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Articolo 481 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Fissazione di un termine per l'accettazione

Dispositivo dell'art. 481 Codice Civile

(1)Chiunque vi ha interesse(2) può chiedere che l'autorità giudiziaria fissi un termine [749 c.p.c.] entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde [2694 c.c.] il diritto di accettare [488, 650 c.c.].

Note

(1) Pendente il termine per accettare l'eredità, chi vi abbia interesse può chiedere al giudice la fissazione di un termine abbreviato rispetto a quello decennale, entro il quale il chiamato all'eredità deve dichiarare se intende accettare (c.d. actio interrogatoria).
L'inutile decorso del termine, viene interpretato quale rinuncia all'eredità.
(2) Legittimati a proporre l'azione sono i chiamati ulteriori, cioè coloro che potrebbero succedere se il primo chiamato non accettasse l'eredità, o, in subordine, i legatari, i creditori dell'eredità e quelli personali del primo chiamato, l'esecutore testamentario (v. art. 700 c.c.) e il curatore dell'eredità giacente (v. art. 528 del c.c.).
L'azione si può esperire contro qualsiasi chiamato, anche se incapace (v. artt. 471, 472 del c.c).

Ratio Legis

Posto che per i soggetti legittimati alla proposizione dell'actio interrogatoria il termine di prescrizione per accettare l'eredità decorre dal momento dell'apertura della successione (salvo l'eccezione di cui al terzo comma dell'art. 480 c.c.), la norma mira ad evitare che il diritto di accettare di tali soggetti si prescriva a causa dell'inerzia del primo chiamato.

Brocardi

Actio interrogatoria
Interrogatio an heres sit

Spiegazione dell'art. 481 Codice Civile

La norma prevede il diritto in capo a chiunque vi abbia interesse (legatari, ulteriori chiamati, creditori ereditari, creditori personali dell'ulteriore chiamato, beneficiari di onere testamentario, esecutore testamentario, curatore dell'eredità giacente) di agire (c.d. actio interrogatoria) al fine di far fissare dall'autorità giudiziaria un termine decorso il quale il chiamato decade dal diritto di accettare l'eredità.

La ratio della norma è quella di garantire la certezza dei traffici giuridici.

La natura del termine fissato dal giudice è quella di un termine di decadenza.

Legittimati passivi sono tutti i chiamati all'eredità compresi gli incapaci e le persone giuridiche.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 481 Codice Civile

Cass. civ. n. 29146/2022

L'eventuale concessione al chiamato in ordine successivo di un termine per l'accettazione dell'eredità è ininfluente ai fini della revocabilità della rinunzia poiché la concessione del termine, secondo la sua funzione tipica, determina l'abbreviazione del tempo per l'accettazione, ma non comporta ex se il sorgere del presupposto della revoca, che rimane pur sempre costituito dalla mancata accettazione del chiamato in ordine successivo. In sostanza, quando la rinunzia proviene da chi sia chiamato all'eredità congiuntamente con altri, i quali abbiano già accettato, l'inutile decorso del termine ex art. 481 c.c. al chiamato in ordine successivo anticipa l'effetto automatico dell'accrescimento, altrimenti destinato a realizzarsi solo con il compimento della prescrizione o con la rinunzia del chiamato per rappresentazione, e sempre che quest'ultimo non abbia a sua volta discendenti. L'accrescimento rimane definitivamente impedito se, prima della scadenza del termine, il rinunziante revochi la rinunzia. Identicamente, quell'effetto non si realizza se il chiamato per rappresentazione esercita il proprio diritto di accettare l'eredità nel termine accordato.

Cass. civ. n. 969/2022

In tema di accettazione dell'eredità, l'ordinanza emessa in sede di reclamo avverso l'ordinanza resa dal Tribunale, ai sensi degli artt. 481 c.c. e 749 c.p.c., con cui si sia fissato un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinuncia all'eredità stessa, non è ricorribile per cassazione, in quanto priva di decisorietà e definitività, attesa anche la sua revocabilità e modificabilità alla stregua dell'art. 742 c.p.c.

