Questo articolo considera l’altro requisito di validità della rinuncia, cioè l’assenza di vizi nella volontà.
Il codice lo menziona espressamente, a differenza del vecchio codice 1865, che non stabiliva - mentre lo faceva per l’accettazione - se e quali vizi potevano legittimare una impugnativa della rinuncia; tuttavia, nel suo silenzio, la dottrina era concorde nel ritenere che - al pari dell’accettazione - la rinuncia poteva essere attaccata solo se viziata da dolo o violenza e non pure da errore; questa teoria è stata oggi legislativamente accolta dall’articolo in esame.
Ma qual è il motivo dell'
esclusione dell’errore come causa di annullabilità della rinuncia? Se si riflette a quel che dice l’art.
1429 - l’errore di diritto produce la nullità del contratto solo quando è stato la ragione unica o principale del contratto - si comprende facilmente come tale ipotesi sia irrealizzabile in materia di rinuncia all'eredità poiché nessuno ripudia ritenendovisi obbligato. Ma neppure può ammettersi un errore sulla sostanza, o, meglio, sul contenuto dell’eredità (errore di fatto) perché non si tratta di una sostanza determinata, ma di un
universum ius che comprende cose e diritti diversi.
Se si volesse attribuire l’errore all’apprezzamento dell’entità economica dell’eredità (cioè si è rinunciato ritenendo l’asse passivo, anziché attivo, come in realtà si è poi rivelato), allora è proprio per tal caso che la legge ha escluso l’errore, perché questo, se ammesso come causa di impugnativa, avrebbe pregiudicato la sicurezza dei rapporti giuridici consolidatisi per effetto della rinuncia. D’altra parte, la legge dà un rimedio al chiamato che non conosce la consistenza patrimoniale dell'asse e sia perciò incerto se accettare o rinunciare: il
beneficio d’inventario. È il caso di porre in rilievo che parlando di errore si fa riferimento all’
errore vizio, essendo ovvio che nel caso di errore ostativo si avrebbe senz’altro nullità e non annullabilità della rinuncia.
Questa può, quindi, essere impugnata solo se è effetto di
violenza o di
dolo; entrambi tali vizi rappresentano atti illeciti che vanno repressi nelle loro conseguenze. Per la determinazione dei loro
elementi costitutivi valgono le comuni regole.
La
violenza (si intende quella morale) sarà, quindi, una coartazione tale da fare impressione ad una persona sensata e da poterle incutere ragionevole timore di esporre sé e le sue sostanze ad un male notabile (art.
1435) ed il vizio sussisterà anche quando il male minacciato sia diretto a colpire la persona o i beni del coniuge, di un ascendente o discendente di chi ha rinunciato (art.
1436).
Il
dolo consisterà in raggiri tali che senza di essi il chiamato non avrebbe accettato l’eredità (art.
1439); ma questi raggiri da chi devono essere compiuti? Si rileva che, se è certo che vi possono essere persone interessate a che il chiamato rinunci all’eredità (ulteriori successibili, ecc.) è anche vero come, in tale materia, sia molto più facile che i raggiri provengano da estranei,
longa manus degli interessati. In conclusione: non distinguendo la legge tra interessati e non interessati, si deve ritenere che la rinuncia sia viziata da dolo anche se questo non sia opera dell’interessato.
Accordata l’azione di impugnativa, la legge stabilisce che questa deve esser fatta valere entro il termine - che è di decadenza - di cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo. Ben può verificarsi che l’eredità sia stata, nel frattempo, accettata da altri; anzi questa è l’unica ipotesi da farsi, poiché se l’eredità non è stata ancora adita da altri successibili, il primo chiamato, che ha rinunciato, non ha bisogno di proporre alcuna azione di impugnativa, avendo la facoltà di retrattare la rinuncia ed accettare l’eredità, sempre che questa non sia stata da altri accettata o la prescrizione non abbia colpito il suo diritto di adirla.