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Articolo 1810 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Comodato senza determinazione di durata

Dispositivo dell'art. 1810 Codice Civile

(1)Se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede [1183].

Note

(1) La fattispecie definita dalla norma è chiamata comodato "precario".

Ratio Legis

La norma costituisce una particolare ipotesi di recesso nel caso di contratto di durata (v. 1373 c.c.).

Brocardi

Precarium

Spiegazione dell'art. 1810 Codice Civile

Il precario nella storia

Era stata rilevata la lacuna, nel nostro e non soltanto nel nostro sistema, per la mancata disciplina del precario. Trattasi di un istituto che affonda le sue radici nella notte dei tempi: da principio (a quanto pare) era un rapporto quasi feudale, comunque implicante una soggezione personale, e — in ogni modo una posizione inferiorità di chi lo impetrava (precarium viene da preces), fu, per lunga eta, considerato fuori del diritto: una mera situazione di fatto in balia del concedente che, come di suo arbitrio l'aveva creato, d'arbitrio poteva, da un momento all'altro, eliminarlo richiedendo, quando più gli piacesse, la cosa.

Il precarista, infatti, non è tenuto (almeno in diritto classico) da un'obbligazione giuridica ma semplicemente a rilasciare — ad ogni richiesta — la cosa al concedente, che contro di lei si giova degli interdetti, come se si trattasse di un intruso qualunque. Quasi a bilanciare l'aleatorietà della sua posizione, il precarista aveva ampli poteri per ciò che concerne l'uso della cosa (gli immobili, prima dei mobili, pare che siano stati oggetto di precario) di cui — di solito — aveva anche il possesso.

Non è il caso di descrivere lo svolgimento dell'istituto — dal diritto romano, in cui lentamente si colora, per così dire, di giuridicità, senza peraltro perdere le sue caratteristiche essenziali, che sono sempre — oltre alla gratuita - le revocabilità ad libitum del concedente — sino al diritto di mezzo in cui fa sorgere, pur non confusa con esso, l'abnorme figura della precaria, sino all'epoca della codificazione in cui generalmente venne trascurato.

I più lo ritenevano, e tuttora lo ritengono, non un istituto giuridico, ma un rapporto rientrante nelle relazioni della vita sociale: ma opportunamente il codice l'ha contemplato sia pure con una laconica norma.


Il precario nel codice

Certo, si poteva fare a meno di chiamarlo « comodato senza determinazione di durata », tanto più che, durante i lavori preparatori, era stata messa in rilievo la differenza col comodato. Differenza, peraltro, che va presa cum grano salis, data la non perspicuità della formula dell' art. 1803 del c.c.. Il quale, messo in necessaria correlazione con l'articolo che commentiamo, vuol dire semplicemente che il precario differisce dal comodato perché questo è a tempo determinato, o determinabile dall'uso, e quello no: da cui, la sua risolubilità ad libitum del concedente (e, naturalmente, anche del precarista).

Questa risolubilità, peraltro, non contrasta con la giuridicità dell'istituto, e non lo ricaccia fuori del diritto, perché la condizione risolutiva tacita potestativa (cum voluero) che la legge vi sottintende, non esclude, ma presuppone l'assunzione del vincolo, vietando il nostro sistema le condizioni potestative sospensive, non quelle risolutive (arg. ex art. 1355 del c.c.).

In pratica non sempre sarà facile discernere dove finisce la prestazione di cortesia e dove comincia il rapporto di precario: l'unico criterio discriminatore sta, anche qui, nella suscepta obligatio da parte del concedente, sia pur qui temperata (ma non esclusa) dalla possibilità di risolvere la obbligazione stessa tutte le volte che il concedente stesso lo desideri. Si vuole dire che dipenderà dall' intenzione delle parti, dalle circostanze e dalla natura della prestazione, decidere se sia varcato il solco divisorio fra diritto e non diritto. Solco, qui, notevolmente assottigliato.


Rinvio alle norme sul comodato

Salvo la risolubilità ad libitum (che non crediamo sia compatibile con la fissazione ope iudicis — d'un termine) il contratto ormai si modella sulle orme del comodato, avendo perdute, col tempo, le altre sue caratteristiche.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

550 Per il cosiddetto comodato precario ho disposto una norma a sé stante (articolo 634), nella quale ho chiarito che la durata del comodato, può desumersi, oltre che dalla apposizione di un termine, anche dall'uso per cui fu data la cosa; principio, questo, che era riferito solo vagamente nell'articolo 621 cpv. del progetto del 1936.

Massime relative all'art. 1810 Codice Civile

Cass. civ. n. 22309/2020

La circostanza che un immobile concesso in comodato sia destinato ad attività commerciale non è sufficiente per ritenere il relativo contratto soggetto ad un termine implicito, sicché il comodante può domandare la restituzione del bene prima della cessazione di tale attività.

Cass. civ. n. 21853/2020

Chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederla in comodato e, quando il rapporto viene a cessare, è legittimato a richiederla in restituzione, senza dover dimostrare di esserne proprietario. Egli ha soltanto l'onere di provare la consegna del bene e il rifiuto della restituzione, spettando eventualmente al convenuto far valere il possesso di un diverso titolo per il suo godimento.

Cass. civ. n. 9990/2019

In caso di cessione al terzo effettuata in costanza di matrimonio dal coniuge esclusivo proprietario dell'immobile precedentemente utilizzato per le esigenze della famiglia, il provvedimento di assegnazione della casa familiare all'altro coniuge - non titolare di diritti reali sul bene - collocatario della prole, emesso in data successiva a quella dell'atto di acquisto compiuto dal terzo, è a questi opponibile ai sensi dell'art. 155-quater c.c. - applicabile "ratione temporis" - e dell'art. 6, comma 6, della legge n. 898 del 1970, in quanto analogicamente applicabile al regime di separazione, soltanto se - a seguito di accertamento in fatto da compiersi alla stregua delle risultanze circostanziali acquisite - il giudice di merito ravvisi l'instaurazione di un preesistente rapporto, in corso di esecuzione, tra il terzo ed il predetto coniuge dal quale quest'ultimo derivi il diritto di godimento funzionale alle esigenze della famiglia, sul contenuto del quale viene a conformarsi il successivo vincolo disposto dal provvedimento di assegnazione. Tale ipotesi ricorre nel caso in cui il terzo abbia acquistato la proprietà con clausola di rispetto del titolo di detenzione qualificata derivante al coniuge dal negozio familiare, ovvero nel caso in cui il terzo abbia inteso concludere un contratto di comodato, in funzione delle esigenze del residuo nucleo familiare, con il coniuge occupante l'immobile, non essendo sufficiente a tal fine la mera consapevolezza, da parte del terzo, al momento dell'acquisto, della pregressa situazione di fatto di utilizzo del bene immobile da parte della famiglia.

Cass. civ. n. 9796/2019

In tema di comodato, la circostanza che le parti, pur non prevedendo un termine per la restituzione del bene, abbiano vincolato l'efficacia del contratto al venir meno dell'utilizzazione dello stesso in concomitanza con la cessazione dello svolgimento dell'attività del comodatario, non comporta automaticamente la qualificazione del rapporto alla stregua di comodato senza determinazione di durata (con conseguente potere di recesso "ad nutum" del comodante, ai sensi dell'art. 1810 c.c.), spettando al giudice di merito il compito di verificare se l'assetto di interessi individuato dalle parti non sia riconducibile ad un contratto atipico, meritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322 c.c., avente a oggetto la regolamentazione del potere di pretendere la restituzione del bene concesso in godimento, in modo che il comodante sia autorizzato ad esercitarlo non già "ad nutum", bensì unicamente al ricorrere delle condizioni convenute dalle parti. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva qualificato come senza determinazione di durata, con conseguente applicabilità dell'art. 1810 c.c. in relazione al recesso "ad nutum" del comodante, un contratto di comodato contenente una clausola che ne ricollegava l'efficacia al persistente espletamento delle attività culturali svolte nell'immobile dall'ente comodatario).

Cass. civ. n. 17332/2018

Nel comodato di bene immobile, stipulato senza determinazione di termine, l'onere di provarne la destinazione a casa familiare e la persistenza della predetta destinazione alla domanda di rilascio grava sul comodatario. (Nella specie la S.C. ha cassato al sentenza impugnata che aveva ritenuto onerati i comodanti dell'onere della prova di dimostrare l'insussistenza di vincoli di destinazione).

Cass. civ. n. 2771/2017

In sede di valutazione della domanda di rilascio proposta dal comodante nei confronti del coniuge cui l’immobile è stato assegnato quale casa familiare, il giudice è tenuto ad accertare, ai sensi dell’art. 1810 c.c., che perduri, nell’interesse dei figli conviventi minorenni (o maggiorenni non autosufficienti), la destinazione dell’intero bene all’uso cui è stato adibito, dovendo, in caso contrario, ordinarne la restituzione, quanto meno parziale.

