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Articolo 784 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Litisconsorzio necessario

Dispositivo dell'art. 784 Codice di procedura civile

Le domande di divisione ereditaria (1) o di scioglimento di qualsiasi altra comunione (2) debbono proporsi (3) in confronto di tutti gli eredi (4) o condomini e dei creditori opponenti se vi sono [12 3, 22, 23, 102; c.c. 713 ss., 1111ss., 2646] (5).

Note

(1) Le domande di scioglimento di qualsiasi comunione devono proporsi nei confronti di tutti gli eredi o condomini e, nel caso in cui vi siano, dei creditori opponenti. In tali ipotesi si instaura un giudizio inscindibile in quanto sussiste la necessaria partecipazione ad esso di tutti i condividenti. Pertanto, l'eventuale difetto di instaurazione del contraddittorio può essere rilevato in qualunque stato e grado del processo, anche d'ufficio. Una volta rilevato il difetto di instaurazione, la sua mancata integrazione del contraddittorio, produce l'estinzione automatica del processo ai sensi del combinato disposto degli artt. 102 e 307. Nel caso in cui il difetto sia rilevato in grado di appello, la causa è rimessa al giudice di primo grado. Quando invece il difetto viene rilevato in sede di giudizio di Cassazione, i giudici di legittimità annullano o cassano la sentenza impugnata e rinvia il procedimento al giudice a quo per l'integrazione del contraddittorio (c.d. giudizio di rinvio). Se il difetto di contraddittorio viene rilevato dopo il passaggio in giudicato della sentenza, verranno in applicazione gli artt. 404 e 3272 a seconda della ragione dell'assenza di alcuni condomini (ignoranza sull'esistenza di altri condomini, mancata chiamata rituale in giudizio di alcuni condomini pur considerati parti). Infine, la divisione in cui non sono stati chiamati in giudizio i creditori opponenti o gli aventi causa, può essere dichiarata inefficace nei loro confronti in quanto a questi inopponibile.
(2) Il giudice competente a conoscere delle controversie sorte in materia di divisioni ereditarie è quello del luogo dell'apertura della successione (si confronti l'art. 22 del c.p.c.).Diversamente, in caso di cause tra condomini il giudice competente è quello del luogo in cui si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi (si confronti l'art. 23 del c.p.c.).
Ancora, per le cause tra soci il giudice competente è il Tribunale in cui ha la sede la società.
(3) Si precisa che l'atto introduttivo del giudizio di divisione consiste in un atto di citazione.
(4) Solo il soggetto che al momento della proposizione del giudizio di divisione partecipa alla comunione assume la veste di litisconsorte necessario. Pertanto, nel caso in cui un soggetto sia subentrato nella posizione giuridica dell'erede sarà solo il cessionario a dover partecipare al processo.
(5) Secondo il disposto di cui all'art. 1113 del c.c., l'intervento e l'opposizione alla divisione devono essere estesi anche agli aventi causa da una partecipazione alla comunione, ossia gli acquirenti di singoli beni della comunione o di diritti reali di godimento su di essi. Tali soggetti non rivestono la qualifica di litisconsorti necessari ma sono soggetti ai quali la sentenza che definisce il giudizio di divisione è opponibile.

Ratio Legis


Spiegazione dell'art. 784 Codice di procedura civile

Secondo il combinato disposto della norma in esame con gli artt. 713, 1111 c.c., ciascun partecipante ad una comunione può provocarne lo scioglimento, manifestando l'ordinamento un generale sfavore per la comunione, tant’è che si può determinare il suo scioglimento a prescindere dalla concorrente volontà degli altri comunisti.
L'azione di divisione è imprescrittibile, il che comporta che il diritto allo scioglimento della comunione è esercitabile in ogni tempo.

E’ discusso se l'atto divisionale, sia esso contrattuale che giudiziale, abbia una funzione costitutiva o dichiarativa.
Secondo una prima tesi, alla divisione deve riconoscersi natura costitutiva in quanto essa comporta una trasformazione del diritto spettante ad ogni singolo condomino sulla cosa comune in diritto di proprietà esclusiva su una parte determinata, proporzionata al valore della propria quota o anche (in caso di vendita dei beni) una trasformazione qualitativa di tale diritto.
Altra tesi, invece, attribuisce all'atto di divisione efficacia dichiarativa, argomentando dal fatto che ciascun coerede o condomino viene ritenuto proprietario esclusivo del singolo bene concretamente assegnatogli o attribuitogli fin dall'origine, come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni del complesso (non si verrebbe a costituire, dunque, alcun nuovo diritto).

