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Articolo 2556 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Imprese soggette a registrazione

Dispositivo dell'art. 2556 Codice Civile

Per le imprese soggette a registrazione [2195, 2560] i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda [2565, 2573] devono essere provati per iscritto [2725], salva l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto(1).

I contratti di cui al primo comma, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o autenticante [2188](2).

Note

(1) La forma scritta è richiesta ad probationem, ossia quale mezzo di prova del contratto.
Essa non è richiesta per il trasferimento di una azienda di piccolo commercio o di una azienda mobiliare.
(2) Comma così sostituito dall'art. 6, L. 12 agosto 1993, n. 310, che ha dettato norme per la trasparenza nella cessione di partecipazioni e nella composizione della base sociale della società di capitali.

Ratio Legis

La cessione dell'azienda ha carattere unitario ed importa il trasferimento al cessionario di tutti gli elementi costituenti l'«universitas», senza necessita di una specifica pattuizione nell'atto di trasferimento.

Spiegazione dell'art. 2556 Codice Civile

Il trasferimento dell'azienda consiste nel trasferimento della posizione giuridica che spetta all'alienante, in relazione a ciascuno dei beni aziendali, e cioè trasferimento della proprietà, per i beni che gli appartengono, e del diritto (reale o personale) di godimento, per i beni di proprietà di terzi, e su cui l'alienante vanta un diritto di tal genere (COLOMBO). Viene generalmente affermato in dottrina che, per stabilire se sussista un trasferimento d'azienda ai sensi degli artt. 2556 e ss. occorre considerare la oggettiva consistenza dei beni trasferiti e non invece l'intenzione delle parti (TEDESCHI).
L'accertamento se le parti contraenti abbiano stipulato una locazione di immobile con pertinenze o un affitto di azienda rientra nei compiti del giudice del merito il quale deve indagare sulla comune intenzione delle parti e sui beni dedotti in contratto, al fine di stabilire se l'oggetto principale della stipulazione sia l'immobile singolarmente considerato o un complesso unitario costituito dall'organizzazione aziendale destinata allo svolgimento di un'attività economica. Detto accertamento non e sindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione (Cass. n. 14647/2002).
È opinione comune che si abbia cessione d'azienda anche se vengono esclusi dal trasferimento determinati beni aziendali, purché si tratti di beni non essenziali per la sussistenza del complesso e della sua funzionalità (COLOMBO).

L'azienda manca di una propria legge di circolazione. L'articolo in commento pone tuttavia il requisito della forma scritta ad probationem per i contratti di trasferimento della proprietà o di concessioni d'azienda in godimento, qualora si tratti di aziende relative ad imprese soggette a registrazione. Anche dopo l'attuazione del registro delle imprese — che impone anche agli imprenditori agricoli e ai piccoli imprenditori commerciali l'obbligo di iscrizione, sia pure in sezioni speciali del registro — e stato precisato che la forma scritta ad probationem e richiesta per le imprese “soggette a registrazione” secondo il sistema originario del codice, e dunque non per le piccole imprese, per le imprese agricole e quelle costituite in forma di società semplice (CAMPOBASSO).

Per quanto riguarda la pubblicità nel registro delle imprese, soggette a registrazione sono invero, in base alla disciplina del registro delle imprese, tanto le imprese commerciali, quanto quelle agricole e le piccole imprese commerciali. Ne discende che la dottrina ha ritenuto che i trasferimenti di qualsiasi azienda debbano essere iscritti.






Massime relative all'art. 2556 Codice Civile

Cass. civ. n. 18066/2019

L'affitto di azienda non richiede la forma scritta ai fini della sua validità, a meno che tale forma non sia richiesta per la natura dei singoli beni che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto, né assume rilevanza, in senso contrario, la disposizione di cui al capoverso dell'art. 2556 c.c., la quale nel prescrivere l'iscrizione nel registro delle imprese - che, a sua volta, postula la forma pubblica o per scrittura privata autenticata dell'atto -, non richiede tali adempimenti ai fini della validità del contratto, ma si riferisce al regime di opponibilità ai terzi dello stesso.