Cass. civ. n. 24618/2015

Il comodato di un bene immobile, stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, ha un carattere vincolato alle esigenze abitative familiari, sicché il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento anche oltre l'eventuale crisi coniugale, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c., ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto risolto per mutuo consenso un contratto di comodato sulla sola base della volontà espressa da uno dei coniugi comodatari, senza considerare la situazione di separazione personale e il vincolo di destinazione dell'immobile, nonché omettendo di verificare la sussistenza dell'urgente ed imprevisto bisogno della parte comodante).

Cass. civ. n. 24838/2014

Nel comodato di bene immobile, stipulato senza determinazione di termine, la volontà di assoggettare il bene a vincoli d'uso particolarmente gravosi, quali la destinazione a residenza familiare, non può essere presunta ma va positivamente accertata, dovendo, in mancanza, essere adottata la soluzione più favorevole alla sua cessazione. (Nella specie, la S.C. ha accolto il ricorso della comodante, che invocava la natura precaria del comodato d'immobile poiché l'unità abitativa - poi assegnata al coniuge affidatario della prole in occasione della separazione - era stata lasciata, a seguito del trasferimento dei genitori in altra regione, senza alcuna formalizzazione al figlio celibe ben due anni prima del matrimonio).

Cass. civ. n. 6203/2014

La concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario é un contratto a termine, di cui é certo l' "an" ed incerto il "quando", atteso che, con l'inserimento di un elemento accidentale per l'individuazione della precisa durata (nella specie, la massima possibile, ossia per tutta la durata della vita del beneficiario), il comodante ha limitato la possibilità di recuperare, quando voglia, la disponibilità materiale dell'immobile, rafforzando, al contempo, la posizione del comodatario, a cui viene garantito il godimento per tutto il tempo individuato. Ne consegue che, in tale evenienza, il comodante o i suoi eredi possono sciogliersi dal contratto soltanto nelle ipotesi di cui agli artt. 1804, terzo comma, 1809 e 1811 cod. civ. e non liberamente come avviene nel comodato precario.

Cass. civ. n. 13592/2011

Il comodato, stipulato senza prefissione di termine, di un immobile successivamente adibito, per inequivoca e comune volontà delle parti contraenti, ad abitazione di un nucleo familiare di fatto, costituito dai conviventi e da un figlio minore, non può essere risolto in virtù della mera manifestazione di volontà "ad nutum" espressa dal comodante ai sensi dell'art. 1810, primo comma, ultima parte, cod. civ., dal momento che deve ritenersi impresso al contratto un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all'uso cui la cosa è destinata il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi familiare tra i conviventi. Ne consegue che il rilascio dell'immobile, finché non cessano le esigenze abitative familiari cui esso è stato destinato, può essere richiesto, ai sensi dell'art. 1809, secondo comma, cod. civ., solo nell'ipotesi di un bisogno contrassegnato dall'urgenza e dall'imprevedibilità.

Cass. civ. n. 3168/2011

Nel contratto di comodato, il termine finale può, a norma dell'art. 1810 c.c., risultare dall'uso cui la cosa dev'essere destinata, in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo; in mancanza di tale destinazione, invece, l'uso del bene viene a qualificarsi a tempo indeterminato, sicché il comodato deve intendersi a titolo precario e, perciò, revocabile "ad nutum" da parte del proprietario.

Cass. civ. n. 15986/2010

Il comodato precario é caratterizzato dalla circostanza che la determinazione del termine di efficacia del "vinculum iuris" costituito tra le parti é rimessa in via potestativa alla sola volontà del comodante, che ha facoltà di manifestarla "ad nutum" con la semplice richiesta di restituzione del bene senza che assuma rilievo la circostanza che l'immobile sia stato adibito a casa familiare e sia stato assegnato, in sede di separazione tra i coniugi, all'affidatario dei figli. (Omissis).

Cass. civ. n. 6678/2008

Si connota come figura atipica, siccome non riconducibile né al modello legale del comodato a termine (art. 1809 c.c. ), né a quello del comodato senza limitazione di tempo (art. 1810 c.c. ), il contratto di comodato immobiliare con il quale le parti abbiano previsto che la restituzione del bene da parte del comodatario debba avvenire nel «caso che il comodante ne abbia necessità ». In tale ipotesi, infatti, il comodato è da intendere convenuto senza determinazione di tempo (salvo quello che ex lege può discendere dall'applicazione dell'art. 1811 c.c. e che un termine derivi in relazione all'uso pattuito ), ma, ai sensi dell'art. 1322 c.c., con il patto che il potere di richiedere la restituzione possa esercitarsi solo in presenza di una necessità di utilizzazione dell'immobile nel senso di un bisogno di riavere la cosa per goderne in uno dei modi consentiti dal proprio titolo che sia incompatibile con il protrarsi del godimento del comodatario e che deve essere prospettata nel negozio di recesso dal comodante e, in caso di contestazione, dimostrata. (Nella fattispecie, poiché le parti avevano convenuto che il terreno con annesso locale scantinato rimanesse nella disponibilità del comodatario finché il comodante ne avesse avuto necessità, senza, però, che di tale necessità fosse stata allegata idonea prova, la S.C., in accoglimento del ricorso e decidendo nel merito, ha rigettato la domanda di rilascio).

Cass. civ. n. 13603/2004

Ove il comodato di un bene immobile sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare (nella specie: dal genitore di uno dei coniugi ) già formato o in via di formazione, si versa nell'ipotesi del comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare. Infatti, in tal caso, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso allo stesso un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari (e perciò non solo e non tanto a titolo personale del comodatario ) idoneo a conferire all'uso cui la cosa deve essere destinata il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà, ad nutum, del comodante. Salva la facoltà di quest'ultimo di chiedere la restituzione nell'ipotesi di sopravvenienza di un bisogno, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c., segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione.

Cass. civ. n. 12655/2001

Nel comodato c.d. precario in mancanza di determinazione della sua durata, ove non risulti un termine in relazione all'uso del bene, ancorché il comodatario sia tenuto a restituire la cosa «non appena il comodante la richieda», ai sensi dell'art. 1810 c.c., tale disciplina, configurando un'ipotesi specifica della regola generale prevista nella prima parte dell'art. 1183 c.c., non esclude l'applicazione della disposizione di cui alla seconda parte del citato primo comma dell'art. 1183, con la conseguenza che il giudice, in mancanza di accordo delle parti, possa stabilire il termine per la restituzione della cosa oggetto di comodato, quando sia necessario per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell'esecuzione e, in particolare, quando, trattandosi di comodato di immobile ad uso di abitazione, il comodatario necessiti di congrua dilazione per rilasciare vuoto l'immobile e per trovare altra sistemazione abitativa.

Cass. civ. n. 8482/2001

In tema di comodato, addotta, da parte dell'attore in restituzione, l'esistenza di un rapporto di comodato precario, ed eccepita, da parte del convenuto, la sussistenza di un rapporto di locazione, la mancata prova di tale ultimo rapporto implica l'accoglimento della domanda attorea, poiché l'eccezione del convenuto postula il riconoscimento dell'intervenuta consegna della cosa per uso determinato e, dunque, in difetto di diverse allegazioni, l'esistenza del comodato, dal quale discende l'obbligo della restituzione su richiesta del comodante, essendo onere del comodatario invocare l'esistenza di un termine, ovvero la mancata scadenza dello stesso.

Cass. civ. n. 5987/2000

La figura del «precario» ovvero del «comodato precario» (art. 1810 c.c.) si caratterizza per la previsione che la scadenza della validità del vincolo dipende potestativamente dalla volontà del comodante, il quale può farla maturare ad nutum mediante richiesta di restituzione del bene. Tale richiesta determina l'immediata cessazione del diritto del comodatario alla disponibilità e al godimento della cosa, con la conseguenza che una volta sciolto per iniziativa unilaterale del comodante il vincolo contrattuale, il comodatario che rifiuti la restituzione della cosa, viene ad assumere la posizione di detentore sine titulo e quindi abusivo del bene altrui, salvo che dimostri di poterne disporne in base ad altro rapporto diverso dal precario.

Cass. civ. n. 2719/1995

Nel comodato di un immobile, stipulato senza la espressa fissazione di un termine, questo, mentre non è desumibile dalla generica destinazione che l'immobile può avere per sua propria natura, trattandosi di destinazione ad uso generico ed indeterminato, può essere desunto dalla particolare, specifica destinazione del bene, restando individuato attraverso le particolari prescrizioni e limitazioni dettate per il suo godimento, sicché in tale caso il giudice ha il dovere di accertare se il godimento della cosa, per come e per quanto consentito, non abbia più ragione di protrarsi nel tempo si da ingenerare l'obbligazione di restituzione per scadenza del termine o esaurimento dell'utilità ai sensi dell'art. 1810 c.c. ovvero se il godimento stesso non abbia trasmodato in eccesso ed abuso così da legittimare il comodante alla diversa azione di restituzione anticipata del bene per inadempimento del comodatario a norma dell'art. 1804 c.c.