La norma in esame individua i soggetti tra i quali deve svolgersi il giudizio di scioglimento di una qualsiasi comunione, disponendo che la divisione deve essere richiesta nei confronti di tutti i contitolari della comunione (ereditaria od ordinaria), e, ove ve ne siano, dei creditori opponenti (si tratta di un’ipotesi di litisconsorzio necessario fondato su motivi di opportunità).

In questo modo il legislatore ha inteso tutelare quei terzi che temono che una successiva divisione possa incidere sulla garanzia patrimoniale ai medesimi spettante ex art. 2740 del c.c., imponendo la loro partecipazione per evitare che debbano attivarsi successivamente ex art. 404 del c.p.c. comma 2, ossia a mezzo di un'opposizione di terzo revocatoria.

Dal collegamento tra la norma in esame e l’art. 1113 c.c. se ne deduce che devono essere chiamati a partecipare al giudizio di divisione anche:
a) i creditori iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull'eventuale bene immobile in comunione, in virtù di atti trascritti prima della trascrizione della domanda di divisionale (tali soggetti possono intervenire nella divisione, a proprie spese, ma non impugnarla, salvo l'esperimento dell'azione revocatoria e surrogatoria);
b) gli aventi causa da un partecipante e i creditori chirografari o muniti di cause di prelazione non risultanti dai pubblici registri: questi ultimi, se spiegano opposizione, notificando il relativo atto e, ove necessario, trascrivendolo anteriormente alla trascrizione della domanda di divisione, assumono la veste di opponenti.
L'art. 1113 c.c. deve poi essere coordinato anche con l’art. 2825 del c.c., per effetto del quale, qualora a seguito della divisione siano assegnati al compartecipe debitore beni diversi da quello ipotecato, l'ipoteca si trasferisce su questi altri beni col grado derivante dall'originaria iscrizione e nei limiti del valore del bene precedentemente ipotecato, purché sia nuovamente iscritta.

La domanda di divisione va presentata nelle forme dell’atto di citazione, come un processo di cognizione ordinaria; l'effetto discendente dalla citazione è la costituzione del contraddittorio che, secondo quanto previsto dalla norma in esame, deve essere instaurato nei confronti di tutti i compartecipi alla comunione e dei creditori opponenti.

Il contenuto della domanda si fa consistere nella generica istanza di divisione, per effetto della quale i condividenti mirano a conseguire una quantità di ricchezza, in natura o per equivalente, corrispondente all'entità delle proprie quote (non è possibile stabilire a priori l'oggetto materiale del diritto in una parte determinata del bene comune o in una somma di denaro).
La divisione non si effettua seguendo lo schema di riparto delineato dall'attore e contenuto nell'atto di citazione, ma in forza del progetto di divisione predisposto dal giudice (o dal notaio delegato), alla cui formazione possono partecipare tutti i comproprietari; da ciò ne consegue che il singolo condividente nella domanda introduttiva può dare solo indicazioni circa le modalità concrete di attuazione della divisione, le quali possono essere disattese dal giudice senza per questo incorrere in un vizio di extrapetizione.

E’ possibile inserire nel giudizio di divisione anche la domanda di resa dei conti, alla quale si fa ricorso nel caso in cui alcuni dei beni comuni siano stati goduti separatamente ovvero qualora si sia avuta un'amministrazione della cosa da parte di uno solo dei condividenti, il che rende necessario accertare e quantificare i crediti e i debiti reciprocamente vantati per effetto di tali attività.
Occorre, tuttavia, precisare che, malgrado il collegamento esistente, le pretese obbligatorie dipendenti dalla comunione non rientrano nella domanda di divisione, ma si tratta di domande autonome, in quanto sono diversi sia i presupposti che le modalità di esperimento e di oggetto.

Secondo quanto previsto al comma 2 dell’art. 12 del c.p.c., il giudice competente s'individua in base al valore della massa attiva da dividere, da intendersi come massa al lordo dei debiti; la distribuzione delle cause in ragione del criterio del valore, non essendovi più una distinzione tra cause devolute al pretore o al tribunale, avviene attualmente solo tra giudice di pace e tribunale, tenuto conto che se la divisione attiene ai beni immobili è esclusa la quella del giudice di pace (così art. 7 del c.p.c..

