Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 458 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Divieto di patti successori

Dispositivo dell'art. 458 Codice Civile

(1)Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti, è nulla [1418 c.c.] ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi(2).

Note

(1) L'articolo è stato modificato dalla L. 14 febbraio 2006, n. 55.
(2) La norma sancisce la nullità dei patti successori e, quindi, vieta che si possa disporre di un’eredità propria o altrui per convenzione.
Sono privi di efficacia gli accordi medianti i quali un soggetto:
- dispone della propria successione (c.d. patti costitutivi o istitutivi);
- dispone di un’eredità ancora non aperta (c.d. patti dispositivi o pacta corvina);
- rinuncia alla medesima (c.d. patti abdicativi).

Ratio Legis

Il legislatore ha voluto circoscrivere le fonti di delazione ereditaria a quella testamentaria e legittima, escludendo la fonte convenzionale.
In particolare, il divieto, quanto ai patti istitutivi, ha lo scopo di preservare l’assoluta revocabilità del testamento.
Con riguardo, invece, ai patti successori dispositivi e abdicativi si vuole evitare che i contraenti, facendo affidamento su un patrimonio di cui non sono ancora titolari, sperperino ciò che presumono di ricevere per successione e che si concludano accordi contrari alla morale pubblica, in vista dei vantaggi economici che potrebbero derivare dalla morte di una persona evitando che l’altro contraente sia spinto a desiderare la morte altrui per ottenere l’eredità del de cuius.

Brocardi

Donatio mortis causa
Pacta corvina
Testandi ius
Viventis non datur hereditas

Spiegazione dell'art. 458 Codice Civile

La norma in esame sancisce il divieto dei patti successori che vengono dalla stessa individuati nelle tre tipologie dei patti successori istitutivi, dispositivi e rinunziativi.

Il patto successorio istitutivo è il contratto successorio a titolo gratuito od oneroso, avente natura di negozio mortis causa, con cui taluno dispone della propria successione.

Il patto successorio dispositivo è il negozio inter vivos (contratto o negozio unilaterale gratuito od oneroso) con cui un soggetto dispone di diritti che potrebbero derivargli da una successione altrui che deve ancora aprirsi.

Il patto successorio rinunziativo è il negozio inter vivos (contratto o negozio unilaterale gratuito od oneroso) con cui taluno rinunzia ai diritti eventualmente allo stesso spettanti su una successione altrui non ancora aperta.

La nullità dei patti successori istitutivi trova fondamento nell’inammissibilità di una fonte pattizia della delazione.
Ai sensi dell’art. 457 del codice civile l’eredità si devolve, infatti, esclusivamente per legge o per testamento, con ciò escludendosi la possibilità di una delazione contrattuale che in quanto tale, per la sua natura bilaterale, impedirebbe ogni potere di revoca in capo al futuro dante causa, tutelandosi così primariamente il principio di libertà testamentaria.
Quanto ai patti dispositivi e rinunziativi, il fondamento viene rinvenuto nell’esigenza di tutelare soggetti inesperti e prodighi dal disporre di diritti di cui ancora non sono titolari nonché di evitare la speculazione sul patrimonio altrui quando questi sia ancora in vita impedendo così l’immorale desiderio della morte del de cuius (c.d. votum captandae mortis).

I patti successori sono nulli: la nullità può essere fatta valere da chiunque e rilevata d’ufficio dal giudice; la relativa azione è imprescrittibile e si applica al riguardo la disciplina prevista per la nullità dei contratti di cui agli artt. 1418 e seguenti del codice civile.

Trattandosi di contratti successori (patti istitutivi) o di atti inter vivos (patti dispositivi e rinunziativi) non è ammessa la sanatoria ai sensi dell’art. 590 del codice civile, istituto che si applica alle sole disposizioni testamentarie.

Sono altresì vietati, ai sensi dell’articolo in esame, i patti successori obbligatori con cui un soggetto non dispone immediatamente (c.d. patti successori reali), ma si obbliga a disporre della propria o dell’altrui successione non ancora aperta o vi rinunzia.
Con riferimento agli atti esecutivi dei suddetti patti successori bisogna distinguere:
  • se gli stessi siano stati compiuti senza che l’autore si sentisse obbligato dal patto successorio obbligatorio precedentemente stipulato, gli stessi saranno pienamente validi;
  • se invece il soggetto li abbia compiuti in adempimento all’obbligo giuridico precedentemente assunto con il patto successorio, la sorte dell’atto esecutivo dipenderà dalla natura del patto successorio stipulato.
Qualora si tratti di patto istitutivo obbligatorio, l’atto esecutivo e quindi il testamento sarà nullo per illiceità del motivo ai sensi dell’art. 626 del codice civile.

Qualora si tratti di patto dispositivo obbligatorio, l’atto esecutivo sarà annullabile per errore sul diritto ai sensi dell’art. 1429 n. 4 del codice civile.
Si ammette in tale ipotesi la sua convalida ai sensi dell’art. 1444 del codice civile.

Qualora si tratti di patto rinunziativo obbligatorio, l’atto esecutivo sarà valido e non impugnabile mancando il presupposto per l’impugnazione della rinunzia all’eredità che ai sensi dell’art. 526 del codice civile è la violenza o il dolo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

225 Affermato nell'art. 457 del c.c. il principio fondamentale del nostro diritto successorio, che le forme di successione riconosciute sono due, la legittima e la testamentaria, ho considerato l'opportunità di escludere espressamente l'ammissibilità della terza: possibile causa di delazione, ossia del contratto come titolo di successione, stabilendo il divieto della cosiddetta successione pattizia o patto successorio. Il codice del 1865 poneva il divieto generale di stipulazione intorno ad una successione non ancora aperta (art. 1118), e ripeteva tale divieto in altre disposizioni (articoli 934, 1380, 1460 ecc.). Il progetto nell'art. 70 riportava la norma dell'art. 954 del codice stesso che vietava la rinunzia all'eredità di una persona vivente e l'alienazione dei diritti eventuali su questa eredità. Una simile disciplina in sè sarebbe stata evidentemente incompiuta, perché contemplava soltanto una categoria di patti successori, i patti di rinunzia, mentre non erano preveduti né i patti di istituzione né quelli dispositivi, per i quali bisognava continuare a far capo all'art. 1118 del vecchio codice. Mi è sembrato allora preferibile, dal punto di vista sistematico, eliminare l'art. 70 del progetto e dare al principio in esso contenuto portata generale, affermando espressamente la nullità di qualsiasi convenzione, con la quale taluno disponga della propria successione, e di ogni atto con il quale taluno disponga o rinunzi ai diritti che gli possono spettare su di una successione non ancora aperta, e collocando tale norma in un articolo di nuova formulazione nella sede propria, e cioè immediatamente dopo l'art. 457. In tal modo la norma costituisce la logica conseguenza del principio che la delazione dell'eredità può aver luogo soltanto per legge o per testamento.

Massime relative all'art. 458 Codice Civile

Cass. civ. n. 5073/2023

La tutela del legittimario leso dalle disposizioni di un trust non va ricercata nella declaratoria di nullità del trust stesso per violazione di norme inderogabili di legge, bensì nella classica tutela dell'azione di riduzione, da esercitarsi nei confronti di soggetti diversi, a seconda del tipo di trust.

Cass. civ. n. 32855/2022

Ai sensi dell'art. 458 c.c., co. 1, seconda parte, sono patti successori le convenzioni che abbiano per oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta e facciano, cosi, sorgere un vincolo iuris, di cui la disposizione ereditaria rappresenti l'adempimento. Per stabilire, quindi, se una determinata pattuizione ricada sotto la comminatoria di nullita di cui all'art. 458 c.c., occorre accertare se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalita di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entita comprese nella futura successione; se i disponenti abbiano contrattato o stipulato come aventi diritto alla successione stessa; se l'assetto negoziale convenuto debba aver luogo "mortis causa".

Configura patto successorio, vietato dall'art. 458 c.c., l'accordo col quale i contraenti si attribuiscono le quote di proprietà di un immobile oggetto dell'altrui futura successione mortis causa.