Nel contratto di comodato, caratterizzato dalla temporaneità d'uso, la mancanza di un termine finale direttamente previsto dalla parti non autorizza il comodante a richiedere ad nutum la restituzione della cosa, quando sia possibile ravvisare una indiretta determinazione di durata attraverso la delimitazione dell'uso consentito della cosa, desumibile dalla natura di essa, dalla professione del comodatario, dall'esame degli interessi ed alle utilità perseguiti dai contraenti ed assegnatari a finalità del negozio. (Nella specie, applicando tale principio la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva omesso di accertare se un'implicita determinazione di durata fosse desumibile dalla clausola con la quale, in un comodato all'Enel del vano di un fabbricato perché fosse utilizzato quale cabina elettrica, era stato previsto che la concessione in uso del vano sarebbe durata fin quando l'Enel avesse tenuto in servizio la cabina per la distribuzione di energia sia agli abitanti del fabbricato che a quelli dei fabbricati vicini).

Cass. civ. n. 2750/1994

Nel contratto di comodato l'obbligo di restituzione non può prescindere dalla fissazione di un termine che, in quanto tale, deve per definizione essere certo nel suo futuro verificarsi. Pertanto, ove il bene (nella specie, immobile adibito ad abitazione) sia stato concesso in comodato con la clausola «fino a quando i comodatari non abbiano reperito un altro alloggio», il termine stabilito è meramente apparente, mancando di qualsiasi concretezza temporale di determinazione, e deve considerarsi come non apposto, con la conseguenza che il rapporto resta regolato dall'art. 1810 c.c., secondo cui quando il comodato è senza determinazione di durata il comodatario è tenuto all'immediata restituzione a richiesta del comodante.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1810 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Attilio B. chiede
sabato 01/01/2022 - Lombardia
“Da quasi 10 anni mio figlio occupa gratuitamente, con la moglie, un appartamento di cui ha l’intera nuda proprietà ed io l’usufrutto completo. Da 5 anni abbiamo formalizzato la situazione con un contratto di comodato gratuito precario regolarmente registrato. Inizialmente era sposato senza figli, subito dopo la formalizzazione del contratto è nato un figlio. Di recente gli ho inviato la raccomandata di recesso dal contratto di comodato con intimazione di liberare l’immobile nel termine previsto dal contratto: 30 giorni, ma dichiarandomi disponibile a concludere con lui un contratto di affitto (a prezzo scontato). Ha risposto che non intende lasciare l’immobile e non vuole neanche restare in affitto. Penso di proporgli in alternativa l’acquisto della mia nuda proprietà anche se sono convinto che preferisca la soluzione più comoda di restare gratis a costo di affrontare una causa (che io intendo fare). Chiedo quale tipo di azione legale posso intraprendere, con quali prospettive e, mediamente, in quali tempi potrei riavere la disponibilità dell’appartamento. Si tenga conto che il reddito della mia famiglia è circa la metà di quello della sua e che l’appartamento in cui abito è molto più piccolo di quello in cui abita mio figlio.”
Consulenza legale i 09/01/2022
Va premesso che, non essendo stato possibile esaminare il testo del contratto oggetto della consulenza, la risposta che segue verrà fornita sulla base di quanto riferito nel quesito.
Risulta, infatti, che nel nostro caso sia stato stipulato un comodato c.d. precario, ovvero senza determinazione di durata. La caratteristica di questa tipologia di contratto, secondo l’art. 1810 c.c., risiede nell’obbligo del comodatario di restituire la cosa “non appena il comodante la richiede”.
Come ha chiarito la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. II, 10/05/2000, n. 5987), “la figura del "precario" ovvero del "comodato precario" (art. 1810 c.c.) si caratterizza per la previsione che la scadenza della validità del vincolo dipende potestativamente dalla volontà del comodante, il quale può farla maturare "ad nutum" mediante richiesta di restituzione del bene. Tale richiesta determina l'immediata cessazione del diritto del comodatario alla disponibilità e al godimento della cosa, con la conseguenza che una volta sciolto per iniziativa unilaterale del comodante il vincolo contrattuale, il comodatario che rifiuti la restituzione della cosa, viene ad assumere la posizione di detentore "sine titulo" e quindi abusivo del bene altrui, salvo che dimostri di poterne disporne in base ad altro rapporto diverso dal precario”.
Dunque, nel caso in cui il comodatario, nonostante l’espressa richiesta del comodante, non restituisca l’immobile, sarà possibile agire in giudizio, nelle forme previste dall'art. 447 bis c.p.c., che prevede l'applicabilità di talune norme del rito del lavoro. Inoltre, il terzo comma della norma attribuisce al giudice il potere di disporre d'ufficio, in qualsiasi momento, l'ispezione della cosa e l'ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni, sia scritte che orali, alle associazioni di categoria indicate dalle parti.
Non è possibile, purtroppo, formulare previsioni circa i tempi del procedimento, dal momento che questi dipendono essenzialmente dal carico di lavoro e dall’organizzazione dell’ufficio giudiziario competente.
Va segnalato tuttavia che, prima di agire in giudizio, sarà necessario avviare la procedura di mediazione prevista dal D. Lgs. n. 28/2010: il comodato rientra infatti tra le materie per cui la mediazione stessa è prevista come condizione di procedibilità dell’azione. Quella della mediazione potrebbe essere, oltretutto, la sede in cui raggiungere un accordo tra le parti, evitando il ricorso al giudice e l’ulteriore aggravio di spese che ne conseguirebbe.
Da ultimo, occorre precisare che, per avere un quadro completo della situazione (e quindi anche delle possibilità di agire in giudizio per la restituzione del bene), sarebbe necessario leggere il testo del contratto in questione. Bisogna infatti verificare se, al di là della dizione “comodato precario” eventualmente usata dalle parti, dal contratto risulti o meno un “uso” cui la cosa è destinata, come indicato proprio dall’art. 1810 c.c. In proposito la Cassazione civile (Sez. Unite, sentenza 09/02/2011, n. 3168) ha precisato che “il termine finale può, a norma dell'art. 1810 cod. civ., risultare dall'uso cui la cosa dev'essere destinata, in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo; in mancanza di tale destinazione, invece, l'uso del bene viene a qualificarsi a tempo indeterminato, sicché il comodato deve intendersi a titolo precario e, perciò, revocabile "ad nutum" da parte del proprietario”.
Ed ancora, sempre secondo le Sez. Unite (29/09/2014, n. 20448), “il codice civile disciplina due "forme" di comodato, quello propriamente detto, regolato dagli artt. 1803 e 1809 e il c.d. precario, al quale si riferisce l'art. 1810 cod. civ., sotto la rubrica "comodato senza determinazione di durata". E' solo nel caso di cui all'art. 1810 cod. civ., connotato dalla mancata pattuizione di un termine e dalla impossibilità di desumerlo dall'uso cui doveva essere destinata la cosa, che è consentito di richiedere ad nutum il rilascio al comodatario. L'art. 1809 cod. civ. concerne invece il comodato sorto con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale”.

