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Articolo 525 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Revoca della rinunzia

Dispositivo dell'art. 525 Codice Civile

Fino a che il diritto di accettare l'eredità(1) non è prescritto(2) contro i chiamati che vi hanno rinunziato [480 c.c.], questi possono sempre accettarla(3), se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell'eredità.

Note

(1) Stante l'eccezionalità della previsione, la norma non si può estendere al legato la cui rinuncia è, quindi, irrevocabile.
(2) Per decorso del termine decennale di prescrizione o di quello fissato dal giudice ex art. 481 del c.c..
(3) Benché la norma parli di revoca, è condivisa l'opinione che non si tratti di una vera e propria revoca. Se così fosse, infatti, in seguito alla revoca della rinuncia sarebbe consentito al soggetto di accettare l'eredità o meno in quanto tornerebbe nella posizione di chiamato. La "revoca" di cui all'art. 525 del c.c. produce, invece, gli effetti propri dell'accettazione dell'eredità.
Quanto alla forma della revoca vi è chi ritiene che essa debba avere la stessa forma prevista per la rinunzia, in base al principio secondo il quale un atto che pone nel nulla un precedente atto per cui è prevista una determinata forma deve avvenire a sua volta con le medesime formalità.
Di contro vi è chi ritiene che, essendo in realtà la revoca un'accettazione, questa possa avvenire con le medesime forme previste per l'accettazione, sia espressa che tacita.

Ratio Legis

Attraverso tale norma si assicura in ogni caso un titolare ai beni ereditari. Il rinunziante ha la possibilità di tornare sui suoi passi fino a che l'eredità non sia stata accettata da altri chiamati o, in mancanza, dallo Stato.

Spiegazione dell'art. 525 Codice Civile

La legge consente al chiamato, che abbia rinunciato, di ritrattare la sua rinuncia diversamente dall’accettazione che, una volta compiuta, non può più ritrattarsi. Come si spiega questa contraria disposizione? Essa si comprende riflettendo allo stesso scopo per cui, un volta adita l'eredità, non è più consentito dismetterla: la necessita di render certo l'acquisto dei patrimoni ereditari; è interesse sociale che i beni di una persona defunta non siano lasciati senza soggetto, per cui, quando colui che avrebbe potuto acquistarli nonostante abbia rinunciato al diritto di farli suoi, muta d'avviso, bisogna consentirgli la facoltà di compiere quell'acquisto, che non sarà più possibile per lui quando i beni siano già entrati a far parte del patrimonio di altri.
I presupposti perché il chiamato rinunciatario possa ritrattare la sua rinuncia sono due: 1) l'eredità non deve essere stata accettata da altri sia prima che dopo la rinuncia; prima, per effetto del diritto di accrescimento; il che avviene quando a succedere col chiamato, che poi ha rinunciato, vi siano altri aventi diritto all'accrescimento; costoro, avendo con l'accettazione della propria quota, acquistato anche il di ritto di far propria, per accrescimento, la quota che si rende comunque vacante (e la rinuncia determina tale situazione) impediscono l’acquisto della sua quota da parte del coerede rinunciante; dopo, in quanto se l'eredità è stata accettata da coloro ai quali essa doveva devolversi, non è possibile un acquisto da parte del rinunciante, perché nei confronti di chi ha accettato sta il principio della irretrattabilità dell'aditio; questa soluzione è assoluta; essa, cioè, non subisce deroga alcuna neppure se vi sia un accordo di tutti i coeredi accettanti a che la rinuncia sia revocata; 2) non deve essersi verificata la prescrizione del diritto di accettare per il rinunciante che vuol ritornare sulla propria decisione.

Chi può ritrattare la rinuncia? Senza dubbio questo diritto spetta a chi ha abdicato alla facoltà di acquistare l'eredità. Ma si trasmette esso ai suoi eredi ove non sia stato esercitato e ove non si siano verificate le circostanze preclusive innanzi considerate? La legge non lo dice così come lo ha detto per la trasmissibilità del diritto di accettale; ma è ovvio che una volta affermata questa, la trasmissibilità del diritto di revocare la rinuncia si rivela come un effetto della trasmissibilità del diritto di accettare. All’infuori del chiamato rinunciante e dei suoi eredi la revoca della rinuncia non può essere attuata da altri e, specialmente, dai creditori che vogliano compierla avvalendosi dell’art. 2900, cioè della surrogatoria.
Tuttavia, questa tesi è contrastata da autorevoli scrittori, i quali ammettono che i creditori, come possono surrogarsi al loro debitore nell’accettare un’eredità in luogo e in vece del successibile che se ne astiene, così hanno facoltà di surrogarglisi per chiedere la revoca della rinuncia. L'effetto di tale revoca sarebbe che i beni dell'eredità rientrano nel patrimonio del debitore, il quale rimane erede, cosicché i creditori avrebbero diritto di veder soddisfatti i loro crediti su quei beni. Ma a questa teoria possono muoversi i seguenti rilievi: 1) la legge ha, sotto determinate condizioni, accordato ai creditori il diritto di evitare gli effetti pregiudizievoli della rinuncia resa dal loro debitore; di modo che, non verificandosi quei presupposti, alcuna legittimazione in revoca può riconoscersi ai creditori; 2) la revoca della rinuncia attua l’esercizio d’una facoltà d’acquisto di diritti da parte del debitore e nei confronti di tale facoltà la surrogatoria è improponibile perché l’art. 2900, parlando di diritti, ha voluto considerare i diritti che, potenzialmente, già fanno parte del patrimonio del defunto, garanzia delle ragioni dei creditori; 3) è inconcepibile che il chiamato, rinunciatario, debba vedersi erede senza volerlo, anzi pur dopo aver rinunciato, dal momento che la revoca della rinuncia, non regolando la legge siffatta ipotesi, deve portare necessariamente a tale risultato; 4) infine, la teoria in esame cade in aperta contraddizione quando da un lato afferma che i creditori possano surrogarsi al loro debitore per far revocare la sua rinuncia e, dall’altro, poi, nega che tale facoltà sia un’applicazione della surrogatoria, in base al motivo, esattissimo, che non si può parlare di surroga nell’esercizio di un diritto cui si è rinunciato; se si riconosce questo principio non si può ammettere la surrogatoria per la revoca della rinuncia.
Come va compiuta la ritrattazione della rinuncia? La legge non prescrive forme speciali, dunque essa può venir fatta così come può essere manifestata l’accettazione dell’eredità; ma questo sistema non risulta molto coerente in quanto, se la rinuncia, per essere valida, ha dovuto esser resa con l’osservanza di determinate formalità, sarebbe consequenziale, se non proprio necessario, porre l’osservanza di altre formalità per la sua revoca, e ciò per garantire la certezza dei rapporti giuridici e a salvaguardia di diritti dei terzi.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 525 Codice Civile

Cass. civ. n. 37927/2022

Nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 c.c., in tema di rinunzia all'eredità, la quale determina la perdita del diritto all'eredità ove ne sopraggiunga l'acquisto da parte degli altri chiamati, l'atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni), con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia è inammissibile.

Cass. civ. n. 6070/2012

La rinunzia all'eredità non fa venir meno la delazione del chiamato, stante il disposto dell'art. 525 c.c. e non è, pertanto, ostativa alla successiva accettazione, che può essere anche tacita, allorquando il comportamento del rinunciante (che, nella specie, si era costituito in giudizio, allegando la sua qualità di erede e riportandosi alle difese già svolte dal "de cuius") sia incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria.

Cass. civ. n. 21014/2011

Nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 c.c. in tema di rinunzia all'eredità - la quale determina la perdita del diritto all'eredità ove ne sopraggiunga l'acquisto da parte degli altri chiamati - l'atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni), con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia è inammissibile.

Cass. civ. n. 16913/2011

La revoca della rinuncia all'eredità, di cui all'art. 525 c.c., non costituisce, anche sotto il profilo formale, un atto o negozio giuridico autonomo, bensì l'effetto della sopravvenuta accettazione dell'eredità medesima da parte del rinunciante, il cui verificarsi, pertanto, va dedotto dal mero riscontro della validità ed operatività di tale successiva accettazione, sia essa espressa o tacita (artt. 474 e segg. c.c.).

Cass. civ. n. 8912/1998

Il chiamato all'eredità, che vi abbia inizialmente rinunciato, può, ex art. 525 c.c., successivamente accettarla (in tal modo revocando implicitamente la precedente rinuncia) in forza dell'originaria delazione — e sempre che questa non sia venuta meno in conseguenza dell'acquisto compiuto da altro chiamato —, ma non anche in forza di un accordo concluso tra il rinunziante ed i soggetti acquirenti dell'eredità, dovendo, in tal caso, escludersi ogni possibilità di revoca della precedente rinuncia per effetto del carattere indisponibile della delazione che, una volta venuta meno, non può efficacemente rivivere per volontà dei privati (oltre che per effetto del principio semel heres semper heres, in forza del quale chi abbia accettato l'eredità non può più legittimamente rinunciarvi, essendo l'accettazione, a differenza della rinuncia, un atto puro ed irrevocabile, giusto disposto dell'art. 475 c.c.).

Cass. civ. n. 2549/1966

L'irrevocabilità della rinuncia alla eredità, una volta intervenuta l'accettazione degli altri chiamati — accettazione che, peraltro, nel caso di concorso di eredi che abbiano già accettato, non ha bisogno di una specifica manifestazione di volontà, operandosi ipso iure, per diritto di accrescimento, l'acquisto della quota del rinunziante da parte dei coeredi che avrebbero concorso con lui — non si ricollega all'interesse di coloro che si avvantaggiano della rinunzia, bensì al carattere indisponibile della delazione, la quale, una volta caduta, non può essere fatta rivivere per volontà privata. Conseguentemente, l'assenso, prestato alla revoca della rinuncia da parte dei coeredi che hanno acquistato la quota di eredità del rinunciante, non può far rivivere in quest'ultimo la qualità di erede, ormai definitivamente perduta.