Cass. civ. n. 5555/2022

Deve essere esclusa la sussistenza di un patto successorio vietato quando non intervenga tra le parti alcuna convenzione e la persona della cui eredità si tratta abbia soltanto manifestato verbalmente all'interessato o a terzi l'intenzione di disporre dei suoi beni in un determinato modo, atteso che tale promessa verbale non crea alcun vincolo giuridico e non è quindi idonea a limitare la piena libertà del testatore, oggetto di tutela legislativa. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che non costituisse patto successorio vietato l'accordo intercorso tra le parti, avente ad oggetto prestazioni mediche e assistenziali in corrispettivo all'assegnazione di beni destinati a far parte del "relictum", in quanto tradotto in mere dichiarazioni verbali, prive di specificazione in ordine alla individuazione dei cespiti ad assegnare).

Cass. civ. n. 14110/2021

In tema di patti successori, per stabilire se una determinata pattuizione ricada sotto la comminatoria di nullità di cui all'art. 458 c.c. occorre accertare: 1) se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbano comunque essere compresi nella stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così dello "jus poenitendi"; 4) se l'acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver luogo "mortis causa", ossia a titolo di eredità o di legato. (Nella specie la S.C., nel confermare la sentenza di merito, ha escluso la violazione di detto divieto nella predisposizione di una scrittura privata con cui il padre si era impegnato a custodire e gestire, possibilmente incrementandone il valore, una collezione di opere d'arte con l'obbligo di non farne subire un decremento e di non spossessarsene, a fronte della contestuale assunzione dell'obbligo, da parte dei figli, di corrispondergli una rendita vitalizia). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 30/03/2018).

Cass. civ. n. 18198/2020

In tema di patti successori, l'atto "mortis causa", rilevante gli effetti di cui all'art. 458 c.c., è esclusivamente quello nel quale la morte incide non già sul profilo effettuale (ben potendo il decesso di uno dei contraenti fungere da termine o da condizione), ma sul piano causale, essendo diretto a disciplinare rapporti e situazioni che vengono a formarsi in via originaria con la morte del soggetto o che dalla sua morte traggono comunque una loro autonoma qualificazione, sicché la morte deve incidere sia sull'oggetto della disposizione sia sul soggetto che ne beneficia: in relazione al primo profilo l'attribuzione deve concernere "l'id quod superest", ed in relazione al secondo deve beneficiare un soggetto solo in quanto reputato ancora esistente al momento dell'apertura della successione. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 23/09/2015).

Cass. civ. n. 18197/2020

L'esistenza di un patto successorio istitutivo non deve necessariamente risultare dal testamento, quale motivo determinate della disposizione, o da atto scritto, essendo al contrario ammissibile qualunque mezzo di prova, trattandosi di provare un accordo che la legge considera illecito. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANIA).

Cass. civ. n. 15919/2018

È nulla, per contrasto con il divieto di cui agli artt. 458 e 557 c.c., la transazione conclusa da uno dei futuri eredi, allorquando sia ancora in vita il "de cuius", con la quale egli rinunci ai diritti vantati, anche quale legittimario, sulla futura successione, ivi incluso il diritto a fare accertare la natura simulata degli atti di alienazione posti in essere dall'ereditando perché idonei a dissimulare una donazione.

Cass. civ. n. 14566/2016

Configura patto successorio, vietato dall'art. 458 c.c., l'accordo col quale i contraenti si attribuiscono le quote di proprietà di un immobile oggetto dell'altrui futura successione "mortis causa", pattuendo di rimanere in comunione ai sensi dell'art. 1111, comma 2, c.c.

Cass. civ. n. 24450/2009

Configurano un patto successorio - per definizione non suscettibile di conversione in un testamento, ai sensi dell'art. 144 c.c., in quanto in contrasto col principio del nostro ordinamento secondo cui il testatore è libero di disporre dei
propri beni fino al momento della morte - sia le convenzioni aventi ad oggetto una vera istituzione di erede rivestita della forma contrattuale, sia quelle che abbiano ad oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta, tali da far sorgere un "vinculum iuris" di cui la disposizione ereditaria rappresenti l'adempimento. (Nella specie, la S.C. ha riconosciuto la natura di patto successorio e non di transazione - come erroneamente ritenuto dal giudice di merito - alla scrittura privata con la quale una sorella aveva consentito al trasferimento in favore dei fratelli della proprietà di immobili appartenenti al padre, a fronte dell'impegno, assunto dai medesimi, di versarle una somma di denaro, da considerare, in relazione allo specifico contesto, come una tacitazione dei suoi diritti di erede legittimario).

Cass. civ. n. 5119/2009

Per la configurabilità di un patto successorio c.d. istitutivo è sufficiente una convenzione con la quale alternativamente si istituisce un erede o un legato ovvero ci si impegna a farlo in un successivo testamento, cosicché nella prima ipotesi la convenzione stessa, in quanto avente ad oggetto la disposizione di beni afferenti ad una successione non ancora aperta, è idonea ad integrare un patto successorio (ordinariamente vietato), senza alcuna necessità di ulteriori atti dispositivi. (Nella specie, la S.C., correggendo la motivazione della sentenza impugnata, ha escluso che potesse ricorrere un'ipotesi di patto successorio con riguardo ad una convenzione "inter vivos" intercorsa tra la "de cuius", quando era in vita, e la nipote, con la quale la prima si era riconosciuta debitrice della seconda di una determinata somma per le prestazioni assistenziali fornitele, prevedendo che l'estinzione del debito sarebbe avvenuta dopo la sua morte).

Cass. civ. n. 12474/2002

Dalla nullità del contratto contenente un patto successorio cosiddetto rinunciativo deriva il diritto delle parti di ottenere la restituzione delle eventuali somme versate al rinunciante in esecuzione del patto, in applicazione dei principi relativi all'indebito oggettivo, diritto soggetto a prescrizione, non potendo presumersi la natura liberale delle attribuzioni effettuate in esecuzione del patto, in quanto a questo scopo è necessario individuare con precisione da quali elementi fosse desumibile l'animus donandi e verificare l'esistenza dei prescritti requisiti di forma.

Cass. civ. n. 5870/2000

Ricorre un patto successorio istitutivo, nullo ai sensi dell'art. 458 c.c. nella convenzione avente ad oggetto la disposizione di beni afferenti ad una successione non ancora aperta che costituisca l'attuazione dell'intento delle parti, rispettivamente, di provvedere in tutto o in parte alla propria successione e di acquistare un diritto sui beni della futura proprietà a titolo di erede o legatario. Tale accordo deve essere inteso a far sorgere un vero e proprio vinculum iuris di cui la successiva disposizione testamentaria costituisce l'adempimento. Conseguentemente deve essere esclusa la sussistenza di un patto successorio quando tra le parti non sia intervenuta alcuna convenzione e la persona della cui eredità trattasi abbia solo manifestato verbalmente all'interessato o a terzi l'intenzione di disporre dei suoi beni in un determinato modo, atteso che tale promessa verbale non crea alcun vincolo giuridico e non è quindi idonea a limitare la piena libertà del testatore che è oggetto di tutela legislativa.

Cass. civ. n. 1683/1995

In tema di patti successori, per stabilire se una determinata pattuizione ricada sotto la comminatoria di nullità di cui all'art. 458 c.c. occorre accertare: 1) se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbano comunque essere compresi nella stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così dello jus poenitendi; 4) se l'acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato.

Cass. civ. n. 4827/1983

La delazione ereditaria può avvenire solo per testamento o per legge, senza, quindi, l'ipotizzabilità di un tertium genus, come il patto successorio che, ponendosi in contrasto con il principio fondamentale (e pertanto di ordine pubblico) del nostro ordinamento della piena libertà del testatore di disporre dei propri beni fino al momento della sua morte, è per definizione non suscettibile della conversione ex art. 1424 c.c., in un testamento mediante la quale si realizzerebbe proprio lo scopo, vietato dall'ordinamento, di vincolare la volontà del testatore al rispetto di impegni, concernenti la propria successione, assunti con terzi.

