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Articolo 1421 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Legittimazione all'azione di nullità

Dispositivo dell'art. 1421 Codice Civile

Salvo diverse disposizioni di legge(1) la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse(2) e può essere rilevata d'ufficio dal giudice(3).

Note

(1) Se la legge dispone diversamente, si parla di "nullità relativa".
(2) Si tratta della caratteristica dell'assolutezza della nullità la quale, se consente anche ai terzi di rilevare il vizio presuppone, comunque, un interesse del terzo, cioè un potenziale vantaggio per questi.
(3) Oltre alla caratteristica indicata dalla norma e da quelle enumerate negli articoli che seguono (1422, 1423, 1424 c.c.) l'azione di nullità è un'azione di mero accertamento in quanto il giudice si limita a rilevare il vizio, senza modificare la situazione giuridica esistente.

Ratio Legis

La norma si spiega considerando che la nullità è il vizio più grave che può colpire il contratto, di modo che il suo rilievo gode di una certa flessibilità.

Spiegazione dell'art. 1421 Codice Civile

La figura della nullità relativa, nel senso di nullità con azione spettante solo a determinate persone. Critica

E’ qui sancito un principio ormai pacifico nella dottrina e nella giurisprudenza del codice abrogato, in quanto costituisce una diretta conseguenza del concetto stesso di nullità.

L'unica parte interessante della disposizione è il primo inciso, con il quale il nuovo legislatore sembra aver esplicitamente riconosciuto, sia pure come fenomeno di carattere eccezionale, la figura, vivamente discussa sotto il codice abrogato, della nullità relativa, intesa questa espressione nel senso di nullità con l'appartenenza dell'azione limitata a determinati soggetti.

A parte talune situazioni di invalidità del matrimonio, e, per i fautori di questa figura, tutti i casi di inefficacia relativa o inopponibilità (v. retro), nei quali la relatività dell'inefficacia importerebbe una rela­tività anche nell'azione di accertamento della medesima, le principali ipotesi di nullità relativa individuate dalla precedente dottrina sono quelle della vendita di cosa altrui (art. #1459# cod. civ. del 1865) e dell'alienazione o dell'obbligazione della dote non permessa nell'atto costitutivo o non autorizzata dal tribunale (art. 1407 cod. civ. del 1860. La prima ipotesi, qualunque fosse il suo fondamento nei confronti della passata legislazione, non può più assolutamente essere ricordata nell'attuale legislazione, la quale sancisce la validità della vendita di cosa altrui, salvo la possibilità di risoluzione nel caso che l'acquirente sia in buona fede e l'alienante nel frattempo non gli abbia fatto acqui­stare la proprietà (articoli 1478, 1479 cod. civ.). Resta invece l'ipotesi dell'alienazione o obbligazione della dote (art. 190 cod. civ.), alla quale si deve aggiungere per il nuovo codice l'ipotesi della donazione al figlio naturale non riconoscibile, che può essere fatta valere solo dal donante, dai suoi discendenti legittimi e dal coniuge (art. 780 cod. civ.).

Questa figura della nullità relativa non può tuttavia essere accolta, in quanto è in irriducibile contrasto con il concetto stesso di nullità e con il valore meramente dichiarativo dell'azione relativa. L'assurdità di questa figura può essere anche dimostrata in modo decisivo in relazione all'assurdità della figura dell'inopponibilità o nullità relativa con riferimento ai soggetti nei confronti dei quali ha luogo la nullità. Bisogna distinguere al riguardo quelle ipotesi di nullità relativa nelle quali la relatività nella legittimazione all'azione è una conseguenza della relatività dell'inefficacia da quelle altre ipotesi nelle quali questa relatività ha un carattere, per così dire autonomo e indipendente. Per le prime ipotesi l'assurdità della nullità relativa si desume direttamente dall'assurdità, già posta in luce (v. retro, pag. 648) della figura dell'inopponibilità. Per le seconde è invece da tener presente quanto segue.

L'azione di nullità può presentare una utilità pratica in quanto tenda ad eliminare una controversia tra i contraenti circa l'esistenza o meno del negozio oppure in quanto una parte, nel timore che l'altra intenda, in un futuro più o meno prossimo, esercitare dei diritti in base al negozio nullo, voglia premunirsi contro tali eventuali molestie. Ciò posto, si supponga che Tizio abbia concluso con Caio un contratto di alienazione di beni dotali non permesso nell'atto costitutivo né autorizzato dal tribunale, nel qual caso a termini di legge l'azione di nullità spetta solo al marito e alla moglie.