Per quanto concerne la competenza per territorio, nel caso di comunione ordinaria la domanda di divisione va proposta, ex art. 23 del c.p.c., al giudice del luogo in cui si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi, mentre, nel caso di comunioni derivanti da successione la domanda si propone al giudice del luogo di apertura della successione (così art. 22 c.p.c. comma 1), inteso, ex art. 456 del c.c. come il luogo dell'ultimo domicilio del defunto (anche se i beni in comunione sono situati in luogo diverso).
Il foro competente individuato per le comunioni ereditarie permane fino alla cessazione di ogni controversia attinente all'universalità dei rapporti giuridici facenti capo al de cuius, e dunque oltre il momento dell'esaurimento delle operazioni di divisione.
Nessuna disposizione è stata dettata dal legislatore in ordine al regime delle spese del giudizio divisorio, salvo quanto previsto dall’art. 790 del c.p.c. limitatamente alla specifica ipotesi in cui le operazioni divisorie si svolgano dinanzi al notaio e non sorgano conflitti tra le parti.
La particolare struttura del giudizio in esame, in effetti, rende difficile rinvenire una soccombenza in senso tecnico ai fini della ripartizione delle spese processuali, e pertanto vige il criterio dell'interesse della parte destinataria del provvedimento del giudice.

Massime relative all'art. 784 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 21510/2019

Il giudizio di divisione "mortis causa" deve svolgersi, ai sensi dell'art. 784 c.c., con la partecipazione di tutti i condividenti, la cui qualità di litisconsorti necessari permane in ogni stato e grado del processo, indipendentemente dall'attività e dal comportamento processuale di ciascuna parte. (Nella specie, la S.C. ha rimesso gli atti al giudice di primo grado, ex art. 354, comma 1, c.p.c., per essersi tale grado di lite, nonché il successivo giudizio di gravame, svolto senza la partecipazione necessaria di due condividenti, illegittimamente estromessi in prime cure a seguito di rinuncia agli atti del giudizio ad opera dell'attore, seguita dall'accettazione degli interessati).

Cass. civ. n. 25756/2018

Nel caso di divisioni di beni provenienti da titoli diversi e, perciò, appartenenti a distinte comunioni, si deve procedere a tante divisioni quante sono le masse, derivandone il litisconsorzio necessario tra i condividenti soltanto all'interno del giudizio di divisione relativo a ciascuna di esse; può invece procedersi a un'unica divisione solo in presenza del consenso di tutte le parti, purché la circostanza risulti da uno specifico negozio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza emessa dal giudice di merito con la quale era stato predisposto un progetto di divisione cumulativo delle due masse, senza che risultasse l'acquisizione del consenso dei condividenti).

Cass. civ. n. 6785/2014

L'atto introduttivo del giudizio di divisione ereditaria non interrompe il decorso del tempo utile all'usucapione da parte del convenuto, tale atto non essendo rivolto alla contestazione diretta ed immediata del possesso "ad usucapionem".

Cass. civ. n. 18218/2013

Il litisconsorzio necessario tra i coeredi, previsto nei giudizi aventi ad oggetto la divisione dei beni ereditari, trova applicazione finché non sia cessato lo stato di comunione mediante l'attribuzione ai singoli coeredi - nella specie, per accordo stragiudiziale - delle quote loro spettanti.

Cass. civ. n. 14654/2013

La qualità di litisconsorti necessari di tutti i condomini rispetto alla domanda di scioglimento della comunione, agli effetti dell'art. 784 c.p.c., permane in ogni grado del processo, indipendentemente dall'attività e dal comportamento di ciascuna parte; ne consegue che, se, in fase di appello, l'appellante non abbia provveduto alla citazione di uno o più comunisti, il giudice di secondo grado deve ordinare l'integrazione del contraddittorio in forza dell'art. 331 c.p.c., ancorché in primo grado il giudice abbia accertato la proprietà esclusiva per intervenuta usucapione di alcuni beni di cui si richiedeva la divisione.

Cass. civ. n. 19529/2012

In tema di scioglimento della comunione, i creditori iscritti e gli aventi causa da un partecipante, pur avendo diritto ad intervenire nella divisione, ai sensi dell'art. 1113, primo comma, c.c., non sono parti in tale giudizio, al quale devono partecipare soltanto i titolari del rapporto di comunione, potendo i creditori iscritti e gli aventi causa intervenire in esso, al fine di vigilare sul corretto svolgimento del procedimento divisionale, ovvero proporre opposizione alla divisione non ancora eseguita a seguito di giudizio cui non abbiano partecipato, senza avere alcun potere dispositivo, in quanto non condividenti; ne consegue che la mancata evocazione dei creditori iscritti e degli aventi causa nel giudizio di scioglimento comporta che la divisione non abbia effetto nei loro confronti, come è espressamente previsto dall'art. 1113, terzo comma, c.c.