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Consulenze legali
relative all'articolo 525 Codice Civile

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Anonimo .. chiede
venerdì 17/05/2024
“Spett.le Brocardi.it
Oggetto: successione ereditaria.
Il figlio, unico erede del padre defunto, ha rinunciato all’eredità presso la Cancelleria del Tribunale.
Successivamente ha ricevuto una notifica di una raccomandata A.R. e ancora successivamente la notifica di un atto giudiziario, entrambi con la (errata) qualifica di “erede”.
Come dovrebbe comportarsi il rinunciante all’eredità?
Deve rifiutare le notifiche in quanto errate poiché di fatto e di diritto non è “erede”, o le deve ritirarle e agire di conseguenza, informando eventuali creditori o chiamato in giudizio per conto del defunto padre di avere rinunciato all’eredità?
Il ritiro delle notifiche come prospettate non potrebbe essere inteso come accettazione tacita dell’eredità ?
Il ritiro delle notifiche comporta necessariamente la risposta, spesso onerose ad esempio se erroneamente chiamato in giudizio come erede serve necessariamente l’assistenza di un avvocato, solo per dire che la notifica è nulla poiché il citato non è erede avendo rinunciato l’eredità.
In merito alla pubblicità degli atti in materia, è incomprensibile che il legislatore abbia previsto l’obbligo per la cancellaria del Tribunale di inserire nel registro delle successioni la rinuncia all’eredità, ma non la revoca della stessa, rendendo impossibile per i terzi la messa a conoscenza di tale eventualità.
Questa carenza normativa rende “inutile” la pubblicazione del registro delle successioni della rinuncia all’eredità, in quanto potrebbe esistere in (assurda) incognita la revoca della stessa effettuata entro 10 anni dall’apertura della successione.
Come si può spiegare tale difetto normativo (favorevole al creditore) che potrebbe comportare al rinunciante dell’eredità gravi conseguenze, evitabili se la registrazione nel registro delle successioni della revoca della rinuncia all’eredità fosse resa obbligatoria (almeno) dalla Cancelleria del Tribunale ?

Cordialità
Consulenza legale i 23/05/2024
Il tema che qui si chiede di affrontare è quella della forma della rinuncia all’eredità ex art. 519 del c.c. e della sua revoca ex art. 525 c.c.
Presupposto indispensabile per tentare di inquadrare la questione della forma della revoca della rinuncia è quello di cercare di esaminare in maniera molto sintetica le diverse tesi che si sono sviluppate, sia in dottrina che in giurisprudenza, oltre che in tema di revoca della rinunzia, anche con riferimento alla figura stessa della rinuncia all’eredità, i cui effetti la revoca è volta a neutralizzare.

Costituisce principio pacifico quello secondo cui il negozio di rinuncia è efficace se si perfeziona secondo le modalità solenni a cui fa riferimento l’art. 519 c.c. (ovvero con dichiarazione resa davanti a notaio ovvero al cancelliere del Tribunale in cui si è aperta la successione).
Ai sensi dell’art. 52 delle disp. att. c.c. la dichiarazione di rinunzia deve poi essere inserita nella seconda parte del registro delle successioni, adempimento che, nonostante la sua obbligatorietà, la S.C. ha ritenuto necessario non tanto per la validità della rinunzia, quanto piuttosto per la sua opponibilità ai terzi (così Cass. Sez. III 13.02.2014 n. 3346).
Particolarmente controversi sono gli effetti della rinunzia, in quanto alla tesi secondo cui la stessa deve essere considerata come vera e propria rinuncia abdicativa (con la quale si dismette il diritto di accettare l’eredità) si contrappone quella che la considera come mero atto di rifiuto, con il quale il chiamato si limita a dichiarare di non voler esercitare il diritto di adire l’eredità, ma senza dismettere i diritti connessi alla posizione di chiamato (primo fra tutti il diritto di accettare, il quale permarrebbe in capo al rinunciante nonostante il rifiuto).

L’adesione all’una o all’altra delle tesi suesposte assume particolare rilievo ai fini della interpretazione che si intende dare al successivo art. 525 c.c. in tema di revoca della rinunzia.
In particolare, chi aderisce alla seconda tesi ed esclude che la rinunzia costituisca un atto di dismissione abdicativa del diritto di accettare l’eredità, afferma di conseguenza che la rinunzia non avrebbe l’effetto di far venire meno la delazione del chiamato.
Ciò significa che il chiamato, nonostante la rinunzia, non può ritenersi estromesso dal procedimento successorio, potendo ancora accettare l’eredità attraverso la revoca della rinunzia ex art. 525 c.c.; la sua posizione differirebbe da quella precedente la dichiarazione di rinuncia solo per la circostanza di rappresentare una delazione non più esclusiva, ma concorrente con quella dei chiamati in subordine, i quali dopo la rinunzia potranno anch’essi accettare, rendendo solo in quel momento definitiva la stessa rinunzia.

Chi, al contrario, aderisce alla prima tesi e riconnette alla rinunzia la perdita del potere di accettare l’eredità, ritiene che il rinunziante cessi di essere destinatario di una delazione immediata e diretta e che, in forza del disposto di cui all’art. 525 c.c. (che autorizza il rinunciante, a determinate condizioni, a revocare la propria dichiarazione ex art. 521 del c.c.) viene ad acquisire una chiamata mediata e indiretta; in particolare, si ritiene che il chiamato rinunziante acquisti, con la rinuncia, un diritto potestativo, il cui esercizio si fa consistere nella dichiarazione di revoca ex art. 525 c.c., la quale gli consentirebbe di realizzare l’acquisto dell’eredità senza che il chiamato in subordine possa in alcun modo impedire il realizzarsi dell’effetto acquisitivo da parte del primo chiamato, se non accettando l’eredità.

Coloro che aderiscono a questa seconda ricostruzione precisano che, malgrado la rubrica dell’art. 525 c.c. (che parla di revoca della rinunzia), non si possa parlare di revoca in senso tecnico, essendo questa un effetto riflesso della contestuale accettazione, la quale può anche farsi discendere da una accettazione tacita ex art. 476 del c.c. (ovvero da qualunque comportamento che, ove idoneo a soddisfare i requisiti della pro erede gestio, sia incompatibile con la precedente dichiarazione abdicativa).

A tale ricostruzione ha aderito Cass. civ. Sez. VI n. 13599/2016, così massimata:
“In tema di rinunzia all'eredità, l'atto di rinunzia, ai sensi del combinato disposto degli artt. 519 e 525 c.c., deve essere rivestito di forma solenne senza possibilità di equipollenti. La rinunzia all'eredità non fa venir meno la delazione del chiamato e non è, pertanto, ostativa, secondo il disposto dell'art. 525 c.c., alla successiva accettazione da parte del rinunciante, che può essere anche tacita, allorquando il comportamento di quest’ultimo sia incompatibile con la volontà, manifestata con la precedente rinuncia, di non accettare la vocazione in suo favore”.

Ebbene, occorre a questo punto concentrare l’attenzione sull’istituto giuridico della accettazione tacita, la quale si sostanzia in una condotta posta in essere da un “chiamato all’eredità” che ecceda i limiti imposti dall’art. 460 del c.c..
La condizione di “chiamato”, però, sembra preclusa in capo al rinunciante (come peraltro risulta dallo stesso art. 521 c.c.), il che vale sia per coloro che attribuiscono alla rinuncia efficacia abdicativa (secondo cui, come si è visto sopra, il delato dismette, ancorchè provvisoriamente, il suo diritto di acquistare) sia per coloro che ricostruiscono la rinuncia come mera omissio adquirendi (i quali ritengono che il delato perda proprio le facoltà riconosciutegli dall’art. 460 c.c., necessarie per l’accettazione tacita ex art. 476 del c.c.).

Proprio in tal senso del resto si è espressa sempre la giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. II, 29 marzo 2003, n. 4846), la quale ha affermato che la posizione del chiamato non rinunziante non possa essere assimilata a quella di chi abbia già manifestato una rinunzia, concludendo che, in presenza di una previa manifestazione di volontà contraria all’acquisto, non sarebbe possibile inferire ab implicito la volontà di accettare nel caso in cui vengano poste in essere condotte idonee ad integrare l’art. 476 c.c., salvo che tale volontà non venga raccolta in una dichiarazione espressa che, con altrettanta chiarezza, revochi la precedente rinunzia.

Quanto fin qui considerato ha anche un suo risvolto pratico ai fini di quanto osservato nel quesito, ovvero in relazione alla mancata previsione di una adeguata pubblicità per la revoca della rinunzia conseguente ad una accettazione tacita.
Infatti, conseguenza necessaria della adesione alla tesi che ritiene ammissibile la revoca della rinuncia solo quale effetto di una concomitante e formale manifestazione della volontà di accettare e, dunque, di una sua formalizzazione in una delle forme solenni di cui all’art. 519 c.c., è proprio quella di dare alla stessa un’adeguata pubblicizzazione, compito che spetterebbe sempre al notaio o al cancelliere che l’abbiano ricevuta ex art. 52 disp. att. c.c.
In tal senso possono qui richiamarsi Cass., Sez. III, 19 febbraio 2014, n. 3958; Cass., Sez. II, 12 ottobre 2011, n. 21014; Cass., Sez. III, 29 marzo 2003, n. 4846, secondo cui nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 c.c. in tema di rinunzia all’eredità, “l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni), con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia è inammissibile”.

In adesione a tale tesi, senza alcun dubbio da preferire anche perché meglio capace di garantire la certezza del diritto (come giustamente osservato da chi pone il quesito), si ritiene che in mancanza di una espressa e formale volontà di accettazione non si possa intendere revocata la precedente rinunzia all’eredità e che, pertanto, la ricezione di una raccomandata o di un atto giudiziario, pur se indirizzati al destinatario quale “erede”, non possano in alcun modo qualificarsi come atti di accettazione tacita, implicanti revoca tacita della precedente rinuncia.
Una volta ricevuti tali atti, invece, ciò che si consiglia è di notificare ai mittenti l’atto di rinunzia all’eredità, sebbene si tratti di atto che dovrebbe essere già stato inserito nel registro delle successioni, come tale pienamente opponibile, e di cui gli stessi dovrebbero già averne conoscenza.