Pasquale P. chiede
mercoledì 05/02/2020 - Puglia
“Con il comodato d' uso gratuito è possibile mandare via inquilino?
Spiego brevemente la questione: i miei genitori sono in possesso di una casa e nel 2010 hanno concesso gratuitamente l'abitazione ad un nostro amico. Ora, da gennaio 2019 precisamente, vogliono ritornare in possesso della casa, ma lui non ne vuole sapere dicendo che non ha ancora trovato nessuna casa oltre la mia... (premetto che l'inquilino non è sposato e non ha figli).
Il comodato d'uso gratuito è stato scritto e firmato da entrambi le parti, ed è depositato al comune di residenza (nel 2010 non era obbligatoria la registrazione all'agenzia delle entrate).
Nel comodato d'uso gratuito c'è scritto: Io sottoscritto (omissis) concedo ad uso gratuito al signor (omissis) Nato a Brindisi il (omissis), mio amico, l'abitazione di via Leopardi per un periodo di tempo determinato, in attesa che trovi una collocazione adeguata alle sue esigenze. A suo carico restano i consumi mensili quali luce, acqua e rifiuti. L'appartamento viene concesso in ottime condizioni imbiancato e nuovo e per tale ragione obbligo il Sig. Mario a restituirlo nelle medesime condizioni.
Come si può tornare in possesso della casa? visto che c'è scritto che viene concesso a tempo determinato (non specificato) e che trovi una collocazione adatta alle sue esigenze?
Ringrazio anticipatamente della risposta.”
Consulenza legale i 07/02/2020
L’art. 1803 del c.c. definisce il comodato come il contratto con cui una parte consegna all'altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il comodato - aggiunge la norma - è essenzialmente gratuito.
Ai sensi dell’art. 1809 del c.c., il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto.
L’art. 1810 del c.c. prevede, invece, una particolare forma di comodato, il cosiddetto “precario”, cioè il comodato senza determinazione di durata.
In particolare, secondo il codice, se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede.
Ora, nel nostro caso, anche se nel testo del contratto di comodato viene utilizzata l’espressione “per un periodo di tempo determinato”, non siamo di fronte ad un vero e proprio termine di durata, in quanto non solo non viene fissato un limite temporale preciso o comunque determinabile, ma la scadenza del presunto “termine” viene di fatto lasciata al puro e semplice arbitrio del comodatario: il quale, peraltro, pare essersi “adagiato” nella sua comoda situazione (un alloggio gratis da tenere finché non ne avrà trovato un altro di proprio gradimento).
Ad avviso di chi scrive, pertanto, il comodato in questione deve ritenersi in realtà, ed a tutti gli effetti, un comodato precario, senza determinazione di durata, con la conseguenza che il comodatario è obbligato a restituire l’immobile a richiesta del comodante.
Il problema ha già trovato soluzione in questo senso nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che “nel contratto di comodato l'obbligo di restituzione non può prescindere dalla fissazione di un termine che, in quanto tale, deve per definizione essere certo nel suo futuro verificarsi. Pertanto, ove il bene (nella specie, immobile adibito ad abitazione) sia stato concesso in comodato con la clausola «fino a quando i comodatari non abbiano reperito un altro alloggio», il termine stabilito è meramente apparente, mancando di qualsiasi concretezza temporale di determinazione, e deve considerarsi come non apposto, con la conseguenza che il rapporto resta regolato dall'art. 1810 c.c., secondo cui quando il comodato è senza determinazione di durata il comodatario è tenuto all'immediata restituzione a richiesta del comodante" (Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 2750/1994).
L’occupante dovrà, pertanto, rassegnarsi ad andarsene.
Per ottenere ciò sarà innanzitutto necessario inviare al comodatario una raccomandata A.R., con cui si comunica la richiesta di restituzione dell’immobile, libero da persone e/o cose, magari spiegando che si tratta di comodato precario ex art. 1810 c.c.
In caso di atteggiamento non collaborativo del comodatario, diverrà inevitabile rivolgersi ad un legale per i passi successivi.
Va ricordato che il comodato rientra tra le materie per cui è prevista la mediazione obbligatoria di cui all’art. 5 del D.lgs. 28 del 2010.

Claudio C. chiede
venerdì 16/02/2018 - Toscana
“salve ho sottoscritto un comodato d uso senza data di scadenza cioè precario il 25 ottobre 2017 come comodatario
il proprietario dei terreni posti in Vicchio località .......in cui è in essere una riserva di tartufi come da attestazione comunale nr... del 25 settembre 2017 prot nr...
cede in comodato
al sig.................. che accetta e si accolla la gestione della tartufaia di cui in premessa e si impegna ad effettuare tutti i lavori necessari per la sua funzionalità conservazione e comunque quelli previsti dal progetto approvato dal comune di Vicchio (fi).vedi attestazione allegata salvo se altri manlevando la proprietà da qualsiasi sanzione, adempimento, responsabilità, costo di qualsiasi natura.i lavori di miglioramento saranno a totale cura del sig .............che se li assume e non potrà pretendere nessun rimborso al rilascio .
ho scritto integralmente l atto .vi chiedo.
1 considerato che nell atto si fa riferimento a lavori da fare previsti nel progetto approvato e che il progetto prevede lavori di conservazione della tartufaia per cinque anni
2 considerato inoltre che l atto fa riferimento all attestazione comunale allegata al contratto di comodato e che tale attestazione scade il 25 settembre 2022
se il comodato da me firmato si può configurare come un comodato che ha scadenza alla scadenza di tale attestazione o se rimane un comodato precario.o se può essere considerato un contratto di affitto visto tutti i lavori che devo fare”
Consulenza legale i 22/02/2018
La disciplina sul termine di durata del comodato e sulla restituzione del bene si ricava dagli artt. 1809 e 1810 del c.c.
In particolare, il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto.
Nel caso del c.d. precario, ovvero del comodato senza determinazione di durata, il comodante potrà esigere in qualsiasi momento la restituzione del bene.
Il termine di durata del vincolo contrattuale può essere esplicito, ossia fissato espressamente dalle parti, oppure implicito, cioè risultare dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata.
In proposito la Cassazione (SS. UU. Civ. 3168/2011) ha precisato che “nel contratto di comodato, il termine finale può, a norma dell'art. 1810 c.c., risultare dall'uso cui la cosa dev'essere destinata, in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo; in mancanza di tale destinazione, invece, l'uso del bene viene a qualificarsi a tempo indeterminato, sicché il comodato deve intendersi a titolo precario e, perciò, revocabile "ad nutum" da parte del proprietario”.
Nel caso in esame la concessione in comodato del terreno è funzionalmente collegata alla gestione della tartufaia autorizzata sullo stesso. Pertanto, pur mancando la previsione esplicita di un termine finale, deve ritenersi che questo coincida con la scadenza dell’attestazione comunale.
Non trattandosi dunque di comodato precario, il proprietario del terreno non ha il diritto di richiederne la restituzione prima di tale scadenza.
Rimane salva in ogni caso la previsione del secondo comma dell’art. 1809 c.c., che attribuisce al comodante la facoltà di esigere la restituzione immediata del bene anche prima della scadenza del termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, qualora sopravvenga “un urgente e impreveduto bisogno” (che il comodante sarà tenuto a provare).
Con riferimento, invece, alla seconda parte del quesito, la previsione nel contratto di una serie di lavori posti a carico del comodatario non incide sulla essenziale gratuità del comodato e non lo trasforma in un contratto di locazione o di affitto, anche perché si tratta di lavori che sono strettamente collegati alla gestione della tartufaia.
D’altra parte, appare illegittima la richiesta del pagamento di un canone, riferita dal cliente in sede di chiarimenti. Infatti, anche a prescindere dalla definizione utilizzata dai contraenti (che potrebbe non essere decisiva), nel contratto non è previsto alcun corrispettivo per il godimento del bene. Peraltro tale richiesta - oltretutto avanzata, come sembrerebbe, per la prima volta a distanza di tempo dalla conclusione del contratto - risulta contraria al principio di buona fede sia in sede di interpretazione (art. 1366 del c.c.) che di esecuzione (art. 1375 del c.c.) del contratto ed al generale dovere di correttezza nell’adempimento delle obbligazioni (art. 1175 del c.c.).

N. D. chiede
sabato 16/12/2017 - Sicilia
“Premesso che sono stato dipendente statale per 40 anni e quindi per il mio ruolo non potevo avere o gestire società, ma avendo fatto il nautico e uno studio tecnico sulle imbarcazioni ho sempre disegnato e progettato barche da oltre 20 anni. Circa 23 anni fa con mio fratello minore di qualche anno, ci siamo imbattuti in questa avventura nella costruzione di imbarcazioni da diporto fino a 8,50 metri. Essendo io impossibilitato ad essere socio mio fratello costituì una ditta individuale. Io lo aiutai coi miei proventi e così acquistammo un terreno coi miei soldi ma lo cointestai a lui per dargli quello sprono al lavoro. Poi costruimmo un piccolo capannone di 500 metri sempre coi miei soldi ma è del tutto evidente che con la comproprietà del terreno eravamo comproprietari anche dell'immobile. nel frattempo io disegnavo imbarcazioni e l'azienda cresceva. nel 2007 studiando i fondi comunitari riesco ad intercettare un azione della comunità economica che aiutava i cantieri e così costruimmo un nuovo capannone ma dovendo esserci una azienda presentai la "Individuale" chiesi a mio fratello come avremmo fatto per dividere un giorno i due beni e mi rispose che non c'erano problemi perché lui era cosciente che senza il mio aiuto economico e strutturale non sarebbe mai potuto arrivare li. Bene oggi sono in pensione con mia moglie abbiamo fatto un nuova società e da due anni lavoriamo (crisi a parte) e mio fratello pur essendo ufficialmente proprietario del nuovo immobile e del 50% del vecchio è stato da noi assunto come capo cantiere e abbiamo lavorato fino a due mesi fa. Quando io gli ho proposto di dividere i due immobili nel senso uno va a te e uno a me visto che siamo insieme da 20 anni , lasciando a lui la scelta dell'immobile visto che sul nuovo grava ancora un mutuo di 200 mila euro e sul vecchio nulla, Lui ha scelto il vecchio, e così è andato al vecchio capannone sistemando un po le cose per iniziare una nuova attività insieme a me. Così è stato per un mese circa. C'è da dire che mio fratello ha il 99% di quote del nuovo capannone e mia moglie l'1%, alla mia richiesta di passarmi le quote e io avrei fatto l'atto di proprietà del vecchio a lui mi ha risposto che è tutto suo e che non mi passerà un fico secco. Noi che con la nuovo società lavoriamo senza contratto di affitto con lui sul nuovo capannone nel contempo avevamo cambiato serrature e tutto ciò che serviva in quanto lui con la scusa di venire a salutare gli operai si è appropriato di circa 20 mila euro di merce non sua ma della società di mia moglie. Adesso Le chiedo in considerazione che lui ha lavorato nella società di mia moglie per due anni regolarmente assunto e noi siamo stati nel nuovo capannone e continuiamo a starci per completare il ciclo della nostra lavorazione, ed in considerazione del fatto che siamo stati li senza un regolare contratto ma con un tacito assenso visto che anche se non sulla carta ma di fatto siamo comproprietari, visto che lui nel frattempo sta lavorando nel vecchio capannone dove io sono ufficialmente comproprietario e anche lui li ha cambiato tutte le serrature può buttarci fuori così sic ed impliciter come se nulla fosse??. Vorrei ricordare a me stesso che lui mi ha sottoscritto un documento davanti al notaio che mi dei devi soldi per la costruzione del nuovo capannone, posso procedere a pignorare le sue quote. Dimenticavo di dire che la società dove è inserito il nuovo capannone e le attrezzature tra crediti e debiti vale 56 mila euro e il suo debito nei miei confronti è di 50 mila euro più interessi si arriva a circa 56 mila dal 2008 ad oggi. Sono sconvolto perché credevo che queste cose accadessero solo nei film e invece sono reali , grazie della risposta.”
Consulenza legale i 02/01/2018
Da quanto è dato desumere dalla lettura del caso, non sembra possano sussistere i presupposti per una soluzione concordata tra le parti, la sola che in effetti consentirebbe di evitare di perdere tempo e risorse economiche al fine di sistemare la situazione patrimoniale tra fratelli.