Cass. civ. n. 29372/2011

In tema di giudizio di divisione ereditaria, successivamente alla costituzione dei convenuti non può più essere chiesta una formazione delle quote diversa da quella cui il giudice debba attenersi in relazione al patrimonio del "de cuius" individuato dalle parti nei loro scritti difensivi iniziali. Ne consegue che la deduzione del fatto che un condividente sia tenuto alla collazione di un bene donato, costituendo eccezione in senso proprio, in quanto diretta a paralizzare la pretesa di tale condividente a partecipare alla divisione secondo quanto gli spetterebbe ove tale donazione non avesse avuto luogo, è soggetta alle preclusioni di cui all'art. 167, secondo comma, c.p.c..

Cass. civ. n. 15233/2011

Nell'azione di scioglimento di comunione ereditaria, secondo quanto stabilito nell'art. 50 della legge 31 maggio 1995, n. 218, la parziale collocazione dei beni immobili all'estero è idonea a precludere la giurisdizione del giudice italiano solo se essa si fondi unicamente sul criterio del domicilio o della residenza in Italia del convenuto o sulla accettazione, da parte di quest'ultimo della giurisdizione italiana. Al contrario, quando sia applicabile almeno uno dei criteri di collegamento stabiliti dal citato art. 50, quali la cittadinanza italiana del "de cuius" e l'apertura della successione in Italia, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice italiano.

Cass. civ. n. 5266/2011

Nel giudizio di divisione della cosa comune, il risultato finale - della trasformazione dei diritti "pro quota" dei singoli partecipanti in altrettanti diritti individuali di proprietà esclusiva su concrete e determinate porzioni di beni comuni - si attua attraverso tre fasi fondamentali: la fase della c.d. assificazione, quella della formazione delle quote e quella della attribuzione. Tale sequenza ha carattere progressivo per cui non possono i condividenti chiedere direttamente l'attribuzione senza che il giudice abbia previamente disposto il progetto di formazione delle quote ed abbia precisato le modalità della divisione, dando disposizioni in merito all'estrazione a sorte dei lotti. Ne consegue che, ove al progetto divisionale non siano state sollevate contestazioni ed esso sia, conseguentemente, divenuto esecutivo, il giudice deve provvedere, con ordinanza non impugnabile, all'attuazione di tale progetto e dare disposizioni in merito all'estrazione a sorte dei lotti. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia di secondo grado che aveva ritenuto corretto il differimento delle operazioni divisionali, deciso dal giudice di primo grado, al passaggio in giudicato della pronuncia che doveva risolvere altre questioni dibattute dai condividenti, laddove, invece, la Corte di merito avrebbe dovuto procedere all'estrazione a sorte dei lotti, come richiesto nell'atto di gravame, non avendo il Tribunale svolto tale attività).

Cass. civ. n. 27412/2005

Qualora con la domanda di divisione si chieda lo scioglimento della comunione non ereditaria avente ad oggetto la contitolarità della nuda proprietà, l'usufruttuario pro quota dell'immobile non è parte necessaria del giudizio, atteso che l'usufrutto e la nuda proprietà, costituendo diritti reali diversi, danno luogo — ove spettino a più persone — a un concorso di iura in re aliena sul medesimo bene e non anche ad una comunione in senso proprio, configurabile in presenza della contitolarità del medesimo diritto reale (1100 c.c.) ed alla quale è correlato il giudizio di divisione, che è volto alla trasformazione del diritto ad una quota ideale (della proprietà o di altro diritto reale limitato) su beni individuali; né, d'altra parte, l'art. 784 c.c. prefigura la sussistenza di un litisconsorzio necessario nei confronti dell'usufruttuario pro quota, atteso che, nel giudizio di divisione, l'usufruttuario stesso, il quale abbia acquistato il diritto in base a un negozio trascritto in data anteriore alla trascrizione della domanda di divisione, può essere chiamato in giudizio, ai sensi dell'art. 1113, comma terzo, c.c. in relazione all'art. 106 c.p.c., perché la sentenza abbia effetto nei suoi confronti.