V. G. chiede
mercoledì 06/03/2024
“Buongiorno,
grazie per la risposta del 27/02/2024 ai quesiti Q202436259 e Q202436258.
Nonostante la vostra risposta ritenga sicuro l'acquisto dell'alloggio oggetto di questa consulenza, una preoccupazione continua ad assillarmi:
Può verificarsi una Accettazione Tacita nonostante La venditrice G. abbia formalmente rinunciato alla eredità del coniuge S. e abbia dichiarato, nello stesso atto di rinuncia, di non essere in possesso di beni ereditari?
Da quanto letto, incorrere in una accettazione tacita, per leggerezza o per ignoranza di tutta la casistica a riguardo, è alquanto semplice (esempio: pagamento del funerale con soldi del De Cuius ecc.)
Nel caso quanto sopra si fosse verificato La venditrice G. diventerebbe lei stessa debitrice verso il fisco: in tal caso io acquirente dell'alloggio (formalmente senza alcuna ipoteca al momento del rogito) correrei il rischio di vedermi l'alloggio acquistato pignorato da parte dell'Agenzia delle Entrate?
E' possibile controllare se si è verificata una accettazione tacita che annulla la rinuncia formale? E' utile fare tale verifica? e come?
Questa richiesta è la prosecuzione della precedente (Q202436259 e Q202436258) e ad essa bisogna far riferimento per capire il senso di questa richiesta.
Distinti saluti

Consulenza legale i 11/03/2024
Malgrado ciò che può essere stato letto in tema di accettazione tacita di eredità, tema sul quale, in realtà, la giurisprudenza risulta abbastanza ondivaga, va segnalata una recente pronuncia della Corte di Cassazione che si ritiene possa, anche sotto tale profilo, conferire un certo grado di certezza all’acquisto che si ha intenzione di compiere.

Ci si riferisce all’ordinanza n. 37927 del 28.12.2022, in occasione della quale la S.C. fa propria la tesi secondo cui la rinuncia all’eredità costituisce un atto formale e, come tale, non ammette una revoca tacita.
In conseguenza di ciò, l’atto di rinuncia continua a produrre i suoi effetti anche qualora il rinunciante dovesse tenere un comportamento che appare in contrasto con la rinuncia stessa.

In particolare, il dubbio circa la revocabilità tacita di una rinuncia all’eredità si fa discendere dalla previsione di cui all’art. 525 c.c., norma che si limita a disciplinare quali sono le condizioni per poter revocare un atto di rinuncia all’eredità, senza tuttavia nulla stabilire in ordine alle concrete modalità e forme che per tale atto di revoca dovranno essere rispettate.
Ebbene, a quest’ultimo riguardo la Corte di Cassazione osserva quanto segue:
  1. la rinuncia all’eredità consiste in un atto giuridico unilaterale, mediante il quale il chiamato dismette il suo diritto di accettarla, con l’effetto che tale diritto passa ai c.d. chiamati ulteriori, i quali vanno individuati tramite un intreccio di norme dello stesso codice civile;
  2. alla dichiarazione di rinuncia ne consegue la perdita del diritto all’eredità, per cui il rinunziante è considerato come se non fosse stato mai chiamato a quell’eredità (si tratta del c.d. effetto retroattivo della rinuncia).
  3. questo ulteriore effetto, tuttavia, non si può far dipendere soltanto dall’atto di rinuncia, ma anche dalla concorrenza di un elemento ulteriore, previsto sempre dal sopra citato art. 525 c.c., ovvero l’avvenuto acquisto dell’eredità da parte degli altri chiamati. Pertanto, finchè non si verifica tale acquisto, il rinunciante può sempre esercitare il diritto di accettazione.

Ora, è proprio in considerazione del prodursi dei suddetti rilevanti effetti che l’art. 519 c.c. richiede esplicitamente che l’atto di rinuncia sia rivestito da una forma solenne, dovendo infatti risultare da una dichiarazione ricevuta da notaio o da cancelliere, da inserire nel registro delle successioni.
Ciò significa che dovrà necessariamente risultare da atto pubblico, con l’ulteriore conseguenza che, in virtù del principio del parallelismo delle forme, anche per la sua revoca sarà necessario il rispetto della medesima forma, risultando inammissibile una revoca tacita, c.d. per facta concludentia.

Pertanto, il solo pagamento delle spese funerarie con denaro del defunto difficilmente potrà produrre gli effetti di una revoca della rinuncia all’eredità, tenuto conto peraltro che si tratta di atto che può persino ricondursi a quelli a cui è legittimato il semplice chiamato all’eredità ex art. 460 c.c.

A quanto fin qui osservato si vogliono altresì aggiungere le seguenti ulteriori considerazioni.
Si è detto nel primo quesito posto, ossia il n. 36259, che allo stato attuale non risulta alcuna iscrizione pregiudizievole sul bene che si intende acquistare.
Ciò comporta, come in precedenza osservato, che il bene potrà essere acquistato libero da pesi e gravami di qualsiasi specie e natura, con la naturale conseguenza che le successive iscrizioni e/o trascrizioni avranno grado successivo alla trascrizione del proprio acquisto.
A questo punto, anche a voler ammettere, ipotesi che si ritiene improbabile, che un eventuale creditore del de cuius possa riuscire a fare valere la revoca tacita della rinuncia all’eredità, ciò non gli consentirà automaticamente di aggredire esecutivamente quel bene, essendo stato nel frattempo alienato.

Per ottenere tale risultato, infatti, occorrerà far fronte ad un ulteriore e pure complesso ostacolo, ovvero quello di far dichiarare inefficace nei propri confronti l’intervenuto trasferimento in favore di un terzo del diritto di nuda proprietà su quel bene.
Per conseguire tale risultato il creditore, che ne ha interesse, dovrà esercitare in giudizio la c.d. azione revocatoria ordinaria, disciplinata dall’art. 2901 del c.c., il cui fine è, appunto, essenzialmente conservativo e cautelare, nonché strumentale alla successiva ed eventuale esecuzione forzata ex art. 602 del c.p.c..
Si tratta di azione di natura meramente processuale, poiché non mira a soddisfare direttamente il diritto del creditore, ma si pone come strumento finalizzato a rendere possibile tale soddisfacimento: una volta intervenuta la dichiarazione di inefficacia, il bene oggetto dell’atto impugnato deve considerarsi, nei confronti del creditore, come se non fosse mai uscito dal patrimonio del debitore.

Tuttavia, come si è cercato di far intendere prima, si tratta di un’azione di non facile esperimento, tenuto conto che richiede la sussistenza di presupposti ben precisi risultanti dallo stesso art. 2901 c.c. e che qui, per brevità si omette di indicare analiticamente.
Tra questi assumono particolare rilievo il c.d. consilium fraudis (ovvero la conoscenza che il debitore aveva del pregiudizio che tale atto avrebbe potuto arrecare alle ragioni del creditore) e la c.d. scientia damini o scientia fraudis (ovvero la consapevolezza del pregiudizio o partecipazione alla dolosa preordinazione da parte del terzo acquirente nel caso di atti a titolo oneroso).
Si tratta di presupposti di cui si ritiene risulti particolarmente difficile provarne la sussistenza nel caso in esame, considerato che si sta discutendo di debiti neppure facenti capo alla parte alienante, la quale, almeno in linea meramente teorica, potrebbe anche risultarne ignara.

In conclusione, non può che riconfermarsi quanto detto nella precedente consulenza circa la sicurezza dell’acquisto che si intende compiere.


M. A. chiede
martedì 30/01/2024
“Questa è la situazione di un immobile conseguente alla morte di uno dei due proprietari nel 1989:
Genitore (vedovo) usufrutto 2/4 - proprietà 2/4
Figlia, nuda proprietà 1/4
Figlio, nuda proprietà 1/4.
Nel 2015 avviene il decesso del figlio avente la nuda proprietà per 1/4. Non aveva coniuge nè figli, pertanto gli eredi erano il genitore e la sorella.
Questi ultimi rifiutano l'eredità, con tanto di atto notarile, a causa di grossi debiti con l'erario da parte del defunto.
Rinuncia all'eredità, sempre con atto notarile, anche la nipote del defunto (figlia della sorella).
Questa nipote ha due figli, una di 9 anni, già nata all'atto del decesso del prozio, ed uno di 5 anni, nato dopo il decesso del prozio. A questi due bambini non è stata fatta fare alcuna rinunzia all'eredità, pur essendo in linea di successione.
Si chiede, per cortesia, di conoscere "che fine fa" il quarto di nuda proprietà del defunto senza eredi.
Potrebbero, il genitore o la sorella o la nipote del defunto (tutti rinunzianti all'eredità) rientrare in possesso di questa parte dell'immobile, e in che modo?
Ad esempio, potrebbe uno degli eredi che ha rinunziato all'eredità, fare la revoca della rinunzia poco prima del trascorrere dei dieci anni dalla morte del parente? E contestualmente accettare l'eredità? E se sì, con o senza beneficio d'inventario?
Trascorsi questi 10 anni si prescrive il debito erariale per imposte evase? O la prescrizione di tale debito si interrompe nel momento in cui l'erede fa la revoca della rinunzia e l'accettazione dell'eredità, cioè pochi giorni prima del compimento dei 10 anni dalla morte del de cuius?
Si precisa che non si ha contezza di eventuali azioni di recupero del credito erariale da parte di Equitalia che è stata sempre silente.
In estrema sintesi, si vorrebbe sapere qual è la via migliore per evitare che il quarto di nuda proprietà (che diventerà piena proprietà alla morte del genitore), finisca nel limbo, se così si può dire, e venga acquisito da un erede.”
Consulenza legale i 04/02/2024
La prima precisazione che va fatta è che il nascituro non concepito non può succedere per rappresentazione.
Infatti, condizione essenziale perché possa operare la vocazione indiretta è che, al momento dell’apertura della successione, il soggetto sia già nato o almeno concepito, come dispone espressamente l’art. 462 del c.c..
Pertanto, il pronipote, nato dopo il decesso del de cuius, non avrebbe avuto alcun diritto di rinunziare all’eredità, in quanto nei suoi confronti non si è mai perfezionata alcuna chiamata ereditaria.

Ciò posto, si chiede se adesso sia possibile da parte dei rinunzianti, o almeno di alcuni di essi, revocare quella rinunzia.
La risposta è positiva e trova fondamento nel disposto di cui all’art. 525 c.c., in forza del quale la revoca della rinunzia è ammissibile finchè non sia prescritto il diritto di accettare l’eredità e purchè la stessa non sia stata nel frattempo acquistata da altro dei chiamati (condizioni qui presenti).
E’ opinione prevalente, infatti, quella secondo cui, malgrado l’intervenuta rinunzia, la delazione in favore del chiamato persista fino alla prescrizione del suo diritto di accettare; tuttavia, si osserva che, pur permanendo la delazione, il rinunziante non avrà più il potere di compiere atti di gestione conservativa sul patrimonio ereditario né avrà diritto al possesso dei beni ereditari né, conseguentemente, potrà più acquistare l’eredità in forza del possesso dei beni stessi o per effetto di sottrazione o occultamento (art. 527 del c.c.).

