Il delicato problema della sanatoria del contratto nullo
La norma disciplina l'importante e delicata materia della sanatoria del negozio nullo.
Il problema della convalescenza della nullità non è che un aspetto del più generale problema dell'assunzione nell'orbita del diritto dei rapporti sociali di contenuto patrimoniale che traggono la loro origine da un negozio nullo.
Quando una manifestazione di volontà emessa dal privato per il raggiungimento di un determinato scopo non risponde a tutte le condizioni richieste dalla legge per la sussistenza della fattispecie negoziale, allora non si produce alcuno degli effetti che la legge ricollega a detta fattispecie. Questa manifestazione di volontà non potrebbe però considerarsi senz'altro e completamente irrilevante.
Innanzitutto essa può presentare una certa rilevanza nel campo giuridico, in quanto la norma ne faccia derivare effetti diversi da quelli voluti dalle parti (c.d. effetti indiretti del negozio nullo).
Essa può inoltre presentare una notevole ripercussione nel mondo sociale. Accade infatti spesso che le parti, nonostante la nullità del negozio, si comportino di fatto esattamente come avrebbero dovuto comportarsi se la manifestazione di volontà da esse effettuata costituisse un valido negozio giuridico, dando così vita a tutta una serie di relazioni di contenuto patrimoniale che hanno un'esistenza di mero fatto, ma vengono rispettate dalle parti come giuridiche. Il diritto oggettivo, in quanto vuol essere la norma fondamentale che regola tutti i rapporti patrimoniali dei cittadini, non può disinteressarsi di queste relazioni, ma deve cercare di riassumerle nella propria cerchia, di ricondurle sotto il proprio controllo e la propria tutela. La legalizzazione o, come fu detto con felice espressione, il recupero delle relazioni di fatto nascenti da un negozio nullo può essere attuato con mezzi diversi, quali la usucapione, la prescrizione delle azioni di ripetizione, la conversione del negozio e la sanatoria della nullità. Di tutti questi mezzi il più rapido, il più diretto e il più efficace è indubbiamente quello della sanatoria. Rispetto alla usucapione ed alla prescrizione delle azioni di ripetizione esso presenta il vantaggio di operare con maggior rapidità; rispetto alla conversione presenta il vantaggio di dare alle relazioni di fatto quella precisa configurazione giuridica alla quale miravano le parti ponendo in essere la manifestazione di volontà, che non riuscì, in un primo momento, ad affermarsi come negozio giuridico.
L’insegnamento della dottrina. Critica
Nonostante tale sua notevole importanza pratica, il problema della convalida del negozio nullo è pressoché trascurato dalla tradizionale e dominante dottrina, la quale si limita ad affermare in molto molto semplicistico e sbrigativo che il negozio nullo non può assolutamente convalidarsi. Questo principio viene presentato come una regola di pura forza logica, una conseguenza necessaria ed inoppugnabile della nozione stessa di nullità: «quod nunquam fuit, quod statim nullius momenti fuit convalescere non potest. Aeger potest convalescere, mortuus potest reviviscere, sed quod nunquam natus est neque convalescere potest neque reviviscere».
Si è già espresso ed ampiamente motivato il vivo dissenso nei confronti di questo insegnamento, affermando che nulla si oppone, da un punto di vista logico, alla convalida della nullità. Se la dottrina perviene all'opposta soluzione, ciò è dovuto al fatto che si riferiscono alla nullità i mezzi di convalescenza propri dell’annullabilità. Indubbiamente il negozio nullo non può essere confermato come il negozio annullabile perché la conferma presuppone l’esistenza di un diritto all'annullamento al quale si rinuncia, diritto che non si riscontra nel caso di nullità. Per la stessa ragione non si può parlare di sanatoria per prescrizione dell’azione di nullità. Ma ogni tipo di invalidità deve avere i suoi propri e peculiari mezzi di convalescenza e dalla inapplicabilità dei mezzi propri di un determinato tipo ad un altro tipo non è lecito argomentare senz'altro l'insanabilità di quest'ultimo.
L'esame della nozione di nullità ci indica per quale via può concepirsi una sanatoria della medesima. Se una manifestazione di volontà non produce gli effetti voluti dal suo autore in quanto fa difetto un requisito essenziale per l’esistenza della fattispecie negoziale, è ovvio che questa situazione di inefficacia può cessare solo per effetto di un completamento della fattispecie negoziale originariamente incompleta. Questo completamento può avvenire in due modi, e cioè: a) mediante il recupero dell'elemento mancante; b) mediante la realizzazione di un fatto che la legge consideri equivalente a detto requisito.