Cass. civ. n. 2623/1982

Si ha patto successorio, vietato, ai sensi dell'art. 458 c.c., quando le disposizioni testamentarie redatte da più persone, pur essendo contenute in schede formalmente distinte, si integrano a vicenda, dando luogo a un accordo con il quale ciascuno dei testatori provvede alla sua successione in un determinato modo, in determinante correlazione con la concordata disposizione dei propri beni da parte degli altri. (Nella specie, si è ravvisato un patto successorio vietato, essendo risultato che ciascuno dei coniugi aveva lasciato i propri beni a uno dei due figli, perché l'altro coniuge aveva disposto delle sue sostanze a favore dell'altro figlio).

Notizie giuridiche correlate all'articolo

Tesi di laurea correlate all'articolo

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!

Consulenze legali
relative all'articolo 458 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. P. chiede
domenica 24/03/2024
“Buonasera.
Siamo tre figli.
I nostri genitori possiedono un immobile indipendente.
Sul medesimo immobile è stata ampliata parte della casa senza alcun permesso edilizio concesso dal comune.
La parte ampliata consta il tre locali ossia una camera letto un soggiorno e un bagno annesse e collegate alla proprietà principale.
I nostri genitori desiderano trasferire la loro eredità a noi figli.
È fattibile da parte dei nostri genitori trasferire la loro eredità a noi figli sebbene i genitori siano ancora in vita?
È fattibile farlo scrivendo nell'atto di lascito ereditario che l'immobile presenta difformità urbanistiche?
Vorremmo ereditare questo immobile ma il fatto che vi siano delle difformità evidenti in base all'ampliamento effettuato ormai da 20 anni dal fratello maggiore, ove vive già da 20 anni, fa si che sembra non possano effettuare un lascito ereditario a noi figli.

È possibile sapere se un notaio può comunque procedere al trasferimento della proprietà, malgrado l'abuso edilizio di oltre 20 anni fa ove mio fratello risiede con la moglie?

Saluti cordiali.

Consulenza legale i 28/03/2024
Il passaggio dei beni da genitori a figli può avvenire per atto inter vivos o mortis causa.
Rientrano, in termini generali, nella prima categoria la compravendita e la donazione, mentre nella seconda categoria il testamento.
Tralasciando la compravendita, negozio tipicamente a titolo oneroso e che, come tale, poco si adatta al caso di specie, la donazione, secondo la definizione che ne dà l’art. 769 del c.c., si presenta come quel contratto in forza del quale una delle parti, per spirito di liberalità, arricchisce l’altra o disponendo a favore di questa di un suo diritto ovvero assumendo verso la stessa un’obbligazione.
E’ questo l’unico modo consentito dal nostro ordinamento giuridico per far sì che, durante la vita di una persona, possa realizzarsi a titolo gratuito il passaggio generazionale di ricchezza da un soggetto ad un altro.

Deve escludersi, invece, la successione per contratto, ammessa, invece, in altri ordinamenti.
Anzi, il nostro codice civile vieta esplicitamente varie tipologie di patti successori, distinguendone tre diverse specie, e precisamente:
  1. confermativi o istitutivi: è il caso di Tizio che conviene con Caio di lasciargli la propria eredità;
  2. dispositivi: può farsi l’esempio di Tizio che intende vendere a Caio i beni che dovrebbero pervenirgli dall’eredità di Sempronio;
  3. rinunciativi: ricorrono nel caso in cui Tizio conviene con Caio di rinunciare all’eredità di Sempronio non ancora devoluta.

Nel caso di specie l’accordo con cui i genitori, ancora in vita, dovrebbero obbligarsi a trasferire ai figli la loro futura eredità, nella quale è ricompreso tra l’altro l’immobile di cui si discute, si configura a tutti gli effetti quale patto successorio istitutivo, come tale vietato ex art. 458 c.c., in quanto i disponenti verrebbero di fatto a privarsi di quella libertà di disporre che la legge riconosce ad ogni persona fino al momento della sua morte (di tale divieto se ne trova sintetica espressione nell’antico brocardo latino “ambulatoria est voluntas testantis usque ad viate supremum exitum”).

Pertanto, come si è prima accennato, l’unico modo per realizzare gratuitamente il trasferimento di quell’immobile resta quello di avvalersi del contratto di donazione, atto, tuttavia, soggetto alle limitazioni derivanti dalla normativa urbanistica.
In particolare, l’attuale situazione urbanistica dell’immobile (il quale risulta ampliato rispetto al suo progetto originario senza il preventivo rilascio di alcun titolo edilizio) impedisce che lo stesso possa costituire oggetto di trasferimento immobiliare.
Difettano, infatti, sia la conformità catastale che quella urbanistica, presupposti entrambi indispensabili per poter trasferire per atto inter vivos un bene immobile.

La prima, ovvero la conformità catastale, attiene alla corrispondenza dello stato di fatto dell’immobile a quanto dichiarato ai fini tributari in catasto, mentre la conformità urbanistica attiene alla conformità dell’immobile alle disposizioni urbanistiche vigenti, tanto al momento della realizzazione degli interventi quanto all’attualità.
L’assenza di entrambe le conformità impedisce a qualunque notaio di ricevere l’atto pubblico di trasferimento immobiliare, pena la nullità di tale atto.
Sotto il profilo della relativa disciplina normativa vengono in considerazione:
  1. per la conformità urbanistica l’art. 46 del T.U. edilizia, il quale statuisce che sono invalidi gli atti ove da essi non risultino per dichiarazione dell'alienante o dei condividenti gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, ovvero gli estremi della segnalazione certificata di inizio attività.
  2. per la conformità catastale l’art. 19, comma 14, D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni in L. 30 luglio 2010 n. 122, il quale ha aggiunto un nuovo comma 1 bis all’art. 29 L. 27 febbraio 1985 n. 52.

Per effetto di questa integrazione normativa, a decorrere dal giorno 1 luglio 2010, tutti gli atti pubblici e le scritture private autenticate che hanno per oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, sempre a pena di nullità, oltre alla identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie.
La dichiarazione degli intestatari può essere sostituita da una attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale.

Per quanto concerne l’ambito applicativo delle suddette normative, dalla loro semplice lettura se ne deduce agevolmente che deve trattarsi:
  • di atti tra vivi, che determinino il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali di godimento (sono esclusi i diritti reali di garanzia, quali le ipoteche);
  • di atti stipulati nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata;
  • di atti che abbiano ad oggetto fabbricati già esistenti.

Ne restano esclusi, invece, i trasferimenti mortis causa (ovvero per successione testamentaria o legittima), dovendosi tuttavia precisare che gli eredi, una volta divenuti proprietari del suddetto immobile, saranno pur sempre tenuti a presentare domanda di permesso in sanatoria per la sua regolarizzazione, sempre che lo stesso si trovi nelle condizioni previste per il rilascio di tale permesso.


G. A. chiede
domenica 19/03/2023 - Emilia-Romagna
“QUOTA DELL’AZIONE DI RIDUZIONE E TIPO DI IMPUGNAZIONE DEL TESTAMENTO, FRUTTO DI ACCORDO TRA CONIUGI CON DIVISIONE DEI BENI PER UNA DISTRIBUZIONE MOLTO SPEREQUATA DEI LORO AVERI AI FIGLI, VIVENTE MA PRATERMESSO IL SECONDO GENITORE IN COMUNIONE DEI BENI

Premesso che
mio padre e mia madre si sono accordati nel corso della lor vita per costruire un testamento comune e distribuire i loro beni in maniera complementare ma anche molto sperequata a noi 5figli, sia all’interno del testamento di ciascuno di loro (uno dei quali manca di data) che quanto ad eredità derivante congiuntamente a noi da entrambi ex post;
che tali accordi sono provati;
che entrambi i coniugi hanno pretermesso se stessi nei loro testamenti (cfr. allegati) senza ricavarne vantaggio individuale,
ma accordandosi hanno arrecato notevole vantaggio ad alcuni figli e nocumento vistoso ad altri contravvenendo all’art. 589
chiedo ,
se posso aver titolo, posto che i genitori erano in regime di comunione dei beni e vivendo ancora uno dei coniugi ,
in ordine di convenienza ad azione di riduzione:
A)per nullità di testamento congiunto con suddivisione della massa ereditaria del coniuge deceduto tra i figli eredi menzionati nel testamento e dunque 1/5 della massa ereditaria ( imprescrittibile );

B) per annullamento del testamento del coniuge deceduto, annullabile anche per assenza di data, con richiesta dei 2/15 della massa ereditaria prevista dalla successione ex lege (1/3 al coniuge rimasto in vita e il resto diviso in parti uguali ai 5 figli entro i 5 anni)

C) ad azione di riduzione con rivendicazione solo di 1/10 della quota necessaria o legittima.