Qual è la situazione che si viene a determinare in questa ipotesi? Occorre distinguere. Se entrambe le parti sono concordi nell'ammettere la nullità, il caso non presenta particolare interesse: il negozio è nullo e non produce effetti nei confronti di alcuno. Se invece sorge tra le parti una controversia di tal genere, allora il negozio in quanto nullo non produce in realtà e per nessuno alcun effetto, ma siccome due sole persone, Tizio e il coniuge, sono abilitate a far valere tale nullità, finché una di esse non abbia esercitato l'azione relativa, il coniuge a cui prima dell'alienazione spettava la proprietà dei beni dotali, deve essere considerato proprietario, vale come proprietario nei confronti di tutti coloro a cui non compete detta azione. Se questa viene poi esercitata, si ristabilisce l'identità tra la situazione processuale e quella sostanziale. Ed allora anche in queste ipotesi si cade nel concetto di nullità relativa con riferimento ai soggetti nei confronti dei quali la nullità ha luogo, cioè in quel concetto assurdo e contraddittorio per cui il negozio esiste o non esiste a seconda che si guardi questo o quel gruppo di soggetti. I due concetti di nullità relativa non coincidono però del tutto dal punto di vista teorico: in un caso il negozio è in realtà e immediatamente esistente solo nei confronti di determinate persone; nell'altro invece il negozio in realtà non esiste per alcun soggetto, ma il fatto che solo una persona è abilitata a far valere detta nullità importa per l'altra parte e per i terzi che il negozio debba considerarsi esistente e valido: gli effetti pratici sono cioè identici.

Concludendo, la nullità relativa di cui all'inciso dell'art. 1421 cod. civ. o è una conseguenza della relatività dell'efficacia o porta, agli effetti pratici, ad una relatività dell'efficacia, il che significa che contro di essa valgono le stesse decisive obiezioni formulate nei confronti della nullità relativa od inopponibilità.

Si deve pertanto procedere ad un'interpretazione abrogante dell'inciso dell'art. 1420 cod. civ. e, nella costruzione delle situazioni suesposte, battere altre strade anziché parlare di nullità con azione spettante solo a determinate persone. Per ciò che concerne l'inefficacia dell'alienazione della dote, data la possibilità di prescrizione trentennale della azione e di conferma, sia pure dopo lo scioglimento del matrimonio, concordemente ammesse dalla dottrina e dalla giurisprudenza, si può affermare tranquillamente che si tratta di semplice annullabilità. La stessa interpretazione antiletterale può essere adottata nei confronti dell'art. 780 cod. civ., con l'avvertenza che in questa ipotesi la facoltà di chiedere l'annullamento deve ritenersi, al pari dell'azione di nullità, imprescrittibile.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1421 Codice Civile

Cass. civ. n. 6728/2023

Il rilievo d'ufficio della nullità, in grado d'appello, non deve necessariamente concernere il rapporto giuridico oggetto diretto della domanda, ma può fondarsi anche su circostanze di fatto introdotte nel giudizio in via d'eccezione. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto precluso il rilievo officioso della nullità di una clausola contemplante la reviviscenza di un contratto di fideiussione, sul presupposto che la relativa questione fosse stata introdotta in via d'eccezione rispetto alla domanda principale di inefficacia di un pegno su azioni, costituito proprio a garanzia della liberazione dei fideiussori).

Cass. civ. n. 2670/2020

Con riferimento alla domanda (o all'eventuale eccezione) di nullità di un contratto, mentre per le parti contraenti l'interesse ad agire è "in re ipsa", in dipendenza dell'attitudine del contratto di cui si invoca la nullità ad incidere nella loro sfera giuridica, il terzo deve dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse alla declaratoria di nullità.

Cass. civ. n. 26495/2019

Il giudice innanzi al quale sia proposta una domanda di nullità contrattuale deve rilevare d'ufficio l'esistenza di una causa di nullità diversa da quella prospettata, che sia desumibile dai fatti dedotti in giudizio ed abbia carattere assorbente, con l'unico limite di dovere instaurare il contraddittorio prima di statuire sul punto. Tale rilievo è doveroso anche in grado di appello, perché si tratta di una questione che attiene ai fatti costitutivi della pretesa azionata ed integra un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio ex art. 345 c.p.c. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di appello, che non aveva rilevato d'ufficio la nullità del contratto di vitalizio alimentare per difetto di causa, in particolare per difetto di alea, in ragione della grave patologia che affliggeva il vitaliziato e che lasciava presumere l'imminente suo decesso, in un giudizio in cui il medesimo contratto era stato impugnato per altre ragioni).

Cass. civ. n. 21243/2019

La nullità del contratto posto a fondamento dell'azione di adempimento è rilevabile d'ufficio, ma non può essere accertata sulla base di una "nuda" eccezione, sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione, basata su contestazioni in fatto in precedenza mai effettuate, a fronte della quale l'intimato sarebbe costretto a subire il "vulnus" delle maturate preclusioni processuali. (Principio enunciato in relazione ad una fattispecie in cui, richiesto il pagamento del compenso per l'attività di mediazione espletata, è stata sollevata solo in sede di legittimità l'eccezione relativa alla mancata iscrizione del mediatore nel relativo albo professionale).