Cass. civ. n. 29551/2018

In tema di IRPEF, i canoni corrisposti per l'affitto di azienda direttamente imputabili ad attività produttive di ricavi sono deducibili anche se il contratto non è stato stipulato per iscritto, in quanto tale forma è prescritta dall'art. 2556 c.c. solo "ad probationem", sicché l'atto è da considerarsi esistente per il fisco, peraltro tenuto alla registrazione anche dei contratti d'affitto d'azienda conclusi in forma verbale.

Cass. civ. n. 21764/2015

In materia contrattuale, la semplice modifica della clausole di un contratto per il quale la forma scritta è richiesta solo "ad probationem" e non "ad substantiam" (nella specie, contratto di affitto di azienda stipulato in forma pubblica ex art. 2556 c.c.), così come la risoluzione consensuale, non deve essere pattuita necessariamente con un accordo esplicito dei contraenti, potendo risultare anche da un comportamento tacito concludente.

Cass. civ. n. 18409/2014

La cessione di un'azienda esercente attività assicurativa può essere provata solo per atto scritto, ai sensi dell'art. 2556 cod. civ., trattandosi di impresa soggetta a registrazione, a norma dell'art. 2195, n. 4, cod. civ.

Cass. pen. n. 10166/2011

In tema di limiti di utilizzazione di intercettazioni telefoniche in altri procedimenti, qualora le registrazioni non rappresentino una conversazione su circostanze relative al fatto reato per cui siano state disposte, ma una comunicazione che integra essa stessa una condotta criminosa, la loro acquisizione è soggetta alle regole stabilite dall'art. 270 c.p.p. e non va inquadrata nelle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato, giacché la registrazione costituisce in ogni caso un mezzo di documentazione della comunicazione e non è definibile cosa sulla quale o mediante la quale il reato è stato commesso. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha escluso che nel procedimento concernente concorso nel reato di falso - commesso mediante comunicazione telefonica su una utenza soggetta, per altre ragioni ed in diverso procedimento, ad intercettazione - la registrazione potesse in ogni caso essere utilizzata come corpo di reato).

Cass. civ. n. 4986/1997

A norma dell'art. 2556 c.c., è da escludere che per il trasferimento di un'azienda mobiliare sia richiesta la prova scritta a pena di nullità, non è inoltre necessaria per il combinato disposto degli artt. 2556, 2202, 2083 c.c., la prova scritta nei contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento di un'azienda di piccolo commercio, non essendo la stessa soggetta a registrazione.

Cass. civ. n. 3627/1996

Ai fini del trasferimento dell'azienda non è necessario che vengano trasferiti tutti i beni aziendali, ma è sufficiente il trasferimento di alcuni di essi, purché nel complesso di questi ultimi permanga un residuo di organizzazione che ne dimostri l'attitudine all'esercizio dell'impresa, sia pure con la successiva integrazione ad opera del cessionario.

Cass. civ. n. 8618/1990

Nel caso previsto dall'art. 36 della L. 27 luglio 1978, n. 392, per cui il conduttore può sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore purché venga insieme locata o ceduta l'azienda, il conduttore cedente deve provare, nei confronti del locatore, per iscritto, ai sensi dell'art. 2556, secondo comma, c.c., la cessione o la locazione dell'azienda, in quanto l'onere probatorio previsto da tale norma grava sulle parti contraenti anche nell'ipotesi in cui con riguardo al contratto avente ad oggetto l'azienda, agiscano o eccepiscano contro un terzo estraneo.

Cass. civ. n. 623/1983

La cessione di azienda, così come l'affitto di essa, non comporta il passaggio al cessionario o all'affittuario, assieme all'azienda, della relativa impresa, ma determina normalmente una soluzione di continuità tra la precedente e la successiva gestione, che deve ritenersi del tutto distinta ed indipendente dalla prima, in quanto l'impresa, quale attività economica organizzata per la gestione di un'azienda (art. 2555 c.c.), è inseparabile dall'imprenditore, di cui costituisce un modo di operare, sicché, pur non confondendosi con costui, ha carattere eminentemente soggettivo ed è perciò estranea al contenuto obiettivo dell'azienda, che sola può essere oggetto di rapporti giuridici.