Chiedo soprattutto se a quanto previsto da B o C si possa aggiungere la quota spettante a me in qualità di figlio della parte spettante al coniuge in vita, ma pretermesso e non dallo stesso rivendicata (il suo 25% di tutto) ai sensi dell’art.557,c.1 (entro 10 anni e prima della dipartita del coniuge pretermesso)

o se tale richiesta, non avendo espresso il secondo genitore formale rinuncia alla eredità, sia lecita solo a dopo la dipartita del secondo genitore.”
Consulenza legale i 27/03/2023
Le ipotesi prospettate sotto le lettere a), b) e c) del quesito pongono problematiche a cui riesce difficile rispondere con esattezza, considerato che non è stato trasmesso a questa Redazione alcun testamento del de cuius, da poter esaminare in concreto e valutare.
Infatti, lo scritto inviato con il quesito 33038, precedentemente posto, non può in alcun modo qualificarsi come scheda testamentaria, e ciò per le ragioni che in detta consulenza sono state illustrate ed a cui si rimanda.
L’impossibilità di far valere quello scritto come testamento e di richiederne la pubblicazione innanzi ad un notaio, al fine di dare esecuzione alle disposizioni in esso contenuto, preclude ogni azione volta a far dichiarare la nullità di quella scheda testamentaria.

Non essendovi un testamento da eseguire, pertanto, non si vede come gli eredi superstiti possano decidere di escludere la madre dalla divisione dei beni del de cuius, dovendosi per forza di cose aprire la successione legittima, con suddivisione del patrimonio ereditario ex art. 581 c.c. (1/3 al coniuge superstite e 2/3 indivisi ai figli, in parti eguali tra loro).
L’unico modo per far sì che la madre venga esclusa dalla successione è quello di una sua rinuncia all’eredità, nel qual caso, per effetto del combinato disposto di cui agli artt. 521 e 522 c.c., la parte della madre rinunziante si andrebbe ad accrescere con quella di coloro che avrebbero concorso con la medesima, ovvero i figli, con conseguente diritto per questi ultimi di concorrere sul patrimonio del defunto in ragione di 1/5 indiviso ciascuno.

Qualora, invece, il padre defunto avesse manifestato in un testamento, già pubblicato o ancora da pubblicare, la volontà di dividere i suoi beni soltanto tra i figli, escludendo dunque la moglie e rispettando quanto concordato con quest’ultima nel documento inviato a questa Redazione, la situazione sarebbe diversa.
Innanzitutto occorre prestare particolare attenzione a quanto disposto dall’art. 590 c.c., ove viene sancito il principio secondo cui la nullità di una disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, pur conoscendo la causa di nullità, abbia dato ad essa volontaria esecuzione.
Ciò significa che, se si ha intenzione di far valere la nullità del testamento del padre, è indispensabile non prestare acquiescenza allo stesso, procedendo alla sua pubblicazione e dandovi esecuzione.
Nel quesito, sotto la lettera B), si fa riferimento ad un testamento privo di data, il che rende lo stesso testamento sicuramento nullo, per espressa previsione dell’art. 602 c.c.
Al di là di ciò, non si vedono altre ragioni per poter far valere l’invalidità del testamento, tenuto conto che, sebbene i due coniugi abbiano concordato le modalità secondo cui disporre dei propri beni, di fatto non hanno redatto un testamento congiuntivo, come tale vietato dall’art. 589 c.c.

Neppure si può pensare ad una violazione del divieto dei patti successori di cui all’art. 458 c.c., e ciò per le ragioni che seguono.
Con il termine “patti successori” si intendono tutti quegli atti, mortis causa o inter vivos, mediante i quali un soggetto dispone della propria successione (in tal caso si parlerà di patti costitutivi o istitutivi), di un’eredità non ancora aperta (c.d. patti dispositivi) o mediante i quali il soggetto rinuncia alla medesima (si parla in questo caso di patti abdicativi o rinunciativi).
Tale norma si pone a sua volta in continuità con l’art. 457 c.c., nel quale si stabilisce la stretta tipicità della vicenda successoria, esclusivamente legata alle fonti del testamento o della legge.
Dal combinato disposto di tali norme risulta palese la volontà del legislatore italiano, ovvero quella di circoscrivere le fonti della delazione ereditaria a quella testamentaria ed a quella legittima, escludendo invece quella convenzionale (non a caso si parla di “patti”).
La ratio di tale divieto sta evidentemente, nel caso dei patti istitutivi, nel voler preservare l’assoluta revocabilità del testamento “usque ad viate supremum exitum”, mentre nel caso dei patti successori dispositivi e abdicativi, nell’intento di evitare che i contraenti, facendo affidamento su un patrimonio di cui non sono ancora titolari, possano sperperare ciò che presumono di ricevere alla morte del de cuius.

Ebbene, nel caso in esame si ritiene che debba escludersi in assoluto la configurabilità di un patto istitutivo, in quanto, seppure il testamento redatto dal de cuius possa considerarsi frutto dell’accordo raggiunto con l’altro coniuge, la volontà testamentaria è stata correttamente e legittimamente manifestata in un scheda testamentaria (quella sulla cui base si è aperta la successione).

Stando così le cose, residua soltanto la possibilità prospettata nell’ultima parte del quesito ed a cui si era fatto riferimento nella parte conclusiva della precedente consulenza, ovvero quella di avvalersi della facoltà di cui all’art. 557 comma 1 c.c., norma che attribuisce la legittimazione all’esperimento dell’azione di riduzione, oltre che ai legittimari, anche ai loro eredi o aventi causa.
Va segnalato a tale riguardo l’orientamento espresso in più occasioni dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ. Sez. II sent. n. 2120/2017 e Cass. civ. Sez. II sent. n. 26254/2008), secondo cui l’azione di riduzione delle disposizioni lesive della quota di legittima, contemplata al primo comma dell’art. 557 c.c., avendo natura patrimoniale, può essere proposta non solo dai legittimari, ma anche dai loro eredi o aventi causa, e ciò in quanto il carattere personale dell’azione non incide sulla trasmissibilità del diritto, ma esclusivamente sull’accertamento della lesione, che va limitata alla quota di colui che agisce.
Tale azione, però, non potrà essere esperita prima della morte dell’altro coniuge pretermesso, considerato che la norma fa riferimento alla qualità di eredi del legittimario.
Il positivo esperimento della stessa farebbe entrare nel patrimonio del coniuge superstite la quota spettantele a titolo di riserva (ovvero un terzo indiviso del patrimonio del coniuge), sulla quale, a sua volta, l’erede che agisce in riduzione potrà far valere il diritto ad una quota pari ad 1/5 indiviso.

