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Articolo 526 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Impugnazione per violenza o dolo

Dispositivo dell'art. 526 Codice Civile

(1)(2)La rinunzia all'eredità si può impugnare solo se è l'effetto di violenza o di dolo [482, 483, 1324, 1434, 1435, 1439 c.c.](3).

L'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo [1442, 2934 c.c.].

Note

(1) Legittimati attivi alla proposizione dell'impugnazione sono il rinunziante, i suoi erede e i suoi creditori ai sensi dell'art. 2900 del c.c..
(2) Parte della dottrina ritiene che la proposizione della predetta impugnazione costituisca manifestazione tacita della volontà di accettare l'eredità.
(3) Irrilevante è l'errore del rinunziate, ad eccezione dell'errore ostativo, quello cioè che determina una divergenza tra la volontà, che si è esattamente formata, e la dichiarazione a causa di una svista materiale o di un errore nel linguaggio giuridico (es. si vuole rinunziare all'eredità di Tizio, ma per errore nell'espressione si rinunzia all'eredità di Caio).

Ratio Legis

Si vuole tutelare la libertà del chiamato di accettare o rinunziare all'eredità, predisponendo degli strumenti di tutela esperibili laddove questi sia stato vittima di dolo o violenza.

Spiegazione dell'art. 526 Codice Civile

Questo articolo considera l’altro requisito di validità della rinuncia, cioè l’assenza di vizi nella volontà.
Il codice lo menziona espressamente, a differenza del vecchio codice 1865, che non stabiliva - mentre lo faceva per l’accettazione - se e quali vizi potevano legittimare una impugnativa della rinuncia; tuttavia, nel suo silenzio, la dottrina era concorde nel ritenere che - al pari dell’accettazione - la rinuncia poteva essere attaccata solo se viziata da dolo o violenza e non pure da errore; questa teoria è stata oggi legislativamente accolta dall’articolo in esame.

Ma qual è il motivo dell'esclusione dell’errore come causa di annullabilità della rinuncia? Se si riflette a quel che dice l’art. 1429 - l’errore di diritto produce la nullità del contratto solo quando è stato la ragione unica o principale del contratto - si comprende facilmente come tale ipotesi sia irrealizzabile in materia di rinuncia all'eredità poiché nessuno ripudia ritenendovisi obbligato. Ma neppure può ammettersi un errore sulla sostanza, o, meglio, sul contenuto dell’eredità (errore di fatto) perché non si tratta di una sostanza determinata, ma di un universum ius che comprende cose e diritti diversi.
Se si volesse attribuire l’errore all’apprezzamento dell’entità economica dell’eredità (cioè si è rinunciato ritenendo l’asse passivo, anziché attivo, come in realtà si è poi rivelato), allora è proprio per tal caso che la legge ha escluso l’errore, perché questo, se ammesso come causa di impugnativa, avrebbe pregiudicato la sicurezza dei rapporti giuridici consolidatisi per effetto della rinuncia. D’altra parte, la legge dà un rimedio al chiamato che non conosce la consistenza patrimoniale dell'asse e sia perciò incerto se accettare o rinunciare: il beneficio d’inventario. È il caso di porre in rilievo che parlando di errore si fa riferimento all’errore vizio, essendo ovvio che nel caso di errore ostativo si avrebbe senz’altro nullità e non annullabilità della rinuncia.

Questa può, quindi, essere impugnata solo se è effetto di violenza o di dolo; entrambi tali vizi rappresentano atti illeciti che vanno repressi nelle loro conseguenze. Per la determinazione dei loro elementi costitutivi valgono le comuni regole.
La violenza (si intende quella morale) sarà, quindi, una coartazione tale da fare impressione ad una persona sensata e da poterle incutere ragionevole timore di esporre sé e le sue sostanze ad un male notabile (art. 1435) ed il vizio sussisterà anche quando il male minacciato sia diretto a colpire la persona o i beni del coniuge, di un ascendente o discendente di chi ha rinunciato (art. 1436).
Il dolo consisterà in raggiri tali che senza di essi il chiamato non avrebbe accettato l’eredità (art. 1439); ma questi raggiri da chi devono essere compiuti? Si rileva che, se è certo che vi possono essere persone interessate a che il chiamato rinunci all’eredità (ulteriori successibili, ecc.) è anche vero come, in tale materia, sia molto più facile che i raggiri provengano da estranei, longa manus degli interessati. In conclusione: non distinguendo la legge tra interessati e non interessati, si deve ritenere che la rinuncia sia viziata da dolo anche se questo non sia opera dell’interessato.
Accordata l’azione di impugnativa, la legge stabilisce che questa deve esser fatta valere entro il termine - che è di decadenza - di cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo. Ben può verificarsi che l’eredità sia stata, nel frattempo, accettata da altri; anzi questa è l’unica ipotesi da farsi, poiché se l’eredità non è stata ancora adita da altri successibili, il primo chiamato, che ha rinunciato, non ha bisogno di proporre alcuna azione di impugnativa, avendo la facoltà di retrattare la rinuncia ed accettare l’eredità, sempre che questa non sia stata da altri accettata o la prescrizione non abbia colpito il suo diritto di adirla.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 526 Codice Civile