Per quanto concerne le modalità di revoca della rinunzia, prevale sia in dottrina che in giurisprudenza la tesi secondo cui va negata alla revoca della rinunzia valore di autonomo atto o negozio giuridico, dovendosi qualificare quale effetto della successiva accettazione dell’eredità da parte del rinunziante ed affermandosi che solo l’accettazione dell’eredità, in qualunque modo manifestata, può comportare revoca della rinunzia (cfr. Cass. 3457/1984).
Circa le forme della accettazione conseguente alla rinunzia all’eredità, non sussiste alcuna norma che preclude la possibilità di avvalersi della accettazione con beneficio di inventario, purchè sussistano e si rispettino le condizioni fissate dalle norme dettate per questa forma di accettazione (artt. 484 e ss. c.c..

In relazione a quanto osservato circa la prescrizione del debito erariale, va segnalata la decisione della Commissione tributaria Lombardia n. 15 del 15.03.2005 secondo cui, posto che gli eredi rispondono in solido per le obbligazioni tributarie del de cuius sorte prima della sua morte, la responsabilità non viene meno per la sola dichiarazione di rinunzia, essendo questa revocabile finchè l’eredità non sia stata accettata da altro chiamato o fin quando il diritto di accettarla non sia prescritto.
Al contrario, la responsabilità per le obbligazioni tributarie del de cuius non sussiste soltanto se il chiamato, dopo l’avvenuta formale rinuncia, ha fatto prescrivere il potere di accettare l’eredità stessa nel termine prescrizionale decennale di cui all’art. 480 del c.c..
Pertanto, in caso di rinunzia all’eredità e successiva revoca mediante accettazione con beneficio di inventario (o senza), la responsabilità per debito erariale continuerà a gravare sull’eredità così accettata secondo il suo ordinario termine di prescrizione e fatti salvi eventuali atti interruttivi nel frattempo posti in essere dall’amministrazione finanziaria.

Alla luce di quanto fin qui detto, dunque, ciò che si consiglia (onde evitare che quel quarto di nuda proprietà non possa più essere recuperato e che, in mancanza di altri successibili ex lege, si devolva in favore dello Stato) è che almeno uno dei due figli revochi la rinunzia ed accetti con beneficio di inventario.
Compiuta l’accettazione, ed in assenza di altri beni ereditari, ci si potrà far autorizzare dal Giudice delle successioni ad alienare il quarto di nuda proprietà indivisa, e ciò prima che si verifichi la riunione all’usufrutto, evento che determinerebbe un incremento del valore di quella quota.
Nel ricorso per la vendita, anziché chiedere il reimpiego del prezzo per soddisfare il debito erariale, si può chiedere di accantonare la somma su un conto corrente dedicato al soddisfacimento dei debiti ereditari, in modo tale che se nessun creditore dovesse farsi avanti prima della prescrizione del relativo credito, si potrà definitivamente acquisire quella somma al patrimonio dell’erede o degli eredi accettanti.


L. B. chiede
martedì 10/10/2023
“Successione legittima di 3 figli (Luisa, Fulvio ed Alessandro) e della moglie (Giuseppina) al de cuius. La moglie rinuncia all'eredità e così due dei tre figli (Fulvio e Alessandro), mentre l'altro (Luisa) accetta l'eredità e presenta denuncia di successione. Le rinunzie erano state fatte in base ad un accordo verbale e solo morale, non valido sotto il profilo giuridico, per favorire Luisa, nubile, senza figli, in età avanzata e senza un immobile di proprietà, diversamente dai suoi fratelli, sicuri che alla morte della stessa l'immobile sarebbe, comunque, stato ereditato dai loro figli, se nonché i figli di Fulvio accettano l'eredità in rappresentazione del padre, per cui la moglie del de cuius revoca la sua rinuncia all'eredità e subito dopo anche i figli di Alessandro, visto il mancato rispetto dell'accordo, accettano l'eredità per rappresentazione del padre. Nel giudizio di divisione, i figli di Fulvio (attori) invocano l'art. 525 c.c. a loro favore, assumendo non valida la revoca di Giuseppina (moglie del de cuius) a seguito dell'accettazione dell'altro chiamato all'eredità. Si oppone che la revoca è perfettamente valida, risultando ancora aperta la successione, avendo i figli di Alessandro accettato l'eredità solo dopo detta revoca. Il giudice dichiara valida la revoca di Giuseppina, ma la riduce (da 3/9 a 2/9), decurtandola di una parte, 1/9, solo a favore dei figli di Fulvio (attori) per avvenuto accrescimento e non anche in favore dei coeredi (Luisa, la prima ad accettare e dei figli di Alessandro).
1) DOMANDA: LA REVOCA E' VALIDA? E SE E' VALIDA DOVREBBE REINTEGRARE IL REVOCANTE NELLA SUA PIENA QUOTA EREDITARIA?
2) DOMANDA: L'ACCRESCIMENTO, CONSEGUENTE ALLA RINUNCIA O AD UNA REVOCA NON VALIDA, PUO' OPERARE SOLO A FAVORE DI UNO DEGLI EREDI O DI TUTTI GLI EREDI CHE HANNO ACCETTATO L'EREDITA'? IN ATTESA DI VS. PARERE, RINGRAZIO E SALUTO.”
Consulenza legale i 17/10/2023
La risposta alle domande che vengono poste presuppone una precisa individuazione e scansione dei diversi momenti temporali in cui vengono posti in essere gli atti di accettazione, rinunzia e revoca.

A tal fine si ritiene possa essere utile l’elaborazione dello schema che segue:

1. Morte di Tizio

2. Soggetti chiamati all’eredità (per successione legittima):
A) Giuseppina (moglie) per una quota pari a 6/18
B) Luisa, Fulvio ed Alessandro (figli) per una quota pari a 4/18 ciascuno (in totale 12/18)

3. La moglie Giuseppina rinuncia all’eredità

4. I figli Fulvio ed Alessandro rinunciano all’eredità

5. La figlia Luisa accetta l’eredità.

In forza di quanto disposto dall’art. 522 del c.c., trattandosi di successione legittima e non potendo operare il diritto di rappresentazione, la parte di Giuseppina si accresce in favore di coloro che avrebbero concorso con il rinunziante, ovvero:

6. della figlia Luisa, la quale avendo già manifestato la volontà di accettare, consegue sin da subito una quota pari a complessivi 6/18 (4/8 originari + 2/18 per diritto di accrescimento).
Infatti, i coeredi che hanno già accettato l’eredità non soltanto non sono tenuti ad una nuova dichiarazione per acquistare la quota vacante, ma non hanno neppure la facoltà di rinunciare a quanto gli competa in virtù dello jus accrescendi, giacchè diviene parte integrante della loro quota.

7. dei figli di Fulvio ed Alessandro, chiamati a succedere per rappresentazione secondo il disposto del citato art. 522.
Anche costoro, pertanto, se decidono di accettare l’eredità, conseguono una quota pari a 6/18, come la figlia Luisa.

A questo punto si inserisce un ulteriore evento, a cui il giudice non sembra fare riferimento nell’ordinanza trasmessa a questa Redazione, ovvero:

8. i figli di Fulvio accettano l’eredità in rappresentazione del padre rinunziante, conseguendo, pertanto anche loro, al pari di Luisa, una quota pari a 6/18 (4/8 originari + 2/18 per diritto di accrescimento)

9. la moglie del de cuius, Giuseppina, decide di revocare la sua rinuncia e di accettare, ma a questo punto deve fare i conti con quanto stabilito dall’art. 525 c.c., nella parte in cui dispone che la revoca della rinunzia è ammessa a condizione che non si sia nel frattempo prescritto il diritto di accettare e che “l’eredità non sia stata acquistata da altro dei chiamati”.
Nel caso in esame difetta la seconda condizione, in quanto due degli altri chiamati che avrebbero concorso con il rinunziante, ovvero Luisa ed i figli di Alessandro, hanno già manifestato la volontà di accettare, conseguendo la loro quota accresciuta della parte rinunziata da Giuseppina.
Pertanto, la revoca della rinuncia di Giuseppina potrà avere effetto solo per quella parte della sua quota originaria non ancora accettata dai figli di Alessandro, ovvero 2/18.

10.ultimo evento, con il quale si chiude l’intero procedimento successorio, è l’accettazione dei figli di Alessandro in rappresentazione del padre, i quali però possono conseguire solo la quota di eredità originariamente spettante al loro padre, ovvero 4/18 dell’intero (e ciò perché nel frattempo è venuto meno il presupposto per l’accrescimento della loro quota a seguito della revoca della rinuncia di Giuseppina).

Il passaggio chiave dell’ordinanza del giudice sottoposta all’attenzione di questa Redazione e che spiega la ragione giuridica della corretta soluzione a cui il medesimo giudice è giunto si rinviene nella parte in cui è detto quanto segue:

Per l’effetto non è condivisibile l’affermazione del legale avv… per cui “la revoca della rinunzia, fatta prima che tutti gli altri chiamati abbiano accettato l’eredità, deve ritenersi perfettamente valida con l’effetto che il rinunziante diviene erede della sua piena quota ereditaria”.
Tale concetto presume una solidarietà tra gli altri chiamati che, tuttavia, risulta priva di qualunque fondamento giuridico. La quota vacante non è offerta ai figli “come gruppo”, ma uti singuli: l’operare della riduzione della quota in capo al rinunziate non necessita di una previsione normativa ma discende dai principi generali che regolano la materia successoria”.

Volendo a questo punto cercare di spiegare ulteriormente quanto già abbastanza chiaramente e sinteticamente espresso nel sopra riportato passaggio motivazionale dell’ordinanza del giudice, va detto quanto segue.

Sia il testo dell’art. 674 del c.c., rubricato “Accrescimento tra coeredi”, nella parte in cui è detto che, al ricorrere dei presupposti ivi previsti, la parte di colui che non possa o non voglia accettare “si accresce agli altri”, che la norma di cui all’art. 522 c.c., nella parte in cui prevede che, al ricorrere dei presupposti ivi stabiliti, la parte di colui che non voglia accettare “si accresce a coloro che avrebbero concorso con il rinunziante”, lasciano intendere che il fenomeno dell’accrescimento (strettamente connesso alla rinunzia all’eredità) può verificarsi non solo nel caso di rapporti tra due soli chiamati (quello che non vuole o non può accettare l’eredità e quello la cui quota si accresce), ma anche nel caso in cui vengano in considerazione rapporti tra più di due chiamati, ovvero quello che non vuole o non può accettare l’eredità e quelli, almeno due, la cui quota si accresce.