Ricapitolando quanto fin qui riportato e cercando di dare una risposta a quanto espressamente chiesto, può dirsi quanto segue:
a) non si può parlare di testamento congiunto, in quanto lo scritto sottoposto all’attenzione di questa Redazione non può qualificarsi come testamento, difettandone ogni indispensabile requisito formale;
b) se il testamento a cui ci si riferisce nel quesito (e che non si ha avuto possibilità di visionare) risulta privo di data, è senza alcun dubbio nullo secondo quanto espressamente disposto dall’art. 602 c.c..
In questo caso, occorre prestare attenzione a non darvi volontaria esecuzione, pena il prodursi delle conseguenze previste dall’art. 590 c.c., mentre occorrerà farne valere l’invalidità mediante sua impugnativa.
Fatta valere la nullità di quella scheda testamentaria, si aprirà la successione legittima e l’eredità verrà devoluta secondo quanto auspicato da chi pone il quesito.
c) se il testamento del genitore deceduto non presenta alcun profilo di invalidità ed il coniuge superstite, escluso dalla successione, non intende agire in riduzione per far valere il diritto alla quota di riserva che le spetta, alla morte di quest’ultima la medesima azione potrà essere esperita dai suoi eredi (ed in particolare dal figlio che, per effetto della volontà testamentaria del padre, alla fine ha ricevuto meno di quanto effettivamente gli sarebbe spettato).

A.P. chiede
lunedì 01/11/2021 - Trentino-Alto Adige
“QUESITO:
========
In una questione ereditaria l'unico coerede mette in atto delle condotte reiterate apparentemente illogiche e prive di senso che fanno pensare all'esistenza di un ulteriore testamento (dall'unico testamento, finora pubblicato dal coerede, datato maggio 2017, lasciato dalla madre deceduta nel corso dell'anno 2020, entrambi i figli risultano eredi al 50 %) nettamente a favore del coerede che mette in atto nei miei confronti pressioni di vario tipo. Vista questa situazione difficile e considerato che sono iniziate le trattative per la divisione della proprietà immobiliare (mio fratello insiste sulla vendita della mia quota a lui, in alternativa insiste sulla vendita della proprietà immobiliare indivisa a terzi), gradirei tutelarmi da un'eventuale "misteriosa scoperta" di un ulteriore testamento a favore di mio fratello.

Vi chiedo quindi una risposta al seguente quesito:
E' NULLA UNA CLAUSOLA DI UN CONTRATTO DI DIVISIONE CHE PREVEDE L'ESPLICITA RINUNCIA, DA PARTE DELLE DUE PARTI, DI AVVALERSI DI UN'ULTERIORE TESTAMENTO RITROVATO.”
Consulenza legale i 08/11/2021
L’ammissibilità di un patto di tale tipo può trovare fondamento sia nello stesso dettato legislativo che nella giurisprudenza di legittimità.
Sotto il primo profilo la sua liceità può indirettamente trarsi dall’art. 458 c.c., norma che disciplina il c.d. divieto dei patti successori.
Tale divieto costituisce logico corollario della regola, dettata dall’art. 457 del c.c., secondo la quale la delazione può avere come fonti solo la legge e il testamento; la volontà privata, pertanto, non può disporre, in relazione a beni che fanno parte di una successione non ancora apertasi, se non attraverso il testamento del futuro de cuius, unico negozio mortis causa ammesso nel nostro ordinamento.
Qualunque altro atto con il quale il futuro de cuius o terzi dispongano di una successione che non si è ancora aperta viene espressamente considerato affetto da nullità.

La giurisprudenza, peraltro, ricalcando quanto è dato desumere dal chiaro tenore letterale dell’art. 458 c.c., ritiene che si sia in presenza di un patto successorio ove siano contemporaneamente presenti i seguenti requisiti:
1) che si tratti di negozio giuridico stipulato prima dell'apertura della successione alla quale si riferisce;
2) che il bene o i beni oggetto del patto facciano parte della successione futura;
3) che, con particolare riferimento al c.d. patto istitutivo, l'acquisto avvenga successionis causa, e non ad altro titolo.

Dall’esame di tali requisiti ci si può agevolmente rendere conto del fatto che nel caso di specie manca il presupposto essenziale perché possa considerarsi nullo il patto che si intende inserire nel negozio di divisione, ovvero la sua anteriorità rispetto all’apertura della successione.
I figli, infatti, stanno disponendo, mediante divisione, di beni facenti parte di una successione che si è già aperta e, pertanto, nessuna norma impedisce loro, qualora ne ricorra il relativo consenso, di dividere come si vuole il patrimonio ereditario.

L’unico limite potrebbe ravvisarsi nella eventuale violazione della quota di riserva a taluno di loro spettante, ma anche questo limite può essere agevolmente superato facendosi applicazione del secondo comma dell’art. 557 del c.c., norma che legittima la rinuncia all’azione di riduzione.
Tale rinuncia, infatti, costituisce esercizio di un diritto potestativo il cui effetto è quello di rendere definitive e intangibili le situazioni giuridiche che si vengono a determinare sia per effetto della volontà del de cuius che per successivo accordo tra i coeredi.

In giurisprudenza, peraltro, si afferma che mentre la rinuncia di eredità, a differenza dell’accettazione, non può avvenire tacitamente, e, quindi, nessuno, inconsapevolmente può rinunciare all’eredità nella quale sia stato chiamato in forza di legge o di un testamento, al contrario è possibile che un comportamento concludente del legittimario leso o pretermesso gli possa precludere l’esercizio in giudizio dell’azione di riduzione (cfr. Cass. Civ. Sez. II, 5 gennaio 2018 n. 168).
Nel caso di specie tale comportamento concludente può individuarsi nell’aver prestato in atto pubblico il proprio consenso alla divisione, pur se quell’atto dovesse risultare potenzialmente lesivo della quota di riserva di uno dei condividenti.

A confermare, infine, la legittimità del patto che si vorrebbe inserire nell’atto di divisione, soccorre una pronuncia della Corte di Cassazione, e precisamente Cass. civ., Sez. II, 15/07/1997, n. 6471, nella quale la S.C. ritiene che sia perfino valido ed efficace l’accordo transattivo concluso fra coeredi per dividere un bene ereditario in modo difforme dalle indicazioni date dal de cuius nel testamento, affermando peraltro il ricorso al rimedio previsto dall'art. 2932 del c.c. in tutti i casi in cui sussista un obbligo a contrarre e quindi non solo nell'ipotesi di contratto preliminare ma in relazione a qualunque fattispecie dalla quale sorga un obbligo di prestare consenso per la conclusione di un negozio.

Antonio D. P. chiede
lunedì 12/10/2020 - Lombardia
“La scrittura privata che invio in allegato, può diventare parte integrante di atto testamentario nel quale la sottoscrittrice abbia ignorato scientemente la promessa fatta?”
Consulenza legale i 18/10/2020
La scrittura privata fatta pervenire in allegato al quesito non può costituire parte integrante di una volontà espressa per testamento per le ragioni che qui di seguito verranno illustrate.

Innanzitutto occorre dare un corretto inquadramento giuridico al passaggio di denaro avvenuto tra figlio e madre, il quale si è realizzato per mezzo di un assegno circolare non trasferibile.
Come si ritiene possa essere ben noto, l’assegno circolare non è altro che un titolo di credito all’ordine, ovvero un documento contenente un diritto di credito.
Si tratta, ancora più specificatamente, di un titolo di credito astratto (insieme alla cambiale ed all’assegno bancario), nel senso che può essere emesso in base ad un qualsiasi rapporto fondamentale e che non contiene alcuna menzione del rapporto che ha dato luogo alla sua emissione.

Proprio perché titolo astratto, tutte le volte in cui si realizza un trasferimento di denaro è bene cautelarsi nei confronti dell’Agenzia delle entrate, ponendosi nelle condizioni di dimostrare, se richiesto, non solo la provenienza dei soldi, ma anche la “causa” dell’attribuzione.
Nel caso di specie la scrittura posta in essere tra le parti può dirsi che sarebbe stata in grado, qualora se ne fosse presentata la necessità, di svolgere appieno tale funzione, in quanto da essa si desume agevolmente che il figlio ha inteso attribuire alla madre quella somma di denaro per spirito di liberalità, ed al fine precipuo di consentire alla donataria di utilizzare quella somma per l’acquisto di una casa di abitazione.

Non si ritiene sia il caso di approfondire, in questa sede, il tema della validità di tale scrittura sotto il profilo civilistico, in quanto, come si ricava chiaramente dal combinato disposto degli artt. 782 e 783 c.c., la donazione, se non è di modico valore, deve rispettare la forma dell’atto pubblico alla presenza di due testimoni.
La modicità del valore si determina in base ad un parametro oggettivo (il valore economico del bene) e ad uno soggettivo (la consistenza del patrimonio di colui che effettua la donazione).