Cass. civ. n. 15358/2001

La qualità di litisconsorti necessari, ex art. 784 c.p.c., di tutti i condomini rispetto alla domanda di scioglimento della comunione permane in ogni grado del processo, indipendentemente dall'attività e dal comportamento di ciascuna parte. Ne consegue che, se, in fase di appello, l'appellante non provveda alla citazione di uno o più condomini, il giudice di secondo grado è obbligato a disporre l'integrazione del contraddittorio in ottemperanza al precetto dell'art. 331 c.p.c., ancorché, già disposta in primo grado la divisione ex art. 789 c.p.c., debba soltanto pronunciare sulle spese, in quanto la causa accessoria sulle spese condivide il carattere di inscindibilità della causa principale.

Cass. civ. n. 7785/2001

Nel caso di comproprietà di beni gravati da un diritto di usufrutto, la partecipazione dell'usufruttuario al giudizio di divisione si rende necessaria nella sola ipotesi di comunione ereditaria, e sempreché l'usufruttuario rivesta, altresì, la qualità di erede (art. 713 c.c.), ma non in caso di divisione convenzionale, dovendo ritenersi consentito ai comproprietari, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, di pattuire fra di essi lo scioglimento della comunione stessa (art. 784 c.p.c.), senza che, in tale giudizio, l'usufruttuario acquisti la veste di litisconsorte necessario.

Cass. civ. n. 648/2000

La divisione di un bene comune va annoverata tra gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Pertanto, ai sensi dell'art. 180, secondo comma, c.c., come sostituito dalla legge n. 151 del 1975 sulla riforma del diritto di famiglia, qualora del bene da dividere siano comproprietari, assieme ad altri, due coniugi in regime di comunione legale, la rappresentanza spetta congiuntamente ad entrambi, con la conseguenza che entrambi sono litisconsorti necessari, ex art. 784 c.p.c., nel giudizio divisionale da chiunque promosso.

Cass. civ. n. 4891/1993

Il giudizio di divisione ereditaria deve svolgersi necessariamente, a norma dell'art. 784 c.p.c., nei confronti di tutti coloro che partecipano alla comunione al momento della proposizione della domanda, mentre non ricorre la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell'acquirente di uno dei beni controversi in pendenza di giudizio, non operando il trasferimento a titolo particolare del diritto controverso alcun effetto sul rapporto processuale (art. 111 c.p.c.). Pertanto, l'acquirente di un bene ereditario che siasi costituito in giudizio a seguito di chiamata iussu iudicis, sull'erroneo presupposto della necessaria estensibilità del litisconsorzio nei suoi confronti, riveste una posizione processuale analoga a quella dell'interveniente volontario, al quale non è dato opporre alcunché circa la validità e l'efficacia delle prove ritualmente ammesse ed espletate prima del suo intervento.

Cass. civ. n. 7876/1991

Nel giudizio di divisione ereditaria, allorquando si deduca che un determinato bene debba essere escluso dalla massa in quanto di proprietà di un terzo estraneo al giudizio, il contraddittorio deve essere integrato nei confronti di detto terzo, stante l'esigenza di prevenire l'opposizione rispetto all'emananda sentenza nonché gli effetti dell'evizione a norma degli artt. 755 e 759 c.c. A tal fine la parte che eccepisca la non integrità del contraddittorio ha l'onere di indicare le persone che debbono necessariamente essere chiamate a partecipare al giudizio e di specificare le ragioni di fatto e diritto dell'integrazione, le quali non debbono apparire prima facie pretestuose ed infondate, mentre la prova rigorosa dell'allegazione può, in determinate circostanze, connesse alla natura del diritto del terzo, essere data anche successivamente in contraddittorio degli stessi terzi.

Cass. civ. n. 7862/1990

La disposizione dell'art. 784 c.p.c., secondo cui la divisione ereditaria deve essere proposta in confronto di tutti gli eredi, va coordinata all'altra previsione, contenuta nello stesso articolo, secondo cui, nell'ipotesi di comunione ordinaria, la domanda deve essere proposta nei confronti di tutti i condomini, con la conseguenza che elemento caratterizzante ai fini del litisconsorzio è la partecipazione attuale alla comunione (contitolarità dei diritti comuni) con la conseguenza che, nell'ipotesi di cessione di quota ereditaria, litisconsorti necessari nel giudizio di divisione sono i cessionari della stessa e non gli eredi cedenti.

Cass. civ. n. 2231/1983

Qualora sussistano più comunioni, derivanti da titoli diversi, ciascuna di esse comporta il compimento di distinte operazioni divisionali in ordine alle quali non sussiste il litisconsorzio necessario tra i partecipanti alle diverse comunioni, essendo quello previsto dall'art. 784 c.p.c. limitato ai compartecipanti alla comunione derivante da un determinato titolo, senza possibilità di una sua estensione a soggetti che della relativa comunione non fanno parte.