Proprio in quest’ultima ipotesi, si rende necessario stabilire se l’efficacia dell’accrescimento sia parziale o solidale, ovvero se la quota di colui che non voglia o non possa accettare l’eredità accresca le altre soltanto in modo proporzionale e parziario, ovvero in modo complessivo e totale.
Infatti, qualora si ipotizzasse che l’efficacia dell’accrescimento fosse solidale, la revoca della rinuncia dovrebbe considerarsi inefficace allorchè anche uno solo degli altri chiamati in concorso avesse nel frattempo accettato l’eredità, in quanto la quota rifiutata dal rinunziante dovrebbe considerarsi interamente acquistata dal chiamato accettante e, dunque, l’intero procedimento successorio sarebbe definitivamente chiuso ed esaurito (compreso il potere di revocare la rinunzia).

Qualora, al contrario, si ipotizzasse l’operare dell’accrescimento in modo parziario, la revoca della rinuncia, intervenuta successivamente all’acquisto dell’eredità da parte di uno solo dei diversi chiamati in concorso, dovrebbe considerarsi efficace, ma solo limitatamente alla parte di eredità non ancora acquistata dai chiamati in concorso non ancora accettanti.
E’ proprio quest’ultima la tesi seguita dal giudice nel suo provvedimento e che, in effetti, si ritiene di dover preferire, soprattutto in considerazione del fatto che, a voler seguire la diversa tesi dell’accrescimento solidale, si giungerebbe all’assurda conseguenza di espropriare gli altri soggetti, a favore dei quali è previsto che la devoluzione per accrescimento debba operare, della quota loro spettante.

Del resto, a voler seguire la tesi dell’accrescimento solidale, si arriverebbe in un caso come quello di specie a dover ammettere che per effetto della rinunzia di Giuseppina e dell’accettazione da parte di Luisa, quest’ultima verrebbe a conseguire la sua quota e l’intera quota rinunziata da Giuseppina (per un totale di 10/18), con l’ulteriore conseguenza che ove i figli di Luigi e Alessandro, successivamente e prima dell’eventuale revoca della rinunzia da parte di Giuseppina, dovessero voler accettare l’eredità in rappresentazione del loro padre, potrebbero acquistare solo una quota di eredità pari alla quota loro originariamente spettante (4/18), senza alcuna possibilità di giovarsi dell’accrescimento.

In conclusione, la revoca di Giuseppina è valida, ma solo per la parte di eredità ancora non acquistata dagli altri chiamati (ovvero dai figli di Alessandro), e ciò perché l’accrescimento della quota dei co-chiamati che hanno già accettato (ovvero Luisa ed i figli di Luigi) non consente a Giuseppina di acquistare una quota del patrimonio ereditario corrispondente a quella a lei originariamente devoluta, bensì una minor porzione, corrispondente a ciò che residua dell’originaria quota, detratto quanto altri abbiano già acquistato per accrescimento.
Tale conclusione, oltretutto, non può porsi in contrasto con le norme che vietano al chiamato di accettare o rifiutare parzialmente l’eredità, in quanto la parziarietà dell’acquisto non costituisce il frutto di una manifestazione di volontà del soggetto (nel nostro caso Giuseppina), bensì una conseguenza del concreto svilupparsi del procedimento successorio secondo le regole volute e dettate dallo stesso legislatore.

A. C. chiede
giovedì 21/09/2023
“Una persona è deceduta, senza lasciare testamento con tre figli e un coniuge.
Gli eredi: figli Gianni, Laura, con una figlia, Simona e il coniuge ad eccezione di Gianni hanno rinunciato all'eredità mentre Gianni ha accettato l'eredità con beneficio di inventario. Preciso che i debiti sono di gran lunga superiore ai beni.
Nel frattempo Laura stava separandosi dal marito il quale si è rivolto al Tribunale per far accettare con beneficio di inventario la figlia di sei anni.
Nelle more, Laura si rivolge ad un Notaio per accettare l'eredità beneficiata sottoscrivendo l'atto e notificando tale atto al Tribunale che stava decidendo la questione.
Dopo qualche mese il Tribunale ha accolto l'istanza del marito e, senza entrare nel merito dell'accettazione della Madre, decide di far accettare l'eredità alla figlia.
La domanda: nell'eredità esistono alcuni immobili e due partecipazioni a società totalmente in passivo, come debbono essere dichiarati i beni dalla Madre oppure dal Padre? E come fare?
Poi per convocare le assemblee per l'approvazione dei bilanci a chi inviare la convocazione?
Grazie”
Consulenza legale i 01/10/2023
Il caso che viene proposto trova soluzione nel combinato disposto degli artt. 522 e 525 c.c., entrambi inseriti sotto il Capo dedicato alla rinunzia all’eredità.
La prima di tali norme stabilisce che, nel caso di successione legittima, la parte di colui che rinunzia si accresce in favore di coloro che avrebbero concorso con il rinunziante, facendo tuttavia salvo il diritto di rappresentazione nonchè quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 571 del c.c..
Ne consegue che, innanzitutto, si potrà avere successione per rappresentazione dei discendenti di colui che ha rinunziato (artt. 467 e ss. c.c.) ovvero devoluzione agli ascendenti.
Solo qualora non sia possibile la successione di tali soggetti, si avrà devoluzione in favore di coloro che avrebbero concorso con il rinunziante, che, di conseguenza, vedranno la propria quota proporzionalmente accresciuta.

Nel caso in esame, dunque, la rinunzia di Laura (figlia del de cuius) non ha potuto immediatamente produrre l’accrescimento in favore degli altri chiamati (ed in particolare in favore dell’unico di essi che ha accettato, ovvero Gianni), in quanto, avendo Laura una discendente diretta (la figlia Simona), è in favore di quest’ultima, chiamata a succedere per rappresentazione, che si è trasferita la c.d. delazione ereditaria.

Ciò comporta che Gianni non è rimasto il solo erede in favore del quale sarebbe potuto operare l’accrescimento, tenuto conto, appunto, che Simona, per effetto si ripete del diritto di rappresentazione, avrebbe potuto decidere, entro l’ordinario termine decennale fissato dall’art. 480 del c.c., di accettare l’eredità (assumendo la posizione di coerede insieme a Gianni).

A questo punto si rende necessario prendere in esame il successivo art. 525 c.c., norma che disciplina per l’appunto la revoca della rinuncia.
Tale norma, nell’ammettere un atto di revoca della rinunzia, pone dei limiti alla revocabilità, subordinandola a determinati presupposti, e precisamente:
a) il primo presupposto è che non sia scaduto il termine di accettazione, sia esso quello ordinario decennale o quello, più breve, fissato dal giudice ex art. 481 del c.c.;
b) il secondo presupposto è che non sia nel frattempo intervenuto l’acquisto dell’eredità da parte di altri chiamati (si veda in tal senso anche Cass. civ. Sez. III sentenza n. 4846/2003). In applicazione di tale principio la giurisprudenza ha affermato che la rinuncia all’eredità non può essere revocata quando l’ulteriore chiamato abbia espressamente accettato l’eredità assumendo il titolo di erede nella denuncia di successione.

In particolare, con riferimento a questo secondo presupposto, si sostiene, sia in dottrina che in giurisprudenza, che il rinunziante non può più revocare dopo che sia intervenuta l’accettazione, comunque manifestata, dei chiamati in subordine.
Ciò trova conferma nella considerazione che, una volta intervenuta l’accettazione da parte dei chiamati in subordine, viene sostanzialmente a cadere la delazione in favore del primo chiamato, con la conseguenza che questa non potrà più in alcun modo essere ripristinata, neppure in forza di un eventuale accordo con gli altri eredi, trattandosi di materia sottratta alla libera disponibilità delle parti private (così Cass. n 8912/1998; Cass. n. 2549/1966).

Ora, a far sorgere dei dubbi su chi tra Laura e la figlia minore Simona abbia legittimamente acquistato il titolo di erede, vi può essere la circostanza che, ancor prima della revoca della rinuncia di Laura, il padre della minore Simona ha inoltrato istanza al giudice tutelare per accettare l’eredità del nonno con beneficio di inventario.
Tali dubbi, tuttavia, vanno risolti in favore di Laura, in quanto la sua revoca della rinuncia risulta essere stata esteriorizzata in data antecedente alla accettazione del chiamato in subordine per rappresentazione, e dunque prima che la delazione in favore di Laura sia definitivamente ed irrimediabilmente venuta meno.

Tale conclusione trova il suo principale fondamento nella circostanza che, nel caso di specie, essendo il chiamato in subordine un soggetto minore, non potrebbe opporsi che l’avvenuta presentazione dell’istanza al giudice tutelare per essere autorizzati ad accettare con beneficio di inventario possa e debba qualificarsi come manifestazione della volontà tacita di accettare quell’eredità.
In senso contrario, infatti, deve argomentarsi dal chiaro disposto dell’art. 471 del c.c., dalla cui lettura si desume che l’unica forma di accettazione ammessa per minori ed interdetti è quella espressa con beneficio di inventario.
Pertanto, sono irrilevanti sia l'accettazione pura e semplice (espressa o tacita), sia i casi di acquisto senza accettazione, e ciò allo scopo di evitare una eventuale responsabilità di tali soggetti ultra vires hereditatis, derivante dalla confusione del proprio patrimonio con quello del defunto.
In tal senso si è pure pronunciata la giurisprudenza di legittimità, osservando che l'accettazione tacita non può neppure farsi rientrare nei poteri del rappresentante legale e perciò non è in grado di produrre alcun effetto giuridico nei confronti dell'incapace che rimane chiamato all'eredità fino a quando in proprio o a mezzo del suo rappresentante legale debitamente autorizzato eserciti il diritto di accettare o di rinunziare all'eredità entro il termine della prescrizione (si vedano in tal senso Cass. n. 21456/2017; Cass. n. 2211/2007; Cass n.. 2276/1995).

Non potendo, dunque, ricollegarsi la volontà di accettare della minore Simona alla semplice presentazione dell’istanza ex art. 320 c.c. comma 3, deve ritenersi pienamente valida ed efficace la revoca della rinunzia all’eredità formalmente manifestata dalla figlia Laura dopo la presentazione del ricorso ex art. 320 c.c. ma prima che intervenisse l’accettazione formale della minore.
In conseguenza di ciò soltanto Laura sarà legittimata a presentare la denuncia di successione e soltanto alla medesima dovranno essere inoltrate eventuali comunicazioni ed atti formali relativi alle partecipazioni in società ricadenti nel patrimonio ereditario.