Cass. civ. n. 33479/2021

Il rimedio previsto dall'art. 524 c.c. è utilizzabile dai creditori non solo in presenza di una rinuncia formale all'eredità da parte del chiamato, ma anche nel caso in cui quest'ultimo non dichiari di accettarla in seguito all'esperimento della cd. "actio interrogatoria" ex art. 481 c.c., essendo le due ipotesi assimilabili dal punto di vista del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori del chiamato.

Cass. civ. n. 15664/2020

L'azione ex art. 524 c.c. è ammissibile unicamente ove i creditori abbiano richiesto, ai sensi dell'art. 481 c.c., la fissazione di un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinuncia all'eredità quando non sia ancora maturata la prescrizione del diritto di accettare l'eredità ex art. 480 c.c. In caso contrario si finirebbe, per rimettere impropriamente in termini i creditori, anche con evidente pregiudizio dei successivi accettanti che confidano nella decorrenza di un termine prescrizionale per l'azione dei creditori inferiore a quello ordinario decennale.

Cass. civ. n. 22195/2014

In tema di successione a causa di morte, la perdita del diritto di accettare l'eredità ex art. 481 cod. civ. comporta anche la perdita della qualità di chiamato all'eredità per testamento, con la conseguenza che la devoluzione testamentaria diviene inefficace e si apre esclusivamente la successione legittima, ai sensi dell'art. 457 cod. civ., senza che si verifichi la coesistenza tra successione testamentaria e successione legittima.

Cass. civ. n. 4849/2012

In tema di successioni per causa di morte, il termine fissato dal giudice, ai sensi dell'art. 481 c.c., entro il quale il chiamato deve dichiarare la propria eventuale accettazione dell'eredità, anche con inventario, è un termine di decadenza, essendo finalizzato a far cessare lo stato di incertezza che caratterizza l'eredità fino all'accettazione del chiamato. Ne consegue che dal decorso di detto termine, in assenza della dichiarazione, discende la perdita del diritto di accettare, rimanendo preclusa ogni proroga di esso, senza che rilevi in senso contrario la possibilità di dilazione consentita dall'art. 488, secondo comma, c.c. unicamente per la redazione dell'inventario.

Cass. civ. n. 9151/1991

La regola fondamentale di cui all'art. 2935 c.c. in tema di prescrizione è applicabile, anche con riferimento alla decadenza, in relazione alla disciplina speciale dettata per la accettazione di eredità da parte di persone giuridiche in generale e degli enti morali ed ecclesiastici in particolare, per cui il termine previsto dall'art. 480 c.c. per tale accettazione non inizia a decorrere se l'ente chiamato all'eredità non è stato ancora autorizzato dall'autorità competente e conseguentemente in tale ipotesi non può essere neppure fissato dal giudice ai sensi dell'art. 481 c.c.

Cass. civ. n. 1885/1988

Nel procedimento promosso contro il chiamato all'eredità, la richiesta di fissazione di un termine, entro il quale il convenuto debba accettare o rinunciare all'eredità medesima (art. 481 c.c.), non può essere avanzata per la prima volta in grado di appello, ai sensi dell'art. 345 c.p.c.

Cass. civ. n. 3828/1985

La fissazione di un termine per l'accettazione (o la rinuncia) dell'eredità è possibile anche quando il chiamato sia incapace.

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Consulenze legali
relative all'articolo 481 Codice Civile

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Cliente chiede
mercoledì 23/10/2024
“Buongiorno, avrei bisogno di un Vostro parere.
Mia zia, nubile e senza figli é deceduta senza lasciare testamento.
Aveva due fratelli, mia madre sig.ra Lucia ed il fratello Mario.
Mario ha fatto la dichiarazione di successione all’agenzia delle entrate indicando come eredi se stesso e la sorella, ed ha trascritto la sua accettazione per la quota di ½.
Successivamente, volendo definire in fretta la successione, ha promosso azione nei confronti della sorella Lucia ex art. 481 cc ed il Giudice ha fissato il termine a Lucia per accettare l’eredità.
La mia domanda è la seguente.
• Nel caso in cui la sig.ra Lucia decida di non accettare nel termine fissato dal Giudice, la sua quota andrà devoluta ai figli della medesima (io e mio fratello) oppure accrescerà la quota del fratello Mario?
• Nel caso in cui venga devoluta ai figli di Lucia, Mario una volta scaduto il termine fissato a Lucia, dovrà promuovere analoga azione nei confronti dei figli di Lucia, me e mio fratello?
• Qualora Lucia accetti e trascriva tardivamente la sua accettazione oltre il termine fissato dal giudice, chi potrebbe impugnarla: noi suoi figli che sarebbero subentrati nella sua quota, oppure anche lo zio Mario?