Cass. civ. n. 3308/2019

La rilevazione d'ufficio delle nullità negoziali - sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, e altresì per le ipotesi di nullità speciali o di protezione - è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in base a una individuata "ragione più liquida", e va intesa come indicazione alle parti di tale vizio. La loro dichiarazione, invece, ove sia mancata un'espressa domanda della parte all'esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa - salvo per le nullità speciali, che presuppongono una manifestazione di interesse della parte - del medesimo vizio, previo suo accertamento, nella motivazione e/o nel dispositivo della pronuncia, con efficacia di giudicato in assenza di sua impugnazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la sentenza, emessa in altro giudizio e passata in giudicato, con la quale era stata incidentalmente dichiarata la nullità del contratto preliminare di vendita del diritto d'uso di un box auto, spiegasse i suoi effetti anche nel successivo giudizio instaurato dalla promittente alienante nei confronti dei promissari acquirenti per il rilascio del bene e per il pagamento delle spese di gestione e dell'indennità di occupazione).

Cass. civ. n. 1036/2019

Il giudice può rilevare d'ufficio la nullità di un contratto, a norma dell'art. 1421 c.c., anche ove sia stata proposta domanda di annullamento (o di risoluzione o di rescissione), senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è implicitamente postulata l'assenza di ragioni che determinino la nullità del contratto medesimo. L'efficacia della pronuncia, tuttavia, non può eccedere i limiti della causa, la cui efficacia si deve conformare al perimetro della domanda proposta, potendo tuttavia estendersi all'intero rapporto contrattuale se questa lo investa interamente.

Cass. civ. n. 21418/2018

Il rilievo "ex officio" di una nullità negoziale deve ritenersi consentito in tutte le ipotesi in cui il giudice risulti investito di una domanda di risoluzione, annullamento, rescissione del contratto senza, per ciò solo, negarsi la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poichè tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo e omogeneo, non incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ANCONA, 13/03/2013).

Cass. civ. n. 16977/2017

Il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di accertamento della nullità di un contratto o di una singola clausola contrattuale ha il potere-dovere di rilevare d'ufficio - previa instaurazione del contraddittorio sul punto - l'esistenza di una causa di nullità diversa da quella prospettata, che abbia carattere portante ed assorbente e che emerga dai fatti allegati e provati o comunque dagli atti di causa, salvo che non si tratti di nullità a regime speciale.

Cass. civ. n. 7294/2017

Il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione - e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia - trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c..

Cass. civ. n. 12996/2016

Il rilievo officioso della nullità contrattuale da parte del giudice di legittimità non attiene soltanto alle azioni di impugnativa negoziale ma investe anche la domanda di risarcimento danni per inadempimento contrattuale che sia stata proposta, in via autonoma, da quella di impugnazione del presupposto contratto.

Cass. civ. n. 26242/2014

La "rilevazione" "ex officio" delle nullità negoziali (sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, ed altresì per le ipotesi di nullità speciali o "di protezione") è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata "ragione più liquida", e va intesa come indicazione alle parti di tale vizio; la loro "dichiarazione", invece, ove sia mancata un'espressa domanda della parte pure all'esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa (salvo per le nullità speciali, che presuppongono una manifestazione di interesse della parte) del medesimo vizio, previo suo accertamento, nella motivazione e/o nel dispositivo della pronuncia, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione.

La rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una "species" del più ampio "genus" rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali - quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l'uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost) - che trascendono quelli del singolo.

Il rilievo "ex officio" di una nullità negoziale - sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o "di protezione" - deve ritenersi consentito, sempreché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata "ragione più liquida", in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per ciò solo, negarsi la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poiché tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale.

Il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare di ufficio l'esistenza di una causa di quest'ultima diversa da quella allegata dall'istante, essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicché è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio.

Il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità parziale del contratto deve rilevarne di ufficio la nullità totale, e, qualora le parti, all'esito di tale indicazione officiosa, omettano un'espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l'originaria pretesa non potendo attribuire efficacia, neppure parziale (fatto salvo il diverso fenomeno della conversione sostanziale), ad un negozio radicalmente nullo.

Il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale, e, qualora le parti, all'esito di tale indicazione officiosa, omettano un'espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l'originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione ed alle loro determinazioni espresse nel processo.

Nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo.

Cass. civ. n. 2447/2014

La legittimazione generale all'azione di nullità, prevista dall'art. 1421 cod. civ., non esime l'attore dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse, a norma dell'art. 100 cod. proc. civ., non potendo tale azione essere esercitata per un fine collettivo di attuazione della legge. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato improponibile la domanda di un cittadino che, promossa una raccolta di firme contro la vendita di un edificio comunale, aveva chiesto di invalidarla ai sensi dell'art. 1471, n. 1, cod. civ.).

Cass. civ. n. 23235/2013

Il rilievo d'ufficio della nullità del contratto è precluso al giudice quando sulla validità del rapporto si sia formato il giudicato, anche implicito, come allorché il giudice di primo grado, accogliendo una domanda, abbia dimostrato di ritenere valido il contratto, e le parti, in sede di appello, non abbiano mosso alcuna censura inerente la sua validità. (Nel caso di specie, in applicazione di tale principio, si è ritenuto che il giudicato interno, formatosi sull'accoglimento della domanda contrattuale di rendiconto ex art. 2552 c.c., precludesse la questione sulla validità del contratto di associazione in partecipazione).