A. D. T. chiede
sabato 18/09/2021 - Campania
“Con il consenso espresso dei chiamati all'eredità da questi accettata è possibile per l'erede che ha rinunciato all'eredità revocare la rinuncia ed accettare l'eredità anche oltre il termine prescrizionale dei dieci anni?”
Consulenza legale i 23/09/2021
Purtroppo l’art. 525 c.c. è abbastanza chiaro al riguardo, in quanto, pur ammettendo la possibilità di una revoca della rinuncia, dispone che la stessa non è più consentita una volta che si sia prescritto il diritto di accettare l’eredità o, comunque, nel momento in cui sia intervenuta accettazione da parte degli altri chiamati.
In questo caso si sono verificati entrambi i presupposti, poiché si dice che l’eredità è stata accettata dagli altri chiamati e che è decorso il termine prescrizionale di dieci anni.

In mancanza dei suddetti presupposti, pertanto, il rinunziante non può in nessun caso accettare l'eredità, neppure in forza di un eventuale accordo con gli altri eredi.
In tal senso si sono chiaramente espressi sia la dottrina (Grosso e Burdese) che la giurisprudenza, affermando l'irrevocabilità della rinunzia una volta che sia intervenuta l'accettazione degli altri chiamati: caduta la delazione, questa non può essere ripristinata dalla volontà privata, essendo materia sottratta alla libera disponibilità delle parti.

Si riporta a tal fine quanto statuito dalla Corte di Cassazione, Sez. II Civ., con sentenza n. 8912 del 09.09.1998:
Il chiamato all'eredità, che vi abbia inizialmente rinunciato, può, ex art. 525 c.c., successivamente accettarla (in tal modo revocando implicitamente la precedente rinuncia) in forza dell'originaria delazione - e sempre che questa non sia venuta meno in conseguenza dell'acquisto compiuto da altro chiamato - ma non anche in forza di un accordo concluso tra il rinunziante ed i soggetti acquirenti dell'eredità, dovendo, in tal caso, escludersi ogni possibilità di revoca della precedente rinuncia per effetto del carattere indisponibile della delazione che, una volta venuta meno, non può efficacemente rivivere per volontà dei privati (oltre che per effetto del principio "semel heres semper heres", in forza del quale chi abbia accettato l'eredità non può più legittimamente rinunciarvi, essendo l'accettazione, a differenza della rinuncia, un atto puro ed irrevocabile, giusto disposto dell'art. 475 del c.c.)”.


Adriana chiede
mercoledì 03/06/2020 - Campania
“Buongiorno, la situazione è la seguente:
Morto mio padre (2006), mia madre ha rinunciato all'eredità, anche per conto mio - ero minorenne. Risultavano purtroppo solo debiti considerevoli.
Dopo molti anni ho scoperto che l'eredità avrebbe dovuto contenere un patrimonio ben più ampio, ma tutti i beni erano registrati all'estero.
Mio nonno paterno sembra aver accettato l'eredità, pagato i debiti e usufruito di tali beni. La maggior parte di questi beni sono stati da lui passati a un altro parente.
Desidero sapere se con la revoca del rifiuto ho qualche possibilità di riacquisire i beni di mio padre anche dopo tutti questi anni.”
Consulenza legale i 09/06/2020
La risposta, purtroppo, è negativa e trova il suo fondamento nel disposto dell’art. 525 c.c., rubricato proprio “Revoca della rinuncia”.
Infatti, principio generale desumibile dalla lettura di tale norma è che, in caso di rinunzia all’eredità, la delazione a favore del chiamato persiste fino a quando il suo diritto di accettare non si prescrive, con la conseguenza che si viene a realizzare una coesistenza del diritto di accettare l’eredità a favore del chiamato rinunziante e dei chiamati ulteriori.

Da tale diritto, invece, il rinunziante decade definitivamente nel momento in cui i chiamati ulteriori (cioè coloro che acquisiscono il diritto di accettare in luogo del rinunziante) manifestano, sia in forma espressa che in forma tacita, la propria volontà di accettare l’eredità.

Quindi, presupposti essenziali per una eventuale successiva revoca della rinunzia sono:
  1. che non sia scaduto il termine per accettare l’eredità, sia quello ordinario decennale che, eventualmente, quello più breve fissato dal giudice ex art. 481 del c.c.;
  2. che non vi sia stato acquisto dell’eredità da parte di altro dei chiamati.

In applicazione di quest’ultimo presupposto la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, ha affermato che la rinuncia all’eredità non può essere revocata quando il chiamato ulteriore (nel caso di specie è tale il nonno paterno) abbia espressamente accettato l’eredità, anche semplicemente assumendo il titolo di erede nella denunzia di successione (così Cass. 4846/2003; Trib. Spoleto 25.09.1996).

Nel caso in esame, difettano entrambi i presupposti per revocare la rinunzia, in quanto la successione si è aperta nell’anno 2006 (quindi sono già trascorsi 14 anni) e l’eredità è stata accettata dal nonno paterno (chiamato ulteriore).
Pertanto, in mancanza dei suddetti presupposti, il figlio rinunziante non può più accettare l’eredità, neppure in forza di un eventuale accordo con gli altri eredi, e ciò anche se all’epoca la volontà di rinunziare è stata manifestata dalla madre, nella qualità di genitore esercente la potestà legale sul figlio minore.
Si presume, infatti, che tale rinunzia sia stata previamente autorizzata dal giudice tutelare, al quale furono prospettate una o più circostanze tali da fargli apparire evidenti le ragioni per le quali l’accettazione dell’eredità potesse in qualche modo risultare dannosa.

In tal senso è anche orientata la giurisprudenza, la quale ha affermato l’irrevocabilità della rinunzia una volta che sia intervenuta l’accettazione da parte degli altri chiamati, precisando che la delazione non potrebbe neppure essere ripristinata dalla volontà privata, poiché costituisce materia sottratta alla libera disponibilità delle parti (così Cass. 2549/1966; Cass. 8912/1998).

In ogni caso, e con ciò si risponde all’altra domanda, anche se volesse ammettersi, per ipotesi, la possibilità di revocare la rinunzia, non sarebbe neppure possibile recuperare i beni ereditari nei confronti del terzo parente a cui il nonno li ha nel frattempo trasferiti, in quanto a ciò si oppone l’ultima parte del medesimo art. 525 c.c., ove viene disposto che la revoca della rinunzia è ammessa, ma che la stessa non può in ogni caso essere di pregiudizio alle ragioni che terzi (ossia soggetti diversi dai chiamati ulteriori) hanno nel frattempo acquistato sui beni dell’eredità.

In realtà, a volerci riflettere bene, questa norma è priva di applicazione pratica, in quanto se il chiamato ulteriore (nonno paterno) ha accettato l’eredità, di fatto tanto basta per impedire al figlio (primo chiamato) di revocare la sua rinuncia e così poter arrecare pregiudizio alle ragioni degli eventuali terzi acquirenti.

Per concludere si ritiene opportuno precisare che in questo caso neppure può invocarsi il disposto di cui all’art. 489 del c.c., norma dalla quale si desume che, nel caso di minori, il termine ordinario decennale per accettare o rinunziare è sospeso fino al compimento della maggiore età e che la rinuncia può essere effettuata fino al compimento del diciannovesimo anno di età.
Tale norma, infatti, presuppone che in detto arco temporale non debba essersi compiuta la prescrizione ex art. 480 c.c. o verificata la decadenza ex art. 481 c.c., né che il rappresentante legale abbia rinunciato all’eredità debitamente autorizzato, ciò che qui, invece, è accaduto.



Bruno B. chiede
martedì 18/02/2020 - Lazio
“Buongiorno , come posso far pronunciare l'inaccettabilità della mia rinuncia all'eredità avendo , prima della stessa , compiuto azioni ( documentate ) che ne comportavano la tacita accettazione ; il testamento è stato pubblicato in data 26/10/2009 e la mia rinuncia è del 18/5/2010.
In attesa , distinti saluti
Bruno B.”
Consulenza legale i 24/02/2020
Dal testo del quesito si deduce chiaramente che sono ormai trascorsi più di dieci anni dall’apertura della successione, considerato che la pubblicazione del testamento, avvenuta in data 26 ottobre 2009 (dunque, da più di dieci anni), non può che essere posteriore all’apertura della successione.
Ciò determina l’applicabilità dell’art. 525 c.c., norma che riconosce al rinunciante il diritto di revocare la rinunzia, ma fino a quando non si sia prescritto il diritto di accettare l’eredità.
A ciò si aggiunga che la norma appena citata dispone che, in ogni caso, non si ha più alcuna possibilità di revocare la rinunzia se nel frattempo l’eredità è stata acquistata da altro dei chiamati.
In applicazione di quest’ultimo principio la giurisprudenza ha affermato che la rinunzia all’eredità non può essere revocata quando il chiamato o i chiamati ulteriori abbiano espressamente accettato l’eredità assumendo il titolo di erede nella denuncia di successione (così Cass. 4846/2003; Trib. Spoleto 25.09.1996).

Ricorrendo tali presupposti (decorso del termine di dieci anni per accettare e acquisto dell’eredità da parte degli altri chiamati), il rinunziante non può più in nessun caso accettare l’eredità, neppure in forza di un eventuale accordo con gli altri eredi, trattandosi a quel punto di materia sottratta alla disponibilità delle parti (così Cass. 2549/1966; Cass. 8912/1998).

Occorre, dunque, cercare altrove una soluzione al problema, soltanto che qui, non avendosi conoscenza nei dettagli di quali sono i fattori e le motivazioni che hanno indotto a rinunciare e di quali sono adesso le ragioni che inducono a voler porre nel nulla quella rinuncia (a distanza di così tanto tempo), non possono che prospettarsi delle ipotesi, attuabili nella misura in cui chi pone il quesito pensi di poterne ravvisare i presupposti.

Intanto, ci si potrebbe avvalere del disposto di cui all’art. 526 del c.c., norma che riconosce al rinunziante il diritto di impugnare la rinunzia qualora si renda conto che la stessa sia stata l’effetto di violenza o di dolo.
La norma esclude espressamente la rilevanza dell’errore quale causa di annullamento della rinunzia all’eredità, rispondendo tale esclusione alla opportunità, sentita dal legislatore, di far prevalere le esigenze di certezza in ordine ai rapporti giuridici, rispetto alla tutela del rinunziante che possa essere caduto in errore sulla consistenza delle sostanze ereditarie (si è voluto in sostanza escludere che la rinunzia possa essere posta nel nulla a causa di nuove valutazioni sulla consistenza del patrimonio ereditario).