Consulenza legale i 30/10/2024
Il diritto di rappresentazione, disciplinato agli artt. 467 e ss. c.c. è quel particolare istituto giuridico che, secondo la definizione che ne viene data all’art. 467 c.c., “fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l’eredità”.
Esso trova applicazione sia nel caso di successione legittima che testamentaria e vale sia per le ipotesi di rinuncia, premorienza, assenza e indegnità del chiamato all’eredità, che per l’ipotesi, ricorrente nel caso in esame, in cui il primo chiamato all’eredità abbia perso il diritto di accettarla per decadenza, in seguito all’esperimento dell’actio interrogatoria ex art. 481 c.c. (cfr. Corte d’Appello di Palermo sentenza n. 1645 del 06.08.2019).

Da ciò ne consegue che se Lucia dovesse far inutilmente decorrere il termine che, su istanza del fratello Mario, il Giudice le ha fissato per dichiarare se accettare o rinunziare all’eredità della zia, saranno i figli di Lucia a subentrarle per rappresentazione, sussistendone sia il presupposto oggettivo (decadenza dal diritto di accettare) che quello soggettivo (il primo chiamato è parente in linea collaterale della de cuius).

Stando così le cose, pertanto, se Mario ha esigenza di definire in fretta la successione, lo stesso dovrà nuovamente rivolgersi all’autorità giudiziaria per chiedere che anche nei confronti dei chiamati in rappresentazione venga fissato un termine per accettare ex art. 481 c.c.

Ci si pone a questo punto il dubbio di una corretta individuazione dei soggetti cui compete la legittimazione attiva ad impugnare una eventuale accettazione tardiva di Maria, prima chiamata all’eredità.
Per risolvere tale dubbio si ritiene necessario in via preliminare inquadrare correttamente quelli che sono gli effetti della mancata accettazione dell’eredità entro il termine fissato ex art. 481 c.c.
A tale riguardo significativa appare l’espressione usata dal legislatore nell’ultima parte della citata norma, ove è detto che “…il chiamato perde il diritto di accettare” qualora entro il termine fissato dall’autorità giudiziaria non abbia manifestato alcuna volontà di rinunzia o accettazione.

L’uso di tale espressione, infatti, ha indotto dottrina e giurisprudenza prevalenti a ritenere che qualora il termine dovesse trascorrere senza alcuna dichiarazione, il chiamato deve considerarsi definitivamente decaduto dal diritto di accettare (come accade anche nel caso di cui al comma 3 dell’art. 487 c.c.), non potendosi tale suo comportamento qualificare come rinuncia tacita.
A conferma di ciò si afferma che non possono trovare applicazione le norme dettate in tema di rinuncia che consentono la c.d. revoca della rinuncia (art. 525 del c.c.) e la sua impugnazione da parte dei creditori (art. 524 del c.c.).
In tal senso si è espressa la Corte d’Appello di Trieste in una lontanissima sentenza del 20.05.1964, così massimata:
Posto che il difetto di accettazione nel termine prefissato dal giudice ex art. 481 c.c. non costituisce una ipotesi di rinunzia all'eredità ma di decadenza dal diritto di accettare, non sono applicabili a detta ipotesi né le norme relative alla possibilità di revoca o di annullamento da parte del chiamato all'eredità, né quelle sulla revocabilità della rinunzia da parte dei creditori”.

Ebbene, la qualificazione della perdita del diritto di accettare in termini di decadenza comporta non soltanto, come sì è appena detto, l’inammissibilità di una accettazione successiva (alla quale non si può pensare di attribuire efficacia di revoca tacita della rinuncia), ma anche l’applicabilità della disciplina propria di tale istituto giuridico
Si tratterebbe più precisamente di un’ipotesi di decadenza legale, la quale costituisce sempre un istituto eccezionale, in quanto deroga al principio generale che caratterizza il nostro ordinamento giuridico, ovvero quello secondo cui l’esercizio dei diritti soggettivi non è sottoposto a limiti ed il suo titolare può esercitarli quando, come e dove gli sembra più opportuno.