Cass. civ. n. 3788/1982

La comunione ereditaria non si trasforma in comunione ordinaria per il fatto che essa comprenda un unico bene immobile, né per la circostanza che alcuni dei coeredi abbiano ceduto ad estranei le rispettive quote, con la conseguenza che, anche in tale ipotesi, la divisione deve aver luogo in conformità alle norme sulla divisione ereditaria. Nell'ipotesi di cessione di quote ereditarie, legittimi contraddittori, nelle operazioni divisionali, sono i cessionari e non i cedenti, i quali, pur conservando la qualità di eredi, sono usciti, in conseguenza dell'alienazione, dalla comunione ereditaria e, pertanto, sono rimasti privi di legittimazione in ordine alla divisione.

Cass. civ. n. 733/1982

Qualora il compartecipe alieni la sua quota della proprietà indivisa, l'acquirente subentra nella comunione al posto dell'alienante, ma se l'alienazione riguarda non la quota ma la parte determinata corrispondente alla quota e vi sia l'assenso di tutti gli altri compartecipi, si ha una vera e propria divisione o atto equiparato alla divisione, perché si realizza il risultato tipico della divisione. Pertanto, se chi chiede la divisione non contesta l'avvenuto scioglimento nei modi predetti, l'oggetto della pretesa si riduce ad un mero accertamento; ma se lo contesta e non risultano provati nelle forme idonee la divisione o i suoi surrogati, va disposta la divisione, ma il fatto storico rimane, con la conseguenza che ognuno deve imputare alla sua quota ciò che ha ricevuto, con le rivalutazioni del caso e con le responsabilità conseguenti, giacché la stima per la divisione è coeva alla sua attuazione.

Cass. civ. n. 234/1982

Nel giudizio di divisione dell'eredità litisconsorte necessario è colui che si è reso cessionario della quota ereditaria e non l'erede cedente, giacché quest'ultimo pur conservando la qualità di erede, è normalmente privo di uno specifico interesse alla divisione, non essendo più partecipe della comunione ereditaria.

Cass. civ. n. 4703/1981

Gli acquirenti di singoli beni già facenti parte della massa e che ne siano divenuti proprietari solitari, devono essere chiamati ad intervenire nel giudizio di divisione, a norma dell'art. 1113 c.c., se ed in quanto si voglia che la relativa decisione faccia stato anche nei loro confronti. Pertanto, ove tali acquirenti non siano stati chiamati a partecipare al giudizio divisionale, la relativa sentenza non è inutiliter data, essendo perfettamente eseguibile, ma è solamente non opponibile ai detti acquirenti.

Cass. civ. n. 3812/1981

Nel caso di cessione della quota ereditaria, la qualità di litisconsorte necessario nel giudizio di divisione spetta al cessionario, e non al cedente, atteso che tale qualità, a norma dell'art. 784 c.p.c., si ricollega alla veste di partecipante alla comunione ereditaria, non a quella di erede in sé considerata.

Cass. civ. n. 2364/1981

Qualora durante il giudizio di divisione relativo ad immobile non comodamente divisibile uno dei condividenti ceda ad un terzo la propria quota, si realizza la successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c., per cui il cessionario di detta quota, ove intervenga nel processo, sta in giudizio in nome proprio come attuale titolare del rapporto sostanziale controverso, in qualità di parte dotata di piena autonomia processuale, mentre il cedente, che non venga estromesso dal giudizio, assume la veste di sostituto processuale, munito, in quanto tale, di un potere dispositivo subordinato alla volontà del cessionario medesimo. Ne consegue che, in siffatta situazione, il potere di chiedere o meno l'attribuzione del bene ai sensi dell'art. 720 c.c. spetta al cessionario della quota, e non al cedente.

Cass. civ. n. 5531/1980

La domanda proposta al fine di ottenere la declaratoria di nullità di una divisione ereditaria giudiziale, mirando a conseguire una pronunzia incidente sull'intero rapporto plurisoggettivo già oggetto del giudizio divisorio, dà vita ad una causa inscindibile per ragioni sostanziali, nella quale devono considerarsi litisconsorti necessari anche i coeredi che siano stati parti del giudizio divisorio e che abbiano alienato le proprie quote, poiché queste alienazioni non li privano della qualità di erede e, perciò, di parti necessarie ex art. 784 c.p.c.