Cass. civ. n. 13735/2009

In tema di successioni ereditarie, benché l'art. 526 c.c. escluda l'impugnazione per errore della rinuncia all'eredità, ciò non impedisce che tale impugnazione sia ammessa in presenza di errore ostativo; detta fattispecie, peraltro, non ricorre quando la rinuncia sia avvenuta in base all'erronea convinzione di essere stato chiamato alla successione in qualità di erede legittimo anziché di erede testamentario, rimanendo tale ipotesi estranea a quella dell'errore sulla dichiarazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 526 Codice Civile

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F. B. chiede
martedì 08/10/2024
“Mio zio GS, marito della sorella di mia madre e quindi a me non consanguineo ha lasciato tutti i suoi beni con testamento olografo a me e ai miei 2 fratelli.
Il testamento è stato redatto il giorno 27/02/2018
I cugini di GS (parenti di quarto grado di GS) in data 17/05/2024 mi hanno inviato comunicazione di avvio di procedimento di mediazione che mi ha raggiunto il 19/05/2024
la stessa comunicazione ha raggiunto mio fratello CB in data 22/05/2024 e ha raggiunto il mio secondo fratello in data 4/09/2024
Mio zio GS è deceduto in data 19/09/2019

I cugini di GS ci hanno comunicato che intendevano impugnare il testamento per dichiararlo non valido (non adducendo vizi formali nella stesura) dicendo che GS non era in grado di intendere e di volere al momento della sua stesura.
A tutti gli effetti, forti del testamento olografo abbiamo proceduto immediatamente all'impossessamento dei suoi beni: io ero suo amministratore di sostegno e quindi dal giorno immediatamente successivo alla sua morte ho fatto accesso alla villa di sua proprietà e utilizzato l'auto di sua proprietà.
E' importante stabilire quale sia stata la data e a seguito di quale evento sia avvenuto l'impossessamento, vero?
Il Verbale di pubblicazione di testamento olografo è stato redatto contestualmente all'accettazione dell'eredità in data 26/10/2019

DOMANDA 1: da quando decorrono i termini di prescrizione per l'impugnabilità del testamento? L'avvio del procedimento di mediazione civile interrompe tali termini o è necessario che sia intentata una causa?

La moglie di GS (DM) è deceduta in data 21/02/2018
GS ha firmato davanti a un notaio un atto di rinuncia all'eredità di sua moglie in data 19/03/2018
DOMANDA 2: L'atto di rinuncia all'eredità della moglie può ancora essere impugnato o sono scaduti i termini di prescrizione?


se ritenete posso eseguire upload di documenti quali il verbale di pubblicazione di testamento olografo e accettazione del testamento, la copia del testamento per rendere più chiari i termini del problema”
Consulenza legale i 16/10/2024
Il testamento, come si ricava dalla lettura dell’art. 587 del c.c., costituisce un tipico negozio unilaterale, non recettizio, espressione della volontà del solo testatore, che non ha bisogno dell’adesione di alcuno e neppure di essere rivolto o portato a conoscenza di persone determinate.
In quanto negozio giuridico, vale il principio secondo cui la capacità è la regola, mentre l’incapacità costituisce l’eccezione, con la conseguenza che i casi di incapacità di testare sono tassativi e non è ammissibile il ricorso all’analogia.

Dell’incapacità di testare il legislatore si occupa all’art. 591 c.c., il quale contiene, come risulta dalla rubrica della stessa norma, un’elencazione di casi la cui tassatività risulta pacifica sia in dottrina che in giurisprudenza.
Non vi è neppure alcun dubbio sul fatto che la capacità di disporre per testamento debba essere presente al momento della redazione dell’atto mortis causa e non già al momento della morte del testatore, né può essere preclusiva della prova dell’incapacità del testatore la circostanza che l’atto menzioni il possesso della pienezza delle capacità fisiche ed intellettive del testatore.

Tra i casi di incapacità di testare il legislatore prevede al n. 3 dello stesso art. 591 c.c. l’incapacità di intendere e di volere, ovvero proprio ciò che i cugini del de cuius hanno intenzione di far valere nel caso in esame.
Si ammette in giurisprudenza che, pur in assenza di pronunzia di interdizione, possa essere provato lo stato di incapacità, anche transitorio, del testatore, purchè tale stato di incapacità venga dimostrato con riguardo al momento di confezione della scheda testamentaria.