Legittimati attivi all’impugnazione ex art. 526 c.c. sono lo stesso rinunziante ed i suoi eredi, ma anche i creditori in via surrogatoria, e la norma dispone che la relativa azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo.
E’ stato a tal proposito affermato che, seppure il codice faccia decorre il termine di prescrizione quinquennale dalla cessazione della violenza o dalla scoperta del dolo, in realtà il termine per l’impugnativa non può cominciare a decorrere che dal momento in cui la rinunzia sia divenuta irrevocabile.
Con ciò vuol dirsi che, se la rinuncia è divenuta in questi anni irrevocabile per intervenuto acquisto dell’eredità da parte degli altri chiamati, sarà da quest’ultima data che devono farsi decorrere i cinque anni per impugnare la medesima rinunzia per violenza o dolo.
Così, se ad esempio gli altri chiamati hanno manifestato la volontà di accettare nel 2015, si avrà tempo fino al 2020 per impugnare la rinunzia.
In ordine ai caratteri della violenza o del dolo, va detto che sono gli stessi di quelli delineati in materia contrattuale, ossia deve trattarsi di violenza morale ed i raggiri integranti il dolo devono essere tali da indurre in un errore determinante il consenso (è irrilevante la persona da cui provengono i raggiri).

Altra possibilità di invalidare la rinuncia, malgrado la prescrizione del diritto di accettare, potrebbe consistere nel proporre al competente Tribunale una domanda volta ad ottenere, previa declaratoria di nullità e/o inefficacia della rinuncia, il riconoscimento della qualità di coerede legittimo del de cuius, chiedendo che si proceda alla divisione dell’eredità e che si ordini agli altri eredi di rendere il conto della gestione dei beni ereditari.
L’inefficacia o invalidità della rinuncia potrebbe essere invocata adducendo la circostanza che, anteriormente alla stessa, il rinunziante avrebbe compiuto uno o più atti di accettazione tacita dell’eredità o, ancor meglio, dando prova della sottrazione o dell’occultamento di beni ereditari, ipotesi quest’ultima espressamente prevista dall’art. 527 del c.c. e che comporta la decadenza dei chiamati all’eredità dalla facoltà di rinunziare ovvero l’essere considerati quali eredi puri e semplici nonostante l’avvenuta rinunzia.

In entrambi i casi (compimento di atti di accettazione tacita o sottrazione ed occultamento di beni ereditari), è indispensabile essere in possesso di concreti elementi probatori, dall’esame dei quali il giudice possa essere posto in condizione di ritenere applicabile il principio vigente nel nostro ordinamento “semel heres semper heres”, desumibile dagli artt. 478 e 527 c.c.
Azioni di questo tipo sono state prese in esame in due sentenze della Corte di Cassazione, a cui si rimanda, e precisamente Corte di Cass. Sez. II sent. N. 1634/2014 e Cass. Civ. Sez. II sent. N. 14666/2012.
Nella prima si legge, tra l’altro, che la rinuncia all’eredità può essere riconosciuta inefficace solo se, fra la data di decesso del de cuius e quella di sottoscrizione della rinuncia stessa, sia possibile ascrivere al soggetto che rinuncia il compimento di atti rilevanti, previsti dal codice civile come indicativi o impositivi di una accettazione tacita dell’eredità.
Nella seconda, invece, la S.C. ha riconosciuto la qualità di erede, malgrado la rinuncia, in capo al chiamato per effetto di un pagamento effettuato a titolo transattivo con denaro ereditario.

Questi sono i suggerimenti che possono darsi; adesso si tratta di valutare se gli atti posti in essere prima della rinuncia possano essere effettivamente in grado di convincere il giudice della inefficacia di quella rinuncia, tanto da poter riconoscere in capo al rinunciante la qualità di erede, con tutto ciò che ne dovrà conseguire.


Sergio chiede
domenica 29/12/2019 - Campania
“Quante volte nei dieci anni si può rinunciare all’eredità e quante alla sua revoca ? Ossia nei dieci anni si può rinunciare e revocare quando è quanto si vuole ?
E nella compilazione della denuncia di successione se viene indicato come EREDE il chiamato all’eredità vale come accettazione espressa dell’eredità?
Grazie”
Consulenza legale i 07/01/2020
Il problema che qui si richiede di affrontare trova esplicita risposta all’art. 525 c.c., norma che consente al chiamato all’eredità, che vi abbia rinunciato, di accettarla in un secondo momento, ma a due condizioni:
  1. che l’eredità non sia stata nel frattempo acquistata da altro dei chiamati;
  2. che dalla revoca della rinuncia non possa derivare alcun pregiudizio alle ragioni acquistate da eventuali terzi sui beni dell’eredità.

Costituisce opinione pacifica sia in dottrina che in giurisprudenza quella secondo cui, nonostante la rinuncia, la delazione a favore del chiamato continua a persistere fino alla prescrizione del suo diritto di accettare.
Tuttavia, con la rinuncia si modifica la situazione di colui che l’ha effettuata, in quanto, anche se permane la delazione in suo favore, il rinunziante non avrà più il potere di compiere atti di gestione conservativa sul patrimonio ereditario né potrà più esercitare il possesso sui beni ereditari.

Si afferma in giurisprudenza che la rinunzia determinerebbe la coesistenza del diritto di accettare sia nel rinunziante che negli altri chiamati (c.d. chiamati ulteriori), precisandosi che la revoca della rinuncia non ha valore di autonomo atto o negozio giuridico, ma costituisce soltanto l’effetto della successiva accettazione dell’eredità da parte del rinunziante, e affermandosi che solo l’accettazione dell’eredità, in qualunque forma manifestata, comporta revoca della rinunzia (cfr. Cass. 3457/1984; Cass. 1403/2007).

Da quanto detto se ne deduce che, nell’arco dei dieci anni successivi all’apertura della successione, è ben possibile rinunciare una solta volta all’eredità e successivamente revocare tale rinuncia mediante successiva accettazione, la quale, secondo quanto affermato sempre dalla Corte di Cassazione (così Cass. 21014/2011 e Cass. 6070/2012), può anche essere tacita.
Una volta manifestata la volontà di accettare, sia in forma espressa che tacita, non sarà più possibile rinunziare; ciò lo si desume implicitamente anche dalla lettura degli articoli 475 e 520 c.c., i quali sanzionano con la nullità sia l’accettazione che la rinunzia dell’eredità subordinati a condizione o termine ovvero riferite solo a parte dell’eredità.

Si è detto all’inizio che perché il rinunziante possa efficacemente revocare la propria rinunzia occorre non soltanto che sussista il presupposto fondamentale che non sia scaduto il termine di accettazione (sia esso quello ordinario decennale che, eventualmente, quello più breve fissato dal giudice ex art. 481 del c.c.), ma anche che sussistano i due presupposti prescritti dall’art. 525 c.c..

La revoca della rinunzia, infatti, sarebbe impedita dall’acquisto dell’eredità da parte di altri chiamati; il rinunziante non potrà più revocare la sua rinunzia dopo che sia intervenuta l’accettazione, in qualunque modo manifestata, dei chiamati in subordine o nel caso in cui l’eredità sia stata automaticamente acquistata dagli altri simultaneamente chiamati per effetto dell’accrescimento.
E’ stata anche esclusa, sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina, la possibilità di un accordo tra il rinunziante e gli altri eredi in subordine, che abbiano già accettato, volto a consentire al rinunziante di revocare la rinuncia e così acquisire nuovamente la qualità di erede; si è infatti affermato che, una volta caduta la delazione, questa non può più essere ripristinata dalla volontà privata, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti (così Cass. N. 2549/1966; Cass. N. 8912/1998).

Discusso è il significato da attribuire all’inciso contenuto nell’ultima parte della norma, ove vengono fatte salve le ragioni acquistate nel frattempo da eventuali terzi sopra i beni dell’eredità.
La dottrina prevalente ha interpretato tale espressione nel senso che occorrerebbe rispettare, a seguito della revoca della rinunzia, gli eventuali atti di gestione del patrimonio ereditario compiuti dai chiamati ulteriori o dal curatore dell’eredità giacente.

Ultimo tema che resta da analizzare è quello degli effetti che può avere la presentazione della denuncia di successione e l’indicazione in essa della qualità di erede con riferimento a colui che riveste la posizione di chiamato all’eredità, per legge o per testamento.
A tale riguardo costituisce orientamento costante nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione quello secondo cui la presentazione della denuncia di successione da parte del chiamato all’eredità non comporta ex se l’accettazione tacita di eredità, in quanto trattasi di atto preordinato a fini essenzialmente fiscali.
Qualora, invece, si accompagni ad una attività costituente prova di accettazione implicita (esempio l’esperimento di azioni giudiziarie volte alla rivendica o alla difesa della proprietà o a danni per mancata disponibilità di beni ereditari), allora essa assumerà valore di elemento indiziario che rafforza la volontà di accettare tacitamente l’eredità (così Cass. Civ. Sez. VI, sent. N. 868/2917; Cass. 13738/2005).

Tale tesi è stata di recente confermata dalla Corte di Cassazione, Sezione seconda civile, con ordinanza n. 4843 del 19.02.2019, in cui viene espressamente detto che “Ai fini dell’accettazione tacita dell’eredità, sono privi di rilevanza tutti quegli atti che, attese la loro natura e finalità, non sono idonei ad esprimere in modo certo l’intenzione univoca di assunzione della qualità di erede, quali la denuncia di successione, il pagamento delle relative imposte, la richiesta di registrazione del testamento e la sua trascrizione. Infatti, trattandosi di adempimenti di prevalente contenuto fiscale, caratterizzati da scopi conservativi, il giudice del merito, a cui compete il relativo accertamento, può legittimamente escludere, con riferimento ad essi, il proposito di accettare l’eredità; peraltro, siffatto accertamento non può limitarsi all’esecuzione di tali incombenze, ma deve estendersi al complessivo comportamento dell’erede potenziale ed all’eventuale possesso e gestione anche solo parziale dell’eredità”.

In conclusione, dunque, può dirsi che, nell’arco dei dieci anni dall’apertura della successione, non si può rinunciare e revocare la rinuncia quanto si vuole, ma solo una volta, in quanto la revoca della rinuncia non è atto autonomo, ma conseguenza della accettazione dell’eredità, la quale, una volta manifestata, non può essere più revocata né può essere sottoposta a termine o condizione.
La presentazione della denuncia di successione, se non accompagnata da altri atti qualificabili come manifestazione di accettazione tacita dell’eredità, non può assumere il valore di accettazione dell’eredità, sia essa espressa che tacita, avendo solo rilevanza fiscale.