Tale decadenza legale, a sua volta, può essere stabilita sia nell’interesse generale che a favore dell’interesse individuale delle parti.
Così, se stabilita nell’interesse generale, ovvero in relazione a diritti indisponibili (è tale, ad esempio, quella prevista in tema di rapporti familiari), le parti non possono rinunziarvi ed il giudice (a differenza di ciò che accade in caso di prescrizione di un diritto) deve rilevarla d’ufficio.
Al contrario, se stabilita a tutela di un interesse individuale, si avrà che:
  1. non può essere rilevata ex officio dal giudice;
  2. deve essere invocata dalla parte interessata;
  3. riguardando diritti disponibili, le parti possono modificare il regime legale e anche rinunziarvi.

Ora, la decadenza a cui il chiamato incorre nel caso disciplinato dall’art. 481 c.c. non può che intendersi stabilita a favore dell’interesse delle parti private, con le seguenti conseguenze:
  1. un’eventuale accettazione tardiva di Lucia, prima chiamata, può essere impugnata per intervenuta decadenza dai suoi discendenti, chiamati a succedere in rappresentazione;
  2. la mancata impugnazione da parte dei discendenti di Lucia integrerebbe una rinuncia al loro diritto di far valere la decadenza (ammissibile perché relativa ad un diritto disponibile), con la conseguenza che l’accettazione di Lucia, seppure tardiva, sarebbe destinata a mantenere la sua validità, ma a condizione che anche gli altri interessati (ovvero tutti coloro che ne beneficeranno dall’accertata decadenza) decidano di astenersi dall’impugnazione.

In altre parole, anche Mario, nella sua qualità di coerede, a seguito dell’inerzia dei chiamati in subordine, potrà impugnare l’accettazione tardiva di Lucia e far valere l’intervenuta decadenza e conseguente inefficacia di quell’atto, potendosi in tal modo vedere accresciuta la sua quota.


S. V. chiede
lunedì 09/09/2024
“buongiorno,
sono un minorenne, sono nominato sul testamento di mio zio che non ha figli, ha dei beni in comproprietà e i comproprietari mi vogliono far decidere se accettare il bene prima dei 10 anni tramite il giudice.
mio zio già precedentemente affrontato questa causa per 5anni senza risultati. Io non posso affrontare una causa di divisione, perchè devo studiare ,altrimenti mi danneggerebbe pensare allo studio e alla divisione.
Il pensiero di non accettare l'eredità mi sento danneggiato perché vado contro la volontà dello zio.
Mi hanno detto che c'è un modo per chiedere una proroga.
grazie”
Consulenza legale i 14/09/2024
La norma di cui, con molta probabilità, intendono avvalersi i comproprietari interessati alla divisione è l’art. 481 c.c., il quale attribuisce a “chiunque vi abbia interesse” il diritto di chiedere all’autorità giudiziaria la fissazione di un termine entro cui il chiamato deve decidere se accettare o rinunziare all’eredità.
Tale norma trova applicazione anche nel caso in cui chiamato all’eredità sia un minore, per il quale vale quanto statuito dagli artt. 471 e 489 c.c.
In particolare, l’art. 471 del c.c. dispone che le eredità devolute a minori non si possono accettare se non con beneficio di inventario e previa autorizzazione giudiziaria ex art. 321 del c.c., mentre il successivo art. 489 del c.c. dispone che minori, interdetti e inabilitati possono adeguarsi alle prescrizioni dettate in tema di beneficio di inventario entro un anno dal compimento della maggiore età o dal cessare dello stato di interdizione o di inabilitazione.