Cass. civ. n. 14828/2012

Alla luce del ruolo che l'ordinamento affida alla nullità contrattuale, quale sanzione del disvalore dell'assetto negoziale e atteso che la risoluzione contrattuale è coerente solo con l'esistenza di un contratto valido, il giudice di merito, investito della domanda di risoluzione del contratto, ha il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti "ex actis", una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto stesso, purché non soggetta a regime speciale (escluse, quindi, le nullità di protezione, il cui rilievo è espressamente rimesso alla volontà della parte protetta); il giudice di merito, peraltro, accerta la nullità "incidenter tantum" senza effetto di giudicato, a meno che sia stata proposta la relativa domanda, anche a seguito di rimessione in termini, disponendo in ogni caso le pertinenti restituzioni, se richieste.

Cass. civ. n. 9395/2011

La rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto in ogni stato e grado del processo opera solo se da parte dell'attore se ne richieda l'adempimento, essendo il giudice tenuto a verificare l'esistenza delle condizioni dell'azione e a rilevare d'ufficio le eccezioni che, senza ampliare l'oggetto della controversia, tendano al rigetto della domanda e possano configurarsi come mere difese del convenuto. Ne consegue che quando la domanda sia, invece, diretta a far valere l'invalidità del contratto o a pronunciarne la risoluzione per inadempimento, non può essere dedotta tardivamente un'eccezione di nullità diversa da quelle poste a fondamento della domanda, essendo il giudice, sulla base dell'interpretazione coordinata dell'art. 1421 c.c. e 112 c.p.c., tenuto al rispetto del principio dispositivo, anche alla luce dell'art. 111 Cost., che richiede di evitare, al di là di precise indicazioni normative, ampliamenti dei poteri d'iniziativa officiosa

Cass. civ. n. 2956/2011

Il giudice può rilevare d'ufficio la nullità di un contratto, a norma dell'art. 1421 c.c., anche se sia stata proposta la domanda di annullamento (o di risoluzione o di rescissione del contratto, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è implicitamente postulata l'assenza di ragioni che determinino la nullità del contratto medesimo; ne consegue che il rilievo di quest'ultima da parte dei giudice dà luogo a pronunzia non eccedente i limiti della causa, la cui efficacia resta commisurata nei limiti della domanda proposta, potendo quindi estendersi all'intero rapporto contrattuale se questa lo investa interamente.

Cass. civ. n. 18540/2009

Sebbene sia consentito al giudice rilevare d'ufficio la nullità del contratto anche quando ne sia stata domandata la risoluzione per inadempimento, tale rilievo resta precluso quando sulla questione della validità del contratto si sia formato il giudicato, anche implicito. Quest'ultimo, a sua volta, si forma in tutti i casi in cui il giudice di primo grado, accogliendo la domanda di risoluzione, abbia per ciò solo dimostrato di ritenere valido il contratto, e le parti in sede di appello non abbiano mosso alcuna censura inerente la validità del contratto.

Cass. civ. n. 23674/2008

Nei caso in cui le parti di un contratto, ascrivendosi reciproci inadempimenti, chiedano ciascuna nei confronti dell'altro la risoluzione ai sensi dell'art. 1453 cod. civ., il giudice può rilevare d'ufficio la nullità del contratto stesso (niella specie, per difetto di forma scritta prescritta ad substantiam) in ogni stato e grado del giudizio, col solo limite della formazione del giudicato interno.

Cass. civ. n. 10121/2007

La regola dettata dall'art. 157 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, è propria della materia processuale ma è estranea alla materia sostanziale, nella quale l'azione è concessa anche a chi abbia partecipato alla stipulazione del contratto nullo, purché vi abbia interesse.

Cass. civ. n. 21632/2006

La rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto opera quando si chieda l'adempimento del contratto, in considerazione del potere del giudice di verificare la sussistenza delle condizioni dell'azione, e non quando la domanda sia diretta a far dichiarare l'invalidità del contratto o a farne pronunciare la risoluzione per inadempimento, dovendosi coordinare l'art. 1421 c.c. con l'art. 112 c.p.c., il quale, sulla base del principio dispositivo su cui va modellato il processo, impone al giudicante il limite insuperabile della domanda attorea, anche alla luce del nuovo art. 111 Cost., che richiede di evitare, al di là delle precise e certe indicazioni normative, ampliamenti dei poteri di iniziativa officiosa. (Sulla base di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto l'azione di risoluzione per inadempimento del contratto di cessione di un immobile rilevando d'ufficio che esso era stato stipulato in forma verbale).