In particolare, viene sottolineato che non è sufficiente che risulti normalmente alterato il processo di formazione ed estrinsecazione della volontà de testatore, occorrendo, invece, che lo stato psico-fisico del testatore fosse tale, nel momento di confezione del negozio testamentario, da sopprimere del tutto l’attitudine a determinarsi coscientemente e liberamente (Cass. Sez. II civ. sent. 8728/2007 esclude lo stato di incapacità in presenza di un minimo decadimento delle facoltà mentali).
Come può intuirsi, si tratta di una prova molto rigorosa, il cui onere incombe sull’attore, mentre se la prova rende evidente uno stato permanente di infermità mentale del testatore, spetta al convenuto, il quale intenda avvalersi del testamento, provare un eventuale lucido intervallo nel momento di manifestazione dell’ultima volontà.

Fatte queste preliminari precisazioni, ci si può adesso occupare dell’azione di annullamento del testamento, alla quale il legislatore dedica l’ultimo capoverso sempre dell’art. 591 c.c.
Legittimati attivamente all’esercizio di tale azione sono tutti i soggetti che ne abbiano interesse; così, si ritiene che la legittimazione non competa, per difetto di interesse, a quei successibili legittimi che risultino esclusi dall’ordine della successione legittima, in conseguenza della esistenza in vita di altri successibili di grado poziore, i quali non abbiano impugnato il testamento (così Cass. civ. Sez. II n. 12291/1998, con riferimento proprio ai cugini del de cuius).

Per quanto concerne i termini di prescrizione per l’esercizio di tale azione, l’art. 591 c.c. dispone che la stessa si prescrive nel termine di cinque anni dal momento di esecuzione delle disposizioni testamentarie, dovendosi intendere con tale espressione il compimento di un’attività diretta alla concreta realizzazione della volontà testamentaria, quale può essere il conseguimento del possesso dei beni ereditari.
Si precisa in giurisprudenza che all’uopo non rilevano né la pubblicazione del testamento né la presentazione della denuncia di successione ed il pagamento delle relative imposte, trattandosi di atti dovuti, diretti essenzialmente ad evitare conseguenze sfavorevoli alla massa ereditaria (così Cass. civ. Sez. II sent. n. 4449/2020).
Sulla scorta di quanto appena detto, dunque, assumerà senza dubbio rilevanza la data in cui gli eredi testamentari hanno preso possesso dei beni ereditari, data che, secondo quanto riferito nel quesito, dovrebbe essere antecedente a quella di pubblicazione del testamento e di contestuale accettazione dell’eredità (risalenti al 26.10.2019).

In ogni caso, rispondendo così all’altra domanda connessa a quella relativa alla prescrizione dell’azione di annullamento, va precisato che, ex art. 8 comma 2 del D.lgs. 28/2010, dal momento della sua comunicazione alle altre parti “…la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza per una sola volta…”.

Pertanto, nel caso di specie, poiché la prima comunicazione di avvio del procedimento di mediazione risale al 17.05.2024, è da tale data che deve intendersi interrotto il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di annullamento del testamento.

Ultima questione a cui si chiede di dare risposta è quella relativa alla possibilità di impugnare la rinunzia all’eredità effettuata in vita dal de cuius a seguito dell’apertura della successione della moglie.
Norma a cui fare riferimento in questo caso è l’art. 526 del c.c., il quale dispone, analogamente a quanto dettato in tema di accettazione di eredità, che anche la rinunzia può essere impugnata solo se costituisce effetto di violenza o dolo, per i cui caratteri vale quanto disposto dal legislatore in materia contrattuale.
Più precisamente, deve trattarsi di violenza morale ed i raggiri integranti il dolo devono essere tali da indurre in un errore determinante il consenso.
Si esclude, invece, la rilevanza dell’errore, e ciò in ragione dell’opportunità di assicurare prevalenza alle esigenze di certezza in ordine ai rapporti giuridici piuttosto che alla tutela del rinunziante, caduto magari in errore sulla consistenza delle sostanze ereditarie.

Legittimati attivamente all’azione di annullamento della rinunzia sono, oltre allo stesso rinunziante, anche i suoi eredi nonché i suoi creditori in via surrogatoria.
Per quanto concerne, infine, la prescrizione dell’azione, lo stesso art. 526 c.c. fa riferimento ad un termine di prescrizione quinquennale, decorrente dalla cessazione della violenza o dalla scoperta del dolo.
Vi è, tuttavia, chi osserva che detto termine non possa cominciare a decorrere che dal momento in cui la rinunzia sia divenuta irrevocabile (ovvero dall’acquisto dell’eredità da parte dei chiamati in subordine).

Ora, considerato che l’atto di rinuncia all’eredità risale al 19.03.2018 e che il rinunziante è perfino nel frattempo deceduto, non solo risulta abbondantemente trascorso il termine quinquennale per chiederne l’annullamento, ma l’esercizio di tale azione da parte degli eredi del rinunziante incontrerebbe non poche difficoltà in sede probatoria, anche perché balzerebbe agevolmente agli occhi del giudicante la circostanza che l’azione verrebbe ad essere esperita subito dopo l’avvio del procedimento di mediazione volto a far dichiarare l’annullamento del testamento dello stesso rinunziante.