Riconosciuto, intanto, che a tale scrittura può assegnarsi la funzione di aver conferito causalità alla astrattezza del titolo di credito emesso dal figlio in favore della madre, si tratta a questo punto di analizzare il valore che può attribuirsi alla ulteriore manifestazione di volontà in essa contenuta, nella parte in cui è detto:
…la sottoscritta, a titolo di ricompensa per la donazione ricevuta, riconosce e garantisce al…. – in fase di suddivisione ereditaria – duplice diritto di acquisire quota di proprietà dell’abitazione acquistata, in rapporto diretto fra somma donata e quella dichiarata in rogito…. La sottoscritta, infine, stabilisce che la presente scrittura divenga parte integrante di qualsiasi futuro atto testamentario..”
La scrittura si chiude con le sottoscrizioni del donante e della donataria.

Ebbene, si esclude che, malgrado l’espressa manifestazione di volontà della donataria, tale scrittura possa validamente integrare un suo eventuale successivo testamento, in quanto ciò si porrebbe in contrasto non soltanto con il principio fondamentale della personalità del testamento, ma anche con il divieto dei patti successori.

Per quanto concerne il principio della personalità del testamento, esso si ricava espressamente dall’art. 602 del c.c., il quale dà la definizione di testamento olografo, disponendo che lo stesso deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore.
Da ciò se ne deve far discendere che qualunque intervento o partecipazione di una terza persona alla sua redazione sarebbe causa di nullità del testamento.
Nel caso di specie, la scrittura che si vorrebbe utilizzare come manifestazione della volontà testamentaria, non soltanto non è stata scritta di pugno dalla testatrice, ma riporta anche la sottoscrizione di una persona diversa, ciò che esclude in maniera categorica sia la personalità che la libertà del volere di colui che dovrebbe disporre del suo patrimonio per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

A tale causa di nullità, se ne aggiunge un’altra, anch’essa abbastanza grave, ossia la violazione del divieto dei patti successori, disciplinato dall’art. 458 c.c., norma dalla quale si ricava che la volontà privata non può disporre in ordine a beni facenti parte di una successione non ancora apertasi, se non attraverso il testamento del futuro de cuius, unico negozio mortis causa ammesso nel nostro ordinamento.
Qualunque altro atto con il quale il futuro de cuius o terzi dispongano della successione non ancora aperta è affetto da nullità.
Più precisamente, quello risultante dalla scrittura privata che si vuole utilizzare può qualificarsi come patto successorio c.d. istitutivo, definendosi tale quel patto (o accordo), risultante da contratto o da qualunque altro atto inter vivos, per mezzo del quale un soggetto si impegna a disporre per testamento in un certo modo di uno o più dei suoi beni.

Anche il fondamento di tale divieto si rinviene nella tutela della libertà di testare, che verrebbe pregiudicata dall'atto con cui taluno disponga dei propri beni irrevocabilmente, con effetto a partire dal momento della morte.

Per le motivazioni sopra esposte, dunque, si ritiene che la scrittura di cui si è in possesso non possa essere in alcun modo utilizzata per integrare la volontà testamentaria della testatrice.
A questo punto, non resta che affidarsi al buon senso ed all’onestà degli altri eredi che non hanno voluto contribuire all’acquisto dell’immobile caduto in successione, i quali, nel rispetto di regole morali più che giuridiche, dovrebbero rendersi disponibili a dare esecuzione, in sede di divisione ereditaria, alla volontà della madre, risultante espressamente da quella scrittura.


Pasquale N. chiede
sabato 19/09/2020 - Toscana
“Gentile Avvocato, in allegato una scrittura privata tra il sottoscritto e le mie 2 sorelle, dove nel 2002, mio Padre fece firmare contestualmente, allegando i documenti di ognuno, una dichiarazione dove ci davamo soddisfazione reciproca dei beni ricevuti, in egual misura (appartamenti). Questo perché una delle mie sorelle, aveva ricevuto, nei vent'anni precedenti alla firma, solamente elargizioni in denaro ( che non potevamo già nel 2002 documentare). Mio padre aveva percepito la cattiva fede di mia sorella e ci fece firmare la dichiarazione in allegato. Adesso con la morte di mio Padre la sorella ( l'altra è d'accordo con me) ha fatto fare una stima di tutti i beni immobiliari ricevuti in vita da noi, rinnegando sia la firma e, anche ritenendo tale dichiarazione un patto successorio. Ha chiesto addirittura il sequestro dei nostri beni, in quanto parla di lesione di legittimità.
Le chiedevo, nella costituzione in giudizio, vorremmo che il giudice prendesse in esame quella dichiarazione, come possiamo impostare il tutto? Oltre a chiede perizia calligrafica, quali sono gli elementi a nostro favore, cercando di ripristinare giustizia e verità? Mia sorella ha dichiarato di essere ragioniera, ma non ha mai prodotto reddito. Ringraziandola cordialmente La saluto

Consulenza legale i 01/10/2020
I problemi che il caso in esame pone non attengono tanto alla possibilità o meno di far valere in giudizio la scrittura privata, quanto piuttosto alla validità del suo contenuto e, dunque, della stessa scrittura.

Circa la possibilità di far valere in giudizio la scrittura, si ritiene che, una volta che la stessa sia stata prodotta e disconosciuta da una delle sorelle da cui risulta sottoscritta (ex art. 215 del c.p.c.), non possa esservi alcuna difficoltà ad avvalersi dello strumento processuale dell’istanza di verificazione, disciplinato dal successivo art. 216 del c.p.c..
A tale specifico fine si potrà fare ricorso non soltanto a scritture di comparazione, ma anche alla prova testimoniale dell’altra sorella (che ha pure apposto la propria sottoscrizione), raggiungendo, si presume agevolmente, lo scopo di farla valere in giudizio.

Si precisa al riguardo che, qualora sussistano scritture di comparazione, il giudice non è neppure tenuto a disporre una consulenza tecnica grafologica ai fini dell'accertamento dell'autenticità del documento (così Cass. N. 887/2018; Cass. N. 12695/2008; Cass. N. 1282/2003; Tribunale di Prato 16.4.2015; Tribunale di Padova 25.2.2009).

Secondo la giurisprudenza più recente tale istanza, se formulata in modo non equivoco, è proponibile entro il termine perentorio previsto per tutte le altre istanze istruttorie delle parti; competente è il giudice della causa in cui il documento è stato prodotto, e si tratterebbe di un’ipotesi di competenza funzionale inderogabile (cfr. Cass. N. 23433/2013; Cass. N. 9314/1993).

Chiarito ciò, occorre a questo punto precisare, tuttavia, che obiettivo dell’istanza di verificazione è solamente quello di far acquisire al documento disconosciuto l’efficacia di prova legale di cui all’art. 2702 del c.c., mediante l’attribuzione della dichiarazione a colui che apparentemente l’ha sottoscritta, ribaltando in tal modo il risultato seguito al tempestivo disconoscimento.
Problema diverso è, invece, quello della validità della scrittura privata e, soprattutto, di quanto tale scrittura possa essere utile a colui il quale ha deciso di avvalersene.

Ora, esaminandone attentamente il contenuto, si deve dare atto, purtroppo, che la stessa fa sorgere grossi dubbi in ordine alla sua validità, e ciò sotto due diversi profili.
Innanzitutto nella parte in cui è detto “Si riconosce altresì che, in conseguenza dell’attribuzione sopra da ultimo citata, tutti i fratelli sono stati beneficiati in egual misura dal padre ….., calcolati i valori delle rispettive attribuzioni.”.
Si ritiene, infatti, che il giudice, alla cui valutazione la scrittura verrebbe sottoposta, potrebbe essere ragionevolmente indotto a considerare tale clausola in contrasto con quanto previsto al secondo comma dell’art. 557 del c.c., nella parte in cui dispone che i legittimari, ai quali compete l’esercizio dell’azione di riduzione, non possono, finché vive il donante, rinunciare a tale diritto né con dichiarazione espressa né prestando il loro assenso alla donazione.
Ciò comporta che, anche il fatto che tutti i fratelli abbiano riconosciuto concordemente di aver ricevuto in vita dal padre donazioni di egual valore, tale riconoscimento, poiché contenuto in una scrittura redatta quando ancora il donante era in vita, è da considerare nulla ed improduttiva di effetti.

