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Articolo 775 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Donazione fatta da persona incapace d'intendere o di volere

Dispositivo dell'art. 775 Codice Civile

La donazione fatta da persona che, sebbene non interdetta, [414 c.c.] si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace di intendere o di volere(1) al momento in cui la donazione è stata fatta [429, 591 n. 3 c.c.], può essere annullata su istanza del donante, dei suoi eredi o aventi causa [377, 428, 799 c.c.].

L'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui la donazione è stata fatta [1442 c.c.].

Note

(1) Si ha incapacità di intendere e di volere quando il soggetto non è in grado di comprendere il significato dei propri comportamenti e di determinarsi di conseguenza. La prova dell'incapacità può essere data con ogni mezzo, comprese le presunzioni, e possono essere presi in considerazione anche fatti anteriori e successivi alla donazione.

Ratio Legis

La donazione, al pari di quanto previsto per i contratti in generale, necessità della capacità di intendere e di volere del donante. Non è, invece, previsto il requisito della malafede del donatario o il grave pregiudizio per l'autore dell'atto, diversamente da quanto previsto all'art. 428 del c.c..

Brocardi

Mente captus donare non potest

Spiegazione dell'art. 775 Codice Civile

La norma in esame prevede l’ipotesi di una donazione fatta da persona che, sebbene non interdetta, si provi tuttavia che era incapace d’intendere e di volere, per qualsiasi causa, anche transitoria, al momento in cui donava: quindi, non è necessaria un’infermità di mente abituale, è solo sufficiente un qualunque perturbamento delle funzioni intellettive o psichiche tale da togliere al donante, al tempo della donazione, la coscienza dei propri atti.

L’ipotesi in discorso sembra già regolata dall’art. 428, che si occupa appunto della c.d. incapacità naturale e disciplina la sorte degli atti compiuti da chi versa in tale stato: ma l’identità di regolamentazione dei negozi non è assoluta; infatti, l’art. 428 al comma 2 consente l'annullamento dei contratti (e tale è la donazione) solo quando per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona non sana di mente o per la qualità del negozio, risulti la malafede dell’altro contraente. Quest’ultimo requisito non è richiesto per l’impugnabilità della donazione fatta da chi non è sano di mente; di conseguenza questa può essere impugnata dal donante, dai suoi eredi, od aventi causa (nonché dai creditori con l’azione surrogatoria) solo se si provi l’infermità di mente del donante al momento in cui fece la donazione. In ciò sta, com’è noto, una diversità nel sistema probatorio per l’impugnativa dovuta ad incapacità legale ed impugnativa fondata su incapacità naturale; mentre per quella è necessario provare lo stato legale di incapacità (documentazione della minore età, produzione della sentenza di interdizione e di inabilitazione), per questa, invece, la prova cade sull’esistenza dell’infermità mentale o dello stato di turbamento psichico alla data in cui fu fatta la donazione.
Circa il modo, poi, con cui tale prova può essere effettuata, premesso che non è necessario che l’atto porti in sé stesso l’impronta della non sanità di mente di chi l’ha fatto, serviranno i comuni mezzi di prova (perizie, documenti, testimoni, ecc.).
L’azione per impugnare la donazione fatta da chi non era sano di mente va esercitata in un ristretto periodo di tempo, e ciò per la sicurezza dei rapporti giuridici che sulla donazione possono eventualmente essersi innestati; il termine di prescrizione è di cinque anni, che decorrono dal giorno in cui “la donazione è stata fatta”. Che cosa deve intendersi con tale espressione? Il giorno in cui il donante ha dichiarato di voler donare, oppure quello in cui la donazione si perfeziona? La questione, che non sorge se la proposta e l’accettazione sono contestuali, è importante, invece, nel caso in cui l’accettazione si contenga in atto separato e successivo: per l’ultima soluzione sta il rilievo che una donazione non esiste se non è accettata perché non può dirsi che la donazione sia fatta quando non sia intervenuta ancora l’accettazione che concorre a costituire l’accordo.
Quanto agli effetti dell’annullamento della donazione nei confronti dei terzi che possono aver acquistato diritti dal donatario, non c’è dubbio che tali diritti seguano la sorte della donazione perché resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