La disciplina legislativa
Non solo la sanatoria di un negozio nullo è perfettamente concepibile in linea logica, ma lo stesso ordinamento positivo ammettette, sia pure in via eccezionale, questo fenomeno, stabilendo, nella norma in esame, che il contratto nullo non può essere convalidato, se la legge non dispone diversamente.
La lettera di questo articolo non è tuttavia di per sè decisiva per escludere in via di massima la sanatoria della nullità. Il termine «convalida» viene infatti usato nel nuovo codice per indicare quel particolare mezzo di convalescenza del negozio invalido che è la conferma dell'interessato. Ciò risulta dall'art. 1444 cod. civ., che parla di convalida con riferimento alla conferma del negozio annullabile, e soprattutto dall'art. 1451 cod. civ., che esclude la convalida del negozio rescindibile, il quale, se non può essere confermato, può tuttavia sanarsi sia in seguito a prescrizione dell'azione che in seguito ad offerta del supplemento (articoli 1449, 1450 cod. civ.). Si potrebbe pertanto sostenere che nel nostro diritto esclusa, di regola, solo la convalescenza della nullità per via di conferma. Questa opinione non sarebbe però, esatta. Alla norma in esame si deve dare una portata più ampia di quella che risulta dal suo tenore letterale. Infatti, se il nostro legislatore avesse inteso solo escludere la conferma del negozio nullo, dato che la convalescenza per effetto della scomparsa della causa di nullità non può essere ammessa in via assoluta e per ogni ipotesi di nullità, non avrebbe mancato di dettare disposizioni specifiche in proposito. A ciò si aggiunga il fatto che la norma in esame non avrebbe ragione di essere, essendo logicamente inconcepibile una conferma
del negozio nullo.
La insanabilità è quindi la regola, la sanabilità recezione. Con ciò non resta esclusa naturalmente la possibilità, nei confronti di qualsiasi negozio nullo, che le parti, scomparsa la causa di nullità, procedano ad una rinnovazione del medesimo; ma una cosa è la rinnovazione di un negozio nullo, la quale pone in essere un nuovo negozio del tutto distinto dal primo e altra cosa è la sanatoria di un negozio nullo. Mentre nel primo caso gli effetti giuridici sono prodotti dal negozio nullo sanato, nel secondo caso essi trovano la loro causa esclusivamente nel negozio di rinnovazione; inoltre, dato il carattere eccezionale della retroattività reale, si deve ritenere, nel silenzio della legge, che l'atto di rinnovazione non può retroagire i suoi effetti al momento della conclusione del primo negozio.
I principali casi di sanatoria della nullità previsti dal nostro ordinamento. Gli articoli 590 e 799 cod. civ.
Premesso ciò, si tratta ora di vedere quali siano e come possano essere costruiti i principali casi in cui, in deroga alla regola dell'art. 1423 cod. civ., è ammessa una sanatoria della nullità.
L'ipotesi più importante, che ha dato luogo a gravissime difficoltà costruttive sotto l'impero del codice abrogato, è quella contemplata negli articoli 5911 e 799 cod. ci v., per cui la nullità della disposizione testamentaria e della donazione, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, ha dopo la morte del testatore o del donante confermato la disposizione o la donazione o vi ha dato volontaria esecuzione. Senza indugiare nella esposizione e nella critica delle svariate formule avanzate dalla dottrina per la costruzione di questa norma, non a torto considerata la crux jurisprudentiae, molte delle quali, tra l'altro, cadono automaticamente di fronte al disposto del nuovo codice che ammette la possibilità di convalescenza della nullità, ci si limita a esporre la costruzione che si ritiene esatta.
Sviluppando e lievemente modificando un geniale spunto del Finzi, si è sostenuto in altra sede — e si mantiene ora questa opinione — che negli articoli in esame è prevista una sanatoria del negozio testamentario o della donazione nulli mediante la realizzazione di un fatto — la conferma od esecuzione volontaria — equivalente al requisito, il cui difetto causa la nullità.
