990
Il rito del lavoro non è incompatibile con la pronunzia di sentenze non definitive, non solo sulle questioni pregiudiziali menzionate dall'art. 420 c.p.c., ma anche su questioni di merito, con la conseguenza che legittimamente il giudice può provvedere ad emettere sentenza di condanna generica, riservando al prosieguo del giudizio la determinazione del quantum.
Cass. civ. n. 1431/1990
In tema di risarcimento del danno, quando il giudizio sull'an si sia svolto separatamente da quello sul quantum, la sentenza di condanna generica costituisce giudicato esterno rispetto al giudizio di liquidazione del danno, la cui interpretazione — con l'individuazione del suo contenuto e della sua portata — come l'accertamento del rapporto di causalità tra il comportamento accertato (attraverso il giudicato) e l'evento dannoso integrano giudizi di merito, sottratti come tali al sindacato di legittimità, se non sotto il profilo e sempre nei limiti delle censure effettivamente proposte, della correttezza, della sufficienza e della coerenza della motivazione.
Cass. civ. n. 2659/1986
L'art. 278 c.p.c., il quale consente una pronuncia non definitiva limitata all'an debeatur con rinvio della liquidazione del quantum a successiva fase dello stesso giudizio, sulla sola base dell'istanza della parte interessata e senza necessità dell'adesione della controparte (richiesta nel diverso caso in cui detta liquidazione venga rinviata ad un separato giudizio), non esonera l'attore, all'atto della rimessione della causa al collegio, dall'onere della formulazione integrale delle proprie conclusioni e dell'indicazione dei mezzi di prova dei quali intenda avvalersi per la determinazione del quantum, secondo la disciplina generale fissata dagli artt. 187 e 189 c.p.c., con la conseguenza che, in difetto di tali deduzioni probatorie, la suddetta istanza non vale ad escludere il potere-dovere del giudice di rigettare la domanda.
Cass. civ. n. 3283/1985
L'opposizione del convenuto, quale fatto ostativo a che l'attore, dopo aver chiesto la condanna al pagamento di una somma di denaro, possa successivamente limitare la domanda all'an debeatur con riserva di agire in separata sede per la liquidazione del quantum, non postula l'uso di formule particolari, essendo sufficiente una inequivoca volontà di mantenere il giudizio unitario, come quella evincibile da una richiesta di consulenza tecnica anche sulla quantificazione del debito.
Cass. civ. n. 181/1982
La sentenza sull'an debeatur preclude la riproposizione nel successivo ed autonomo giudizio sul quantum di tutte le questioni da essa decise, indipendentemente dal suo passaggio in giudicato. Da tanto consegue che la cassazione della sentenza sull'an successivamente alla sentenza di appello sul quantum non può portare all'accoglimento del ricorso contro quest'ultima decisione al fine di consentire il conseguimento, in sede di rinvio, degli effetti di detta cassazione rispetto alla sentenza di liquidazione del quantum, non potendo essere portato il controllo istituzionale della Corte di cassazione su questioni relative a fatti successivi alla sentenza denunciata e, quindi, non discusse nel giudizio di appello né risolte dalla sentenza impugnata. In tale situazione l'unico rimedio per impedire che la sentenza sul quantum possa produrre i suoi effetti è quello dell'opposizione all'eventuale esecuzione forzata che la controparte intendesse iniziare, attraverso la deduzione di un fatto sopravvenuto (cassazione della sentenza sull'an) che spiegando i suoi effetti sul titolo esecutivo (col travolgere la sentenza sul quantum) priva tale titolo di ogni efficacia.
Cass. civ. n. 756/1961
Dopo la condanna del debitore al pagamento di una provvisionale, la concreta determinazione dell'intero ammontare del danno può essere rimandata, ricorrendone i presupposti, anziché a fase successiva del procedimento, ad un giudizio in separata sede; in questa seconda ipotesi, la concessione della provvisionale è ammissibile sempre che sull'esistenza dei danni siasi ritenuta già raggiunta la prova.
Cass. civ. n. 1551/1956
Presupposto logico necessario perché il debitore possa essere condannato al pagamento di una provvisionale è che il giudice ritenga già raggiunta la prova concreta della sussistenza del debito nei limiti della quantità per cui la provvisionale è concessa. Consegue che, formatosi il giudicato su tale presupposto logico giuridico, ogni ulteriore questione sulla effettiva esistenza di danni valutabili entro detti limiti, resta definitivamente preclusa.
Cass. civ. n. 285/1952
Dall'istituto della condanna provvisionale, così come disciplinato dal nuovo codice di rito, esula ogni carattere di provvedimento cautelare e provvisorio perché, ai sensi dell'art. 278 del codice di procedura civile, stesso codice, il giudice può condannare al pagamento di una provvisionale nei limiti soltanto delle quantità per cui ritiene già raggiunta la prova di modo che, ove la sentenza non venga, su tale punto, impugnata, la condanna fa stato ad ogni effetto tra le parti.