Gli aspetti di questa vicenda che si ritiene di dover inquadrare giuridicamente onde tentare di garantirsi un miglior risultato in sede processuale sono:
1. stabilire a che titolo il capannone ove si svolge la propria attività lavorativa può considerarsi detenuto;
2. individuare le strategie e gli strumenti giuridici più adatti per tentare di riprendersi ciò che nel corso degli anni ha condotto ad un incremento del solo patrimonio del fratello.

Dati di fatto di cui si terrà conto nel proporre una soluzione e risultanti dalla esposizione che ne viene fatta sono:
a) che il terreno ed il primo capannone risultano allo stato attuale intestati ad entrambi i fratelli (si dice “Io lo aiutai coi miei proventi e così acquistammo un terreno coi miei soldi ma lo cointestai a lui per dargli quello sprono al lavoro. Poi costruimmo un piccolo capannone di 500 metri sempre coi miei soldi ma è del tutto evidente che con la comproprietà del terreno eravamo comproprietari anche dell'immobile”).
b) che colui che pone il quesito vanta nei confronti del fratello un credito pari a 50 mila euro oltre interessi, e che tale credito risulta da un documento sottoscritto innanzi ad un notaio (si dice “Vorrei ricordare a me stesso che lui mi ha sottoscritto un documento davanti al notaio che mi deve dei soldi per la costruzione del nuovo capannone”).

Posto ciò, il primo obiettivo da raggiungere è quello di non vedersi allontanati arbitrariamente dall’immobile dove viene esercitata la propria attività, nel quale ci si trova senza alcun titolo.

In situazioni del genere, unica figura contrattuale che può assurgere a valido titolo per la detenzione dell’immobile è senz’altro il comodato d’uso gratuito, contratto a forma libera, che le parti possono concludere anche oralmente, manifestando la propria volontà in modo espresso o tacito.

Trattandosi di un contratto definito “reale”, per il suo venire ad esistenza è sufficiente la consegna della cosa, ciò che in questo caso è chiaramente e spontaneamente avvenuto, svolgendo addirittura il comodante (l’atro fratello) attività lavorativa in quel luogo.

Si ritiene opportuno precisare che quando si parla di comodato, si dà per presupposto che il suo oggetto sia costituito dal bene immobile, il capannone, e non dall’azienda, poiché in quest’ultimo caso occorrerebbe rispettare il disposto di cui all’art. 2556 c.c., il quale esige in ogni caso la forma scritta ad probationem.

Passando adesso all’aspetto che più interessa di questa fattispecie, ossia la durata, va detto che ogni ragionamento va condotto sulla base del disposto di cui all’art. 1810 c.c., il quale prevede che qualora (come in questo caso) non sia stato convenuto un termine, il comodatario è tenuto a restituire la cosa non appena il comodante la richiede.
Ma la stessa norma prevede che tale regola della c.d. restituzione ad nutum vale qualora si verifichi un’altra condizione, ossia che un termine, seppure implicito, non possa farsi risultare dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata.

In tal senso possono citarsi Trib. Savona, 31 Gennaio 2002 e Cass. civ., Sez. III, 16/01/2006, n. 704, nelle quali viene esplicitamente detto che, in tema di durata del comodato, l'esclusione della stipulazione con clausola di restituzione "ad nutum" può desumersi, oltre che dall'espressa determinazione della durata, anche indirettamente, cioè sulla base dell'uso cui la cosa è destinata ed in particolare di elementi obiettivi ad essa correlati, quali la sua natura, l'attività professionale del comodatario e gli interessi e le utilità perseguite dai contraenti.

Nel nostro caso sembra evidente che la durata del rapporto di comodato sia ricollegabile allo svolgimento di una attività aziendale all’interno di quell’immobile, pertanto all’obbligo del comodatario di servirsi dell’immobile per l’uso determinato dalla sua natura (art. 1804 c.c.), corrisponde l’obbligo del comodante di permettere al comodatario il godimento della cosa e di astenersi da ogni turbativa di fatto e di diritto derivanti da atti di disposizione del bene, almeno fin quando vi verrà svolta un’attività economica.

Ciò consente di poter affermare che al comodante non sarà consentito in alcun modo di cambiare sic et simpliciter la serratura della porta di accesso all’immobile, dovendo formalmente richiedere la riconsegna del bene qualora ne ricorrano i presupposti previsti dallo stesso codice civile (si veda art. 1809 comma 2 c.c.); un comportamento contrario darà senza alcun dubbio la possibilità di reagire giudizialmente, sia sotto il profilo civile che penale.

Per quanto concerne gli strumenti giuridici che si ritiene opportuno predisporre al fine di tentare di recuperare per quanto possibile ciò di cui si vuole indebitamente appropriare suo fratello, intanto si consiglia di avvalersi immediatamente del procedimento per ingiunzione di pagamento onde recuperare la somma di 50 mila euro datagli in prestito (sussiste, infatti, la principale condizione per potersi avvalere di tale procedura, ossia una prova scritta del credito).

Una volta ottenuto il decreto ingiuntivo, si suggerisce di instaurare un procedimento per divisione giudiziale dei beni di cui si è comproprietari, e ciò sulla base del disposto di cui all’art. 1111 c.c., norma che riconosce a ciascuno dei partecipanti alla comunione di domandare in qualsiasi momento lo scioglimento di essa.

Trattandosi di procedimento disciplinato dagli artt. 784 e ss. c.p.c. , per il quale è prevista la mediazione obbligatoria (la Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali è attualmente disciplinata dal D. Lgs. 28/2010), sarebbe auspicabile tentare di giungere, in sede di mediazione, ad un accordo transattivo in forza del quale prevedere:
a) l’attribuzione in favore di chi ha posto il quesito della proprietà esclusiva del primo capannone, di cui si è comproprietari in ragione di metà indivisa ciascuno, e ciò in applicazione di quanto prevede l’art. 720 c.c., norma dettata in materia di divisione ereditaria ma applicabile alla divisione ordinaria ex art. 1116 c.c.
b) la compensazione totale o parziale dell’eccedenza dovuta (ossia della metà del valore dell’immobile) con la somma di cui si è creditori e per la quale si sarà nel frattempo ottenuto decreto ingiuntivo.

Contestualmente e separatamente si potrebbe stipulare un preliminare di permuta, con il quale ci si obbliga reciprocamente tra fratelli a permutare la proprietà dei due capannoni (avendo adesso ciascuno la proprietà di un singolo capannone).

Ovviamente le soluzioni prospettate non possono che essere formulate in termini puramente ipotetici, non avendosi contezza di quello che può essere il valore di ogni singolo capannone; inoltre, deve sottolinearsi che, data la complessità della situazione, qualunque soluzione venga attualmente proposta, necessita di essere perfezionata e modellata all’evoluzione della vicenda.