Cass. civ. n. 6003/2006

Il necessario contemperamento tra il potere che l'art. 1421 c.c. attribuisce al giudice di dichiarare d'ufficio la nullità di un contratto ed il principio della domanda sancito negli artt. 99 e 112 c.p.c. delinea un sistema che trova operatività laddove il suddetto atto rappresenti elemento costitutivo della domanda, che inerisce alla sua esecuzione o alla sua applicazione, prescindendo dall'attività assertiva delle parti, di guisa che la nullità può essere rilevata d'ufficio, in qualsiasi stato e grado del giudizio, a condizione che, se il relativo potere venga esercitato in sede impugnatoria, la pronuncia di nullità si basi sul medesimo quadro di riferimento concretamente delineato dalle allegazioni delle parti, anche se, qualora la questione sia stata posta da taluna di esse, vengano enucleate ipotesi normative difformi da quelle dedotte (in applicazione del principio, si è confermata la declaratoria di nullità, da parte della Corte d'appello, di una cessione volontaria riferita dal primo giudice, su eccezione di parte, al difetto di «oggetto possibile» in considerazione del fatto che il negozio era stato concluso in difetto del potere dell'ente pubblico, quando era ormai spirato il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e l'oggetto dell'atto era comunque già stato acquisito al demanio).

Cass. civ. n. 6170/2005

A norma dell'art. 1421 c.c. il giudice deve rilevare d'ufficio le nullità negoziali, non solo se sia stata proposta azione di esatto adempimento, ma anche se sia stata proposta azione di risoluzione o di annullamento o di rescissione del contratto, procedendo all'accertamento incidentale relativo ad una pregiudiziale in senso logico — giuridico (concernente cioè il fatto costitutivo che si fa valere in giudizio — cosiddetto punto pregiudiziale), — idoneo a divenire giudicato, con efficacia pertanto non soltanto sulla pronunzia finale ma anche (ed anzitutto) circa l'esistenza dei rapporto giuridico sul quale la pretesa si fonda. 

Cass. civ. n. 11483/2004

Qualora una questione di nullità (nel caso di specie, di un contratto di assicurazione) venga sollevata per la prima volta in appello non come domanda ma solo come eccezione riconvenzionale rispetto all'altrui domanda di pagamento, in quanto con essa vengono avanzate richieste che, pur ampliando i termini della controversia, rimangono nell'ambito della difesa, senza tendere ad altro fine che non sia quello della reiezione della domanda, non va incontro ai limiti di inammissibilità delle domande nuove in appello fissati dall'art. 345 c.p.c., ma è ammissibile, in quanto sotto questo più limitato aspetto può essere rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ex art. 1421 c.c.

Cass. civ. n. 8204/2004

Il bilancio redatto dal commissario nominato in sostituzione degli organi ordinari di una società di assicurazioni a norma dell'art. 7 della legge 12 agosto 1982, n. 576 (Riforma della vigilanza sulle assicurazioni), come sostituito dall'art. 2 della legge 9 gennaio 1991, n. 20, è comunque da considerare alla stregua di un atto societario, soggetto alle regole dettate dal legislatore per tal genere di rappresentazione contabile della realtà patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, con la conseguenza che esso è soggetto al corrispondente regime di impugnazione, pur con gli adattamenti necessariamente dovuti al fatto che detto bilancio non passa attraverso l'approvazione dell'assemblea dei soci. Da tanto deriva che il socio è legittimato a far accertare direttamente la nullità del bilancio per contrasto con le norme imperative destinate a disciplinarne la redazione, a tal fine promuovendo un'azione retta dai principi generali desumibili dal combinato disposto degli artt. 1324 e 1418 c.c.

Cass. civ. n. 1552/2004

La rilevabilità d'ufficio della nullità di un contratto anche in assenza di una domanda o eccezione in tal senso delle parti presuppone pur sempre la rituale proposizione di una domanda riguardante quel determinato contratto — nel senso che si controverta della sua validità o dell'adempimento degli obblighi da esso nascenti —, e non può quindi essere invocata allorché la relativa domanda sia stata ritenuta inammissibile, essendo in tali ipotesi escluso in radice il principio della rilevabilità d'ufficio della nullità indipendentemente dalle domande o dalle eccezioni delle parti.

Cass. civ. n. 11847/2003

Nelle controversie promosse per far valere diritti che presuppongono la validità di un determinato contratto, la nullità del contratto stesso è rilevabile d'ufficio, anche in grado di appello, rientrando nel potere-dovere del giudice la verifica della sussistenza delle condizioni dell'azione, indipendentemente dall'attività assertiva delle parti, e senza incorrere in vizio di ultrapetizione se il contratto configura un elemento costitutivo della domanda (dovendo il principio della rilevabilità d'ufficio della nullità coordinarsi con quello della domanda). In una tale prospettiva, la questione relativa alla nullità del contratto può integrare una mera allegazione difensiva volta a sollecitare il potere del giudice di rilevare d'ufficio la nullità, con la conseguenza che, in mancanza di una esplicita richiesta di declaratoria di nullità del contratto, non si rendono applicabili le regole delle preclusioni o limitazioni per la proposizione di domande nuove o di eccezioni in senso stretto.