Cass. civ. n. 1959/1982

La norma dell'art. 2556, primo comma, c.c., circa la forma scritta ad probationem dei contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda non trova applicazione nel caso in cui il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda formino oggetto di conferimento da parte dei membri di una società di fatto, essendo a questa applicabili (art. 2297 c.c.) le norme sulla società semplice, la cui costituzione è retta (art. 2251 c.c.) dal principio della libertà di forme, salve quelle richieste, ad substantiam, dalla natura dei beni conferiti.

Cass. civ. n. 301/1981

L'azienda è un complesso di beni materiali ed immateriali economicamente collegati per l'esercizio dell'impresa che si distingue nettamente dai beni che la compongono, onde l'alienazione totale o parziale di questi ultimi non comporta sempre e necessariamente il contemporaneo trasferimento dell'azienda, la quale ben può perseguire i suoi scopi con altri beni e servizi. Ne consegue che, nel caso di trasferimento dei vari elementi concorrenti alla formazione di un'azienda, il giudice del merito deve accertare, con indagine di fatto sottratta al controllo di legittimità, quale sia, secondo la volontà dei contraenti, l'oggetto specifico del contratto, allo scopo di stabilire se quei determinati beni siano stati considerati nella loro autonomia unitaria e strumentale, in modo da comportare, al tempo stesso, l'alienazione dell'azienda cui essi si ricollegano. (Nella specie, i giudici del merito hanno escluso il trasferimento di azienda nella successione cronologica di due diverse concessionarie nella rappresentanza di determinati materiali, mediante trapasso di singoli beni dall'una all'altra concessionaria).

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Consulenze legali
relative all'articolo 2556 Codice Civile

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D. G. chiede
giovedì 10/10/2024
“Buonasera, faccio riferimento alla consulenza codice Q201924094 che mi avete fornito nel 2019 e che qua ripropongo:

" La mia SNC ha sottoscritto un contratto di affitto di azienda per una struttura ricettiva adibita ad Ostello in data 26 Giugno 2007 della durata di sei anni con espressa rinuncia al tacito rinnovo.
Questo faceva seguito ad un precedente contratto stipulato nel marzo 2005 della durata di due anni e quindi già scaduto.
Con scrittura privata il contratto ci è stato prorogato fino alla fine dell'anno 2013 ,anche questa inviata a contratto già scaduto.
Da allora il rapporto è di fatto continuato fino ad ora e abbiamo versato il canone anche se con una morosità risalente all'anno 2015 di circa 10.000 euro.
Quale è la nostra situazione attuale?
Il contratto si è di fatto rinnovato?
Per quanti anni ancora? "

Nel 2019 è poi fallita la proprietà e varie strutture sono state messe all'asta e alcune vendute in questi anni mentre noi abbiamo pagato la morosità ed anche l'affitto regolarmente e la nostra struttura è stata messa all'asta solo nel 2024 dalla curatela fallimentare e qua c'è la parte che ci riguarda come gestori:

La vendita del ramo aziendale avviene nello stato di fatto e di diritto in cui lo stesso si trova, con tutti i beni mobili che lo comprendono (come da verbale di inventario del 05.10.2019 - allegato 1). Il ramo d’azienda è stato concesso in affitto dal 01.07.2007 per la durata di anni sei non rinnovabili, giusto contratto di affitto di ramo di azienda stipulato in data 26.06.2007 per scrittura privata autenticata dal Notaio Faggioni di Carrara rep. n. 34663, racc. n. 14313, registrato in data 05.07.2007 al n. 991 serie 1T, scaduto in data 30.06.2013, prorogato dalle parti, con scrittura in data 01.10.2014, sino al 31.12.2015, successivamente prorogatosi tacitamente di anno in anno, ed in relazione al quale la Curatela intende dare definitiva disdetta per la scadenza del 31.12.2024.