Stefano A. chiede
mercoledì 06/11/2019 - Estero
“Buongiorno, il caso è il seguente: trattasi di un'eredità di un parente deceduto all'estero (non-UE) pochi anni fa, con beni in Italia: terreni agricoli ed un fabbricato.
Risultavano pero anche debiti "considerevoli" all'estero (il cui importo era sconosciuto).
Tutti gli eredi a questo punto hanno rinunciato regolarmente tramite atto notarile.
Dopo aver conosciuto l'importo dei debiti ho deciso di revocare la rinuncia e di accettare l'eredità completa.
Facendo la dichiarazione di successione risultava però che uno dei legatari (con il quale non avevo mai contatto) in verità ha rinunciato l'eredità soltanto all'estero per non pagare debiti ma non ha ne accettato ne rinunciato all'eredità in Italia.
Quindi non risulta registrato da nessuna parte una rinuncia all'eredità di questo parente (mentre risulta la rinuncia di tutti gli altri me incluso).
I 10 anni di tempo per accettazione/rinuncia non sono ancora passati (e lui ha quasi 90 anni).
Domande:
Che cosa significa per la mia revoca ed accettazione dell'eredità intera?
Devo aspettare i 10 anni e se lui non accetta o se muore neanche i suoi eredi sarà in vigore?
Oppure è da considerarsi nulla l'accettazione dell'eredità completa perché accettata ed uno degli altri eredi non ha ancora deciso?
Che cosa si può fare per accelerare la faccenda?
Dei terreni si è dichiarato proprietario un altro e del fabbricato lo stesso parente ne sta facendo usucapione ed io posso fare ben poco vivendo all'estero.”
Consulenza legale i 12/11/2019
Si cercherà di rispondere in maniera più puntuale possibile alle domande poste, anche se, in realtà, la vicenda, per come viene descritta, presenta dati un pò incerti ed imprecisi.
Intanto va premesso che normativa di riferimento in materia è la Legge 31 maggio 1995 n. 218, la quale agli articoli 46, 47, 48, 49 e 50 si è preoccupata di dettare la nuova disciplina sulle successioni a causa di morte nel diritto internazionale privato.

In particolare, dispone il primo comma dell’art. 46 che “la successione per causa di morte è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta al momento della morte”.
E’ stato dunque affermato il c.d. principio della unità della successione , il quale trova un temperamento soltanto nella possibilità della c.d. “professio iuris” prevista dal secondo comma di quella stessa norma.

Da ciò se ne ricava che sarà la normativa dello Stato estero in cui il de cuius è deceduto a regolare l’intera successione, in particolare per tutto ciò che involge gli aspetti di gestione e trasferimento del patrimonio appartenente al de cuius.
Nel quesito viene precisato che tutti i potenziali eredi, venuti a conoscenza della ingente quantità di debiti gravanti sull’eredità, hanno manifestato la loro volontà di rinunciare a quell’eredità, precisandosi che tale rinuncia è stata fatta con atto notarile.
Manca, tuttavia, ogni precisazione in relazione al luogo ove quell’atto di rinuncia è stato posto in essere, se in Italia o all’estero, trattandosi di un dato importante di cui occorre tener conto per giungere ad una corretta soluzione della questione posta.

Infatti, qualora la rinuncia fosse stata fatta all’estero, affinché la stessa possa avere efficacia in Italia, occorre che risultino essere state rispettate le forme ed i requisiti prescritti dal nostro codice civile agli artt. 519 e ss.
In particolare, dispone quest’ultima norma che la rinuncia all’eredità va fatta con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, per poi essere inserita nel registro delle successioni.

La prassi da seguire, dunque, è quella di recarsi presso l’Ufficio notarile del Consolato italiano all’estero, per ivi rendere la dichiarazione di rinuncia in forma di atto pubblico e poi trasmetterla al Tribunale italiano affinché venga inserita nel Registro delle successioni (Tribunale competente sarà quello del luogo di ultima residenza del defunto).
Peraltro, secondo il disposto dell’art. 13, co. 1, d.P.R. n. 131 del 26.04.1986, la rinuncia all’eredità compiuta all’estero deve essere registrata in Italia entro il termine di 60 giorni dal compimento dell’atto.

In mancanza di tali adempimenti, la rinuncia all’eredità compiuta all’estero non potrà che considerarsi improduttiva di effetti in Italia, il che comporta che ciascuno di coloro che risultano chiamati all’eredità del defunto può in Italia accettare l’eredità entro il termine di 10 anni dall’apertura della successione, per come stabilito dall’art. 480 del c.c..
Peraltro, dispone l’art. 525 c.c. che entro lo stesso termine decennale di prescrizione, colui il quale abbia già rinunciato, può revocare la rinuncia ed accettare l’eredità, sempre che la medesima non sia stata già acquistata da altro dei chiamati e fatte salve le ragioni acquistate da eventuali terzi sui beni che la compongono.

Pertanto, se si ha certezza che nessun altro chiamato ha nel frattempo accettato l’eredità, ciò che si consiglia è di revocare la rinuncia all’eredità, avvalendosi ovviamente della forma dell’atto pubblico e provvedendo a far inserire quella revoca della rinuncia e conseguente accettazione nel Registro delle successioni del Tribunale del luogo di ultima residenza del defunto.
Poiché si presume che anche gli altri successibili si trovino per la legge italiana nella posizione di chiamati, al fine di non aspettare il decorso dei dieci anni dalla morte del de cuius, vi è uno strumento giuridico di cui ci si può avvalere, ovvero quello previsto dall’art. 481 del c.c., norma che consente a chiunque vi abbia interesse di chiedere all’autorità giudiziaria (ovviamente quella italiana) di fissare un termine entro il quale i chiamati dovranno espressamente dichiarare se accettare o rinunciare all’eredità, con la conseguenza che, se entro tale termine non viene fatta alcuna dichiarazione, si perde definitivamente il diritto di accettare.

Nel frattempo, una volta formalizzata la revoca della rinuncia e l’accettazione dell’eredità, per quanto concerne l’ulteriore problema legato al fatto che gli immobili ereditari (terreni e fabbricato) sono in possesso di terzi e di uno degli stessi chiamati, occorrerà difendersi e far valere le proprie ragioni attraverso una azione ben precisa, ossia la c.d. azione di petizione di eredità, disciplinata dagli artt. 533 e ss. c.c.
Dispone espressamente l’art. 533 del c.c. che, colui il quale ha acquisito la posizione di erede, può agire in giudizio per chiedere il riconoscimento di tale sua qualità contro chiunque si trova in possesso di tutti o parte dei beni ereditari, vantando un titolo di erede nullo o invalido o senza titolo alcuno.

Diversa è la situazione, invece, se tutti gli eredi hanno rinunciato a quell’eredità in Italia, mediante atto notarile regolarmente registrato ed inserito nel Registro delle successione; in tal caso, infatti, poiché l’eredità non risulta ancora accettata da alcuno dei chiamati e considerato che non sono ancora decorsi dieci anni, si è ancora in tempo per revocare la propria rinuncia e accettare l’eredità.
Tale accettazione, validamente espressa ed effettuata, impedirà agli altri eredi già rinuncianti (in forza di rinuncia valida ed efficace anche in Italia) di poter revocare anche la propria rinuncia, avendo ormai perso definitivamente il diritto di accettare l’eredità.


Chiara chiede
venerdì 30/03/2012 - Piemonte

“Salve, dopo circa 5 anni dalla rinuncia dell'eredità, è possibile fare la revoca della rinuncia e tornare ad avere l'eredità??

Grazie”

Consulenza legale i 30/03/2012

La rinunzia all'eredità è un negozio solenne che si fa con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. La rinunzia all'eredità può essere fatta fino a che il diritto di accettare non sia prescritto (dieci anni dall'apertura della successione).

La rinunzia è revocabile. Il rinunziante, se non è passato il termine di prescrizione, ha il diritto di accettare l'eredità fino a che, in seguito al suo rifiuto, un chiamato di grado ulteriore non abbia a sua volta acquistato l'eredità (art. 525 del c.c.).


Elio chiede
mercoledì 03/11/2010

“Nel caso di revoca della rinunzia di accettazione dell'eredità entro il termine dei dieci anni, ed a seguito della presentazione della dichiarazione di successione da parte degli altri eredi, in mancanza di successivi atti di trasferimento della proprietà, può l'erede rinunciante prima e revocante dopo pretendere ancora la sua quota di eredità presentando una nuova dichiarazione di successione sostitutiva alla prima?

Consulenza legale i 28/12/2010

La rinunzia all'eredità è un negozio unilaterale revocabile fino a che:
- non sia prescritto il diritto di accettare;
- non sia avvenuta l'accettazione dei successivi chiamati ([[525]]).

Nel caso di specie, premesso che il primo presupposto si è verificato, si dovrà accertare che i successivi chiamati non abbiano già accettato, caso al quale è equiparato l'accrescimento in caso di accettazione precedente. Infatti, la circostanza dell'accettazione non è chiara, poiché dalla presentazione della dichiarazione di successione e dal pagamento della relativa imposta, in quanto adempimenti fiscali caratterizzati da scopi conservativi, non può desumersi l'accettazione tacita degli altri eredi (Cass. civ. 27 marzo 1996 n. 2711).

La revoca della rinuncia sarà valida, quindi, se sarà accertato che i successivi chiamati non hanno ancora accettato.


CLAUDIA chiede
mercoledì 13/10/2010

“Salve, può essere pignorata la mia rinuncia dell'eredità?
Grazie.”

Consulenza legale i 28/12/2010

La rinuncia all'eredità, in quanto potenzialmente lesiva degli interessi dei creditori del rinunciante, può essere da essi impugnata (è improprio parlare di "pignoramento" in questa fase).
L'art. 524 del c.c. sancisce la regola per cui i creditori di colui che rinuncia, seppur senza frode, possono farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e in luogo del loro debitore-rinunziante, allo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari - naturalmente fino alla concorrenza dei crediti.
La legittimazione passiva rispetto all'istanza di autorizzazione dei creditori spetta al solo debitore rinunziante (v. Cass. civ. 17866/2003), mentre i successivi chiamati che abbiano accettato l'eredità potranno eventualmente esperire intervento adesivo dipendente per sostenere le ragioni del debitore rinunciante.


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