374 Ho ripreso in esame la disciplina della capacità di donare, che il progetto aveva inquadrata nella capacità generale contrattuale, in armonia con l'affermata natura contrattuale della donazione. Mi è parso necessario completare il sistema del progetto in ordine alle donazioni fatte da persona non sana di mente, quantunque non interdetta, e alle donazioni fatte dagli inabilitati. Quanto alle prime, è chiaro che, in mancanza di una norma speciale, avrebbe trovato applicazione l'art. 428, con la conseguenza che sarebbe stato necessario dimostrare, ai fini dell'impugnazione, la mala fede del donatario. Ora per le donazioni compiute da chi non è capace d'intendere o di volere sembra eccessivo richiedere la prova della mala fede del donatario. Perciò ho stabilito nell'art. 775 del c.c. che le donazioni in questione possono essere impugnate dal donante, dai suoi eredi a aventi causa entro cinque anni dalla data dell'atto, sol che si provi che il donante al momento in cui la donazione è stata fatta era incapace d'intendere o di volere. Quanto alle donazioni fatte dall'inabilitato, ne ho regolato l'impugnazione in una disposizione autonoma (art. 776 del c.c.), nella quale, in deroga alla disposizione generale dell'art. 427, si è lisposto che la donazione è annullabile, se fatta dopo che il giudizio d'inabilitazione è stato promosso, e quindi anche prima che sia stato nominato il curatore provvisorio: tale norma ho poi creduto opportuno di estendere ulteriormente, mando si tratta di donazioni compiute da persona successivamente inabilitata per prodigalità. In tal caso non solo ho consentito la legittimazione all'impugnativa al curatore, ma ho considerato annullabili le donazioni compiute dal prodigo nei sei mesi anteriori all'inizio del giudizio d'inabilitazione, Ho considerato infatti che molto spesso il fatto dal quale emerge la necessità di fare inabilitare il prodigo consiste proprio in una donazione, e che perciò è giusto far sì che la inabilitazione sopravvenuta produca la reintegrazione del patrimonio del prodigo, che altrimenti resterebbe pregiudicato senza rimedio.

Massime relative all'art. 775 Codice Civile

Cass. civ. n. 3263/2016

Nell'assicurazione sulla vita la designazione quale terzo beneficiario di persona non legata al designante da alcun vincolo di mantenimento o dipendenza economica deve presumersi, fino a prova contraria, compiuta a spirito di liberalità, e costituisce una donazione indiretta. Ne consegue che è ad essa applicabile l'art. 775 c.c., e se compiuta da incapace naturale è annullabile a prescindere dal pregiudizio che quest'ultimo possa averne risentito. Deve peraltro precisarsi che il donatum originario è costituito dai premi versati all'assicuratore giacché il pagamento del premio ha integrato il c.d. negozio-mezzo (l'assicurazione) utilizzato per conseguire il negozio-fine (la donazione), mentre il pagamento dell'indennizzo da parte dell'assicuratore ha costituito il risultato finale utile dell'operazione per il beneficiario.

Cass. civ. n. 7477/2011

L'incapacità legale derivante dalla sentenza di interdizione decorre soltanto dal giorno della sua pubblicazione (art. 421 c.c.), con la conseguenza dell'operatività, fino a tale momento, della generale presunzione di normale capacità dell'interdicendo e dell'irretroattività degli effetti della suddetta decisione. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale, considerando operante la menzionata presunzione, aveva stabilito che l'incapacità naturale della testatrice e donante, in relazione agli atti di formazione pregressa, avrebbe dovuto essere provata dall'interessato in modo univoco e rigoroso, e con riguardo ad ogni singolo atto specificamente impugnato).

Corte cost. n. 206/2008

E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 775, secondo comma, c.c., censurato, in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede che gli eredi del donante, divenuti tali successivamente alla decorrenza del termine di prescrizione quinquennale per proporre l'azione di annullamento della donazione per incapacità di intendere e volere, non possano più chiedere l'annullamento dell'atto di liberalità. Non sussiste, infatti, alcuna ingiustificata disparità di trattamento rispetto a chi sia divenuto erede prima della decorrenza del suddetto termine, posto che solo quest'ultimo è titolare del diritto ad ottenere l'annullamento della donazione, mentre chi sia divenuto erede successivamente al decorso del termine non è più titolare di tale diritto, che si è già prescritto in capo al suo dante causa, sicché le posizioni poste a raffronto non sono comparabili.

Cass. civ. n. 6414/1984

Rientrano fra i contratti, a titolo gratuito, e non fra quelli commutativi, sia le donazioni remuneratorie, fatte per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario, sia quelle modali, in cui il modus, che è limitazione del beneficio mediante un'obbligazione accessoria posta a carico del donatario, non può equipararsi alla controprestazione propria dei contratti a titolo oneroso, e non è perciò idoneo a mutare la causa del contratto, che resta a titolo gratuito. Di conseguenza, per l'annullamento delle donazioni remuneratorie e modali, come di ogni altra donazione fatta da persona incapace di intendere e di volere, non sono richiesti, ai sensi dello specifico disposto dell'art. 775 c.c. né il pregiudizio del donante, né la malafede del donatario trovando riferimento tali condizioni, previste dagli artt. 428 e 1425 c.c., in rapporti di corrispettività e di equivalenza tra le prestazioni che sono pertinenti ai soli contratti a titolo oneroso.