Dalla lettura di quest’ultima disposizione sembrerebbe, in effetti, che il minore abbia termine fino al compimento del diciannovesimo anno di età per decidere se accettare l’eredità (adeguandosi alle prescrizioni dettate in tema di beneficio di inventario) ovvero rinunziarvi.
Tuttavia, non si può trascurare che presupposto per l’applicazione della medesima norma è che il soggetto risulti ancora delato al momento in cui acquista la piena capacità, il che significa che non deve essersi compiuta la prescrizione ex art. 480 del c.c. né verificata la decadenza ex art. 481 c.c. del diritto di accettare.
E’ opinione pacifica, infatti, quella secondo cui prescrizione e decadenza operino anche nei confronti dei soggetti incapaci, rispondendo ciò all’intento del legislatore di evitare delazioni protratte a tempo pressoché indefinito, nel rispetto delle esigenze di definizione e certezza dei rapporti giuridici.

Pertanto, se intenzione degli altri comproprietari, interessati alla divisione, è quella di chiedere all’autorità giudiziaria la fissazione di un termine ex art. 481 c.c., non vi potrà essere altra soluzione che quella di accettare entro il suddetto termine, trattandosi di un termine di decadenza.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione con ordinanza n. 10252 dell’11.04.2019, nella quale ha così statuito:
“il termine fissato dal giudice, ai sensi dell’art. 481 c.c., entro il quale il chiamato deve dichiarare la propria eventuale accettazione dell’eredità, anche con inventario, è un termine di decadenza, essendo finalizzato ad eliminare lo stato di incertezza che caratterizza l’eredità fino all’accettazione del chiamato; con la conseguenza che dal decorso di detto termine, in assenza della dichiarazione, discende la perdita del diritto di accettare, rimanendo preclusa ogni proroga di esso, senza che rilevi in senso contrario la possibilità di dilazione consentita dall’art. 488, comma 2, c.c., prevista unicamente per la redazione dell’inventario”.

Si tenga, tuttavia, presente che sarebbe possibile manifestare sin da subito la volontà di accettare l’eredità, previa autorizzazione ex art. 321 c.c., e non redigere l’inventario nei termini di legge.
Infatti, secondo Cass. n. 25666/2008, l'omissione della redazione dell'inventario nei termini di legge da parte del legale rappresentante del minore chiamato, non pregiudica, fino al primo anno dal compimento della maggiore età, né il diritto dello stesso minore di accettare con beneficio d'inventario, né quello di evitare la decadenza dal beneficio né, infine, la sua facoltà di rinunziare all'eredità.
La stessa Corte di Cassazione, con sentenza n. 9648/2000, ha perfino sostenuto, allo scopo di non porre a carico del minore le spese per l'inventario, che il minore, il quale abbia accettato con beneficio d'inventario, può, entro l'anno dalla maggiore età, ancora rinunciare all'eredità.
Tuttavia, più di recente la stessa Cassazione, con sentenza n. 15267/2019, ha escluso che, nel caso suddetto, il minore possa conservare la facoltà di rinunciare all'eredità, ma che piuttosto egli avrebbe soltanto la facoltà di redigere l'inventario nel termine di un anno dal compimento della maggiore età, così da garantire la sua responsabilità "intra vires hereditatis".


F. M. chiede
mercoledì 08/05/2024
“Non avendo accettato l'eredità l'unico erede (unico figlio di madre vedova) dopo il termine fissato dal giudice ex art. 481 c.c., può poi successivamente accettarla, non essendo presenti altri che lo abbiano fatto ed entro i 10 anni dalla morte della madre?”
Consulenza legale i 14/05/2024

La risposta è negativa, per le ragioni che qui di seguito si vanno ad esporre.
In tema di successione a causa di morte, il termine fissato dal giudice, ai sensi dell’art. 481 c.c., entro cui il chiamato deve dichiarare la propria eventuale accettazione dell’eredità, anche con inventario, è un termine di decadenza, essendo volto a far cessare lo stato di incertezza che caratterizza l’eredità fino all’accettazione del chiamato.

In assenza della dichiarazione, dal decorso di detto termine ne consegue necessariamente la perdita del diritto di accettare, rimanendo peraltro preclusa ogni possibilità di proroga dello stesso.
A sostegno di tale conclusione la Corte di Cassazione, Sez. II civile, sent. n. 4849 del 26.03.2012, ha precisato che non può addursi in senso contrario la circostanza che il secondo comma dell’art. 488 del c.c. preveda una possibilità di dilazione, essendo questa consentita soltanto per la redazione dell’inventario.