Vi è un errore in entrambe le ricostruzioni in quanto le scritture private di proroga sono in realtà due entrambe intervenute a contratto scaduto, la prima fino alla fine del 2013 e la seconda fino alla fine del 2015.
Vorremmo sapere se la ricostruzione fornita dalla curatela è quella corretta ed il contratto si è rinnovato di anno in anno e la disdetta che intendono inviarci ma che a tutt'oggi non abbiamo ricevuto è da considerarsi valida oppure se ci sono delle possibilità di resistere a tale disdetta e con che rischi.
Grazie e cordiali saluti.”
Consulenza legale i 21/10/2024
La sentenza dichiarativa di fallimento del titolare dell’azienda affittata non costituisce una causa di scioglimento del contratto d’affitto d’azienda: al contrario, può essere autorizzata la prosecuzione dello stesso Tribunale, nella sentenza dichiarativa di fallimento (c.d. “esercizio provvisorio”); ciascuna parte può recedere dal contratto, entro 60 giorni dalla sentenza di fallimento, corrispondendo un equo indennizzo alla controparte, determinato di comune accordo, oppure, in mancanza, dal giudice delegato, sentiti gli interessati (art. 79 della l. fall.).

Il contratto di affitto d’azienda, all’art. 2, definisce la durata in 6 anni a decorrere dal 01.07.2007, con esclusione del tacito rinnovo.
Al contempo, le due scritture private sottoscritte tra le parti hanno determinato un’estensione della durata del contratto, alle medesime condizioni, sino al 31.12.2015.

La ricostruzione della curatela non è precisa sul punto, poiché individua soltanto una delle scritture private effettivamente sottoscritte; tuttavia, non erra sulla scadenza finale degli impegni assunti con le stesse, correttamente indicata al 31.12.2015.

Ad avviso di chi scrive, inoltre, la curatela cade in errore nell’indicare quale annuale il rinnovo tacito.
Le due scritture private, infatti, non si ritengono qualificabili come un vero e proprio rinnovo, bensì un nuovo contratto d’affitto d’azienda, per il cui contenuto si rinvia a quello precedente.
Poiché il contratto d’affitto d’azienda originario esclude il tacito rinnovo, alla scadenza, tanto di questo quanto delle successive scritture private, non può dirsi rinnovato annualmente (come la curatela erroneamente ritiene); il rapporto, tuttavia, è proseguito di fatto, alle medesime condizioni, senza un contratto scritto.

Come esplicitamente previsto dall’art. 2556 del c.c., i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda devono essere solo provati per iscritto (c.d. forma ad probationem); ciò non toglie tuttavia che, in ragione della natura dei singoli beni che compongono l’azienda (ad esempio beni immobili o beni mobili registrati) la forma scritta possa essere richiesta per la validità dello stresso contratto (c.d. forma ab sustantiam; in dottrina V. RUGGIERO - TONDO).

Il contratto in esame (che ci ha trasmesso ai fini di un esame più approfondito) prevedeva il trasferimento in affitto dell’immobile all’interno del quale l’attività è esercitata; senza il rispetto del requisito della forma scritta prevista ab sustantiam il contratto potrebbe essere considerato nullo.
Le parti hanno comunque proseguito nel rapporto contrattuale alle medesime condizioni precedentemente concordate; il canone corrisposto ha avuto la funzione di indennizzo al proprietario per il mancato godimento dell’immobile.
Ad oggi, pertanto, la curatela avrebbe la facoltà di richiedere immediatamente la restituzione dell’immobile, proprio in quanto l’occupazione dell’affittuario sarebbe fondata su un contratto nullo.
Se l’affittuario dovesse resistere alla restituzione dell’immobile, si ritiene che in un eventuale giudizio si vedrebbe condannato alla restituzione.

Se anche si volesse ritenere valido il contratto d’affitto d’azienda, poiché continuativamente prorogato per comportamenti concludenti senza una scadenza definita, non può escludersi la possibilità della curatela di porre termine all’esecuzione del contratto, pur se non nei modi da essa previsti (disdetta alla scadenza).