Cass. civ. n. 5575/2003

Il bilancio redatto dal commissario nominato in sostituzione degli organi ordinari di una società di assicurazioni a norma dell'art. 7 della legge 12 agosto 1982, n. 576 (Riforma della vigilanza sulle assicurazioni), come sostituito dall'art. 2 della legge 9 gennaio 1991, n. 20, è comunque da considerare alla stregua di un atto societario, soggetto alle regole dettate dal legislatore per tal genere di rappresentazione contabile della realtà patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, con la conseguenza che esso è soggetto al corrispondente regime di impugnazione, pur con gli adattamenti necessariamente dovuti al fatto che detto bilancio non passa attraverso l'approvazione dell'assemblea dei soci. Da tanto deriva che il socio è legittimato a far accertare direttamente la nullità del bilancio per contrasto con le norme imperative destinate a disciplinarne la redazione, a tal fine promuovendo un'azione retta dai principi generali desumibili dal combinato disposto degli artt. 1324 e 1418 c.c.

Cass. civ. n. 12644/2000

Il principio della rilevabilità di ufficio della nullità dell'atto va necessariamente coordinato con il principio dispositivo e con quello di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e trova applicazione soltanto quanto la nullità si ponga come ragione di rigetto della pretesa attorea, per essere l'atto elemento costitutivo della domanda. Qualora sia, invece, la parte a chiedere la dichiarazione di invalidità di un atto ad essa pregiudizievole, la pronuncia del giudice deve essere circoscritta alle ragioni di legittimità enunciate dall'interessato e non può fondarsi su elementi rilevati di ufficio o tardivamente indicati, configurandosi — in questa ipotesi — la nullità come elemento costitutivo della domanda dell'attore, la quale si pone come limite assoluto alla pronuncia giurisdizionale. (Fattispecie relativa all'eccezione di nullità dell'art. 94, n. 6, del C.C.N.L. per i lavoratori ferroviari nel biennio 1990/1992 proposta tardivamente e cioè, per la prima volta in sede di legittimità).

Cass. civ. n. 8478/2000

È inammissibile la questione di nullità di un contratto sollevata per la prima volta in Cassazione sotto un profilo diverso da quello posto a fondamento della domanda proposta nei precedenti gradi di merito ed implicante ulteriori accertamenti perché la rilevabilità d'ufficio, anche in sede di legittimità, della nullità di un contratto, postula che la relativa questione non richieda nuove indagini di fatto.

Cass. civ. n. 123/2000

Il potere del giudice di dichiarare d'ufficio la nullità di un contratto ex art. 1421 c.c. deve essere coordinato con il principio della domanda ex artt. 99 e 112 c.p.c., cosicché solo se sia in contestazione l'applicazione o l'esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a rilevare in qualsiasi stato e grado del giudizio la nullità dell'atto, indipendentemente dalla attività assertiva delle parti. Qualora, invece, la domanda sia diretta a far dichiarare l'invalidità del contratto o a farne pronunciare la risoluzione per inadempimento, la deduzione nella prima ipotesi di una causa di nullità diversa da quella posta a fondamento della domanda e nella seconda ipotesi di una qualsiasi causa di nullità o di un fatto diverso dall'inadempimento, sono inammissibili, né tali questioni possono essere rilevate d'ufficio stante il divieto di pronunciare ultra petita

Cass. civ. n. 12615/1999

Nelle società di capitali, che sono titolari di distinta personalità giuridica e di un proprio patrimonio, l'interesse del socio al potenziamento ed alla conservazione della consistenza economica dell'ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni, rappresentati dalla partecipazione alla vita sociale e dalla possibilità di insorgere contro le deliberazioni o di far valere la responsabilità degli organi sociali, mentre non implica la legittimazione a denunciare in giudizio atti esterni ed in particolare ad impugnare i negozi giuridici stipulati dalla società, la cui validità, anche nelle ipotesi di nullità per illiceità dell'oggetto, della causa o dei motivi, resta contestabile solo dalla società stessa, senza che in contrario il socio possa invocare la norma dell'art. 1421 c.c.

Cass. civ. n. 10530/1998

La rilevabilità d'ufficio della nullità di un atto prevista dall'art. 1421 c.c. non comporta che il giudice sia obbligato ad un accertamento d'ufficio in tal senso, dovendo invece detta nullità risultare ex actis ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, essendo i poteri officiosi del giudice limitati al rilievo della nullità e non intesi perciò ad esonerare la parte dell'onere probatorio gravante su di essa.

Cass. civ. n. 1157/1996

Nella controversia promossa per far valere diritti che presuppongono la validità del contratto, la nullità del contratto stesso è rilevabile d'ufficio, sempreché risultino acquisiti al processo gli elementi che la evidenzino, in considerazione del potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza delle condizioni dell'azione.