Un'altra ipotesi di sanatoria, sempre per via di realizzazione di un fatto equivalente, è quella prevista nell'art. 2126 cod. civ., nel quale, come si è visto in antecedenza, la esecuzione volontaria del rapporto di lavoro sana la nullità del relativo contratto e costituisce nel contempo un presupposto per l'estinzione del rapporto di lavoro (v. retro).
L’art. 2332 cod. civ. non considera un’ipotesi di sanatoria della nullità
A prima vista sembra di poter applicare la stessa costruzione all'ipotesi di cui al 1° comma dell'art. 2332 cod. civ., attribuendo alla iscrizione nel registro delle imprese dell'atto societario nullo una efficacia complessa, e cioè l'efficacia di sanare con effetto retroattivo la nullità di tale atto e di costituire un presupposto per lo scioglimento della società in seguito a sentenza dell'autorità giudiziaria, dietro istanza di ogni interessato. Senonché questa opinione, che rappresenta una delle varie formulazioni della teoria dominante, la quale ravvisa nella ipotesi in esame un caso di sanatoria della nullità, non può essere accolta. Tra le varie obiezioni avanzate nei suoi confronti è veramente decisiva quella che per effetto della pretesa sanatoria non si realizza la stessa situazione che si avrebbe avuto se la sanatoria non fosse stata necessaria.
Con la disposizione dell'art. 2331 il nuovo legislatore ha attribuito, senza possibilità di dubbio, effetto costitutivo alla iscrizione nel registro delle imprese, in quanto solo per effetto di questa iscrizione la società per azioni acquista la personalità giuridica. In ordine a questo effetto è irrilevante, sempre che l'iscrizione avvenga prima che sia dichiarata la nullità dell'atto costitutivo, che l'atto sia valido o meno. Quelle anomalie che, senza l'iscrizione nel registro delle imprese, sarebbero cause di nullità dell'atto costitutivo operano, una volta avvenuta l'iscrizione, come semplici cause di scioglimento della società in seguito a sentenza dell'autorità giudiziaria dietro istanza di ogni interessato. Se il legislatore parla inesattamente di azione di nullità e di dichiarazione giudiziale di nullità anziché di azione per ottenere lo scioglimento e di sentenza di scioglimento, ciò avviene perché detta sentenza presuppone la sussistenza di quei fatti che normalmente operano come cause di nullità. La successiva modifica dell'atto costitutivo iscritta nel registro delle imprese costituisce un fatto impeditivo dello scioglimento per via di sentenza, togliendo alla iscrizione nel registro delle imprese dell'atto costitutivo nullo l'efficacia di presupposto per detto scioglimento.
I casi di pubblicità sanante
Il caso testè esaminato costituisce, per coloro che vi ravvisano una sanatoria della nullità, una delle varie applicazioni della figura generale della pubblicità sanante, individuata dalla dottrina germanica e accolta anche dalla maggioranza della nostra dottrina.
Premesso che in questa sede viene in considerazione solo quella particolare sottospecie della pubblicità sanante che è la pubblicità che sana la nullità, esclusa quindi la pubblicità (detta anche confermativa) che sana la eliminabilità degli effetti del negozio, si deve osservare che in tanto si può attribuire alla pubblicità un'efficacia sanante della nullità in quanto gli effetti che la dichiarazione negoziale originariamente incompleta produce in seguito alla pubblicità sono esattamente gli stessi che produrrebbe se fosse ab origine completa. Per questa ragione si deve escludere che la pubblicità determini una sanatoria nel caso della trascrizione che giustifica l'usucapione decennale anziché quella ventennale (art. 1159 cod. civ.) e, sempre che si consideri la consegna del possesso come una forma di pubblicità, nel caso di successiva consegna del possesso all'acquirente in buona fede di un bene mobile in base ad un atto nullo per difetto di legittimazione nell'alienante (art. 1153 cod. civ.). Nel primo caso la differenza tra le due categorie di effetti indicati è evidente; nel secondo caso, per quanto meno evidente, è tuttavia ugualmente sicura, e questo sia che si consideri l'acquisto del possessore di buona fede come un acquisto a titolo originario sia che lo si consideri come un acquisto a titolo derivativo, dato che in ogni caso per effetto dell'acquisto del possesso non si è determinata una successione di cui l'alienante sia l'autore.
Quanto è stato detto in ordine all'art. 1153 cod. civ. vale solo per l'ipotesi che oggetto dell'atto di disposizione sia la trasmissione di un rapporto di proprietà; nel caso invece che il negozio abbia per oggetto la costituzione di un diritto di uso o di usufrutto la successiva consegna del possesso, data l'identità di effetti, sana la nullità del negozio surrogando la legittimazione.