Nel nostro ordinamento il contraente che intende sciogliersi dal vincolo negoziale è infatti tenuto al rispetto di quei canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 del c.c., che operano non solo sul piano della formazione ed esecuzione del vincolo negoziale, quanto anche sul complessivo asseto di interessi convenuto dalle parti stesse.
Vieppiù, il legislatore ha adottato numerose disposizioni con le quali vuole scongiurare la formazione di vincoli contrattuali perpetui; così dispone l’art. 1616 del c.c. (applicabile anche all’affitto d’azienda), che concede alle parti la facoltà di recedere da un contratto di affitto a tempo indeterminato dando all’altra un congruo preavviso.
Tanto premesso, nonostante la curatela non abbia esercitato il proprio diritto di recesso entro 60 giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento, potrà comunque recedere, previo un congruo preavviso, che la legge non predetermina, ma che è lasciato agli usi ed alla buona fede delle parti stesse.
La disdetta che la curatela sembra voler inviare non è lo strumento adatto per cessare il vincolo contrattuale, che andrebbe individuato nel recesso con un congruo preavviso.
Resistere in giudizio permetterebbe soltanto di prendere tempo, ma in ogni caso il vincolo contrattuale verrebbe comunque sciolto dal giudice eventualmente adito (o al limite ne verrebbe indicata una scadenza definitiva).

Infine, in vista della vendita all’asta dell’immobile, in assenza di contratto scritto, tantomeno trascritto (come l’art. 2556 del c.c. impone ai fini dell’opponibilità ai terzi), il rapporto contrattuale in essere non sarebbe opponibile ai terzi eventuali acquirenti dell’immobile, i quali potrebbero legittimamente agire nei Vostri confronti per il rilascio.

In definitiva, si consiglia di concordare con la curatela i termini per il rilascio dell’immobile, magari proponendo di proseguire la gestione dell’azienda sino all’effettiva vendita dello stesso e condizionando il rilascio immediato all’aggiudicazione all’interno della procedura di vendita all’asta.

Anonimo chiede
lunedì 07/10/2019 - Toscana
“La mia SNC ha sottoscritto un contratto di affitto di azienda per una struttura ricettiva adibita ad Ostello in data 26 Giugno 2007 della durata di sei anni con espressa rinuncia al tacito rinnovo.
Questo faceva seguito ad un precedente contratto stipulato nel marzo 2005 della durata di due anni e quindi già scaduto.
Con scrittura privata il contratto ci è stato prorogato fino alla fine dell'anno 2013 ,anche questa inviata a contratto già scaduto.
Da allora il rapporto è di fatto continuato fino ad ora e abbiamo versato il canone anche se con una morosità risalente all'anno 2015 di circa 10.000 euro.
Quale è la nostra situazione attuale?
Il contratto si è di fatto rinnovato?
Per quanti anni ancora?

Consulenza legale i 17/10/2019
Vanno tenuti distinti i due periodi: da una parte il 2013 (e quindi il periodo che va dal 1 di luglio al 31 dicembre 2013), dall’altra il periodo successivo che va dal 1 gennaio 2014 ad oggi.

Per quanto riguarda il primo, ad avviso di chi scrive non si può qualificare la scrittura privata sottoscritta tra le parti come un vero e proprio rinnovo, essendo il contratto – come correttamente osservato anche da chi pone il quesito - già scaduto; tuttavia è possibile ritenere che il nuovo accordo sottoscritto tra le parti sia un nuovo contratto di affitto di azienda, per il cui contenuto si rinvia implicitamente a quello precedente, nominato in premesse.

Per quanto riguarda, invece, il periodo successivo al 2013, non è escluso che il contratto si sia prorogato, dal momento che la forma scritta – per questo tipo di contratti – è richiesta solo ai fini della prova. Infatti, l’art. 2556 c.c. prescrive che i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda devono essere solo provati per iscritto e non anche conclusi per iscritto a pena di invalidità.

Tornando al caso in esame, il rapporto può dunque considerarsi proseguito di fatto, anche senza contratto scritto.
Proprio per questo, a fronte dello sfruttamento dell’azienda da parte dell’affittuario, il concedente ha diritto al pagamento del canone e quindi al recupero delle morosità arretrate.

Ora, qualora egli volesse agire in giudizio per il recupero del proprio credito sarebbe senz’altro in difficoltà nel dimostrare l’esistenza di un valido rapporto d’affitto, proprio perché non ha prova scritta del contratto, come invece richiederebbe la legge.