Cass. civ. n. 1594/1980

Qualora in un giudizio di divisione ereditaria, nessuna delle parti abbia provveduto all'integrazione del contraddittorio nei confronti dei coeredi non convenuti in giudizio, l'estinzione del processo può essere dichiarata soltanto se la relativa eccezione sia stata tempestivamente sollevata dalla parte interessata prima di ogni altra difesa; pertanto, qualora l'eccezione sia stata tardivamente proposta, il processo non può che proseguire tra le parti originarie, salva l'eventuale inefficacia delle sentenze pronunciate nei diversi gradi del processo, a contraddittorio non integro. (Nella specie, nel giudizio difeso di primo grado, il convenuto aveva eccepito l'estinzione del processo nella comparsa conclusionale solo dopo essersi difeso nel merito chiedendo, in sede di precisazione delle conclusioni, il rigetto della domanda).

Cass. civ. n. 1680/1979

Nell'ipotesi in cui la notificazione dell'atto riassuntivo del giudizio di primo grado, vertente in materia divisoria, risulti affetta da nullità nei confronti di uno dei partecipanti alla comunione da sciogliere, rimasto assente in quella fase processuale, il giudice dell'appello non deve dichiarare l'estinzione del processo, ai sensi dell'art. 307 c.p.c., in quanto la riassunzione è già tempestivamente avvenuta con riguardo agli altri litisconsorzi necessari, ma, in applicazione dell'art. 354 c.p.c., è tenuto a rimettere la causa al primo giudice per la integrazione del contraddittorio nei confronti della parte pretermessa.

Cass. civ. n. 1596/1979

Nel giudizio di divisione sussiste il litisconsorzio necessario tra tutti i partecipanti alla comunione da sciogliere, ancorché il processo sia stato instaurato in via strumentale per il conseguimento della pretesa esecutiva dei creditori di uno dei comproprietari, verificandosi in tal caso una ipotesi di pregiudizialità necessaria, che non modifica la natura giuridica della causa pregiudiziale; sicché, qualora alcuni comproprietari siano deceduti prima della notifica della citazione, il giudizio di divisione è affetto da nullità per difetto di integrità del contraddittorio, rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del processo, salvo che sulla questione si sia formato il giudicato, e tale nullità va dichiarata, in ogni caso, indipendentemente dalla soluzione delle eventuali questioni vertenti sulla validità dell'accettazione della eredità dei comunisti defunti, da parte dei soggetti ad essa chiamati.

Cass. civ. n. 727/1973

Il giudizio di divisione ereditaria deve svolgersi in ogni grado con la partecipazione di tutti i coeredi, altrimenti la sentenza è inutiliter data, ma il ricorrente per cassazione non ha interesse a denunciare il difetto del contraddittorio nel grado d'appello per omessa citazione di alcuni partecipanti alla comunione, quando la sentenza risulti pronunciata anche nei confronti di costoro e quando, a tutti notificato il successivo ricorso per cassazione, coloro che si assume essere rimasti estranei alla precedente fase, non abbiano fatto valere, in sede di legittimità e secondo l'art. 327 comma 2 c.p.c., il vizio dell'impugnata sentenza, la quale ha così acquistato l'astratta possibilità di passare in giudicato anche per loro.

Cass. civ. n. 1466/1972

È inammissibile il ricorso per cassazione qualora il ricorrente non abbia provveduto, in esecuzione del provvedimento emesso dalla stessa corte, all'integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi legittimi che siano stati parte del giudizio di merito avente ad oggetto le azioni di petitio hereditatis e di divisione ereditaria.

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martedì 28/09/2021 - Lombardia
“Spett.le Redazione Brocardi,
avendo ricevuto da un Legale un'unica proposta bonaria per lo scioglimento della comunione ereditaria avanzata per conto e a nome di tre coeredi, cortesemente desidero conoscere se nella fattispecie, ai sensi dell'art. 784 e segg. c.p.c., detta proposta è regolare o doveva coinvolgere ed essere inviata o meno singolarmente a tutti i coeredi e non solo ad un coerede.
Inoltre, è giusto la coalizione di 3 coeredi contro 1.
Preciso che siamo in totale 4 coeredi che non hanno rinunciato all'eredità.
Cordialità”
Consulenza legale i 04/10/2021
Gli artt. 713, 1111 c.c. e 784 c.p.c. sanciscono il principio di carattere generale secondo cui ciascun partecipante alla comunione può provocarne in qualunque momento lo scioglimento, ciò che denota un generale disfavore da parte del legislatore per la comunione, sia ordinaria che ereditaria.
Corollari di tale principio sono:
  1. che si può determinare lo scioglimento della comunione anche su iniziativa di un singolo comunista ed a prescindere dalla volontà degli altri (cfr. Cass. civ. Sez. II, n. 543/1986);
  2. che il diritto allo scioglimento della comunione è esercitabile in ogni tempo (l’azione di divisione, infatti, è imprescrittibile).