Uguale efficacia sanante e negli stessi limiti dati dall'identità degli effetti deve riconoscersi alla pubblicità nel caso di trascrizione o iscrizione dell'atto di acquisto compiuto dai terzi in buona fede in base ad un negozio nullo, qualora la trascrizione o l'iscrizione sia compiuta prima della trascrizione della domanda diretta a far dichiarare la nullità, sempreché la trascrizione di detta domanda sia avvenuta cinque anni dopo la trascrizione del negozio nullo.
Resta ancora, come ultimo caso di sanatoria per effetto della pubblicità, l'ipotesi del secondo atto dispositivo previamente trascritto ed incompatibile con un atto precedente dello stesso autore (art. 2644 cod. civ.).
Senza entrare in un esame approfondito del delicatissimo ed arduo argomento, non sembra possibile costruire in maniera unitaria la situazione di cui all'art. 2644 cod. civ., dovendosi distinguere l'ipotesi in cui i due atti incompatibili hanno un diverso contenuto (ad esempio il primo atto è diretto al trasferimento della proprietà ed il secondo alla costituzione di un jus in re aliena) e l'ipotesi in cui i due atti incompatibili hanno lo stesso contenuto (ad esempio due atti diretti entrambi al trasferimento della proprietà). Nel primo caso la trascrizione del secondo atto ha esclusivamente un'efficacia sanante della nullità del secondo atto di disposizione, in quanto si pone come un equivalente della legittimazione deficiente nel disponente, fermi restando gli effetti prodotti dal primo atto traslativo. Nel secondo caso invece la trascrizione del secondo atto incompatibile elimina gli effetti prodotti dal primo atto, sempre che questo non sia stato previamente trascritto, nel qual caso la trascrizione opera come la conferma del negozio annullabile, costituendo un fatto impeditivo della eliminazione prodotta dalla trascrizione del secondo atto. Per effetto della eliminazione degli effetti del primo atto viene ricollegata ex tunc al secondo atto l'efficacia die questo atto avrebbe avuto nell'assenza del primo atto traslativo; è molto dubbio però che si possa costruire tale fenomeno come una sanatoria della nullità del secondo atto, in quanto, data la retroattività della trascrizione del secondo atto dispositivo, ci troviamo di fronte ad una valutazione positiva del requisito della legittimazione antitetica alla precedente valutazione negativa, dello stesso requisito.
Il secondo negozio, compiuta la trascrizione, non diventa valido dopo essere stato nullo, ma è sempre stato valido.
L’art. 4 della legge 23 aprile 1942, n. 456
Tralasciando altre ipotesi nelle quali la dominante dottrina esclude concordemente, con opinione però sulla cui esattezza è lecito esprimere qualche dubbio, la figura della sanatoria della nullità, come avviene ad esempio nel caso di servitù concessa da uno solo dei condomini del fondo dominante e successivamente concessa anche dagli altri condomini (art. 1059 cod. civ.), si ha sicuramente sanatoria nella ipotesi prevista dall'art. 4 della legge 23 aprile 1942, n. 456 sulla forma degli atti di procura a contrarre matrimonio per i prigionieri di guerra. Questo articolo è così formulato: «La nullità della procura per difetti formali non può farsi valere decorsi sei mesi da quando chi rilascio la procura abbia cessato dallo stato di prigionia». Dato che le formalità richieste per l'atto di procura non possono ritenersi stabilite a pena di semplice annullabilità (v. articoli 1 e 2 della legge citata), la costruzione di questa norma dà luogo a gravi difficoltà. Se l'azione di nullità ha carattere meramente dichiarativo, come può parlarsi, in contrasto anche con l'esplicito disposto dell'art. 1421 cod. civ., di sanatoria della nullità in seguito a prescrizione di detta azione? Queste difficoltà possono essere superate con il ricorso anche qui al concetto di fatto equivalente. La inerzia di colui che rilascia la procura, protratta per sei mesi da quando cessò lo stato di prigionia, non determina già una prescrizione dell'azione di nullità e di conseguenza una sanatoria dell'atto, ma costituisce un fatto equivalente al requisito formale mancante, che sana direttamente la nullità del negozio e di conseguenza fa venire meno l'azione di nullità.