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Angelo F. chiede
lunedì 24/08/2015 - Sicilia
“Mia madre era affetta da vasculopatia sclerotica cerebrale con deficit neuro cognitivo, con codice di patologia 1003 (demenza grave). In data 25/03/2002, all'eta di 82 anni, è stata riconosciuta invalida con totale e permanente inabilità lavorativa 100% e con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita. Stava quasi sempre a letto. Le è stata corrisposta l'indennità di accompagnamento. In data 06/06/2002 ha stipulato un atto di donazione di una villetta di mq. 200 circa con mq.600 circa di terreno alle spalle dell'edificio a favore di una delle figlie. La predetta patologia le consentiva di stipulare atti di donazione? Ringraziandovi porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 27/08/2015
La vasulopatia cerebrale cronica è una condizione di sofferenza ischemica del cervello che può essere determinata da diverse cause. In questa sede non è possibile fornire una analisi del tipo di deficienza psichica della persona, in quanto la documentazione medica circa la salute della donataria deve essere vagliata da un perito in medicina legale.

Tuttavia, si possono spiegare quali sono le condizioni che secondo dottrina e giurisprudenza determinano l'incapacità di intendere e di volere di un soggetto, applicandone le conseguenze al caso di specie.

Gli atti giuridici, in generale, possono venire posti in essere solo da soggetti ritenuti dalla legge "capaci".
L'ordinamento giuridico attribuisce la capacità di agire a tutti gli ultradiciottenni ex art. 2 del c.c. (oltre ai minori emancipati) e prevede nel dettaglio, invece, i casi in cui i soggetti sono considerati incapaci.
In particolare, per quanto qui di interesse, saranno considerati incapaci a stipulare una donazione:
- i soggetti interdetti (art. 414 del c.c.), inabilitati (art. 415 del c.c.) o beneficiari di un amministratore di sostegno (art. 404 del c.c.), cioè coloro che sono stati reputati non in grado di provvedere ai propri interessi da un provvedimento dell'autorità giudiziaria. Queste persone possono agire solo per mezzo di rappresentanti legali, quali il tutore e l'amministratore di sostegno;
- i soggetti che, sebbene non interdetti, si provino essere stati per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci d'intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, ai sensi dell'importantissima norma contenuta nell'art. 428 del c.c. e, per quanto riguarda la donazione, anche nell'art. 775 del c.c..

Nel caso di specie, si presume che l'anziana donataria non si trovasse già in stato di interdizione al momento della stipulazione dell'atto di donazione, altrimenti l'atto sarebbe senz'altro annullabile, se compiuto in prima persona.

Secondo la giurisprudenza, affinché un soggetto possa dirsi incapace di intendere o di volere (è sufficiente che manchi una delle due facoltà), è necessario che le sue facoltà intellettive e volitive risultino perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio. Non è richiesta una totale privazione delle sue facoltà, essendo sufficiente una menomazione delle stesse tale da impedire la formazione di una volontà cosciente (v. tra le altre Cass. civ. n. 856/2007).
Certamente, la presenza di un deficit neuro cognitivo medicalmente accertato può essere la causa di una incapacità di intendere o di volere del soggetto, tanto più in relazione ad un negozio giuridico, come la donazione, che implica una disposizione del proprio patrimonio di elevata importanza: si tratta, infatti, di fare un "regalo", senza ricevere un corrispettivo, con conseguente depauperamento del patrimonio del donatario. Non a caso, la donazione è il tipico atto che, se attuato da un incapace munito di rappresentante legale, richiede sempre l'autorizzazione del giudice (v. ad esempio per i minori l'art. 320 c.c.).

La vicenda in esame, quindi, potrebbe rientrare nella previsione normativa degli artt. 428 e 775 c.c.

Tuttavia, l'atto di donazione risale al 2002: tale circostanza fa emergere l'ormai avvenuta prescrizione del diritto a chiedere l'annullamento dell'atto sia da parte della donataria stessa che dei suoi eredi, i quali avevano solo 5 anni di tempo decorrenti dal momento in cui la donazione si è perfezionata.
Va sottolineato che la Corte Costituzionale è stata investita della questione concernente la legittimità costituzionale della norma relativa al termine prescrizionale in riferimento agli eredi (si è sostenuto che essi avrebbero potuto chiedere l'annullamento anche oltre i 5 anni, risultando altrimenti discriminati rispetto agli eredi che erano divenuti tali prima dello scadere del termine quinquennale), ma la Consulta ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione con la decisione n. 206/2008 ("[...] la posizione dell'erede che sia divenuto tale dopo il decorso di cinque anni dal giorno in cui la donazione è stata fatta non è comparabile con quella di chi sia divenuto tale prima di tale termine, dal momento che solo il secondo è titolare del diritto di ottenere l’annullamento della donazione, laddove il primo non è più titolare di tale diritto, essendosi lo stesso prescritto già in capo al suo dante causa").

La donazione rileverà comunque a fini successori, in quanto il bene oggetto della stessa dovrà essere conferito in collazione se eredi saranno i figli della donna (v. artt. 737 e seguenti c.c.).