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La disponibilità di fatto dell'immobile dell'ex non giustifica la revoca dell'assegno di mantenimento

Famiglia - -
La disponibilità di fatto dell'immobile dell'ex non giustifica la revoca dell'assegno di mantenimento
Come noto, in sede di divorzio, il giudice può porre a carico di uno dei coniugi l’obbligo di corrispondere un “assegno divorzile”, a titolo di contributo nel mantenimento dell’ex coniuge o del figlio minore.

L’importo di tale assegno verrà determinato dal giudice in proporzione delle condizioni economico-patrimoniali dei coniugi, in modo tale da garantire agli stessi di continuare a godere, dopo la cessazione del matrimonio, del tenore di vita di cui gli stessi godevano nel corso del matrimonio stesso.

Nel determinare l’importo dell’assegno, dunque, il giudice non terrà conto solo dei redditi percepiti dagli ex coniugi ma anche della consistenza del loro patrimonio: così, per esempio, il fatto di essere proprietari di un immobile potrà certamente essere un fattore di cui tener conto.

Ma se l’ex coniuge concede all’altro di abitare nell’immobile di sua proprietà, senza però stipulare un vero e proprio contratto di locazione, questa disponibilità di fatto dell’immobile può in qualche modo incidere nella determinazione dell’importo dell’assegno di mantenimento?

Proprio su questa questione si è pronunciata la Corte di Cassazione, che con la recente ordinanza n. 223 dell’11 gennaio 2016 è intervenuta in materia di assegno divorzile, analizzando se anche il fatto di avere la sola disponibilità di fatto di un immobile, senza esserne proprietari, possa incidere nella determinazione dell’assegno.

In particolare, nel caso esaminato dalla Corte, il Tribunale, nel pronunciare il divorzio tra due coniugi, aveva posto a carico dell’ex marito il pagamento di un assegno di mantenimento pari a Euro 1.500.
L’ex marito si opponeva a tale determinazione e proponeva appello, ma la Corte di Appello confermava la decisione del Tribunale, in quanto le condizioni economico-patrimoniali dei coniugi, rapportate fra loro, giustificavano la decisione presa.

L’ex marito decideva, quindi, di proporre ricorso per Cassazione.

Giunti così al terzo grado di giudizio, l’ex marito esponeva alla Corte di Cassazione che i giudici dei precedenti gradi non avevano tenuto in adeguata considerazione il fatto che l’ex moglie avesse la disponibilità di fatto di un immobile di proprietà dell’ex marito, che utilizzava liberamente anche se senza un titolo specifico.
Nello specifico, quindi, la moglie abitava in un immobile di proprietà dell’ex marito del tutto gratuitamente, dal momento che non era stato stipulato alcun contratto di locazione.

Secondo l’ex marito, in particolare, tale disponibilità di fatto dell’immobile avrebbe dovuto essere considerata dai giudici di primo e di secondo grado, dal momento della determinazione dell’importo dell’assegno divorzile.
Infatti, secondo il ricorrente, anche se l’ex moglie non era proprietaria dell’immobile, il fatto di poter liberamente disporre dello stesso incideva comunque nella sua situazione economico-patrimoniale, giacché grazie a questa concessione non era costretta al pagamento di un canone di locazione di un appartamento.

La Corte di Cassazione, per quanto possa apparire ragionevole la tesi sostenuta dall'ex marito, tuttavia, non ha ritenuto tale motivazione determinante, confermando la decisione dei giudici dei precedenti gradi di giudizio.

Infatti, secondo la Corte, la mera disponibilità di fatto dell’immobile non ha alcuna rilevanza ai fini della determinazione dell’importo dell’assegno divorzile, non avendo la stessa alcuna rilevanza economica per la moglie.

Va osservato, infatti, che la moglie, occupando l’immobile senza alcun titolo “ufficiale”, correva sempre il rischio che l’ex marito agisse in giudizio allo scopo di riottenere la materiale disponibilità dello stesso.

La Cassazione ribadisce, dunque, il principio in base al quale l’assegno divorzile viene riconosciuto all’ex coniuge in ragione dei suoi bisogni e in base alle capacità economiche di entrambi i coniugi, senza tener conto di situazioni che possono essere solo provvisorie, come l’occupazione di fatto di un immobile di proprietà dell’altro ex coniuge.

E su questa argomentazione, in effetti, è difficile dare torto alla Suprema Corte. Soprattutto se si tiene presente che il comodato gratuito (poiché di questo, in effetti, si tratta) prevedere espressamente all'[1810cc] che il comodatario (ex moglie) sia tenuta a restituire l'appartamento non appena il comodante (ex marito) ne faccia richiesta.


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