Tuttavia, il debitore non va comunque esente da rischi. Infatti, anche qualora il rapporto d’affitto azienda non venisse provato, l’occupazione e lo sfruttamento dell’immobile configurerebbero comunque un rapporto di locazione (commerciale) di fatto, rapporto in forza del quale andrebbe comunque corrisposto il canone di locazione e che – in difetto dei requisiti di legge, specie sulla durata – andrebbe ricondotto alla disciplina legale (Legge n. 392/1978) la quale prevede una durata di 6 anni più altri sei, salvo disdetta.

In ogni caso ed in ulteriore subordine, anche volendo escludere la locazione, comunque si sarebbe determinato in questi anni a vantaggio dell’occupante dell’ostello un arricchimento senza causa, per cui egli sarebbe comunque tenuto ad indennizzare il proprietario per aver goduto del bene senza corrispettivo.

Si consiglia, dunque, di saldare il debito e di rinegoziare con la controparte un contratto formale (di affitto d’azienda) oppure – se non più interessati - di formalizzarne la risoluzione.


Anonimo chiede
sabato 08/07/2017 - Lombardia
“Buongiorno, sono l'amministratore delegato di una SRL in fase di liquidazione, la (omissis). Siamo due soci, io e mia moglie. La società detiene due marchi che scadono rispettivamente nel 2018 e nel 2022 (omissis), i cinque storici corsi di (omissis), dei software proprietari di carattere linguistico-didattico e abbondante materiale didattico originale (oltre 400 esercizi di inglese, per esempio, e centinaia di traduzioni) acquisito da terzi o realizzato da collaboratori esterni che hanno ceduto alla nostra società in via esclusiva tutti i diritti di utilizzo commerciale e non commerciale del materiale da essi realizzato. La mia domanda è questa: per garantire il mantenimento di questi diritti esclusivi basta stilare, prima di chiudere l'azienda, un accordo scritto di cessione di diritti intellettuali da parte della SRL ad uno solo dei soci o ad entrambi, oppure è imprescindibile andare da un notaio, cosa che ovviamente implicherebbe costi aggiuntivi ovviamente non auspicabili proprio mentre si sta liquidando l'azienda?
In attesa di una Vs. risposta, Vi invio i miei saluti più cordiali.”
Consulenza legale i 19/07/2017
Prima di rispondere al quesito si ritiene indispensabile precisare che, secondo il disposto dell’art. 2487 c.c., l’assemblea dei soci, convocata dall’organo amministrativo contestualmente al verificarsi della causa di scioglimento che porta alla liquidazione della società, deve tra l’altro deliberare, con le maggioranze prescritte per le modificazioni dell’atto costitutivo o dello statuto, sui criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione, nonché sui poteri dei liquidatori, con particolare riguardo alla cessione dell'azienda sociale, di rami di essa, ovvero anche di singoli beni o diritti, o blocchi di essi.

Pertanto, quanto verrà qui suggerito si fonda su criteri generali fissati dalla legislazione codicistica, non essendo a conoscenza di eventuali particolari pattuizioni deliberate in seno all’assemblea convocata ai sensi della norma sopracitata.

Ora, dando appunto per presupposto che nessun particolare criterio sia stato fissato per la cessione dell’azienda sociale o di suoi singoli beni, e tenuto conto che ai sensi dell’art. 2489 c.c. compito precipuo dei liquidatori è quello di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società, la norma a cui occorre senza dubbio fare riferimento al fine di individuare quali forme debbano essere rispettate per lo svolgimento di tale attività di liquidazione del patrimonio aziendale è quella contenuta nell’art. 2556 c.c., il quale, nel caso specifico di imprese soggette a registrazione, richiede per i contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda, la forma scritta ad probationem.
La medesima norma fa tuttavia salva l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto.

Quindi, quando si tratta di alienare i singoli beni che compongono l’azienda, sia che tale cessione venga effettuata nel corso della normale vita societaria che in fase di liquidazione, è alle norme in materia di contratto di compravendita che occorre fare riferimento, nonché all’art. 1350 c.c., il quale, dettato in tema di forma del contratto in generale, contiene una elencazione di quali atti devono stipularsi rispettando, a pena di nullità, la forma dell’ atto pubblico o della scrittura privata autenticata.