Anche la giurisprudenza di merito (in particolare Tribunale di Bari, sentenza 23.03.2011) ha affermato che il decorso del termine di accettazione, fissato dal giudice ex art. 481 c.c., impedisce la revoca della rinuncia all’eredità, risultando pacifico, dal tenore della stessa legge, che non si sia in presenza di una rinuncia tacita (per le quali potrebbero farsi valere le norme dettate in tema di rinuncia, che ne consentono la revoca), bensì di una ipotesi di decadenza dal diritto di accettare, come quella oltretutto prevista anche dal successivo comma 3 dell’art. 487 del c.c..



Anonimo chiede
martedì 27/02/2024
“Deceduta mia nonna e poi mio nonno i tre figli(due figlie A e B, un figlioC) hanno proceduto a pagare la successione di entrambi ma senza dividere mai i beni .Deceduta una figliaA i suoi due figli hanno provveduto a pagare la successione senza dividere i beni con la zia B e lo zio C viventi.Deceduto il figlioC le corrispettive due figlie rinunciano in tribunale ai beni del padre (hanno ciascuna un figlio minore) .Resta in vita solo mia madre .B.
Le figlie di C rinunciatarie e non in possesso dei beni non aprono e non pagano la successione.
Come bisogna procedere affinché si arrivi alla divisione di questa eredità attualmente gestita da mia madre B e dai due nipoti figli della sorella A ?”
Consulenza legale i 06/03/2024
Prima di rispondere a quanto viene chiesto si reputa possa essere utile cercare di capire secondo quali quote i soggetti interessati alla successione dei nonni si trovano attualmente in uno stato di comunione ereditaria, dal quale intendono uscire.
Alla morte della nonna, in assenza di testamento (considerato che nel testo del quesito non se ne fa cenno), chiamati all’eredità ex lege sono il coniuge superstite ed i tre figli A, B e C, in favore dei quali l’eredità si è devoluta secondo quanto prescritto dall’art. 581 del c.c., ovvero per 1/3 in favore del coniuge e per 2/3 indivisi in favore dei figli.
Per maggiore comodità di successiva divisione, può dirsi che alla moglie spetta una quota pari a 6/18, mentre ai figli una quota pari a 4/18 ciascuno.

Alla morte del nonno i tre figli A, B e C diventano eredi anche dei 6/18 indivisi di pertinenza della madre e, pertanto, ciascuno di essi diventa comproprietario per una quota complessiva pari a 6/18 indivisi.

Il passaggio successivo è quello della morte della figlia A, a seguito della quale l’eredità della stessa (pari a 6/18) si devolve in favore dei due figli in ragione di 3/18 indivisi ciascuno.
Pertanto, a tale momento la situazione proprietaria è la seguente:
B: 6/18
C: 6/18
Figlie di A: 3/18 ciascuno.

Ulteriore evento è quello della morte del figlio C (anch’egli comproprietario per 6/18), alla cui eredità, però, le rispettive figlie rinunciano.
La rinuncia di queste ultime costituisce presupposto per l’operatività dell’istituto giuridico della rappresentazione, disciplinato dagli artt. 467 e ss.c.c., in forza del quale si realizza la delazione ereditaria in favore dei discendenti delle figlie rinunzianti, con diritto da parte di queste ultime di accettare o rinunziare all’eredità del loro ascendente (C) entro il termine ordinario di prescrizione, fissato dal primo comma dell’art. 480 del c.c. in dieci anni dall’apertura della successione.
Pertanto, finchè anche i chiamati per rappresentazione non decideranno di esercitare il loro diritto, permarrà una situazione di incertezza, la quale non consentirà di porre fine a quello stato di indivisione.

Ovviamente, coloro che hanno interesse a sciogliersi dalla comunione non saranno costretti a subire passivamente tale situazione, potendo avvalersi di un particolare strumento giuridico messo a disposizione dal nostro ordinamento proprio per tali ipotesi.
Ci si riferisce a quanto prescritto dall’art. 481 c.c., norma che consente a “chiunque vi abbia interesse” di richiedere all’autorità giudiziaria (competente è il Tribunale del luogo di apertura della successione) la fissazione di un termine entro cui il chiamato o i chiamati all’eredità devono dichiarare se accettare o rinunziare l’eredità.
Qualora i soggetti ai quali sia stato fissato il suddetto termine non rendano alcuna dichiarazione, perderanno definitivamente il diritto di accettare.