Cass. civ. n. 11156/1994

L'esecuzione spontanea del contratto da parte dei contraenti non ne sana la nullità che, nel giudizio in cui sia fatta valere una pretesa fondata sul predetto contratto, deve essere, pertanto, rilevata, anche d'ufficio e contro la volontà delle parti, dal giudice, nell'esercizio del suo potere-dovere di accertare, indipendentemente dall'attività delle parti, l'esistenza dei fatti costitutivi del diritto dell'attore.

Cass. civ. n. 7017/1994

La locuzione «chiunque vi ha interesse» che l'art. 1421 c.c. usa per individuare i soggetti legittimati ad esperire l'azione di nullità di un contratto, si riferisce ai terzi che, non avendo sottoscritto il contratto, sono rimasti estranei ad esso e non già alle parti stipulanti che, in quanto tali, sono sempre legittimate all'esercizio di detta azione essendo in re ipsa il loro interesse all'accertamento della nullità.

Cass. civ. n. 1340/1994

La nullità del contratto è rilevabile d'ufficio solo nella controversia promossa per far valere diritti presupponenti la validità del contratto medesimo, in considerazione del potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza delle condizioni dell'azione, non anche nella diversa ipotesi in cui la domanda prescinda dalla suddetta validità, come nel caso in cui sia richiesto lo scioglimento del contratto per ragioni diverse dalla nullità, ostandovi il divieto di pronunciare ultra petita (nella specie il menzionato divieto è stato ritenuto operante, avendo l'attore chiesto lo scioglimento del contratto, per effetto di recesso ex art. 1385 c.c.).

Cass. civ. n. 634/1990

In tema di prelazione agraria, l'art. 8 della L. 26 maggio 1965, n. 590 — che richiede determinati requisiti in capo al soggetto che intende esercitare il detto diritto — avendo la finalità di far coincidere, nella stessa persona, per un interesse economico di carattere generale, la qualità di coltivatore diretto con quella di proprietario del fondo sul quale l'impresa agricola viene esercitata, ha natura cogente ed inderogabile, con la conseguenza che va qualificata azione di nullità per contrarietà a norme imperative (art. 1418, comma primo, c.c.) e non di annullamento, quella diretta a far valere la mancanza, in capo all'acquirente del fondo che ha esercitato il diritto di prelazione, di un requisito posto dalla legge per esercitare la prelazione stessa, sicché, ad essa è legittimato; ex art. 1421 c.c., in via autonoma e diretta, il terzo promittente acquirente del fondo oggetto della prelazione.

Cass. civ. n. 4554/1989

La nullità degli atti giuridici aventi per oggetto immobili costruiti senza concessione edilizia, ove da essi non risulti che l'acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione, sancita dall'art. 15 della L. 28 gennaio 1977, n. 10, può essere dedotta e fatta valere in giudizio soltanto dall'acquirente, a tutela del cui interesse essa è stata prevista.

Cass. civ. n. 4974/1983

Nella controversia vertente sull'esecuzione di un contratto, la questione della nullità del contratto medesimo integra mera deduzione difensiva, diretta a sollecitare il potere del giudice di rilevare d'ufficio tale nullità, e, quindi, non è soggetta alle preclusioni o limitazioni riguardanti la proposizione di domande nuove o di eccezioni in senso stretto.

Cass. civ. n. 460/1983

La nullità del contratto può essere rilevata anche d'ufficio in ogni stato e grado di giudizio, anche in sede di legittimità, purché il motivo di nullità sia già acquisito agli atti e non richieda, per il suo accertamento, un'indagine di fatto.

Cass. civ. n. 1475/1982

La legittimazione generale all'azione di nullità prevista dall'art. 1421 c.c. — in virtù del quale la nullità del negozio può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed essere rilevata anche d'ufficio dal giudice — non esime il soggetto che propone detta azione dal provare, in concreto, la sussistenza di un proprio interesse ad agire, secondo le norme generali e con riferimento all'art. 100 c.p.c., attraverso la dimostrazione della necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale del proprio diritto ed il conseguente danno alla propria sfera giuridica. Il requisito dell'attualità della lesione implica che non si può esperire l'indicata azione a tutela di un interesse futuro (salvo che vi siano modi di attuazione della legge con cui si possa assicurare attualmente il conseguimento futuro di un bene giuridico) e che l'interesse ad agire deve sorgere dalla necessità di ottenere dal processo la protezione sostanziale per cui s'intende promuovere l'azione, con la conseguenza che, in relazione ad un atto nullo (cioè in una situazione di invalidità insensibile al trascorrere del tempo), anche un diritto sorto successivamente ne può essere pregiudicato in concreto e che deve riconoscersi al titolare di tale diritto l'interesse ad agire allo scopo di vedere rimossa la situazione a lui pregiudizievole, derivante dalla presenza nella realtà fattuale dell'atto nullo.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1421 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