In essa, infatti, può agevolmente intravedersi una implicita rinunzia all’azione di riduzione, la quale può essere validamente effettuata solo dopo la morte del de cuius, mentre qualora venga fatta prima di tale momento è affetta da nullità per violazione del divieto dei patti successori sancito dall’art. 458 c.c. (in tal senso cfr. Cass. 2327/1963; Cass. 24450/2009).

Ma, come viene accennato nel quesito, quella medesima scrittura deve ritenersi nulla anche in relazione alla clausola in cui si dice che “Al signor….sarà anche attribuito un appartamento in Comune di….., via…..con relativo giardino e dependance”.
E’ abbastanza palese, infatti, che tale clausola si pone anch’essa in aperto contrasto con il divieto dei patti successori posto dal sopra citato art. 458 c.c., nella parte in cui sancisce espressamente la nullità di ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione.
Nel nostro codice, infatti, la delazione può avere come fonti solo la legge e il testamento: qualunque altro atto con il quale il futuro de cuius o terzi dispongano della successione non ancora aperta è affetto da nullità.

La giurisprudenza ha ritenuto che debba essere esclusa la sussistenza di un patto successorio semplicemente quando la persona della cui eredità si tratta abbia solo manifestato verbalmente all'interessato o a terzi l'intenzione di disporre dei suoi beni in un determinato modo; tale promessa verbale, infatti, non creerebbe alcun vincolo giuridico e non sarebbe idonea a limitare la piena libertà del testatore che è oggetto di tutela da parte dell'ordinamento (così Cass. N. 5870/2000).
Nel caso di specie non si tratta di una semplice manifestazione verbale, ma di un patto risultante da atto scritto concluso tra la persona della cui eredità si tratta ed i sui potenziali eredi.

La nullità di tale scrittura, dunque, legittima la sorella, della cui buona fede si è da sempre dubitato, ad esperire l’azione di riduzione, qualora ritenga, in considerazione delle donazioni pregresse, di essere stata lesa nei suoi diritti di legittimario.
Purtroppo, nel corso di tale giudizio, al fine di ricostruire il patrimonio ereditario e determinare la porzione disponibile ex art. 556 del c.c. (ed in negativo la quota di riserva di ciascun figlio) occorre fornire adeguata prova di ciò che dal patrimonio del de cuius è uscito a titolo gratuito, denaro compreso.
Qualora non si disponga di alcuna prova in tal senso, non vi sono altri modi per far includere nella massa ereditaria anche le somme di denaro ricevute gratuitamente dalla sorella che ha deciso di agire in riduzione, somme che ciascuno dei figli e loro discendenti dovrebbero conferire in favore degli altri coeredi a titolo di collazione ex art. 737 del c.c. (si tenga comunque presente che non sono soggette a collazione le spese previste dall’art. 742 del c.c.).

Né, del resto, può assumere valenza probatoria in tal senso la scrittura privata del 23.01.2002, poiché, a parte la nullità da cui risulta inficiata, non contiene alcuna ricognizione di ciò che è concretamente uscito dal patrimonio del de cuius per incrementare il patrimonio dei figli (per tale ragione si ritiene che ad essa potrebbe soltanto attribuirsi natura di tacita rinunzia all’esercizio dell’azione di riduzione, nulla per contrasto con il citato art. 557 c.c.).


Maurizia M. chiede
venerdì 07/09/2018 - Sardegna
“Sono nubile ed avendo compiuto 75 anni, ipotizzo di fare un atto di donazione verso mio fratello Tizio di anni 73 celibe " di euro 15.000 e di metà di un miniappartamento " Ma vorrei che l'atto contenesse anche il seguente secondo punto nelle forme che Voi individuerete :
(Da profana credo si tratti di dichiarazione di LEGATO), per indicare sempre lo stesso fratello Tizio che, nel caso mi sopravviva, desidero abbia : "A" - l'intero ammontare che, alla mia morte, sia contenuto nel mio c-c bancario incluso un piccolo dossier titoli.(totale proprietà) "B"- " l'usufrutto" del restante 50% del miniappartamento citato, sua vita natural durante.
IL CONTESTO DEI PARENTI : è in vita un altro fratello con moglie e 3 figli. Altri 4 nipoti sono figli di un altro fratello, defunto cosi come la moglie. Infine: è in vita anche la moglie ed una figlia di un fratello anche esso defunto.
PRECISAZIONI : un mio testamento olografo di diversi anni fa indicava come mio erede unico il predetto fratello Tizio. Il testo è stato dato in custodia due anni fa ad uno studio notarile, ed è tuttora segreto a tutti.
DOMANDE : 1- il punto da me chiamato LEGATO A e B, può essere inserito nell'atto predetto di donazione ? In caso contrario quale è la forma, ed il costo eventuale di una dichiarazione separata (eventualmente da fare per prima).
2- Il testamento citato può restare cosi come è "segreto" e procedere a quanto qui ipotizzato ? l'intento è di mantenerlo come riserva in caso di problemi. Credo sia un PROBLEMA MINORE, il fatto che la procedura qui da me ipotizzata, lo "supera", ma lo mantiene in parte valido ) ??
La nuova impostazione qui descritta deriva da rapporti con la parentela che qui si evita di esporre.
3- Quali problematiche presenta la procedura qui indicata e quali meccanismi alternativi consiglia il vostro esperto per ottenere gli stessi risultati che in sintesi sono quelli di PROTEGGERE mio fratello Tizio con miei atti ora che sono intellettualmente sana ?

Consulenza legale i 14/09/2018
Il fine che chi pone il quesito sembra di voler raggiungere è, sostanzialmente, quello di premiare colui o coloro da cui riceverà un vantaggio in vita, senza trascurare al contempo il fratello celibe, che si ritiene meritevole di un’attenzione particolare.
Un fatto, intanto, consente alla disponente di fare ciò che vuole del proprio patrimonio: non vi sono tra i futuri eredi soggetti legittimari a cui dover riservare per legge una quota di eredità, ossia coniuge, figli o ascendenti, come prevede l’art. 536 del c.c..

Superato questo limite, può senza alcun dubbio dirsi che nessun ostacolo si pone a donare al fratello Tizio, con regolare e formale atto di donazione (ossia stipulato davanti al notaio) la somma di euro 15.000 e la metà indivisa del diritto di proprietà sul miniappartamento, anche se con tale atto si dovesse superare il valore di quella parte del proprio patrimonio di cui si può disporre liberamente (c.d. disponibile).

Risulta invece impossibile, dal punto di vista giuridico, avvalersi dello stesso atto di donazione per inserirvi quelle che si definiscono dichiarazioni di legato; infatti, al di là del nomen iuris che a tali dichiarazioni si vuole dare, si tratta nella sostanza di c.d. patti successori istitutivi, vietati espressamente dall’art. 458 c.c. nella parte in cui dice che “è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione”, ovvero ogni atto redatto in vita e che debba avere efficacia sul proprio patrimonio dopo la morte del disponente.

Ora, considerato che il fratello Tizio è celibe e che potrebbe avere bisogno di ricevere assistenza da parte di chi gli sta vicino, si propone questa soluzione.
Redigere un testamento, preferibilmente nella forma pubblica (ossia dinanzi ad un notaio), e ciò per evitare in futuro che possano sollevarsi dei dubbi sulla propria capacità di intendere e di volere in quel momento, con il quale così disporre:
  1. Revocare il proprio precedente testamento
  2. Lasciare al fratello Tizio l’usufrutto universale su tutti i beni immobili che confluiranno nel patrimonio ereditario e nominarlo contestualmente erede di tutti i rapporti bancari di ogni genere e specie di cui si risulterà titolare al momento della morte;
  3. Nominare gli altri fratelli in vita ed i loro discendenti, per quelli premorti, legatari per capi della nuda proprietà degli immobili su cui è stato costituito l’usufrutto in favore del fratello Tizio, gravando i medesimi legatari dell’onere di prestare cura ed assistenza al fratello o allo zio Tizio, e prevedendo espressamente che la disposizione debba intendersi risolta per colui o coloro che non adempiranno a tale onere.