Pertanto, per giungere più rapidamente allo scioglimento della comunione ereditaria, si suggerisce di procedere nel seguente modo:
  1. far fissare alle minori, figlie delle figlie di C, un termine ex art. 481 c.c.;
  2. se entro il termine così fissato dichiareranno di accettare l’eredità, si potrà chiedere di procedere allo scioglimento della comunione ereditaria ex art. 713 del c.c. c.c. comma 1.
Si tenga presente che, trattandosi di minori, occorrerà l’autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 del c.c. e l’accettazione potrà essere effettuata solo con beneficio di inventario, come espressamente disposto dall’art. 472 del c.c..
  1. se, invece, entro il suddetto termine non verrà resa alcuna dichiarazione, perderanno il diritto di accettare e la quota ereditaria di C andrà devoluta in favore degli ulteriori eredi legittimi dello stesso, che nel caso di specie saranno fratelli e sorelle, e precisamente la sorella B e le figlie di A, in rappresentazione di quest’ultimo.
La quota di C, pari a complessivi 6/18, sarà devoluta in ragione di 3/18 in favore di B e per gli altri 3/18 in favore delle figlie di A, indivisamente tra loro.


T. C. chiede
martedì 26/09/2023
“Un chiamato all'eredità continua a fare causa al mio assistitito, presunto debitore del de cuius, senza aver mai accettato l'eredità. Si tratta della moglie del defunto, le figlie hanno già rinunciato e la moglie non accetta perchè il marito non possedeva beni di valore ma in compenso avevva molti debiti. La signora in questione oltre ad aver proposto ricorso per decreto ingiuntivo ha chiesto la revocatoria di un atto notarile. sono passati oltre 3 anni dalla morte del marito. la mia domanda è può il mio assistito proporre actio interrogatoria nei confronti della signora?trovo solo giurisprudenza per la legittimazione dei creditori e nulla sulla legittimazione dei debitori vessati da un chiamato all'eredità che si rifiuta di accettare facendo trascrivere l'accettazione. In realtà le cause rappresentano un accettazione tacita ma non trascritta, la signora si ripara dalle aggressioni dei creditori.”
Consulenza legale i 04/10/2023
In effetti è improbabile che possa trovarsi qualche pronuncia giurisprudenziale in cui si faccia riferimento all’esercizio dell’actio interrogatoria da parte di un debitore del de cuius.
E’ pur vero che il legislatore usa all’art. 481 c.c. una espressione molto generica, attribuendo la legittimazione attiva all’esercizio di tale azione a “chiunque vi abbia interesse”, ma è anche vero che per il debitore è assolutamente indifferente adempiere la sua obbligazione nei confronti di chi si trova soltanto nella posizione di chiamato all’eredità piuttosto che nei confronti di chi abbia già provveduto ad accettare l’eredità.

In effetti, l’uso di un’espressione così ampia per l’individuazione dei legittimati attivi ha indotto sia la dottrina che la giurisprudenza a dover ammettere che deve essere il giudice a valutare caso per caso la sussistenza di un concreto interesse.
In tale ottica si è potuto affermare che la legittimazione attiva compete:
a) innanzitutto ai chiamati ulteriori, per il quali spesso costituisce l’unico mezzo di cui ci si può avvalere per evitare di incorrere nella prescrizione del diritto di accettare ex art. 480 comma 3 c.c.;
b) ai creditori personali del chiamato, i quali hanno un evidente interesse ad una accettazione pura e semplice di un’eredità in bonis, dalla quale ne deriva un incremento del patrimonio da poter aggredire;
c) ai creditori ereditari, in capo ai quali va riconosciuto l’interesse ad agire sull’eventuale patrimonio personale dell’erede in caso di eredità passiva;
d) ai legatari ed all’onorato di un modus, per vedere soddisfatto il loro interesse a ricevere la prestazione che costituisce oggetto del legato o del modus;
e) al curatore dell’eredità giacente ed all’esecutore testamentario, in quanto solo dal momento dell’accettazione da parte di almeno uno dei chiamati all’eredità potranno liberarsi dai doveri inerenti il loro ufficio.