E. A. chiede
lunedì 24/10/2022 - Toscana
“Circa due anni orsono è deceduto il Compagno convivente della mia assistita, entrambi vedovi che da 15 anni avevano deciso di intraprendere il resto della propria vita assieme tanto che la mia assistita aveva preso residenza presso di lui e
lo stesso nel testamento (dopo la morte reso pubblico da Notaio) la aveva nominata usufruttuaria di detta abitazione.
Successivamente le aveva intestato una polizza 'caso sua morte' come beneficiaria e aveva firmato presso la sua banca
copia di bonifico in favore della stessa (dalla stessa poi fatto effettuare specificando il proprio iban su rapporto cointestato a lei ed ai suo figli). Mai messa in discussione la capacità di intendere e volere del de cuius.
Non avendo fatto altri testamenti sia la nuda proprietà della casa che la maggior parte delle disponibilità finanziarie dello stesso sono poi passate per eredita' ad un suo nipote (essendo nel frattempo deceduto anche il di lui fratello).
Adesso tale nipote ha dato incarico legale per richiedere la restituzione della cifra a suo tempo bonificata alla sua convivente adducendo la nullità dello stesso perché non formalizzato con atto pubblico e secondo lui per vizio di forma e sostanza sulla delega bancaria a suo tempo rilasciata alla convivente.
La banca ritenendo invece tutte corrette le firme e le volontà del de cuius ha regolarmente riscattato in favore della Convivente la polizza e provveduto ad effettuare il bonifico di cui sopra.
Domanda: in base a quale norma eventuale un parente non beneficiario della legittima può avere legittimazione ad intervenire legalmente su atti fatti in vita dal de cuius? E le obiezioni (tutte da dimostrare) in merito alla irregolarità sostanziale e formale del bonifico hanno un minimo eventuale fondamento?”
Consulenza legale i 31/10/2022
Sulla validità della nomina della convivente quale beneficiaria caso morte della polizza non sembra possano sussistere dubbi, come del resto risulta da ciò che viene detto nel quesito.
I dubbi attengono, invece, alla validità del bonifico effettuato in vita dal conto personale del de cuius al conto corrente che la convivente beneficiaria aveva cointestato con i figli.
Ebbene, occorre intanto chiarire che corretta è la tesi che il nipote ex filio del de cuius intende portare avanti, ovvero quella della nullità del trasferimento delle somme di denaro mediante lo strumento del bonifico bancario.
Su tale specifico argomento si è pronunciata la Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, con sentenza n. 18725 del 27.07.2017 (confermata indirettamente anche da Cass. civ., Sez. V, 10/03/2021, n. 6591), affermando il seguente principio di diritto:
"Il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l'esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta; ne deriva che la stabilità dell'attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell'atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l'ipotesi della donazione di modico valore".

In particolare, la S.C ritiene che si abbia donazione diretta allorchè vi sia un passaggio immediato e per spirito di liberalità di ingenti valori patrimoniali da un soggetto in favore di un altro, situazione configurabile appunto nel caso di bonifico bancario, dovendosi la banca qualificare quale mera esecutrice dell’ordine dato dal correntista disponente.
L’ordine impartito alla banca costituisce atto negoziale esterno rispetto al negozio tra beneficiante e beneficiario, il solo che rappresenta la giustificazione del trasferimento di valori da un patrimonio all'altro.

In tal caso, ai fini della validità risulta necessaria la forma dell’atto pubblico, in mancanza della quale la donazione sarà nulla, con la conseguenza che la somma di denaro dovrà considerarsi come mai entrata a far parte del patrimonio del beneficiario e che gli eredi del disponente potranno far valere il diritto alla restituzione dell’importo in questione perché giuridicamente mai uscito dal patrimonio del donante stesso.

Il caso preso in esame dalla S.C. riguarda in effetti l’azione posta in essere dalla figlia del de cuius, soggetto rientrante nella categoria del c.d. legittimari.
Ciò, in effetti, potrebbe far sorgere il dubbio se la medesima azione possa essere esperita anche da qualunque altro soggetto che viene ad assumere la posizione di erede, pur se non legittimario e, dunque, non avente comunque diritto ad una quota di riserva.
Ebbene, la risposta si ritiene debba essere positiva, in tal senso dovendosi argomentare dal disposto di cui all’art. 1421 c.c., rubricato “Legittimazione all’azione di nullità”, il quale sancisce espressamente che la nullità di un atto o negozio giuridico può essere fatta valere da “chiunque vi abbia interesse” e perfino “essere rilevata d’ufficio dal giudice”.
Sembra evidente che nel caso in esame il nipote erede, anche se non legittimario, abbia un interesse diretto ed attuale ad esperire detta azione di nullità, in quanto, essendo beneficiario, quale erede legittimo, di tutto ciò che sarebbe stato rinvenuto nel patrimonio del cuius al momento della sua morte, l’esercizio di detta azione gli consentirà di recuperare al patrimonio ereditario quella somma di denaro trasferita a mezzo bonifico bancario ed a titolo meramente liberale in favore della compagna, con conseguente diritto a pretenderne la restituzione da parte di coloro che hanno beneficiato di quel bonifico.