Un testamento avente un simile contenuto consentirà di:
  1. far sì che il fratello Tizio rivesta sempre la posizione di erede, di modo che qualunque bene o diritto possa essere sfuggito al testatore, andrà comunque ad incrementare il patrimonio dell’erede nominato;
  2. garantire al fratello Tizio una sicura rendita, almeno per un certo tempo, e ciò grazie alle somme di denaro ed ai titoli che troverà in banca;
  3. dimostrare agli altri eredi, che magari sono stati più lontani, di non averli del tutto voluto mettere da parte, lasciando loro la nuda proprietà dei propri beni, la quale avrà comunque un certo valore in considerazione della avanzata età dell’usufruttuario;
  4. assicurarsi che il fratello Tizio non venga trascurato, o ancora peggio del tutto abbandonato, qualora si trovasse nella necessità di essere in qualche modo assistito, gravando i legatari dell’onere relativo, per il cui adempimento potrà agire, ex art. 648 del c.c. qualunque interessato e soprattutto prevedendo la risoluzione del legato in caso di mancato adempimento dell’onere.

Se un testamento con tale contenuto dovesse indurre i legatari a rinunziare al legato, Tizio ne riceverebbe comunque un vantaggio in termini economici, che lo porrebbe certamente nella condizione di riuscire a ricevere assistenza da terze persone, anche stipulando un contratto di cessione onerosa dei beni di cui diventerebbe pieno proprietario.

Infine, rispondendo a quanto espressamente chiesto nel quesito, qualora si decidesse di lasciare tutto immutato e di fare solo la donazione al fratello nei limiti sopra precisati, quella donazione indubbiamente non inficerebbe la validità del testamento, in quanto il fratello nominato erede universale lo diventerebbe comunque per tutto ciò che si ritroverà nel patrimonio del de cuius.

Patrizia D. chiede
sabato 22/11/2014 - Lazio
“Gentilissimi,
mi trovo davanti una situazione particolare ovvero: nel marzo 2010 e' pervenuta una lettera a mio padre,scomparso nell'agosto 2012 dopo lunga malattia, dall'INPS che gli comunicava che dai conteggi fatti risultava essere creditore di euro 1900 circa. Dopo la sua dipartita abbiamo dimenticato quella comunicazione ma tempo nel rimettere a posto le carte ho ritrovato,nel gennaio del 2014, la comunicazione dell'INPS,cosi'dopo varie richieste sia via mail che tramite mio cognato che si è recato personalmente in sede e gli hanno confermato che esisteva questo credito e che era stato messo in pagamento.Ad aprile 2014 non avendo più notizie mi sono recata personalmente alla sede dell'INPS di Civitavecchia, competente per territorio, a chiedere come mai non fosse arrivata la somma da loro indicata. L'impiegato allo sportello mi ha detto che avrei dovuto fare una richiesta di rateo maturato e non riscosso, come io ho prontamente fatto. A novembre 2014 ricevo una raccomandata dall' INPS che mi comunicano che io in qualità' di erede di mio padre,nullatenente, devo all'Ente euro 3000 circa per importi percepiti e non dovuti,dall'anno 2009 al 2010,da mio padre.Cosa posso fare? Ringrazio infinitamente e porgo distinti saluti Patrizia D'Annibale.”
Consulenza legale i 03/12/2014
Purtroppo è molto frequente che l'INPS, dopo diversi anni e anche successivamente alla morte del pensionato, richieda il pagamento di somme ricevute dall'anziano ma "non spettanti" (la formula di rito è: "è stata corrisposta la maggiorazione sociale o l’aumento sociale della pensione, non spettante a causa del possesso di redditi di importo superiore ai limiti stabiliti dalla legge").

In questi casi, l'INPS ritiene che il pensionato abbia, nel periodo indicato nella lettera di richiesta del pagamento, percepito un reddito superiore a quelle soglie minime previste per legge per godere di una maggiorazione o di un aumento sociale.

L'INPS invia solitamente la lettera a tutti i presunti eredi, nella speranza di trovarne qualcuno che abbia accettato l'eredità puramente e semplicemente: in tal caso, infatti, l'erede è tenuto a rispondere dei debiti del de cuius.

Nel caso di specie, si possono valutare queste ipotesi.

- Innanzitutto, si possono verificare i redditi del padre nel periodo di riferimento e valutare se effettivamente i calcoli effettuati dall'INPS siano corretti. Per fare questa operazione ci si può rivolgere con costi modesti a un CAF.
Qualora i calcoli dell'INPS siano giusti, il pagamento è dovuto.
Diversamente, si potrà proporre ricorso al Comitato Provinciale INPS come indicato nella lettera, entro 90 giorni dal suo ricevimento.

- Quanto alla vicenda successoria, si può precisare quanto segue.
Se dalla morte del padre nell'agosto 2012, la figlia non ha accettato l'eredità, né era in possesso di alcun bene ereditario, la signora potrebbe ancora ipoteticamente decidere di rinunciare all'eredità o di accettare con beneficio d'inventario ex art. 487 del c.c. (ha 10 anni di tempo per farlo, dall'apertura della successione). Ricordiamo che l'accettazione beneficiata comporta la possibilità di tenere separati il patrimonio del defunto e quello degli eredi, facendo in modo che i debiti ereditari debbano essere pagati solo con eventuali beni lasciati in eredità dal de cuius: se tali beni non sono sufficienti, il creditore rimarrà semplicemente insoddisfatto.
Tuttavia, va posta l'attenzione sul fatto che l'accettazione di eredità possa avvenire sia espressamente (con una formale dichiarazione) sia tacitamente, cioè con il compimento di un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di fare se non nella qualità di erede (art. 476 del c.c.). La giurisprudenza, nonché la prassi dell'Istituto di Previdenza Sociale, ritiene che la riscossione del rateo di pensione o di altre somme spettanti al de cuius, e addirittura la sola domanda di questi, possa configurarsi come accettazione tacita. Nel caso di specie, quando la signora si è rivolta all'INPS nella primavera del 2014, l'ufficio le ha chiesto di formalizzare la domanda di rateo maturato e non riscosso, ponendola nella posizione di compiere (del tutto inconsapevolmente) un atto di accettazione tacita dell'eredità, che la sottrarrebbe ora dalla possibilità di rinunciare all'eredità o accettare con beneficio d'inventario, per non dover pagare il debito del padre.
Si consiglia in ogni caso di valutare il tenore della richiesta di rateo formulata all'INPS dalla figlia, per analizzare se questa possa a tutti gli effetti considerarsi come accettazione tacita, in considerazione del fatto che non è ancora avvenuta la riscossione.

- Quanto alla circostanza che la richiesta di restituzione di somme non dovute sia giunta dopo anni e separatamente dalla lettera in cui si diceva che vi erano arretrati da riscuotere, non si ravvisano ipotesi di illiceità della condotta dell'INPS: casomai, una evidente negligenza nel non aver trattato unitariamente la posizione del pensionato, creando il disagio di non aver compensato fin da subito i due importi.
V'è da sottolineare come il periodo di riferimento delle somme non dovute sia comunque tale da non far scattare una prescrizione del diritto di credito dell'INPS (opera qui la prescrizione decennale), motivo per il quale si deve ritenere legittima la richiesta di restituzione delle somme - sempre se si prova che i limiti reddituali fossero stati realmente superati.
Ad ogni modo, laddove risultasse infine dovuto l'importo di 3.000 euro, sarà opportuno segnalare prontamente all'INPS l'esistenza del controcredito di circa 1.900 euro, chiedendone la reciproca compensazione.

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.