Come può notarsi, si tratta di soggetti che hanno tutti un interesse da tutelare, interesse che, per la ragione sopra esposta, non può riconoscersi in capo a colui che si trova nella posizione di mero debitore del de cuius, il quale, qualora dovessero sussisterne i relativi presupposti (es. prescrizione o insussistenza del credito fatto valere), potrebbe al più opporsi a quella richiesta di adempimento avvalendosi degli ordinari strumenti processuali a sua disposizione (non utilizzabili, come si ritiene ovvio, per contestare la semplice qualità di chiamato, anziché di erede, di colui che agisce).

Per quanto concerne, invece, la posizione del chiamato all’eredità che agisce in giudizio per il recupero di quel credito, risulta pacifica in giurisprudenza la tesi secondo cui il compimento di tale atto non può farsi rientrare tra quei poteri che l’art. 460 c.c. riconosce in capo a colui che si trova in detta posizione, ed in particolare nel più generale potere di porre in essere atti conservativi e di amministrazione temporanea dell’eredità, per i quali non è neppure prevista una preventiva autorizzazione giudiziaria.

Si fa generalmente rientrare nell’esercizio di tali poteri:
- la richiesta di emissione di provvedimenti cautelari (sequestri conservativi contro debitori dell'eredità; sequestri giudiziari di beni ereditari);
- il compimento di atti interruttivi della prescrizione o dell'usucapione;
- la trascrizione di atti di acquisto del defunto, l’iscrizione di ipoteche a lui concesse o la rinnovazione dell’iscrizione;
- il compimento di atti di vigilanza, i quali sono prevalentemente diretti ad accertare la consistenza del patrimonio ereditario (tra di essi rientra, in particolare, il compimento dell’inventario, che, per il chiamato possessore, è un vero e proprio onere, comportando, il suo mancato assolvimento, l'acquisto dell'eredità puramente e semplicemente);
- l’esercizio di azioni possessorie a tutela dei beni ereditari senza necessità di materiale apprensione degli stessi, onde impedire che, nel periodo tra la delazione e l'accettazione, l'eredità non sia lasciata indifesa contro gli spogli e le turbative (può anche proseguire, per la medesima ragione, il giudizio possessorio iniziato dal suo dante causa defunto, cfr. Cass. n. 4991/2002).

Non rientra, invece, tra i poteri del chiamato e comporta, pertanto, accettazione tacita ex art. 474 c.c. l’agire in giudizio del figlio del defunto nei confronti del debitore del de cuius stesso per il pagamento di quanto al medesimo dovuto (cfr. Cass. civ. Sez. III sentenza n. 16002 del 13.06.2008), la riassunzione del processo da parte del figlio del de cuius (cfr. Cass. n. 8529/2013, Cass. n. 14081/2005) nonché la proposizione di azioni di rivendica o di azioni dirette alla difesa della proprietà, in quanto trattasi di azioni che per loro natura travalicano il mero mantenimento dello stato di fatto esistente all’atto dell’apertura della successione e la mera gestione conservativa dei beni già compresi nell’asse ex art. 460 c.c. (cfr. Cass. n. 13738/2005, Cass. n. 4843/2019, Cass. 10060/2018).

In generale, dunque, può dirsi che determina accettazione tacita dell’eredità la proposizione di una domanda giudiziale che presupponga la qualità ereditaria e che di per sé manifesti la volontà di accettare (cfr. Cass. n. 21507/2019), tale dovendosi ritenere, con specifico riferimento al caso di specie, l’azione volta alla revoca di un atto notarile.

Pertanto, tenuto conto di quanto fin qui osservato, può concludersi dicendo che il debitore del de cuius, a cui si stato intimato il pagamento di quanto dovuto, non può farsi rientrare tra coloro che possono avere interesse ad esperire l’actio interrogatoria, la quale, peraltro, nel caso di specie non sarebbe neppure necessaria, considerato che gli atti finora posti in essere dalla figlia del defunto devono farsi rientrare, almeno secondo la tesi prevalente in giurisprudenza, tra quegli atti comportanti accettazione tacita di eredità (ciò che, tuttavia, non può assumere alcun rilievo per esonerare il debitore dal pagamento).


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