Giovanni M. chiede
sabato 21/03/2015 - Campania
“Sono un promotore finanziario, nell'ambito del rapporto di agenzia con la mandante ho ricevuto da questa un personal computer a titolo di comodato gratuito ai sensi degli art 1803 e seguenti c.c. A giugno 2014 ho esercitato il recesso dal contratto di agenzia con preavviso, trasformato successivamente dalla mandante, in recesso per giusta causa, senza mai motivare le presunte ragioni della giusta causa,ormai da 9 mesi.
La mandante non mi ha pagato le provvigioni maturate ed altre indennità che mi spettavano per oltre 10.000,00 €.
Nell'ambito del comodato d'uso, la mandante, con specifica pattuizione, prevedeva che in caso di mancata consegna del personal computer , essa era autorizzata a compensare l'importo di €1.500,00 a titolo di penale , con le provvigioni o da qualsiasi altra somma , da essa dovuta a me, con il predetto importo di €1.500,00.
Poiché a tutt'ora la mandante non ha provveduta a pagare nulla di quanto dovuto e da me specificamente richiesto, vorrei sapere se posso trattenere il p.c. senza incorrere in una denunzia per appropriazione indebita , avendo ricevuto dalla mandante richiesta di riconsegna del p.c.
Ringrazio anticipatamente per l'attenzione. Avrei urgenza di risposta.”
Consulenza legale i 24/03/2015
Nel caso di specie, è evidente che sono stati conclusi due contratti distinti, anche se connessi da uno scopo comune: un contratto di agenzia e uno di comodato. Si può sostenere che il termine del contratto di comodato sia connesso allo scopo per cui il computer è stato dato all'agente, quindi che esso produca effetti fintantoché egli svolga l'attività demandata dal preponente.

Alla luce di questa ricostruzione della fattispecie, si deve innanzitutto escludere che possa opporsi all'ex mandante l'eccezione di inadempimento (art. 1460 del c.c.: "Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto") che presuppone un contratto a prestazioni corrispettive: nel nostro caso, invece, la restituzione del pc non costituisce una prestazione dovuta dall'agente come obbligazione nascente dal contratto di agenzia, poiché deriva dal diverso ed autonomo contratto di comodato.

Inoltre, il recesso dal contratto di agenzia è stato operato dall'agente stesso, e quindi non si potrebbe neppure argomentare nel senso di ritenere il rapporto di agenzia ancora in vita (contestando un eventuale recesso del preponente), per sostenere poi la tesi che il contratto di comodato collegato è ancora efficace, visto che lo scopo per cui il bene venne dato all'agente sarebbe ancora sussistente (l'art. 1809 dice che il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto).

Interessante potrebbe essere valutare l'ipotesi di un diritto di ritenzione in capo all'ex agente. Tale diritto consiste, in generale, nella facoltà concessa al creditore di trattenere il bene oggetto della prestazione effettuata, al fine di forzare psicologicamente il debitore non adempiente ad eseguire la relativa controprestazione.

La legge però non disciplina unitariamente e genericamente questo diritto, ma lo prevede solo in alcuni specifici casi: ad esempio, il possessore di buona fede può ritenere la cosa finché non gli siano corrisposte le indennità dovute, purché queste siano state domandate nel corso del giudizio di rivendicazione e sia stata fornita una prova generica della sussistenza delle riparazioni e dei miglioramenti (art. 1152 del c.c.).
Il diritto di ritenzione è pertanto esercitabile solamente nei casi tassativamente elencati dal legislatore, e quindi è vietato applicarlo analogicamente a casi simili.
I crediti dell'agente non sono espressamente tutelati da un diritto di ritenzione.

Risultano, invece, privilegiati ai sensi del secondo comma dell'art. 2761 i crediti derivanti dall'esecuzione del mandato, sulle cose del mandante che il mandatario detiene per l'esecuzione del mandato. Ai sensi del terzo comma dell'art. 2756, richiamato dall'ultimo comma dell'art. 2761, il creditore può ritenere la cosa soggetta al privilegio finché non è soddisfatto del suo credito e può anche venderla secondo le norme stabilite per la vendita del pegno.
Di norma il rapporto di agenzia non presuppone un rapporto di mandato - l'agente si limita a promuovere la conclusione di contratti, mentre il mandatario deve compiere atti giuridici - ma si può verificare, nel caso di specie, se sia configurabile anche un contratto di mandato sottostante a quello dell'agente, nel qual caso potrebbe operare il diritto di ritenzione.

Se si esclude l'esistenza di un rapporto di mandato, appare concreto nella vicenda in esame il rischio di ricadere nella fattispecie a rilevanza penalistica della appropriazione indebita (art. 646 del c.p.), che però, va ricordato, è reato procedibile a querela della parte offesa, da presentarsi entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato, ex art. 124 del c.p. (nel nostro caso, entro tre mesi dalla richiesta scritta della restituzione).
In questo caso, sarebbe consigliabile ottemperare alla richiesta di restituzione del pc, facendo valere sul piano giudiziale il diritto ad ottenere il pagamento di indennità e provvigioni dovute, maggiorate di interessi e rivalutazione monetaria.

Giovanni P. P. chiede
mercoledì 18/02/2015 - Estero
“il diritto di godimento gratuito a vita di un immobile stabilito e sentenziato in sede di accordo divorziale, può essere interpretato come comodato d’uso gratuito revocabile in base all’articolo 1810cc?”
Consulenza legale i 24/02/2015
In linguaggio tecnico, il diritto menzionato nel quesito è quello nascente dall'assegnazione della casa coniugale con provvedimento del giudice: presupposti sono la presenza di figli minori o maggiorenni non economicamente indipendenti, in quanto la finalità dell'istituto è tutelare l'esclusivo interesse morale o materiale della prole alla conservazione della comunità domestica.

In assenza di una norma che dica chiaramente qual è la natura di tale diritto, gli studiosi si sono divisi tra diverse ipotesi, tra cui le principali sono:
1. è un diritto reale (come un diritto di abitazione, ad esempio);
2. è un diritto di godimento paragonabile a quello del comodatario;
3. è un semplice diritto personale di godimento.

La tesi del diritto reale non è perlopiù accolta dalla giurisprudenza, perché - con estrema semplificazione - essa avrebbe delle conseguenze molto significative sulla circolazione e sulla disponibilità degli immobili.

Alcuni autori sono allora ricorsi allo schema del comodato a tempo determinato, art. 1803 del c.c., la cui durata sarebbe determinabile per relationem, e cioè finché non mutano le condizioni che hanno determinato l'attribuzione del diritto di godimento. Questa tesi attribuisce al coniuge assegnatario la posizione di comodatario, avente il diritto personale di servirsi della casa adibita a residenza familiare fintanto che i figli a lui affidati non escano definitivamente dal nucleo familiare.
Anche in questo caso la giurisprudenza e il resto della dottrina hanno escluso l'applicabilità di questa tesi, perché il rapporto di comodato ha un carattere essenzialmente gratuito, mentre il diritto dell'assegnatario della casa coniugale ha natura onerosa (basti pensare, ad esempio, che nella determinazione dell'assegno familiare di mantenimento a carico del coniuge, va decurtato il valore del corrispettivo economico per il godimento dell'immobile adibito a residenza familiare).

Sembra poi assolutamente inapplicabile la norma che prevede per il comodante il diritto di chiedere la restituzione dell'immobile dato in comodato a tempo determinato se, durante il termine convenuto, o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente ed impreveduto bisogno al comodante (art. 1809, secondo comma c.c.). Nell'assegnazione della casa coniugale, la fonte del diritto non è un contratto, ma un provvedimento giudiziale, e di conseguenza non è ammesso che il coniuge proprietario della casa ottenga la restituzione del bene prima che siano venuti meno i presupposti che hanno giustificato l'assegnazione all'altro coniuge. In altre parole, il coniuge proprietario, per vedersi restituire l'immobile, dovrà chiedere un provvedimento di revoca dell'assegnazione al giudice competente. Quindi, se non si ritiene applicabile l'art. 1809, a maggior ragione non si può reputare applicabile l'art. 1810 del c.c..

Ciò chiarito, si spiega come la tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza sia quella che inquadra la posizione del coniuge assegnatario nell'ambito dei diritti personali di godimento, con alcuni caratteri di atipicità.
La posizione della giurisprudenza di legittimità è ben espressa nel seguente brano tratto dalla sentenza della Cassazione civile, Sezioni Unite, 26.07.2002 n. 11096: "Nella molteplicità delle posizioni dottrinali, orientate ora per la configurabilità di un comodato dalla durata determinata per relationem, con riferimento al venir meno delle condizioni fattuali inducenti all'assegnazione, e quindi fortemente mutilato dei propri profili distintivi, come quello relativo all'obbligo di restituzione nei casi di cui agli articoli 1804 comma 3 e 1809 comma 2 c.c., ora per la ravvisabilità di una locazione costituita per effetto di un provvedimento giudiziale, pur mancante dell'elemento essenziale del corrispettivo per l'utilizzazione dell'immobile, ora per la individuazione di un diritto personale sui generis, ora per un diritto personale di godimento a titolo di mantenimento dovuto ai figli ed al coniuge separato, ora infine per un diritto personale di godimento variamente segnato da tratti di atipicità, la giurisprudenza di questa Suprema Corte si espresse per la qualificazione della fattispecie quale diritto personale di godimento, del quale non mancò di evidenziare la atipicità, e su tale posizione è tuttora attestata (Cassazione 529/88; 7680/97; 11508/93; 13126/92; 11424/92; 4016/92; 6348/91; 4420/88)".