Ora, quando si parla di “azione di divisione” ci si intende riferire all’ipotesi in cui, non essendo stato possibile per i condividenti raggiungere un accordo, si renda necessario fare ricorso alla divisione dinanzi al giudice, dovendosi tenere presente che la divisione giudiziale si pone sempre come alternativa rispetto alla divisione consensuale.
La disciplina processuale del giudizio di divisione, dettata dagli artt. 784 e ss. c.p.c., si applica dunque soltanto nelle ipotesi in cui si renda necessario fare ricorso all’intervento del giudice per giungere alla divisione del bene comune.
Per tale ipotesi, si sottoliena alternativa alla divisione consensuale, l’art. 784 c.p.c. contiene una regola di legittimazione, sia attiva che passiva, in quanto individua i soggetti tra i quali deve svolgersi il giudizio.
In particolare, si dispone che la divisione debba essere richiesta nei confronti di tutti i contitolari della comunione e, perfino, ove ve ne siano, nei confronti dei creditori opponenti.

Occorre a questo proposito precisare che la legittimazione passiva appartiene a tutti i partecipi alla comunione diversi da quello che agisce e che ad agire possono anche essere più comunisti d’accordo tra loro.
Per tale ipotesi è ben possibile, in considerazione della inziale posizione paritaria tra tutti i condividenti, che più parti siano rappresentate dallo stesso difensore; solo qualora successivamente e nel corso del giudizio dovessero manifestarsi conflitti di interesse tra le medesime parti, sarà chiaramente necessario procedere alla nomina di difensori diversi.
In tal senso si ritiene possa essere utile richiamare la sentenza della Cass. civ. n. 2493/1983, nella quale si afferma il seguente principio di diritto:
La circostanza che nel giudizio di divisione più condividenti siano rappresentati dallo stesso difensore importa l'inefficacia delle procure allo stesso rilasciate e la nullità degli atti compiuti e dei provvedimenti adottati nel giudizio, solo ove, e dal momento in cui, tra le dette parti si realizzi un conflitto di interessi”.

Sembra opportuno a questo punto precisare che quanto fin qui detto vale con riferimento al giudizio di divisione, mentre nella fase prodromica a tale giudizio, ossia quella del tentativo di bonario raggiungimento di un accordo divisorio (è tale quella che, nel caso in esame, il legale degli altri comunisti sta cercando di portare avanti), non esiste norma, né giuridica né sociale, che vieti ad un avvocato di rappresentare congiuntamente più comunisti, i quali possono già ben essere d’accordo su come sciogliere la comunione.


Massimo L. chiede
venerdì 21/01/2011

“Salve, sono proprietario insieme a tre fratelli di uno stabile composto da 4 appartamenti ed un locale garage. La proprietà risulta allo stato attuale "comune non divisa". Si voleva procedere per un "atto di divisione" ma la situazione è la seguente: due parti sono d'accordo con la "divisione", la terza parte dichiara di non essere economicamente pronta per procedere, la quarta parte tira in ballo rancori personali, rifiutandosi di presentarsi dal notaio.
Mi chiedo, è possibile procedere ad un "atto di divisione" permanendo questa situazione?
Anticipatamente ringrazio.”

Consulenza legale i 21/01/2011

La situazione di comunione descritta nel caso di specie sembra configurarsi come comunione ereditaria, che si ha nell'ipotesi in cui due o più persone sono chiamate pro quota alla medesima eredità.

L'art. 713 del c.c. disciplina la divisione ereditaria, sancendo il principio per cui i coeredi possono sempre chiedere la divisione.

La divisione può essere di due tipi:
- amichevole, se si attua mediante accordo di tutti i chiamati;
- giudiziale, se si svolge sotto la direzione dell'autorità giudiziaria quando non sia raggiunta l'unanimità dei consensi.

Nella situazione in esame, esclusa la possibilità di giungere "amichevolmente" alla divisione del compendio immobiliare, sarà necessario instaurare un giudizio al quale dovranno partecipare tutti i coeredi, litisconsorti necessari. Il giudizio di decisione dovrà, da un lato, accertare il diritto spettante a ciascun partecipante sul bene comune (con conseguente accertamento del diritto alla divisione); dall'altro, trasformare concretamente la situazione di contitolarità in una situazione di dominio esclusivo.