Da una semplice lettura di quest’ultima norma ne discende che tale forma non è in alcun modo richiesta per il trasferimento dei beni elencati nel quesito (trattandosi di opere intellettuali rientranti nella categoria dei beni mobili), dovendosi di conseguenza per tali beni ritenere sufficiente il rispetto del requisito della semplice forma scritta.

Va per altro ricordato che l’articolo 2556, 2° comma, prevede che solo il trasferimento del complesso aziendale, ossia dell’azienda intesa quale bene unitario, e non dei singoli beni, deve, ai fini dell’iscrizione al Registro delle Imprese, risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata.
Quanto sopra esposto dimostra, dunque, come l’azienda non possegga una propria legge di circolazione, ma segua le forme di circolazione tipiche dei singoli beni che la compongono.

Un discorso a parte va invece fatto per la cessione dei marchi; dal punto di vista formale, infatti, può dirsi che si tratta di un contratto alieno da particolari prescrizioni: potrebbe dunque essere stipulato tanto per iscritto quanto per facta concludentia.
Sotto il profilo probatorio l'avvenuta cessione può essere provata tra le parti con qualsiasi mezzo, ma di fatto la forma scritta si rende necessaria, nella maggior parte dei casi, in relazione ai limiti posti dagli artt. 2721 e ss. cod. civ. per quanto attiene alla possibilità di dare ingresso alla prova testimoniale in materia di contratti.

La forma scritta deve anche ritenersi necessaria ai fini della eventuale trascrizione del contratto di cessione nel Registro dei marchi d'impresa, ma va precisato che tale forma di pubblicità possiede caratteristiche analoghe a quelle della trascrizione immobiliare, ossia non possiede effetti costitutivi e non incide sulla validità del trasferimento del diritto, ma attua semplicemente una forma di pubblicità dichiarativa a tutela della buona fede e dei diritti dei terzi, con la funzione legale di assicurare la priorità del diritto acquistato e trascritto nel caso di conflitto tra successivi acquirenti.

Per quanto concerne il soggetto in cui favore effettuare la cessione, si vuole richiamare l’attenzione su quanto disposto dall’art. 2475 ter c.c., il quale configura una situazione di conflitto di interesse nell’ipotesi di contratti conclusi con la medesima società, per conto proprio o di terzi, da parte degli amministratori che hanno la rappresentanza della società.
Si ritiene opportuno consigliare, onde evitare possibili situazioni di conflitto di interessi, di far assumere la posizione di cessionario al socio che non riveste la qualità di amministratore delegato.

In conclusione, dunque, può affermarsi che non sussiste alcun particolare onere formale da rispettare per la cessione dei beni di cui si discute, non rendendosi a tal uopo necessario ricorrere all’intervento del notaio, previsto per la cessione dell’azienda intesa quale universalità (di fatto o di diritto, a seconda dell’orientamento che si ritiene di preferire) ovvero per il trasferimento di quei diritti prescritti dall’art. 1350 c.c.

Anche sotto il profilo fiscale, infine, e per completezza di risposta, va detto che è previsto un diverso regime di tassazione ai fini delle imposte indirette della cessione d’azienda rispetto alla cessione di singoli beni.
Infatti, secondo quanto previsto dall’art.2, co.3, lett.b) del DPR n.633/72, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non sono considerate “cessioni di beni” quelle aventi ad oggetto aziende o rami di azienda; pertanto, in virtù del c.d. principio di alternatività tra Iva e imposta di registro, sancito dall’art.40 del DPR n.131/86, la cessione d’azienda, in quanto esclusa dal campo di applicazione dell’Iva, risulterà soggetta all’imposta di registro avendo riguardo, ai sensi dell’art.51 del DPR n.131/86, al valore complessivo dei beni che la compongono, compreso l’avviamento.

Il trasferimento di singoli beni che non sono idonei a costituire un complesso aziendale, invece, rimane soggetto all’imposta sul valore aggiunto nei modi ordinari, con la conseguenza che la cessione d’azienda si rivela un’operazione fiscalmente più onerosa rispetto alla cessione dei singoli beni che la compongono.