Giovanni P.P. chiede
giovedì 12/02/2015 - Estero
“Il bene dato in comodato... esempio un appartamento... può essere sub-affittato dal comandatario? nel contratto di comodato si può prevedere la facoltà di affittare il bene dato in comodato a terzi?
grazie.”
Consulenza legale i 16/02/2015
Il comodato è un contratto consensuale e ad efficacia obbligatoria, con cui una persona (comodante) consegna una cosa ad un'altra (comodatario) perché se ne serva per un certo tempo e per un uso determinato, con l'obbligo di restituirla. E' disciplinato dagli artt. 1803 ss. c.c.

Il comodatario riceve il bene in detenzione e non in possesso (ricordiamo che il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, v. art. 1140 c.c.; la detenzione è il potere di mero fatto esercitato su una cosa da un soggetto, detto detentore, che non ha l'intenzione di compiere un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale).

Come ricordato dalla giurisprudenza, ad esempio dalla Corte di Cassazione con sentenza SS.UU. 4.7.2012 n. 11135, la concessione in locazione di un immobile non costituisce un atto esclusivo del proprietario, "potendo legittimamente assumere veste di locatore anche colui che abbia la mera disponibilità del bene medesimo (Cass. n. 14395 dei 2004), sempre che tale disponibilità sia determinata da titolo non contrario a norme d'ordine pubblico (Cass. n. 4764 del 2005; Cass. n. 8411 del 2006; Cass. n. 12976 del 2010)".

Quindi, è ammesso che anche il comodatario possa concedere in locazione l'immobile oggetto del contratto di comodato (Cass. civ., sez. III, 31.5.2010 n. 13204 ha stabilito che "Chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, e quindi anche il comodatario, il quale ne ha la detenzione qualificata, può, salvo che non vi ostino specifiche previsioni pattizie, concedere il bene in locazione").
Egli non lo può però fare all'insaputa del proprietario. Difatti, poiché per il comodatario vige l’obbligo di servirsi del bene per l’uso determinato (artt. 1803-1804 c.c.), egli non può usarlo per scopi differenti non concordati con il comodante.
Di conseguenza, è pacificamente ammesso che nel contratto di comodato si possa prevedere la facoltà di affittare (tecnicamente: dare in locazione) il bene immobile dato al comodatario.

Da un punto di vista fiscale (a chi vanno imputati i redditi provenienti dal canone di locazione?), va ricordato che i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare "il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, salvo quanto stabilito dall’art. 33, per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso" (così Agenzia delle Entrate, con risoluzione del 14 ottobre 2008 n. 381). Pertanto, anche nel caso in cui il comodatario stipuli, quale locatore, un contratto di locazione, "la titolarità del reddito fondiario non viene trasferita dal proprietario-comodante al comodatario-locatore, per cui il reddito effettivo del fabbricato deve essere imputato, anche in quest’ipotesi, al proprietario dell’immobile" (risol. 381/2008 cit.).

LUCA T. chiede
sabato 07/02/2015 - Sicilia
“Buonasera.
Ho acquistato un terreno agricolo con regolare rogito a Luglio 2013. All'atto dell'acquisto sul terreno non esistevano servitù e/o prelazioni ma solo un comodato d'uso tra il venditore e il mio vicino. Tale scrittura privata (non registrata) sanciva che in qualsiasi momento il terreno andava sgomberato. All'atto del mio acquisto, essendo inizialmente intenzionato a dare una piccola parte del terreno ai vicini, non ho inviato nessuna lettera di sgombero o rivendicazione al vicino etc...
Poiché la trattativa di compravendita con il mio vicino poi non è andata a buon fine, ora lui per dispetto continua a stendere i propri indumenti sul mio terreno utilizzando due pali con filari che aveva installato in passato in forza del comodato d'uso gratuito.
Ora, visto che i ripetuti ammonimenti verbali non hanno sortito effetti, volevo inviare una lettera di diffida invitandoli a rimuovere questi due pali, ogni eventuale bene di loro proprietà e di non introdursi più nel mio terreno (per stendere i panni appunto).
Il mio quesito è:
1) possa inviarla io la diffida o è meglio un avvocato?
2) Nel caso entro il termine stabilito non provvedano a quanto intimato, come devo procedere?
3) Visto che ho già richiesto autorizzazione al Comune per la recintazione, attendo che possa recintare per poi inviare la diffida?
4) Suggerite di inviare la lettera di diffida anche per conoscenza agli organi di polizia?”
Consulenza legale i 11/02/2015
Nella vicenda in esame, visto il tenore della clausola contenuta nel contratto di comodato ("sanciva che in qualsiasi momento il terreno andava sgomberato"), questo appare qualificabile come comodato precario ai sensi dellart. 1810 del c.c. ("Se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede").

Ciò premesso, va compreso se il contratto di comodato si sia sciolto al momento del trasferimento della titolarità del terreno nel luglio 2013 o se invece lo stesso sia stato oggetto di una cessione al nuovo proprietario.

Nel primo caso, il vicino non avrebbe alcun titolo per introdursi nel terreno confinante a stendere i panni: pertanto, il proprietario avrebbe certamente diritto a chiedere l'interruzione di ogni atto che leda il suo diritto di proprietà.
Nel secondo caso, invece, l'acquirente del terreno, nuovo comodante, potrebbe in qualsiasi momento chiedere al comodatario di sgomberare il terreno, in forza del contratto che gli concede tale facoltà.

Il dubbio che può legittimamente sorgere concerne la possibilità che il vicino abbia usucapito una servitù di accesso al fondo contiguo per lo stendere i panni.
L'esistenza del contratto scritto di comodato sembra poter scongiurare il verificarsi di una tale eventualità.
Infatti, la presunzione del possesso in colui che esercita un potere di fatto di fatto sulla cosa non opera, a norma dell’art. 1141c.c., quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario di apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore (ad esempio, un contratto che concede un diritto personale di godimento): poiché egli adotta comportamenti concessi dal proprietario, e non contrari alla sua volontà, la sua è qualificabile come detenzione semplice o precaria e non come possesso in senso tecnico. La giurisprudenza di legittimità ha sancito che anche l’attività di colui il quale continua a disporre della cosa dopo il venir meno del rapporto che giustificava l’anteriore disponibilità rimane qualificabile come detenzione (v. Cass. civ, sez. II, 18.12.1993, n. 12569; Cass. civ., sez. II, 22.1.1994, n.622). Con sentenza della sez. II civile, 15.03.2005 n. 5551, la Cassazione ha stabilito che "occorre, quindi, per la trasformazione della detenzione in possesso, un mutamento del titolo che non può aver luogo mediante un mero atto di volizione interna, ma deve risultare dal compimento di idonee attività materiali di specifica opposizione al proprietario-possessore (cfr. Cass. civ., sez. II, sent 4 dicembre 1995, n. 12493), quale, ad esempio, l’arbitrario rifiuto alla restituzione del bene (cfr. Cass. civ. sent. 19 maggio 1982, n. 3086), e non soltanto da atti corrispondenti all’esercizio del possesso, che di per sé denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (cfr. Cass. civ., sez. II, sent. 20 maggio 2002, n. 7337)".
Quindi, nel nostro caso, poiché il vicino ha da sempre compiuto la sua attività in qualità di comodatario, egli non avrebbe potuto nel contempo usucapire un diritto di servitù, mancando l'elemento costitutivo del possesso.

Quanto alle domande elencate nel quesito, si può dire:
1. La diffida è un atto di natura stragiudiziale e pertanto non deve necessariamente essere formulata da un avvocato. Certo è, tuttavia, che la lettera firmata da un legale conferisce un tono più perentorio alla richiesta e consente di utilizzare nel caso concreto espressioni giuridiche congrue, che - legittimamente - il comune cittadino potrebbe non conoscere;
2. Se la controparte non ottempera alla richiesta entro il termine concesso, si può agire immediatamente con azione di manutenzione ex art. 1170 del c.c., volta alla cessazione della turbativa del possesso di un immobile. La turbativa è qualsiasi fatto che costituisce molestia del possesso altrui, quale certamente è l'accesso del vicino sul proprio fondo per stendere i panni. L'azione di manutenzione può essere intrapresa solo entro l'anno dall'inizio della turbativa, inteso come momento in cui è stato posto in essere l'ultimo atto di molestia (laddove le plurime condotte siano ciascuna idonea ad integrare la turbativa richiesta dalla norma, come ci sembra nel caso di specie).
3. E' consigliabile iniziare da subito l'iter di sgombero del terreno, senza attendere l'autorizzazione del Comune. Casomai, nella lettera al vicino sarà possibile informarlo dell'imminente chiusura del fondo, proprio in forza di autorizzazione pubblica che si presume sarà concessa.
4. Non appare necessario che gli organi di polizia siano informati, poiché - in base a quanto descritto nel quesito - la controversia sembra avere allo stato attuale rilevanza esclusivamente civilistica.

2c I. chiede
giovedì 10/03/2011 - Lombardia
“Buongiorno,

in base a questo articolo che frase possiamo scrivere nel contratto di comodato sotto il punto "Durata"?
Ringraziamo
Saluti”
Consulenza legale i 11/03/2011

La clausola potrebbe avere il seguente tenore: “Il presente comodato è di natura precaria e si intende stipulato dalle parti senza determinazione di durata con decorrenza dal ____________.

Al comodatario è riconosciuto lo ius detentionis fino a quando il comodante non eserciti la facoltà, ai sensi dell’art. 1810 del c.c., di chiedere la restituzione del bene in qualsiasi momento, dandone preavviso al comodatario mediante lettera raccomandata A.R.”


Adriano M. chiede
giovedì 02/12/2021 - Friuli-Venezia
“Avrei bisogno di sapere se esiste un modo per dare una scadenza ad una scrittura privata, che non ce l'ha, sottoscritta circa 9 anni fa da me mia madre e mio fratello e avente per oggetto la vendita di un immobile di proprietà. Mia madre si trova nella situazione di dover monetizzare ma la scrittura privata, in tal senso, è vincolante.....io non ho nulla da eccepire alle richieste di mia madre ma mio fratello (con il quale i rapporti si sono deteriorati nel tempo e vive nell'immobile oggetto della scrittura privata mentre io e mia madre abbiamo preso casa in affitto), anche se a parole anche scritte si rende disponibile, di fatto ha convenienza che la casa resti invenduta. C'è la possibilità di inviarvi dei file con scrittura privata e considerazioni in merito in modo che abbiate chiara una situazione che, seppur spiegabile in poche righe, in effetti va valutata più attentamente?”
Consulenza legale i 12/12/2021
La scrittura privata a cui si fa riferimento in realtà non necessita di apposizione di un termine.
Analizzando il suo contenuto, infatti, ci si può rendere conto del fatto che per mezzo di essa le parti hanno soltanto inteso regolare gli effetti che una futura e potenziale vendita, relativa agli immobili ivi contemplati e di cui sono comproprietari, è destinata a produrre inter partes, ossia tra le stesse parti che hanno aderito a quella convenzione.
Pertanto, più che ad un termine, la medesima deve intendersi sottoposta ad una condizione sospensiva di efficacia, e precisamente alla condizione che la proposta di vendita in essa contenuta sia accettata da un potenziale e futuro acquirente.

Peraltro, l’assenza di un termine nel caso di specie non si pone in contrasto con alcun divieto normativo, in quanto il legislatore ha solo posto un limite al patto di rimanere in comunione (il quale, ex art. 1111 del c.c., non può avere effetto per un termine maggiore di dieci anni) ed al c.d. divieto di alienazione di cui all’art. 1379 del c.c. (il quale ha effetto solo tra le parti e non è valido se non contenuto entro apprezzabili limiti di tempo).
Qui, al contrario, le parti hanno manifestato la concorde volontà di alienare (e, dunque, di porre in tal modo fine allo stato di comunione), disciplinando nel contempo gli effetti che da tale vendita se ne dovranno far discendere, in particolare per ciò che concerne le modalità di distribuzione del prezzo ed il riconoscimento del diritto a rimborsi.

Neppure si può parlare di un termine di prescrizione degli accordi scaturenti da tale scrittura, in quanto, anche a voler sostenere che per essa, in assenza di un termine specifico, debba valere il termine di prescrizione ordinaria fissato dall’art. 2946 del c.c. (pari ad anni dieci), in ogni caso troverebbe applicazione quanto disposto dall’art. 2935 del c.c., secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (in questo caso, come prima si è accennato, ogni diritto scaturente dalla scrittura privata in esame deve intendersi sottoposto alla condizione sospensiva che la proposta di vendita in essa contenuta sia accettata da un potenziale acquirente).

Continuando nell’analisi della scrittura privata, un’altra parte che viene in particolare rilievo è il disposto di cui all’art. 11, ove è detto quanto segue:
Fino a quando l’immobile non verrà venduto, nel caso in cui un comproprietario decidesse di rilasciarlo, egli manterrà sempre il diritto di accedervi o di farvi ritorno in modo stabile nel rispetto dei diritti degli altri comproprietari”.
Ebbene, nel caso di specie sembra che si sia verificato proprio quanto previsto dalla suddetta clausola, in quanto nel quesito si dice che solo uno dei comproprietari (il fratello) vive nell’immobile.
Si tratta, dunque, di dare un inquadramento giuridico al rapporto che si è venuto a creare tra le parti in relazione al godimento degli immobili, il quale si ritiene che possa ricondursi ad un contratto di comodato precario (ossia senza determinazione di tempo), con conseguente applicabilità sia della disciplina inerente a tale contratto (artt. 1803 e ss. c.c.) sia di quella relativa alla comunione in generale (artt. 1100 e ss. c.c.).

In particolare, per ciò che concerne il rapporto di comodato, trattandosi come si è detto di comodato senza determinazione di durata, si potrà invocare l’applicazione dell’art. 1810 del c.c., in forza del quale la parte comodataria (ossia il fratello e la sua famiglia) è tenuta a restituire l’immobile non appena la parte comodante ne fa richiesta.
Conforme alla disciplina del comodato, ed in particolare all’art. 1808 del c.c., risulta anche la clausola contenuta all’art. 12 della scrittura, volta a regolare le spese relative all’immobile nel caso in cui uno dei comproprietari dovesse avere di fatto in modo stabile l’utilizzo esclusivo o prevalente di esso.

Sotto il profilo della disciplina dettata in tema di comunione ordinaria dei beni, trova particolare applicazione, per ciò che qui interessa, l’art. 1102 del c.c., norma in forza della quale viene riconosciuto a ciascuno dei partecipanti alla comunione il diritto di servirsi della cosa comune “purchè non….impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”.
Nel caso di specie è pur vero che, in conformità a quanto previsto al terzo comma dello stesso art. 1102 c.c, il fratello ha esteso il suo diritto sull’intera cosa comune in forza di un mutamento del titolo del suo possesso (ovvero a seguito del venire ad esistenza di un rapporto di comodato, a cui gli altri comunisti hanno prestato il loro consenso e per il quale si evidenzia non è richiesta alcuna forma scritta), ma è anche vero che se gli altri comproprietari (la madre e l’altro fratello) dovessero avanzare richiesta di restituzione dell’immobile, prenderebbe nuovamente vigore il disposto del primo comma dell’art. 1102 c.c., di cui si potrà invocare l’applicazione.

Legittima, poi, si ritiene la pretesa suggerita dal legale di controparte di dare un preavviso di 48 ore all’attuale detentore dell’immobile per accedervi, trattandosi di fare accesso presso il domicilio altrui e potendo in tal senso mutuarsi la disciplina dettata in tema di locazione.

Volendo a questo punto trarre le conclusioni, sulla scorta delle considerazioni fin qui svolte, si suggerisce quanto segue:
a) se si ha intenzione di voler recuperare il possesso promiscuo dell’immobile, è opportuno inviare formale richiesta di restituzione dello stesso al fratello occupante (diritto espressamente riconosciuto al comodante dall’art. 1810 c.c. nel caso di comodato senza determinazione di tempo)
b) qualora il fratello dovesse opporsi alla restituzione volontaria dell’immobile, si rende purtroppo necessario instaurare un ordinario giudizio di cognizione, volto ad ottenere una sentenza da poter mettere in esecuzione per il rilascio forzato dello stesso immobile;
c) non ci si può opporre nel frattempo alla richiesta di preavviso per accedere all’immobile;
d) ci si può intanto mettere alla ricerca di un potenziale acquirente, essendo ancora valida la scrittura privata sottoscritta nove anni fa e le cui pattuizioni dovranno essere osservate qualora si addivenga al trasferimento del bene;
e) qualora non dovesse verificarsi nessuna delle situazioni sopra prospettate, ci si potrà pur sempre avvalere del disposto di cui all’art. 1111 del c.c., norma che consente a ciascuno dei partecipanti alla comunione di richiedere in qualsiasi momento lo scioglimento della stessa, facendo eventualmente ricorso alla divisione in forma giudiziale (anziché consensuale).

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